Gianfranco Drioli: Ahnenerbe e Iperborea

Transcript

Gianfranco Drioli: Ahnenerbe e Iperborea
Recensione di Fabio Calabrese
Chi è Gianfranco Drioli? Triestino, è quello che io definirei “un ricercatore fuori dagli schemi”, una
persona dotata di una viva curiosità e di una cultura vasta, che ha viaggiato in varie parti del mondo,
particolarmente in America latina a cui rimane particolarmente legato dal punto di vista affettivo,
che sulla base di conoscenze ed esperienze personali ha sviluppato una propria Weltanschauung in
modo del tutto indipendente rispetto al paludato mondo accademico dal quale – lo sappiamo – ci
arrivano solo interpretazioni tendenziose e di comodo (per il potere politico) sul nostro passato
recente e remoto, su noi stessi, sulla nostra civiltà. Io direi che, con tutte le differenze del caso, la
persona a cui somiglia di più come atteggiamento mentale, è Silvano Lorenzoni.
Drioli è autore di due libri, entrambi pubblicati dall’editore Ritter nella collana “I quaderni di Thule”.
Il secondo dei due, Iperborea, ricerca senza fine della Patria perduta è stato pubblicato lo scorso
ottobre, ma è stato oggetto a gennaio di un’interessante presentazione presso la Casa del
Combattente qui da noi a Trieste. Ecco dunque l’occasione per parlarne, e visto che ci siamo, sarà
bene dare un’occhiata retrospettiva anche all’altro volume, Ahnenerbe. Cominciamo da quest’ultimo
che è stato il primo a essere edito.
“Ahnenerbe” in tedesco significa “eredità degli antenati”. E’ questo il nome di una società fondata
nel Terzo Reich e diretta emanazione del partito nazionalsocialista allo scopo di ricercare e studiare
l’eredità ancestrale germanica e ariana-indoeuropea in generale. Per realizzare questo intento, la
società Ahnenerbe ha organizzato spedizioni antropologiche quasi in ogni parte del nostro pianeta,
anche se si è concentrata principalmente sull’Asia centrale, a quei tempi considerata primordiale
culla dei popoli ariani.
Si cita spesso, e con una sorta di ironico disprezzo, il fatto che i Tedeschi abbiano speso nelle
ricerche della società Ahnenerbe più di quanto gli Americani abbiano speso per la realizzazione della
bomba atomica. A mio parere, questo atteggiamento dispregiativo del tutto fuori luogo è una vera e
propria cartina di tornasole che ci permette di comprendere l’abisso di differenza di mentalità che
separa i “democratici” (qualunque significato si pretenda di dare a questo aggettivo bugiardo) USA e
i loro manutengoli, servi e imitatori da questa parte dell’Atlantico dal Terzo Reich e dai fascismi in
genere. Per gli yankee e i loro servi e scimmiottatori in Europa, l’acquisizione di un bruto potere di
distruzione illimitata, evidentemente, era ed è molto più importante rispetto alla riscoperta della
nostra storia, delle nostre origini, di noi stessi.
Dirò di più: in democrazia sembra che sia sconveniente e pericoloso interrogarsi sulle origini di
qualsiasi cosa. Manifestando un atteggiamento mentale che ancora, per fortuna, in Europa non è
completamente penetrato, gli yankee sembra che ci tengano a recidere quanto più e quanto prima
possibile il legame coi loro stessi genitori, a cambiare quanto più spesso possibile lavoro, città di
residenza, amicizie. Macché popoli, tradizioni, culture o la famiglia stessa, gli yankee pare ci
tengano a essere il prototipo dell’individuo anonimo e sradicato che si perde nella massa amorfa dei
suoi simili.
Tanto più sarà sconveniente e pericoloso indagare sulle origini di popoli, culture e civiltà, c’è il
rischio di scoprire che gli uomini, le culture, i popoli e (diciamola questa parola proibita) le razze,
non sono tutti uguali né hanno lo stesso valore, mettendo in crisi il pilastro della menzogna
democratica.
Fabio Calabrese
http://www.ereticamente.net/2015/02/gianfranco-drioli-ahnenerbe-e-iperborea.html
In più, se andiamo a fare qualche ricerca in internet, scopriamo che perlopiù l’argomento Ahnenerbe
è presentato come una “voce” del capitolo dell’esoterismo nazionalsocialista. Il sottinteso è implicito
ma chiaro: le ricerche della società Ahnenerbe erano qualcosa di chimerico, anzi, è chimerico il fatto
stesso di voler indagare sull’origine dei popoli europei e indoeuropei, laddove che tutti gli uomini
sono uguali e le differenze razziali non esistono, che un uomo forse vissuto in Palestina due millenni
or sono (ma forse mai esistito) possa essere il nostro salvatore, che basta abolire la proprietà privata
dei mezzi di produzione per realizzare il paradiso in terra (in altre parole, tutto lo sciocchezzaio di
cui si alimenta la triplice menzogna democratica, cristiana e marxista), queste si che sono idee
realistiche e concrete!
