N. 65 - Gennaio-Febbraio 2010
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N. 65 - Gennaio-Febbraio 2010
Poste Italiane - Spedizione in a.p. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 DCB Palermo Anno XXIII n. 65 nuova serie Gennaio Febbraio 2010 ISSIMO Periodico di promozione culturale dell’Ass. Il Vertice-Onlus …A vizio di lussuria fu sì rotta, che libido fé licito in sua legge, per tòrre il biasmo in che era condotta. (Dante Alighieri, Divina Commedia – canto V 55-57) Colpi La potatura d’alberi rintocca colpo su colpo di pennato. Il freddo fa rilucere i tagli ancora vivi. Tempo che l’uomo in là con gli anni dice: sono com’ero in compagnia del fuoco che avviva e rode la sostanza, veglio su quel che brucia e quel ch’è fatto cenere, tengo fede ai pensieri d’una volta. Pure non è gran cosa, è men che poco. Neve Che silenzio, battuto da un semplice urto di vanga Mi sveglio, atteso dalla neve fresca che mi sorprende in seno al mio calore. Trovano un giorno di duro pallore i miei occhi, la mia languida carne ne teme l’innocenza. Quanti fiocchi, mentre durava la mia dolce assenza, tutta notte han perduto i tetri cieli! Che silente incorrotto deserto, caduto dalle tenebre, qui venne e cancellò i profili della terra abbacinata sotto un candor ampio sordamente accresciuto, e a un luogo solo la fuse, senza voce e senza volto, in cui conosce lo sguardo smarrito i tetti che nascondono un tesoro d’usati giorni, al cielo appena offrendo d’un vago fumo il rito… Paul Valéry (Trad. Beniamino dal Fabbro) Anni, ancora, che quanto viene offerto sotto la specie del dolore tarda a farsi vita vera. Per anni e anni la vita segue la vita con la fedeltà che ha l’ombra mentre scorre il fiume. mentre il filo d’erba trema tra pala e pala della falciatrice e l’uomo appena uscito dalla prova integro o privato del suo bene solleva il capo fino al nuovo colpo. Mario Luzi (da “Dal fondo delle campagne”) Concerto Viola bionda d’amore liquida sera d’occhi nella nota che geme e si raccoglie attorno a un grumo esangue di parole. (L’altro prosegue solo il suo racconto, tutto un sospiro: la muraglia, le pietre, il sole, l’upupa impagliata e relitti di nave, alfine resi). Relitti e sabbia assieme ai nostri libri alle bottiglie vuote con i capelli morti e i pentagrammi dove s’iscrive il freddo dove tremi - estrema nota di rapporto avaro e grembo di tepore che si nega. E’ da te che deriva quest’umore languido, in un barocco musicale, da te che tremi, nota di violino, nell’aria fredda enigma di cristallo; e da un passato d’altre sinfonie ceduto al tempo assieme alle stagioni per svendita coatta che continua per poesie non scritte insonnia e carie. Viola bionda d’amore, un’altra pena si scioglie senza lagrime né eco. L’altro prosegue solo il suo racconto: le pietre, il sole, l’upupa l’inverno. Carmelo Pirrera Per non svegliarti Il mio pensiero ha preso domicilio fisso nel castello, che è dentro di te ed ha difese immunitarie e vallo di acque e ponte levatoio, ma non ho chiave (l’ho smarrita) né corno di richiamo, come quello di Orlando a Roncisvalle. E sono in regola le carte. Tu sollecita vagoli, sorvegli, inquieta, gli spalti della luna e guardi a valle se mai stanco, affardellato non rispunti il reduce delle crociate, polveroso, e bussi appena con nocche riguardose di tenero silenzio, per non svegliarti. Sirio Guerrieri Lontananze Una pagina di Ghiannis Ritsos Rimani con me per un poco. Ricordo quel passo di danza e i piedi sull’erba bagnata. Rivedo il tuo volto di nebbia amica dal cuore segreto. Rimani con me te ne prego. Rimani. Almeno per poco. Quando fa notte Quando fa notte il tempo è un volo d’angeli tristi. …Aspetto la notte sperando che le mie ombre si fondano col buio, per