Questo bellissimo mestiere

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Questo bellissimo mestiere
PRATICHE
Questo bellissimo mestiere
Intervista a Roberto Savini Zangrandi
a cura di Francesco Varanini
Si diventa Direttori del Personale anche perché da giovani si cerca
un lavoro stimolante e avventuroso. Poi si scopre il senso di questa
professione, che richiede sensibilità per le regole, per le norme;
capacità negoziale; doti psicologiche.
Il ruolo è cambiato nel tempo. La relazione con i lavoratori migliori,
uno ad uno, prende peso a scapito della contrattazione collettiva.
Le imprese ‘fluide’, delocalizzate, segnate da differenze culturali,
pongono nuove domande ai Direttori del Personale. Durante i periodi di
crisi più che gestire e governare lo sviluppo si debbono tagliare organici.
Ma il ruolo continua a fondarsi sull’onestà intellettuale, sulla chiarezza.
Intervista raccolta a Torino
il 5 ottobre 2010
Diciotto e trenta. Seduti nel bar dell’Hotel Ambasciatori, chiediamo due aperitivi analcolici. Il barista dice: “Faccio io”. Savini Zangrandi scosta le fette di banana, “È un
gesto automatico”, ricorda. “ Tanti anni fa, feci un viaggio in Perù con qualche amico.
Eravamo studenti squattrinati, ho mangiato tante di quelle banane allora che mi sono
bastate per una vita”.
Quasi non c’è bisogno di fare domande. Il mio interlocutore sta già parlando.
“Noi siamo la pinna stabilizzatrice, la randa. Ci compete
anticipare un cambiamento, anche quando non sappiamo
Roberto Savini Zangrandi è attualmente Presidente Naziocon precisione qual è.
nale dell’Associazione Italiana per la Direzione del Personale e
Per dirigenti, lavoratori, sindacato, il Direttore del PersoDirettore Risorse Umane di CSI Piemonte, Consorzio di servizi
nale è un punto di riferimento costante. Ha la responsabiinformatici e telematici della Pubblica Amministrazione piemonlità di governare il clima... dare senso alle cose...
tese. Il CSI -Consorzio per il Sistema Informativo- occupa attualNel tempo, e al di là dei ruoli diversi, spesso resta la stima,
mente 1180 dipendenti e 400 consulenti, e Savini Zangrandi
il rispetto. Strana professione...
gestisce una squadra composta da circa 25 professionisti.
Poi ci possono essere cose meno simpatiche: downsizing,
Rispondendo direttamente al Direttore Generale, si occupa di
ridefinire l’assetto organizzativo della Società curando i procesristrutturazioni. Ma se si è instaurato un rapporto per cui
si di miglioramento dell’efficienza e della produttività, gestire
la gente capisce che lo fai con onestà intellettuale, traspail ricambio naturale di parte della classe dirigente, ricercare e
renza, se capisce che ci credi, se informi senza ipocrisia
selezionare personale altamente qualificato, migliorare il rendia proposito delle scelte che stai prendendo, allora diventi
mento di strumenti e processi di gestione
un punto di riferimento importante”.
e sviluppo del personale interno e gestire le relazioni sindacali.
In precedenza ha ricoperto, fra le altre,
le cariche di Direttore Risorse Umane e
Organizzazione del Gruppo Lottomatica, Direttore Risorse Umane e Organizzazione e Servizi
Generali presso Swiss Re
Italia e Unione Italiana di Riassicurazione.
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Sì, ma cosa vuol dire fare il Direttore del Personale oggi, quel doloroso intervento che chiamiamo
downsizing non è più un’eccezione, il cambiamento
è rapido, potremmo anche dire che è continuo...
Il cambiamento è l’unica certezza. Maslow è ancora un
faro. C’è un bisogno primario di sicurezza. Oggi si intaccano i bisogni primari. È saltato il patto sinallagmatico classico. ‘Ti do un lavoro che dura nel tempo mi dai
entusiasmo, energia, fedeltà’: questo nessuno oggi lo può
garantire.
Non dai più questo, oggi, però dai in cambio investimenti
in competenze. Si investe nelle persone per farle diventare più brave, e questo resta nel bagaglio delle persone.
E poi oggi ci si trova a dover dare più attenzione alla vita
complessiva delle persone. La vita si è complicata, dobbiamo mettere le persone in condizione di tenere insieme
una vita, anche privata, fatta di tempi serrati, di ritmi
stretti. Dobbiamo aiutare le persone in questo. Noi facciamo psicologia del lavoro sul terreno.
Bene. Ma ripartiamo dalla tua storia di vita.