D’altronde noi sappiamo che proprio quelle regioni centro-asiatiche che furono principalmente
oggetto delle ricerche dell’Ahnenerbe dopo la seconda guerra mondiale sono passate sotto il
controllo della Cina comunista e in particolare la regione del Lop Nor che fu oggetto delle ricerche
dell’esploratore svedese Sven Hedin che lavorava al servizio della Ahnenerbe, è stata trasformata in
un grande poligono nucleare. Sembrerebbe che i Cinesi, con un’ottusità e una brutalità tipicamente
comuniste, abbiano voluto “punire” il Lop Nor che le ricerche della Ahnenerbe avrebbero in qualche
modo trasformato in una “regione fascista”.
Va detto però che tutti i torti questi “nazisti” non li dovevano avere, dato che in tempi recenti poco
distante da lì nella zona del Takla Makan, nel bacino del fiume Tarim sono emerse delle mummie
naturali risalenti a epoche remote e dalle caratteristiche “stranamente” europidi, (“celtiche” sono
state definite) che ancora conservano pelle chiara e capelli biondo-ramati, e in alcune delle quali i
globi oculari sono stati sostituiti da pietre azzurre. Queste mummie sembrerebbero riconnettersi ai
Tocari, popolo indoeuropeo che un tempo abitava la regione, e di cui ci sono rimaste diverse
iscrizioni in una lingua appartenente al ceppo del centum, indoeuropeo occidentale.
D’altra parte, noi sappiamo che senza un paziente lavoro di ricerca in biblioteche e archivi, la
documentazione relativa alla società Ahnenerbe, come del resto il Mein Kampf di Hitler o Il mito del
XX secolo di Rosenberg non sono facilmente accessibili (e qui viene spontaneo il paragone con un
altro testo che ho recensito da poco, Mistica Volkisch, di Prati, Rimbotti e Lorenzoni, che fra le altre
cose ci permette di intravedere il contenuto del testo di Rosenberg), ragion per cui il lavoro del
nostro Drioli già solo come impegno documentario merita i più ampi elogi, e cosa ne dobbiamo
pensare di una democrazia che, nonostante tutte le dichiarazioni TEORICHE di libertà di pensiero,
nasconde i testi della parte opposta, palesando così la paura del confronto?
Il libro di Drioli passa in rassegna i vari aspetti e personaggi che hanno fatto la storia
dell’Ahnenerbe, il “mago” Karl Maria Wiligut che sulla base della tradizione ancestrale germanica
cercò di rifondare un vero e proprio culto neopagano, Friedrich Hieschler, Hermann Wirth, che fu
colui che formulò più chiaramente la teoria dell’origine polare dell’umanità ancestrale, Hans F. K.
Gunther il cui testo Religiosità indoeuropea rimane un capolavoro ineguagliato, e molto altro.
Non mancano, naturalmente, gli aspetti curiosi. Si può ricordare che, oltre alle ricerche
propriamente storico-antropologiche, la Ahnenerbe si dedicò anche alla ricerca di quei simboli di
potere, reputati talismani di grande potenza, da sempre cari agli esoteristi. Oltre alla Vehme, che la
tradizione (che non può, ovviamente, essere provata) asserisce essere la lancia di Longino che
avrebbe trafitto il costato di Cristo, che era conservata a Vienna e di cui il Terzo Reich entrò in
possesso al momento dell’Anschluss, l’annessione dell’Austria, l’Ahnenerbe si dedicò anche alla
ricerca del Santo Graal e dell’Arca dell’Alleanza.