occupare meno spazio, chiudermi nel mio guscio, essere un chicco di grano nella terra. Non ci riesco. Le mie ombre non si fondono con l’oscurità, anzi, al contrario, conquistano intera la notte. E allora mi dilato con esse, stupita, muta, inabissata, con la mia superficie tesa dalla densità del fondo mentre il mio desiderio nudo, bianco, lucente, galleggia sull’oscurità come una donna annegata, la pancia gonfia la vulva tumefatta – una donna con occhi chiusi, rischiarata dalla luna – non annegata, semplicemente galleggiante sul dorso – una dona incinta. Ed eccomi di nuovo ad attendere che in un modo o nell’altro giunga il giorno, che cantino i galli sugli steccati, risuonino nella strada i passi dell’arrotino, del vasaio, dell’erbivendolo ambulante, del pescivendolo, i colpi di martello dei marmista o dei falegnami, che si scindano una ad una le mie ombre, per condividerle e non essere più sola. (da “Fedra”, in Quarta dimensione) Rimane sola l’anima, povera e ricca crudele e dolce. La speranza è una nuvola d’oro tra gli olivi. Nevio Nigro Una pagina di Odissèas Elitis nella traduzione di Tino Sangiglio La ragazza arancio Così tanto la rese ubriaca il succo del sole Che girò la testa e accettò di diventare Piano-piano la piccola Ragazza Arancio! Così mentre brillarono di azzurro i sette cieli Così mentre i cristalli toccarono un fuoco Così mentre fiammeggiarono code di rondini Rimasero stupefatti sopra gli angeli e sotto le ragazze Restarono sbalorditi sopra le cicogne e sotto i pavoni E tutti insieme si radunarono e tutti insieme la videro E tutti insieme gridarono: Ragazza Arancio! S’ubriaca il tralcio e lo scorpione, s’ubriaca il mondo intero Ma la trafittura del giorno il dolore non abbandona L’airone nano le dice tra i piccoli vermi Lo strepito dell’acqua le dice tra gli istanti d’oro Anche la brina le dice sul labbro superiore della buona tramontana (da Sole il Primo) Alzati piccola piccola piccola Ragazza Arancio! Come ti conosce il bacio nessuno ti conosce Neppure il sorridente Dio ti conosce Che con la mano spalanca nell’infuocato riverbero Nuda ti indica ai suoi trentadue venti! Una pagina di Fernando Pessoa Piccola estasi di strada Creazione Il nostro amore stava lì concentrato nello spazio contratto quando un mattino esplose formando stelle e pianeti e sino a quando attraverso pazienti secoli di secoli sbocciò nei nostri corpi che avidi si scontrarono dissolvendosi in estasi pianti e gioie. Amore non ha costume. Lascia che ti baci i piedini e che spinga ancora i miei baci nei tuoi dolci recessi amore non ha costume ed è sempre rosso di voglie. Omar Pirrera Cantava, con voce soavissima, una canzone di un paese lontano. La musica rendeva familiari le parole sconosciute. Sembrava farlo per l’anima, ma non gli somigliava affatto. Con parole velate e melodia umana, la canzone diceva cose che sono nell’anima di tutti e che nessuno conosce. Egli cantava in una specie di sonnolenza, ignorando con lo sguardo gli ascoltatori, in una piccola estasi di strada. Il popolo riunito lo ascoltava senza un grande scherno visibile. La canzone era di tutti e le parole a volte parlavano con noi, segreto orientale di qualche razza perduta. Il rumore della città non si udiva se lo ascoltavamo e le carrozze passavano così vicino che una mi ha sfiorato la giacca aperta. L’ho sentita ma non udita. C’era un trasporto nel canto dello sconosciuto che faceva bene a chi in noi sogna o non vi riesce. Era un evento di strada, e tutti abbiamo notato che il poliziotto aveva lentamente girato l’angolo. Si è avvicinato con la stessa lentezza. Si è fermato per un po’ dietro al ragazzo che vendeva gli ombrelli, come chi vede qualcosa. In quel momento il cantante ha interrotto. Nessuno