Gli scrittori e la lingua fiorentina T1

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Gli scrittori e la lingua fiorentina T1
PIETRO BEMBO dalle Prose della volgar lingua
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Gli scrittori e la lingua fiorentina
In questi capitoli (il XIV e il XV del libro I) il Bembo espone i princìpi fondamentali della tesi da lui sostenuta
nelle Prose della volgar lingua.
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Bene e ragionevolmente, sì come egli sempre fa, rispose messer Trifone al Calmeta1, – disse il Magnifico2 – in ciò che raccontato ci avete. Ma egli l’arebbe3 per aventura4 potuto strignere con più forte
nodo5, e arebbel fatto, se non l’avesse, sì come io stimo, la sua grande e naturale modestia ritenuto6. –
E quale è questo nodo più forte, Giuliano, – disse lo Strozza7 – che voi dite? – È – diss’egli – che quella lingua che esso all’altre tutte prepone8, non solamente non è di qualità da preporre ad alcuna, ma
io non so ancora se dire si può, che ella sia veramente lingua. – Come, che ella non sia lingua? – disse
messer Ercole – non si parla e ragiona egli in corte di Roma a modo niuno9? – Parlavisi10 – rispose il
Magnifico – e ragionavisi medesimamente come negli altri luoghi; ma questo ragionare per aventura
e questo favellare tuttavia non è lingua, perciò che11 non si può dire che sia veramente lingua alcuna
favella12 che non ha scrittore. Già non si disse alcuna delle cinque greche lingue13 esser lingua per altro, se non perciò che si trovavano in quella maniera di lingua molti scrittori. Né la latina lingua chiamiamo noi lingua, solo che14 per cagion di Plauto, di Terenzio, di Virgilio, di Varrone, di Cicerone15 e
degli altri che, scrivendo, hanno fatto che ella è lingua, come si vede. Il Calmeta scrittore alcuno non
ha da mostrarci, della lingua che egli cotanto loda agli scrittori. Oltre acciò ogni lingua alcuna qualità ha in sé, per la quale essa è lingua o povera o abondevole16 o tersa17 o rozza o piacevole o severa, o
altre parti ha a queste simili che io dico; il che dimostrare con altro testimonio18 non si può che di coloro che hanno in quella lingua scritto. Perciò che se io volessi dire che la fiorentina lingua più regolata19 si vede essere, più vaga20, più pura che la provenzale, i miei due Toschi21 vi porrei innanzi, il Boccaccio e il Petrarca senza più22, come che molti ve n’avesse degli altri, i quali due tale fatta l’hanno,
quale essendo non ha da pentirsi23. Il Calmeta quale auttore ci recherà per dimostrarci che la sua lingua queste o quelle parti ha, per le quali ella sia da preporre alla mia? sicuramente non niuno24, che
di nessuno si sa che nella cortigiana lingua scritto abbia infino a questo giorno –. Quivi tramettendo-
1. Trifone ... Calmeta: messer Gabriele Trifone, veneziano, caro amico del Bembo. Vincenzo Colli o de’ Colli, detto il Calmeta (Isola
di Schio, Vicenza, 1460 circa - Roma, 1508),
umanista italiano. Sostenne una lingua e una
letteratura cortigiana fondata sulla sintesi delle parlate originarie raggiunta alla corte pontificia. Espresse queste sue convinzioni nei Nove libri della volgar poesia, opera che non ci è
giunta. Le sue teorie devono però aver avuto,
all’epoca, una notevole risonanza, se è vero
che ritroviamo il Calmeta a propugnare le proprie idee all’interno del Cortegiano di Baldesar Castiglione. Negli anni Cinquanta del nostro secolo è stata scoperta e pubblicata una
raccolta di Prose e lettere, dove il Calmeta,
mettendo a frutto la sua esperienza in diverse città principesche italiane, si dimostra abile e attento osservatore della vita di corte, oltre che fine e impegnato critico letterario.
