dellecolture difragole fuori suolo in provincia di Trento
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dellecolture difragole fuori suolo in provincia di Trento
RICERCA•ECONOMIA AMBIENTE Risultati di un programma sperimentale-dimostrativo finanziato dalla PAT ASPETTI AGRONOMICI e AMBIENTALI Serviva realizzare un rigoroso lavoro di monitoraggio sulle colture fuori suolo per permettere di quantificare con accettabile previsione il destino delle differenti frazioni di P impiegato come fertilizzante. È sembrato necessario inoltre esaminare il ruolo di queste colture nella loro collocazione territoriale e sperimentare accorgimenti operativi in grado di migliorare l’efficienza della fertilizzazione Luigi Giardini Università degli Studi di Padova - Dipartimento agronomia ambientale e produzioni vegetali I primi campi dimostrativi di fragole estive e lamponi nelle valli più elevate del Trentino Orientale vennero realizzati agli inizi degli anni settanta. Essi volevano, da un lato offrire un’alternativa colturale alla vite e al melo nelle aree più marginali, e dall’altro, dare una risposta concreta alla richiesta di lavoro da parte della manodopera locale da tem- po abituata ad alimentare il flusso migratorio. Superate gradualmente le mille difficoltà che sorgevano di volta in volta, queste coltivazioni si sono ampiamente diffuse, allargando la gamma delle specie anche ad altri piccoli frutti: fragolina, mora, ribes, mirtillo gigante, uva spina, ciliegia . L’Associazione Produttori Agricoli S. Orsola, alla quale aderiscono gran parte dei coltivatori interessati a questi prodotti, conta ora circa 1500 soci, commercializza annualmente 35004000 t di piccoli frutti coi quali fattura circa 17 milioni di Euro. La fatturazione complessiva supera di poco i 30 milioni di Euro. Sono cose che vanno ricordate per dare il giusto peso economico e sociale a questa “piccola agricoltura”. Si tratta, in realtà, di una agricoltura di avanguardia, nella quale lo spirito imprenditoriale e l’ingegnosità degli agricoltori si esprimono al meglio con l’aiuto di tecnici preparati, informati e accorti. A partire dalla fine degli anni ottanta, parte di queste colture hanno cominciato ad adottare la tecnica del “fuori suolo”. I risultati incoraggianti ottenuti, soprattutto per la fragola, ne hanno incentivato l’espansione tanto che, attualmente, essa viene effettuata su circa 90 ettari. Negli ultimi anni, però, le “colture fuori suolo” sono state oggetto di grande attenzione a motivo della presunta responsabilità (o corresponsabilità) circa l’inquinamento da fosforo riscontrato nelle acque di alcuni invasi e le conseguenti fioriture algali. Ne è scaturito un vivace dibattito a tutto campo che ha coinvolto il mondo scientifico e l’opinione pubblica non solo locale. I monitoraggi e le ricerche che sono seguite hanno affrontato il problema da varie angolazioni TERRA TRENTINA delle colture di fragole fuori suolo in provincia di Trento 21 TERRA TRENTINA RICERCA•ECONOMIA AMBIENTE 22 (in particolare per il Lago di Serraia). Esse sono altamente meritevoli e hanno prodotto una serie di contributi molto utili alla comprensione dei fenomeni in gioco. Tutti gli AA sono tuttavia concordi nel ritenere che le indagini debbano essere continuate per acquisire ulteriori informazioni. In particolare, sembra utile segnalare che, ad esempio, fino a due anni fa era stato poco considerato che (a) l’eventuale inquinamento provocato dalle serre, diversamente da quello agricolo in pieno campo, non è di tipo diffuso, e che (b) un ruolo determinante avrebbe potuto averlo il substrato torboso (destinazione dopo l’uso, quantità di P trattenuto, disponibilità al rilascio, eccetera). Ben vengano dunque approfondimenti delle conoscenze sui meccanismi di trasporto del P, sulle fonti e sulle quantità trasportate; e ben vengano i tentativi di intervento diretti sulle acque degli invasi e sui fondali con le relative verifiche. In parallelo però, si è ritenuto doveroso che il