La produzione e il commercio delle armi

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La produzione e il commercio delle armi
9
luglioagosto2002
INDUSTRIABELLICA
La produzione
e il commercio delle armi
Dopo il voto della Camera del 26 giugno si allenta il controllo
n Silvia Orso
Eloquente il silenzio della stampa
nazionale, grande il fermento e la
delusione nel mondo delle Organizzazioni Non Governative: le
62.000 firme raccolte contro il disegno di legge e le meritorie campagne di pressione politica e sensibilizzazione dell’opinione pubblica non hanno impedito alla Camera di approvare in sordina il 26
giugno il ddl 1927, legge ratifica
dell’accordo quadro sottoscritto
da Italia, Francia, Germania, Spagna, Svezia e Regno Unito a Famborough nel luglio del 2000. Parliamo del “Framework Agreement Concerning Measures to facilitate the Restructuring and
Operation of the European Defence Industry”, creato per promuovere la ristrutturazione
dell’industria della difesa europea ed incrementarne la competitività a livello mondiale (sono in
gioco enormi interessi economici
tanto da sparigliare gli stessi
schieramenti parlamentari in
sede di voto). Tale accordo prevede una “licenza globale di progetto“, peggiorativa perché meno rigorosa della disciplina di coproduzione degli armamenti fino ad
ora vigente in Italia. In questo
processo d’integrazione europeo,
dalle notevoli implicazioni etiche,
politiche e non da ultimo economiche (l’export italiano di armi
nell’ultimo anno si è attestato sui
1.169 miliardi di lire, col 75% delle
vendite indirizzate a paesi non appartenenti alla Nato e il 56% al Sud
del mondo), il nostro paese - grazie alle sue leggi - dovrebbe svolgere un ruolo guida: con il pretesto dell’adeguamento al “Framework Agreement” sarà invece
proiettato indietro di vent’anni.
Per questo motivo il Consiglio
Comunale di Firenze, ritenendo
fondate le preoccupazioni delle
Organizzazioni Non Governative,
presentò ad aprile una risoluzione firmata da tutti i capigruppo
del Centro-Sinistra, con la quale
venivano proposti emendamenti
per la modifica degli articoli 6, 7,
10, 11 e 13 (il cui effetto è quello
appunto di sottrarre la “licenza
globale di progetto” alle disposiz i o n i p r eviste dalla Legge
185/90), invitando Parlamento e
Governo a sottoporre a revisione
tutte le norme che dal 1990 hanno
mirato ad una progressiva attenuazione dei principi innovatori
della legge 185.
La legge di ratifica 1927 - se approvata anche dal Senato - impo-
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verirà l’impianto complessivo della legge 185/90, i cui principi fondamentali sono:
n consentire al Parlamento, tramite autorizzazioni e certificazioni, il controllo nel commercio di
armi di tutta la filiera produttiva e
delle caratteristiche del prodotto
finale;
n imporre il divieto di esportazione verso Stati in contrasto coi
principi della nostra Costituzione, con la politica estera
dell’Italia, colpevoli di violazioni
dei diritti umani, in stato di guerra, governati da dittature;
n operare la netta distinzione tra
mercato lecito e illecito attraverso l’introduzione del Cuf, (Certificato di Uso Finale) rilasciato dalle autorità governative, che vincola all’autorizzazione dell’Italia la
cessione di armi esportate a Stati
diversi da quello che le ha ricevute;
n assicurare trasparenza nell’informazione al Parlamento e
all’opinione pubblica tramite una
relazione annuale del Presidente
del Consiglio su import-export di
materiale bellico, che comprenda
dati su fornitore, produzione, valore, destinatario e banche coinvolte.
Dieci dei 14 articoli della 1927,
imponendo oltre alla ratifica “un
tempestivo adeguamento della
nostra normativa” minano i principi della legge esistente e di conseguenza la trasparenza delle
procedure di commercio nonché
l’efficacia dei meccanismi di controllo democratico, come più volte denunciato dalle Organizzazioni Non Governative (le stesse che
in prima linea promossero la legge 185 con la campagna “Contro i
mercanti di morte”, e che oggi,
grazie ad iniziative come la finanza etica con “Banche Armate”,
continuano ad esercitare pressioni nelle sedi appropriate).
