L`«ALBERGO DIFFUSO» (*)
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L`«ALBERGO DIFFUSO» (*)
L’«ALBERGO DIFFUSO» (*) di Paolo Scalettaris La figura dell’«albergo diffuso» – definizione che già sul piano dell’espressione lessicale presenta attrattiva e suggestione – sta assumendo rilievo negli anni più recenti in alcune regioni ed in particolare nel Friuli-Venezia Giulia. Ricorderò qui di seguito come essa si atteggi in tale specifica realtà locale. 1. Secondo la legge n. 2 del 16 gennaio 2002 della Regione Friuli-Venezia Giulia «gli alberghi diffusi sono costituiti da unità abitative dislocate in uno o più stabili separati, integrate tra loro da servizi centralizzati quali uffici di ricevimento, sala ad uso comune, eventualmente ristorante-bar, allocati in unico stabile». Questa la definizione fornita dall’art. 64 della legge regionale citata. Deve aggiungersi che la legge ora ricordata prevede quale ulteriore requisito dell’«albergo diffuso» il numero minimo dei posti letto, che in ogni caso non può essere complessivamente inferiore a ottanta. Sempre sulla base di tale legge regionale – che espressamente include gli alberghi diffusi tra le strutture ricettive alberghiere – la classificazione degli «alberghi diffusi» (da operarsi in relazione ai requisiti qualitativi posseduti) compete ai Comuni sul cui territorio insistono le strutture. Queste le previsioni normative in argomento (1). Va detto peraltro che sul piano concreto alla base dell’«albergo diffuso» quale presente in numerosi comuni della zona montana del Friuli-Venezia Giulia (Comeglians; Forgaria Monte Prat; Lauco; Ovaro - Raveo - Prato Carnico; Sutrio) vi è di regola un’iniziativa di restauro, attraverso il ricorso a contributi pubblici sulla base di specifiche disposizioni di leggi regionali, di edifici ad uso abitativo di proprietà di privati posti – quanto meno nella maggior parte dei casi – in borghi (soprattutto montani) dotati di interesse storico-ambientale: gli alloggi restaurati vengono affidati per la loro gestione ad una cooperativa e da questa destinati alla ricezione di turisti e villeggianti. L’erogazione dei contributi per il restauro dell’immobile viene appunto condizionata all’assunzione dell’impegno, da parte del singolo proprietario, alla sua destinazione per un determinato periodo di tempo (solitamente almeno dieci anni) a tale utilizzazione in regime di cooperativa. Le modalità concrete dell’utilizzazione dell’alloggio consistono poi nella concessione – da parte della cooperativa e nei confronti di singoli villeggianti – del godimento dell’alloggio, interamente arredato, per un periodo prefissato (solitamente una settimana). Le condizioni specifiche del rapporto relativo al godimento dell’appartamento vengono stabilite attraverso un apposito «regolamento di soggiorno» che prevede la fornitura di una serie di «servizi di base» e la fornitura – peraltro solamente possibile ed eventuale – di una serie di «servizi opzionali». – Il servizio di base è costituito dalla messa a disposizione dell’alloggio, interamente arredato e fornito di ogni accessorio necessario per l’abitazione. Viene inoltre fornito – nel periodo invernale – il riscaldamento. – I servizi opzionali sono invece tutte le altre prestazioni, di natura anche molto varia: dalla fornitura della biancheria al servizio di pulizia infrasettimanale, al servizio di colazione, alla fornitura di pasti mediante servizio di catering o attraverso il ricorso a ristoranti convenzionati, al servizio di lavanderia, al noleggio di attrezzatura sportiva, alla organizzazione di escursioni, alla prenotazione di biglietti per spettacoli e manifestazioni, alla fornitura della legna per il caminetto, alla consegna del giornale quotidiano a domicilio, ecc. Da notare che tutte queste prestazioni, peraltro, sono solamente opzionali: esse vengono fornite esclusivamente se vi è richiesta specifica da parte del villeggiante. 