LEOPARDI SULLA LINGUA E SULLA LETTERATURA La

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LEOPARDI SULLA LINGUA E SULLA LETTERATURA La
KORNÉLIA HORVÁTH
LEOPARDI SULLA LINGUA E SULLA LETTERATURA
La concezione romantica della lingua e della poesia oggidì si presenta
assai attuale. La teoria della letteratura e la filosofia poststrutturalistica e
postmoderna non a caso mostrano grande interesse per il
romanticismo1: avvenuta la svolta linguistica della filosofia (cfr. Habermas
1994:349-386), la concezione della lingua elaborata dal romanticismo ci
appare produttiva e continuabile per molti aspetti.
Questa concezione della lingua, naturalmente, aveva proprie fonti
dirette, ben più lontane. Come antenati diretti di Leopardi possono esser
nominati Vico e Beccaria. Sembra però che la teoria leopardiana della
lingua e della poesia, svolta in più di mille pagine nello Zibaldone dei
pensieri, abbia i suoi aspetti originali, i quali anticipano le tesi dei filosofi
del Novecento come per es. Nietzsche, Cassirer, Heidegger2 o Gadamer.
Adesso esaminiamo brevemente i pensieri leopardiani più significativi
nella prospettiva del pensiero linguistico-filosofico e letterario del
Novecento.
La prima nostra questione riguarda il rapporto tra la lingua e il pensiero,
cioè quello che il postmodernismo esprime dicendo che: il pensiero è
preceduto e precondizionato dalla lingua. Leopardi, a sua volta, aveva già
1 Accenniamo alle analisi di poesie di Hölderlin eseguite da Heidegger e Gadamer, e
agli scritti di Paul de Man (vedi a questo proposito Heidegger 1994, Gadamer 1994,
De Man 1979). Secondo l’opinione di De Man tutti i metodi della critica letteraria di
oggi hanno le sue origini nella tradizione poetica del romanticismo (De Man
1984:202-226 e 1993:128) Le ricerche dell’età romantica hanno una fioritura anche
nelle scienze letterarie ungheresi, come testimonia una serie di volumi di scritti
disponibili in lingua ungherese, su questo tema, e per esempio: Pèter 2003, HanságiHermann 2003, Eisemann 1999, Szegedy-Maszák e Hajdu 2001.
2 La parentela tra le filosofie leopardiana e heideggeriana si mostra nella posizione
centrale della problematica dell’esistenza e nel concetto filosofico dell’esperienza del
nulla (v. Ferrucci 1990:140-141). Notevole è l’anticipazione dei pensieri dei filosofi
tedeschi del Novecento nel Leopardi anche perché lui, non parlando il tedesco, non
aveva un rapporto diretto con la tradizione della filosofia dello spirito, sul suolo della
quale si è formata la disciplina moderna della fenomenologia e dell’ermeneutica (cfr.
Bini in Landoni 1990:156).
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risposto a questa domanda con la frase: „noi pensiamo parlando”
(Leopardi 1997:121). Come scrive, non esiste una lingua in cui la parola
sia capace di rendere sensibile tutte le proprietà del pensiero. Ma la
constatazione dell’incongruenza fra il pensiero e la lingua non porta
l’autore alla concezione della rovina della lingua – come per es. nel caso
del suo contemporaneo, il tedesco Müller –, nè a quella del primato del
pensiero. Al contrario, nella sua argomentazione la conoscenza di più
lingue rende più chiara l’idea (cioè il pensiero), per cui ciò che risulta
inesprimibile in una lingua, diventa spesso comprensibile in un’altra.
„Trovata la parola in qualunque lingua, siccome ne sappiamo il
significato chiaro e già noto per l’uso altrui, così la nostra idea ne prende
chiarezza e stabilità e consistenza e ci rimane ben definita e fissa nella
mente…” Se però non applichiamo la parola all’idea, l’idea „rimarrebbe
molto confusa nella mente” (ivi:121). Dunque le parole delle differenti
lingue trasformano e rinnovano l’idea, e perciò si interpretano nel
Leopardi non come strumenti dell’espressione, ma della creazione del
pensiero, e insieme funzionano come un tipo di voce media nell’atto della
comprensione e autocomprensione.3 Possiamo dunque affermare che nel
Leopardi si scopre un momento autentico della teoria ermeneutica della
comprensione, legata alla forma linguistica: „Perchè un’idea senza parola o
modo di esprimerla, ci sfugge, o ci erra nella mente come indefinita e
mal nota a noi medesimi che l’abbiamo concepita. Colla parola prende
corpo, e quasi forma visibile, e sensibile, e circoscritta”(Leopardi
1997:121). (Nella linguistica romantica e postromantica dell’Ottocento
l’espressione „l’idea” si usava come termine tecnico per indicare il
significato di una parola.4) E qui si deve ricordare una famosa frase
gadameriana: „La forma linguistica e il contenuto ereditato dalla tradizione
sono inseparabili nell’esperienza ermeneutica.” (si tratta di una frase messa in
particolare rilievo da Gadamer stesso)
3
Qui si nota la tesi gadameriana, secondo la quale „l’essere comprensibile è lingua”
(1984:328).
