sviluppo sostenibile: l`evoluzione di un`idea

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sviluppo sostenibile: l`evoluzione di un`idea
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Modulo “Sviluppo Sostenibile”
LO SVILUPPO SOSTENIBILE: L’EVOLUZIONE DI UN’IDEA 1
Sviluppo economico, qualità della vita e tutela dell’ambiente sono spesso considerate come tre
esigenze totalmente separate, gestibili in maniera autonoma e, in alcuni casi, anche gerarchica: la
crescita economica considerata prioritaria rispetto alle altre…
In realtà, il concetto di sviluppo sostenibile sintetizza un problema di grande complessità ovvero
come rendere compatibili, a livello dell'intero pianeta, le esigenze dell'economia con quelle
dell'ambiente. Le riflessioni intorno a tale questione sono scaturite dalla consapevolezza, emersa
durante gli anni settanta, di una «sostanziale contraddizione tra la crescita continua del prodotto
lordo dei diversi paesi, la limitatezza delle risorse e la capacità dell'ambiente di assorbire i rifiuti e
le emissioni inquinanti» 2 .
La prima tappa fondamentale di questa riflessione globale su sviluppo e ambiente è rappresentata
dalla "Conferenza di Stoccolma", o Conferenza dell'ONU sull'Ambiente Umano del 1972, che
determina una forte presa di coscienza sui problemi ambientali a livello internazionale. In risposta
alla crescente preoccupazione dell'opinione pubblica sul deteriorarsi delle condizioni ambientali e
di vita, i delegati di 113 nazioni si incontrano e producono un piano d'azione con 109
raccomandazioni riguardanti i diritti e le responsabilità dell'uomo in relazione all'ambiente globale.
Si incomincia, così, ad affermare che l’appropriata pianificazione e gestione delle risorse naturali e
il mantenimento e ripristino delle capacità della terra di produrre risorse rinnovabili sono condizioni
indispensabili per il beneficio delle generazioni presenti e future.
A partire dagli anni ’80 incomincia a farsi strada l’esigenza di conciliare crescita economica ed
equa distribuzione delle risorse in un nuovo modello di sviluppo che viene definito Sostenibile. Nel
1983 l’Organizzazione delle Nazioni Unite istituisce la Commissione Mondiale per lo Sviluppo e
l’Ambiente. Il rapporto della Commissione, noto con il nome della Presidente Harlem Brundtland,
definisce lo sviluppo sostenibile come «lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni della
generazione presente, senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a
soddisfare i propri». 3 Il principio di equità infragenerazionale diventava condizione necessaria per
assicurare la sostenibilità dello sviluppo.
La definizione introduce il concetto di bisogno. In un epoca di mercificazione del vivente appare
evidente il tentativo di tenere come punto di riferimento il grado di soddisfacimento dei bisogni
riportando l’uomo al centro della questione. La riflessione inevitabilmente andrà a coinvolgere il
tipo di sviluppo che si desidera per poter vivere bene.
Ecco allora che lo scenario introdotto dal concetto di sviluppo sostenibile viene ad ampliare
notevolmente la riflessione e il dibattito richiamando in questione la riflessione sul “bene comune” e
sul “ben-essere”.
È da sottolineare come la definizione stessa di sviluppo sostenibile, seppur non in modo esplicito,
da per scontata l’idea che non esista un unico modello di sviluppo. In contro tendenza rispetto a
quanto contemporaneamente si poteva osservare all’interno dello scenario politico e culturale
contemporaneo dominato dal pensiero unico e dalle politiche economiche neoliberiste, il concetto
di sviluppo sostenibile tentava di sottolineare la necessità di sperimentare nuovi progetti in grado di
assicurare la sostenibilità dello sviluppo attraverso il mantenimento di un certo equilibrio fra la
dimensione ambientale, economica e sociale.
Lo sviluppo sostenibile viene a ed essere concepito dalla sua origine come un concetto
pluridimensionale, impossibile da sintetizzare o quantificare attraverso i tradizionali indici ed
indicatori.
Il concetto sembra subire le influenze delle riflessioni filosofiche che a partire dal lavoro di Amartya
Sen hanno permesso di riconsiderare radicalmente lo star bene o se si preferisce il well-being di
una persona e di una comunità.
