si parla dello psicologo di base
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si parla dello psicologo di base
temi di politica professionale UN’ESPERIENZA E UNA PROPOSTA DI LAVORO CONGIUNTO PSICOLOGO E MEDICO DI BASE INSIEME È MEGLIO Luigi Solano, Docente di Psicosomatica, Facoltà di Psicologia 1 e Scuola di Specializzazione in Psicologia della Salute, Università di Roma “La Sapienza”, Membro Società Psicoanalitica Italiana PRESUPPOSTI TEORICI a) Differenziazione e necessità di integrazione tra medicina e psicologia Le competenze di medici e psicologi appaiono più specializzate e differenziate, come testimoniato tra l’altro dal fatto che la Psicologia non è più una specializzazione di Medicina. La Medicina occidentale si va allontanando sempre di più da una visione globale dell’uomo, concentrandosi sugli aspetti biologici (con molti buoni risultati, anche se da qualche tempo ad un incremento esponenziale della spesa sanitaria non corrisponde un’equivalente incremento dell’aspettativa di vita e delle possibilità di intervento). La Psicologia utilizza categorie di lettura della realtà umana (più che della “realtà clinica”) che coincidono sempre meno con quelle della Medicina, Psichiatria inclusa. Si tende a considerare non tanto la patologia individuale, come categorizzata nel DSM IV ma: - il rapporto tra l’individuo e il suo contesto ambientale; - il rapporto tra l’individuo e il momento del suo ciclo di vita; - le risorse che l’individuo ha a disposizione per affrontare eventi e difficoltà, compresa una eventuale patologia. È quindi evidente la necessità di uno sforzo di integrazione interdisciplinare accanto alla differenziazione, in modo da non lasciare questo compito solo gli utenti. Nella realtà sanitaria però, quando l’integrazione si realizza questa avviene in genere mediante invio, o richiesta di consulenza da parte del medico; i casi più frequenti sono: - la presenza di disagio psicologico evidente - difficoltà nella relazione con il medico. Il risultato è che rimangono fuori dall’intervento psicologico una serie di situazioni che invece ne potrebbero trarre giovamento, e che d’altra parte non sempre è possibile lavorare sui casi che vengono inviati. Questo aspetto verrà approfondito nel paragrafo successivo. b) Le notazioni della psicologia clinica sul ruolo dello psicologo nel contesto sanitario. 1. Differenze tra modello medico e modello psicologico-clinico (Carli e Paniccia, 1989; Guerra, 1992). Il modello medico si fonda su una serie di fantasie collusive che ritroviamo in Parsons (1951) nella descrizione dei ruoli sociali del malato e del medico. In questo modello il malato viene visto come: - esentato dalle sue abituali responsabilità - incapace di guarire con le proprie capacità (dipendenza) - desideroso di guarire (condizione per il primo punto) - tenuto a cercare un aiuto competente per guarire A questi possiamo aggiungere: - non pericolosità per il medico - reversibilità della condizione di dipendenza Il corrispondente ruolo del medico viene visto come contrassegnato da: - dedizione - obbligo a curare senza distinzione di genere, razza, idee politiche ecc. Inoltre, in molti casi prevale la fantasia di “curare” (Fornari, 1976) nel senso di sconfiggere un male che è altro dalla persona, diverso da una di- mensione di “prendersi cura” dell’insieme della persona. Possiamo facilmente notare come praticamente ogni punto di questo schema sia diverso in un modello psicologico-clinico. Questo pone le basi per una serie di incomprensioni, ma soprattutto determina la dinamica della richiesta di intervento psicologico da parte del medico: lo psicologo viene in genere chiamato quando si verifica un fallimento della collusione (Carli 1996; 1997), tra medico (organizzazione sanitaria) e paziente: cioè quando viene meno uno dei presupposti sopra indicati. Gli esempi più comuni sono: - patologie difficilmente trattabili (laddove fallisce la fantasia del “curare” nel senso di Fornari) - difficoltà nel rapporto medico/paziente, per venir meno dei presupposti sopra indicati (il paziente non è disponibile ad affidarsi interamente al medico, a seguirne le indicazioni; non mostra “volontà di guarire” ecc.). In genere non viene richiesto un intervento sulla relazione (che avrebbe un senso) ma sul paziente che spesso non è né motivato né in condizioni di utilizzare questo tipo di aiuto. Altre volte all’intervento psicologico vengono attribuite funzioni essenzialmente di “assistenza umanitaria”, di “sostegno”, nei confronti del disagio che verosimilmente si accompagna alle patologie incurabili o inguaribili. Lo psicologo è invece quasi sempre escluso dalle situazioni in cui potrebbe dare un contributo ben maggiore: - dalle fasi iniziali del disagio, quale quello che viene proposto ad esempio ad un medico di base. - dall’occuparsi di patologie organi29 temi di politica professionale psicologia di base che anche gravi ma ben definite, riconoscibili, per cui sono disponibili trattamenti di una qualche efficacia, nel momento cioè che i presupposti del rapporto collusivo medico/paziente sono ben presenti. 2. Discordanze tra requisiti e modalità per l’invio in Medicina e Psicologia Anche nelle aree dove può esserci una convergenza tra medico e psicologo sulle indicazioni per un intervento psicologico, quali la presenza di disagio psichico evidente o di disturbi somatici funzionali, esistono grandi differenze tra i modi di intendere un invio. In Medicina l’invio (a specialisti, ad effettuare analisi cliniche) viene prescritto. Il paziente deve solo aderire, e prestare la propria collaborazione passiva, “lasciarsi fare” delle cose. In Psicologia l’invio può essere solo una proposta. Il paziente per aderire deve trovare una motivazione personale ad un lavoro in cui lo psicologo è più un consulente che un effettore. Non basta individuare “l’indicazione” o il “bisogno”, ma è necessaria la costruzione di una “domanda”. Ne deriva che le modalità di invio ad uno Psicologo, anche in situazioni idonee, non risultano sempre adeguate. c) Le acquisizioni della Psicosomatica contemporanea e della Psicologia della salute: 1. ll modello biopsicosociale (Engel, 1977): - diversamente dalla psicosomatica tradizionale (anni ‘30 e ‘40) elimina qualunque distinzione netta tra patologia organica, patologia funzionale, patologia mentale - ogni patologia è legata in termini 30 multifattoriali a tematiche di tipo biologico, psicologico, sociale. Ogni patologia merita quindi di essere affrontata sotto diversi versanti. 2. Il costrutto dell’alessitimia o regolazione affettiva (Taylor et al., 1997) I pazienti con disturbi somatici mostrano spesso una modalità di comunicazione caratterizzata da scarsa pregnanza emotiva, da uno stile incolore. Non ci si troverà quindi di fronte ad un disagio psichico, magari tenuto nascosto. Sono pazienti che “non creano problemi”, non si verifica un “fallimento della collusione”. Per questi motivi è assai raro che in questi casi il medico si senta spinto ad effettuare un invio ad uno psicologo. Rischiano quindi di non essere inviate proprio le persone che per le loro caratteristiche sono più portate ad esprimere attraverso il corpo le proprie difficoltà nel rapporto con il mondo. 