2. Come si vede, i caratteri propri dell’«albergo diffuso» potrebbero fare pensare ad una sorta di villaggio vacanza. Vi sono però alcune significative differenze tra la figura in esame e quella tradizionale del villaggio vacanza: in primo luogo il fatto che nel caso dell’«albergo diffuso» non è l’intero borgo – ma sono solamente alcune delle case che lo compongono – che viene destinato all’alloggio dei villeggianti (da sottolineare che in questo modo è possibile inserire i villeggianti in un paese abitato e vivo, con evidente vantaggio sul piano dei rapporti e dello scambio tanto per i villeggianti quanto per gli stessi abitanti del paese). Altra differenza assai importante è data poi dal fatto che nel caso dell’«albergo diffuso» le prestazioni che vengono fornite sono costituite essenzialmente dal solo alloggio, mentre tutte le altre prestazioni – come si è visto – sono solamente eventuali («servizi opzionali»). Da notare che la figura in esame può presentare interesse per le sue peculiarità e per la sua novità anche in relazione a possibili sviluppi per il recupero e la valorizzazione a scopi turistici e di soggiorno di località (montane: ma per la verità non solo montane) che fino ad ora non siano state adeguatamente valorizzate a causa dell’assenza di strutture ricettive tradizionali (albeghi, pensioni, ecc.). D’altronde con riguardo alla figura in esame si profilano aspetti positivi che hanno condotto – in ARCH. LOC. E COND. 02/2007 131 tempi recenti – alla sempre maggiore diffusione di ipotesi di figure nuove ed alternative di strumenti di ricezione turistica (quali per esempio il bed & breakfast), aspetti positivi e vantaggi che sono stati così sintetizzati (2): – razionalizzazione del patrimonio immobiliare locale, grazie alla possibilità di evitare la proliferazione di grosse strutture ricettive professionali dall’inevitabile forte impatto paesistico ed ambientale; – valorizzazione dei centri storici dei piccoli comuni; – idoneità a rendere maggiormente flessibile l’offerta turistica: attraverso una efficace modulazione della domanda e dell’offerta può infatti essere eliminata la necessità del mantenimento di strutture ricettive professionali che nei periodi di scarsa affluenza sarebbero sottoutilizzate e dunque non efficienti. 3. La questione che in questa sede può essere di qualche interesse esaminare è quella della natura giuridica del rapporto che si viene ad instaurare tra la cooperativa fornitrice delle prestazioni riconducibili alla figura dell’«albergo diffuso» ed i villeggianti e turisti che di queste fruiscono. Vi è da domandarsi in particolare se il rapporto in questione sia riconducibile alla figura della locazione d’immobile ovvero al contrario di alloggio o di albergo. Va premesso al riguardo che la soluzione del problema non può basarsi sulla semplice considerazione che – come si è visto – la legge regionale definisce l’«albergo diffuso» quale struttura ricettiva alberghiera: l’ambito di questa previsione resta infatti limitato al piano amministrativo e non può avere portata decisiva sul diverso piano della definizione dei rapporti privatistici, rispetto ai quali il legislatore regionale è privo di potestà di disciplina. Per dare risposta al quesito conviene invece ricordare innanzitutto quali sono i principii enunciati dalla giurisprudenza in tema di differenziazione tra contratto di albergo e contratto di locazione. Secondo Cass. 22 gennaio 2002 n. 707 (3) «il contratto di albergo (che è un contratto consensuale ad effetti obbligatori che nella prassi ordinaria si perfeziona verbalmente con la conferma, da parte dell’albergatore, della disponibilità dell’alloggio, indipendentemente dall’assegnazione, e, a maggior ragione, dall’occupazione della camera»)... va considerato atipico». «Il suo contenuto è costituito da una molteplicità di prestazioni che si estendono dalla locazione dell’alloggio alla fornitura di servizi, senza che la preminenza da riconoscere alla locazione dell’alloggio possa valere a fare assumere alle altre prestazioni carattere accessorio sotto il profilo causale». Anche