Mi sono laureato in legge. Anche se oggi, se tornassi indietro, farei economia. Mi sono laureato presto e bene,
si può dire? Così ho avuto subito tre offerte. Direzione
del Personale: non sapevo neanche cosa fosse. Avevo
ventitré anni, non sapevo quello che volevo fare, ma
sapevo quello che non volevo fare. Così ho accettato
l’offerta che mi proiettava nel mondo che mi pareva
più divertente. Alitalia mi offriva un lavoro all’estero.
Francese e inglese li sapevo bene, i miei genitori avevano investito su questa cosa. Pensavo ai voli gratis, alla
possibilità di conoscere realtà diverse.
Alitalia era una grande scuola...
Sì, una grande scuola. Siamo agli inizi degli anni ‘80.
Strumenti avanzati di sviluppo e gestione importanti,
formazione, relazioni sindacali.
Il clima sociale e le stesse aziende erano diverse.
Cosa, in particolare, possiamo dire che è cambiato?
Allora c’era una forte presenza sindacale. Il sindacato
aiutava a governare: lo scambio è tra benefici e consenso.
E poi esisteva una comunità, l’azienda era una comunità. Oggi invece il corpo sociale, e quindi anche il corpo
sociale dall’azienda, è frammentato. Ci sono segmentazioni di età, culture e competenze. Al senso di appartenenza all’azienda si è sostituita in parte l’appartenenza
alle comunità professionali.
Si poteva parlare con ragione di cultura aziendale.
Oggi con la globalizzazione, con le imprese multinazionali, dove sta la cultura, la cultura sulla quale
può fondarsi il senso di appartenenza?
Ho lavorato in una multinazionale. Nella sede centrale, in mensa, si poteva mangiare kosher, musulmano,
indiano e si poteva seguire diete specifiche. Ho imparato lì come si può essere attenti ai valori delle singole
persone. Non è facile di primo acchito accettare la diversità. Ricordo una collega di cultura boscimana. La
prima reazione di noi europei è cogliere l’assurdità di
certi comportamenti. Ma poi ci si rende conto che queste persone, che sono nostri colleghi, che fanno il nostro
stesso lavoro, vedono il mondo con altri occhi. E noi
non solo dobbiamo, per rispetto, tenere conto di quel
punto di vista, ma ne siamo arricchiti.
Ecco, guardiamo a come sono le imprese oggi.
Devi lavorare con persone che non vedi, che non conosci, con culture e valori diversi, dall’altra parte del mondo. Le aziende non hanno più confini.
È anche cambiato il senso del tempo. A quest’ora in
qualche altro posto del mondo, nella nostra stessa azienda, o in una azienda con la quale abbiamo a che fare,
qualcuno sta lavorando. Le aziende sono fluide, c’è ben
poco intorno di tangibile.
Le conoscenze e le competenze oggi si trovano sul Web.
Il Web è un luogo di lavoro e socializzazione diverso,
dobbiamo imparare a usarlo. Le persone lo usano nel
tempo libero, o magari durante il tempo di lavoro anche per chiacchiere dispersive, ma comunque in queste
piattaforme c’è una lezione che dobbiamo imparare.
E in questo contesto il Direttore del Personale…
Deve ‘tenere insieme’ le cose per aiutarli a lavorare bene
insieme nonostante tutto. In questo ci vuole mestiere.
Bisogna saperci fare; ma saremo sempre più importanti
perché per gestire l’integrazione e lo sviluppo delle persone in questo contesto ci vuole sempre più “mestiere” e
specializzazione. Siamo il collante dell’organizzazione:
conoscere cervelli diversi, valorizzarli.
Accennavi prima al downsizing, dicevamo del
cambiamento continuo. Siamo attrezzati per far
fronte a questo? Voglio dire: il Direttore del Personale è preparato?
Non del tutto, forse non ancora come i tempi richiedono. Non è facile. Dobbiamo imparare a gestire queste
situazioni in questo nuovo contesto, ci pagano per questo, per gestire l’integrazione tra individuo e organizzazione in modo efficace.
Integrazione tra individuo e organizzazioni: sembra di poter dire che c’è bisogno di un avvicinamento, della ricerca di un punto di incontro, da
entrambe le parti, e che qui sta il compito del Direttore del Personale…
Sì, abbiamo bisogno di persone preparate, brave, competenti. Gestire un downsizing significa anche trattenere i migliori. Collaborare con il management per fare
contenti i migliori in una situazione di diffusa scontentezza. Cercare un patto con i migliori, con coloro che
sono capaci di mantenerlo.
Dormo sereno la notte se so che ho lavorato per questo,
per un obiettivo win-win. Per creare una situazione in
cui la persona è in grado di crescere, in sintonia con il
mercato.
Forse puoi dire qualcosa di più di queste persone
‘migliori’.
