Piano di controllo ed eradicazione della Brucella ovis in

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Piano di controllo ed eradicazione della Brucella ovis in
Piano di controllo ed eradicazione della Brucella ovis in Lombardia
di A.Gaffuri, C. Garbarino
Encefalite umana: scoperto nuovo virus
di C. Macchi
La qualità del latte prodotto in Lombardia nel 1998
di G. Varisco
DDT nel lago Maggiore: a che punto siamo?
di L. Gandolfi
1
Piano di controllo ed eradicazione della Brucella ovis in Lombardia
Brucella ovis è responsabile di malattia clinica o subclinica, caratterizzata da lesioni genitali negli arieti,
aborti occasionali e placentiti nelle pecore, nascita di agnelli disvitali. La malattia è stata segnalata in
Australia, Nuova Zelanda, Africa, America e in alcuni stati dell’Europa, ma probabilmente è presente nella
maggior parte dei Paesi in cui è diffuso l’allevamento ovino. In Italia il primo caso di epididimite contagiosa
del montone sostenuta da Brucella ovis è stato diagnosticato nel 1994 in animali appartenenti a greggi
vaganti della provincia di Bergamo. Indagini sierologiche, effettuate in 289 greggi di questa provincia, hanno
messo in evidenza la diffusione di questa malattia con una prevalenza, su 529 arieti controllati, del 2,4%.
Una volta accertata la presenza dell’infezione nel patrimonio ovino bergamasco e vista la necessità di elevare
lo stato sanitario delle greggi della Lombardia in ottemperanza alla Dir. 91/68 CEE recepita dal D.P.R.
30/12/1992 n°556, la Regione Lombardia nel 1995 ha emanato un Piano regionale di controllo ed, in seguito,
di eradicazione di Brucella ovis. Sinteticamente i punti principali di questo piano prevedono che un gregge,
per ottenere la qualifica di ufficialmente indenne da Brucella ovis, deve sottoporre i maschi puberi ed
impuberi a due esami sierologici negativi effettuati a distanza di sei mesi. In caso di positività, l’animale
deve essere separato dal gruppo ed abbattuto non oltre trenta giorni dall’esito dell’esame sierologico. L’invio
al macello deve essere concordato con i veterinari della Sezione Diagnostica di Bergamo, laboratorio
dell’I.Z.S.L.E.R. di referenza per questa patologia, al fine di programmare il prelievo di materiale per gli
opportuni approfondimenti diagnostici. Nelle greggi con sieropositività tutti i maschi e le femmine di età
superiore ai sei mesi devono essere sottoposti ad esame sierologico dopo venti giorni dall’isolamento dei
capi infetti. Nel caso di piccoli allevamenti in cui non siano presenti maschi in età riproduttiva, devono
essere sottoposte alle prove sierologiche tutte le femmine di età superiore ai sei mesi. Infine lo scambio di
arieti in compravendita o in movimentazione temporanea deve essere effettuato esclusivamente dopo un
controllo sierologico negativo eseguito nei 30 giorni precedenti la movimentazione. Il mantenimento della
qualifica sanitaria è concesso a seguito di un controllo annuale negativo nelle greggi di tipo stanziale, a due
controlli annuali nelle greggi di tipo vagante. Gli esami sierologici e batteriologici eseguiti in questo triennio
presso la Sezione di Bergamo hanno permesso di approfondire alcuni aspetti epidemiologici soprattutto per
quanto riguarda le modalità di diffusione. Si è potuto infatti osservare che all’inizio dell’applicazione del
piano le positività sierologiche erano distribuite sia nelle greggi stanziali che in quelle vaganti; in particolare
alla fine del 1996 vi erano 13 greggi stanziali e 10 vaganti positive, con una positività per le stanziali dello
0,52% su 2476 e per le vaganti dello 11,36% su 88. Nel biennio successivo l’andamento della malattia è
cambiato: si osserva infatti che alla fine del 1998 la positività sierologica è presente quasi esclusivamente in
greggi vaganti (vedi figura 1).