secondo Cass. 24 luglio 2000 n. 9662 (4) il contratto di albergo costituisce contratto atipico o, al più, misto: e ciò alla luce delle già ricordate con- 132 ARCH. LOC. E COND. 02/2007 siderazioni che per un verso le prestazioni cui si obbliga l’albergatore sono molteplici ed eterogenee (andando dalla locazione dell’alloggio alla prestazione di servizi ed anche al deposito) e per altro verso la preminenza che in generale deve riconoscersi alla locazione dell’alloggio non vale, sotto il profilo causale, a fare assumere alle altre prestazioni carattere meramente accessorio. La sentenza da ultimo ricordata fissa peraltro anche importanti limiti e confini della figura del contratto di albergo: questa non può riconoscersi in tutti quei casi in cui i servizi ulteriori rispetto all’uso dell’alloggio vengano a rivestire per la loro natura ed entità un carattere eccezionale rispetto a quelli comunemente forniti da alberghi della stessa categoria ovvero assumano sul piano economico un’importanza di gran lunga prevalente rispetto all’alloggio. Così come la figura del contratto di albergo non può riconoscersi nei casi in cui i predetti servizi acquistino una propria autonomia, potendo essere utilizzati anche da chi non è ospite dell’albergo, e potendo, comunque, formare oggetto di un negozio giuridico separato, quale l’appalto di servizi. Il medesimo discorso è stato fatto in giurisprudenza a proposito del rapporto che viene ad instaurarsi nel caso di affittacamere – attività quest’ultima che ha natura analoga a quella alberghiera, dalla quale si distingue solamente per le più limitate dimensioni (5) – ed anche a proposito del contratto di residence. Con riguardo a quest’ultimo contratto Cass. 14 maggio 1999 n. 4763 (6) ha affermato che anche il contratto di alloggio in residence è atipico e si differenzia dal contratto tipico di locazione in quanto al godimento dell’immobile si accompagna la fornitura di servizi di natura genericamente alberghiera (nella specie: pulizia periodica dell’appartamento, cambio periodico della biancheria, tintoria). Ed è irrilevante – al fine di escludere la ricorrenza di tale ipotesi di contratto – sia il fatto che il «conduttore» faccia in concreto un uso solo parziale e comunque incompleto dei servizi di tipo alberghiero (essendo invece essenziale che questi esistano e rientrino nel contenuto del contratto, anche se sia previsto che il pagamento di tali servizi avvenga in base agli effettivi consumi), sia il fatto che il godimento abbia carattere stabile (pur avendo normalmente il contratto in questione carattere temporaneo e transitorio). Orbene: alla luce dei principi ora ricordati deve ritenersi – a mio avviso – che il rapporto che viene ad instaurarsi tra la cooperativa gestrice dell’«albergo diffuso» ed il singolo villeggiante abbia – quanto meno nelle fattispecie concrete che sopra si sono ricordate – natura di rapporto locatizio e non già di rapporto di albergo. L’elemento chiave per giungere a questa conclusione è dato dalla considerazione che nel caso dell’«albergo diffuso» quale in concreto presente nella realtà che sopra si è ricordata l’unica prestazione che deve necessariamente ed in ogni caso es- sere fornita è quella del godimento dell’alloggio. Tutte le altre prestazioni (i cd. «servizi opzionali») come si è visto sono solamente eventuali, legati alla richiesta dell’interessato. La conclusione dunque è che il rapporto in esame costituisce rapporto locatizio in senso proprio. Più precisamente si tratta di locazione turistica, dal momento che il contratto in questione è appunto stipulato per soddisfare esigenze turistiche. 