4 Nella linguistica romantica e postromantica dell’Ottocento l’espressione „l’idea” si
usava come termine tecnico per indicare il significato di una parola (v. Humboldt
1985 e ПОТЕБНЯ 1990. 132-313).
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Leopardi esamina poi la natura delle parole. Esse, scrive, „non
presentano la sola idea dell’oggetto significato, ma quando più
quando meno, immagini accessorie. Ed è pregio sommo della lingua
l’aver di queste parole. Le voci scientifiche presentano la nuda e
circoscritta idea di quel tale oggetto, e perciò si chiamano termini
perchè determinano e definiscono la cosa da tutte le parti. Quanto più
una lingua abbonda di parole, tanto più è adattata alla letteratura e
alla bellezza (…)” (Leopardi 1997:135-136). Così la parola leopardiana
realizza la „forza nativa” della lingua, che „consiste nel destar
l’immagine dell’oggetto, e non mica nel definirlo dialetticamente”
(ivi:137).
La contrapposizione leopardiana della parola al termine rivela una
somiglianza notevole con la teoria di Humboldt, che ha formato
definitivamente il pensiero di Cassirer, dell’ultimo Heidegger e di
Gadamer per quanto riguarda la capacità simbolizzante della lingua,
la natura del processo della comprensione e il fondamento linguistico
della soggettività.5 Humboldt ha definito la sostanza della lingua non
come un prodotto, un sistema di elementi e di regole (ergon), ma
come attività (energeia), dunque ha sottolineato il primato della
continua attività autoformatrice della lingua, rispetto al suo uso come
strumento comunicativo (v. Humboldt 1985:102). L’attività creatrice
della lingua si realizza nel pensiero leopardiano attraverso il destare, il
creare l’immagine dell’oggetto, il quale diventa possibile solamente con
l’aiuto della parola.
Questi pensieri leopardiani ci sembrano molto (post)moderni. La
tesi per cui „noi pensiamo parlando” non solo fissa il
precondizionamento del pensiero umano da parte della lingua, ma
anche accentua la concezione della lingua nel suo valore di atto del
parlare. Il concetto della lingua come atto del parlare rappresenta il
punto centrale della teoria del padre dell’ermeneutica moderna, e
cioè di Schleiermacher.6 L’altro aspetto assai importante consiste nella
5
Dell’influenza di Humboldt su Heidegger e Gadamer scrive Kulcsár Szabo (1996:
288-310).
6 Del rapporto tra lingua e parlare Heidegger dice: „La lingua parla. L’uomo parla
soltanto adattando alla lingua.” (v. Heidegger 1993 in Kulcsár Szabó 1996:298).
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valutazione del partner discorsivo, siccome Leopardi suppone la
partecipazione attiva del ricevente alla comprensione. Udendo la
parola, il ricevente deve creare l’immagine dell’oggetto significato,
quindi il significato (o per usare l’espressione del Leopardi: l’idea)
può formarsi esclusivamente nel corso e come risultato della
collaborazione attiva del ricevente. Di conseguenza, nel processo
della comprensione di un enunciato l’uditore compie lo stesso lavoro
mentale del parlante. „Il parlare e il comprendere sono soltanto i due
lati differenti della stessa cosa” – dirà poi Humboldt, dopo il
Leopardi (Humboldt 1948 in ПОТЕБНЯ 1990:138). Oppure, come ha
espresso un seguace del linguista tedesco, „nel processo della
comprensione non è il parlante a dare il suo pensiero all’uditore, ma
quest’ultimo, compresa la parola, crea il proprio pensiero, il quale
prende nel sistema formato dalla lingua un posto simile al pensiero
del parlante.”(Potebnya 2002:154)..
