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Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 1 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 2 ARTE&IMMAGINI 2 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 3 3 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 4 Comune di Caltagirone Centro d'Arte Piana dei Colli Villa Alliata Cardillo, Palermo La certezza dell’ombra Un progetto di Kali Jones e Maurizio Ruggiano A cura di Giulia Ingarao GRUPPO EDITORIALE KALÓS Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 5 MOSTRE/EXHIBITIONS: La certezza dell’ombra Evento espositivo a cura di Domenico Amoroso MACC- Ospedale delle Donne, Caltagirone 5-27 marzo 2011 La certezza dell’ombra Un progetto di Kali Jones e Maurizio Ruggiano A cura di Giulia Ingarao Centro d’arte Piana dei Colli di Villa Alliata Cardillo, Palermo Direzione e Coordinamento: Attilio Lodetti Alliata Responsabile dell’allestimento tecnico e logistico: Giuseppe Carli Segreteria organizzativa: Maria Teresa Anzalone e Aurelio Ferrante 6-26 marzo 2011 Ringraziamenti: Mohamed Ali Khalil, Sen. Ludovico Corrao, Marilena Mauro, Pina Miria, Nino La Barbera, Grace Yuen, Richard Gutter, La Famille Rapinat, Aldo Palazzolo, Christophe Wattelet, Alberto Moncada, Marie-France Mottin, Francesco Mannarino, Pasquale Pontidoro, Rinaldo il fuoco la terra l’acqua l’aria e tutti quelli che hanno contribuito alla realizzazione di questo progetto Tutte le immagini, se non diversamente indicato, sono tratte dalla videoinstallazione La certezza dell’ombra di Kali Jones e Marurizio Ruggiano, 2010 Progetto grafico: Kali Jones e Maurizio Ruggiano Le poesie di Adonis sono state tradotte dall’arabo da Fawzi Al Delmi (italiano), Adnan Haydar e Michael Beard (inglese), Jean-Philippe Raîche (francese) © 2011 Gruppo Editoriale Kalós • via Siracusa, 19 • 90141 Palermo tel. e fax 091/6262894 • www.edizionikalos.com • [email protected] Redazione: Valentina Alabiso Impaginazione: Valentina Puletto Stampa e confezione: Priulla S.r.l., Palermo La certezza dell’ombra / [video installazione Kali Jones, Maurizio Ruggiano con Adonis] ; a cura di Giulia Ingarao. – Palermo : Kalós, 2011. (Arte & immagini) ISBN: 978-88-97077-11-4 1. Video art – Temi [:] - Cataloghi di Esposizioni. I. Jones, Kali. II. Ruggiano, Maurizio. II. Ingarao. Giulia. 709.05 CDD-22 SBN Pal0233217 CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace” 5 Adonis imp.qx6 UN 17-08-2011 16:41 Page 6 EVENTO ORGANIZZATO DA: Institut Français Centro d’Arte Piana dei Colli - Villa Alliata Cardillo, Palermo MACC – Museo d’Arte Contemporanea, Caltagirone Comune di Caltagirone “Premio Nazionale di Poesia Maria Marino” Comune di Gibellina BCLA Ambassade de France en Italie Biblioteca Comunale di Palermo Centre Culturel Canadien Paris SPONSORSHIP: Lodetti Commerciale Metalli Fondazione Orestiadi di Gibellina e Tunisi Abraxas Vigne di Pantelleria Provincia Regionale di Trapani Centre Culturel Français de Palerme et Sicile Centre Culturel Français de Milan 6 Adelfio Ricevimenti CON IL PATROCINIO DI: Comune di Caltagirone – eredità Maria Marino 6 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 7 7 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 8 INDICE LA CERTEZZA DELL’OMBRA Che l’universo sia tutt’uno in me di Giulia Ingarao The universe has merged itself with me L’univers s’est uni à moi La certezza dell’ombra di Domenico Amoroso The certainty of shade La certitude de l’ombre Il poeta cammina nell’immagine di Sophie-Isabelle Dufour The poet walks in the image Le poète marche dans l’image Poesie nella pelle del mondo di Laura U. Marks Poems in the skin of the world Des poèmes dans la peau du monde L’inquietante dimora di Houria Abdelouahed The uncanny home L’inquiétante demeure Il poeta nel giardino dei miti di Francesca Corrao The poet in the garden of myths Le poète dans le jardin des mythes 9 12 14 16 17 18 19 21 23 41 43 45 47 50 53 56 58 60 Intervista con Adonis a cura di Kali Jones e Maurizio Ruggiano Interview with Adonis Entrevue avec Adonis 67 74 81 Poesie Poems Poèmes 94 8 8 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 9 9 Adonis imp.qx6 17-08-2011 CHE L’UNIVERSO 16:41 Page 10 SIA TUTT’UNO IN ME di Giulia Ingarao Una la forma o anima; una la materia o corpo. Una la cosa. Uno lo ente. Uno il massimo et ottimo: il quale non deve poter essere compreso, e però infinibile, et interminabile, e pertanto infinito et interminato; e per conseguenza immobile. 1 I primi frames della videoinstallazione La certezza dell’ombra alternano schermate di bianco e grigio granuloso ad intermittenza che si susseguono a ritmo naturale come pulsazioni finché alla luce del bianco si sostituisce il volto di Adonis, protagonista e ispiratore del video. L’immagine sgranata del volto del poeta siriano rimanda ai granuli della parete in cemento del Cretto di Burri, uno dei luoghi attraversati nel suo viaggio in Sicilia che il video metaforicamente documenta. La luce è la certezza dell’ombra / l’ombra è l’illusione della luce2 recita, in asincronia con l’immagine del suo volto, la voce di Adonis, annunciando uno dei temi centrali tanto della sua produzione poetica come della trasposizione audiovideo realizzata da Kali Jones e Maurizio Ruggiano. La luce è il miraggio verso cui l’intero viaggio tende. Un percorso sinestetico dove suono, segno e natura si mescolano attraverso il corpo, sublime strumento esperienziale. Il percorso è ciclico, senza ritorno; così, in un crescendo cromatico, il video inizia e finisce nell’alternanza bicromatica bianco-nero; la funzione primaria dei due colori sancisce il legame tra i momenti di transizione del viaggio-video: l’inizio e la fine. Anche se tu ritornassi, Ulisse […] rimarresti sempre una storia di viaggio:3 la seconda poesia recitata da Adonis associa il poeta ad un Ulisse contemporaneo che fugge il ritorno per guardare sempre al disvelamento di una diversa conoscenza della natura. Adonis viaggia attraverso l’immersione nei suoni e nelle immagini della terra, al di fuori del condizionamento sociale o della dicotomia geografico/culturale – come l’eroe arabo medieva- 10 le Mihyar4 – alla ricerca di tracce di luce. Da qui l’assonanza con il Mito della caverna di Platone, suggestione da cui – spiegano i due artisti – nasce l’intera idea del video: il concetto di immagine come intuizione parziale viene messo in scena attraverso la tecnica dello stop-motion che, saturando l’immagine di luce amplifica il dettaglio, come una eco, attraverso il rallentamento dell’azione. Il corpo riflesso sulle pareti concave dell’Orecchio di Dionisio – scenario non casuale scelto per tradurre visivamente il mito platonico –, investito dalla luce, diventa silhouette che si muove meccanicamente in un paesaggio sfocato. La corrispondenza con lo scenario scelto per tradurre in immagine il Mito della caverna è amplificato dall’ipotesi – ricca di fascino – secondo cui Platone avrebbe effettivamente tratto ispirazione da questo luogo durante la sua permanenza in Sicilia. Ritorna dunque come costante, a dettare il ritmo dello sviluppo del video, l’associazione tra luce e conoscenza, tra corpo e ombra, tra intuizione della realtà e forma della realtà. Il video, mixando all’interno delle singole immagini sfere percettive diverse, mette ciclicamente in discussione il limite della percezione, della visione; il corpo diventa l’unico possibile sensore del mondo. Solo il corpo può comprendere la natura riattivando un ancestrale processo di comunione. Così il ventre diventa terra, il respiro vento e la pelle rosea dei corpi in movimento è anche pelle grigia del mondo. Se la stabilità, la certezza, è profanazione della percezione, la vita nel suo dipanarsi ciclico e complesso è un labirinto di cemento animato da un soffio vitale che rimbomba prepotente sussurrando storie passate e presenti. L’acqua riflette il mondo. Nelle tre immagini sincroniche che compongono uno dei trittici visivi della installazione, tre pozze d’acqua riflettono sagome sbiadite di luce e cielo, profili d’alberi, corpi nudi e nuvole in movimento. Tre finestre astratte si muovono al ritmo delle parole di Adonis mutando silen- 10 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 11 Kali Jones, Célébrations, installazione, particolare, ziosamente forma: diventano pittura informale visionaria e poi, tramite un processo d’osmosi con la poesia, acquistano liricità. La lucidità dell’immagine riflessa rimanda alla pittura su rame, tecnica rara e diffusa anticamente: la molteplicità di rimandi tanto visivi come storico-artistici, restituisce la stratificazione di contenuti presente nel video. Le immagini create da Kali Jones e Maurizio Ruggiano condensano nell’intensità del singolo frame la densità e complessità della visione totale; il riflesso dunque non è proiezione narcisistica ma onnivisione del mondo: Che l’universo sia tutt’uno in me / le sue palpebre sono le mie.5 Un nuovo trittico si apre: un occhio rovesciato 11 muove appena la palpebra accanto a mappature epidermiche; la pelle e il cretto si identificano, i quadri di pelle come le testurologie di Dubuffet o i paesaggi incrostati di Burri evocano la storia viva scritta sulla pietra. Una citazione paesaggistica di Kiarostami e il rumore del campanello, suono che sostituisce l’immagine del bestiame al pascolo, avvolge la scena nella nebbia del passato introducendo il tema della memoria: O tu, bambino che è in