2. il Magnifico: è Giuliano de’ Medici (Firenze, 1479 - ivi, 1516), figlio di Lorenzo il Magnifico. Fu per qualche tempo alla guida di Firenze, poi andò a Roma presso il fratello, papa Leone X, che gli assegnò le Signorie di
Parma, Piacenza, Modena e Reggio. Uomo
mite e colto, amò le lettere e si distinse con
qualche prova poetica. L’intimità con il Bembo è la ragione per cui diventa nelle Prose della volgar lingua il sostenitore dell’eccellenza
della lingua letteraria fiorentina.
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3. arebbe: avrebbe. Più sotto arebbel: lo
avrebbe.
4. per aventura: per caso (qui nel senso di
“se avesse voluto”).
5. strignere ... nodo: imbrigliare con un’argomentazione più mirata e decisa.
6. ritenuto: trattenuto.
7. lo Strozza: più sotto nominato anche come messer Ercole; si tratta di Ercole Strozzi
(Ferrara, 1473 - ivi, 1508), poeta, figlio del più
noto Tito Vespasiano Strozzi (Ferrara, 1424 ivi, 1505), dal quale fu appunto avviato alla
poesia. Alla scuola di Manuzio apprese bene
il latino, componendo elegie di rara eleganza
e di squisita fattura. Di lui ci sono pervenuti
anche cinque sonetti in italiano. Fu ucciso in
circostanze misteriose, forse per ordine del duca Alfonso I, che, pare, si invaghì della bella e
colta moglie dello Strozzi, la poetessa Barbara Torelli. La sua opera fu pubblicata nel 1514
insieme a quella del padre, in un volume intitolato Strozii poetae pater et filius.
8. prepone: mette davanti, antepone.
9. a modo niuno: in nessun modo (è detto
ironicamente).
10. Parlavisi: vi si parla (ragionare sta per
“discutere, conversare”).
11. perciò che: perché.
12. alcuna favella: una lingua (prima favellare, parlare). Una lingua si può definire tale solo quando sia stata usata da grandi scrit-
tori.
13. cinque ... lingue: il greco antico si può
distinguere in varietà morfologiche di tipo
geografico (l’attico, il dorico, lo ionico, eccetera), che tutte raggiunsero la dignità di lingua perché in esse si espressero numerosi autori.
14. solo che: non per altro che.
15. Plauto ... Cicerone: alcuni dei più celebri scrittori latini (Plauto e Terenzio sono i
maggiori esponenti del teatro comico, Marco
Terenzio Varrone un grande erudito).
16. abondevole: ricca, piena di locuzioni.
17. tersa: pulita, cristallina, pura.
18. testimonio: testimonianza, documentazione.
19. regolata: in quanto retta da un sistema
di precise e stabili regole grammaticali.
20. vaga: piacevole, dilettevole (il Bembo usa
un criterio estetico per valutare i pregi di una
lingua).
21. Toschi: toscani.
22. senza più: senz’altro (sebbene – come
se – ci siano – ve ne fosse – molti altri scrittori tutt’altro che trascurabili).
23. tale ... pentirsi: l’hanno resa talmente
perfetta che, essendo così com’è, non ha certo da pentirsi (in quanto non potrebbe desiderare di essere migliore).
24. non niuno: neanche uno, nessuno.