3. Il modello della regolazione psicobiologica (Taylor, 1987) La salute e la malattia fisica sono connesse alla situazione relazionale/sociale dei soggetti. d) Il lavoro pionieristico di Michael Balint (1957) In estrema sintesi, Balint ci dice che il percorso clinico successivo alla prima richiesta (“offerta”) del paziente dipende dallo spazio che questa proposta trova nella relazione medico/paziente: una co-costruzione della malattia tra paziente e medico. È quindi necessario seguire questa co-costruzione, cogliendo quanto un disagio che si presenta come somatico sia connesso con la situazione relazionale, intrapsichica, di ciclo di vita del paziente. È inoltre necessario tenere le fila del rapporto con i diversi specialisti, per evitare scissioni. Balint propone una formazione dei medici a questo tipo di ascolto e di operatività. Rimane da capire data la crescente divaricazione tra Medicina e Psicologia e il notevole incremento del patrimonio culturale in entrambi i campi, quanto questa proposta sia ancora attuabile e non possa essere più realistico affidare i due tipi diversi di ascolto diverso della domanda di tutti i pazienti a due figure professionali distinte. e) La diversa posizione sociale della Medicina e della Psicologia, e dei loro utenti La malattia fisica è considerata come qualcosa di inevitabile per tutti, prima o poi, una parte integrante della vita comune. La sua esistenza viene vista come qualcosa di oggettivo, non dipendente dal fatto che si vada o meno dal medico. La società (occidentale) prevede che ciascuno fin dalla nascita abbia un medico di riferimento, le cui prestazioni sono offerte gratuitamente come diritto del cittadino. L’immagine sociale che ne deriva è che è matto chi è malato e non va dal Medico. Il disagio psichico è considerato invece come qualcosa che riguarda soltanto alcune persone, considerate in modo più o meno benevolo a seconda dei periodi storici; di conseguenza, l’assistenza pubblica al disagio psichico è organizzata in servizi specifici, cui si accede su richiesta degli interessati o di chi per loro. Il disagio psichico appare difficilmente definibile e oggettivabile, se non nel momento che la persona si rivolge ad un operatore (pubblico o privato) della Salute Mentale. L’immagine sociale che ne deriva è che temi di politica professionale psicologia di base è matto chi va dallo Psichiatra o dallo Psicologo. Di regola si va quindi dallo Psicologo soltanto dopo essere stati a Lourdes (rovesciando la battuta di Woody Allen). Cioè quando il disagio, in genere dopo anni di sofferenza, ha prodotto modificazioni intrapsichiche strutturate, croniche, relativamente indipendenti dalla situazione relazionale che le ha generate. Questo è uno dei motivi per cui spesso la figura dello Psicologo finisce per sovrapporsi a quella dello Psicoterapeuta (intendendo psicoterapie impegnative e prolungate) PERCHÉ LO PSICOLOGO DI BASE Appare quindi importante aprire la possibilità di intervenire in una fase del disagio iniziale, in cui non si sono organizzate malattie gravi e croniche sul piano somatico od organizzazioni intrapsichiche fortemente limitanti una realizzazione ottimale dell’individuo. Nella attuale situazione sociale, politica e sanitaria lo studio del Medico di Base appare come il luogo migliore dove sia possibile: - un accesso diretto da parte di tutta la popolazione, senza il rischio (o la certezza) di essere etichettati come “disagiati psichici”; - “intercettare” il disagio iniziale ed eventualmente, in casi molto limitati e specifici, effettuare correttamente degli invii a specialisti della Salute Mentale; - offrire un ascolto che prenda in esame, oltre alla condizione biologica, anche la situazione relazionale, intrapsichica, di ciclo di vita del paziente; - favorire un interscambio tra Medi- cina e Psicologia - integrare le reciproche competenze, tra Medicina e Psicologia, con arricchimento culturale di entrambe le figure professionali - limitare la spesa per analisi cliniche e visite specialistiche, nella misura in cui queste derivino da un tentativo di lettura di ogni tipo di disagio all’interno di un modello esclusivamente biologico. L’ESPERIENZA DI ORVIETO È frutto di un accordo, operante dal 2000, tra Scuola di Specializzazione in Psicologia della Salute dell’Università di Roma “La Sapienza”, sede di Orvieto e Distretto Sanitario Socio-Sanitario n. 3 di Orvieto