N. 65 - Gennaio-Febbraio 2010

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N. 65 - Gennaio-Febbraio 2010
Poste Italiane - Spedizione in a.p. - D.L. 353/2003 (conv. in L.
27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 DCB Palermo
Anno XXIII n. 65
nuova serie
Gennaio
Febbraio
2010
ISSIMO
Periodico di promozione culturale dell’Ass. Il Vertice-Onlus
…A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libido fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta.
(Dante Alighieri, Divina Commedia – canto V 55-57)
Colpi
La potatura d’alberi rintocca
colpo su colpo di pennato. Il freddo
fa rilucere i tagli ancora vivi.
Tempo che l’uomo in là con gli anni dice:
sono com’ero in compagnia del fuoco
che avviva e rode la sostanza, veglio
su quel che brucia e quel ch’è fatto cenere,
tengo fede ai pensieri d’una volta.
Pure non è gran cosa, è men che poco.
Neve
Che silenzio, battuto da un semplice
urto di vanga
Mi sveglio, atteso dalla neve fresca
che mi sorprende in seno al mio calore.
Trovano un giorno di duro pallore
i miei occhi, la mia languida carne
ne teme l’innocenza. Quanti fiocchi,
mentre durava la mia dolce assenza,
tutta notte han perduto i tetri cieli!
Che silente incorrotto deserto,
caduto dalle tenebre, qui venne
e cancellò i profili della terra
abbacinata sotto un candor ampio
sordamente accresciuto, e a un luogo solo
la fuse, senza voce e senza volto,
in cui conosce lo sguardo smarrito
i tetti che nascondono un tesoro
d’usati giorni, al cielo appena offrendo
d’un vago fumo il rito…
Paul Valéry
(Trad. Beniamino dal Fabbro)
Anni, ancora, che quanto viene offerto
sotto la specie del dolore
tarda a farsi vita vera.
Per anni e anni
la vita segue la vita
con la fedeltà che ha l’ombra
mentre scorre il fiume.
mentre il filo d’erba trema
tra pala e pala della falciatrice
e l’uomo appena uscito dalla prova
integro o privato del suo bene
solleva il capo fino al nuovo colpo.
Mario Luzi
(da “Dal fondo delle campagne”)
Concerto
Viola bionda d’amore
liquida sera d’occhi nella nota
che geme e si raccoglie
attorno a un grumo esangue di parole.
(L’altro prosegue solo il suo racconto,
tutto un sospiro: la muraglia,
le pietre, il sole, l’upupa impagliata
e relitti di nave, alfine resi).
Relitti e sabbia
assieme ai nostri libri
alle bottiglie vuote
con i capelli morti e i pentagrammi
dove s’iscrive il freddo
dove tremi
- estrema nota di rapporto avaro
e grembo di tepore che si nega.
E’ da te che deriva quest’umore
languido, in un barocco musicale,
da te che tremi, nota di violino,
nell’aria fredda enigma di cristallo;
e da un passato d’altre sinfonie
ceduto al tempo assieme alle stagioni
per svendita coatta che continua
per poesie non scritte
insonnia e carie.
Viola bionda d’amore, un’altra pena
si scioglie senza lagrime né eco.
L’altro prosegue solo il suo racconto:
le pietre, il sole, l’upupa
l’inverno.
Carmelo Pirrera
Per non svegliarti
Il mio pensiero ha preso domicilio
fisso nel castello,
che è dentro di te ed ha difese
immunitarie e vallo di acque
e ponte levatoio,
ma non ho chiave (l’ho smarrita)
né corno di richiamo, come quello
di Orlando a Roncisvalle.
E sono in regola le carte.
Tu sollecita vagoli, sorvegli,
inquieta, gli spalti della luna
e guardi a valle se mai stanco,
affardellato non rispunti il reduce
delle crociate, polveroso,
e bussi appena con nocche riguardose
di tenero silenzio,
per non svegliarti.
Sirio Guerrieri
Lontananze
Una pagina di Ghiannis Ritsos
Rimani con me
per un poco.
Ricordo
quel passo di danza
e i piedi
sull’erba bagnata.
Rivedo
il tuo volto di nebbia
amica
dal cuore segreto.
Rimani con me
te ne prego.
Rimani.
Almeno per poco.
Quando fa notte
Quando fa notte
il tempo
è un volo
d’angeli tristi.