Nelle greggi stanziali l’infezione è stata eradicata con l’eliminazione degli animali positivi ed il controllo di
tutti gli animali dell’allevamento, mentre nelle greggi vaganti l’infezione si è diffusa in alcuni casi ad una
alta percentuale di animali, sia arieti che pecore (vedi figura 2). Questa situazione si può spiegare
considerando le modalità di trasmissione della malattia, la tipologia delle greggi vaganti e la difficoltà di
applicare correttamente il piano in queste realtà zootecniche. Il frequente isolamento di Brucella ovis
dall’urina degli animali macellati e, in un caso, dai placentomi e dal liquido del IV stomaco (vedi tabelle 1 e
2) conferma che il microorganismo nell’infezione naturale può essere eliminato nell’ambiente per diverse vie
e che quella venerea non è l’unica modalità di trasmissione.
Tabella 1. Risultati esami batteriologici su visceri di ariete
materiale esaminato
campioni esaminati
campioni positivi
%
epididimo
57
36
63,15
testicoli
49
5
10,20
urina
51
30
58,80
ghiandole bulbouretrali
32
5
15,60
ghiandole vescicolari
32
8
25,00
rene
32
6
18,75
milza
25
5
20,00
2
Tabella 2. Risultati esami batteriologici su visceri di pecora
materiale esaminato
campioni esaminati
campioni positivi
%
urina
44
0
0
milza
42
0
0
rene
34
0
0
utero
58
4
6,98
linfonodi*
50
5
10,00
placenta**
8
1
12,50
IV stomaco
5
1
20,00
* si sono considerati insieme linfonodi sopramammari ed iliaci
** la ricerca della placenta è cominciata nel 1998
Si è inoltre visto che alcuni animali positivi hanno avuto al momento della macellazione un sensibile calo del
titolo anticorpale, fino ad arrivare alla negatività sierologica; dall’urina di questi arieti è stata isolata Brucella
ovis. Solo un controllo sierologico ravvicinato, come previsto dal Piano Regionale, può limitare la presenza
in un gregge di soggetti portatori sieronegativi. Nelle greggi vaganti è difficile avere delle informazione
sull’eventuale presenza di sintomatologia clinica (orchite, calo della fertilità, agnelli deboli) dal momento
che gli animali sono difficilmente controllabili, le lesioni non sono patognomoniche e, nelle infezioni recenti,
possono mancare. L’indagine sierologica è l’unico strumento diagnostico valido; ma in queste greggi persino
il controllo degli animali durante il prelievo di sangue può risultare difficile, al punto che non tutti gli arieti
prepuberi e puberi presenti nel gregge vengono identificati e sottoposti ad indagine sierologica. Si è infatti
verificato in alcune situazioni che animali positivi macellati, indicati sulle schede di accompagnamento dei
prelievi come femmine, fossero in realtà degli arieti. La percentuale di maschi all’interno delle greggi
vaganti è, stando alla segnalazione sulle schede, molto bassa (un maschio su 50 e più pecore); ciò significa
che i maschi prepuberi o quelli che, a detta del pastore, non vengono destinati a carriera riproduttiva, non
sono sottoposti a controlli sierologici, anche se fanno parte dell’effettivo del gregge. E’ interessante
segnalare che da un ariete prepubere positivo è stata isolata Brucella ovis dalle urine. Un altro problema di
tipo pratico è dato dal fatto che talvolta, dopo il primo prelievo, la pioggia rende di difficile lettura i numeri
con cui sono stati identificati gli animali, altre volte il gregge si è già spostato in luoghi poco accessibili o nel