Ecco, in particolare, i rischi più
immediati
connessi
con
l’approvazione della legge 1927:
n Il controllo dell’esportazione:
si applicherebbero nelle coproduzioni le norme meno rigorose e
garantiste degli altri partner Ue e
AIUTO
L’aria che
respiriamo
Il Parlamento brasiliano è in procinto di votare un progetto di legge che ridurrà la superficie della selva amazzonica
al 50% della sua estensione attuale.
L’area che sarà deforestata ha la dimensione di circa 4 volte la superficie del Portogallo e viene proposto di destinarla principalmente all’agricoltura e all’allevamento
bovino.
Tutto il legname che si ricaverà sarà venduto nel mercato
internazionale come “chips” (assi) da grandi compagnie
multinazionali.
Si può dichiarare con certezza che il suolo sul quale cresce
la selva amazzonica è inutile senza il suo manto boschivo.
Ha un’acidità molto elevata e la regione è molto suscettibile ad inondazioni. Attualmente più di 160.000 kmq di
terra deforestata rimangono abbandonati e in procinto di
convertirsi in puro deserto.
La riduzione della massa boschiva (per convertirla in assi)
inoltre comporterà un significativo incremento della
quantità di biossido di carbonio nell’atmosfera, che a sua
volta peggiorerà l’alterazione climatica che colpisce il pianeta.
Semplicemente non possiamo permettere che tutto questo accada. Per favore invia questo testo a tutte le
persone che conosci. Grazie per il vostro aiuto
A.B.
Nato e si fornirebbero tecnologie
belliche a Stati Membri assai discutibili in quanto a rispetto dei
diritti umani ed affidabilità. Inoltre verrebbe prevista la licenza
globale di progetto anche per i paesi estranei al “Framework
Agreement”, spesso con criteri
molto diversi dai nostri nella definizione delle destinazioni lecite.
n La trasparenza nei confronti
dell’opinione pubblica: c’è la possibilità che non vengano più diffuse, per motivi di “riservatezza
commerciale”, le “liste bianche”
di destinazioni ritenute accettabili per l’esportazione, ovvero che
venga abolita l’obbligatorietà della relazione annuale da parte della Presidenza del Consiglio.
n Trasparenza dei processi produttivi: con una formula generica
priva di dati essenziali, come il valore della fornitura bellica o la sua
destinazione, l’operatore in regola dovrebbe indicare solo il paese
e l’industria con cui coproduce;
inoltre la licenza globale di progetto verrebbe applicata anche a
semplici accordi tra industrie, e
non solo intergovernativi, concedendo a queste ultime facili scorciatoie per aggirare norme di controllo democratico.
Il voto alla Camera ha avuto questo risultato: astenuti 67, voti favorevoli 220, contrari 107: le opposizioni hanno votato in modo
differenziato: no da Verdi, Prc,
Pdci e Ds (ma Ranieri e Minniti
con qualche altro deputato si
sono astenuti); astensione anche
per la Margherita, mentre lo Sdi
ha votato a favore. A favore anche
l’ex ministro della Difesa Sergio
Mattarella (dopo l’accoglimento
di un emendamento che permette la salvaguardia di alcuni elementi di controllo previsti dalla
185).
I rappresentanti delle organizzazioni impegnate nelle diverse
campagne hanno espresso chiaramente la volontà di non mollare
la pressione rispetto all’iter del
ddl al Senato; se non ci fosse stata
questa
mobilitazione,
difficilmente una parte del nostro Parlamento avrebbe messo in discussione la proposta del Governo. Manifestazioni di protesta
sono previste a Brescia in occasione della 21a edizione di Exa,
una delle fiere più importanti nel
mondo per i produttori di armi
leggere e di piccolo calibro.
WWF
Il calcolo
dell’impronta
ecologica
Un cittadino italiano occupa una superficie di pianeta pari a 8 campi
di calcio, un cittadino americano arriva a “invadere” 18 campi di
calcio, al contrario di un cittadino eritreo che occupa solamente
0,35 ettari, metà campo di calcio. Questi i dati sull’”impronta
ecologica” illustrati dal Wwf in occasione della giornata mondiale
dell’ambiente proclamata per il 5 giugno dall’Unep, il Programma
Onu per l’Ambiente.