mondo agricolo coinvolto e additato come principale responsabile del problema, facesse sentire la sua voce (con dati inoppugnabili alla mano) e mostrasse, se necessario, di sapere concretamente trovare adeguate soluzioni. Allo scopo serviva dunque realizzare un rigoroso lavoro di monitoraggio sulle colture fuori suolo, che permettesse di quantificare con accettabile precisione il destino delle differenti frazioni di P impiegato come fertilizzante. È sembrato necessario inoltre esaminare il ruolo di queste colture nella loro collocazione territoriale e sperimentare accorgimenti operativi in grado di migliorare l’efficienza della fertilizzazione. Non va infatti dimenticato che l’agricoltore è il primo diretto interessato alla conservazione dell’ambiente. Sono stati questi i motivi per cui il Servizio Vigilanza e Promozione dell’Attività Agricola della Provincia Autonoma di Trento ha promosso il programma sperimentale-dimostrativo che viene riassunto in questa sede. Il lavoro, come previsto, è stato realizzato negli anni 2001 e 2002 con un’attività di monitoraggio aziendale seguita da una quantificazione territoriale, alle quali si sono sovrapposte elaborazioni e interpretazioni propositive. Gli obiettivi fondamentali erano tre: a) conoscere e quantificare la reale consistenza del problema a livello aziendale, nelle differenti realtà produttive con tecniche “fuori suolo”, prendendo in considerazione i potenziali inquinanti fosforo e azoto; b) tenuto conto della estensione nella provincia di Trento, proiettare le conoscenze acquisite a livello territoriale; c) proporre, ove necessario, eventuali aggiustamenti accettabili della tecnica agronomica. L’indagine aziendale ha monitorato due cicli consecutivi di produzione in sette differenti serre coltivate a “fragole fuori suolo”che prevedevano le seguenti alternative: a) versamento dell’acqua di drenaggio in testata della serre stessa; b) riciclo interno sulla fragola dell’ acqua di drenaggio; c) riciclo interno su tappeto erboso dell’ acqua di drenaggio della serra (due soluzioni: con o senza aggiunta di idrato di calcio al terreno); d) riciclo esterno su prato dell’acqua di drenaggio; e) riciclo esterno su colture di piccoli frutti in terra dell’acqua di drenaggio; f) barriera chimica protettiva, a base di solfato ferroso in vasca; g, h) barriera chimica protettiva, a base di idrato di calcio (due soluzioni: in vasca o in solchetto). I principali risultati possono essere riassunti di seguito. 1) I sistematici controlli effettuati hanno fornito le informazioni per la compilazione, nelle singole serre, di bilanci idrici e dei fitonutrienti. Sia pure in presenza di una notevole variabilità da caso a caso, si è ora in grado di quantificare il significato delle componenti in gioco e di stimare i possibili rilasci ambientali di N e P (ma volendo anche degli altri elementi) a bordo campo. Nei bilanci direttamente derivati da misura, la differenza fra il totale delle entrate e il totale delle uscite è sempre positiva. Essa deriva da errori di campionamento e misura (in tutti i casi), tano poco più del 2%. Di rilevante interesse appare dunque l’obbiettivo di contenere al minimo possibile la quantità di liquido drenato dalla coltura. I rilasci di fitonutrienti nelle varie forme. Mediamente (tab. 2 e 3) da ogni m2 di serra che effettui due cicli consecutivi con le stesse piante, escono 6,2 g di N e 2,0 g di P con le acque di drenaggio, 27,7 g di N e 3,7 g di P con la torba, 16,1 g di N e 3,0 g di P con la vegetazione verde della fragola. Considerato che, mediamente, si effettuano circa 1,5 cicli l’anno e che la superficie utile delle serre sulla quale è stato calcolato il rila- Tab.1 Bilancio idrico medio per 2 cicli consecutivi (litri/m2 di serra e %) voce entrata uscita % climatizzazione 190 37,5 fertirrigazione 308 60,7 torba 9 13,0 1.8-2,6 drenaggio 92,0 18,1 vegetazione 3,4 0,7 frutti 7,4 1,5 ET+ƒU=507-115,8= 391,2 77,2 Tab. 2 Bilancio N medio per due cicli consecutivi (g/m2 