file - Aras Edizioni

Transcript

file - Aras Edizioni
Prefazione
“…e come quando qualcuno viene a casa mia…e portano via la polvere dai mobili che a me, invece, piace tanto.
Non so se esistano le ali della farfalla ma è la polvere che
la fa volare. Ogni uomo ha le piccole polveri del passato
che deve sentirsi addosso e che non deve perdere: sono
il suo cammino” (Alda Merini). Mi piace stringere in un
pugno di parole l’immagine che mi detta, in un groviglio
di pensieri, la prima lettura di questo libro – cronaca della
memoria. Un diario che resterà, negli anni, un luogo indelebile nella mente di coloro che hanno vissuto direttamente
episodi, leggende, persone; di chi, come la maestra Bruna,
ha condiviso spazi immersi nella bellezza mutante delle stagioni, dalla accesa alba dell’estate al palcoscenico brumoso
dell’autunno, dal manto candido e polare di “mamma neve”
(Raffaele Gerardi) all’ebbrezza del risvegliarsi dei colori e
delle irrefrenabili emozioni del disgelo. Noi umani, in questo ciondolare stanco del quotidiano, siamo esseri vaganti,
sempre con la valigia in mano. Ognuno, a modo suo, cerca,
col tempo che passa sempre più inesorabile, di dare una
pennellata di acquerello ai sentimenti di un, più o meno
eterno, senso di precarietà. Anche io, ammetto l’ignoranza,
non avevo mai sentito parlare di Lupaiolo, piccolo paese
del comune di Lunano in provincia di Pesaro e Urbino, nonostante frequentassi con curiosità immensa quelle strade
svirgolanti e quelle panoramiche di quadri dove la natura ha
il sopravvento nel vortice infinito del paesaggio. La prima
volta che accadde ebbi la stessa vibrante sensazione della
maestra Bruna: “Per non parlare del vento che a Lupaiolo
7
spesso soffiava implacabile e quando si scatenava sembrava
davvero che branchi di lupi famelici ululassero sotto il dirupo…”. Non voglio soffermarmi e restringere commenti e premesse solo ed esclusivamente su quella comunità
di valori che ha cadenzato il tempo del borgo a sentinella
dello sperone del Logo. Ogni volta che vado a calpestare,
con passo felpato, le strade ed i sentieri di Lupaiolo, rivedo,
come fosse una fotografia in bianco e nero, i solchi delle
ruote dei carri trainati da buoi antichi. Ora, questo testo
mi permette di seguire, orma su orma, la salita dalla valle
ai contrafforti della collina, “della maestra con la valigia”.
Vorrei invitare tutti coloro che continuano metaforicamente ad alzare la testa dal letto e dalle sponde dove scorre il
dolce e ritmante Mutino a ripensare, per un istante, a un
borgo in cui si era radicata la storia dei Malatesta e, forse,
dei Pallavicino. Fino alla fine degli anni Sessanta aveva mura
e case impettite finchè la stupidità e la ricerca del denaro
facile, in pochi secondi, ha tramutato gli uomini in belve per
togliersi di mezzo un eventuale vincolo architettonico. Si è
bruciato e raso al suolo, con le pale meccaniche, la Storia,
per impiantare cave (“la storia siamo noi questo rumore che
rompe il silenzio, questo silenzio così duro da masticare…
La storia non ha nascondigli, la storia non passa la mano...”,
Francesco De Gregori). In uno dei tanti convegni per la
difesa e la conservazione di Lupaiolo e del Logo ascoltai
l’intervento del prof. Ubaldi, che spero continui a rimbombare come eco per tutto il resto del domani che verrà.
Gridò, quell’uomo che onora ancora il tempo e la bellezza
dello spazio: “Lupaiolo è diventato quello che è diventato.
Una cosa pietosa. Scomparso in un batter di ciglia. Le ruspe sulla chiesetta non hanno avuto nemmeno il pudore
di aspettare il tempo necessario ad una giusta riflessione. I
8
signori delle cave non ne hanno riconosciuto, pur cristiani,
la sacralità. Niente è più sacro dei silenzi di quei luoghi che
le piccole ambizioni dell’uomo hanno voluto profanare. Siti
che hanno anche subito l’impatto di una discarica. Ci si è
intestarditi a distruggere cose che valgono. Nemmeno fossimo dei talebani che sparano sui Budda”.
Il compito di ogni uomo è amare il suo territorio e sostenerne la dignità e la grandezza. È cercare che la sua terra sia
tutelata dalle minacce, difesa dai malintenzionati e portata al
più alto grado di civiltà in cui i valori della bellezza e la felice
convivenza si esprimono nel modo migliore. Ora il sogno
si realizza. Il libro della maestra Bruna è una testimonianza
incredibile di cosa possa il ricordo. Il suo racconto nasce
sull’unica via (ma sembra una ragnatela di vita) di questo
borgo, dall’incontro magico e, per certi versi, immortale,
con i focolai contadini che si raccontano addosso secoli di
conoscenza, di comprensione, di miserie ricche e di pietà.
Vorrei quasi dire che la maestra Bruna è stata a Lupaiolo
da sempre e sempre resterà anche nei secoli futuri, mescolandosi al fruscio dei rami, al rumore percettibile delle sere,
al volteggiare delle foglie, ai sassi ed alle pietre così preziose. La maestra Bruna ha raccolto parole, frasi, grida, refoli
di voci lontane per raccontarle a sua volta e tramandarle
con la semplicità e la dignità sobria di chi mai dimenticherà. Serberà intatto l’amore sincero e forte delle storie che
non l’hanno solo sfiorata ma le sono entrate dentro l’anima
come un cordone ombelicale. I suoi versi (il racconto è una
lunga ed autentica poesia) si sviluppano, come aria leggera,
all’insegna di una profonda nostalgia per quei territori della
prima giovinezza, per un borgo che non vuole morire e si
aggrappa a quella “signorina”, fonte di sapere e di insegnamenti, per i caratteri della gente così diversi da amalgamarsi
9
in un unico abbraccio, in uno “scarabocchio” di impressioni colte al volo, annotazioni fulminee. Lupaiolo c’era chissà
da quanto tempo… Gli storici e gli studiosi possono ipotizzare epoche più o meno giuste. Di un borgo che avrebbe
meritato ben altra considerazione rimane la polvere. Quella
stessa polvere che fa volare le farfalle nonostante lo stravolgimento urbanistico assurdo dei territori e delle attività
che vi si compiono. La maestra Bruna, con la sua valigia
strabordante profili e scenari, la povera roba di umili case
dove si masticava con dignità il pane quotidiano frutto di
un lavoro di schiene e gambe spezzate, fino a quanto sarà
lungo il sempre, ci permetterà di guardare oltre, come quelle piante onuste di storia che circondano le povere macerie
di Lupaiolo (a quando il mea culpa?), simbolo vivente di
una resistenza possibile, condita da mille domande di cui
avranno piene le chiome.
Eugenio Gulini
10