Beatrice: Canto Di Natale

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Beatrice: Canto Di Natale
Lupin III – Un Canto di Natale
Era la notte prima di Natale, quando in tutta la casa
non una creatura si muoveva, neanche un topo. 1
Improvvisamente la porta si spalancò con gran fragore, e il grande ladro di fama internazionale
Arsenio Lupin III entrò, saltellando qua e là per la stanza, sulla testa un cappello da Babbo Natale
rosso sgargiante e decorato da lucine a intermittenza, cantando a squarciagola canzoncine natalizie
in un inglese sconnesso. Jigen Daisuke, che fino a pochi secondi prima stava godendosi la
tranquillità e il silenzio in compagnia di un bicchiere di whisky e dei suoi pensieri, con un gemito
tirò giù la falda del suo cappello, coprendosi non solo gli occhi come era solito fare, ma l'intera
faccia.
Lupin era suo amico, il suo migliore e forse unico vero amico, ma a volte Jigen non poteva fare a
meno di chiedersi cosa lo fermasse dal piantargli un proiettile in testa con il suo revolver Smith &
Wesson. Soprattutto in momenti come questo.
Lupin continuava a cantare di renne e di campanelle, di neve e di slitte, augurando un felice Natale,
un felice Natale, un felice Nataleeee e un buoooon anno!
Jigen sentiva di non farcela più: “Lupin! Potresti per piacere smettere di ferire le mie orecchie con il
tuo presunto cantare, e soprattutto spegni quelle fastidiosissime lucette prima che lo faccia io con la
mia pistola!”. Lupin smise di saltellare in giro, e pur continuando a canticchiare a voce più
sommessa, si avvicinò al suo amico, e con il suo tipico sorriso al tempo stesso irritante e
irresistibile, disse: “Suvvia, Jigen! E' la vigilia di Natale, entra nello spirito! Stiamo aspettando solo
te per andare a cena fuori: mangeremo nel ristorante più elegante della città, brinderemo e
festeggeremo, e poi torneremo qui ad aprire i regali intorno all'albero! Hi hi hi, non vedo l'ora...”
Jigen lo guardò con aria poco convinta. “Lupin, non vorrei essere scortese, ma sai benissimo che io
non amo il Natale e che non vedo nessun motivo particolare per dover essere felici e per festeggiare.
Non intendo tornare sull'argomento anche quest'anno, quindi fammi l'unico regalo che io possa
gradire e lasciami in pace.”
Lupin, per niente scoraggiato, rispose: “Ma dài! Non fare il solito finto brontolone...guarda, persino
Goemon anche se shintoista ha accettato di venire a festeggiare con noi!”.
“E' vero. Ci ho meditato su, e sono arrivato alla conclusione che lo spirito del Natale non sia in
opposizione alla via del samurai.” La voce di Goemon, calma e pacata, giunse alle loro spalle. Il
samurai era appena entrato in compagnia di Fujiko.
Lupin si voltò, allargando ancora più il suo sorriso alla vista della donna, e rivolto all'amico samurai
esclamò: “Hey Goemon! Siete pronti? Ma perché non stai indossando il cappello con le corna di
1 Traduzione dell'incipit di “A Visit from St. Nicholas” (1823), Clement Clarke Moore
renna che ti avevo regalato?”
Arrossendo di rabbia o di vergogna, o forse un misto tra le due, Goemon mise mano alla sua spada,
che luccicò nel momento in cui lui cominciò appena ad estrarla. “Ti avevo avvisato di non osare
parlare più di quella cosa. Chiedimelo un'altra volta e ti taglio in due!”.
Lupin indietreggiò, ridacchiando nervosamente: “Su, su, Goemon...stavo solo scherzando! Hi hi
hi...” Rassicurato alla vista della katana che spariva nuovamente nel suo fodero, aggiunse: “Allora,
se siamo pronti, possiamo andare. Jigen, se cambi idea vieni a raggiungerci a questo indirizzo”.
Così dicendo, posò un bigliettino sul tavolo.
Jigen non lo degnò di uno sguardo, e bofonchiando da sotto il cappello rispose: “Non lasciate che il
vostro tacchino, o aragoste, o tofu, o qualsiasi cosa sia che si mangia per Natale si raffreddi”.
Lupin lanciò uno sguardo un po' più serio al suo amico, e prima di chiudere la porta alle sua spalle
aggiunse: “D'accordo. Comunque, buooooon Natale!”.
“Bah.” fu l'unica risposta che ottenne.