di serra e %) voce entrata uscita % climatizzazione 0,3 0,5 fertirrigazione 38,3 60,2 torba 25,0 27,7 39,3-43,6 drenaggio 6,2 9,7 vegetazione 16,1 25,3 frutti 6,8 10,7 E 6,8 10,7 Tab. 3 Bilancio P medio per due cicli consecutivi (g/m2 di serra e %) voce entrata uscita % climatizzazione fertirrigazione 8,1 73,6 torba 2,9 3,7 26,4-33,6 drenaggio 2,0 18,2 vegetazione 3,0 27,3 frutti 2,3 20,9 Il riciclaggio interno sulla fragola dell’acqua di drenaggio (fino al 10% della soluzione fertirrigua) previo filtrazione, clorazione, trattamento con UV e declorazione su carbone attivo, si è rivelata una soluzione tecnicamente interessante: non si sono manifestati inconvenienti di tipo parassitario e la coltura ha prodotto normalmente. Il volume dell’acqua di drenaggio è stato ridotto del 53%, il rilascio di N del 58% e quello di P del 56%. Inoltre, con una più attenta calibrazione fertirrigua, si ritiene possibile una ulteriore riduzione dello scarico. Per una eventuale affermazione di questa tecnica, tuttavia, TERRA TRENTINA evapotraspirazione (ET) e variazioni di umidità (ƒU) del terreno in serra (nel bilancio idrico) e dispersione nell’atmosfera (E per l’azoto). Nei bilanci che seguono, gli errori di campionamento e misura, isolati nel P, sono stati accettati anche per gli altri due bilanci e distribuiti fra le differenti voci in uscita in modo proporzionale al valore misurato. Il bilancio idrico (tab. 1) evidenzia che, mediamente, con la fertirrigazione arriva circa il 60% dell’acqua necessaria alla coltura e che il rilascio con il drenaggio è pari a circa il 18%. Vegetazione verde e frutti aspor- scio può essere stimata pari a circa 93% di quella reale, ne consegue che, sempre in media, da un m2 di serra coltivata a fragola fuori suolo escono in un anno: 4,3 g di N e 1,4 g di P con le acque di drenaggio, 19,3 g di N e 2,6 g di P con la torba, 11,2 g di N e 2,1 g di P con la vegetazione verde della coltura (circa la metà di questi ultimi seguono la torba quando, a fine coltura, essa viene svasata dai contenitori). Il versamento delle acque di drenaggio in testata della serra è la modalità più seguita. Supponendo che ne sia direttamente interessata una fascia con superficie pari al 5% di quella della serra, su di essa arrivano ogni anno, mediamente per m2, 80-90 g di N e 25-30 g di P. Sono quantità che, ripetute nel tempo, pur tenendo conto dell’immancabile e prevalente sottrazione per scorrimento superficiale (erosione e runoff) possono generare anche un significativo approfondimento pure del fosforo in un terreno povero di calcare e con pH subacido quale quello spesso presente nell’area considerata. 23 RICERCA•ECONOMIA AMBIENTE TERRA TRENTINA sarà importante giungere ad una contrazione dei costi dell’impianto che, con i prototipi attuali sono ancora troppo onerosi. La distribuzione dell’acqua di drenaggio sul tappeto erboso della serra si è rivelata una pratica facilmente realizzabile ed anche utile ai fini della climatizzazione sotto chioma. La vegetazione che cresce sul terreno della serra è in grado di catturare annualmente una quantità di fitonutrienti nettamente superiore rispetto a quella distribuita (5-6 volte in più). Il rilascio effettivo è condizionato dal rapporto fra umificazione e mineralizzazione della sostanza organica prodotta. L’applicazione del modello GLEAMS stima una riduzione dei rilasci di N del 66% e di P dell’83% rispetto alla pratica comune di versamento in testata. La fertirrigazione di un prato con l’acqua di drenaggio delle serre comporta due tipi di vantaggi: a) una risposta produttiva della foraggiera più o meno consistente in funzione del rapporto fra superficie del prato e superficie della serra; b) una significativa riduzione dei rilasci assoluti. Nel caso ipotizzato 24 in simulazione (apporto annuo di 54 kg/ha di N e 17,5 kg/ha di P, quindi un m2 di prato avrebbe servito 1,25 m2 di serra) i rilasci stimati rispettivamente per N e P sarebbero pari a 3,7 e 11,4% di quelli indicati per