Incontro 25 gennaio Joseph Roth
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Incontro 25 gennaio Joseph Roth
[ALLA RICERCA DELL’ IO – VI INC. - JOSEPH ROTH] 25 gennaio 2017 Joseph Roth CENNI BIOGRAFICI Ioseph Roth nacque a Brody il 2 settembre 1894 da Maria Grubel ebrea, e Nachum Roth, commerciante di cereali che in un viaggio di ritorno dalle sue attività commerciali, fu ricoverato, per strano comportamento, in una casa di cura e poi affidato ai parenti galiziani. Nel 1901 il giovane Roth Roth frequentò la scuola commerciale fondata a Brody da un magnate e filantropo ebreo, il barone Maurice de Hirsch. Fra il 1905 e il 1913 fu l’ unico studente ebreo del Ginnasio Arciduca Rodolfo e in questi anni si collocano i suoi primi lavori letterari. Studente universitario a Leopoli, abitò prima presso lo zio materno, ma ben presto i contrasti con il sobrio commerciante e il giovane aspirante scrittore diventarono violenti. A Leopoli vi erano inoltre acute tensioni, non solo tra le varie nazionalità (all'Università ci furono scontri tra studenti polacchi e ruteni), ma anche all'interno del mondo ebraico fra Chassidismo, Haskalah (Illuminismo ebraico) e il movimento sionista che stava diventando sempre più forte. A Brody l'anno di Roth era stato l'ultimo con lezioni in tedesco, e all'Università di Leopoli dal 1871 il polacco era la lingua d'insegnamento. Questa può essere la ragione per cui Roth (che vedeva la sua patria letteraria nella letteratura tedesca) decise di lasciare Leopoli e di iscriversi per il semestre estivo 1914 all'Università di Vienna dove partecipò all’ XI Congresso Sionista. 1 [ALLA RICERCA DELL’ IO – VI INC. - JOSEPH ROTH] 25 gennaio 2017 1914 - 1916 dopo una prima fase in cui assunse una posizione pacifista, si arruolò. Fece parte del cordone dei soldati che delimitavano il percorso del corteo funebre dell’ imperatore Francesco Giuseppe morto il 21 novembre, combatté in Galizia con la 32° divisione dove iniziò anche il servizio di addetto stampa nella zona di Leopoli. Nel 1919 fu capo redattore di Der Neue Tag ma nel 1920 la rivista sospese le pubblicazioni. Roth si trasferì allora a Berlino e scrisse per Neuen Berliner Zeitung. Nel 1922 sposò Friederike Reichler una donna attraente ed intelligente, ma non intellettuale né adatta alla vita irrequieta e mondana al fianco di un giornalista di successo che viaggiava di frequente. Per di più Roth mostrò sintomi di una gelosia quasi patologica. Nel 1923 collaborò, non senza frizioni, con la Frankfurther Zeitung e pubblicò anche il primo romanzo ( la tela di ragno ) a puntate , rimasto incompiuto. Dopo il trasferimento, nel 1925, a Parigi, sempre per la Frankfurther Zeitung scrisse, fra il 1926 e il 1928 grandi reportage su URSS, Albania, Jugoslavia, Polonia, Italia a cui dedicò 4 articoli: Incontro con la dittatura, Dittatura in vetrina, La polizia onnipotente, Il sindacato dei giornalisti.. La moglie nel frattempo iniziava a manifestare i primi segnali di follia provocando in Roth una profonda crisi. Non era preparato ad accettare la disgrazia, sperava in un miracolo, si incolpava della malattia. In questo periodo cominciò a bere e anche la situazione finanziaria peggiorò. La sistemazione di Friedl presso i genitori non portò alcun miglioramento, e poiché la malattia si trasformò in una grave apatia, fu ricoverata dal 1930 in diverse cliniche a Vienna. Nel 1935 i suoi genitori si trasferirono in Palestina e Roth chiese il divorzio. Nel 1940 Friedl Roth fu mandata a Linz, ma non c'è traccia del suo arrivo là: fu vittima del programma di eutanasia dei nazisti. L'atto di morte porta come data il 15 luglio 1940. Dal 1929 la sua vita sentimentale si legò per sei anni ad Andrea Manga Bell di Amburgo , redattrice, di origine esotiche e sposata infelicemente con il "principe di Douala e Bonanyo" del Camerun che abbandonò dopo 6 anni per gelosia. Nel 1933 il giorno in cui Hitler diventò cancelliere Roth lascia la Germania preannunciando così, con estrema