Il Leopardi esamina pure la natura segnante e significante delle
parole, e svolge le sue analisi in campo diacronico ed etimologico. Egli
rivela che tutte le denominazioni sono originariamente sensibili, cioè
che le parole al principio segnavano effetti sensitivi. La rottura con il
significato originario sensibile si è verificata attraverso la formazione
di significati secondari. Questo però vuol dire che i concetti si sono
formati attraverso metafore e similitudini.7 Vale qui la pena ricordare le
parole nietzscheiane, secondo le quali „In sè e originariamente,
rispetto al suo significato (…) ogni parola è un tropo.” (1997:22)
L’esempio leopardiano sarà il verbo aspettare: „Osservate, per
esempio, l’azione di aspettare. Ell’è affatto esteriore, e materiale, ma,
siccome non cade precisamente sotto i sensi, perciò non è stata
7 Ecco la sua argomentazione: „Chiunque potesse attentamente osservare e scoprire
le origini ultime delle parole in qualsivoglia lingua, vedrebbe che non vi è azione o
idea umana, o cosa veruna la quale non cada precisamente sotto i sensi, che sia stata
espressa con parola originariamente applicata a lei stessa, e ideata per lei. Tutte simili
cose (…) non hanno ricevuto il nome se non mediante metafore, similitudini ec. Prese
dalle cose affatto sensibili, i cui nomi hanno servito in qualunque modo, e con
qualsivoglia modificazione di significato o di forma, ad esprimere le cose non sensibili
[sottolineatura di chi scrive]; e spesso sono restati in proprietà a queste ultime,
perdendo il valor primitivo.” (Leopardi 1997: 930)
250
espressa nelle nostre lingue se non per via di una metafora presa dal
guardare, ch’è azione tutta sensibile. (…) Bensì questa metafora è poi
divenuta parola propria, perdendo il senso primitivo.” (Leopardi
1997:930)
Quindi la creazione dei concetti viene descritta nello Zibaldone non
come un processo logico, ma come processo determinato e orientato
dalla lingua. Se le „idee sono inseparabili dalle parole” (Leopardi
1997:1536) – e così diventa chiaro il motivo della critica leopardiana
alla concezione platonica8 –, allora si tratta della proprietà antropologica
dell’uomo.9 Questo punto ci ricorda il ragionamento cassireriano,
secondo il quale „il lavoro della percezione e dell’intendimento di un
fenomeno deve sempre esser anticipato da un lavoro di
denominazione. Poichè è questo processo a trasformare il mondo degli
effetti sensuali posseduto anche dagli animali, in un mondo mentale,
nel mondo delle idee e significati.” (1946:28) Nondimeno è
importante la descrizione leopardiana di questo processo del
pensiero sul modello della metafora10: „Ma tutte queste idee non le ha
espresse se non che nel sopraddetto modo, cioè (…) con metafore...”
(Leopardi 1997:931). Così la tesi per cui „noi pensiamo parlando”
diventa traducibile come „noi pensiamo attraverso metafore”. E
siamo arrivati di nuovo ad una questione centrale della retorica e
della teoria della letteratura del Novecento: il noto rappresentante del
nuovo criticismo americano I.A. Richards ha stabilito che la metafora è
un principio assoluto della lingua e il nostro ragionamento è
determinato da questa metaforicità originale (Richards 1950:92-93).
D’altra parte il tedesco Hans Blumenberg verso la fine del secolo
enuncia che „il rapporto fra l’uomo e la realtà è indiretto,
problematico, rimandato, selettivo e prima di tutto «metaforico»
(1999:114).
8
La teoria platonica è arbitraria e fantastica, dato che presuppone l’esistenza delle
idee prima delle cose e delle parole. (v. Leopardi 1997:1106-1107).
9 „Tale è la natura e l’andamento dello spirito umano.” (Leopardi 1997:931).