Il tentativo è quello di superare la visione economicistica che vede definire il benessere come
paniere di beni a disposizione di una persona (di conseguenza il reddito) o di opportunità intese
1
Questa dispensa, ad uso interno dei corsisti, integra i contenuti della presentazione ppt “Lo sviluppo sostenibile” e del
documento “L’impronta ecologica” forniti, in formato elettronico, come materiali didattici del presente modulo.
2
D. H. MEADOWS, D. L. MEADOWS, J. RANDERS, Oltre i limiti dello sviluppo, Il Saggiatore, 1993
3
H. BRUNDTLAND, Il nostro futuro comune, 1987
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come punti di partenza. Su tale impostazione hanno preso forma e sostanza tutte le politiche di
welfare. Sen sottolinea il carattere strumentale delle risorse e dei beni che in se non sempre
rappresentano garanzia di well-being.
Si introduce con il lavoro di Sen il concetto di “funzionamenti” di una persona inteso come ciò che
una persona è in grado di essere o fare (essere nutrito, sano, educato, il vivere nel rispetto della
natura, aver rispetto di se e così via) sulla base delle sue attribuzioni o possibilità di accesso alle
merci.
I funzionamenti vengono considerati costitutivi di una persona e il benessere corrisponde ora alla
qualità dell’essere di quella persona, ovvero dei funzionamenti acquisiti.
Strettamente legata alla nozione di funzionamento c’è quello di “capacità di funzionare” ovvero gli
insieme dei funzionamenti che una persona può potenzialmente decidere di acquisire, la libertà di
benessere. La possibilità di scegliere viene anch’essa considerata un elemento del wellbeing.
La definizione del Rapporto Brundtland contribuisce quindi a differenziare i termini crescita e
sviluppo che assumono, soprattutto nelle politiche ambientali, sfumature di significato differenti.
Con il primo ci si riferisce in modo particolare all’aumento puramente quantitativo degli indicatori
economici, con il secondo, invece, all'evoluzione di un organismo complesso, con attenzione alla
dimensione sia quantitativa che qualitativa.
L’improrogabile necessità di individuare un percorso universale per costruire uno sviluppo
sostenibile conduce la comunità mondiale a riunirsi nel 1992 a Rio de Janeiro. La Conferenza delle
Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (anche denominata “Summit della Terra”) rilancia l’idea di
Sostenibilità come concetto integrato che coniuga le dimensioni di Ambiente, Economia e Società
e si conclude con l’approvazione di tre accordi (“Agenda 21”, “Dichiarazione dei principi per la
gestione delle foreste” e “Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo”) e due convenzioni
(“Convenzione sui cambiamenti climatici” e “Convenzione sulla biodiversità”).
Il primo e più importante risultato della Conferenza è la definitiva saldatura tra sviluppo ed
ambiente, concepiti come due fattori inscindibili, il cui legame non può essere spezzato senza
danni per entrambi e per la salvezza ed il progresso dell’umanità.
«L’Agenda 21, in particolare, sottolinea che lo sviluppo sostenibile si realizzerà solo attraverso una
programmazione mirata e prescrive che per affrontare ogni questione importante sia adottato un
processo attento e rigoroso che esamini i diversi aspetti del problema, che prenda decisioni chiare
sulle priorità , sui compromessi e sui sacrifici eventualmente necessari, che definisca il sistema dei
controlli e degli incentivi, le finalità a lungo termine, i traguardi quantitativi e le scadenze per
realizzare quanto è stato fissato…. La corretta applicazione di Agenda 21 è la prima e più
importante tra le responsabilità di tutti i governi nazionali» 4 .
Il documento rivolge una particolare attenzione al livello locale a cui viene riconosciuto un ruolo
decisivo nel favorire progressi graduali in campo ambientale; è alla soluzione dei problemi
ambientali degli agglomerati urbani che si attribuisce un ruolo strategico per avviare modelli
sostenibili di sviluppo nell’intero pianeta.
La città trasforma il paesaggio, si appropria di quantità crescenti di risorse, materiali ed energia e
allo stesso tempo tende a comportarsi come consumatrice inefficiente incapace di riprodurre ciò
che consuma. Il suo “metabolismo”, inoltre, produce grandi quantità di emissioni e di rifiuti che non
è in grado di contenere o riutilizzare e che, quindi, vengono esportati in aree sempre più esterne ai
suoi confini amministrativi 5 .