me, avanti / che cosa, ora, ci accomuna, che cosa diremo?6 Il passato, emerso nei frames precedenti come frammenti giustapposti di ricordi, viene bruciato dal fuoco che, sull’orizzonte, traccia una linea di confine sempre rinnovabile. Al rosso-arancio del fuoco segue lo scorrere dell’acqua, metafora della vita: l’acqua come il sangue collega gli elementi e produce esistenza. Si alternano flussi di immagini che visivamente traducono le cadenze della natura. Una sequenza di frames a ritmo crescente crea un collegamento visivo-empatico tra un’eclissi solare, la bocca di Adonis che pronuncia versi siriani e l’orgasmo di una donna: Ho abitato il volto di una donna / che abita un’onda.7 Il rapporto tra macro e microcosmo è esemplificato da una serie di immagini che collegano la parte al tutto; la parola scritta, contenitore di un significato limitato, diventa ricamo su cielo di volo d’uccello che, nell’andamento curviforme, evoca la scrittura araba: segni neri e ariosi che riempiono lo sfondo bianco del foglio. Alla scrittura limitata dell’uomo si sostituisce la scrittura simbolica della natura il cui significato, come per gli oracoli, resta aperto all’interpretazione. Il corpo e la sua ombra scandiscono le diverse sequenze del video: il corpo assorbe il paesaggio per diventare porzione e riflesso dell’universo nei suoi infiniti paesaggi. I quattro elementi si alternano ciclicamente nelle composizioni a tre che determinano il ritmo della percezione del video. Sul finire del viaggio, alla luce si sostituisce l’ombra, il fuoco brucia le parole, dalla cenere però i segni scritti emergono più chiaramente, come incisi in bianco su uno sfondo carbone. Si torna al bianco e nero dell’inizio, dalle ceneri il viaggio prende nuovamente avvio come in un loop. Kali Jones traduce questo aspetto, centrale nella poetica di Adonis – la morte come accidente – nelle pagine dell’installazione Célébrations, un li- 11 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 12 Jacqueline Guillermain, Terre d’écriture, installazione (carta e terracotta), 1984. bro d’artista che precede la videoinstallazione realizzata con Ruggiano, dove pochi, intensi, segni a inchiostro colorato visualizzano le parole di Adonis raccolte nei versi Celebrazione delle cose oscure e chiare;8 in una delle pagine frammenti di cenere avvolti in un’aureola di sangue – chiaro riferimento alla ciclicità della vita – si depositano 12 come lapilli incandescenti sul foglio bianco. Sembra far eco all’impossibilità di certezza, di univocità della parola, l’installazione Terre d’écriture di Jacqueline Guillermain – anch’essa in mostra all’interno dell’itinerario espositivo che tesse un racconto complesso attorno alla figura di Adonis. L’artista franco-svizzera realizza quest’opera nel 1984, in occasione dell’inaugurazione del Museo del Libro e del Manoscritto della Biblioteca Wittockiana di Bruxelles. Un trittico in terracotta composto da un manoscritto originale di Adonis accompagnato, sui due lati, dalle traduzioni in francese di Salah Stétié e di Abdelwahab Meddeb. La terracotta, contenitore durevole, metonimia della terra, accoglie l’instabile parola che nella sua mutevolezza assume, nelle due traduzioni, lievi accezioni semantiche diverse. La parola scritta dall’uomo si fonde con la terracotta che, come naturale scenografia, l’avvolge, per recuperare la valenza originaria della parola scritta, incisa su pietra. Anche qui, come nella installazione video La certezza dell’ombra, la forma viene suddivisa in tre. Se il trittico nell’opera Guillermain è risultato casuale ma significativo, perché parte di una più ampia installazione composta da 42 elementi, nella videoinstallazione la scelta è strettamente connaturata all’identità dell’opera. Le tre immagini proiettate, legate dalla sincronia dell’audio e del movimento, esprimono una comune essenza: un’orazione laica alle forze ipostatiche.9 L’installazione è sta- 12 Adonis imp.qx6 THE 17-08-2011 16:41 Page 13 UNIVERSE HAS MERGED ITSELF WITH ME by Giulia Ingarao Una la forma o anima; una la materia o corpo. Una la cosa. Uno lo ente. Uno il massimo et ottimo: il quale non deve poter essere compreso, e però infinibile, et interminabile, e pertanto infinito et interminato; e per conseguenza immobile. 1 The initial frames of the video installation The certainty of shade alternate intermittent screenings of grainy grey and white followed by naturally pulsing rhythms until the white light becomes the face of Adonis, chief character and inspiration of the video. The dilated image of the Sirian poet’s face recalls the granulated cement walls of Burri’s Cretto, one of the places visited during his journey through Sicily which is documented metaphorically by the video. Light: the certainty of shade. / Shade: the illusion of light2 delivers, through the voice of Adonis alternating with the picture of his face, a statement as much of the central themes of his poetic works as of the audio-visual version created by Kali Jones and Maurizio Ruggiano. The entire journey proceeds towards light as a mirage. This is a multi-sensory journey where sound, sign and nature are fused within the body, which is the sublime instrument of experience. The journey is cyclic, with no return. Thus, in a chromatic crescendo, the video begins and finishes with alternating black and white. The primary function of the two colours sanctions the link between the moments of transition of the journey-video; the beginning and the end. Even if you came back, Odysseus […] you will still be a whole history of wandering.3 The second poem recited by Adonis associates the poet with a contemporary Ulysses who flees from returning so that he can observe forever the revelation of a different awareness of nature. Adonis travels losing himself in the sounds and scenes of the earth, beyond social conditioning or any geographical or cultural dichotomy, like the medieval 13 Arab hero Mihyar,4 seeking for traces of light. The two artists explain that an assonance with Plato’s Myth of the Cave arises here which gave rise to the whole idea of the video: the concept of the image as partly instinctive being shot through the technique of stopmotion which amplifies the detail by saturating the image with light, like an echo, through slowing down the action. The body reflected on the concave walls of Dionysius’ Ear, a carefully chosen background to translate the Platonic myth visually, assailed with light and being transformed into a silhouette, moves mechanically in a blurred landscape. A correspondence with the scene selected to translate the Myth of the Cave into an image is increased by the intriguing idea that Plato was in fact inspired by this place during his stay in Sicily. The association between light and awareness, between body and shadow, and between the intuition of reality and its form constantly returns to dictate the rhythm of the developing video. The video mixes different aspects of perception within its single images, and suggests limits of perception and vision in rotation, while the body becomes the only possible sensory receptor of the world. Only the body can comprehend nature by reactivating an ancient process of communion. The stomach thus becomes the earth, the breath the wind and the rosy skin of bodies in movement is also the grey skin of the world. If stability and certainty are the desecration of perception, life in its cyclical and complex convolutions is a labyrinth of concrete animated by a vital breeze of powerful resonance, murmuring past and present histories. Water reflects the world. In the three simultaneous images which make up one of the visual tryptychs of the installation, three pools of water reflect colourless outlines of light and sky, of trees, naked bodies and moving clouds. Three abstract windows move to the rhythm of Adonis’ words, silently changing shape. They become unformed 13 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 14 visionary pictures and then, through a process of osmosis with the poetry, they acquire lyricism. The clarity of the image reflected recalls pictures painted on copper, an ancient and valued technique; the multiplicity of visual, historic and artistic reminders reinforces the layering of content within the video. The images created by Kali Jones and Maurizio Ruggiano concentrate the density and intricacy of their overall vision in the intensity of a single frame; the effect is not of narcissistic projection but an overall vision of the world, The universe has merged itself with me. / We wear the same eyelids.5 A new triptych appears; an upside-down eye scarcely moves its eyelid in the midst of its epidermal clefts, skin and crevice are related, the images of skin resemble Dubuffet’s textologies and the encrusted landscapes of Burri evoke live history written on stone. A landscape evokes by Kiarostami and the sound of the bell, a sound that replaces the image of animals in the fields, envelops a scene of the misty past which introduces the theme of memory; Child that I was / come forth. / What is it that brings us together now? / What shall we say?6 The past, emerging from preceding frames like juxtaposed fragments of memories, is burnt by the fire which traces an ever renewable boundary line on the horizon. The orange-red of fire is followed by flowing water, a metaphor for life; the water linking the elements and producing existence like blood. Sequences of pictures alternate which visibly translate the rhythms of nature. A series of frames of increasing tempo create a visual link of empathy between a solar eclipse, the mouth of Adonis reciting Syrian verse and a woman’s orgasm, I lived inside a woman’s face. / She lived in a wave.7 The relationship between macro and microcosm is illustrated by a series of images which connect the one part to all; the written word, container of a limited meaning, becomes the embroidery on the sky of a bird’s flight that evokes Arabic script in its curved shapes, black and airy signs filling the white background of the paper. The symbolic writing of nature replaces the limited writing of man, and its meaning is open to interpretation like that of the oracles. 