Sono persone sulle quali si può investire. Si possono negoziare con l’azienda spazi di crescita per queste persone,
perché si sa che rispondono. Sono persone che capiscono il contesto. Su di loro all’azienda conviene investire.
Ma loro del resto sanno che è nel loro interesse investire
su se stessi. Sono persone che fanno formazione, anche
a proprie spese, la sera, fuori orario di lavoro. Questo è
il loro salvagente. Sanno che in ogni caso prima o poi sul
mercato ci dovranno andare.
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Quindi il Direttore del Personale ha innanzitutto questo compito, fare un patto con le persone migliori.
Stiamo correndo, il mercato ci impone i suoi ritmi, dobbiamo stare al passo, permettere alle aziende di stare al
passo garantendo la continuità del rapporto con le persone adatte, capaci di correre, di portare risultati. Siamo
di fronte a una grande trasformazione nei rapporti tra
persone e lavoro. Il Sindacato questo ancora non lo capisce, non è preparato a stare in questa nuova situazione.
Con i vecchi paradigmi: centinaia di contratti nazionali, declaratorie e via dicendo, non andiamo da nessuna
parte. Sempre più la relazione è stabilita non con figure
professionali astratte, ma con persone in carne ed ossa.
Il legame è tra l’azienda e il signor XY.
Poi i conti in ogni caso vanno fatti quadrare, quindi
abbiamo bisogno dei migliori cervelli, così come di chi
“butta il cuore oltre l’ostacolo”. C’è poco tempo per formare le persone, servono persone competenti oggi. Di
fronte a questa esigenza, il resto passa in secondo piano.
Non importa più tanto la forma contrattuale, il legame
del lavoro dipendente perde di importanza, non a caso
si va verso forme contrattuali più leggere, legami deboli,
spesso solo via web.
Ma allora il Direttore del Personale deve fare anche qualcosa per valorizzare le persone all’interno
dell’azienda? Per farle crescere… I migliori, possiamo dire, si valorizzano da soli. E gli altri?
Uno dei miei capi mi diceva: ‘non esistono persone più
intelligenti e meno intelligenti, esistono problemi di comunicazione e di motivazione’. Io penso invece che ci
siano capacità intellettive diverse. Ma certo compete al
Direttore del Personale creare le condizioni per instaurare un clima di fiducia. La trasparenza, la chiarezza, il
mantenere la parola data, questo conta moltissimo.
Ma poi penso anche che ognuno si fa il proprio destino,
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ognuno ha delle responsabilità, innanzitutto di fronte a
se stesso. Noi possiamo creare un contesto, lavorare sul
clima, ma poi se io sono interessato solo a fare il mio lavoretto e da questo non mi smuovo…
Ho la coscienza tranquilla se faccio capire alle persone
che debbono metterci del proprio, e che l’impegno personale non può stare in confini già dati, corrispondere
strettamente a un mansionario, a una retribuzione…
Questi sono alibi con i quali ci si fa solo del male. In genere le persone capiscono.
In genere…
Le persone messe sotto pressione e con cui si parla chiaro danno risultati straordinari.
Dunque è cambiato tutto dai tempi delle Relazioni
Industriali, dai tempi delle grandi trattative collettive.
Non direi, le competenze fondamentali del Direttore
del Personale restano le stesse. Essere interlocutore affidabile. Che dice le cose con chiarezza e ha una parola
sola. Si può parlare con chiarezza e onestà anche delle
decisioni difficili che dobbiamo prendere, dei vincoli
che ci sono imposti, delle strategie che dobbiamo mettere in pratica.
Ho sempre cercato di fare così. Credo di essere stato capito quasi sempre. Su questo si fonda la stima, che va
oltre la diversità dei ruoli e delle opinioni. È questa consapevolezza che mi fa vivere professionalmente sereno.
Cambiamo argomento. Torniamo se vuoi alla tua
storia personale. Dicevi che se tornassi indietro
studieresti non più legge, ma economia.
L’economia mi affascina. Siccome le risorse sono scarse
chiediamo agli economisti di aiutarci. Ma gli economisti
hanno un “peccato originale”: sanno poco o nulla di psi-
Un consorzio per la crescita del sistema
Il CSI-Piemonte rappresenta il naturale punto di incontro fra Pubblica Amministrazione,
mondo della ricerca e aziende, con due obiettivi principali: promuovere lo sviluppo della Società dell’Informazione e creare i presupposti per l'ammodernamento e la crescita
dell’intero “Sistema Piemonte”.
Un innovativo modello di collaborazione nato quasi trenta anni fa a livello regionale, riconosciuto e apprezzato oggi a livello nazionale e
internazionale.