Non era ancora passata un'ora da quando Lupin, Goemon e Fujiko erano usciti, e Jigen aveva quasi
finito di bere tutta la sua bottiglia di whisky. Non era triste, no. A lui piaceva il whisky ed era
abituato a berlo per rilassarsi. Ma per qualche strano motivo si ritrovò a pensare ai suoi amici, a
chiedersi se Lupin avesse già irritato Fujiko con qualche proposta indecente, beccandosi il solito
sonoro schiaffone, e chissà se Goemon aveva bevuto abbastanza sake da diventare nostalgico e
declamare haiku estemporanei o addirittura cantare ballate enka, come quella volta quando... “Bah!”
disse a se stesso ad alta voce, buttando giù l'ultimo bicchierino prima di alzarsi dal divano per
andare a dormire.
Si era appena stiracchiato e stava per incamminarsi verso la sua stanza, quando sentì uno strano
rumore proveniente dalla cucina. Presa in mano la sua fidatissima Magnum, la preparò con appena
un silenzioso “click” e si affacciò con estrema tensione e attenzione alla piccola cucina adiacente.
Quello che vide lo lasciò senza fiato e a bocca spalancata.
L'ispettore Koichi Zenigata stava lì, seduto per terra a gambe incrociate nella cucina del
nascondiglio di Lupin III e la sua banda, ingozzandosi di ramen al buio, illuminato solo dalla luce
del frigorifero aperto.
Jigen non si era ancora ripreso dalla sorpresa, quando Zenigata si voltò, le bacchette in una mano, la
ciotola nell'altra. Per quanto impossibile potesse sembrare, c'era qualcosa di ancora più strano in
quella già strana scena, qualcosa di irreale, qualcosa di...spettrale.
L'ispettore si alzò lentamente e fece due passi, e Jigen notò che aveva con sé le sue fidate manette,
che sembravano però quasi avvolgerlo, la lunga catena che pendeva dal suo corpo e strisciava sul
pavimento con clangore, quasi come le catene di un... “Un fantasma? E' questo che pensi, Jigen?
Sì, sono un fantasma. Sono morto una settimana fa, nella stanza di un albergo ad Amburgo. Ricordi
il colpo a Colonia? Ero sulle vostre tracce, ero vicinissimo, accidenti! Ma poi...non so, un
avvelenamento da cibo probabilmente. I tedeschi proprio non sanno cucinare la zuppa di ramen
come si deve.”
Jigen sentì la sua pistola scivolargli dalle mani, ma si fece forza e reagì. D'altra parte, non sarebbe
stata la prima volta che l'ispettore Zenigata si fingeva morto, o che veniva ritenuto tale. No, non era
certo la prima volta. Ma in ogni caso, che ci faceva nella sua cucina? Come aveva fatto a
rintracciarli?
E
soprattutto,
perché
non
faceva
neanche
una
mossa
per
arrestarlo?
“Jigen, Jigen...posso leggere i tuoi pensieri, e ti dico che ti sbagli. Sono davvero morto. E sono
morto solo, da solo, senza neanche un cane per compagnia. Non so neanche se il mio corpo sia stato
ritrovato: nessuno sapeva che ero lì, era stata una mia intuizione ed ero partito senza alcun ordine
dall'Interpol. Non so neanche se mia moglie e mia figlia siano state informate. Accidenti, non so
neanche se pensino più a me. Da anni non ho più contatti con loro, non ho più festeggiato né Natale,
né capodanno, né compleanni, anniversari...per me esisteva solo la mia ossessione: catturare Lupin,
e ora non ho più neanche quella”. Zenigata, o meglio il suo fantasma, a questo punto piangeva come
una fontana, ma si ricompose all'improvviso, asciugandosi gli occhi con la manica e riprendendo il
suo cipiglio: “Ma bando alle ciance. Jigen! Io sono stato mandato qui per farti da monito, affinché
anche tu non faccia la mia stessa fine!” Ma poiché Jigen restava ancora muto, forse perché
incredulo, o forse perché ancora sopraffatto dalla sorpresa, l'ispettore aggiunse: “Bene. Visto che la
mia apparizione non è sufficiente, sono qui anche per annunciarti la visita di altri tre fantasmi: il
fantasma dei Natali passati, il fantasma dei Natali futuri, e quello del Natale presente. Verranno a
trovarti nel corso di questa notte, quindi sii pronto. La mia missione qui sulla terra è finita. Salutami
Lupin, e digli che comunque non mi arrendo, e lo aspetto per continuare la caccia quando verrà
anche il suo turno. Addio!” Dette queste parole, infilò in bocca un ultimo boccone di ramen e sparì.