della ASL n. 4 Regione Umbria. L’accordo prevede la presenza di alcuni Psicologi specializzandi in Psicologia della Salute ciascuno presso lo studio un Medico di Base del Distretto, per un giorno fisso la settimana, previa affissione di un cartello che informa i pazienti dell’iniziativa e chiarisce che esiste sempre la possibilità di chiedere di incontrare soltanto il proprio medico. Metodologia Utilizzata 1. Osservazione, da parte dello Psicologo presente nell’ambulatorio, delle richieste e della modalità di instaurare la relazione con il medico da parte di ogni paziente. 2. Discussione con il medico dei casi osservati. 3. Eventuale intervento esplorativochiarificatore nei confronti del paziente, nel contesto della visita ambulatoriale. Lo scopo non è di fare della “piccola psichiatria” in casi spe- cifici, ma di sforzarsi di dare un senso in ogni caso al disturbo portato dal paziente all’interno della sua situazione relazionale e di ciclo di vita. 4. In alcuni casi selezionati, approfondimento con lo Psicologo con alcuni colloqui (in genere da 1 a 5) effettuati in tempi separati. 5. In alcuni di questi ultimi casi, invio a specialisti della Salute Mentale. 6. Incontri periodici con un docente della Scuola di Specializzazione sia con gli Psicologi che con i Medici. Un caso clinico Fabrizio si è rivolto al medico perché preoccupato per delle extrasistoli che ha avuto per la prima volta due/tre mesi fa, mentre correva; quando gli tornano si agita molto e si spaventa. Ha fatto tutti gli accertamenti diagnostici del caso e sono state escluse “cause organiche”, quindi hanno pensato ad una “causa psicologica” anche se in famiglia non vedono problemi che possano causare le extrasistoli a Fabrizio. Il medico ha prescritto 5 gocce di Xanax tre volte al giorno e Inderal mezza compressa tre volte al giorno. Sia il medico che il paziente e la sua famiglia si muovono in un’ottica di ricerca monocausale del sintomo e di una visione di mente e corpo come due realtà distinte. La psicologa cerca di dare una diversa lettura: le situazioni sono sempre complesse e diversi fattori interagiscono tra loro per dare forma al sintomo. Inoltre, il corpo può essere visto come un canale di possibile espressione di uno stato, di una comunicazione, come lo è la mente. Si decidono alcuni incontri di Fabrizio con la psicologa fuori dall’orario di ambulatorio. Emergono due fatti im31 temi di politica professionale psicologia di base Sedi di iniziative analoghe di cui sono a conoscenza (indico tra parentesi a chi ci si può rivolgere per saperne di più): - Ospedale S. Gallicano, servizio per extracomunitari (Dr.ssa Umberta Telfner, [email protected]) - Pronto Soccorso Ospedale di Siena (Dr.ssa Valentina Bruchi, portanti nella storia di Fabrizio: uno è la morte tre anni fa della nonna materna che viveva al piano di sotto della casa di famiglia ed era il punto di riferimento di tutto il nucleo familiare allargato; alla sua scomparsa improvvisa, per infarto, tutto è cambiato, la mamma di Fabrizio ha dovuto prendersi tante responsabilità in più, è dovuta “crescere”, diventare autonoma nella gestione della casa. L’altro fatto risale all’anno precedente: alcuni amici di Fabrizio sono arrestati perché coinvolti in un giro di spaccio di compresse di ecstasy. Per lui questo “arresto” è un “colpo” che gli fa decidere di interrompere l’assunzione di droghe. Fabrizio ricorda che usava le droghe per sentirsi più forte, più sicuro con le ragazze; per lui innamorarsi è una debolezza da nascondere (si dice: “avere un debole per qualcuno”). Ricorda poi che proprio in concomitanza con l’emergere del sintomo, una ragazza, della quale era profondamente innamorato da un anno senza “averlo mai tirato fuori”, si mette con un altro ragazzo; lui si tiene tutto dentro anche in questo caso. Emerge così l’effetto di copertura delle droghe verso tutta una