ha detto niente. Allora il poliziotto è intervenuto. (da Il libro dell’inquietudine) Non sono parole Non ha più voce la voce – Da quando non si affrontano parole (fondali abissi fitti di gioielli ma fu altro tempo) e quelle spaventate si ritraggono – piccoli animali sconfitti. Ora è il silenzio Ora è il silenzio a darmi la sua voce. Con la dolcezza estrema del non detto apre l’azzardo al filo d’una riga su cui scorre in cadenza ogni parola. In silenzio decisa a diventare nuovo senso di vita. Piazza di sabbia Piazza di sabbia immensa Ai confini del cielo. Un po’ d’acqua laggiù tra la sabbia più bianca, e salata, come credo sia più spesso la vita. E i palmeti a darti un attimo di refrigerio con l’illusione di una vita che procede anche se il sole è violento. Bruno Rombi A chi si accosta, si oppone silenzio che lascia nel ricordo orma di nulla (orecchie fossili per troppo ascoltare suoni in trionfo: non sono parole). Stringe le proprie mani. Solitudine: nel letargo ostinato dei richiami – dormenti? morti? – si è pellegrini dell’Invisibile – in esilio. Fryda Rota In cima a un promontorio battuto dai venti a picco sul mare una bianca chiesetta, dentro il pope celebrava una mistica funzione tra lo sfavillio blu/oro delle vetrate e dei ceri accesi profumo d’incenso e l’anima in cielo. Santorini Silvano Demarchi Una pagina di Marguerite Yourcenar I pupi siciliani La Grecia ha lasciato in Sicilia qualche tempio e qualche grande ricordo; l’influenza araba vi aleggia onnipresente; il barocco napoletano abbonda; si intravede la Spagna in quella sensazione di siccità austera, ma i conquistatori normanni e angioini hanno lasciato a questo popolo molto più delle loro cattedrali di Cefalù e di Monreale: gli hanno lasciato una intera tradizione di leggende eroiche, un popolo di paladini, le cui immagini dagli ingenui colori decoravano ancora recentemente i carretti di paese, e che fornisce i suoi temi al teatro dei Pupi di Sicilia. La Chansons de Gestes hanno incontrato un grande successo popolare in ogni regione d’Italia; Il Tasso e l’Ariosto le avrebbero in seguito adattate ai gusti sfarzosi del Rinascimento; ma qui in Sicilia non è necessario scavare troppo a fondo per riscoprire intatto il XII secolo francese. La Sicilia ha raccolto queste belle storie che in Francia sopravvivono soltanto come ricordi eruditi o scolastici. La fille de Roland non è mai stata altro che una brutta commedia per professori, ma a Palermo, nelle case più umili dei quartieri poveri, i ragazzini s’industriano ancora a mettere insieme i pochi centesimi necessari per essere ammessi a maledire Gano, applaudire il prode Carlomagno e struggersi per la bella Alda. Lo stile della maggior parte delle marionette italiane si definisce a partire dal XVIII secolo, non oltre; esse sono contemporanee alla Commedia dell’Arte e al fiorire mondano di Venezia. Lo stesso si può dire delle marionette di Salisburgo, che ricordano quei teatri di pupazzi che estasiavano Goethe bambino. Il teatro francese del Guignol, meno poetico e più beffardo, ha anch’esso il fascino sornione del Settecento. Ma i Pupi di Sicilia sono sublimi nella loro ingenuità. Bisogna spingersi sino al Giappone dei Samurai per ritrovare la stessa furia guerriera, o risalire ai Misteri del Medio Evo per recuperare qualcosa che ne abbia lo stesso fervore. Molto più grandi e pesanti delle marionette comuni, manovrati anziché con fili con solide aste di ferro, i Pupi siciliani sono sontuosamente rivestiti di autentiche armature che cozzano insieme con fragore nel corso delle battaglie: hanno il capo ornato di alti pennacchi e trascinano sulle assi del palco ampi mantelli di velluto. Le figure femminili, in questo mondo di eroici fantocci, sono