Questo, lo devo confessare, è un aspetto della questione che mi ha sempre lasciato perplesso, mi
sembra un’intrusione nel nazionalsocialismo dei simboli di un’ideologia ebraico-cristiana che non
solo non ha nulla a che fare con la Weltanschauung nazionalsocialista, ma è in totale conflitto con
Fabio Calabrese
http://www.ereticamente.net/2015/02/gianfranco-drioli-ahnenerbe-e-iperborea.html
essa. Prescindiamo dal discorso del Graal, dove la leggenda cristiana si sovrappone a una più antica
tradizione pagana, al “calderone sacro” che serviva per la consacrazione dei re celtici, e anche Julius
Evola ha dedicato un libro al Mistero del Graal, ma l’Arca dell’Alleanza, esiste forse un simbolo più
squisitamente ebraico? E cosa c’è di più grottesco che immaginare le legioni hitleriane marciare con
essa alla loro testa? Naturalmente, questa è una contraddizione che non possiamo pretendere sia
Drioli a risolvere. Il nostro non manca di segnalare nemmeno quelli che potrebbero essere stati dei
passi falsi della società Ahnenerbe, come l’avallo dato a un documento frisone da parte di Hermann
Wirth, di autenticità almeno molto dubbia, la Cronaca di Ura Linda, che sarebbe stata l’ennesima
trascrizione di una serie di trascrizioni tramandata in una famiglia, di un documento molto antico, a
sua volta trasposizione di tradizioni orali di immemorabile antichità, che ci farebbero risalire a una
sconosciuta civiltà dell’Europa preistorica.
Forse la parte più interessante del libro di Drioli riguarda la parte conclusiva del libro, dove l’autore
si interroga su che cosa sia sopravvissuto, proseguito alla catastrofe della seconda guerra mondiale,
delle ricerche della società Ahnenerbe in un clima culturale imposto dai vincitori, non certo
favorevole a questo genere di studi.
Ebbene, la sorpresa è che non tutto quel che la Ahnenerbe ha fatto sembra essere andato perduto.
Fra coloro che si sono posti in qualche modo come continuatori del lavoro dell’associazione
nazionalsocialista, Drioli cita Jurgen Spanuth, ricercatore che ha proposto la collocazione nel Mare
del Nord dell’Atlantide platonica, il francese Jacques De Mahieu che ha indagato sulla presenza dei
vichinghi in America, presenza oggi ammessa anche dall’archeologia ufficiale perché testimoniata da
reperti incontrovertibili, con buona pace di Colombo, Hermann Munk che ha studiato la civiltà dei
Kilmes, singolari “amerindi bianchi” sudamericani sconosciuti alla cultura europea, e poi uno
studioso di cui Drioli si è impegnato a non rivelare l’identità, che ha proseguito lo studio delle
caratteristiche razziali e che per non essere vittima dell’ostracismo che in democrazia
democraticamente perseguita coloro che si dedicano a questo genere di studi, ha pubblicato diverse
opere sotto vari pseudonimi, fra cui Claude Soas e N.C. Doyto. Drioli lo definisce “lo sconosciuto De
Gobineau del XX secolo. Per concludere, una vera chicca, l’intervista con uno dei conoscitori diretti
dell’Ahnenerbe, che Drioli ha potuto conoscere personalmente in Bolivia, grazie ai buoni uffici di
Wilfred von Owen, già addetto stampa del Dott. Goebbels.
Per quanto riguarda le ricerche di De Mahieu e i Kilmes, vorrei ricordarvi che io stesso, in vari
articoli comparsi su “Ereticamente” della serie Ex oriente lux e Una Ahnenerbe casalinga (tanto per
rimanere in tema), vi ho ripetutamente evidenziato il fatto che abbiamo le tracce di antichi
popolamenti europidi, “bianchi” sia in Asia centrale che nelle Americhe, e che è del tutto ragionevole
supporre che essi siano alla base delle grandi civiltà asiatiche e dell’America precolombiana, dato
che là dove una presenza europide non si riscontra (Africa subsahariana, Australia, Nuova Guinea e
via dicendo), le popolazioni locali non si sono smosse di un millimetro dal paleolitico, anche se devo
ammettere di aver appreso dei Kilmes dalla lettura dei testi di Drioli.
Non è finita, perché Drioli prosegue con una disamina di coloro che hanno raccolto l’eredità
spirituale ed esoterica della Ahnenerbe, ma bisogna dire del nazionalsocialismo più in generale. In
primo luogo si può ricordare Savitri Devi, “la sacerdotessa di Hitler” come è stata definita. Questa
donna ha fatto forse più di chiunque altro per fondere la tradizione europea con quella indiana in
modo da ritrovare la primordiale spiritualità indoeuropea. Subito dopo ricordiamo il “nostro” Julius
Evola, e quindi uno dei più apprezzati scrittori latino americani (anche se di solito si evita di
evidenziarne le inclinazioni ideologiche), il “mago” Miguel Serrano.