lucidità, il futuro della Germania a Stefan Zweig: “Intanto le sarà chiaro che ci avviciniamo a grandi catastrofi. A parte quelle private - la nostra esistenza letteraria e materiale è annientata - tutto porta a una nuova guerra. Io non do più un soldo per la nostra vita. Si è riusciti a far governare la barbarie. Non si illuda. L'Inferno comanda” Si trasferì prima a Parigi e successivamente anche in Olanda, Polonia, Austria. Nel 1936 incontrò la scrittrice Irmgrad Keuen emigrata a Ostenda con cui visse a Parigi fino al 1938, abbandonandola per il solito motivo della gelosia e con cui condivise una eccessiva dedizione all’ alcol. Già dal 1937 iniziarono a peggiorare le sue condizioni sia di salute che economiche. Trasferito all’ Ospizio dei Poveri vi morirà il 27 maggio 1939 poco dopo per una polmonite bilaterale. LE OPERE Conosciuto dai contemporanei in primo luogo come giornalista, e lavori giornalistici compongono più di metà della sua opera, la sua fama di scrittore è ancorata alla famosa trilogia Hotel Savoy ( 2 [ALLA RICERCA DELL’ IO – VI INC. - JOSEPH ROTH] 25 gennaio 2017 1924) , la Marcia di Radetzky,( 1934) la Cripta dei cappuccini ( 1938) dedicata alla finis Austriae e al Santo Bevitore LA CRIPTA DEI CAPPUCCINI Nel 1938, anno di stampa della Cripta dei cappuccini, Joseph Roth si trova esule a Parigi dalla Germania nazista. Vi arriva cinque anni prima – dopo la conclusione della lunga, quasi decennale, attività di reporter per il Frankfurter Zeitung e la pubblicazione berlinese, nel 1932, della Marcia di Radetzky, romanzo che segnerà la sua consacrazione ai vertici della letteratura mitteleuropea – e vi rimane fino al 1939, anno della sua morte. Durante l’esilio parigino Roth scrive il lucido e crudele epicedio della Cripta dei cappuccini. La composizione di questa ”orazione funebre” – quasi un’invocazione testamentaria della sua vicenda artistica – rappresenta un capitolo essenziale dell’articolata parabola letteraria dedicata alla finis Austriae – che ha inizio con il romanzo giovanile Hotel Savoy (1924), prosegue nella Marcia di Radetzky e si conclude con La milleduesima notte (1938) – ed è il preludio all’opera che segnerà il definitivo epitaffio della sua arte – la terribile allegoria mistica della Leggenda del santo bevitore (1939), profetico e divinatorio racconto sul proprio penoso stato di proscrizione esistenziale indotto dall’alcolismo. La forma del romanzo rispecchia i tratti caratteristici della letteratura mitteleuropea – la solitudine dell’uomo al cospetto della drammatica dimensione del reale, l’intensa carica utopica che da essa ne consegue e la tragica ironia con cui questa viene espressa. Tema centrale della Cripta dei Cappuccini è l’annullamento dell’identità culturale austriaca, il crollo della società nella quale essa si produce e la proiettiva, quasi speculare, crisi di individualità esistenziale operatasi a seguito del rovinoso epilogo e della drammatica distruzione dell’Impero Austro-ungarico. Questo era sorto dopo l’annessione dell’Ungheria all’Impero austriaco nel 1867 e si era configurato come confederazione di stati unificata sotto il regno di Francesco Giuseppe. L’articolato sistema di intese europee – come la Triplice Alleanza con Germania e Italia – aveva assicurato all’Impero un lungo periodo di pace, bruscamente spezzato nel 1914 con l'assassinio dell'erede al trono austriaco, l'arciduca Francesco Ferdinando. La conseguente Prima guerra mondiale ne aveva decretato il compimento. A causa della pesante sconfitta conseguita, l'Impero austro-ungarico si era frammentato in diversi territori nazionali: in Austria si era instaurato uno Stato corporativo ed autoritario sotto un cancellierato federale, le cui politiche filonaziste avevano portato il 10 aprile del 1938, a seguito dell’avvenuta occupazione tedesca, alla formalizzazione referendaria dell’annessione al Terzo Reich. Le tre fasi dell’apologia storica dell’Impero – ovvero la nascita nel nome di una pax augustea, il trapasso