programma di sala - Società del Quartetto

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programma di sala - Società del Quartetto
Sabato 9 aprile 2016, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
16
Krystian Zimerman
pianoforte
Schubert - Sonata in la maggiore D 959
- Sonata in si bemolle maggiore D 960
2015
2016
1 5 1 a S TA G I O N E
Di turno
Di turno
Antonio
Magnocavallo
Magnocavallo
Antonio
MarioCarlo
Mario
Bassani
Bassani
Sini
Consulente
Consulente
Artistico
Artistico
Consulente
Artistico
Paolo
Paolo
ArcàArcà
Paolo
I concerti sono preceduti da una breve introduzione
di Gaia Varon o Oreste Bossini
Sponsor
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istituzionali
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Con il Con
contributo
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La Società
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il consenso
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dell’artista,
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e registrazioni,
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con il con
cellulare.
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IniziatoIniziato
il concerto,
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si puòsientrare
può entrare
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salaalla
solo
fine
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ognidicomposizione.
ogni composizione.
Si raccomanda
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di: di:
• disattivare
• disattivare
le suonerie
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dei telefoni
dei telefoni
e ogniealtro
ogniapparecchio
altro apparecchio
con dispositivi
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acustici;
acustici;
• evitare
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colpi di
colpi
tosse
di tosse
e fruscii
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del programma;
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• non lasciare
• non lasciare
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salaalfino
congedo
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dell’artista.
dell’artista.
Il programma
Il programma
è pubblicato
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sul nostro
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venerdì
il venerdì
precedente
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il concerto.
il concerto.
Franz Schubert
(Vienna 1797 - 1828)
Sonata in la maggiore D 959 (ca. 40’)
I. Allegro II. Andantino III. Scherzo. Allegro vivace IV. Rondò. Allegretto
Sonata in si bemolle maggiore D 960 (ca. 42’)
I. Molto moderato II. Andante sostenuto III. Allegro vivace con delicatezza
IV. Allegro ma non troppo
l Anno di composizione: settembre 1828
l Anno di pubblicazione: Vienna, 1838
Schubert, a differenza della maggior parte dei compositori del suo tempo, non
era nato in una famiglia di musicisti e non era stato educato per diventare un
virtuoso di uno strumento. La sua musica per pianoforte risente della insolita
vita professionale di Schubert, frutto di un percorso del tutto particolare e
dell’inflessibile volontà di seguire la propria vocazione artistica. Questa
diversità ha fatto sì che nella figura di Schubert s’incarnasse allo stesso tempo
l’ultimo ideale della forma classica e il nuovo genere del pezzo lirico, prediletto
dal pubblico dell’Ottocento. Le due dimensioni convivono in Schubert creando
dei contrasti sorprendenti. Nel 1828, l’ultimo anno di Schubert, nascono nel giro
di pochi mesi sia pagine di pura impressione sonora come i tre Klavierstücke,
sia l’immensa trilogia delle ultime Sonate. Micro e macrocosmo rappresentano
due espressioni della stessa personalità e di una medesima visione del tempo
musicale. I primi schizzi della Sonata in la maggiore D 959, terminata nel
settembre 1828, risalgono alla primavera precedente. Gli abbozzi e gli appunti
musicali, per fortuna conservati, rivelano come i tre lavori fossero concepiti
come un unico blocco. La struttura delle Sonate è identica, articolata in quattro
movimenti di carattere tradizionale. La scrittura pianistica manifesta senza
dubbio la profonda influenza delle Sonate di Beethoven, ma evita di ricalcare le
forme del suo linguaggio. Il “Rondò” finale della Sonata in la maggiore, per
esempio, trova un modello evidente nell’ultimo movimento della Sonata in sol
maggiore op. 31 n. 1 di Beethoven, mostrando tuttavia la capacità di confrontarsi
sullo stesso piano con la musica del predecessore e di esprimere un mondo del
tutto personale. Una delle caratteristiche di queste Sonate infatti consiste nella
fitta rete di relazioni implicite e a volte esplicite con la propria musica. Schubert
usava spesso citazioni di lavori precedenti e la Sonata in la maggiore contiene