10 Con questo il Leopardi continua e sviluppa il pensiero di Vico: „Quello è degno
d’osservazione che ’n tutte le lingue la maggior parte dell’espressioni d’intorno a
cose inanimate sono fatte con trasporti del corpo umano e delle sue parti e degli
umani sensi e dell’umane passioni.” (Vico 1957:172)
251
Per Leopardi la metafora rappresenta un elemento di base e
generatore dello sviluppo della lingua: „La massima parte di
qualunque linguaggio è composto di metafore, perchè le radici sono
pochissime, e il linguaggio si dilatò massimamente a forza di
similitudini e di rapporti.” E questo è così anche se adesso non
percepiamo la natura metaforica delle parole da noi usate: „… la
massima parte di queste metafore, perduto il primitivo senso, son
divenute così proprie, che la cosa ch’esprimono non può esprimersi, o
meglio esprimersi diversamente.” (Leopardi 1997:1101) Queste metafore
morte o spente (coi termini della retorica novecentesca) esercitano la
loro influenza attivizzando più significati allo stesso momento: „Ora
sin tanto che l’etimologie di queste originariamente metafore, ma
oggi, o anche da principio, parole effettivamente proprie, si ravvisano
e sentono, il [che] accade almeno nella maggior parte delle parole
proprie di una lingua, l’idea ch’elle destano è quasi doppia, benchè la
parola sia proprissima, e di più esse producono nella mente, non la
sola concezione ma l’immagine della cosa, anchorchè la più astratta,
essendo anche queste in qualsivoglia lingua, sempre in ultima analisi
espresse con metafore prese dal materiale e sensibile” (ibidem).
Possedendo la metaforicità viva della lingua, la parola
etimologicamente trasparente determina le differenze tra le lingue nazionali.
„Quindi tutte le lingue hanno i loro propri e distinti caratteri, a’ quali
corrisponde quello delle parole lor proprie. Non si troveranno in due
diverse lingue, due parole sinonime che minutamente considerate
esprimano un’idea precisamente ed interamente identica.”(Leopardi
1997:1001)11
I pensieri leopardiani riguardanti il rapporto del bambino con la lingua
possono offrire alla ricerca letteraria una nuova prospettiva per la tematica
poetica del fanciullismo/fanciullino. Per Leopardi, le parole sono capaci
di attivizzare più „idee”, perché sono state conosciute da noi nell’infanzia,
e le condizioni e le impressioni intorno al momento del loro
apprendimento fanno parte del significato della parola, e sono per tutta la
11
Dal collegamento tra la parola e la lingua nazionale risulta che una parola, avendo
un significato triviale o volgare in una lingua, può acquistare un significato nobile o
patetico in un’altra (v. Leopardi 1997:1209-1210).
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vita inseparabili da essa. E quindi „non c’è forse un uomo a cui una parola
medesima (…) produca una concezione precisamente identica a quella di
un altro: come non c’è nazione le cui parole esprimenti il più identico
oggetto, non abbiano qualche menoma diversità di significato da quelle
delle altre nazioni.” (Leopardi 1997:1103) Dunque la formazione del
significato di una parola varia sia di nazione in nazione, sia di uomo in
uomo. (Come poi dirà Humboldt: la lingua „ottiene la sua ultima
determinazione” nell’individuo (Humboldt 1985:1104), e in questo si
rivela la proprietà intersoggettiva della lingua.)
Di conseguenza „forse nessun individuo (come nessuna nazione
rispetto alle altre) ha precisamente le idee di un altro, circa la più identica
cosa.” La dichiarazione anticipata della tesi humboldtiana, secondo la
quale ogni comprensione è allo stesso tempo non-comprensione, dirige il
nostro autore verso la critica della potenza della ragione e gli fa persino
mettere in dubbio la possibilità di un vero assoluto. L’esperienza di ogni
individuo è speciale, le „diversissime viste vedono uno stesso oggetto in
diversissime misure”. La parola, essendo pure comune, nasconde invece
la differenza dei vari modi di concepire e di intendere l’oggetto: „gli
uomini concepiscono diversissime idee di una stessa cosa, ma esprimendo
questa con una medesima parola, e variando anche nell’intender la parola,
questa seconda differenza nasconde la prima” (Leopardi 1997:1103).
La costruzione del significato della parola nell’infanzia, che è sempre
individuale e attivizza immagini e significati accessori, serve come modello
per la letteratura e l’opera poetica:12 il poeta non fa altro che ripetere l’attività
infantile del creare parole e significati, quindi crea una lingua. Perciò la
parola raggiunge la vetta della sua effettività nella letteratura, e sopratutto
nella poesia, dove „si attende all’intero valore di ciascuna parola, e con
maggior disposizione a concepire e notare le immagini ch’elle
contengono”. Così „la bellezza del discorso e della poesia consiste nel
destarci gruppi d’idee, nel fare errare la nostra mente nella moltitudine
12
„Il detto effetto delle prime concezioni fanciullesche intorno alle parole a cui sono
abituati i fanciulli, si stende anche ai diversi e nuovi usi delle stesse parole, che ne
fanno gli scrittori o i poeti, alle parole analoghe in qualsivioglia modo (o per
derivazione, o per somiglianza) a quelle a cui da fanciulli ci abituammo, (…) quindi
influisce su quasi tutta la propria lingua, anche la piú ricca…” (in corsivo nel testo).