Ma gli agglomerati urbani possono anche rappresentare il luogo di rottura di questo “modello
dissipativo”, avviando un riflessione sulle proprie politiche di sviluppo fino a ieri causa di
insostenibilità. «Forme e dimensioni possono essere ripensate allo scopo di rendere più intenso
l’uso di risorse, tecnologie e infrastrutture avanzate possono essere adottate per aumentare
l’efficienza ambientale, i processi sociali e culturali possono essere stimolati nella direzione di
migliorare la capacità di gestione e manutenzione della qualità urbana ed il senso civico di
appartenenza» 6 .
Su queste considerazioni si fonda l’affermazione contenuta nel cap.28 dell’Agenda 21 in cui si
legge che «dal momento che molti dei problemi e delle strategie delineate nell’Agenda 21 hanno
4
ONU, L’Agenda 21: il Programma d’Azione per il XXI secolo, 1992
ANPA, Linee guida per le Agende 21 Locali, 2000
6
FONDAZIONE LOMBARDIA PER L’AMBIENTE, Guida europea all’Agenda 21 Locale, 1999
5
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origine nelle attività locali, la partecipazione e la cooperazione dalle autorità locali […] così come il
sincero coinvolgimento di tutti i gruppi sociali secondo forme innovative di partecipazione ed
informazione, sarà un fattore determinante nel perseguimento degli obiettivi di Agenda 21» 7 . Le
autorità locali, con il supporto delle Istituzioni internazionali e sopranazionali, vengono quindi
chiamate ad intraprendere con i cittadini, le organizzazioni e le imprese, un processo di
consultazione, co-apprendimento e cooperazione per la costruzione del consenso su una “Agenda
21 Locale”, indirizzata allo sviluppo sostenibile della comunità. Un processo che mira nel lungo
periodo ad accrescere la “coscienza ambientale” e a indurre cambiamenti positivi nelle modalità di
produzione e di consumo e negli stili di vita dei cittadini.
L’Unione Europea nel 1992 approva, al fine di rendere operativi gli accordi firmati a Rio, il “Quinto
programma di azione per l'ambiente (1992-1999): per uno sviluppo durevole e sostenibile”. Il Piano
auspica un cambiamento dei modelli di comportamento della società in modo che « … la tutela del
territorio venga integrata nella definizione e nell’attuazione delle altre politiche comunitarie, non
solo per il bene dell’ambiente, ma anche per il bene ed il progresso di tutta la collettività ». 8
Il Quinto programma introduce, così, nuove misure e segna un più ampio impegno nei confronti
dell'integrazione delle problematiche ambientali in tutte le altre politiche comunitarie.
La valutazione globale del programma mette tuttavia in evidenza che, nonostante i progressi
raggiunti in alcuni settori (sensibile riduzione dei livelli di inquinamento di alcune aree, maggiore
attenzione degli Stati membri alle tematiche ambientali, ecc.), i problemi sussistono e l'ambiente
continua a deteriorarsi 9 . In particolare la Commissione Europea sottolinea la necessità di
incentivare l’attuazione della normativa ambientale attualmente vigente, di integrare le tematiche
ambientali in tutte le strategie politiche economiche e sociali, e, infine, di accrescere il senso di
responsabilità dei cittadini nei confronti della tutela del territorio e dell’ambiente in cui vivono.
È questo il contesto in cui si viene a sviluppare il Sesto programma di azione per l'ambiente
“Ambiente 2010: Il nostro futuro, la nostra scelta”. Il nuovo programma identifica quegli aspetti
ambientali che devono essere necessariamente affrontati per garantire all’Europa, ma anche al
resto del mondo, uno sviluppo sostenibile: cambiamento climatico, uso non corretto delle risorse
naturali rinnovabili e non, perdita di biodiversità, accumulo di sostanze chimiche tossiche nell’aria.