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si25 messer Ercole: – A questo modo – disse – si potranno per aventura le parole di messer Carlo26 far
vere, che non essendo lingua quella che il Calmeta per lingua a tutte le italiane lingue prepone, niun
popolo della Italia dolere si potrà della sua sentenza. Ma io non per questo sarò, Giuliano, fuori del
dubbio che io vi proposi27. – Sì sarete sì28, – rispose il Magnifico – se29 voi per aventura seguitar quegli altri non voleste, i quali perciò che non sanno essi ragionar toscanamente, si fanno30 a credere che
ben fatto sia quelli biasimare che così ragionano; per la qual cosa essi la costoro diligenza schernendo31, senza legge alcuna scrivono, senza avertimento32, e comunque33 gli porta la folle e vana licenza,
che essi da sé s’hanno presa, così ne vanno ogni voce di qualunque popolo34, ogni modo sciocco, ogni
stemperata35 maniera di dire ne’ loro ragionamenti portando, e in essi affermando che così si dee fare; o pure se voi al Bembo vi farete dire36, perché è, che37 messer Pietro suo fratello i suoi Asolani libri38 più tosto in lingua fiorentina dettati39 ha, che in quella della città sua40 –. Allora mio fratello, senza altro priego41 di messer Ercole aspettare, disse: – Hallo42 fatto per quella cagione, per la quale molti Greci, quantunque Ateniesi non fossero, pure più volentieri i loro componimenti in lingua attica
distendeano43 che in altra, sì come quella che è nel vero44 più vaga e più gentile –.
– È adunque la fiorentina lingua – disse lo Strozza – più gentile e più vaga, messer Carlo, della
vostra? – È45 senza dubbio alcuno, – rispose egli – né mi ritrarrò46 io, messer Ercole, di confessare
a voi quello che mio fratello a ciascuno ha confessato, in quella lingua più tosto che in questa47 dettando e commentando. – Ma perché è48, – rispose lo Strozza – che quella lingua più gentile sia che
la vostra? – Allora disse mio fratello: – Egli si potrebbe dire in questa sentenza49, messer Ercole,
molte cose; perciò che primieramente50 si veggono le toscane voci51 miglior suono avere, che non
hanno le viniziane, più dolce, più vago, più ispedito52, più vivo; né elle tronche si vede che sieno e
mancanti53, come si può di buona parte delle nostre vedere, le quali niuna lettera raddoppiano giamai54. Oltre a questo, hanno il loro cominciamento più proprio55, hanno il mezzo più ordinato, hanno più soave e più delicato il fine, né sono così sciolte56, così languide; alle regole hanno più risguardo57, a’ tempi, a’ numeri58, agli articoli, alle persone. Molte guise del dire59 usano i toscani uomini, piene di giudicio60, piene di vaghezza, molte grate61 e dolci figure62 che non usiam noi, le quali
cose quanto adornano, non bisogna che venga in questione63. Ma io non voglio dire ora, se non questo: che la nostra lingua, scrittor di prosa che si legga e tenga per mano ordinatamente, non ha ella
alcuno; di verso, senza fallo, molti pochi64; uno de’ quali più in pregio è stato a’ suoi tempi, o pure a’
nostri, per le maniere del canto, col quale esso mandò fuori le sue canzoni, che per quella della scrittura, le quali canzoni dal sopranome di lui sono poi state dette e ora si dicono le Giustiniane65. E se
25. tramettendosi: intromettendosi, intervenendo nella discussione.
26. messer Carlo: è Carlo Bembo, fratello
dell’autore e sostenitore della sua tesi.
27. fuori ... proposi: il dubbio, al quale Ercole Strozzi non riesce a sottrarsi, riguarda la
parlata da adottare fra quelle italiane per scrivere un’opera in volgare.
28. Sì sarete sì: lo sarete certamente (è una
forma enfatica di raddoppiamento).
29. se: a meno che.
30. si fanno: sono indotti.
31. la costoro ... schernendo: deridendo,
facendosi beffe dell’impegno di costoro.
32. avertimento: avvertenza, attenzione.
33. comunque: in qualunque modo.
34. ogni ... popolo: qualsiasi espressione
popolare.
35. stemperata: sregolata, smodata.
36. o pure ... dire: oppure uscirete dal dubbio (sottinteso) se vi farete dire dal Bembo.
37. perché è, che: per quale ragione.
38. Asolani libri: si ricordi che, negli Asolani, il Bembo ebbe come modello lessicale e
stilistico la prosa del Boccaccio.
39. dettati: scritti. Già nella letteratura latina medievale (si ricordino le artes dictandi) e
in quella volgare delle origini, “dettare” significava comporre un testo seguendo le regole retoriche della prosa d’arte.