Con circa 166 Milioni di euro di ricavi annui e circa 1180 dipendenti, il CSI si conferma come un punto di riferimento riconosciuto sul territorio, capace di lavorare a fianco degli Enti locali per rispondere efficacemente alle sfide poste dall’e-government: semplificare i processi
amministrativi e soddisfare le aspettative di cittadini e imprese.
Proprio per questo il Consorzio opera per garantire i vantaggi delle tecnologie ICT (Information and Communication Technologies) a tutte le
realtà pubbliche, indipendentemente dalla loro dimensione e dislocazione geografica.
Una caratteristica che ne conferma la vocazione di azienda attenta alle esigenze del territorio in cui opera e alle ricadute socio-economiche
delle proprie attività.
www.csipiemonte.it
cologia, cioè dell’uomo in carne e ossa. Invece bisogna
che allarghino lo sguardo.
Riconosco che ci sono stati momenti in cui sono stato
arrogante e presuntuoso, per troppo successo, forse. Poi
mi sono pentito. Così se posso cerco di consigliare ai
miei tre figli letture che allarghino lo sguardo.
Cosa leggi? A che autori ti rifai?
Non mi vengono in mente libri di management o di organizzazione aziendale. Cerco di leggere altro. Libri di
vita vera, che parlino del quotidiano, gioie, miserie, sofferenze… Bisogna imparare a relazionarsi con tutti, non
basta ascoltare, bisogna cercare di capire a fondo.
Ho letto tutto Amado, cultura diversa, incentrata sulla
persona. E poi Pratolini, Pavese, la Storia della Morante, Cristo si è fermato a Eboli...
E oggi?
Amos Oz è una lettura della maturità. L’età porta con
sé anche il riavvicinarsi alla fede. Ma poi aspetto sempre
come quando ero ragazzo i risultati dell’Inter.
Bene, torniamo alla professione del Direttore del
Personale. Ma per arrivarci, seguiamo ancora il
filo della biografia. La formazione legale ti ha dato
qualcosa di utile per la professione?
Sì certo, la sensibilità alle normative. Si può dire che il
ruolo futuro del Direttore del Personale si gioca su due
terreni. Uno è appunto la sensibilità e la conoscenza
delle normative e delle regole. Il secondo è la sensibilità
alle persone. Ti deve piacere la psicologia, il cogliere la
diversità. La conoscenza delle persone sul campo…
Sì, questo è importante. Ma allora cosa nei pensi di
certi manager, e anche di certi Direttori del Personale, che vedono la fabbrica molto da lontano, non
conoscono il prodotto, le tecnologie…
Questo è molto importante. Ho sempre fatto il possibile
per conoscere da vicino i prodotti e i servizi delle aziende dove lavoravo e mi è sempre interessato… soffro un
po’ del fatto che non sono parte concreta del processo
produttivo. In Alitalia le mani sporche di petrolio non le
avevo. In Contraves come si fabbrica un radar lo capivo
solo più o meno.
E comunque ora mi mancano gli odori dei laboratori,
degli stabilimenti. Anche lavorare in una compagnia di
riassicurazioni mi è piaciuto, così come mi piace lavorare in una fabbrica di servizi di software, c’è sempre da
imparare, ma è un’altra cosa. Lavorare in una azienda di
produzione ti entra più dentro, nel sangue.
E insomma, poi un giorno ti sei trovato ad essere
Presidente nazionale dell’Aidp.
È una cosa che ha a che fare con la passione per il mestiere, e che viene da lontano. Sono in Aidp da una vita.
Sentivo il bisogno di appartenere a una famiglia professionale. L’Aidp per me è sempre stato il luogo nel quale
si diffonde una cultura professionale seria, si approfondiscono problematiche. Se c’è bisogno di un chiarimento, di un sostegno, di un confronto c’è sempre un collega
disponibile.
Si condividono sofferenze, anche. Lì ho trovato persone
belle che mi hanno dato tanto. È un luogo dove anche i
giovani possono crescere velocemente.
Questa è la storia, ma poi sei diventato Presidente.
Mi hanno detto: ‘Perché non lo fai tu?’. E io mi sentivo
in debito per quello che avevo ricevuto. Sono in una fase
della vita in cui si raggiunge una certa saggezza. E mi
sono detto ‘Perché no?’.
Come si vive da Presidente?
L’incarico richiede un bel po’ di tempo, e una moglie
comprensiva. L’Aidp esiste per dare; per offrire servizi. È faticoso, in realtà è un mestiere che richiederebbe
il tempo pieno. Stiamo pensando a cambiare la Governance, solo così possiamo cogliere meglio le sinergie,
sempre nell’ottica di dare. Scambiare conoscenze, competenze e supporto tra di noi, costruire insieme iniziative arricchenti per diventare più bravi. E offrire sostegno
a coloro che vogliono fare questo bellissimo mestiere.
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