della guerra, il declino rovinoso e l’annientamento davanti alla follia nazista – corrispondono ad altrettanti stadi del romanzo: 1) Francesco Ferdinando, giovane erede dell’aristocratica casata dei Trotta, – il cui titolo nobiliare gli era stato conferito dopo le gesta eroiche del luogotenente Joseph Trotta, zio del protagonista, che 3 [ALLA RICERCA DELL’ IO – VI INC. - JOSEPH ROTH] 25 gennaio 2017 durante la battaglia di Solferino (1859) aveva salvato la vita all’imperatore Francesco Giuseppe – conduce un’esistenza di “ giovane sciocco e frivolo” tra le facezie e gli ozi del rarefatto e dorato universo aristocratico della Vienna asburgica. 2) L’occasione per rifuggire il proprio malessere – che risiede nella lucida consapevolezza del declino oramai irreversibile a cui è destinato il mondo al quale appartiene – gliela offre l’invito di Manes Reisiger (un vetturino galiziano conosciuto attraverso il cugino Joseph Branco) a lasciare Vienna per recarsi suo ospite a Zlotogrod, in Galizia. Partito dunque da Vienna – la cui involuzione culturale e storica della sua decadente cosmogonia si definisce ancor più compiutamente, contrapposta all’energica vitalità e all’animoso fervore dei personaggi che popolano la campagna slovena – si reca a Zlotogrod e vi rimane fino allo scoppio della guerra. Arruolatosi come “alfiere della riserva”e ottenuta la recluta nel reggimento degli ormai divenuti compagni di vita, Reisiger e Branco – “volevo morire insieme a loro, e non con dei ballerini di valzer” sentenzia il giovane Trotta, riferendosi ai suoi vecchi commilitoni – parte alla volta del fronte orientale dove viene catturato, insieme ai suoi due amici, dall’esercito russo. Come recluso in un campo di detenzione in Siberia e ospite del mercante di pellicce Jan Baranovitsc – un polacco a cui vengono affidate le cure dei tre soldati – l’alfiere Trotta passa gli anni di prigionia. Attorno all’eremo della casa di Jan Baranovitsc – la cui figura si definisce nel perimetro di una profonda integrità morale che illumina il fosco contesto di barbarie della guerra – la società europea, sprofondata nell’abisso della distruzione e dell’annientamento, rigenera e trasforma la sua identità civile. 3) Tornato a Vienna la vigilia di Natale del 1918, trova ad accoglierlo un'aristocrazia che, privata dell’identità sociale che le era propria all’interno dell’assetto imperiale – “ora io cosa sono? Sono anch’io una capitalista?” chiede smarrita la madre del protagonista a Xaver, “uno dei pochi vetturini rimasti” – tenta di ricomporsi un ruolo nel contesto del nuovo ordinamento repubblicano. Lo sgomento antropologico di Francesco Trotta si concretizza davanti alle sedie color “giallo limone” e alle tende arancioni dell’atelier di “arti applicate” della moglie Elisabeth (la donna con cui si era sposato prima di partire per la guerra), primitivi codici ed idiomi dell’avanguardia culturale. L’insuccesso della ditta del suocero, alla quale si è associato, ratifica il fallimento del suo tentativo di costruirsi una solida esistenza borghese. Elisabeth, influenzata dalla professoressa Jolanth Szatmary – attraverso la cui descrizione caricaturale Roth ridicolizza l’inedita realtà postbellica – lo abbandona per inseguire il sogno di fare l’attrice, nuova chimera della modernità. Per scongiurare una catastrofe finanziaria apre una pensione nella casa di famiglia, una sorta di metaforico nosocomio spirituale dove trovano alloggio i suoi vecchi amici, anch’essi sconfitti dalle alchimie dialettiche della Storia e divenuti ormai dei “senzatetto”. La successiva morte della madre – ultimo residuato di una generazione passata – e l’avvento del nazionalsocialismo trasformano definitivamente la sua rassegnazione afasica in vera e propria alienazione esistenziale. Impotente di fronte al proprio tracollo, Francesco Trotta visita la Cripta dei cappuccini – il luogo dove sono sepolti gli imperatori austriaci, il simbolo della scomparsa monarchia – e confessa la sua sconfitta. 4