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40. città sua: Venezia.
41. priego: preghiera, invito.
42. Hallo: lo ha.
43. distendeano: stendevano, scrivevano.
44. nel vero: per la verità.
45. È: lo è.
46. mi ritrarrò: mi rifiuterò.
47. in quella ... questa: nella lingua fiorentina piuttosto che in quella veneziana.
48. è: avviene, succede.
49. in questa sentenza: a favore di questa opinione.
50. primieramente: per prima cosa.
51. voci: parole, vocaboli.
52. ispedito: spedito, agile.
53. né elle ... mancanti: cioè non vi sono
parole toscane che alla fine perdano un suono vocalico o una sillaba, come accade spesso nel dialetto veneziano.
54. niuna ... giamai: è noto che i veneti,
nella loro parlata, sono soliti fare uso di consonanti scempie, cioè semplici, non doppie.
55. proprio: appropriato.
56. sciolte: allentate.
57. risguardo: rispetto, riguardo.
58. numeri: le distinzioni fra singolare e plurale.
59. guise del dire: espressioni, locuzioni
(guise: modi, forme).
60. giudicio: avvedutezza, accortezza.
61. grate: piacevoli, gradite.
62. figure: figure retoriche, immagini.
63. non ... questione: non è necessario che
ne parli.
64. la nostra ... pochi: la lingua veneziana
(nostra) non ha nessuno scrittore in prosa che
si legga e ci si accompagni (tenga per mano)
in maniera regolare e ordinata; per quanto riguarda i poeti (in verso: gli autori di versi),
senza alcun dubbio (senza fallo), ne ha molto pochi.
65. le Giustiniane: sono le Canzonette e
gli Strambotti per cui è noto Leonardo Giustinian (Venezia, 1388 - ivi, 1446), uomo politico e letterato fecondo, fine traduttore dal latino e dal greco. Questi componimenti, quasi
tutti di argomento amoroso, diffusi a stampa
a partire dal 1474 e musicati dallo stesso Giustinian, furono così ammirati e imitati che le
numerose canzonette scritte sul loro modello
vennero chiamate appunto “giustiniane” o
“veneziane”. Il successo derivò per buona parte dall’originale fusione del tono popolare con
una lingua colta, elegante ma efficace, lontana sia dall’esempio toscano che dallo “sperimentalismo” padano. Secondo il Bembo, Leonardo Giustinian è stato più apprezzato (in
pregio) per la musica (le maniere del canto) che per i risultati poetici (la scrittura).
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il Cosmico66 è stato letto già, e ora si legge, è forse perciò che egli non ha in tutto composto vinizianamente, anzi s’è egli dal suo natio parlare più che mezzanamente discostato. La qual povertà e mancamento di scrittori, istimo essere avenuto perciò che nello scrivere la lingua non sodisfà, posta, dico,
nelle carte tale quale ella è nel popolo ragionando e favellando, e pigliarla dalle scritture non si può,
ché degni e accettati scrittori noi, come io dissi, non abbiamo67. Là dove68 la toscana e nel parlare è vaga e nelle scritture si legge ordinatissima69, con ciò sia cosa che70 ella, da molti suoi scrittori di tempo
in tempo indirizzata71, è ora in guisa72 e regolata e gentile, che oggimai poco desiderare si può più oltra, massimamente veggendosi quello, che non è meno che altro da disiderare che vi sia, e ciò è che allei copia e ampiezza non mancano73. La qual cosa scorgere si può per questo, che ella, e alle quantunque alte e gravi materie dà bastevolmente voci che le spongono, niente meno che si dia la latina, e alle basse e leggiere altresì74; a’ quali due stremi quando si sodisfà, non è da dubitare che al mezzano
stato75 si manchi. Anzi alcuna volta eziandio76 più abondevole si potrebbe per aventura dire che ella
fosse. Perciò che rivolgendo ogni cosa77, con qual voce i latini dicano quello che da’ toscani molto usatamente valore è detto, non troverete. E perciò che tanto sono le lingue belle e buone più e meno l’una