…Aspetto la notte sperando che le mie ombre si fondano col buio, per occupare meno spazio, chiudermi nel
mio guscio, essere un chicco di grano nella terra. Non ci
riesco.
Le mie ombre non si fondono con l’oscurità, anzi, al
contrario, conquistano intera la notte. E allora mi dilato
con esse, stupita, muta, inabissata, con la mia superficie
tesa dalla densità del fondo mentre il mio desiderio
nudo, bianco, lucente, galleggia sull’oscurità come una
donna annegata, la pancia gonfia la vulva tumefatta –
una donna con occhi chiusi, rischiarata dalla luna –
non annegata, semplicemente galleggiante sul dorso –
una dona incinta.
Ed eccomi di nuovo ad attendere che in un modo o nell’altro giunga il giorno, che cantino i galli sugli steccati,
risuonino nella strada i passi dell’arrotino, del vasaio,
dell’erbivendolo ambulante, del pescivendolo, i colpi di
martello dei marmista o dei falegnami, che si scindano
una ad una le mie ombre, per condividerle e non essere
più sola.
(da “Fedra”, in Quarta dimensione)
Rimane sola
l’anima,
povera e ricca
crudele e dolce.
La speranza
è una nuvola
d’oro
tra gli olivi.
Nevio Nigro
Una pagina di Odissèas Elitis
nella traduzione di Tino Sangiglio
La ragazza arancio
Così tanto la rese ubriaca il succo del sole
Che girò la testa e accettò di diventare
Piano-piano la piccola Ragazza Arancio!
Così mentre brillarono di azzurro i sette cieli
Così mentre i cristalli toccarono un fuoco
Così mentre fiammeggiarono code di rondini
Rimasero stupefatti sopra gli angeli e sotto le ragazze
Restarono sbalorditi sopra le cicogne e sotto i pavoni
E tutti insieme si radunarono e tutti insieme la videro
E tutti insieme gridarono: Ragazza Arancio!
S’ubriaca il tralcio e lo scorpione, s’ubriaca il mondo intero
Ma la trafittura del giorno il dolore non abbandona
L’airone nano le dice tra i piccoli vermi
Lo strepito dell’acqua le dice tra gli istanti d’oro
Anche la brina le dice sul labbro superiore della buona tramontana
(da Sole il Primo)
Alzati piccola piccola piccola Ragazza Arancio!
Come ti conosce il bacio nessuno ti conosce
Neppure il sorridente Dio ti conosce
Che con la mano spalanca nell’infuocato riverbero
Nuda ti indica ai suoi trentadue venti!
Una pagina di Fernando Pessoa
Piccola estasi di strada
Creazione
Il nostro amore stava lì
concentrato nello spazio contratto
quando un mattino
esplose
formando stelle e pianeti
e sino a quando
attraverso pazienti secoli di secoli
sbocciò nei nostri corpi
che avidi si scontrarono
dissolvendosi in estasi
pianti e gioie.
Amore non ha costume.
Lascia che ti baci i piedini
e che spinga ancora i miei baci
nei tuoi dolci recessi
amore non ha costume
ed è sempre rosso di voglie.
Omar Pirrera
Cantava, con voce soavissima, una canzone
di un paese lontano. La musica rendeva
familiari le parole sconosciute. Sembrava
farlo per l’anima, ma non gli somigliava
affatto.
Con parole velate e melodia umana, la canzone diceva cose che sono nell’anima di
tutti e che nessuno conosce. Egli cantava in
una specie di sonnolenza, ignorando con lo
sguardo gli ascoltatori, in una piccola estasi di strada.
Il popolo riunito lo ascoltava senza un grande scherno visibile. La canzone era di tutti
e le parole a volte parlavano con noi, segreto orientale di qualche razza perduta. Il
rumore della città non si udiva se lo ascoltavamo e le carrozze passavano così vicino
che una mi ha sfiorato la giacca aperta. L’ho
sentita ma non udita. C’era un trasporto nel
canto dello sconosciuto che faceva bene a
chi in noi sogna o non vi riesce. Era un
evento di strada, e tutti abbiamo notato che
il poliziotto aveva lentamente girato l’angolo. Si è avvicinato con la stessa lentezza. Si
è fermato per un po’ dietro al ragazzo che
vendeva gli ombrelli, come chi vede qualcosa. In quel momento il cantante ha interrotto. Nessuno ha detto niente. Allora il
poliziotto è intervenuto.