Passarono circa cinque minuti durante i quali Jigen rimase appoggiato allo stipite della porta, la
pistola ancora stretta nella mano ma con il braccio pendente e inerte lungo il fianco. Passato questo
momento, si convinse di avere avuto un'allucinazione, gettò il whisky rimasto nel buco del
lavandino e si preparò ad andare davvero a dormire.
Ancora perplesso dalla bizzarria di quella strana allucinazione, Jigen sentì le campane di una chiesa
vicina rintoccare la mezzanotte. Scuotendo la testa per allontanare degli strani pensieri che
cercavano di entrare nella sua mente, non fece in tempo a dire “bah!” che un colpo di vento aprì la
finestra, e un soffio di neve entrò nella sua stanza. “Neve? A queste latitudini?” fu il suo primo
pensiero, ma qualsiasi altro pensiero fu annullato da quello che apparve al centro del piccolo turbine
di neve che si era creato: Fujiko, o una donna che le somigliava in maniera impressionante, vestita
come una Madonna in un dipinto del Cinquecento fiorentino.
Questo era veramente troppo. “Fujiko?!?! Ma cosa …??!!?” esclamò Jigen, aggiungendo una lista
di irripetibili esclamazioni di stupore.
“Hey pistolero! Modera i termini! In questa notte speciale io sarò per te il Fantasma dei Natali
Passati, quindi abbi rispetto. Dammi la mano e preparati!” Senza aspettare risposta, Fujiko, ovvero
il fantasma con le sue sembianze, afferrò la sua mano, e Jigen sentì il turbine di neve che li
circondava mulinare intorno a loro. Quando stava per sentirsi ormai soffocare, la neve si diradò, e
Jigen si ritrovò in uno scenario stranamente familiare, qualcosa che forse aveva dimenticato o che
sperava di avere dimenticato, qualcosa al tempo stesso di molto lontano e molto vicino: le strade di
New York, di Chicago, e di altri luoghi della sua giovinezza, un mondo che sembrava non esistere
più se non nei sui ricordi. Guidato dal fantasma, Jigen fu trasportato, osservatore passivo di se
stesso, a rivisitare quei luoghi e le persone che lo avevano popolato, soprattutto le donne: Catherine,
Angelica, Cicciolina, e tante altre delle quali quasi aveva dimenticato il nome. Alcune di loro erano
morte, altre era come se lo fossero: lontane, sposate, con una nuova e forse felice vita, tutte
comunque ormai definitamente cancellate dalla vita del pistolero. Rivivere quei momenti, quei
Natali realmente vissuti con loro, alcuni invece solo desiderati, gli fecero sentire un peso al
cuore.“Sei crudele, fantasma”, disse Jigen.
“No, non lo sono. Sono realista, non crudele. Mi hai sempre giudicata male, Jigen, ma è questa la
verità, e devi affrontarla. Noi siamo il frutto del nostro passato, siamo quello che scegliamo e che
decidiamo nel corso della nostra vita. E questo è il tuo passato, e non puoi modificarlo, mai....
hmmm...beh, a meno che tu non abbia una DeLorean e un flusso canalizzatore.”
“Cosa?!?! Cosa hai detto??!” Jigen, risvegliato all'improvviso dai suoi ricordi, si voltò di scatto,
stupito dalla stranezza dell'ultima affermazione. Ma il fantasma, con un sorriso e una strizzata
d'occhio, sparì.
Jigen si ritrovò all'improvviso di nuovo nella sua stanza, la finestra chiusa, nessuna traccia di neve
sul pavimento. Stanco delle stranezze di quella notte, e soprattutto dell'amara rivisitazione del suo
passato, dichiarò di averne avuto abbastanza.
Ma ecco che la pendola nell'altra stanza fece suonare l'una dopo la mezzanotte. Jigen fece solo in
tempo a pensare che questo era impossibile, perché in realtà loro non avevano mai avuto un
orologio a pendolo in quella casa, quando in uno strano bagliore di luce azzurrognola, comparve
davanti ai suoi occhi una nuova apparizione. Aveva le sembianze e anche le movenze e gli
atteggiamenti stoici e pacati di Goemon, e anche l'abbigliamento sembrava il suo solito...eppure
c'era qualcosa di strano nel kimono e hakama del samurai...qualcosa che Jigen sembrava
riconoscere da qualche cosa, qualche parte, ma non riusciva a ricordare con esattezza.