14 The body and its shadow articulate the video’s various sequences; the body absorbs landscape to become a part and reflection of the universe in its infinite landscapes. The four elements alternate in succession with the three-part compositions which determine the rhythms of the video’s perception. On completion of the journey, light is replaced by shadow, fire burns the words, however from the ashes the written signs emerge more clearly, as if incised in white on a charcoal background. There is a return to the black and white of the beginning, as in a loop the journey achieves a new beginning from the ashes. Kali Jones interprets this aspect of death as an accident, which is central to Adonis’ poetry, in the pages of the Célébrations installation, an artist’s book which precedes the video installation created with Ruggiano, where a few intense marks in coloured ink depict the words of Adonis collected in his poems Celebrating vague / clear things.8 On one of the pages fragments of ash surrounded by a halo of blood, a clear reference to the cyclic nature of life, fall onto a white sheet of paper like incandescent lava. The installation Terre d’écriture by Jacqueline Guillermain seems to be an echo of the impossibility of certainty and of the single meaning of a word. She takes part in the exhibition by contributing to the weaving of a complex story around the figure of Adonis. The French-Swiss artist created this work in 1984, when the Museum of Books and Manuscripts was opened at the Wittockiana Library in Brussels. A terracotta triptych consisting of an original manuscript by Adonis is accompanied on each of its sides by translations of Salah Stetie and Abdelhawab Meddeb in French. The terracotta, a durable container and metonym for the earth, receives the unstable word that in its muteness takes on slightly different meanings within the two translations. The word written by man merges with the terracotta which enfolds it as its natural setting, to recover the original content of the written word, incised in stone. Here as well, as in the video installation The certainty of shade, the form is divided into three. If the triptych in Guillermain’s work appears fortuitous but meaningful, forming part of a larger installation of 42 elements, in the video installation the selection is strictly inherent with the identity of the work. The three projected images, linked to the 14 Adonis imp.qx6 17-08-2011 L’UNIVERS S’EST 16:41 Page 15 UNI À MOI de Giulia Ingarao Una la forma o anima; una la materia o corpo. Una la cosa. Uno lo ente. Uno il massimo et ottimo: il quale non deve poter essere compreso e però infinibile, et interminabile, e pertanto infinito et interminato; e per conseguenza immobile.1 Les premiers plans de la video-installation La certitude de l’ombre font s’alterner des images voilées de blanc et de gris granuleux qui, intermittentes, se succèdent à un rythme naturel, comme des pulsations, jusqu’à ce que la lumière du blanc cède la place au visage d’Adonis, le protagoniste et l’inspirateur du vidéo. L’image granulée du visage du poète syrien rappelle les granules des parois en ciment du Cretto de Burri, l’un des lieux qu’Adonis a traversé lors de son voyage en Sicile et que le vidéo documente métaphoriquement. La lumière: certitude de l’ombre / L’ombre: illusion de la lumière2 récite la voix d’Adonis asynchronique par rapport à l’image de son visage, annonçant ainsi un des thèmes centraux aussi bien de sa production poétique que de sa transposition audio-visuelle réalisée par Kali Jones et Maurizio Ruggiano. La lumière est le mirage vers lequel tend tout le voyage. Un parcours marqué par la synesthésie où le son, le signe et la nature se mèlent à travers le corps, instrument expérimental sublime. Le parcours est cyclique, sans retour; c’est ainsi que dans un crescendo chromatique, le vidéo commence et finit dans l’alternance du blanc et du noir; la fonction première de ces deux couleurs étant d’établir le lien entre les différents moments de transition du voyage-vidéo: le début et la fin. Même si tu reviens, Ulysse, (...) tu resteras à jamais une histoire de l’errance:3 la seconde poésie récitée par Adonis associe le poète à un Ulysse contemporain qui renvoie toujours son retour pour contempler sans fin le dévoilement d’une connaissance différente de la nature. Adonis voyage immergé dans les sons et les images de la terre, audelà du conditionnement social ou de la dichotomie 15 géographie-culture – comme le héros arabe médiéval Mihyar4 – à la recherche de traces de lumière. De là, l’assonance avec le Mythe de la Caverne de Platon, une suggestion d’où est née toute l’idée du vidéo, ainsi que l’expliquent les deux artistes: le concept d’image comme intuition partielle est mis en scène à travers la technique du stop-motion qui, en saturant l’image de lumière, amplifie le détail, tel un écho, à travers le ralentissement de l’action. Le corps, réfléchi sur les parois concaves de l’Oreille de Denys et investi de lumière – scénario qui ne doit rien au hasard puisqu’il sert à traduire visuellement le mythe platonicien –, devient une silhouette qui se meut mécaniquement dans un paysage flou. La correspondance avec le scénario choisi pour traduire en images le Mythe de la Caverne est amplifiée par l’hypothèse – plutôt fascinante – selon laquelle Platon se serait effectivement inspiré de ce lieu durant son séjour en Sicile. L’association entre la lumière et la connaissance, le corps et l’ombre, entre l’intuition de la réalité et la forme de la réalité, revient donc comme une constante qui dicte son rythme au développement du vidéo. En mixant à l’intérieur d’une image unique des sphères perceptives différentes, le vidéo remet cycliquement en question les limites de la perception, de la vision; le corps devient l’unique capteur possible du monde. Il n’y a que le corps qui peut comprendre la nature en réactivant un processus ancestral de communion. Ainsi le ventre se fait terre, la respiration vent, et la peau rosée des corps en mouvement est aussi la peau grise du monde. Si la stabilité – la certitude – est une profanation de la perception, la vie dans son demêlement cyclique et complexe est un labyrinthe de ciment animé d’un souffle vital qui retentit autoritaire en murmurant des histoires passées et présentes. L’eau reflète le monde. Dans les trois images synchroniques qui composent l’un des triptyques de l’installation, trois flaques d’eau reflètent des silhouettes décolorées de lumière et de ciel, des profils d’arbres, des corps nus et des nuages en mouve- 15 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 16 ment. Trois fenêtres abstraites bougent et se métamorphosent silencieusement au rythme des paroles d’Adonis: elles deviennent des peintures informelles visionnaires et puis, grâce à un processus d’osmose avec la poésie, elles acquièrent un lyrisme indéniable. Le brillant de l’image reflétée renvoie à la peinture sur cuivre, une technique rare mais autrefois répandue : la multiplicité des renvois aussi bien visuels qu’historico-artistiques, restitue la stratification des contenus présents dans le vidéo. Les images créées par Kali Jones et Maurizio Ruggiano condensent dans l’intensité d’un plan unique, la densité et la complexité de la vision totale; le reflet n’est donc pas projection narcissique mais omnivision du monde: L’univers s’est uni à moi / Ses paupières sont les miennes.5 Un nouveau triptyque s’ouvre: un oeil renversé bouge à peine la paupière à côté de topographies épidermiques, la peau et la glaise s’identifient, les peintures de peau de même que les texturologies de Dubuffet ou les paysages incrustés de Burri évoquent l’histoire vivante qui s’écrit dans la pierre. Une citation paysagère de Kiarostami accompagnée d’un bruit de clochette – son qui remplace l’image du troupeau en pâture – enveloppe la scène dans la brume du passé, introduisant ici le thème de la mémoire: Enfant que j’étais, / montre-toi. / Que reste-il qui puisse nous unir? / Que dirons-nous?6 Le passé, qui emerge comme des fragments juxtaposés de souvenirs dans les plans précédents, est brûlé par le feu qui, à l’horizon, trace une ligne de démarcation toujours changeante. Au rouge-orange du feu succède la course de l’eau, métaphore de la vie: comme le sang, l’eau relie les éléments et produit de l’existence. Des flux d’images s’alternent qui traduisent visuellement les cadences de la nature. Un plan-séquence au rythme croissant crée une liaison visuelle-empathique entre une éclipse de soleil, la bouche d’Adonis récitant des vers syriens et l’orgasme d’une femme: J’ai habité le visage d’une femme / habitant une vague.7 Le rapport entre le macro et le microcosmos est illustré par une série d’images qui relient la partie au tout; le mot écrit, réceptacle d’un sens circonscrit, devient la broderie sur fond de ciel d’un vol d’oiseau qui dans son évolution curviforme, évoque l’écriture arabe: des signes noirs et amples remplissent le fond blanc de la page. A l’écriture finie de l’homme se substitue l’écriture symbolique de la nature dont le sens, comme dans les oracles, reste ou- 16 vert à l’interprétation. Le corps et son ombre rythment les différentes séquences du vidéo: le corps absorbe le paysage pour devenir portion et reflet de l’univers avec ses paysages infinis. Les quatre éléments s’alternent cycliquement dans des compositions à trois qui déterminent le rythme de perception du vidéo. A la fin du voyage, l’ombre se substitue à la lumière, le feu brûle les paroles, de la cendre cependant, les signes écrits émergent plus clairement, comme incisés en blanc sur un fond carbone. On retourne au noir et blanc du début, des cendres, le voyage repart à nouveau, comme dans un loop. Kali Jones traduit cet aspect central dans la poétique d’Adonis – la mort comme accident –, dans les pages de l’installation Célébrations, un livre d’artiste qui précède la vidéo-installation réalisée avec Maurizio Ruggiano, où peu mais d’intenses signes tracés à l’encre colorée visualisent les paroles d’Adonis rassemblées dans les vers Célébration des choses obscures et claires;8 sur l’une de ces pages, des fragments de cendre entourés d’une auréole de sang – réfèrence claire au caractère cyclique de la vie – se déposent comme des lapilli incandescents sur la feuille blanche. L’installation Terre d’écriture de Jacqueline Guillermain – qui s’insère elle-aussi dans le parcours de cette exposition élaborant un récit complexe autour de la figure d’Adonis – semble faire écho à l’impossibilité de toute certitude ou univocité de la parole. L’artiste franco-suisse a réalisé cette oeuvre en 1984, à l’occasion de l’inauguration du Musée du Livre et du Manuscrit de la Bibliothèque Wittockiana de Bruxelles. Il s’agit d’un triptyque en terre cuite composé d’un manuscrit original d’Adonis accompagné, sur chacun de ses côtés, des traductions en français de Salah Stetie et d’Abdelhawab Meddeb. La terre cuite, récipient durable, métonymie de la terre, y accueille la parole instable qui dans sa versatilité, assume dans les deux traductions, des acceptions sémantiques légèrement différentes. La parole écrite par l’homme se fond avec la terre cuite qui, comme un décor naturel, l’enveloppe pour récupérer la valeur originaire de la parole écrite, incisée sur la pierre. Ici aussi, comme dans l’installation-vidéo La certitude de l’ombre, la forme est subdivisée en trois. Si dans l’oeuvre de Jacqueline Guillermain, le triptyque est une solution fortuite mais significative, parce qu’il fait partie d’une installation plus ample composée de 42 éléments, dans la vidéo-installation, ce choix est intimement, naturellement, lié à l’identité de l’oeuvre. Les trois images projetées, reliées par la 16 Adonis imp.qx6 LA 17-08-2011 16:41 Page 17 CERTEZZA DELL’OMBRA di Domenico Amoroso Trema l’ultimo canto nelle altane dove il sole era l’ombra ed ombra il sole tra gli affanni sopiti. Cristina Campo, La tigre assenza È necessario essere illuminati e non disperati, per credere possibile ciò che si pensa rispetto a ciò che si vive; anche solo pensando a ciò che si pensa. A partire dal senso della propria limitatezza, dalla consapevolezza dell’inconoscibile, la certezza dell’ombra ribalta l’idea che la realtà che ci circonda sia un fondo vuoto, e la sua ricerca un tentativo inutile. A partire dal riconoscimento di quella luminosità fioca ma tenace che occupa lo spazio tra la luce trascendente, il corpo opaco e noi, si può scoprire infatti il valore di testimonianza che consente di percepire l’immensità e la complessità del mondo. In questa enorme zona d’ombra, solo il poeta e l’artista hanno accesso, rappresentando sulla pro- 17 pria pelle la contraddittoria esperienza del tutto e del nulla; disperatamente chiedendosi se l’esistenza è illuminata da un significato o se è un rapido ed inutile precipitare nell’abisso. Ben sapendo che, se è vero che solo la fiammella può rendere conto dell’ombra, anche dopo ogni spiegazione rimane un residuo ineliminabile di oscurità e di ambiguità. Giacché l’ombra è il lato silenzioso, enigmatico e sfuggente della realtà, e nello stesso tempo l’altro lato di ciascuno di noi: quello oscuro e sfuggente, oggetto, insieme, di desiderio e di repulsione; dove giacciono le possibilità scartate o perdute, ciò che non è stato, il futuro, che, insieme, attrae e inquieta. Per questo l’ombra è anche sinonimo di fantasma e di simulacro, lo spettro che ci sta alle spalle o ci viene incontro minacciosamente, il luogo e la condizione necessaria di incantesimi e sortilegi. Evocabile ma non rappresentabile se non con la sua stessa sostanza, sempre l’ombra scivola via e non si lascia carpire come un oggetto definito; rimane in ogni caso nel regno dell’altrove, oltre la forma delle cose, rispetto alla quale rappresenta la sua non-finità: nell’ombra giace nascosta la forma. In questo senso la poesia e l’immagine in La certezza dell’ombra, riescono a registrare e ad esprimere, parafrasando le parole di Eugenio Montale, in Ossi di seppia, «i silenzi in cui si vede, in ogni ombra umana che si allontana, qualche disturbata Divinità». 17 Adonis imp.qx6 THE 17-08-2011 16:41 Page 18 CERTAINTY OF SHADE by Domenico Amoroso Trema l’ultimo canto nelle altane dove il sole era l’ombra ed ombra il sole tra gli affanni sopiti. Cristina Campo, La tigre assenza To believe in the possibility of what one thinks rather than what one lives, even when thinking only of what one thinks, enlightenment rather than despair is needed. Beginning from the sense of one’s own limitations, from an awareness of the unknowable and the certainty of the shadow, overturns the idea that the reality surrounding us is an empty depth and that searching for it is a futile effort. Beginning from the recognition of that shifting but constant luminosity which occupies the space between transcendent light, the opaque body and us, we are allowed to discover the value of evidence which permits the perception of the immensity and complexity of the world. Only the poet and the artist have access to this enormous area of shadow, representing on their own skin the contradictory experience of all and of nothing, desperately asking themselves if existence is illuminated by meaning or if it is a precipitate and useless fall into the abyss. They know well that if it is true that only a flickering flame can discern the shadow, an indestructible residue of obscurity and ambiguity remains after every explanation. As the shadow is the silent side, enigmatic and fleeing from reality, and at the same time the other side of each of us. What is obscure and elusive, the object together of desire and repulsion, where discarded or lost possibilities lie, what has never been, the future that attracts and alarms us at the same time. For this shadow is also the synonym for phantom and semblance, the spectre which stands behind us or confronts us menacingly, the necessary place and condition for enchantment and spells. Evocative but unrealisable except with its own substance, the shadow always slips away and cannot be defined as a definite object. It always remains in another kingdom, beyond the shape of things, which represents its non-completeness; the shape lies hidden in the shadow. In this sense the poetry and the image in The certainty of shade succeed in their task of recording and expressing, paraphrasing the words of Eugenio Montale in Ossi di seppia, «the silences in which one sees some troubled Divinity in every human who wanders away». (Translation by Gillian Wise) 18 18 Adonis imp.qx6 LA 17-08-2011 16:41 Page 19 CERTITUDE DE L’OMBRE de Domenico Amoroso Trema l’ultimo canto nelle altane dove il sole era l’ombra ed ombra il sole tra gli affanni sopiti. Cristina Campo, La tigre assenza Il faut être illuminé et non pas désespéré, pour croire que ce qui se pense par rapport à ce qui se vit est possible; même en pensant seulement à ce qui se pense. C’est à partir du sens de sa propre limitation, de la conscience qu’elle a de l’inconnaissable, que la certitude de l’ombre renverse l’idée selon laquelle la réalité qui nous entoure est une toile de fond vide et sa recherche, une tentative inutile. C’est à partir de la reconnaissance de cette luminosité faible mais tenace qui occupe l’espace entre la lumière transcendante, le corps opaque et nous-même, que l’on peut découvrir la puissance de témoignage qui permet de percevoir l’immensité et de la complexité du monde. A cette énorme zone d’ombre, seuls le poète et l’artiste ont accès puisque c’est sur leur propre peau qu’ils représentent l’expérience contradictoire du tout et du rien, en se demandant déses- pérément si l’existence peut s’illuminer d’un sens où si elle n’est qu’une précipitation rapide et inutile dans l’abysse. Tout en sachant que – s’il est vrai que seule la petite flamme peut rendre compte de l’ombre – toute explication laisse derrière elle un residu inaliénable d’obscurité, d’ambiguïté. L’ombre est le côté silencieux, énigmatique et fuyant de la réalité, et en même temps, l’autre côté de chacun