In questo testo c’è anche un capitoletto il cui contenuto in realtà ha ben poco a che fare la
Ahnenerbe, ma in compenso solleva una questione di estremo interesse, una di quelle che fanno
vedere come al di là delle formule teoriche e astratte, la democrazia consideri ben poco i propri
Fabio Calabrese
http://www.ereticamente.net/2015/02/gianfranco-drioli-ahnenerbe-e-iperborea.html
cittadini e li consideri a livello di bestiame, si tratta delle ricerche sugli effetti cancerogeni e
teratogeni (nascita di bambini malformati) delle radiazioni nucleari, condotte in Israele e negli Stati
Uniti sulla popolazione civile costretta a fare da cavia a sua insaputa. Se noi confrontiamo ciò con le
ricerche universalmente vituperate condotte dai medici nazionalsocialisti nei campi di
concentramento, che almeno hanno fruttato il vaccino contro il tifo petecchiale, e magari nello
stesso tempo ricordiamo che mentre tutto il mondo si dispera da settant’anni per il cosiddetto
olocausto, nessuno sembra curarsi del fatto che nei campi di concentramento staliniani è stato
trucidato un numero di persone dieci volte superiore (per non parlare del genocidio dei nativi
americani, i cosiddetti pellirosse, di Hiroshima, Nagasaki e simili amenità), allora è veramente la
storia del bue che dà del cornuto all’asino.
Il nuovo libro di Drioli, Iperborea, ricerca senza fine della Patria perduta ci trasporta in un orizzonte
temporale molto più remoto. Il tema è quello delle origini, delle popolazioni di ceppo europide e
della specie umana in generale (l’uomo europide, infatti, sarebbe quello più vicino al prototipo
primordiale della nostra specie, mentre le altre razze sarebbero sorte più tardi come adattamenti
locali, o in qualche caso, come alcune popolazioni relitto del sud del mondo: tasmaniani, fuegini,
ottentotti, vere e proprie degenerazioni. A questo riguardo, il pensiero di Drioli si incontra
pienamente con quello di Lorenzoni).
Come è facile capire dal titolo stesso del libro, l’ipotesi in esso formulata è quella di un’origine della
nostra specie settentrionale, artica della nostra specie (“Iperborea” era per gli antichi Greci la terra
del lontanissimo nord), in netto contrasto con l’ipotesi dell’origine africana, oggi considerata dai
ricercatori ufficiali la teoria “scientificamente” (e soprattutto “politicamente” corretta).
A questo riguardo, mi pare quasi superfluo ricordarvi che io stesso su queste pagine mi sono
ampiamente occupato della questione delle origini, e mi pare di avervi già esposto con chiarezza le
ragioni per le quali l’ipotesi dell’origine africana deve essere considerata una vera e propria bufala
scientifica, ispirata non da prove o dati di fatto, ma dalla volontà di propaganda e catechesi
antirazzista (ricordiamo sempre che questa questione dell’origine RECENTE di homo sapiens non va
confusa con quella dell’origine remota del ceppo ancestrale degli ominidi, la famosa Lucy e tutti gli
altri. I propagandisti democratici travestiti da scienziati giocano proprio su questo equivoco).
Le prove presentate da Drioli a sostegno dell’origine nordica sono archeologiche, storiche,
antropologiche ma soprattutto si basano su di un vasto complesso di miti e tradizioni presenti, si può
dire, in epoche anche molto distanti fra loro pressoché all’incirca, fra tutti i popoli e le culture che
abitano o hanno abitato questo pianeta. Si resta piacevolmente sbalorditi dalla cultura davvero vasta
che l’autore possiede sull’argomento, e la casistica riportata è talmente vasta che non tenterò
nemmeno di riassumerla, ma vi rimando direttamente alla lettura del libro.
C’è soprattutto una domanda che occorre porre alla “scienza” ufficiale che, come abbiamo visto, si
pone su di un asse concettuale opposto a quello di Drioli: se questa ipotesi dell’origine artica non
rispondesse al vero, come si spiegherebbe la testimonianza concordante a tal proposito di tanti miti
e tradizioni appartenenti a popoli e culture diversissime, separate anche da intervalli enormi di
spazio e di tempo, e quindi nell’impossibilità di essersi reciprocamente influenzate? In tutta
sincerità, non credo che la “scienza” ufficiale, paludata, democratica, abbia una risposta a questo
interrogativo.
Drioli basa la sua tesi anche sulle pezze d’appoggio fornite da diversi autori. Ci sono prima di tutto le
ricerche dello studioso indiano Bal Ganghadar Tilak. Tilak si è dedicato a un attento studio dei Veda,
i libri sacri della mitologia induista. Questi ultimi rappresentano uno dei complessi di testi più
antichi, forse il più antico in assoluto giunto fino a noi, ma a loro volta sono con ogni probabilità la
trasposizione scritta di una serie di narrazioni orali molto più antiche, sì che risaliamo a un’antichità
Fabio Calabrese
http://www.ereticamente.net/2015/02/gianfranco-drioli-ahnenerbe-e-iperborea.html
estremamente remota, difficile da scandagliare.