(da Il libro dell’inquietudine)
Non sono parole
Non ha più voce la voce –
Da quando non si affrontano parole
(fondali abissi fitti di gioielli
ma fu altro tempo) e quelle spaventate
si ritraggono – piccoli animali sconfitti.
Ora è il silenzio
Ora è il silenzio
a darmi la sua voce.
Con la dolcezza estrema
del non detto
apre l’azzardo
al filo d’una riga
su cui scorre in cadenza
ogni parola.
In silenzio decisa a diventare
nuovo senso di vita.
Piazza di sabbia
Piazza di sabbia immensa
Ai confini del cielo.
Un po’ d’acqua laggiù
tra la sabbia più bianca,
e salata, come credo
sia più spesso la vita.
E i palmeti
a darti un attimo di refrigerio
con l’illusione
di una vita che procede
anche se il sole è violento.
Bruno Rombi
A chi si accosta, si oppone silenzio
che lascia nel ricordo orma di nulla
(orecchie fossili per troppo ascoltare
suoni in trionfo: non sono parole).
Stringe le proprie mani. Solitudine:
nel letargo ostinato dei richiami
– dormenti? morti? – si è pellegrini
dell’Invisibile – in esilio.
Fryda Rota
In cima a un promontorio
battuto dai venti
a picco sul mare
una bianca chiesetta,
dentro il pope celebrava
una mistica funzione
tra lo sfavillio
blu/oro delle vetrate
e dei ceri accesi
profumo d’incenso
e l’anima in cielo.
Santorini
Silvano Demarchi
Una pagina di Marguerite Yourcenar
I pupi siciliani
La Grecia ha lasciato in Sicilia qualche tempio e qualche grande ricordo; l’influenza araba vi
aleggia onnipresente; il barocco napoletano abbonda; si intravede la Spagna in quella sensazione di siccità austera, ma i conquistatori normanni e angioini hanno lasciato a questo popolo
molto più delle loro cattedrali di Cefalù e di Monreale: gli hanno lasciato una intera tradizione
di leggende eroiche, un popolo di paladini, le cui immagini dagli ingenui colori decoravano
ancora recentemente i carretti di paese, e che fornisce i suoi temi al teatro dei Pupi di Sicilia.
La Chansons de Gestes hanno incontrato un grande successo popolare in ogni regione d’Italia;
Il Tasso e l’Ariosto le avrebbero in seguito adattate ai gusti sfarzosi del Rinascimento; ma qui
in Sicilia non è necessario scavare troppo a fondo per riscoprire intatto il XII secolo francese.
La Sicilia ha raccolto queste belle storie che in Francia sopravvivono soltanto come ricordi eruditi o scolastici. La fille de Roland non è mai stata altro che una brutta commedia per professori, ma a Palermo, nelle case più umili dei quartieri poveri, i ragazzini s’industriano ancora a mettere insieme i pochi centesimi necessari per essere ammessi a maledire Gano, applaudire il
prode Carlomagno e struggersi per la bella Alda.
Lo stile della maggior parte delle marionette italiane si definisce a partire dal XVIII secolo, non
oltre; esse sono contemporanee alla Commedia dell’Arte e al fiorire mondano di Venezia. Lo
stesso si può dire delle marionette di Salisburgo, che ricordano quei teatri di pupazzi che estasiavano Goethe bambino. Il teatro francese del Guignol, meno poetico e più beffardo, ha
anch’esso il fascino sornione del Settecento. Ma i Pupi di Sicilia sono sublimi nella loro ingenuità. Bisogna spingersi sino al Giappone dei Samurai per ritrovare la stessa furia guerriera, o
risalire ai Misteri del Medio Evo per recuperare qualcosa che ne abbia lo stesso fervore.