d’entre nous, cet obscur et fuyant qui est tout à la fois objet de désir et de répulsion, ce lieu où gisent les possibilités écartées ou manquées, autrement dit tout ce qui n’a pas été, le futur, ce lieu qui attire en même temps qu’il inquiète. Pour cette raison, l’ombre est aussi synonyme de fantôme et de simulacre; c’est le spectre qui se tient derrière nous ou vient, menaçant, à notre rencontre; c’est le lieu et la condition nécessaire des enchantements et des sortilèges. On peut l’évoquer mais on ne peut pas la représenter, sinon avec sa propre substance; l’ombre fuit toujours et ne se laisse jamais capturer comme un objet défini ; elle reste, quoi qu’il en soit, dans le règne de l’ailleurs, au-delà de la forme des choses, par rapport auxquelles elle présente son non-(dé)fini: dans l’ombre gît la forme cachée. En ce sens, la poésie et l’image de La certitude de l’ombre, réussissent à enregistrer et à exprimer ce qu’en paraphrasant Eugenio Montale dans Ossi di seppia (Os de seiche), je nommerai «les silences où l’on voit, dans chaque ombre humaine qui s’éloigne, quelque Divinité dérangée». (Traduction par Charlotte Bernard) 19 19 Adonis imp.qx6 IL 17-08-2011 16:41 Page 20 POETA CAMMINA NELL’IMMAGINE di Sophie-Isabelle Dufour Nella video-istallazione La certezza dell’ombra appare il poeta Adonis: «io vivo con la luce», dice in arabo. Come in un trittico, l’opera si compone di tre immagini in movimento poste orizzontalmente una accanto all’altra. «Anche se tu ritornassi, Ulisse», declama il poeta camminando nell’immagine centrale, sospeso fra partenza e ritorno… Movimento «L’idea del ritorno mi differenzia da Ulisse» ha spiegato in un’intervista. «Ulisse tiene al suo ritorno perché vuole rivedere la sua amata Penelope […]. A me piace essere perpetuamente in movimento».1 Per Adonis il movimento è «presa di coscienza».2 Non sorprende dunque vedere Adonis camminare nelle immagini in movimento di Kali Jones e Maurizio Ruggiano. Fra il leggendario poeta arabo e i due artisti la collaborazione è feconda; Adonis recita i suoi poemi e le immagini prendono forma. Si produce un chiasmo. La poesia è immagine e le immagini sono poetiche. Si dispiega così il dispositivo dell’opera. «Per scrivere un poema», dice Adonis, «bisogna andar fuori, ma anche muoversi all’interno di se stessi. Bisogna guardare, ascoltare la musica, respirare, fare l’amore e molte altre cose ancora…».3 Per Jones e Ruggiano, realizzare video è creare sensazioni visive e sonore che riguardino «lo spazio, il tempo, l’interiorità, l’esteriorità, la conoscenza di sé attraverso l’altro, la morte». Ne La certezza dell’ombra vi sono tutti questi aspetti. Il video è dominato dalla presenza di Adonis, dal suo viso senza eguali e dalla sua voce: «La lingua araba è suono, natura e umana vivacità. Essa è intimamente e organicamente legata all’orecchio, alla musica e al canto».4 Non è necessario conoscere l’arabo per apprezzare le parole del poeta, è sufficiente lasciarsi trasportare dalla loro musicalità. Esse si mescolano a respiri, a mormorii; a intermittenza, al centro del trittico si vede, ripresa in primo piano, una parete di pietra grigia. Poi il video mostra l’interno di una grotta dalle dimensioni eccezionali: l’orecchio di Dionisio, come la chiamò Caravaggio nel 1608. Questa grotta dalla forma di padi- 20 glione auricolare ha una caratteristica particolare: la sua acustica amplifica i suoni. Si racconta infatti che il tiranno siracusano Dionisio ascoltasse di nascosto le parole che si scambiavano i forzati al lavoro. Nel trittico si mischiano immagini fisse e immagini intermittenti. Camminando nella gigantesca grotta, con le proprie ombre coloro che la visitano creano strani effetti visivi. Queste ombre non sono però realtà seconde rispetto a realtà prime; esse si distinguono dal loro referente implicando la riflessione dello spettatore. Immagine Come non evocare a questo punto la caverna di Platone, il mito fondatore della conoscenza in Occidente? Se la tradizione platonica considera l’ombra proiettata dalle cose come «la condizione più distante dalla verità»,5 il video di Jones e Ruggiano la presenta come immagine anti-platonica che produce pensiero. L’ombra filmata nel video non si dà come un simulacro degradato; sollecita lo spettatore conducendolo fuori dalla grotta per permettergli di vedere il mondo e le sue immagini. Mettersi in movimento, viaggiare; così, è l’immagine video che ha spinto Adonis a percorrere il Grande Cretto a Gibellina, opera monumentale di Land Art realizzata da Alberto Burri. Quest’immenso labirinto, composto di blocchi di cemento bianco, segna il tracciato delle strade della città vecchia di Gibellina.6 Cosa accade nei tre video dell’istallazione di Jones e Ruggiano? Appaiono piedi nudi e calzati; poi, al centro, Adonis cammina, percorre da un capo all’altro, esplora il bianco labirinto e recita poemi che rimandano al sentimento della perdita: «Amo questa mite pietra / in lei ho visto il mio volto nei suoi lineamenti, / ho visto le mie poesie perse». A sinistra, di profilo, un uomo nudo cammina; a destra, una donna, anch’essa nuda, si dirige verso di lui; si incontreranno? Improvvisamente, le immagini a sinistra e a destra spariscono, risuona un respiro; al centro una parete di cemento bianco, ripresa da molto vicino, si trasforma in un ventre femminile. Poi le tre 20 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 21 immagini mostrano pozzanghere che riflettono il cielo, alberi, silhouettes. Ecco che una forma si profila sulla pupilla di un occhio filmato al contrario, mentre le immagini che lo inquadrano mostrano la pelle. Metamorfosi, ombre, superfici riflettenti, riflessi, non rimandano ad una riflessione sulla loro fedeltà mimetica; non sono affatto l’esperienza della pura ripetizione, ma il negativo della poesia che si fa immagine. La posta di quest’opera è metamorfizzare, riflettere la poesia in immagine. Secondo Adonis, «la poesia è il luogo dove si incontrano tutte le arti»;7 ne La certezza dell’ombra la poesia va incontro all’immagine. In pieno sole l’ombra accompagna il viaggiatore che cammina dentro il Grande Cretto; questo labirinto è, come la vita, fatto di vicoli ciechi, di caso e di necessità. Nel trittico, l’uomo nudo e la sua ombra seguono con passi lenti la strada che gli si para davanti. Improvvisamente appare una visione apocalittica, un paesaggio di fuoco. Esso annuncia purificazione o distruzione? Nell’immagine centrale appare un’ombra umana, come se il video evocasse un fantasma. L’inquietudine prende forma: l’immagine video è imago. Nella parola latina c’è più complessità che in “immagine”; imago non significa solamente copia, ritratto, statua, effige di cera ma, anche, ombra: quella di un morto, di uno spettro, di un’immagine speculare. L’imago rinvia alla parte oscura della visione. Poi, nell’immagine centrale del trittico, Adonis prosegue il suo cammino: «il tuo sangue, o uomo, / è forse la tua unica luce?». Amore Nel cammino accade che il poeta incontri una donna. Come rendere il poema d’amore in immagine? «Ho abitato il viso di una donna che mi fa morire»; le parole del poeta sono potenti e chiamano in causa le potenzialità stesse dell’immagine. Al centro del trittico si profila un’eclisssi. Segue una scena di autoerotismo; una giovane donna nuda si accarezza. Se essa non è casta, l’immagine non è oscena; il video adotta il punto di vista del poeta per il quale «l’erotismo è cultura, pensiero e immaginazione».8 Questo modo di impostare le cose non è nuova; nel Rinascimento Tiziano ha dipinto un celebre quadro, La Venere di Urbino (1538), dove una donna nuda si masturba distesa su un letto. Lei ci guarda, «sa ciò che fa» e Tiziano ne fa un «quadro eccezionale» che mette in scena «l’essenza erotica della pittura»: colui che guarda, commenta Daniel Arasse, «si dibat- 21 te fra il desiderio di fondersi con questa immagine e la necessità di tenersene a distanza per poterla vedere».9 Se la Venere di Tiziano si tocca esplicitamente, la giovane donna nel video di Jones e Ruggiano non si offre allo sguardo che parzialmente; immagini fisse, spesso sfumate, si alternano a intervalli irregolari seguendo un ritmo indeterminato. A intermittenza, al centro del trittico, appare in primo piano la bocca del poeta. Si stabilisce così un rapporto fra la sua bocca e il corpo femminile. L’amore della donna «è il nocciolo essenziale nella vita del poeta»,10 secondo la formula di Adonis; «l’amore è essenziale per l’atto della scrittura».11 Cosa rivela il movimento delle immagini? Senza dubbio un atto di pensiero che rimanda alla stasi e a ciò che è principio del movimento: «L’uomo preso dall’amore che prova per la donna sente che viaggia per ritrovarsi».12 Ne La certezza dell’ombra le immagini del corpo femminile sono associate a quelle di una eclissi; l’amore procede con il crepuscolo. Malinconia Adonis cammina nell’immagine fumando un sigaro, l’uomo nudo e la sua ombra avanzano lentamente nel loro cammino nel labirinto di Gibellina. Errare nel labirinto conduce alla malinconia. Al centro del trittico l’ombra del poeta si disegna al suolo, poi le ombre della grotta si profilano nelle tre immagini. Improvvisamente vedute del cielo, alberi, uccelli, spingono lo sguardo verso l’alto. Il poeta recita: una palma si spezza e le lacrime incidono le sue foglie dorate: una palma che apprese dalla malinconia di essere interprete, quaderno dai caratteri