vari esempi significativi di questo processo di ricerca della propria identità. Il
tema del “Rondò” finale proviene da una precedente Sonata in la minore D 537,
così come nel mezzo dell’“Andantino” compare un frammento dell’Impromptu
in sol bemolle maggiore D 899. L’“Andantino” stesso, in fa diesis minore, è stato
spesso collocato nella sfera d’influenza della Winterreise e forse reca i segni di
un’affinità con l’“Andante” in mi minore della lontana prima Sonata per
pianoforte D 157, scritta nel 1814. Il fil rouge del lavoro di Schubert sembra
l’incessante ricerca di un autoritratto musicale, che trapela in molteplici e
variegate espressioni. La Sonata in la maggiore inoltre ambisce all’unità della
forma. Le ultime battute infatti rappresentano il rovescio del disegno ritmico e
del profilo melodico dell’inizio, come per racchiudere l’intera Sonata all’interno
di un unico cerchio. Nella sfera della Sonata si snoda il perpetuo viaggio
introspettivo del Wanderer, che avanza con la sconvolgente sensazione di
vagare in un mondo estraneo, circondato da una natura indifferente. Schubert
sembra conferire un significato religioso alla marcia energica dell’“Allegro”
iniziale, articolando il fraseggio del tema principale tramite una cadenza
conforme allo stile della musica sacra. Il mondo, sembra dirci la musica di
Schubert, è divenuto un ammasso di materia informe e il pellegrino non riesce
più a scorgere i segni del divino. La sua ricerca angosciosa lo spinge in luoghi
sconosciuti, aduggiati dall’ombra di un pessimismo metafisico. Il viaggio
acquista una sfumatura diversa in ciascun episodio. L’“Andantino” s’immerge in
una cupa meditazione, spezzata al centro da un istintivo moto di ribellione a
stento represso. Lo “Scherzo” invece mostra il carattere illusorio del mondo. In
apparenza la vita offre momenti spensierati e leggeri, ma l’urlo improvviso di
una scala discendente di do diesis maggiore squarcia la tela delle apparenze
rivelando con orrore la vera realtà del nulla.
La figura del Wanderer attraversa l’intera produzione di Schubert, con
l’implacabile ansia di un’idea fissa. Il viandante rappresenta una sorta di alter
ego spirituale dell’autore, che nell’allegoria dello straniero errante esprimeva il
nascente disagio personale e storico dell’artista all’interno del nuovo mondo
borghese. L’immagine del Wanderer compare molto presto nei Lieder e
riaffiora poi in diverse forme nella musica strumentale, lasciando un segno
profondo sul percorso artistico di Schubert. Il suo viandante però non è uno
spirito ribelle o un’anima avventurosa, bensì un uomo infelice e sofferente, che
si sente dovunque un estraneo alla ricerca di un luogo che ne accolga il dolore e
la solitudine. La prima formulazione del personaggio si trova in un Lied del
1816, intitolato nella versione originale Der Unglückliche (L’infelice). In seguito
Schubert aggiustò il tiro, una volta appurato che il testo era di Schmidt von
Lübeck e non di un generico poeta di nome Werner, pubblicando il Lied con il
titolo di Der Wanderer. Qualche anno dopo, nel 1822, Schubert prese un tema
del Lied, che nel frattempo era diventato uno dei suoi lavori più popolari, per
comporre il secondo movimento di un lavoro per pianoforte definito Fantasia.
Nell’ultima Sonata per pianoforte si avverte un eco del carattere “Wanderer”
della Fantasia. La figura del Wanderer lascia per esempio un’impronta
marcata sul tessuto armonico di entrambi i lavori. Il Lied infatti è scritto in do
diesis minore e la Fantasia, nel suo ampio percorso armonico attorno alla
tonalità di do maggiore, evoca nell’“Adagio” la figura del forestiero nella sua
armonia originale di do diesis minore, che rappresenta in maniera efficace il
senso di estraneità del protagonista attraverso il potente conflitto con la
tonalità principale del lavoro. Allo stesso modo, molti anni dopo, Schubert torna
sull’idea fissa del viandante nella sua ultima Sonata, passando in maniera
brusca dall’accordo di si bemolle maggiore che chiude il primo movimento alla
tonalità “Wanderer” di do diesis minore dell’“Andante sostenuto”, il movimento
interno forse più remoto dal punto di vista armonico ed espressivo della sua
produzione sonatistica. I rapporti che collegano la figura del Wanderer alla
Sonata in si bemolle maggiore non spiegano ovviamente ogni dettaglio
compositivo, ma mettono in rilievo l’arte mimetica di Schubert, che s’immedesima
nella metafora dello straniero errante.
La Sonata si apre con un tema sviluppato in forma di corale dalla mano destra,
mentre la sinistra ribatte le note fondamentali dell’armonia con il tipico moto
uniforme della musica di Schubert. La frase però si arresta sull’accordo di
dominante, mentre nell’ottava grave un fosco trillo sulla nota di sol bemolle
tinge di mistero l’aura serena del tema, destando inquietudine e apprensione.