Molto più grandi e pesanti delle marionette comuni, manovrati anziché con fili con solide aste
di ferro, i Pupi siciliani sono sontuosamente rivestiti di autentiche armature che cozzano insieme con fragore nel corso delle battaglie: hanno il capo ornato di alti pennacchi e trascinano sulle
assi del palco ampi mantelli di velluto. Le figure femminili, in questo mondo di eroici fantocci,
sono rare. Una tragica Alda la bella vestita di nero, come si addice alla fidanzata di un morto,
penzola solitaria a un chiodo tra le quinte di questo stupefacente teatro, il cui impresario è, a
tempo perso, fabbro, armaiolo, sellaio, costumista e scenografo…
Anamorfosi
Poiché è detto
Vivevamo in una chiara città
su una piazza di marmo
circondata da giardini in fiore
uomini e donne nudi
lieti scambiando i nostri desideri
Trasparenti sognanti
sulle rive di un fiume che scendeva
da montagne arcane
ed altipiani evanescenti
Il pianeta essendo puro
la nostra percezione dell’altro
era limpida e diretta
le nostre parole precise e dense
infiammate dalla brace che ciascuno
covava come un bene prezioso
per essere senza vegetare
Forme geometriche
eravamo appuntite ma adattevoli
padroni del nostro corpo
sapevamo farne dono
Chiara era la città
sospesa a un filo di crepuscolo
un grafismo rosa
disegnato dal volo degli uccelli
Andrea Genovese
Poiché è detto che
degli amati alberi
nessuno ci sopravviverà
assai
e insudiciate saranno le
fonti e i boschi cedui
profanati, l’erba dolce
assassinata, gli umili
e gli animali
soprattutto ciò
in noi
noi porteremo il ferro, il fuoco
la scure
e l’oblio
secchi
sino al fondo dell’anima
poiché è detto.
(Trad. dal francese di Bruno Rombi)
Jean Le Boël
Mirabilis jalapi
(Bella di Notte)
Calici aperti all’occhio delle ombre,
tremule ciglia che guardano le stelle,
Bella di Notte ai lati della strada,
ti attraversa il deserto della luna
e tu ne raccogli i silenzi,
leghi sorrisi al sonno degli ulivi.
Chiede umiltà la vita.
Oasi di colore porporino
offri profumi e pozzi di rugiada
alle carovane del vento, mostri
i sentieri del mattino al beduino
che lascia sul tuo labbro orme d’anima
e ne ascolta la sillaba del sogno.
Broadway
Broadway è lunga Avenue
La più lunga, dal porto
Interseca Wall Street.
Era sentiero indiano
Aveva delle curve
Che han lasciate
Per quanto rapacissimi,
L’arco azzurro del giorno
Interseca i Gemelli Altissimi,
lancerà dardi di follia
Sotto è ricavato Winter Garden
sulla corolla della tua purezza
Tutto così bello artificiale
e l’Angelo di Bellezza nel tempo
Che l’ovile in pietra della Ugghia,
dell’attesa ti chiuderà le pupille
‘U Carcatizzu, ‘u lippu
con l’ala premurosa.
Sunu cosi antichi, cosi
Di picurari, o poviru Bamminu
Giovanni Chiellino
Ca nasciti:
Broadway è ricca di policromia,
(da Nel corpo del mutare, marzo 2004)
Adduma e stuta, pittura di mosaici
Con tessere di luci, altro che
Pantocratori d’absidi novelli
Bizantini artisti arabi
E tolleranza calda, convivenza
La “bella di mattina”
Come Palermo del Normanno
ha preso il secchio del pozzo:
dell’Imperatore
vado a chiedere dell’acqua ai vicini.
L’America è di tutti
Chiyojo (703-1775)
e
Pietro Attinasi
La mia amica Morèl
Dipingere con i colori più imprevisti la probabile figura della piccola ninfa diviene uno
scherzo che mi rende agitato. Lei , in perfetta
armonia con le pareti, con le tende, con gli
amuleti, con gli argenti, non immagina lontanamente le proposte che possono intorpidire la
mia mente e con i suoi vent’anni protesta ad
ogni carezza. La lunga fragilità della solitudine
mi attanaglia nelle stesse emozioni che il suo
corpo nudo si accinge a concedere, tra le semplici acrobazie di una volontà impertinente.
Nel silenzio ogni vibrazione percepiva l’esattezza di un palpito, quasi che l’istinto raccomandasse una sfida precisa, ed io arrancavo fra
le sue palpebre per scorgere un segno che
lasciasse aperta la furia della vertigine.
“Sei come il coniglio impaurito per un nonnulla, mio vecchietto arrugginito…” sussurrò per
darmi fastidio.