arabi apprese dalla malinconia nella cinta dei confini invisibili Il poeta è al centro; a destra e a sinistra solo luoghi desolati: una casa distrutta, un cimitero, rovine… Tutto non è che fuoco, polvere, cenere e pietra vulcanica: «la pietra mostra le difficoltà o gli ostacoli che ci attendono nel nostro movimento».13 Rumori risuonano: turbinare d’aria cui si aggiunge il crepitare del fuoco. Poi, da un lato e dall’altro, la donna e l’uomo nudi proseguono di fronte il loro cammino nel labirinto del Grande Cretto. Si conosceranno? Al centro un’ombra indistinta si aggira, quella del poeta o della Morte stes- 21 Adonis imp.qx6 THE 17-08-2011 16:41 Page 22 POET WALKS IN THE IMAGE by Sophie-Isabelle Dufour In the video installation The certainty of shade, the poet Adonis appears: «I live with the light», he says in Arabic. The work is composed of three moving images horizontally placed, as in a triptych. «Even if you came back, Odysseus», the poet recites as he walks in the central image, an interval, between departure and return… Movement «I am different from Odysseus with regard to the return. Odysseus values his return because he wanted to see his beloved Penelope again […]. I like to be in perpetual movement».1 For Adonis, movement signifies “awareness”.2 It’s not surprising to see Adonis walking in the moving images of Kali Jones and Maurizio Ruggiano. There is a fertile collaboration between the legendary Arab poet and the two artists. Adonis recites his poems, images take shape. A parallelism occurs: poetry is image and the images are poetic. The work’s mechanism is set in place «To write poetry, says Adonis, one must walk outside of, or within oneself, see, listen to music, breathe, make love and do many other things…»3 For Jones and Ruggiano, to create video is to construct visual and acoustic sensations related to «space, time, the internal, the external, knowledge of the self through the other, death». La certezza dell’ombra, adopts all these points of views. The video is dominated by Adonis’ presence, his unequalled face and voice: «The Arabic language is sound, nature and human vivacity, it is intimately and organically connected to the ear, to music and song.»4 One need not know Arabic to appreciate the poet’s words; it’s enough to let oneself be transported by their musicality which mingle with breaths and whispers. At the centre of the triptych, we periodically see a grey stone wall, shot close up. The video then shows the interior of a gigantic cave : the Ear of Dionysius, thus named by Caravaggio in 1608. This cave, an ancient rock quarry in Syracuse shaped like an auricular pavilion has a remarkable ability to amplify sounds. It is said that here the ancient tyrant 22 Dionysius secretly listened to the conversations of prisoners at work. In the triptych, stills and intermittent images intercut, the shadows of visitors walking in the immense cave create strange visual effects. Rather than representing a secondary reality, these shadows distinguish themselves from their reference by stimulating the reflection of the viewer. Image How could one not recall here the allegory of Plato’s cave, the Western founding myth of the theory of knowledge? If the platonic tradition considers the projected shadow as being «the furthest stage from truth»,5 Jones’ and Ruggiano’s video, presents the shadow as an anti platonic image and producer of thought. The filmed shadow does not appear as a degenerate semblance but rather acts as a protagonist, intriguing the viewer, leading him or her out of the cave to see the world and its images. To be in motion, to travel; it is the video image which brought Adonis to the Grande Cretto at Gibellina, a monumental work of Land Art created by Alberto Burri. This immense labyrinth, composed of blocks of white cement, follows the layout of the streets of the former city of Gibellina. Let us recall some facts: in the night between the 14th and the15th of January 1968, an earthquake shakes the entire Belice valley (an area comprising the provinces of Palermo, Agrigento and Trapani) destroying the cities of Gibellina, Poggioreale, Salaparuta and Montevago. An abandoned city, Gibellina, has become the site of a memorial: the Grande Cretto, entirely dedicated to the victims. What takes place in the three images of the installation? Feet, naked and shod appear; in the centre, Adonis walks, examines, explores the white labyrinth, reciting poems related to the feeling of loss: «I worship this gentle stone, I’ve seen my face in it, my own lost poems.» On the left, we have the profile of a naked man, walking; on the right, a naked woman, also seen in profile, heads toward him. Will they meet? The images on the left and right abruptly disappear, a breath 22 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 23 resounds; at the centre a wall of white cement, shot close up, metamorphoses into a woman’s stomach. Then all the three images display pools of water reflecting the sky, trees, silhouettes. A shape forms on the pupil of a eye filmed upside-down, framed by skin on either side. Metamorphoses, shadows, reflecting surfaces, and reflections show little mimetic fidelity; they are not the experience of pure repetition, but that of poetry made image. According to Adonis, «poetry is the place where all arts meet».6 In The certainty of shade, poetry comes to meet the image. The video installation attempts to transform, to imagine poetry in images. In full sunlight, the shadow accompanies the traveller in the Grande Cretto; as in life, the labyrinth is full of dead ends, chance and necessity. The naked man and his shadow walk slowly on the road which lies ahead of them. Suddenly we see an apocalyptic vision: a landscape on fire. Does it announce a purification or a destruction? A human shadow appears in the middle image; as if the video had brought back a phantom. An unease emerges: the video image is imago. The Latin word is more complex than the word “image”. The imago does not merely signify a copy, a portrait, a statue, a wax effigy, but also the shade: of a dead person, a spectre, a specular image. The imago echoes back to the dark part of vision. At the centre of the triptych, Adonis pursues his path: «Mankind, is your blood the only light you have?». Love On the road, occasionally a poet meets a woman. How does one transform a love poem into an image? «I lived inside a woman’s face / She makes me die»; the poet’s words are powerful, and so are the images. At the centre of the triptych, an eclipse is followed by an auto erotic scene; a young naked woman caresses her sex. Although she may not be chaste, the image is not obscene; the video adopts the point of view of the poet for whom «eroticism is a culture, a way of thinking and imagining».7 This conception of things is not new; during the Renaissance, Titian painted his famous, The Venus of Urbin (1538), representing a naked woman, lying on a bed while masturbating. The Beauty looking at us, «knows what she is doing», and Titian transforms her into an «exceptional painting» staging «the eroticism of painting itself»: the viewer, comments Daniel Arasse, «is constantly shifting between the desire to embrace this image, and the need to maintain a dis- 23 tance in order to see it».8 If Titian’s Venus explicitly caresses herself, the young woman in Jones’ and Ruggiano’s video only partially offers herself to our gaze; the stills, often blurred, succeed one another intermittently with an indeterminate rhythm. At the centre of the triptych, the poet’s mouth appears periodically in close up. Thus a rapport is established between the mouth and the female body. His love for women «is central to the poet’s life»,9 according to Adonis; «love is essential for the act of writing».10 What does the movement of the images reveal? Most likely something to do with the stationary and the moving: «In the love he feels for a women, the man senses he is on a journey of self discovery».11 Love is a journey of initiation; the encounter with oneself occurs through the Other, however, love also renders «death more extreme». In The certainty of shade the images of the female body are associated with those of an eclipse; love and twilight are inextricably connected. Melancholy Adonis walks in the image smoking a cigar, the naked man and his shadow slowly ambulate within the labyrinth of Gibellina. Wandering the labyrinth inspires melancholy. At the centre of the triptych, the poet’s shadow materializes on the ground, then the shadows of the cave appear in all three images. Sudden views of the sky, trees, and birds propel the gaze upwards. The poet recites: A palm tree’s fronds are breaking off, tears etched on its golden leaves. A palm tree: grief has made it into an interpreter. Is this a notebook in Arabic taught by grief, fenced in by invisible boundaries? The poet is at the centre; on either side we see only desolate landscapes: destroyed houses, cemeteries, ruins… All is but fire, smoke, dust, ash and volcanic stone: «the stone shows us the difficulties or the obstacles that await us in our movement».12 We hear noises: the roaring of air mixes with the crackle of fire. The naked woman and man; walk toward us, each in their own image, continuing their journey in the Grande Cretto. Will they meet? At the centre, an uncertain, blurred shadow roams: that of the poet or Death itself? «All my