rare. Una tragica Alda la bella vestita di nero, come si addice alla fidanzata di un morto, penzola solitaria a un chiodo tra le quinte di questo stupefacente teatro, il cui impresario è, a tempo perso, fabbro, armaiolo, sellaio, costumista e scenografo… Anamorfosi Poiché è detto Vivevamo in una chiara città su una piazza di marmo circondata da giardini in fiore uomini e donne nudi lieti scambiando i nostri desideri Trasparenti sognanti sulle rive di un fiume che scendeva da montagne arcane ed altipiani evanescenti Il pianeta essendo puro la nostra percezione dell’altro era limpida e diretta le nostre parole precise e dense infiammate dalla brace che ciascuno covava come un bene prezioso per essere senza vegetare Forme geometriche eravamo appuntite ma adattevoli padroni del nostro corpo sapevamo farne dono Chiara era la città sospesa a un filo di crepuscolo un grafismo rosa disegnato dal volo degli uccelli Andrea Genovese Poiché è detto che degli amati alberi nessuno ci sopravviverà assai e insudiciate saranno le fonti e i boschi cedui profanati, l’erba dolce assassinata, gli umili e gli animali soprattutto ciò in noi noi porteremo il ferro, il fuoco la scure e l’oblio secchi sino al fondo dell’anima poiché è detto. (Trad. dal francese di Bruno Rombi) Jean Le Boël Mirabilis jalapi (Bella di Notte) Calici aperti all’occhio delle ombre, tremule ciglia che guardano le stelle, Bella di Notte ai lati della strada, ti attraversa il deserto della luna e tu ne raccogli i silenzi, leghi sorrisi al sonno degli ulivi. Chiede umiltà la vita. Oasi di colore porporino offri profumi e pozzi di rugiada alle carovane del vento, mostri i sentieri del mattino al beduino che lascia sul tuo labbro orme d’anima e ne ascolta la sillaba del sogno. Broadway Broadway è lunga Avenue La più lunga, dal porto Interseca Wall Street. Era sentiero indiano Aveva delle curve Che han lasciate Per quanto rapacissimi, L’arco azzurro del giorno Interseca i Gemelli Altissimi, lancerà dardi di follia Sotto è ricavato Winter Garden sulla corolla della tua purezza Tutto così bello artificiale e l’Angelo di Bellezza nel tempo Che l’ovile in pietra della Ugghia, dell’attesa ti chiuderà le pupille ‘U Carcatizzu, ‘u lippu con l’ala premurosa. Sunu cosi antichi, cosi Di picurari, o poviru Bamminu Giovanni Chiellino Ca nasciti: Broadway è ricca di policromia, (da Nel corpo del mutare, marzo 2004) Adduma e stuta, pittura di mosaici Con tessere di luci, altro che Pantocratori d’absidi novelli Bizantini artisti arabi E tolleranza calda, convivenza La “bella di mattina” Come Palermo del Normanno ha preso il secchio del pozzo: dell’Imperatore vado a chiedere dell’acqua ai vicini. L’America è di tutti Chiyojo (703-1775) e Pietro Attinasi La mia amica Morèl Dipingere con i colori più imprevisti la probabile figura della piccola ninfa diviene uno scherzo che mi rende agitato. Lei , in perfetta armonia con le pareti, con le tende, con gli amuleti, con gli argenti, non immagina lontanamente le proposte che possono intorpidire la mia mente e con i suoi vent’anni protesta ad ogni carezza. La lunga fragilità della solitudine mi attanaglia nelle stesse emozioni che il suo corpo nudo si accinge a concedere, tra le semplici acrobazie di una volontà impertinente. Nel silenzio ogni vibrazione percepiva l’esattezza di un palpito, quasi che l’istinto raccomandasse una sfida precisa, ed io arrancavo fra le sue palpebre per scorgere un segno che lasciasse aperta la furia della vertigine. “Sei come il coniglio impaurito per un nonnulla, mio vecchietto arrugginito…” sussurrò per darmi fastidio. “Non è vero! Ed il suono delle tue parole non riesce a sconfiggere. Potranno formare una mia caduta , ma io scivolerò fra le tue dita per