I Veda riferiscono chiaramente che la popolazione bianca dell’India, che ne rappresenta le caste
superiori, viveva nel lontano nord che godeva in epoche remote di un clima paradisiaco, poi una
qualche catastrofe trasformò radicalmente la situazione. In questa lontana terra d’origine vigono
attualmente dieci mesi d’inverno e solo due di bella stagione (precisamente le condizioni che oggi si
riscontrano nell’area artica), e gli ariani per sopravvivere furono costretti a una lunga migrazione
verso sud. Che tutto ciò non sia una pura fantasia, è provato da osservazioni astronomiche, ad
esempio i Veda riferiscono di notti in cui le stelle della volta celeste sembrano muoversi intorno
all’osservatore in ampi circoli orizzontali, situazione che può essere osservata solo al di sopra del
circolo polare.
La stessa narrazione è tramandata nell’Avesta iranica, in cui si afferma chiaramente chel’Aryana
Veyo, la terra d’origine degli Aryas, fu invasa dal gelo. Ariani dell’India e iranici sono popolazioni
strettamente imparentate. I loro antenati sarebbero discesi quando formavano un unico popolo fino
all’attuale Afghanistan, poi si sarebbero divisi, spostandosi gli uni verso oriente, gli altri verso
occidente.
Narrazioni analoghe, tuttavia, sono adombrate nei miti di svariate culture e popolazioni anche molto
distanti, come diverse tribù di nativi americani.
Un ordine di idee non dissimile si trova in uno dei testi più singolari fra quanti sono stati scritti per
scandagliare il nostro passato, Il mulino di Amleto di Giorgio De Santillana e Herta von Dechend.
Questi due studiosi hanno notato che nei miti di popoli e culture diversissimi nello spazio e nel
tempo: antichi norreni (Amleto, Amlodhi nella versione originale, il cui mulino dà il titolo al libro, era
un personaggio molto diverso di quel che Shakespeare ne ha fatto), egizi, antichi cinesi e indiani,
nativi americani, ricorrono con insistenza una serie di numeri che rimandano al calcolo della
precessione degli equinozi. Tale insistenza sulla numerologia precessionale, osservano i due autori,
non avrebbe alcun senso se non fosse un messaggio indirizzato alle generazioni future, il ricordo di
una catastrofe legata allo spostamento dell’asse terrestre (a cui potrebbero forse collegarsi la
narrazione platonica di Atlantide e quella biblica del diluvio), una catastrofe destinata a ripetersi,
perché l’andamento dei moti del nostro pianeta nello spazio è ciclico.
Ancora ritroviamo Hermann Munk e il suo lavoro sui Kilmes. Davvero, quel che ci dice la “scienza”
ufficiale sulla preistoria del Nuovo (ma anche del Vecchio) Mondo, è riduttivo e poco convincente.
Non poteva mancare un autore italiano di cui anche noi di “Ereticamente” ci siamo intensamente
occupati: Felice Vinci. Certamente, così come Indiani e Iranici, anche gli Achei ellenici erano di
provenienza nordica, e così pure tutti i popoli indoeuropei. Noi sappiamo che la teoria di Vinci che
vede le vicende omeriche narrate nell’Iliade e nell’Odissea come avvenute nel contesto nordico e
solo in un secondo momento ri-ambientate nel Mediterraneo, è stata aspramente contestata da
Ernesto Roli, già amico e collaboratore di Adriano Romualdi, ma l’origine nordica degli Achei come
di tutti i popoli indoeuropei, è pacifica per entrambi.
Alla fine, sia pure fra mille interrogativi, comincia a delinearsi un quadro delle nostre origini che non
è quello che la “scienza” ufficiale ci ha finora raccontato.
Io temo che questa recensione non sarà riuscita a dare un’idea se non molto sbiadita di questi due
interessantissimi libri di cui consiglio vivamente la lettura.
Gianfranco Drioli:
Fabio Calabrese
http://www.ereticamente.net/2015/02/gianfranco-drioli-ahnenerbe-e-iperborea.html
Ahnenerbe, appunti su scienza e magia del nazionalsocialismo
Ritter edizioni, Milano marzo 2011
Collana “I quaderni di Thule”
€. 22,00
Iperborea, ricerca senza fine della Patria perduta
Ritter edizioni, Milano ottobre 2014
Collana “I quaderni di Thule”
€. 24,00
Fabio Calabrese
http://www.ereticamente.net/2015/02/gianfranco-drioli-ahnenerbe-e-iperborea.html