territorio di altre Regioni dove non è previsto il controllo per Brucella ovis . La promiscuità dei pascoli può
facilitare scambi di animali e contatti tra greggi con livello sanitario diverso; è infatti difficile riuscire a
tenere isolato un gregge vagante infetto da Brucella ovis soprattutto durante l’alpeggio. Un evento che ha
modificato l’andamento dell’infezione è stata la sospensione della vaccinazione con il Rev 1; infatti la
diminuzione dell’immunità crociata ha reso gli animali più sensibili al contagio, come testimoniato
dall’aumento della prevalenza di positività nelle greggi infette nel corso degli anni. Anche le pecore,
considerate meno sensibili all’infezione rispetto ai maschi hanno presentato una positività sierologica
significativa rispetto a quanto ci si poteva aspettare. La permanenza all’interno di un gregge di animali
positivi oltre i termini previsti dal Piano ed i controlli sierologici raramente eseguiti entro venti giorni
dall’allontanamento dei capi infetti hanno allungato i tempi di eradicazione della malattia nelle greggi
vaganti. E’ importante riuscire ad eliminare l’infezione prima che inizi ad incidere con una sintomatologia
clinica di rilievo, come segnalato in altri Paesi dove la malattia è endemica. L’ applicazione del piano è
sicuramente impegnativa e la sua importanza è stata in parte sottovalutata, probabilmente in relazione agli
sforzi già effettuati da veterinari, operatori tecnici e pastori per l’eradicazione di B. melitensis dal patrimonio
ovino lombardo. E’ però giusto, una volta raggiunti dei buoni livelli sanitari per le malattie oggetto di
profilassi di stato obbligatorie, elevare gli obiettivi ed estendere l’attenzione diagnostica e profilattica nei
confronti di malattie infettive meno importanti per la sanità pubblica e non sempre eclatanti come clinica, ma
che sicuramente diminuiscono in modo più o meno incisivo la resa dell’allevamento. In vista dei prossimi
spostamenti delle greggi per la monticazione, si raccomanda ai colleghi di rispettare le modalità di intervento
previste dal piano per non vanificare l’impegno e gli sforzi di questi anni; appare indispensabile inoltre una
adeguata azione informativa presso gli allevatori affinché capiscano la necessità di questi controlli e
l’importanza della difesa sanitaria delle proprie greggi. Si osserva una percentuale rilevante di animali
positivi nelle singole greggi, soprattutto nelle pecore.
3
Figura 1. Andamento positività nelle graggi dal 1995 al
1998
Figura 2. Percentuali di positività in maschi e femmine
nelle 4 greggi più colpite da infezione nel 1998, in cui si
sono concentrati l'80% dei capi positivi dell'anno. Si
osserva una percentuale rilevante di animali positivi nelle
singole greggi, soprattutto nelle pecore
4
Encefalite umana: scoperto nuovo virus
Dalla fine di febbraio 1999, un’epidemia di encefalite virale sta seminando il panico tra la popolazione della
Malesia (Fig. 1) e dei Paesi vicini.
Inizialmente, si era creduto che l’unico responsabile dei casi, spesso letali, di encefalite umana, fosse il virus
dell’encefalite giapponese (JE). Quest’ultimo è un arbovirus endemico in Malesia, mantenuto in natura dai
suini e trasmesso tramite le zanzare del genere Culex. Tuttavia, le particolari caratteristiche epidemiologiche
del focolaio hanno indotto gli esperti ad ipotizzare la presenza concomitante di un agente eziologico diverso.