(Leopardi 1997:1103)
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delle concezioni, e nel loro vago, confuso, indeterminato, incircoscritto. Il
che si ottiene colle parole proprie, ch’esprimono un’idea composta di molte
parti e legata con molte idee concomitanti; ma non si ottiene colle parole
precise o co’ termini (sieno filosofici, politici, diplomatici, spettanti alle
scienze, manifatture, arti ec.), i quali esprimono un’idea più semplice e
nuda che si possa. Nudità e secchezza distruttrice e incompatibile colla
poesia, e proporzionatamente, colla bella letteratura.” (Leopardi 1997:832833)
La poesia si basa non sulla forza definitiva, ma sulla proprietà delle
parole (Leopardi 1997:832) e qui „una piccolissima idea confusa è sempre
maggiore di una grandissima, affatto chiara.” (Leopardi 1997:971) Da ciò
deriva che Leopardi separa definitivamente l’influenza (e il significato)
dell’opera dall’intenzione dell’autore (Leopardi 1997:7). La forza
rigeneratrice della poesia è indipendente dal suo tema diretto: questo
pensiero del poeta è capace di rivalutare il luogo comune della critica sul
pessimismo leopardiano. Secondo Leopardi la poesia, anche quando parla
della morte, è sempre fonte di consolazione e di entusiasmo; le opere
poetiche, „non trattando nè rappresentando altro che la morte, la rendono,
almeno momentaneamente, quella vita che aveva perduta.” Le sue pagine
sulla trasformazione del senso e del tema del nulla in un’opera poetica ci
rivelano un altro orizzonte interpretativo, per esempio, del
componimento A se stesso: „… il sentimento del nulla è il sentimento di
una cosa morta e mortifera. Ma se questo sentimento del nulla, è il
sentimento è vivo, come nel caso ch’io dico, la sua vivacità prevale
nell’animo del lettore alla nullità della cosa che fa sentire, e l’anima riceve
vita.” (Leopardi 1997:253) Con quest’enunciato Leopardi rifiuta la
possibilità di un’interpretazione tematica della poesia, ed esamina l’opera
secondo l’influenza esercitata sul ricevente. Come un vero ermeneuta,
Leopardi accentua la proprietà speciale dell’opera letteraria, che è capace
di trasformare il soggetto ricevente: il sommo merito della poesia, secondo
Leopardi, è offrire al lettore una maggior conoscenza di sè, e così rendere
possibile l’atto dell’autocomprensione.13
„(Gran cosa, e certa madre di piacere e di entusiasmo, e magistrale effetto della
poesia, quando giunge a fare che il lettore acquisti maggior concetto di sè, e delle sue
13
254
Ma l’autocomprensione è condizionata dalla sopradetta ricezione
attiva, la quale è ispirata dalla forma linguistica del componimento
poetico. La forma linguistica include certamente anche la serie dei
suoni articolati che – in modo diverso in ogni nazione – è capace di
vivificare l’idea, per cui essa diventa piacevole all’orecchio umano.
Grazie ai suoni che, formando la materia dell’arte, (Leopardi
1997:172-173) „materializzano”, ma non fissano delle idee, la poesia
„obbliga l’anima piacevolmente all’azione, e non la lascia in ozio”
(Leopardi 1997:1275). L’attività ricevente così viene definita da
Leopardi come un atto mentale della ricreazione. Dunque la ricezione
creativa dell’opera si presenta allo stesso tempo come un processo
mentale e un processo piacevole14, quasi nello spirito dell’estetica
della ricezione novecentesca, che vede avvenire l’esperienza estetica
nella coincidenza del „piacere che comprende” e della „comprensione
che porta piacere” (cfr. Jauss 1997:158-177).
disgrazie, e del suo stesso abbattimento e annichilimento di spirito.)” (Leopardi
1997:253).
14 „E questo ancora piace, perchè obbliga l’anima ad una continua azione, per
supplire ciò che il poeta non dice, per terminare ciò ch’egli accenna, scoprire quelle
lontane relazioni, che il poeta appena indica.” (Leopardi 1997:1275)
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