In particolare si definiscono gli obiettivi e i traguardi da perseguire, descrivendo allo stesso tempo
come utilizzare gli strumenti della politica ambientale comunitaria per questi fini. Sviluppo
sostenibile, tuttavia, significa ben più di un ambiente pulito: “qualsiasi intervento mosso in nome
dello sviluppo sostenibile deve tener conto delle possibili implicazioni socio-economiche che
comporta” 10 . Per questo il programma di azione, pur concentrandosi sulla dimensione ambientale
dello sviluppo sostenibile, non tralascia l'obiettivo di una migliore qualità della vita in senso
generale per i cittadini dell'Unione europea. Interessante è sottolineare come il programma, pur
concentrandosi sulle azioni e sugli impegni che devono essere intrapresi a livello comunitario,
identifichi, per far fronte della necessità di ricercare il massimo livello possibile di armonizzazione e
ravvicinamento delle legislazioni, anche misure e responsabilità che spettano agli organismi
nazionali, regionali e locali nonché ai diversi settori economici.
A livello internazionale, a 10 anni di distanza dal Summit della Terra di Rio de Janeiro, si è tornato
a discutere delle problematiche legate allo sviluppo sostenibile del pianeta nell’agosto del 2002 a
Johannesburg, in Sudafrica, nell’ambito del secondo vertice delle Nazioni Unite sullo sviluppo
sostenibile.
Obiettivo del Summit era quello di fare il punto della situazione sugli accordi presi a Rio 10 anni fa
e programmare, alla luce di questi, il percorso per il decennio successivo.
In realtà, se si guardano i problemi che il Vertice ha dovuto affrontare (difficoltà e divergenze
durante le riunioni di preparazione al Vertice, fallimento dell’ultima riunione preparatoria tenutasi a
Bali nel mese di giugno, contrasto da parte di alcuni Stati alla ratifica del Protocollo di Kyoto), si
capisce chiaramente che più che di una verifica degli obiettivi raggiunti, si è trattato di un disperato
tentativo di riconfermare, senza retrocedere, principi e orientamenti di sviluppo già presenti negli
accordi del 1992.
7
ONU, L’Agenda 21: il Programma d’Azione per il XXI secolo, 1992
DG Ambiente, V Programma d’Azione per l’Ambiente, 1992
9
DG Ambiente, VI Programma d’Azione per l’Ambiente, 2001
10
DG Ambiente, VI Programma d’Azione per l’Ambiente, 2001
8
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I giudizi sui risultati di Johannesburg non sono univoci. Secondo molti il vertice ha tradito le
aspettative «non ci sono state le condizioni politiche per andare oltre Rio. Anzi, c'era il pericolo
molto concreto di slittare addirittura indietro, se consideriamo l'autismo politico degli Stati Uniti
insieme alle riserve del G7+Cina (il blocco dei Paesi non allineati guidati dalla Cina, ndr) sotto
l'egemonia dei Paesi Opec» 11 . Altri sottolineano gli aspetti positivi come l’accordo sul Piano di
attuazione e l’avvio delle partnership che mobiliteranno risorse aggiuntive.
Il vertice, nonostante le numerose polemiche che lo hanno accompagnato circa la partecipazione
dei capi di governo di alcuni dei paesi industrializzati come l’Italia, si è concluso con la conferma
dell’impegno di tutti i partecipanti verso i principi di Rio.
Al vertice hanno partecipato più di 100 Capi di Stato e di Governo, 22.000 delegati, 8.000 del
mondo delle imprese, del lavoro e delle associazioni non governative, 4.000 giornalisti e 10.000 in
rappresentanza di governi e organizzazioni internazionali.
I risultati ottenuti durante i lavori sono stati:
La Dichiarazione Politica – La Dichiarazione di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile
Il Piano di Attuazione – gli impegni di tipo I
Partnership fra governi ed altri portatori di interesse, incluse imprese o associazioni non
governative – gli impegni di tipo II
La “Dichiarazione Politica di Johannesburg” è un documento di principi che impegna, moralmente i
contraenti a intraprendere la strada dello sviluppo sostenibile. La “magna charta” di Johannesburg
contiene trentadue punti suddivisi in sei paragrafi. «Dalle nostre origini al futuro» è un impegno a
conciliare sviluppo economico e ambiente. «Da Stoccolma a Rio de Janeiro a Johannesburg»
ricorda come si sono evoluti gli impegni verso lo sviluppo sostenibile grazie alle tre conferenze
dell’ONU. «Le sfide da affrontare» enumera le relazioni fra i rischi cui è sottoposto l’ambiente e i
mali che affliggono le società. «Il nostro impegno verso lo sviluppo sostenibile» è una rassegna di
priorità: eliminazione della povertà, diritti umani, assistenza ai Paesi in via di sviluppo.