A destare dubbi riguardo alla reale eziologia dell’encefalite furono la distribuzione di età e sessi delle
persone colpite (uomini adulti, piuttosto che bambini di entrambe i sessi come nella JE tipica), la
distribuzione geografica (localizzata piuttosto che diffusa), la presenza di casi tra coloro che erano stati
adeguatamente vaccinati contro la JE, la presenza di malattia nei suini (che sono invece portatori sani di JE,
eccettuando gli aborti nelle scrofe) e la mancata sieroconversione in questi ultimi. Inoltre, ad essere colpiti
risultavano soltanto persone che lavoravano a diretto contatto con i suini, cosa difficilmente spiegabile con
un virus trasmesso tramite punture di artropodi. Dal liquido cefalorachidiano di 12 pazienti è stato poi isolato
un virus, identificato ad Atlanta (CDC) come un paramyxovirus simile al virus Hendra che, nel 1994, aveva
provocato la morte di 2 persone e 15 equini in Australia. Tale virus (rinominato virus Nipah, dal nome del
villaggio da cui è stato isolato) viene trasmesso per contatto diretto ed è sensibile ai comuni detergenti e
disinfettanti. Prima dell’identificazione del virus Nipah, le autorità malesi, ritenendo di avere a che fare con
un ceppo atipico di JE, avevano intrapreso una campagna di prevenzione mirante in modo particolare ad
aumentare il livello di immunità della popolazione a rischio (vaccinazione di uomini e suini) e a prevenire
un’ulteriore diffusione del virus tramite abbattimento dei suini infetti o sospetti infetti e disinfestazione delle
aree invase da zanzare. Circa un milione di suini (su una popolazione totale di circa 2,4 milioni) sono stati
abbattuti dalle forze dell’esercito. I metodi utilizzati, tuttavia, non hanno previsto alcuna misura cautelativa
contro la trasmissione diretta del virus. Solo in seguito alla conferma da parte degli esperti che un nuovo,
sconosciuto virus, era da ritenersi responsabile di almeno due terzi delle circa 100 morti per encefalite
verificatesi nella popolazione malese a partire dal mese di novembre 1998, sono state adottate misure
precauzionali ad hoc. Queste comprendono l’utilizzo frequente di saponi e disinfettanti e di abbigliamento
adeguato (guanti impermeabili, stivali, ecc.) nel maneggiare i suini. Contemporaneamente, sono state
intraprese ricerche al fine di determinare le modalità di comparsa e diffusione del virus, in particolare alla
ricerca di ospiti intermediari quali pipistrelli e uccelli, concentrando l’attenzione su quelli aventi maggiori
possibilità di contatto con i suini. Si ricerca anche l’eventuale presenza di anticorpi contro il virus Nipah in
altre specie di animali domestici (ruminanti, polli, cani e gatti). L’epidemia mista JE – Nipah ha determinato
una gravissima crisi dell’industria suinicola malese (Fig. 2), che ha un giro di affari di circa 1,5 miliardi di
ringgit (700 miliardi di lire). Il quotidiano malese "The Star" ne riferisce come di una "tragedia" dalle
conseguenze economiche e sociali impossibili da quantificare. Il consumo interno di carne suina è sceso del
70% e l’esportazione di animali e prodotti suinicoli verso Tailandia, Singapore e le Filippine è stata bloccata.
Le entrate annue legate all’esportazione dei soli suini vivi sono stimate intorno ai 22 miliardi di lire. In
Singapore sono stati identificati 11 casi di positività sierologica al virus Nipah, in persone che avevano
macellato suini importati dalla Malesia. Una di esse è morta, le rimanenti presentano sintomatologia
riferibile ad encefalite virale.
Figura 1. Carta geografica della Malesia
Figura 2. Allevamenti suinicoli nella penisola malese
5
La qualità del latte prodotto in Lombardia nel 1998
I laboratori del Reparto Latte dell’Istituto Zooprofilattico di Brescia hanno continuato nel corso del 1998 la
loro attività di supporto al settore lattiero caseario nazionale attraverso rapporti diretti con l’utenza privata,
rappresentata dall’industria, dalle cooperative e dai singoli allevatori, con l’utenza pubblica per le analisi di
supporto al servizio Veterinario necessarie alla verifica dei requisiti richiesti dalla legge 169/89 e dal relativo
DPR 185/91, nonché per l’applicazione del DPR 54/97, e con il Servizio di assistenza alle aziende del Centro
per il Miglioramento qualitativo del latte di Brescia. Tra i servizi resi all’utenza l’attività di analisi per il
pagamento differenziato del latte in funzione delle sue caratteristiche qualitative, rappresenta una valida