dell’altra, quanto elle più o meno hanno illustri e onorati scrittori, sicuramente dire si può, messer Ercole, la fiorentina lingua essere non solamente della mia, che senza contesa la si mette innanzi, ma
ancora di tutte l’altre volgari, che a nostro conoscimento pervengono, di gran lunga primiera. – Bella
e piena loda è questa, Giuliano, del vostro parlare, – disse lo Strozza – e, come io stimo, ancor vera, poi
che ella da istrano78 e da giudicioso uomo gli è data. Ma voi, messer Federigo79, che ne dite? parvi egli
che così sia? – Parmi senza dubbio alcuno, – rispose messer Federigo – e dicone quello stesso che messer Carlo ne dice; il che si può credere ancora per questo, che non solamente i viniziani compositori di
rime con la fiorentina lingua scrivono, se letti vogliono essere dalle genti, ma tutti gli altri italiani ancora. Di prosa non pare già, che ancor si veggano, oltra i toscani, molti scrittori. E di ciò anco non è maraviglia, con ciò sia cosa che la prosa molto più tardi è stata ricevuta dall’altre nazioni che il verso.
Perché voi vi potete tener per contento, Giuliano, al quale ha fatto il cielo natio e proprio quel parlare, che gli altri Italiani uomini per elezione seguono, et è loro istrano –.
66. il Cosmico: Niccolò Lelio Cosmico, di
Padova, poeta e umanista attivo nella seconda metà del XV secolo. Autore di versi bizzarri, in italiano e in latino, si può considerare per
certi aspetti un precursore della poesia maccheronica, che avrà nel Folengo il suo massimo esponente. Per queste ragioni (per ciò
che, perché) egli non ha completamente poetato (composto) seguendo il dialetto veneziano (vinizianamente), ma si è staccato (discostato) in maniera molto sensibile (più che
mezzanamente) dalla sua parlata nativa.
67. La qual povertà ... non abbiamo:
Penso (istimo) che lo scarso numero e infine
l’assenza (mancamento) di scrittori si sia verificata (essere avvenuto) perché (per ciò
che) la lingua veneta non appaga (non sodisfà) nella scrittura (nello scrivere), quando,
voglio dire (dico), è trascritta (posta ... nelle
carte) così come si trova nelle discussioni e
nella parlata del popolo (tale e quale ella è
nel popolo ragionando e favellando), e
prendere l’esempio (pigliarla) dai libri (scritture) non si può, perché (ché) noi non abbiamo, come ho già affermato, una onorevole,
stimata e riconosciuta tradizione letteraria
scritta (degni et accettati scrittori).
68. Là dove: al contrario.
69. ordinatissima: continuo è l’elogio fatto dal Bembo della stabilità rigorosa della lingua toscana, ordinata secondo regole preci-
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se, a cui si uniformarono nel tempo tutti quegli scrittori che l’hanno resa celebre, esaltandone con l’uso l’efficacia.
70. con ... che: poiché.
71. indirizzata: orientata verso una forma
ordinata da regole sempre più precise.
72. è ora in guisa: ha ora raggiunto la forma desiderata; è dunque un modello.
73. che oggimai ... non mancano: ora –
avendo ormai raggiunto la lingua toscana un
grado di perfezione che ne fa un modello per
eccellenza – non si può desiderare niente di
più, soprattutto (massimamente) perché si
constata un dato importantissimo (veggendosi quello), che è la cosa che bisogna desiderare in primo luogo, e cioè che a questa lingua non manca abbondanza di termini ed
espressioni (e ciò è che a lei copia e ampiezza non mancano; copia e ampiezza è
un’endiadi).
74. che ella ... altresì: che la lingua toscana (ella) offre a sufficienza (dà bastevolmente) dei vocaboli (voci), e non meno di
quanti ne offra il latino (niente ... latina), che
esprimono (spongono) sia (et) argomenti per
quanto (quantunque) elevati e seri possano
essere, sia temi più umili (basse) e frivoli (leggere).