“Non è vero! Ed il suono delle tue parole non
riesce a sconfiggere. Potranno formare una mia
caduta , ma io scivolerò fra le tue dita per
costringerti ancora a fermare quella lingua
maledetta.”
Gli accenni divennero sempre più profondi.
“ Allora ? Vorresti apparire un centauro con
quel tuo nerbo incallito ?”
Ogni rifiuto sembrava lo strumento della tortura, quasi ben disposto a perdonare le sue esclamazioni , come colui che vede in sogno l’uscio
ben celato della femmina e vorrebbe attraversare l’umido suo tepore per scomparire fra le labbra: un segreto malamente celato, nel timore
che tutto possa scomparire all’improvviso e
lasciare nel voto più assoluto le mani annaspanti.
Ella non possiede alcuna fonte , ride, si contorce, mi sberleffa , con quella sua testa leggera
che lamenta continuamente l’indecenza delle
mie richieste.
Quando tentai di scherzare tra gli urgenti profu-
mi e le incredibili sensazioni , e baci, e morsi, e
pressioni, e cautele nel pendio che scende tra il
seno ed il ventre, moltiplicai il sussurro per
piantare il sobbalzo, finché il suo ciuffo, a colpi
di ariete, non avesse avvolto il mio irrefrenabile martello.
Ripeteva sempre, per una colossale confusione
artistica, le idee che le balenavano nella mente
senza alcun costrutto e senza alcuna attenzione,
come se io fossi stato l’ultimo dei rabdomanti.
La lampada frantumava i riflessi contro le pareti a far convergere lo sguardo ripetutamente a
destra e a manca , con i colori che avevo immaginato per la sua pelle sempre più carezzevole.
“Ti offro l’ultima storia che posso realizzare !
Ti stringo le cosce per un attimo di sudore e tu
lasciami stordire senza parlare.”
“Io parlo, invece, mio piccolo omuncolo dagli
anni imbiancati. Non sarai più capace di illudermi, né sarai più capace di rincorrermi.”
Somigliava a un budino lasciato per caso su una
coperta umidiccia elegantemente ornata di piccoli amuleti. Tolse la camicetta e la scaraventò
lontano , verso la finestra. Ai limiti dell’assurdo il mio torace gonfiava gli orrendi sapori
della disperazione. Una fanciulla così dolce,
così disponibile, così tenera improvvisamente
nemica acerrima della mia passione.
Le palpebre pesanti , stanco di combattere,
immaginavo il dondolio della culla dilatare
secondo l’incastonatura del mio strano malloppo, inferno tra i marmi di un altare.
L’esplosione , rigorosa nel silenzio, segnava lo
sguardo spaesato ed incuriosito , un rivolo di
sudore scorreva lungo la schiena, mentre la mia
piccola Morél legata alla sua imprevedibile
onda di felicità apriva senza alcun pudore le
arcate della carne per rapire ancora una volta la
mia semplicità.
Antonio Spagnuolo
Non amo
La falsità
Non amo
Le persone luride
Non amo
Gli ipocriti
Non amo
L’insolenza
Non amo
Il tradimento
I parenti
E gli amici
Mi ritengono
Uno schizofrenico
***
Ahi
È l’alito del tempo
E di noi
Non resterà nulla
***
Io vivo
E mi sembra
Che
Qualcuno
Mi mastichi
Igor’ Cholin (1920 – 1999)
(Traduzione di Paolo Galvagni)
Il porto somma la terra al mare
Il porto somma la terra al mare. Ogni imbarcadero, per quanto spoglio, non può sottrarsi ad un
destino divino: sottrarre all’humilis l’homo. In
acqua, per quanto macero sia il legno che ne
accompagna le gesta, l’uomo non sta più in terra.
Non è più humilis, poiché sollevato rispetto all’humus da cui è generato. In questo senso l’uomo
non è più una creatura terrestre. Non era umile
Ulisse. Non era umile Colombo. Non era umile il
vichingo che per primo scorticò le gelide spiagge del continente americano. Memori con nostalgia, grati all’humus patrio, ma tesi ad altro,
all’Altro. In quella tensione risiede il loro non
essere terrestri, in quell’eccitazione a volte nefasta che fa spiccare un volo che conduce invece
all’abisso. Non celesti, certo, ma prossimi a quelle divinità marine che tanto possono curvare i
destini.