opportunità per monitorare costantemente le variazioni della materia prima nella regione Lombardia che, con
i suoi 40 milioni di latte prodotti e trasformati, può a buon titolo definirsi la regione leader nel settore lattiero
caseario. Prima di entrare nel merito delle caratteristiche qualitative del latte prodotto in Lombardia nel 1998
è opportuno evidenziare come i dati riportati siano il frutto di una semplice media aritmetica, ricordando che
per i parametri igienico sanitari le valutazioni vengono fatte con media geometrica e per i parametri
qualitativi, grasso e proteine, in media ponderale, ma la validità delle osservazioni è legata al fatto che il
comparto di riferimento è rappresentato da 8.451 allevamenti di vacche da latte conferenti a 222 industrie
lattiero casearie lombarde, il cui controllo, attuato con il prelievo di 187.156 campioni di latte ha permesso di
ottenere dati da un totale di 1.220.612 analisi. Una prima osservazione deriva proprio dal confronto del
comparto di riferimento rispetto all’anno precedente; nel 1998 infatti si è registrata una diminuzione di circa
il 5% delle analisi eseguite dal laboratorio che si traduce in una proporzionale diminuzione degli allevamenti
controllati. Tale diminuzione può da un alto essere ricondotta al passaggio di alcune stalle ad industrie
lattiero casearie che non usufruiscono del servizio di analisi offerto dal laboratorio di Brescia, ma la ragione
principale è da ricollegare ad una ulteriore diminuzione delle aziende agricole produttrici. Di seguito
vengono di seguito riportati i dati e le valutazioni sui parametri che caratterizzano la qualità igienico sanitaria
e tecnologia del latte prodotto o trasformato in Lombardia nel 1998, ottenuti dalla elaborazione delle analisi
eseguite nell’ ambito degli accordi interprofessionali per il pagamento del latte in base alla qualità.
Cellule Somatiche
La media aritmetica delle cellule somatiche (Fig.1) è stata nel 1998 di 412.000 cell/ ml con un calo dell’11,6
% (dato 1997 = 466.000 cell/ml) che diviene ancor più significativa se si valuta che il 64,5% delle aziende
non ha mai avuto nell’arco di tutto il 1998 conteggi superiori alle 400.000 cell/ml contro il 55,4 % del 1997.
Tale dato risulta particolarmente importante, se valutato in termini di miglioramento qualitativo, poiché, alla
luce del DPR 54/97, la destinazione del latte, e quindi l’eventuale sopravvivenza produttiva dell’azienda
agricola, non possono prescindere dal valore di riferimento delle 400.000 cellule per ml.
Carica Batterica
La media aritmetica della carica batterica (Fig. 2) ha subito un’ulteriore e sostanziale diminuzione del 22,5%
confermando il trend degli ultimi anni; il dato medio regionale è risultato di 100.000 ufc/ ml (dato 1997
129.000 ufc/ml) con solo un’azienda su cinque superiore al dato di legge con almeno un prelievo nell’arco
dell’anno.
Grasso
Nell’anno in corso si è invertita una tendenza che da qualche anno aveva portato il dato grasso ad una media
aritmetica annuale di 3,78 g/100 ml riportandolo ad un valore di 3,83 g/100 ml (Fig. 3). Tale dato risulta di
particolare interesse per la qualità del latte trasformato in prodotti tradizionali o tipici sia dal punto di vista
qualitativo che dal punto di vista economico per un miglioramento delle rese in prodotto finito.
Proteine
Il tenore proteico del latte si è mantenuto a buoni livelli con una media aritmetica annuale di 3,30 g/100 ml
(Fig. 4), lievemente superiore rispetto all’anno precedente (3,29 g/100 ml), a conferma della attenzione verso
questo parametro di notevole importanza non solo economica data la prevalente destinazione a
trasformazioni tipiche.
Crioscopia
A conferma della tendenza iniziata nel 1997, in seguito all’applicazione del D.P.R. 54/97, si è avuta una
richiesta di determinazione del punto di congelamento del latte (Fig. 5) di 28.211 campioni con un aumento
6
del 120 % rispetto all’anno precedente con una media di - 0,524 °C.
Sporigeni anaerobi
La media aritmetica di sporigeni anaerobi del latte prodotto in Lombardia è stata di 210 spore /litro (Fig. 6).
L’ulteriore diminuzione del 27,3% del numero di spore per litro di latte prodotto (dato 1997 = 289 spore
litro) se da un lato conferma il miglioramento delle condizioni igieniche di produzione dall’altro segnala la
necessità di ricorre a metodiche innovative e maggiormente sensibili per rispondere ad un’esigenza di ordine
tecnologico sentita da chi utilizza il latte per produzioni tradizionali a lunga stagionatura.