75. mezzano stato: è il grado intermedio
fra il discorso “alto” e quello “basso”. La lingua toscana segue cioè agevolmente, con una
serie di termini adeguati, i tre livelli espressivi
individuati dal Bembo, coprendo così tutte le
esigenze dello scrittore, dallo stile illustre a
quello umile. La distinzione, come è noto, risale alla Rhetorica ad Herennium, un trattato
del II secolo a.C. di autore anonimo che, tradotto in volgare molto presto, ebbe una grande influenza sui trattatisti di retorica del Medio Evo. Lo stesso Dante riprende questa tradizionale distinzione nel secondo libro del De
vulgari eloquentia.
76. eziandio: anche.
77. rivolgendo ... cosa: ricercando con
estrema cura, nel senso di fare quasi uno spoglio sistematico delle lettere latine.
78. istrano: straniero. Perché Carlo Bembo
è veneziano.
79. messer Federigo: Federico Fregoso
(Genova, 1480 - Gubbio, 1541), famoso cardinale e stimato letterato, fu in grande amicizia con Bembo, Sadoleto (Modena, 1477 - Roma, 1547, anch’egli ecclesiastico e umanista)
e Castiglione, con i quali intrattenne importanti rapporti epistolari. Ariosto lo ricordò nell’Orlando furioso e il Castiglione lo inserì fra
gli interlocutori del Cortegiano. Essendo un
profondo conoscitore delle lingue orientali, si
occupò dei testi sacri. Raccolse inoltre poesie
provenzali, delle quali curò diverse antologie.
Scrisse un Trattato sull’orazione.
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ANALISI DEL TESTO
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Il problema linguistico
Contro la lingua cortigiana
Il passo affronta uno dei nodi più controversi del dibattito linguistico cinquecentesco, impegnandosi nella confutazione della tesi di una lingua cortigiana, proposta dal Calmeta e sostenuta
poi, con maggiore autorevolezza, dal Trissino e dal Castiglione. A questa lingua (che consisteva di
fatto in quella parlata alla corte pontificia, dove confluivano intellettuali e uomini politici di ogni
Il fiorentino letterario
parte d’Italia) il Bembo oppone la lingua toscana, e più propriamente fiorentina (non quella allora in uso, ma quella costituita dalla grande tradizione letteraria, soprattutto trecentesca). Non solo il Bembo rifiuta la lingua cortigiana, ma si spinge tanto avanti fino a negarne l’esistenza. Per
essere considerata come tale, non basta che una lingua sia effettivamente parlata; essa deve basarsi su una codificazione scritta, ossia sul suo impiego effettivo da parte di grandi scrittori, che
soli possono garantirne l’autorità.
La posizione è drastica e verrà in qualche modo smentita, di lì a poco, dal Cortegiano del Castiglione (già composto e noto al Bembo, ma pubblicato solo nel 1528), che non riuscirà tuttavia a
Proposta di un modello intaccare l’egemonia della tesi bembiana. La sua forza consiste nella proposta di un modello, esemesemplare
plare e unitario, che risulta consolidato dalla più alta tradizione letteraria e che può quindi essere offerto all’imitazione degli scrittori. È questo il caposaldo del classicismo stilistico rinascimentale, che, non a caso, cerca subito conferma nella letteratura greca e latina, con l’intenzione di ricondurre anche la letteratura italiana alla loro indiscussa dignità.
A partire di qui si può impostare il discorso sulla natura della lingua e dello stile, cercandovi
Il classicismo
come ideale aristocratico quelle caratteristiche – di armonia, grazia e decoro – che meglio corrispondono a un ideale di aristocratica e raffinata elevatezza (mentre sanciscono il netto distacco fra la lingua parlata e la lingua scritta).