Il porto somma la terra al mare. ‹‹Perché i tuoi
figli muovono senza arte la quiete delle mie
acque?›› - chiede il mare alla terra. ‹‹Perché tu li
inganni con i tuoi miraggi›› - risponde la terra.
‹‹I tuoi figli scatenano in me la tempesta. Delle
loro carni mi cibo, con i loro sogni mi disseto, e
la mia massima clemenza consiste nel ricondurli
da dove sono fuggiti: da te, terra››.
Idolo Hoxhvogli
L’alternativa dei miei silenzi
fu la parola destinata a perdersi
dentro te o in me
fu la parte più lesa
– non chiedere da chi
da cosa –
io crebbi come te
privata dei miei tentativi
di rivolta
ebbi la città e itinerari già predisposti
ma in me sconfitte
furono graffiti da recuperare
– ma volli continuare –
e al pari di te
ebbi sensibilità
alla provocazione
di un mondo il cui peso
eludeva rivolte e ogni contatto
tra chi ci abitava
anch’io vidi
da un capo all’altro
i miei amici
cadere sotto il fungo
della ribellione
e ogni volta anch’io
averne perso il senso
– e continuare
quando ancora insisti
a chiedermi ragioni
quando le parole
io le coltivo
per un ponte con la vita
quando io
io
Marta Bener
A Marta Bener, in memoria
Resistimi nel cuore
e nel ricordo
come il mare resiste alle stagioni,
giovane come il vento
che giocava con la tua veste…
ACACIE - Ventoso l’aprile quell’anno. Giocava il
vento con le onde del mare, con la tua gonna.
Spettinava le chiome delle palme a Mazara del Vallo,
cioè a metà strada tra Europa e Africa. Giocava con
la tua gonna: belle gambe. Se cerco ti ritrovo in una
foto, in jeans con un maglione rosso sulle spalle, posato come uno scialle. L’altro è un poeta un po’ folle,
non fa che citare i suoi versi.
Nella hall dell’albergo ti ho visto baciare un ragazzo
del luogo: la solita avventura, tu non sai che sarai il
suo racconto per prossimi lunghi inverni; nessuno di
noi sa niente degli inverni futuri, tanto è vero che lasciandoci all’aeroporto di Punta Raisi ci diciamo
arrivederci. Per strada ci siamo fermati a raccogliere
rametti di acacie, poi sei divenuta triste e hai parlato
della tua bambina che ha un nome di stella: ti senti in
colpa, ma passa. Nessuno sa niente degli inverni futuri. Arrivederci.
Ma il nostro amico, quello che guidava l’automobile
e che ci fece fare un giro più lungo per visitare la
tomba di un barone normanno, morì di infarto dopo
qualche anno. Insegnava in una scuola in Puglia.
Viveva solo: un pessimo rapporto con la moglie e
non certo migliore con la vita. Che ne sarà del poeta?
Che ne sarà di tutti gli altri? Già in tanti “dormono
sulla collina”.
Le palme spettinate dal vento, come allora, mi inducono al ricordo. Per qualcuno sarà ancora primavera,
spero lo sia anche per te, per la bambina dal nome di
stella, per quanti rimasti a vegliare nel lungo inverno
che ti vide da donna divenire racconto, poi sogno.
Carmelo Pirrera
LIBRI
La colpa di nessuno
Franco Maniscalchi
Poesia del Novecento in Toscana
Ed. Biblioteca Marucelliana Firenze
pp. 480 – s.i.p.
La colpa è di nessuno
ma la parola scivola via
leggera e assente
come foglia secca
al respiro dell’autunno.
Nicoletta Cherubini
Nautilus
Ed. Cierre Grafica, pp. 48 - s.i.p.
Serena Nunzia Di Lecce
Dopoguerra
Ed. Cierre Grafica, pp. 48 s.i.p.
Arnaldo Bertollo
Il teatrino della scrittura
Ed. Cierre Grafica, pp. 64 – s.i.p.
Raffaele Cecconi, La meraviglia
Genesi Editrice, pp.180 - € 13,00
Andrea Rompianesi, Fides
Scrittura Creativa Edizioni
pp.128 - € 14,00
Pietro Civitareale
Paesaggio con figure
Ed. Orizzonti Meridionali, pp.120 - €10,oo
E nessuno può chiedere venia
sorridendo e calpestando
i sogni sfatti
le stagioni senza ritorno
i sentieri
diventati orgia di sesso e droga.