years are but a passing fra- 23 Adonis imp.qx6 LE 17-08-2011 16:41 Page 24 POÈTE MARCHE DANS L’IMAGE di Sophie-Isabelle Dufour Dans l’installation vidéo La certitude de l’ombre, le poète Adonis apparaît: «Je vis avec la lumière», dit-il en arabe. L’œuvre se compose de trois images mouvantes placées, l’une à côté de l’autre horizontalement, à la manière d’un triptyque. «Même si tu revenais, Ulysse», récite le poète en marchant dans l’image du milieu, comme dans un entre-deux, entre départ et retour… Mouvement «Je suis différent d’Ulysse en ce qui concerne le retour, a-t-il confié lors d’un entretien. Ulysse tient à son retour parce qu’il voulait revoir sa bien-aimée Pénélope […]. J’aime être perpétuellement en mouvement».1 Pour Adonis, le mouvement est «prise de conscience».2 Aussi n’est-il pas surprenant de voir Adonis marcher dans les images mouvantes des artistes Kali Jones et Maurizio Ruggiano. Entre le légendaire poète arabe et les deux jeunes plasticiens, la collaboration est féconde; Adonis récite ses poèmes, des images prennent forme. Un chiasme se produit: la poésie est image et les images sont poétiques. Ainsi se met en place le dispositif de l’œuvre. «Pour écrire un poème, dit Adonis, il faut marcher au-dehors, ou bien marcher à l’intérieur de soi-même. Il faut voir, écouter la musique, respirer, faire l’amour et beaucoup d’autres choses…».3 Pour Jones et Ruggiano, faire de la vidéo c’est créer des sensations visuelles et sonores ayant quelque chose à voir avec «l’espace, le temps, l’intériorité, l’extériorité, la connaissance de soi à travers l’Autre, la mort». Dans La certitude de l’ombre, tous ces points de vue sont adoptés. La vidéo est dominée par la présence d’Adonis, son visage sans pareil et sa voix: «La langue arabe est son, nature et vivacité humaine. Elle est liée, de façon intime et organique, à l’oreille, à la musique et au chant».4 Nul besoin de connaître l’arabe pour apprécier les mots du poète; il suffit de se laisser porter par leur musicalité. Celle-ci se mêle à des souffles, à des murmures; par intermittence, au centre du triyptyique vidéo, une paroi de pierre grise, filmée en gros plan, se donne à voir. Puis la vidéo montre l’intérieur d’une grotte aux dimensions exceptionnelles: l’oreille de Denys, ainsi nommée par le Caravage en 1608. Située à Syracuse, cette grotte, en forme de pavillon auriculaire, a une particularité remarquable: son 24 acoustique amplifie les sons. Du reste, on raconte que l’antique tyran Denys y écoutait en cachette les paroles échangées par les prisonniers au travail. Sur le triyptyique, des images fixes se mêlent à des images saccadées. Les ombres des visiteurs marchant dans la gigantesque grotte créent d’étranges effets visuels. Ces ombres ne sauraient être ici des réalités secondes par rapport à des réalités premières; elles se distinguent de leur référent en appelant la réflexion du spectateur. Image Comment ne pas évoquer ici le mythe fondateur de la théorie de la connaissance en Occident: l’allégorie de la caverne de Platon? Si la tradition platonicienne considère l’ombre projetée des choses comme, «le stade le plus éloigné par rapport à la vérité» un faux-semblant du réel,5 la vidéo de Jones et Ruggiano, elle, la présente comme une image anti-platonicienne productrice de pensée. L’ombre, filmée par la vidéo, ne se donne pas comme un simulacre dégradé; elle intrigue celui qui la regarde et l’entraîne en dehors de la grotte pour lui permettre de voir le monde et ses images. Se mettre en mouvement, voyager; c’est l’image vidéo qui a conduit Adonis à arpenter le Grande Cretto, à Gibellina, œuvre monumentale de Land Art réalisée par Alberto Burri. Cet immense labyrinthe, composé blocs de ciment blanc, suit le tracé des rues de l’ancienne ville de Gibellina. Rappelons quelques faits: dans la nuit du 14 au 15 janvier 1968, un tremblement de terre secoue toute la vallée du Belice (la zone comprise entre les provinces de Palerme, Agrigente et Trapani) et détruit les villes de Gibellina, Poggioreale, Salaparuta et Montevago. Aujourd’hui abandonnée, Gibellina est le site d’un mémorial: le Grande Cretto, entièrement dédié aux victimes. Sur les trois images vidéo de l’installation de Jones et Ruggiano, que se passe-t-il? Des pieds nus ou chaussés apparaissent; puis au centre, Adonis marche, arpente, explore le blanc labyrinthe et récite des poèmes ayant quelque chose à voir avec le sentiment de perte: «J’adore cette pierre douce. / J’ai vu mon visage / dans ses veines, / mes poèmes perdus». À gauche, un homme nu marche, vu de profil; à droite, une femme nue, de profil elle aussi, 24 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 25 se dirige vers lui; se rencontreront-ils? Soudain, les images de gauche et de droite disparaissent, un souffle résonne; au centre une paroi de ciment blanc, filmée de très près, se métamorphose en un ventre féminin. Puis les trois images font voir des flaques d’eau reflétant le ciel, des arbres, des silhouettes. Soudain, une forme se profile sur la pupille d’un œil filmé à l’envers, tandis que les images qui l’encadrent montrent de la peau. Métamorphoses, ombres, surfaces réfléchissantes, reflets ne sauraient engager une réflexion sur leur seule fidélité mimétique; ils ne sont nullement l’expérience de la répétition pure, mais l’épreuve de la poésie faite image. L’enjeu de l’installation vidéo est de métamorphoser, de réfléchir la poésie en image. Selon Adonis, «la poésie est le lieu où se rencontrent tous les arts»;6 dans La certitude de l’ombre, la poésie vient à la rencontre de l’image. En plein soleil, l’ombre accompagne le voyageur qui marche dans le Grande Cretto; ce labyrinthe est comme la vie, fait d’impasses, de hasard et de nécessité. Sur le triyptyique, l’homme nu et son ombre suivent à pas lents la route qui se présente devant eux. Soudain apparaît une vision apocalyptique: un paysage de feu. Celui-ci annoncet-il une purification ou une destruction? Une ombre humaine apparaît sur l’image du milieu; comme si la vidéo faisait revenir un fantôme. Une inquiétude surgit: l’image vidéo est imago. Il y a dans le mot latin plus de complexité que dans «image»; l’imago signifie non seulement une copie, un portrait, une statue, une effigie en cire, mais aussi de l’ombre: celle d’un mort, d’un spectre, d’une image spéculaire. L’imago renvoie à la part sombre de la vision. Puis, au centre du triyptyique, Adonis poursuit sa route: «Homme, ton sang est-il / la seule lumière qui soit tienne?». Amour Sur la route, il arrive qu’un poète rencontre une femme. Comment transformer le poème d’amour en image? «J’ai habité le visage d’une femme qui me fait mourir»; les mots du poète sont puissants, il en va de même en ce qui concerne les pouvoirs de l’image. Au centre du triyptyique, une éclipsen se profile. Suit une scène d’auto-érotisme; une jeune femme nue se caresse le sexe. Si elle n’est pas chaste, l’image n’est pas obscène; la vidéo adopte le point de vue du poète pour qui «l’érotisme est une culture, une pensée et une imagination».7 Cette façon d’envisager les choses n’est pas nouvelle; à la Renaissance, Titien a peint un tableau célèbre, La Vénus d’Urbin (1538), représentant une femme nue, allongée sur un lit, qui se masturbe. La Belle nous regarde, «sait ce qu’elle fait», et Titien fait d’elle un «tableau exceptionnel» en mettant en scène «l’érotique même de 25 la peinture»: celui qui regarde, commente Daniel Arasse, «est sans cesse pris entre le désir de l’embrasser, cette image, et la nécessité de se tenir à distance pour pouvoir la voir».8 Si la Venus du Titien se caresse explicitement, la jeune femme dans la vidéo de Jones et Ruggiano ne s’offre au regard que partiellement; des images fixes, souvent floues, se succèdent de façon saccadée en suivant un rythme indéterminé. Au centre du triyptyique, la bouche du poète apparaît par intermittence en gros plan. Un rapport s’établit ainsi entre la bouche et le corps féminin. L’amour de la femme «est le noyau essentiel dans la vie du poète»,9 selon la formule d’Adonis; «l’amour est essentiel pour l’acte d’écriture».10 Que révèle le mouvement des images? Sans doute un mouvement de pensée ayant quelque chose à voir avec le fixe et le mouvant: «L’homme dans l’amour qu’il éprouve pour la femme sent qu’il voyage pour se retrouver».11 L’amour est un voyage initiatique; la rencontre avec soi se fait avec l’Autre. Mais il est aussi vrai que l’amour fait vire « la mort de façon plus extrême».12 Dans La certitude de l’ombre, les images du corps féminin sont associées à celles d’une éclipse; c’est que l’amour va de pair avec le crépuscule. Mélancolie Adonis marche dans l’image en fumant un cigare, l’homme nu et son ombre poursuivent lentement leur route dans le labyrinthe de Gibellina. Errer dans le labyrinthe conduit à la mélancolie. Au centre du triyptyique, l’ombre du poète se dessine sur le sol, puis les ombres de la grotte se profilent sur les trois images. Soudain des vues de ciel, d’arbres, d’oiseaux propulsent le regard vers le haut. Le poète récite: Un palmier se brisait, des larmes martelant ses feuilles dorées. Un palmier qui apprit de la mélancolie à se faire interprète. Un cahier à l’écriture arabe enseignée par la mélancolie, encerclée de frontières invisibles. Le poète est au centre; à sa gauche et à sa droite, il n’y a que des lieux désolés: maison détruite, cimetière, ruines… Tout n‘est que feu, fumée, poussière, cendre