serie di insicurezze, di debolezze che si presentano soprattutto nel vivere da parte di Fabrizio il tentativo di svincolo dalla famiglia. Ha una grande difficoltà per esempio a definirsi nel non voler comunicare in famiglia i propri disagi, è abituato in questi casi a rispondere “tutto bene”, quando potrebbe invece dire “non ne voglio parlare”. Parlare delle proprie emozioni, dei propri disagi, lo farebbe sentire debole; Fabrizio usa spesso l’espressione “debole di cuore” e il racconto dell’arresto degli amici evoca nella psicologa la sensazione di arresto cardiaco che 32 [email protected]) - Ospedale Fatebenefratelli, in alcune situazioni specialistiche (Dr.ssa Daniela De Berardinis, [email protected]) - Unità di Gastroenterologia dell'Ospedale Universitario di Firenze. (Dr.ssa Laura Mezzani, [email protected]) caratterizza le extrasistoli. La sospensione dell’uso delle droghe ha fatto emergere in Fabrizio delle insicurezze per lui inaccettabili: è per lui più semplice accettare un sintomo fisico, una debolezza cardiaca che non una debolezza di sè come persona. La debolezza intollerabile si è trasformata o si manifesta attraverso una debolezza somatica che richiede altre sostanze, questa volta legali, i farmaci. Un nuovo “coperchio” sulle vere debolezze di Fabrizio, quelle da non vedere. È quindi necessario che Fabrizio trovi altri canali di espressione dei suoi stati emotivi che così prenderanno sempre meno le vie del corpo. Per ora Fabrizio ha ancora bisogno di un sintomo per poter affrontare i temi del suo disagio ma poi, progressivamente nell’arco di sei mesi, Fabrizio elabora nei suoi 12 incontri con la psicologa alcune di queste tematiche: lo svincolo, l’accettazione delle proprie “debolezze” ed il riconoscimento delle proprie risorse, la possibilità di riconoscere e verbalizzare le emozioni, un maggiore rispetto per sé come persona e non solo per la sua immagine. Gli viene riconosciuta determinazione nel portare avanti questi incontri: una svolta rispetto alla sua abituale tendenza all’evitamento. Inizialmente ha avuto bisogno dei sintomi fisici per farlo, ma così si è potuto sperimentare ad esprimere emozioni e pensieri in uno spazio protetto, delimitato. Ora può proseguire il suo percorso di autonomia e quando ogni tanto i sintomi si riaffacciano, sono meno spaventosi e più “gestibili”, fino a scomparire. Ciò che desidero sottolineare è come in questo percorso l’obiettivo non sia stato tanto quello di “trattare” ovve- ro ottenere la scomparsa del sintomo somatico, quanto trovarne un senso, inserirlo nel contesto di vita del paziente, di modo che, anche il disturbo non dovesse scomparire, acquisisca il significato non di “malattia” ma di reazione ad una situazione di vita problematica. L’eventuale scomparsa del sintomo dipenderà a questo punto dalla possibilità di trovare - ove possibile modalità di reazione più adeguate, possibilmente cercando una soluzione ai prosblemi, sul piano interno alla persona e della realtà esterna. CONCLUSIONI - L’iniziativa è risultata fattibile, da tutti i punti di vista - l’inserimento dello Psicologo, fino a diventare una figura abituale, ha richiesto parecchi mesi di “rodaggio”, necessari soprattutto a giungere ad un livello sufficiente di reciproca comprensione, sempre perfettibile, tra Medico e Psicologo - la grande maggioranza dei pazienti ha mostrato di apprezzare l’iniziativa. - in 5 anni, solo in due casi un paziente ha chiesto di poter parlare con il solo Medico - il numero di colloqui separati con lo Psicologo è stato molto ridotto - il numero di invii a specialisti della Salute Mentale è stato irrisorio - attendiamo di conoscere dalla ASL se vi sia stata una riduzione della spesa sanitaria relativa ai medici coinvolti nell’iniziativa rispetto agli anni precedenti. - l’iniziativa non ha finora trovato alcun sostegno finanziario alla sua diffusione.J