Antibiotici e sulfamidici
Nel 1998 sono stati riscontrati 1121 campioni positivi per sostanze inibenti con una positività dello 0,6%
contro i 1428 campioni positivi del precedente anno con un calo del 16,5%. Questo risultato, di notevole
importanza per la tutela della salute del consumatore risulta correlato all’attenzione rivolta al problema
cellule somatiche in particolare e della sanità della mammella in generale.
Figura 1. Andamento del
parametro "cellule
somatiche" (cell/ml) nel
latte degli allevamenti della
Lombardia analizzato
presso il laboratorio di
Brescia nel 1998 (media
aritmetica)
Figura 2. Andamento del
parametro "carica
batterica" (ufc/ml) nel latte
degli allevamenti della
Lombardia analizzato
presso il laboratorio di
Brescia nel 1998 (media
aritmetica)
Figura 5. Andamento del
parametro "punto
crioscopico" (°C) nel latte
degli allevamenti della
Lombardia analizzato
presso il laboratorio di
Brescia nel 1998 (media
aritmetica)
Figura 6. Andamento del
parametro "sporigeni
anaerobi" (spore/litro) nel
latte degli allevamenti della
Lombardia analizzato
presso il laboratorio di
Brescia nel 1998 (media
aritmetica)
Figura 3. Andamento del
parametro "grasso" (g/100
ml) nel latte degli
allevamenti della
Lombardia analizzato
presso il laboratorio di
Brescia nel 1998 (media
aritmetica)
Figura 4. Andamento del
parametro "proteine"
(g/100 ml) nel latte degli
allevamenti della
Lombardia analizzato
presso il laboratorio di
Brescia nel 1998 (media
aritmetica)
7
DDT nel lago Maggiore: a che punto siamo?
La presenza di DDT nei pesci del Lago Maggiore (Fig. 1) è emersa in forma ufficiale il giorno 5 giugno
1996, in occasione della seduta ordinaria della Commissione per la pesca nelle acque italo-svizzere tenutasi a
Pallanza. Durante la riunione la Delegazione italiana è stata informata che le analisi sui pesci provenienti
dall’areale svizzero del Lago Maggiore, campionati da giugno a novembre del 1993 e nei mesi di ottobre e
novembre 1995, hanno evidenziato per la parte edibile di agone concentrazioni medie di DDT totale
dell’ordine di 2 mg/Kg, valore ampiamente superiore ai limiti previsti dalla normativa svizzera per la
commerciabilità del pesce (1 mg/Kg) (Tabella 1). Altri pesci commerciali, quali trota e coregoni, mostravano
significative concentrazioni di DDT totale dell’ordine di 0,2 - 0,5 mg/Kg. Indagini preliminari effettuate
dalle Autorità Sanitarie italiane, responsabili della vigilanza sanitaria nelle zone del Piemonte e della
Lombardia che afferiscono alle sponde del Lago Maggiore, hanno evidenziato analoga situazione, sia pure
con valori più bassi di DDT e suoi isomeri. La normativa italiana di riferimento circa i limiti di DDT tollerati
in vari alimenti, tra cui il pesce, costituita dalla O.M. 18 luglio 1990, stabilisce che le quantità massime
tollerabili di DDT sono 0,05 mg/Kg per pesci con contenuto di grasso inferiore al 5% e 0,1 mg/Kg per pesci
con contenuto di grasso compreso tra il 5 e il 20% (Tabella 1).
Tabella 1. Limiti di DDT in Italia (O.M. 18/07/1990) e in Svizzera (ord. Fed. 26/06/1995)
normativa italiana
normativa svizzera
% di grassi nel prodotto DDT totale mg/Kg
DDT totale mg/Kg
destinato
(riferito all'alimento (riferito all'alimento come
all'alimentazione
come tale)
tale)
<5
0,05
1,0
indipendentemente dal
5 - 20
0,10
contenuto di grassi
20 - 40
0,15
In base a tale normativa, pure in presenza di valori di contaminanti clororganici inferiori a quelli rilevati
nella zona svizzera, le autorità sanitarie locali hanno vietato la commercializzazione della specie agone. Gli
approfondimenti successivi hanno fatto conoscere la presenza, sulle rive del fiume Toce, di uno stabilimento
produttore di DDT che, sebbene da molti anni vietato come tale per l’impiego in agricoltura, viene utilizzato
come materia prima per la preparazione di un altro fitofarmaco consentito (Dicofol).