costringerti ancora a fermare quella lingua maledetta.” Gli accenni divennero sempre più profondi. “ Allora ? Vorresti apparire un centauro con quel tuo nerbo incallito ?” Ogni rifiuto sembrava lo strumento della tortura, quasi ben disposto a perdonare le sue esclamazioni , come colui che vede in sogno l’uscio ben celato della femmina e vorrebbe attraversare l’umido suo tepore per scomparire fra le labbra: un segreto malamente celato, nel timore che tutto possa scomparire all’improvviso e lasciare nel voto più assoluto le mani annaspanti. Ella non possiede alcuna fonte , ride, si contorce, mi sberleffa , con quella sua testa leggera che lamenta continuamente l’indecenza delle mie richieste. Quando tentai di scherzare tra gli urgenti profu- mi e le incredibili sensazioni , e baci, e morsi, e pressioni, e cautele nel pendio che scende tra il seno ed il ventre, moltiplicai il sussurro per piantare il sobbalzo, finché il suo ciuffo, a colpi di ariete, non avesse avvolto il mio irrefrenabile martello. Ripeteva sempre, per una colossale confusione artistica, le idee che le balenavano nella mente senza alcun costrutto e senza alcuna attenzione, come se io fossi stato l’ultimo dei rabdomanti. La lampada frantumava i riflessi contro le pareti a far convergere lo sguardo ripetutamente a destra e a manca , con i colori che avevo immaginato per la sua pelle sempre più carezzevole. “Ti offro l’ultima storia che posso realizzare ! Ti stringo le cosce per un attimo di sudore e tu lasciami stordire senza parlare.” “Io parlo, invece, mio piccolo omuncolo dagli anni imbiancati. Non sarai più capace di illudermi, né sarai più capace di rincorrermi.” Somigliava a un budino lasciato per caso su una coperta umidiccia elegantemente ornata di piccoli amuleti. Tolse la camicetta e la scaraventò lontano , verso la finestra. Ai limiti dell’assurdo il mio torace gonfiava gli orrendi sapori della disperazione. Una fanciulla così dolce, così disponibile, così tenera improvvisamente nemica acerrima della mia passione. Le palpebre pesanti , stanco di combattere, immaginavo il dondolio della culla dilatare secondo l’incastonatura del mio strano malloppo, inferno tra i marmi di un altare. L’esplosione , rigorosa nel silenzio, segnava lo sguardo spaesato ed incuriosito , un rivolo di sudore scorreva lungo la schiena, mentre la mia piccola Morél legata alla sua imprevedibile onda di felicità apriva senza alcun pudore le arcate della carne per rapire ancora una volta la mia semplicità. Antonio Spagnuolo Non amo La falsità Non amo Le persone luride Non amo Gli ipocriti Non amo L’insolenza Non amo Il tradimento I parenti E gli amici Mi ritengono Uno schizofrenico *** Ahi È l’alito del tempo E di noi Non resterà nulla *** Io vivo E mi sembra Che Qualcuno Mi mastichi Igor’ Cholin (1920 – 1999) (Traduzione di Paolo Galvagni) Il porto somma la terra al mare Il porto somma la terra al mare. Ogni imbarcadero, per quanto spoglio, non può sottrarsi ad un destino divino: sottrarre all’humilis l’homo. In acqua, per quanto macero sia il legno che ne accompagna le gesta, l’uomo non sta più in terra. Non è più humilis, poiché sollevato rispetto all’humus da cui è generato. In questo senso l’uomo non è più una creatura terrestre. Non era umile Ulisse. Non era umile Colombo. Non era umile il vichingo che per primo scorticò le gelide spiagge del continente americano. Memori con nostalgia, grati all’humus patrio, ma tesi ad altro, all’Altro. In quella tensione risiede il loro non essere terrestri, in quell’eccitazione a volte nefasta che fa spiccare un volo che conduce invece all’abisso. Non celesti, certo, ma prossimi a quelle divinità marine che tanto possono curvare i destini. Il porto somma la terra al mare. ‹‹Perché i tuoi figli muovono senza arte la quiete delle mie acque?