Le caratteristiche dello stile
Il Bembo non esita a fare subito i nomi di Petrarca e Boccaccio, che gli consentono di esemplificare le sue convinzioni; né sarà casuale che la proposta venga formulata dal Magnifico Giuliano
de’ Medici, da un rappresentante cioè di quella famiglia che, nel secolo precedente, si era fatta promotrice di un recupero della tradizione fiorentina, svolgendo un ruolo di indiscussa egemonia culturale, proprio per quanto riguarda la ripresa della letteratura in volgare (ci riferiamo, in particolare, a Lorenzo il Magnifico e agli intellettuali della sua cerchia, a partire dal Poliziano).
Fissato così un canone prestabilito, è possibile pronunciare la condanna contro coloro che
Lo stile come ordine e misura
«senza legge alcuna scrivono, senza avvertimento, e comunque gli porta la folle e vana licenza».
Al loro procedere alla rinfusa («così ne vanno ogni voce di qualunque popolo, ogni modo sciocco,
ogni stemperata maniera di dire ne’ loro ragionamenti portando») viene contrapposto il vigile
Il rapporto con gli Asolani senso dello stile e dell’arte dello stesso Bembo, che negli Asolani già si era fatto promotore e pioniere dell’imitazione boccacciana.
Introducendo la figura dell’autore attraverso un personaggio che gli è molto vicino (il fratello), e che ne rappresenta quindi integralmente il punto di vista, il narratore si propone di raggiungere un duplice scopo: 1) le Prose della volgar lingua confermano le ragioni di una scelta già
chiaramente definita e visibile, sebbene implicita, negli Asolani; 2) il Bembo viene presentato come il restauratore della più alta tradizione fiorentina e, in questo senso, può essere paragonato
agli antichi greci, che scrivevano «più volentieri i loro componimenti in lingua attica». La scelta
del fiorentino letterario, opposto al nativo veneziano, indica una aspirazione universale, che suUna soluzione unitaria pera ogni intenzione particolaristica e municipale, nel tentativo di giungere ad una soluzione unitaria.
Sul piano stilistico, le ragioni della preferenza vengono giustificate dal carattere della lingua
fiorentina: «regolata» (per la presenza di una “regola”, da intendersi come proporzione e misura);
«pura» (priva di contaminazioni, soprattutto nei confronti della lingua parlata); «vaga» e «gentile»
(il gusto della leggiadria e della grazia, che si colloca al vertice delle aspirazioni al decoro rinascimentale). La quadruplice aggettivazione finisce per corrispondere, traducendola sul piano stilistico, a quella impiegata nel passo precedente degli Asolani, per definire l’essenza dell’amore platonico («agevole, innocente, spirituale, puro»).
L’ultima parte precisa, da un punto di vista più tecnico, le ragioni della superiorità del toscano:
Superiorità del toscano
non ultima quella dell’abbondanza e della varietà dei vocaboli, che lo rendono particolarmente dut-
Petrarca e Boccaccio
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tile e adatto a ogni tipo di stile, non meno di quanto fosse la lingua latina (in questo rapporto di
ormai riconosciuta parità è la radice dell’impostazione classicistica del discorso). Il problema del
«suono» delle parole risulta così strettamente collegato con la musicalità dell’espressione, che deve ugualmente essere attenta all’armonia del ritmo e all’equilibrio della costruzione sintattica.
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PROPOSTE DI LAVORO
Le osservazioni addotte da Bembo sulla superiorità del toscano riguardano aspetti diversi della lingua. Ritrovare queste osservazioni rispetto a:
a) fonetica:
Le toscane voci hanno miglior suono...
b) morfologia:
c) accorgimenti retorici:
d) lessico:
e) tradizione letteraria:
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La scelta della forma dialogica quale vantaggio offre al
Bembo?
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L’esaltazione della superiorità del toscano “classico”
quale valutazione sugli scrittori toscani del Quattrocento e su quelli contemporanei
a Bembo determina implicitamente? (Riflettere sul fatto
che questi scrittori avevano
usato ed usavano il fiorentino parlato).
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