L’impronta ecologica rappresenta la superficie necessaria per
produrre un bene, per utilizzarlo e per smaltirlo. Misura in altre
parole la quantità di natura (espressa in ettari/procapite/anno) che
utilizziamo.
Il calcolo dell’impronta ecologica consente di conoscere la
superficie di pianeta utilizzata da ciascuno di noi ogni anno in base
alle proprie abitudini e consumi. Nel “Living Planet Index 2000” il
Wwf ha fatto una vera e propria classifica dell’impronta, cioè
dell’impatto di tutti i Paesi del mondo. Il Nord America risulta essere
la regione a maggiore impronta ecologica (11,77 ettari/procapite).
In particolare l’impronta ecologica degli Stati Uniti è pari a 12,22
ettari/procapite mentre quella del Canada risulta essere di 7,66
ettari/procapite. Segue l’Europa Occidentale che registra
un’impronta di 6,28 ettari/procapite. Tra le nazioni europee
Danimarca e Finlandia sono quelle a maggiore impatto ambientale
(rispettivamente 9,88 e 8,45 ettari/procapite). Al secondo posto
Svezia e Francia con 7,5 ettari/procapite, seguite da Norvegia,
Svizzera, Inghilterra e Germania che si attestano sui 6,5
ettari/procapite. Italia, Grecia, Spagna, Austria, Portogallo, Paesi
Bassi, Belgio-Lussemburgo vanno un po’ meglio oscillando attorno
ai 5,5 ettari/procapite.
Nella classifica planetaria viene poi il turno dell’Europa Centrale e
Orientale (4,89/ettari procapite) seguita da Medio Oriente e Asia
Centrale (2,73 ettari/procapite). Si noti che in Medio Oriente è
presente il Paese a più elevata impronta ecologica del mondo,
registrando gli Emirati Arabi una porzione di 15,99 ettari/procapite.
Seguono America Latina e Caraibi (2,46 ettari/procapite). In
America Latina le nazioni a maggior impatto ambientale risultano
essere l’Uruguay e l’Argentina (rispettivamente 4,91 e 3,79
ettari/procapite), con Haiti in fondo alla classifica (0,78
ettari/procapite).
La Regione Asiatico-Pacifica registra evidenti disparità: Singapore,
Nuova Zelanda e Australia fanno segnare limiti elevatissimi,
rispettivamente di 12,35, 9,54 e 8,49 ettari/procapite; Hong Kong,
a differenza del resto della Cina, raggiunge 7,14; il Giappone
registra un valore di 5,94 ettari/procapite seguito a ruota dalla
Corea del Sud con 5,60; paesi come il Bangladesh, la Cina, l’India,
l’Indonesia e il Pakistan si assestano invece su un’impronta
ecologica che oscilla tra 0,5 e 2 ettari/procapite.
Infine l’Africa risulta essere il continente con una minore impronta
ecologica. Tranne la Libia che si distacca registrando un valore di
4,36 ettari procapite, tutti gli altri paesi sembrano assestarsi su di
un ettaro procapite. In particolare l’Eritrea risulta essere il paese a
minore impronta ecologica del mondo (0,35 ettari/procapite).
Dallo studio del Wwf risulta chiaro che il consumo di capitale
naturale, che sta minando le basi stesse della sopravvivenza della
specie umana, avviene a discapito dei Paesi più poveri. Gli attuali
stili di vita dei Paesi ricchi sono infatti tali solo perché i Paesi più
poveri compensano, con i loro bassissimi consumi, la richiesta di
capitale naturale. L’ingiustizia di questa situazione appare in tutta la
sua evidente drammaticità imponendo radicali cambiamenti nei
comportamenti di tutti. Un messaggio lanciato a meno di tre mesi
dal Summit sullo Sviluppo Sostenibile di Johannesburg, in Sud
Africa (26 agosto-4 Settembre), nel quale si imporranno scelte
epocali per risolvere il problema della povertà arrestando, nel
contempo, il degrado del Pianeta: i lavori negoziali preparatori,
però, dimostrano palesemente quanto la risposta politica sia
inadeguata.
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