›› - chiede il mare alla terra. ‹‹Perché tu li inganni con i tuoi miraggi›› - risponde la terra. ‹‹I tuoi figli scatenano in me la tempesta. Delle loro carni mi cibo, con i loro sogni mi disseto, e la mia massima clemenza consiste nel ricondurli da dove sono fuggiti: da te, terra››. Idolo Hoxhvogli L’alternativa dei miei silenzi fu la parola destinata a perdersi dentro te o in me fu la parte più lesa – non chiedere da chi da cosa – io crebbi come te privata dei miei tentativi di rivolta ebbi la città e itinerari già predisposti ma in me sconfitte furono graffiti da recuperare – ma volli continuare – e al pari di te ebbi sensibilità alla provocazione di un mondo il cui peso eludeva rivolte e ogni contatto tra chi ci abitava anch’io vidi da un capo all’altro i miei amici cadere sotto il fungo della ribellione e ogni volta anch’io averne perso il senso – e continuare quando ancora insisti a chiedermi ragioni quando le parole io le coltivo per un ponte con la vita quando io io Marta Bener A Marta Bener, in memoria Resistimi nel cuore e nel ricordo come il mare resiste alle stagioni, giovane come il vento che giocava con la tua veste… ACACIE - Ventoso l’aprile quell’anno. Giocava il vento con le onde del mare, con la tua gonna. Spettinava le chiome delle palme a Mazara del Vallo, cioè a metà strada tra Europa e Africa. Giocava con la tua gonna: belle gambe. Se cerco ti ritrovo in una foto, in jeans con un maglione rosso sulle spalle, posato come uno scialle. L’altro è un poeta un po’ folle, non fa che citare i suoi versi. Nella hall dell’albergo ti ho visto baciare un ragazzo del luogo: la solita avventura, tu non sai che sarai il suo racconto per prossimi lunghi inverni; nessuno di noi sa niente degli inverni futuri, tanto è vero che lasciandoci all’aeroporto di Punta Raisi ci diciamo arrivederci. Per strada ci siamo fermati a raccogliere rametti di acacie, poi sei divenuta triste e hai parlato della tua bambina che ha un nome di stella: ti senti in colpa, ma passa. Nessuno sa niente degli inverni futuri. Arrivederci. Ma il nostro amico, quello che guidava l’automobile e che ci fece fare un giro più lungo per visitare la tomba di un barone normanno, morì di infarto dopo qualche anno. Insegnava in una scuola in Puglia. Viveva solo: un pessimo rapporto con la moglie e non certo migliore con la vita. Che ne sarà del poeta? Che ne sarà di tutti gli altri? Già in tanti “dormono sulla collina”. Le palme spettinate dal vento, come allora, mi inducono al ricordo. Per qualcuno sarà ancora primavera, spero lo sia anche per te, per la bambina dal nome di stella, per quanti rimasti a vegliare nel lungo inverno che ti vide da donna divenire racconto, poi sogno. Carmelo Pirrera LIBRI La colpa di nessuno Franco Maniscalchi Poesia del Novecento in Toscana Ed. Biblioteca Marucelliana Firenze pp. 480 – s.i.p. La colpa è di nessuno ma la parola scivola via leggera e assente come foglia secca al respiro dell’autunno. Nicoletta Cherubini Nautilus Ed. Cierre Grafica, pp. 48 - s.i.p. Serena Nunzia Di Lecce Dopoguerra Ed. Cierre Grafica, pp. 48 s.i.p. Arnaldo Bertollo Il teatrino della scrittura Ed. Cierre Grafica, pp. 64 – s.i.p. Raffaele Cecconi, La meraviglia Genesi Editrice, pp.180 - € 13,00 Andrea Rompianesi, Fides Scrittura Creativa Edizioni pp.128 - € 14,00 Pietro Civitareale Paesaggio con figure Ed. Orizzonti Meridionali, pp.120 - €10,oo E nessuno può chiedere venia sorridendo e calpestando i sogni sfatti le stagioni senza ritorno i sentieri diventati orgia di sesso e droga. Mai avrei pensato all’assenza di una voce amica alla sfida del tempo alla speranza al vagare altèro di mostri e di paure all’ombra inquieta