4. Le conseguenze pratiche della conclusione secondo cui nel caso dell’«albergo diffuso» si ha un contratto di locazione vero e proprio e non un contratto di albergo sono più di una. – Innanzitutto vi è la conseguenza che la disciplina che dovrà essere applicata al rapporto sarà sempre e solamente la disciplina giuridica della locazione (come si è detto: della locazione turistica) restando escluso invece il ricorso ad ipotesi normative miste (quale si avrebbe nel caso di contratto di albergo). D’altra parte ai fini della disciplina da applicarsi non dovrà nemmeno farsi ricorso allo strumento dell’analogia, dal momento che la disciplina è chiaramente e solamente quella della locazione. – Altra importante conseguenza è che nel caso considerato la posizione che il conduttore viene ad assumere rispetto all’immobile a lui locato dovrà qualificarsi quale detenzione e sarà pertanto tutelabile – nell’ipotesi di atti spoglio posti in essere eventualmente anche da parte dello stesso concedente – con l’azione possessoria (ciò differentemente da quanto si prospetterebbe nel caso di contratto di albergo). – Ancora: la competenza giudiziaria ed anche le modalità processuali che dovranno essere seguite per ogni controversia concernente il rapporto in esame dovranno individuarsi alla stregua delle previsioni dell’art. 447 bis c.p.c. – Altra conseguenza ancora potrebbe vedersi (ma si tratta di conclusione che richiede, a mio avviso, qualche ulteriore verifica) l’applicabilità nel caso in esame della disposizione del comma 346 della legge finanziaria 2005 ( la legge n. 311 del 30 dicembre 2004) che, come noto, prevede che «i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati». Disposizione questa che sembra debba escludersi che invece possa trovare applicazione nel caso di contratto di albergo. Va peraltro sottolineato che la circostanza che l’applicabilità della norma sia condizionata alla ricorrenza dei presupposti per l’obbligatorietà della registrazione costituisce elemento fortemente limitativo della concreta applicabilità della disposizione qui in esame al caso dell’«albergo diffuso», dal momento che in questo caso solitamente la durata del rapporto è limitata a periodi assai brevi e tali da restare quasi sempre al disotto della durata di almeno trenta giorni prevista per l’obbligatorietà della registrazione. (*) Intervento svolto al XVI Convegno Coordinamento legali della Confedilizia tenutosi a Piacenza il 9 settembre 2006. (1) Si veda al riguardo anche la legge regionale Sardegna 12 agosto 1998 n. 27 che all’art. 25, con una disposizione assai simile a quella della Regione Friuli-Venezia Giulia, prevede che «possono assumere la denominazione di albergo diffuso gli alberghi caratterizzati dalla centralizzazione in un unico stabile dell’ufficio ricevimento, delle sale di uso comune e dell’eventuale ristorante ed annessa cucina e dalla dislocazione delle unità abitative in uno o più stabili separati, purché ubicati nel centro storico del Comune e distanti non oltre 200 metri dall’edificio nel quale sono ubicati i servizi principali. L’obbligatorietà dei requisiti ai fini della classificazione permane in quanto compatibile con la struttura diffusa dell’esercizio». (2) Vedi in argomento TOMASSO, in Il nuovo diritto delle locazioni abitative, a cura di SALVATORE PATTI, Milano 2001, pag. 138. (3) In Giust. civ. 2002, I, 2817. (4) In Nuova Giur. civ. comm. 2002, I, pag. 20. Nello stesso senso Cass. 20 gennaio 2005 n. 1150 (in questa Rivista 2005, pag. 536) che precisa che tra le norme che disciplinano la locazione che devono applicarsi al contratto di albergo vi sono anche quelle che prevedono l’obbligo del conduttore di restituire il bene locato (art. 1590 c.c.) ed il suo obbligo di dare al locatore in caso di ritardata restituzione il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno (art. 1591 c.c.). (5) Si veda Cass. 3 dicembre 2002 n. 17167 (in questa Rivista 2003, pag. 185): «l’attività di affittacamere ha natura analoga a quella alberghiera perché, sia pure con proporzioni ridotte, presenta caratteristiche imprenditoriali simili. Quindi essa comporta, non diversamente dall’esercizio di un albergo, un’attività imprenditoriale, un’azienda e il contatto diretto con il pubblico». (6) In Giur. it. 2000, I, 718, con nota di ROSBOCH, in questa Rivista 2000, pag. 605. ARCH. LOC. E COND. 02/2007 133