PerMAXXIYounes K

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Comunità di Sant’Egidio YOUNES K.: DALL’AFGHANISTAN ALL’ITALIA Storia di Younes K. (letta dall’autore in occasione dell’incontro al Museo MAXXI di Roma) Mi chiamo Younes K., sono afghano, ho 25 anni. Sono arrivato in Italia cinque anni fa. Vengo dalla città di Ghazni, una città importante del mio paese che le leggende dicono fondata nel 1500 avanti Cristo. Nel mio paese c’è la guerra da molti anni. Dal 1996 i talebani non ci lasciano vivere in pace. Ma prima c’era stata la guerra civile, e prima ancora, raccontano i miei genitori, c’era stata la guerra contro i sovietici. Non volevo morire in guerra né volevo impugnare le armi contro gli altri, per questo me ne sono andato, cercavo un paese in pace dove poter realizzare i miei sogni di ragazzo: studiare, lavorare, crearmi una famiglia. Nel mio paese non c’è pace e la guerra si è portata via tutto: la scuola, il lavoro, gli ospedali. Appartengo a un gruppo etnico, gli Hazarà, che vive molte difficoltà in Afghanistan. Il nostro leader, Abdul Mazarì, è stato catturato e ucciso dai talebani nel 1995. Gli Hazarà sono circa il 20 per cento della popolazione e siamo musulmani sciiti. Nel 2006 sono partito a piedi, con altri ragazzi. Ho lasciato a casa i miei genitori, un fratello e una sorella. Ora li sento ogni tre mesi, perché non è facile comunicare con loro. Abbiamo attraversato il confine con l’Iran e dall’Iran siamo andati in Turchia. Ho pagato ai trafficanti 8000 dollari per arrivare fino in Grecia, i risparmi della mia famiglia. Dalla Turchia abbiamo continuato il viaggio verso la Grecia. Arrivare in Grecia voleva dire mettere piede in Europa e quindi avercela quasi fatta! Ma attraversare il confine vuol dire navigare sul fiume Evros, che segna il confine tra la Grecia e la Turchia. È molto pericoloso, io lo sapevo, sapevo anche che molti nostri connazionali erano morti in quelle acque. Bisogna attraversarlo di notte, si rischia meno di essere fermati dalla polizia all’arrivo. Siamo partiti alle 9, con il buio, io e altre 5 persone, con una piccola barca a remi, abbiamo remato tutta la notte, avevo molta paura. Alle prime luci dell’alba siamo arrivati in Grecia. Finalmente l’Europa, non riuscivo a crederci! Dopo qualche ora la polizia ci ha fermati e siamo stati portati in un centro di accoglienza a Samos. Nel centro per profughi c’erano circa 400 persone, anche donne e bambini. Ho sentito dire che il centro potrebbe ospitarne 120, immaginate come si può stare. Era circondato dal filo spinato, alle finestre c’erano le sbarre, e nel cortile esterno dei cani da guardia, sembrava una prigione. Dopo alcuni giorni, mi hanno lasciato andare, ma mi avevano preso le impronte. Sono andato a Patrasso, dove c’è il porto. Vicino al porto c’è un campo di baracche dove transitano tanti afghani, curdi, qualche iraniano, in attesa di imbarcarsi per l’Italia. Non avevo altri soldi, allora tutti i giorni andavo al porto e cercavo il momento buono per salire di nascosto su un tir diretto in Italia. Con altri due miei amici un giorno ci si offre l’occasione: un grosso camion che trasportava materiale per la costruzione di divani aveva gli sportelli aperti, il camionista non c’era in quel momento, saliamo velocemente nel vano e ci nascondiamo tra le merci. L’autista del tir non si accorge di nulla e si imbarca. 1 Comunità di Sant’Egidio La nave è diretta ad Ancona. Noi rimaniamo fermi, immobili nel vano del tir. Arrivati ad Ancona, il camion esce dalla nave, noi siamo molto spaventati, abbiamo paura dei controlli, che per fortuna non avvengono all’interno. Il camion si mette in movimento lungo una strada. Alla prima sosta proviamo ad uscire, l’autista si è allontanato. Scendiamo e cominciamo a camminare. Siamo in Italia! Camminiamo molto, finalmente troviamo una stazione, prendiamo un treno e poi un altro e arriviamo a Roma, alla stazione Tiburtina. Siamo felici di avercela fatta, anche se abbiamo tante difficoltà. Non sappiamo dove andare a dormire, veniamo a sapere che a Piramide ci sono altri afghani. Li raggiungiamo e passiamo molte notti alla stazione Ostiense, dormiamo lungo i binari, dove il buio è fitto per non farci vedere. Avevo paura perché non avevo ancora i documenti in regola. Poi faccio richiesta di asilo mentre i miei amici vogliono continuare il viaggio perché vogliono raggiungere i loro parenti in Svezia e in Germania. Dopo un anno vengo chiamato dalla Commissione che deve decidere se concedere l’asilo o no. Mi concedono un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria. Oggi Ora sono ospite della Casa della Pace, in via Casilina. Ho ripreso a studiare. Studio la lingua italiana presso la Scuola di lingua e cultura italiana della Comunità di Sant’Egidio e frequento la scuola media serale, all’Esquilino. Tra pochi giorni, a giugno, dovrò sostenere l’esame di terza media. Ho trovato anche un lavoro in una ditta di pulizie, anche se io sono un falegname, e per due anni in Italia ho fatto anche il falegname. Nella scuola della Comunità ho conosciuto alcuni italiani e studenti di paesi diversi, africani, sudamericani, dell’Europa dell’Est, e ho capito una cosa importante: che siamo tutti uguali, abbiamo gli stessi sogni, gli stessi desideri, le stesse speranze e gli stessi bisogni e questo ci rende più uguali di quanto noi pensiamo, anche se veniamo da tradizioni diverse, parliamo lingue diverse, siamo di diverse religioni. Oggi mi sento meno solo e guardo al mio futuro con speranza. 28 maggio 2011 2