Si è evidenziato quindi un problema di notevole portata in cui la commestibilità del pescato rappresentava
solo un elemento particolare rispetto alla contaminazione del bacino idrico evidenziata tramite detto
prodotto. In tempi brevissimi è stato costituito, da parte del Ministero dell’Interno, un Comitato tecnico
scientifico, rappresentativo delle istituzioni centrali, regionali e locali interessate al problema e avente come
riferimento logistico e di coordinamento il CNR Istituto Italiano di Idrobiologia, incaricato di esaminare
l’intero problema e di fornire tutte le occorrenti indicazioni operative. Nel frattempo le Regioni interessate al
problema, anche d’intesa con il Laboratorio Cantonale di Lugano, hanno rapidamente proceduto ad una serie
di campionamenti delle varie specie edibili del lago. Gli studi preliminari hanno permesso di evidenziare
che: la quasi totalità delle specie esaminate mostrava contenuti di DDT superiori a quelli fissati dall’O.M. del
1990 (Tabella 2); i sedimenti superficiali del Lago Maggiore, soprattutto in prossimità della foce del fiume
Toce, evidenziavano sensibili concentrazioni di DDT indicative di una compromissione ambientale
recente;l’inquinamento non aveva prodotto effetti sulla qualità delle acque del Lago Maggiore tali da
pregiudicarne le utenze di uso potabile e balneare.Le autorità sanitarie delle due regioni interessate, Piemonte
e Lombardia, hanno conseguentemente decretato la sospensione dell’uso alimentare umano e il divieto di
pesca per tutte le specie ittiche coinvolte nell’inquinamento.
8
Tabella 2. Concentrazione di DDT per specie (anni 1996-1998)
specie
media mg/Kg minima mg/Kg
1996
agoni
1,12
bondella
0,23
coregone 0,26
lavarello 0,14
persico
0,04
scardola/tinca 0,06
1997
1,00
0,14
0,16
0,15
0,05
0,12
1998
0,97
0,16
0,10
0,20
0,04
0,15
1996
0,35
0,03
0,22
0,03
0,01
0,01
1997
0,28
0,02
0,07
0,03
0
0,01
1998
0,20
0,06
0,08
0,08
0,01
0,02
massima
mg/Kg
1996 1997 1998
3,21 5,90 1,95
1,01 0,24 0,31
0,35 0,26 0,11
0,36 0,34 0,40
0,18 0,20 0,13
0,28 0,49 0,54
n° campioni
1996
62
17
3
67
15
48
1997
40
14
13
61
37
5
1998
19
25
2
28
30
15
Il Comitato tecnico sopra citato ha lavorato per circa sette mesi con lo scopo di definire le possibili soluzioni
al problema emergenza DDT in tutti i suoi aspetti, prevedendo il monitoraggio delle acque, dei sedimenti e
degli animali nonché affrontando il problema della pesca e in particolare la ricaduta economica sui pescatori.