«Multilateralismo» sottolinea l’esigenza di istituzioni multilaterali per un monitoraggio dei progetti di
sostenibilità. «Che si avveri!», è un augurio finale alla realizzazione dei buoni propositi espressi da
Johannesburg 12 .
Dei 69 articoli della versione iniziale, proposta dal governo sudafricano, il testo ufficialmente
approvato ne conserva solo 32 a causa di una pesante epurazione come ad esempio tutti i
riferimenti al Protocollo di Kyoto. Le conferenze preparatorie e il processo che a portato a tali
risultati è stato molto conflittuale e non ha consentito un vero e proprio negoziato sul testo della
Dichiarazione Politica che tuttavia richiama gli eventi di Stoccolma e di Rio (rispettivamente 1972 e
1992) confermando il ruolo fondante delle decisioni di Rio in materia di sviluppo sostenibile. Le
conflittualità riscontrate sono l’evidenza di una non totale copertura “politica” che potrebbe
compromettere ancora una volta, se sommata alle difficoltà tecniche ed operative, la realizzazione
delle iniziative previste e il raggiungimento dei target individuati.
La strada per trasformare questi buoni intenti in piani di attuazione è indicata nell’altro documento
approvato a Johannesburg: il “ Piano di Azione” che enumera gli obiettivi da raggiungere sui vari
temi in discussione (energia, ambiente, salute, aiuti finanziari...), talvolta senza riferimenti ai tempi
di attuazione, talaltra rinviati a soluzioni a venire di dieci, venti o anche cinquanta anni. 13
L ’Agenda 21 continua comunque a rappresentare il punto di partenza e l’obiettivo per il futuro sia
all’interno della Dichiarazione che del Piano di Attuazione. Nonostante gli interventi dei politici che
suggerivano di introdurre obiettivi certi e verificabili, il Piano di Attuazione introduce pochi nuovi
target rifacendosi spesso alla Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite.
E’ difficile, allo stato attuale, esprimere con certezza un giudizio, saranno i fatti dei prossimi anni ad
indicare se il Vertice mondiale per lo sviluppo sostenibile di Johannesburg è stato un successo o
meno. Saranno le politiche delle istituzioni mondiali, nazionali e locali a decidere e definire il
significato di questo Summit che, pur avendo deluso molte aspettative è riuscito a far convergere
nella città sud-africana decine di migliaia di delegati tra Capi di Stato e di Governo, rappresentanti
di ONG, di associazioni ambientaliste e del settore industriale, tutti riuniti per discutere, analizzare
e immaginare un possibile scenario sostenibile per il nostro futuro.
11
WOLFANG SACHS, A Johannesburg, dove finisce l'ambiente, Intervista di Maurizio Meloni in Altreconomia
ONU, Dichiarazione di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile, 2002
13
MIN. DELL’AMBIENTE, Principali contenuti del piano di attuazione approvato dal vertice di Johannesburg, 2002
12
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L’agenda 21 locale
Da parte delle amministrazioni locali imboccare la strada dello sviluppo sostenibile significa attuare
un coinvolgimento diretto da parte dei cittadini.
In occasione della Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, svoltasi a Rio de
Janeiro dal 3 al 14 giugno del 1992, viene introdotto il concetto di “sviluppo sostenibile” con
l’obiettivo di innescare risposte politiche adeguate alle sempre più gravi emergenze ambientali e
sociali del pianeta. In particolare con il documento di Agenda 21 (Programma Globale di Azione
sullo Sviluppo Sostenibile) gli Enti Locali vengono investiti del compito di promuovere l’educazione,
la formazione e la sensibilizzazione degli abitanti. Al capitolo 28 viene rivolto un invito preciso a
tutti gli Enti Locali affinché realizzino una propria Agenda 21 Locale che traduca gli obiettivi
generali di Agenda 21 in programmi e interventi concreti, specifici per ogni realtà territoriale,
attraverso un attivo coinvolgimento della comunità. Si sottolinea come non esista uno schema
codificato di Agenda 21 Locale in quanto i problemi da affrontare e risolvere si differenziano a
seconda degli specifici contesti. L’obiettivo al contrario deve essere per tutti il medesimo, e cioè
promuovere un’azione condivisa e responsabile che persegua la sostenibilità locale determinando
effetti positivi sulle condizioni ambientali globali.