La frase riprende il suo cammino, ma questa volta il trillo devia il suo percorso
armonico verso la tonalità di sol bemolle maggiore, dal che risulta evidente un
rapporto strutturale del tema con il sol bemolle del misterioso trillo. Dopo
questo episodio ritorna ancora in primo piano il tema in si bemolle maggiore,
che adesso però si trasforma in una nuova variazione in fa diesis minore, ovvero
nel corrispettivo enarmonico di sol bemolle minore, che conduce finalmente
all’area del secondo soggetto in fa maggiore. Da questa succinta analisi si ricava
facilmente che l’intervallo di tritono si bemolle - sol bemolle rappresenta l’asse
principale della Sonata, che quindi si regge su un arco armonico e tematico
estremamente teso. In maniera analoga, anche la prosodia diventa estremamente
nervosa, spezzata da pause e fermate che frangono il flusso della melodia. I
conflitti di questa sonata sono implacabili, estremi, inconciliabili. Il “Molto
moderato” iniziale infatti non solo non risolve nessuno dei contrasti messi in
evidenza dal fosco trillo sul sol bemolle, ma si chiude anzi tornando su
quell’oscuro presentimento, che getta un’ombra anche sulla risoluzione finale.
Lo stesso si potrebbe dire per l’ultimo movimento, “Allegro, ma non troppo”,
marchiato da un’ottava di sol accentata in controtempo dalla mano sinistra, che
rode come un tarlo il carattere intimo del tema. Tutta la forma sonata dell’ultima
parte rimane in preda al sospetto destato da questo elemento estraneo, che
impedisce al movimento finale di trovare la serenità. Al contrario, prima della
coda, l’ottava ritorna tre volte scendendo in maniera cromatica da sol a fa, fino
a ridurre al silenzio il tema così intimamente succube del suo potere occulto. Il
“Presto” conclusivo, che dovrebbe affermare finalmente la corretta forma
armonica del tema, rinnova invece l’acerbo dolore espresso in mille forme nel
corso della Sonata, esaurendosi alla fine in un ultimo e disperato urlo di
disperazione.
Oreste Bossini
Schubert: l’ultimo anno
1828. Per Schubert, poco più che trentenne, un anno più breve di quelli vissuti
fino a quel momento; vide undici dei dodici mesi che lo composero. Appena
l’anno precedente, era stato tra i trentasei portatori di fiaccole che avevano
accompagnato il feretro di Beethoven al cimitero di Währing. Dopo la
cerimonia, propose un brindisi dal sapore amaro della premonizione: “Al primo
di noi che lo seguirà nella tomba”.
Schubert già da diversi anni accusava seri problemi di salute (il primo accenno
alla malattia venerea che lo condurrà alla morte è del febbraio 1823) e nel suo
ultimo anno di vita è un trentenne senza affetti, senza richieste per significativi
impegni professionali, senza allievi, senza uno stipendio, senza una casa di
proprietà. Non possiede nemmeno un pianoforte fino alla riscossione dell’incasso
proveniente dal concerto del 26 marzo, dedicato interamente, per la prima e
unica volta, a sole sue composizioni. Le uniche modeste entrate provengono
dalla vendita dei Lieder e di una parte della musica da camera, mentre ancora
sconosciuto è il repertorio sinfonico.
Il piccolo Schwammerl, funghetto, come era soprannominato dagli amici per la
goffa conformazione fisica, non ha scadenze o vincoli, non dovendo rendere
conto a nessuno per la composizione della propria musica. Vive così una
simultanea condizione di privazione e libertà, lontano dalla concezione dell’arte
come oggetto di consumo o come veicolo di ideali o slanci universalistici, come
era stato per Beethoven. La sua musica è caratterizzata dall’euforia e dalla
desolazione insite nell’artista, che vive un’esistenza agitata e quieta, oscura e
luminosa. Non fa altro, Schubert, che esprimere l’inquietudine e lo stile di vita
degli ultimi mesi: da un lato la disperata ricerca di distrazione dal dolore, spesso
trovata nelle taverne della città, dall’altro il desiderio di pace e serenità, con la
necessità fisica di trascorrere fuori Vienna, nel contatto con la natura, il più
tempo possibile.
In questa atmosfera di corsa contro il tempo, Schubert è come posseduto da
un’ansia creativa incontenibile, che lo porterà a scrivere capolavori imperituri
in un tempo tanto ristretto quali i cicli liederistici Winterreise e Schwanengesang,
la Fantasia in fa minore per pianoforte a 4 mani, i Drei Klavierstücke, le
ultime tre Sonate per pianoforte. Le ultissime creazioni, la Fuga in mi minore
per organo a 4 mani, la Messa in mi bemolle maggiore, i passaggi in stile fugato
della Sinfonia Grande, del Mirjams Siegesgesang, la cantata Glaube, Hoffnung
und Liebe, gli schizzi per il terzo movimento della abbozzata Decima Sinfonia,
testimoniano la volontà di Schubert di riprendere lo studio del contrappunto,
dando prova, a trent’anni, di lucidità autocritica e di ricerca nel campo della tecnica
musicale. Come non trovarsi concorde con il pensiero di Benjamin Britten:
[…]La sola creazione di tali capolavori in quell’arco di tempo sembra
incredibile, ma la qualità dell’ispirazione, della magia, è miracolosa e supera
ogni spiegazione.