Mai avrei pensato
all’assenza di una voce amica
alla sfida del tempo alla speranza
al vagare altèro di mostri
e di paure all’ombra inquieta
di un’eco spenta, amara.
Così il mio pensiero si è abbuiato
e la lingua è diventata muta.
Fulvio Castellani
2 Ottobre
Prima che i tuoi occhi
si chiudessero al tempo
ho scritto parole con lacrime del cuore
nelle notti a lume di preghiere
per non farti sentire mai sola
nella sofferenza e nell’anima
perché il tuo dolore era il mio il nostro
e se tu potessi portarle con te
e le altre ancora da scrivere
vadano ad unirsi a loro
tracciandomi la strada
che a te mi farà arrivare.
Giovanni Dino
Da “Materiali per una voce” (1995)
LE COSE
Le cose sono lì dove, per caso, da sempre
il destino le attende. Niente passa, nessuno passa. Solo il passare. Lì: luogo e
tempo indipendenti dal soggetto. Solo il
soggetto può definirli. Per un’occasione:
la convocazione.
CREARE
La creazione ? Un racconto, il racconto,
quel racconto. Inizio che educa all’interminabile. La non volontà di raccontare è
segno della finitudine del creare. La poesia non crea, fa.
INCANTESIMO
Contronatura
La mente è violentata dalle macchine,
al limite della sopportazione;
il progresso
non ha tempi morti,
ma uccide ogni giorno
la dignità dell’anello più debole.
Il ricco Epulone distribuisce
ancora le sue briciole
ai poveri; l’inferno dei deboli
è qui su questa terra,
la Borsa sale come la febbre
che fa ciechi e non vede
chi chiede una moneta, in tram,
per le strade e nelle piazze.
Ottavio Piacentini
Chi chiama ? Chiama chi dà il parlare, chi
ascolta. Chi, è già nella ruota della risposta: chi ama. L’incantesimo allora? essere l’altro, chiamare la parola.
Alberto Cappi
T’
rascorso il Natale, ci sono pervenute
da parte di molti nostri amici e collaboratori tante, ma tante poesie natalizie, di cui alcune molto belle, che saremmo stati lieti
di pubblicare se fossero giunte in tempo.
Ringraziamo tutti e nello scusarci per avere trascurato tanta dovizia di contributi, ci scusiamo ancora per
non avere trovato spazio, o meglio per non avere
ritenuto di doverle pubblicare in questo numero.
Questo fascicolo, il numero 65 della nuova serie, dà
Numero illustrato con disegni di
il via alla pubblicazione per il suo 23° anno (siamo
Nicolò D’Alessandro
sulla breccia dal 1987) e non potevamo cominciare
con poesie che meglio si accordano con la fine e la
ISSIMO
conclusione dell’anno.
Sappiamo che una poesia sul Natale o su altro argoperiodico di promozione culturale
mento non è un quotidiano con una data e una scadell’Associazione Il Vertice - Onlus
denza, che l’indomani lo si può usare soltanto per
fondato e diretto da Carmelo Pirrera
avvolgervi la lattuga, ma, francamente, fare un
Direttore responsabile Anna Barbera
fascicolo con prevalenza di poesie natalizie a febReg. Trib. di Palermo al n. 41/87
braio (in tale mese la rivista perverrà ai lettori), quasi
del 31-12-1987 al registro dei periodici. a cavallo del carnevale ci è sembrato inopportuno.
La collaborazione é per invito e non
Comunque, malgrado gli argomenti addotti, che speretribuita.
riamo siano convincenti, ci sentiamo un po’ colpevoRedazione c/o il Vertice, (Pirrera)
li non verso gli autori ma verso il Natale che le poeVia Norvegia, 2/a - Tel. 091 6702235
sie pervenute sottraggono alla sfera di un vorace
90146 PALERMO
consumismo di bottega. Dunque, grazie a tutti, e a
E-mail: [email protected]
quanti ci sosterranno anche quest’anno rinnovandoAbb. annuo € 15
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Carmelo Pirrera.
intestato a:
Il Vertice /libri - Palermo
Anno XXIII - n. 65 - nuova serie
gennaio - febbraio 2010
Stampa Isola Digitale s.n.c.
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