di un’eco spenta, amara. Così il mio pensiero si è abbuiato e la lingua è diventata muta. Fulvio Castellani 2 Ottobre Prima che i tuoi occhi si chiudessero al tempo ho scritto parole con lacrime del cuore nelle notti a lume di preghiere per non farti sentire mai sola nella sofferenza e nell’anima perché il tuo dolore era il mio il nostro e se tu potessi portarle con te e le altre ancora da scrivere vadano ad unirsi a loro tracciandomi la strada che a te mi farà arrivare. Giovanni Dino Da “Materiali per una voce” (1995) LE COSE Le cose sono lì dove, per caso, da sempre il destino le attende. Niente passa, nessuno passa. Solo il passare. Lì: luogo e tempo indipendenti dal soggetto. Solo il soggetto può definirli. Per un’occasione: la convocazione. CREARE La creazione ? Un racconto, il racconto, quel racconto. Inizio che educa all’interminabile. La non volontà di raccontare è segno della finitudine del creare. La poesia non crea, fa. INCANTESIMO Contronatura La mente è violentata dalle macchine, al limite della sopportazione; il progresso non ha tempi morti, ma uccide ogni giorno la dignità dell’anello più debole. Il ricco Epulone distribuisce ancora le sue briciole ai poveri; l’inferno dei deboli è qui su questa terra, la Borsa sale come la febbre che fa ciechi e non vede chi chiede una moneta, in tram, per le strade e nelle piazze. Ottavio Piacentini Chi chiama ? Chiama chi dà il parlare, chi ascolta. Chi, è già nella ruota della risposta: chi ama. L’incantesimo allora? essere l’altro, chiamare la parola. Alberto Cappi T’ rascorso il Natale, ci sono pervenute da parte di molti nostri amici e collaboratori tante, ma tante poesie natalizie, di cui alcune molto belle, che saremmo stati lieti di pubblicare se fossero giunte in tempo. Ringraziamo tutti e nello scusarci per avere trascurato tanta dovizia di contributi, ci scusiamo ancora per non avere trovato spazio, o meglio per non avere ritenuto di doverle pubblicare in questo numero. Questo fascicolo, il numero 65 della nuova serie, dà Numero illustrato con disegni di il via alla pubblicazione per il suo 23° anno (siamo Nicolò D’Alessandro sulla breccia dal 1987) e non potevamo cominciare con poesie che meglio si accordano con la fine e la ISSIMO conclusione dell’anno. Sappiamo che una poesia sul Natale o su altro argoperiodico di promozione culturale mento non è un quotidiano con una data e una scadell’Associazione Il Vertice - Onlus denza, che l’indomani lo si può usare soltanto per fondato e diretto da Carmelo Pirrera avvolgervi la lattuga, ma, francamente, fare un Direttore responsabile Anna Barbera fascicolo con prevalenza di poesie natalizie a febReg. Trib. di Palermo al n. 41/87 braio (in tale mese la rivista perverrà ai lettori), quasi del 31-12-1987 al registro dei periodici. a cavallo del carnevale ci è sembrato inopportuno. La collaborazione é per invito e non Comunque, malgrado gli argomenti addotti, che speretribuita. riamo siano convincenti, ci sentiamo un po’ colpevoRedazione c/o il Vertice, (Pirrera) li non verso gli autori ma verso il Natale che le poeVia Norvegia, 2/a - Tel. 091 6702235 sie pervenute sottraggono alla sfera di un vorace 90146 PALERMO consumismo di bottega. Dunque, grazie a tutti, e a E-mail: [email protected] quanti ci sosterranno anche quest’anno rinnovandoAbb. annuo € 15 ci la loro stima e la loro attenzione, saremo lieti di sostenitore € 25 inviare in omaggio un piccolo libro di versi di c/c postale n. 10171908 Carmelo Pirrera. intestato a: Il Vertice /libri - Palermo Anno XXIII - n. 65 - nuova serie gennaio - febbraio 2010 Stampa Isola Digitale s.n.c. via Leonardo Da Vinci, 400 tel. 091 407750 - 90135 PALERMO Ai nostri lettori ricordiamo di rinnovare l’abbonamento GRAZIE