Creusa Suardi
Allieva del Conservatorio G. Verdi di Milano
Krystian Zimerman pianoforte
Krystian Zimerman ha fatto i primi passi sotto la supervisione del padre. A
sette anni ha cominciato a lavorare con il celebre didatta Andrzej Jasinski al
Conservatorio di Katowice dove si è diplomato.
Premiato dall’Accademia Chigiana di Siena quale miglior giovane musicista
dell’anno (1985) e dalla Fondazione Leonie-Sonning a Copenhagen, nel 2005
ha ricevuto dal Ministro della cultura Renaud Donnedieu de Vabres la
Legione d’Onore francese. L’Università di Latowice gli ha conferito il
Dottorato Honoris Causa e il Presidente della Polonia gli ha consegnato la
“Croce al merito con stella”, la più alta onorificenza riservata a personaggi
non legati al corpo militare.
La vittoria del “Grand Prix” al Concorso Chopin del 1975 gli ha aperto le porte
di una brillante carriera internazionale che lo vede protagonista sui
palcoscenici di tutto il mondo con i più celebri direttori d’orchestra. Molto
importanti sono stati gli incontri con i più grandi artisti nel campo della
musica da camera. Ha avuto anche l’opportunità di conoscere i maestri della
generazione precedente: Claudio Arrau, Arturo Benedetti Michelangeli,
Arthur Rubinstein e Sviatoslav Richter, che hanno influenzato grandemente
la sua formazione musicale. Tra le esecuzioni storiche ricordiamo quella con
i Wiener Philharmoniker il 10 febbraio 1985, la sua interpretazione del
Concerto di Schumann sotto la direzione di Herbert von Karajan, e i Concerti
n. 3, 4 e 5 di Beethoven nel 1989 con Leonard Bernstein.
Nel 2013, in occasione del 100° anniversario della nascita di Lutoslavski, ha
suonato il Concerto per pianoforte, a lui dedicato, con le più importanti
orchestre internazionali, che poi ha inciso con i Berliner Philharmoniker e
Sir Simon Rattle.
Zimerman si è posto il limite di 50 concerti all’anno e ha un’aderenza totale
alla sua professione: organizza personalmente la gestione della sua carriera,
studia l’acustica delle sale da concerto, le ultimissime tecnologie di registrazione
e della costruzione degli strumenti. Viaggia con il suo pianoforte. L’essere
completamente tranquillo per ciò che riguarda lo strumento, gli ha permesso
di eliminare o di ridurre al minimo tutto ciò che potrebbe distrarlo da
questioni puramente musicali. È inoltre appassionato di psicologia e computer.
Le sue incisioni hanno meritato, numerosi riconoscimenti. Nel 1999 ha
registrato i Concerti di Chopin con la Polish Festival Orchestra, costituita
appositamente per questo progetto, con la quale ha fatto una lunga tournée in
occasione del 150° anniversario della morte di Chopin.
Ha debuttato in recital a Milano per la nostra Società nel 1977, ed è tornato
ospite nel 1985, 1990, 1996, 1999, 2001, 2004 e 2014.
Prossimo concerto:
Martedì 12 aprile 2016, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Sir András Schiff pianoforte
L’eccezionale festival pianistico offerto dal Quartetto prosegue con il ritorno di un
altro beniamino della nostra Società, András Schiff. Il pianista ungherese predilige
nei suoi concerti programmi che ruotano attorno a un tema forte, specie se hanno
la forma di un ciclo. Per l’occasione dunque Schiff si sottopone a un tour de force,
interpretando l’intero gruppo delle sei Partite per tastiera BWV 825-830 di Bach.
Il concerto segna dunque il ritorno a Bach di Schiff, che aveva scelto proprio questa serie di lavori per il suo esordio discografico con la Decca nel lontano 1985.
La scrittura contrappuntistica libera e fantasiosa delle Partite calza a pennello sulla
tecnica elegante di Schiff, che sa imprimere a ogni nota l’accento più piccante, a
ogni legatura l’inflessione più lirica, a ogni ritmo l’impulso più vivace.
Società del Quartetto di Milano - via Durini 24
20122 Milano - tel. 02.795.393
www.quartettomilano.it - [email protected]