“E tu saresti il fantasma di...?”
“Silenzio! Io sono qui per mostrarti non le cose che furono, né le cose che sono, ma le cose che
devono ancora verificarsi. Io sono il Fantasma dei Natali Futuri!”
“Oi, fantasma del futuro! Non è che per caso potresti spifferarmi qualche numeretto del lotto?
Potremmo dividere a metà la vincita...”
Goemon, o il fantasma che dir si voglia, fece una smorfia e aprì un occhio, disturbato da tanto
materialismo. Con un sospiro, continuò il suo discorso: “Sono stato mandato qui per farti vedere il
tuo futuro. Ma in realtà, quello che succederà, è difficile a dire. Sempre in movimento è il futuro.”
“Cosa, cosa? Sempre in movimento è il futuro?! Ma questa frase...ohhhh...oh, oh, ti prego! Yoda!
Yoda, da Guerre Stellari! Ma tu! Proprio tu, eri l'ultima persona che avrei mai immaginato fare
citazioni di cult movie americani...hahahahaha!!!”
L'impassibilità e la calma del fantasma/samurai era ormai andata a farsi benedire, e si ritrovò a
urlare: “Sta' zitto, ignorante! Non sai che i Jedi di Star Wars sono fortemente ispirati ai samurai e ai
valori del bushido?!!?”
L'ilarità di Jigen comunque sembrava non placarsi, e il samurai, rosso in volto, scomparve offeso e
indignato nella sua nuvoletta di luce azzurra.
Sghignazzando ancora, forse anche come reazione nervosa a quella notte assurda, Jigen si gettò sul
divano, e dopo aver appoggiato la testa sul bracciolo, si coprì la faccia con il braccio. Si addormentò
senza neanche rendersene conto.
Fu svegliato all'improvviso da una voce conosciuta, che sembrava chiamarlo da lontano. “Jigen!
Jiiiigen, svegliati! Non dirmi che ti sei addormentato guardando la maratona di Ritorno al Futuro
alla televisione? Hi hi hi!”
“No, non solo Ritorno al Futuro...è uno speciale sui film di fantascienza e...hey!! Chi sei?! Sei forse
il Fantasma dei Natali Presenti?” chiese Jigen, ancora in dormiveglia.
“Ha ha ha! Ma che dici? Sono Arsenio Lupin III, in carne e ossa, molto presente ma per niente
fantasma! Jigen, credo che tu abbia fatto uno strano sogno”
Aprendo gli occhi e svegliandosi del tutto, Jigen vide la faccia sorridente dell'amico, e dietro di lui
Goemon e Fujiko...che sembravano i normalissimi Goemon e Fujiko che conosceva. “Ma...il Natale
passato? Il Natale futuro?...” biascicò il pistolero.
“Su, amico, vieni su da questo divano e vieni con noi vicino all'albero. Siamo appena tornati e sta
per scoccare la mezzanotte: in tempo perfetto per scambiarci auguri e regali. Dimentica il passato e
lascia perdere il futuro per il momento: sei qui con noi, ora e adesso, ed è questo quello che conta.”
disse Lupin, offrendogli una mano per tirarsi su, mentre dietro di lui Fujiko e Goemon lo
guardavano sorridenti.
“Oi! E speriamo che Zenigata non ci abbia seguito fino a qui!” aggiunse Lupin mentre si
incamminavano nella stanza accanto, dove si trovavano l'albero addobbato e i regali e il camino.
“Sapessi, Jigen, che seccatura è stata scappare di corsa via dal ristorante, senza neanche poter
pagare il conto, e Zazà che ci correva dietro urlando al suo solito!”
“Già, immagino!” disse Jigen ridendo, e tutti gli altri si unirono alle sue risa. Era Natale, era il
presente, ed era con i suoi amici, la sua famiglia.
Ed era felice.
Prima che se ne rendesse conto, la frase “Buon Natale a tutti noi!” era già uscita dalle sue labbra.
~~
Nota finale:
L'idea alla base di questa storia può sembrare non particolarmente originale, ma visto che praticamente tutti -da
Topolino, ai Muppet, al Doctor Who- hanno avuto la loro versione della Christmas Carol di Dickens, ho pensato
“perché non anche il nostro Lupin III?”
Da questa idea, aggiungendo (spero!) un tocco dell'umorismo tipico della serie, è nata la mia storia.
Spero vi abbia divertito almeno un po'. A me ha divertito scriverla, e questo è già qualcosa.
Grazie,
Beatrice