lo sversamento diretto alla testata delle serre. La fertirrigazione di un frutteto di more (ma la stessa cosa appare realizzabile anche per qualsiasi altro frutteto) con le acque di drenaggio, ha pure offerto una soluzione altrettanto valida al problema affrontato. L’utilizzazione di un impianto fisso di microirrigazione (non di rado già presente) semplifica le cose agevolando la distribuzione. Il rapporto fra superficie della serra e superficie del frutteto può essere assai vario, da (1: 0,781) se si ritiene la composizione del refluo già idonea alle esigenze della nuova coltura, a (1: n) se si ritiene opportuno correggerla. L’utilizzo di barriere chimiche ha riguardato la verifica degli eventuali vantaggi conseguibili con il trattamentoin vasca delle acque di drenaggio, con solfato ferroso o con idrato di calcio, al fine di insolubilizzare il fosforo come fosfato ferroso o fosfato tricalcico. Dopo aver insolubilizzato il fosforo si può ipotizzare: a) di filtrare il precipitato e di irrigare il tappeto erboso della serra con la soluzione rimasta b) di utilizzare direttamente la sospensione per irrigare il detto tappeto erboso. Il calcolo stechiometrico mostra che per insolubilizzare un grammo di P occorrono 8,37 g di solfato ferroso o 1,2 g di idrato di calcio. In campo sono stati volutamente impiegati dosaggi più elevati per contrastare eventuali interferenze di altri sali presenti nella soluzione drenata. Il trattamento con solfato ferroso ha permesso di ottenere una soluzione che, separata dal precipitato, presentava un contenuto in P pari a 12-17% di quello totale presente nell’acqua di drenaggio non trattata. Il trattamento con idrato di calcio ha permesso di ottenere una soluzione che, separata dal precipitato, presentava un contenuto in P inferiore all’uno % di quello totale presente nell’acqua di drenaggio non trattata. Sostanzialmente ambedue i composti raggiungono l’obbiettivo, ma l’idrato di calcio sembra preferibile per la maggiore efficacia, la dose minore di impiego e il trascurabile impatto ambientale. Sempre con idrossido di calcio si è anche provato a trattare un solchetto tracciato sotto i bancali per la raccolta diretta dell’acqua di drenaggio per gocciolamento. I risultati di questa prova evidenziano aspetti contrastanti. Mentre infatti da un lato si evita il versamento in testata e il quasi sempre conseguente scorrimento superficiale della soluzione contenente P, dall’altro non si può non segnalare una sia pur modesta complicazione operativa all’interno della serra. I rilievi analitici, inoltre, evidenziano una non soddisfacente immobilizzazione del Tab. 4 Composizione media della torba in uscita Torba + Piante fr. Umidità (% t.q.) 80 PH in H2O (1:5) 5,1 S.O. (% s.s.) 89,2 Ceneri (% s.s.) 10,8 Cloruri solubili in H2O (mg/kg s.s.) 117 Solfati (g/kg s.s.) 3,9 N tot. (g/kg s.s.) 11,4 Ptot (g/kg s.s) 2,1 K scamb. (g/kg s.s.) 1,5 Ca tot. 20 Mg tot. (g/kg s.s) 2,8 S tot. (g/kg s.s) 2,8 B tot. (g/kg s.s) 7,8 Fe tot. (g/kg s.s) 1,3 Mn tot. (mg/kg s.s) 73 Cu tot. (mg/kg s.s) 35 Zn tot. (mg/kg s.s) 48 Mo tot. (mg/kg s.s) 6,6 C.S.C. (meq/100g) 26 P assim. (mg/kg.ss.) 290 DETERMINAZIONI Questo materiale andrebbe valorizzato più di quanto non si faccia attualmente per due motivi fondamentali: a) per il vantaggio che ne possono ricavare le colture e i terreni coltivati (se ne potrebbero servire anche 400 ettari); b) per evitare che una gestione irrazionale comporti mineralizzazione in ambiti non appropriati e rilasci ambientali non desiderabili. L’indagine territoriale In questa fase del lavoro si è voluto dare una visione di assieme delle colture fuori suolo presenti nella provincia di Trento, collocandole in un Sistema Informativo Territoriale (SIT) che ne permettesse anche una valutazione del potenziale impatto ambientale conseguente al rilascio di fitonutrienti N e P. Si è proceduto nel modo seguente: 1) raccolta ed elaborazione dei dati relativi alle serre presenti sul territorio provinciale; 