Successivamente il Ministero dell’ambiente ha a sua volta istituito una Commissione per l’esame della
problematica. Nell’ambito dei lavori dei due organi è stata anche discussa la possibilità di pervenire ad una
soluzione alternativa consistente nel modificare i limiti di DDT fissati dalla O.M. 18.11.1990, in modo da
renderli compatibili con quelli vigenti in Svizzera. Esiste infatti la possibilità di calcolare tali limiti sulla base
del valore della dose giornaliera accettabile calcolata secondo le modalità attualmente utilizzate a livello
internazionale per i contaminanti degli alimenti. Il riferimento a tale possibilità è riportato nel D.lgs 531/92,
recepimento della corrispondente direttiva comunitaria riguardante i prodotti della pesca; pertanto è stato
richiesto alla Commissione europea, non essendo fissati LMR per i fitofarmaci nei prodotti della pesca a
livello comunitario, di definire i valori massimi di tali composti. Essendo lunghi i tempi previsti per tale
trattazione, è stato richiesto alla Commissione tossicologica nazionale di fornire valutazioni globali sulla
tossicità del prodotto e i valori ufficiali delle dosi ammissibili per l’uomo: sulla base degli elementi di
valutazione acquisiti la Commissione ha escluso la possibilità di un aumento del valore dei limiti di DDT per
equipararli a quelli in vigore in Svizzera. E’ stato anche possibile accertare che alcuni Paesi non hanno un
limite legale di DDT e derivati (Regno Unito, Belgio, Grecia), mentre in altri è di 1 mg/Kg (Germania) o di
0,5 mg/Kg (Olanda e Svezia). Nel contempo sono state formulate al Ministero numerose sollecitazioni ad
effettuare un riesame dei limiti massimi di DDT nei prodotti a livello nazionale sulla base di argomentazioni
che riguardano la situazione locale del Lago Maggiore, la quantità di pesce di acqua dolce realmente assunto
dalla popolazione e la presunta trascurabile quantità di DDT proveniente da altri alimenti. E’ stato
evidenziato anche il problema economico derivante dal divieto di pesca in una zona di grande interesse
turistico. Le autorità regionali del Piemonte e della Lombardia hanno messo in atto una serie di interventi
aventi lo scopo di diminuire nel tempo lo stato di inquinamento del lago e, nello stesso tempo, di tutelare
economicamente i pescatori. E’ stato previsto inoltre, per mantenere l’equilibrio del popolamento ittico
lacustre, di intervenire con specifiche operazioni di pesca selettiva sulle specie ittiche (agone e scardola in
particolare) che stanno prevalendo quantitativamente sulle altre. Ad oggi, come si può vedere nella tabella 2,
riferita alle analisi sul pescato della Lombardia e riportante i valori di DDT nei vari anni, non è comunque
prevedibile una diminuzione in tempi brevi di tale composto al di sotto dei limiti di legge. Le concentrazioni
rilevate nella fauna ittica e nei sedimenti superficiali inducono a ritenere che la contaminazione possa essere
estesa ad altre componenti biotiche ed abiotiche dell’ecosistema. Il DDT dimostra infatti una affinità molto
elevata con il particellato organico presente in sospensione nel sistema idrico, e possiede inoltre la
particolarità di essere estremamente solubile nei grassi e quindi la frazione che rimane adsorbita nelle
particelle organiche in sospensione nell’acqua può essere assunta ed accumulata dai pesci principalmente
attraverso due meccanismi:una bioconcentrazione per trasferimento dalla fase acquosa e/o dalla fase solida
dalle particelle organiche al grasso dei pesci attraverso la fase di respirazione branchiale;una
biomagnificazione per l’ulteriore accumulo attraverso l’alimentazione che si potenzia man mano attraverso
la catena alimentare.In questo modo il fattore di concentrazione acqua/pesci assume valori incredibilmente
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elevati, al minimo dell’ordine di 1 a 50.000.L’effetto di accumulo nei grassi è ancora più grave in termini di
durata perché il DDT e i suoi metaboliti (DDD e DDE) sono particolarmente stabili nel tempo, essendo
molto refrattari alla degradazione biochimica e ai processi chimico-fisici di demolizione. Risulta pertanto
evidente che le questioni che rimangono da indagare al fine di una corretta valutazione della estensione del
fenomeno, degli effetti provocati e della sua durata nel tempo, sono vaste e devono prendere in
considerazione i vari comparti dell’intero ecosistema lacustre, nonché dei tributari, anche per verificare la
presenza di eventuali altre fonti di inquinamento. A tale proposito si evidenzia che è in corso un progetto,
messo a punto dalla Commissione internazionale per la protezione delle acque, per la realizzazione di
indagini e ricerche prioritarie finalizzate a definire la distribuzione di DDT nei vari comparti dell’ecosistema
e a valutare i meccanismi del suo trasferimento nel lago e lungo la catena alimentare.
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