L’attuazione di Agenda 21 a livello locale si basa su alcuni principi fondamentali tra cui:
1) I principi di sussidiarietà, di partecipazione e condivisione delle responsabilità: un intervento è
più facilmente realizzabile quando è coerente con le esigenze, le aspettative e le capacità locali.
Per questo è necessario che le decisioni vengano assunte al livello amministrativo “più vicino” ai
soggetti interessati. Servono pertanto meccanismi decisionali decentrati, trasparenti, verificabili,
coerenti con gli indirizzi assunti su scala più vasta e capaci di assicurare l’attiva partecipazione dei
cittadini e degli attori locali. È altresì necessario che tutti, pur secondo modalità differenti,
assumano come riferimento per il proprio operato l’obiettivo della sostenibilità. Si tratta quindi di un
presupposto necessario per la costruzione di un ampio consenso tra le parti coinvolte e per
stimolare comportamenti capaci di superare il semplice rispetto delle norme;
2) I principi di equità, efficienza ed efficacia: operare in direzione della sostenibilità significa
ricostruire condizioni di maggiore equità sociale (sia all’interno della presente generazione, sia
rispetto alle generazioni future) mediante un cambiamento, progressivo ma radicale, degli stili di
vita, di produzione e di consumo. Tale cambiamento è possibile solo se largamente condiviso:
l’approccio partecipativo riduce l’area dei conflitti, delle incomprensioni e delle sovrapposizioni
consentendo una diminuzione dell’incertezza e degli errori, una maggiore stabilità delle decisioni,
un uso ottimale delle risorse e un più deciso orientamento all’azione;
3) I principi di integrazione delle politiche, di prevenzione e di precauzione: le iniziative volte alla
sostenibilità sono collegate a diversi aspetti, sociali, economici, ambientali, istituzionali, dello
sviluppo. Per questo motivo non vanno intese come elementi aggiuntivi, ma piuttosto costitutivi
delle altre politiche. Si deve inoltre riporre la massima attenzione all’utilizzo delle risorse, alla
prevenzione dei problemi o alla loro risoluzione alla fonte; vanno infine evitate decisioni o iniziative
di cui non si conoscano in modo sufficientemente chiaro le ripercussioni a livello dell’ambiente e
della salute umana. In occasione della Prima Conferenza Europea sulle Città sostenibili, che si è
svolta a Aalborg, in Danimarca, nel 1994, è stata emanata la “Carta delle Città europee per un
modello urbano sostenibile”, nota anche come Carta di Aalborg.
Con essa ha preso avvio la Campagna delle Città europee sostenibili che mira a stimolare
l’attivazione dei processi di Agenda 21 Locale e a supportare gli Enti Locali nella messa in atto di
politiche ed interventi che integrino le varie dimensioni. A tal fine vengono inoltre stimolate una
continua attività di orientamento, di supporto al confronto e alla condivisione di esperienze,
informazioni e buone prassi tra i partecipanti.
La politica dunque è stimolata a creare le condizioni affinché si inneschino azioni capaci di
generare altre azioni. L’amministrazione in questo contesto diviene una “amministrazione
catalitica”. Il catalizzatore è quella sostanza chimica che non partecipa direttamente a una
reazione, ma la favorisce o addirittura la rende possibile. Allo stesso modo l’amministrazione
catalitica non prende le decisioni in prima persona, ma cerca di prenderle con altri o di farle
prendere da altri, ossia di stimolare la partecipazione, l’iniziativa e la corresponsabilizzazione della
società civile.
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Le istituzioni forniscono l’opportunità di un contesto in cui i cittadini possano maturare delle
decisioni e intraprendere azioni nel corso della vita quotidiana. In una situazione in cui le risorse
sono limitate e i tempi ristretti, diventa necessario investire sui beni relazionali, e cioè la
conoscenza reciproca, la comunanza di esperienze, l’abitudine alla collaborazione che lega fra di
loro persone che vivono nello stesso territorio, puntando sulle forze economiche locali e
consolidando le reti e i contatti in vista di future ulteriori collaborazioni. Emerge un’idea di
cambiamento come frutto della partecipazione degli attori in gioco, attraverso la promozione della
comunità locale a soggetto attivo nell’elaborare risposte ai problemi rilevati.
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