2) costruzione e adattamento del SIT in funzione delle esigenze; 3) bilanci medi e valutazioni modellistiche di riferimento; 4) realizzazione di cartografie dei rilasci N e P per bacino elementare; 5) realizzazione di cartografie dei rilasci N e P per i bacini elementari più “caricati”, con il ricorso ad accorgimenti limitativi. A tal fine si è così operato: acquisizione presso la Cooperatriva “S. Orsola” del catasto produttori riportante gli estremi catastali dei mappali interessati dalla coltivazione; acquisizione, tramite il Servizio Vigilanza e Promozione dell’Attività Agricola, dei dati relativi ai produttori associati alle Cooperative Consorzio Trentino Ortofrutta, Agri 90, Alpefrutta; acquisizione presso la Provincia di Trento dei tematismi di base (limiti amministrativi, idrografia, particelle catastali, ecc...); acquisizione delle ortofoto “volo Italia 2000” in formato raster. In totale sono state individuate 926 punti-serra per una superficie complessiva di coltivazione pari a 88,39 ha. Accettando, per i motivi sopra esposti, un rilascio medio annuo di N pari a 4,3 g/m2 di serra e un rilascio medio annuo di P pari a 1,4 g/m2, e tenuto con- Tav. 1 • • • • TERRA TRENTINA P che potrà probabilmente essere superata aumentando il quantitativo di idrato di calcio impiegato (1,2 kg per metro lineare). La torba e i residui colturali sono componenti molto importanti dell’agrosistema considerato. Mediamente, ogni anno, da ogni m2 di serra escono circa 12,5 kg di torba umida + vegetazione verde (il rapporto fra i due componenti è circa 7:1). Ogni anno, nella provincia di Trento, se ne rendono disponibili 10-12000 tonnellate con l’80% di umidità (2200 t di s.s. che contengono 1900 t di s.o.). L’analisi ne rivela le caratteristiche i cui valori medi rilevati in questo lavoro sono riportati nella tab. 4. Si tratta indubbiamente di un materiale molto interessante per il suo potenziale utilizzo agronomico. È abbastanza simile al letame rispetto al quale è però più umido e meno ricco di macroelementi, ma è di più facile manipolazione. Va inoltre segnalato che esso contiene almeno il 50% dell’N e del P che entrano, direttamente o indirettamente, nel processo produttivo della fragola fuori suolo. 25 RICERCA•ECONOMIA AMBIENTE to della superficie coperta dalle colture fuori suolo in ogni bacino, si sono costruite le carte dei rilasci potenziali complessivi di N e P nelle differenti aree del territorio provinciale (TAV.1 e TAV. 2). Come si può osservare, i valori oscillano fra 0 e 478 kg per N e fra 0 e 156 kg per P, e sono ovviamente influenzati oltre che dalla superficie coperta, anche, TERRA TRENTINA Sopra Tav. 2 e sotto Tav. 3 26 in modo inverso, dalla superficie territoriale. I rilasci complessivi più consistenti si riscontrano nei bacini Rio Negro, Testata Sopra Serraia, Novaledo Roncegno. Rapportando i valori suddetti alla superficie territoriale dei bacini corrispondenti (ST) si ottengono i rilasci potenziali per m2 di ST. Questa volta i valori, escluden- do i bacini privi di serre, oscillano fra 0 e 0,082 g/m2. I rilasci unitari ST più elevati si riscontrano nei bacini Rio Negro e Stefani. Rapportando i rilasci complessivi di bacino per la superficie agricola utilizzata (SAU) si sono ottenuti i rilasci potenziali per m2 di SAU. Rapportando i rilasci complessivi di bacino per la superficie agricola utilizzata a valle delle serre (SAUv) come rilevato dal CORINE, si sono ottenuti i rilasci potenziali per m2 di SAUv. I nove bacini con il più alto rilascio totale sono stati trattati singolarmente per esplorarne la reattività agli accorgimenti di ricircolo dell’acqua di drenaggio nel tappeto erboso della serra o su prato polifita. Per questi la SAUv è stata ulteriormente ridimensionata in base ad un attento esame diretto della cartografia riportante le curve di livello e la posizione delle serre individuate. È stata così ottenuta la SAUvc. Nella TAV. 3, a titolo esemplificativo, si riportano i risultati ottenuti in un bacino.