et pierre volcanique: «la pierre montre les difficultés ou les obstacles qui nous attendent dans notre mouvement».13 Des bruits résonnent: grondement d’air auquel s’ajoute le crépitement du feu. Puis d’un côté et de l’autre, la femme et l’homme nus; vus de face, marchant parrallèlement chacun dans son image, ils poursuivent leur route dans le labyrinthe du 25 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 26 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 27 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 28 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 29 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 30 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 31 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 32 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 33 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 34 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 35 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 36 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 37 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 38 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 39 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 40 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 41 Adonis imp.qx6 17-08-2011 POESIE 16:41 Page 42 NELLA PELLE DEL MONDO di Laura U. Marks La certezza dell’ombra crea un sentimento di eternità che è vertiginoso. Adonis ha scritto alcune di queste poesie nel lontano 1961, 1965; successivamente, esse furono tradotte in francese, in italiano, in inglese. La poesia è eterna, possiamo dire, e certamente Adonis si situa in una antica tradizione, il suo nom de plume e i suoi temi lo ricollegano all’antica poesia greca. Le poesie stanno benissimo in piedi da sole. Ma qui, il poeta sta di fronte a noi, leggendo le parole che ha scritto cinquanta anni fa. Poesie sulla morte, scritte da un giovane uomo, lette dalla stesso uomo, anziano ormai. Questo è vertiginoso. Adonis scrive contro la fissità dei significati, contro l’identità. Può il poeta, allora, incarnare di fronte a noi la non-continuità che le sue parole abbracciano? Comunque, è una gioia assistere al grande poeta che fissa così intensamente nel bel video di Kali Jones e Maurizio Ruggiano, con la sua sciarpa rossa e il suo sigaro, camminando nel labirinto. Egli ci regala la sua voce, recitando le sue parole con sentimento come se le avesse scritte ieri. Permette alla videocamera di studiare il paesaggio della sua pelle raggrinzita, e, a tratti, sembra che la pelle e la voce sono ciò che ci porta alla presenza di Adonis, piuttosto che l’unità del suo viso. Le immagini di Jones e di Ruggiano sono vigorose, appartengono agli elementi, come le poesie di Adonis: si trattengono in vita con tutto ciò che possono. Forti e giovani piedi si aggrappano al terreno anche il video si aggrappa alle superfici, spesso preferendo delinearle, sebbene tenti di avvicinare la vita in se stessa. Una pietra; un ventre levigato; la rude facciata di una pagina. La pelle del poeta, la pelle del mondo: queste superfici si premono una sull’altra attraverso tutta La certezza dell’ombra. Le poesie di Adonis evocano un denso intreccio del mondo con se stesso e una inestricabile fusione di uomo e mondo. Nella quinta poesia, Unità, Adonis si fa tutt’uno con l’universo, le sue palpebre sono le palpebre del poeta – come un bambino che crede che il mondo 42 scompaia nel buio quando lui stesso che chiude gli occhi. «Per chi di noi ha creato l’altro?». Il video diffonde superfici di pelle che cullano un occhio fissamente aperto: l’unità del poeta e dell’universo. L’acqua forma una delle superfici che unisce il poeta alla sua esperienza. Nella quarta poesia, Adonis diventa uno specchio che riflette ogni cosa. Piani di acqua riflettente riempiono i tre schermi del video. Il poeta dice come le lacrime nei suoi occhi, coppia di perle, lo trascinino nel mondo delle acque; rendono lui e l’acqua come se fossero amanti. «Io sono nato nel nome dell’acqua \ acqua è nata in me \ io e l’acqua siamo gemelli». Lo schermo centrale vibra come un batter d’occhi e piange non appena l’acqua riflette l’accecante luce del sole. Un liquido scuro unisce il poeta, il mondo e l’amata nell’ottava poesia. Un volto di donna. «Io ho vissuto nel volto di una donna che visse nell’onda. Lei mi fa morire \ lei ama essere nel mio sangue, al limite della follia \ e poi diventa un oscurato faro». È una metafora molto esplicita dell’abbandono all’amore e del seguente perdere di ogni punto di riferimento, scorrendo come un oscuro liquido di sangue dentro un altro liquido mondo d’acquamarina. L’immagine inscena questa fusione in una maniera ancora più sorprendente. Nello schermo c’è una scura forma sfuocata posta di fronte ad una superficie pallida; poi, subito dopo, le labbra d’Adonis aperte; poi la forma scura di nuovo, adesso però messa a fuoco: il folto pube di una donna. In una serie di immagini fisse, sfuocate dal movimento, la donna si masturba fino a giungere all’orgasmo: in un rapido montaggio, il suo viso, distorto dal piacere, si fonde con la faccia della Luna. Sovrapponendo insieme la bocca del poeta, l’estasi della donna e la Luna, il video di Jones e di Ruggiano onora Adonis e lo prende in parola. Queste poesie evocano lo spessore del mondo in sé, uno spessore fra l’io e il mondo, così denso che c’è così poco spazio per indietreggiare di un 42 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 43 passo e vedere o ascoltare il mondo come una cosa separata da sé. La certezza dell’ombra sembra gentilmente discoprire i densi piani del mondo, un gesto leggero, abbastanza per farci sentire lo spessore del mondo intorno a noi. Per questo molte delle immagini del video sono close-up: la trama delle rocce, la pelle, la sabbia, l’acqua. Essere nel mondo, percepirlo, significa dividere costantemente i piani del mondo quel tanto che basta per scivolarci dentro. Sebbene il mondo sia un mandarino dalla buccia delicata e le nostre percezioni scivolino fra la sua pelle e il frutto. Le alte, inclinate, mura di pietra dell’Orecchio di Dionisio, dove sono state girate alcune delle affettuose immagini di ombre umane che scorrono, ricordano l’idea del mondo. Loro sembrano aver già diviso abbastanza perché la vita umana vi scorra dentro. La forma del trittico, anche, esalta questo sentimento; a tratti, esso sbuccia il campo della visione sui due lati, mentre noi avanziamo nello schermo centrale. Il trittico ci avvolge, ci abbraccia, ci piega nella sua pelle, e fa sì che la nostra apparenza ci venga tolta come se fosse una buccia. Luce, e linguaggio anche, passano attraverso le superfici del mondo, creando una somiglianza di ciò che è differente: fra corpi e ombre, fra parole e cose. La luce trascorrente getta l’ombra delle cose, rendendole come cose separate. Il titolo La certezza dell’ombra viene da una poesia che racconta come la luce dia certezza all’ombra; sebbene l’ombra sia l’illusione della luce. La morte, anche, nella diciassettesima poesia, è una luce improvvisa che rende le cose all’apparenza come se fossero separate. «Quando io vidi la morte sul mio cammino... io mi rifugiai / in un lampo di tuono, teso sulla polvere». La morte è un lampo di tuono che ci trascina nella polvere (una parola, turab, che è legata alla parola tomba, turba). La luce fa sì che le cose appaiano separate, inestricabili: la luce lascia che l’ombra abbia la sua illusione di esistere, come la morte, nel suo lampo di luce, dà alla vita l’apparenza di essere una cosa separata. La scrittura, anche, sguscia il mondo via da sé. L’undicesima poesia, tratta dalla serie Domande sulle quali sono stato interrogato e a cui non ho ri- 43 sposto, si riallaccia alla profonda frustrazione del linguaggio che genera la poesia. Il poeta si lamenta del fatto che gli è stato chiesto perché lui, o perché la poesia, abbia diviso le cose dai propri nomi, facendo sì che essi lottino fra loro – perché Adonis, più di chiunque altro, ha introdotto il modernismo nella poesia araba. «Perché ancora tutti voi sapete che esistono cose che non hanno nome?». In un’immagine che toglie il fiato per quanto è appropriata, uno stormo si raduna in una sempre nuova e vivente unità, come uno stormo di parole che scolpisce una cosa che diviene sfuggente, elusiva. Adesso noi udiamo un frusciare e vediamo un nodoso ceppo di radici intrecciate fra loro. Sono radice di baobab, l’albero che ama la terra così tanto che sgocciola le proprie radici giù dai suoi alti rami. Appare, fra questo intrico di radici, la bocca chiusa di Adonis nello schermo centrale, ruotata in verticale, le labbra schiacciate fra loro. L’immagine richiama le (non viste) labbra della donna nella scena precedente, e anche l’intrico di radici: pieghe fra le superfici, esterne ed interne. La bocca del poeta qui è non solo il veicolo della poesia, ma un passaggio materiale. Il suo occhio, anche, nuvoloso e venato di rosso, appare come una porzione di pelle, piuttosto che una finestra sull’anima. Adonis dice Arafa al-akhir hijabun: «Lui sa che l’altro è un velo». Questo verso, così compatto, è bello. Conoscere che l’altro è un velo ci fa rendere conto che noi siamo superfici uno all’altro, che ci fanno apparire separati. Così le pelli, siano esse di corpi o di alberi, sono le superficie ripiegate di una sostanza fondamentalmente non divisa. Anche qui, lo spessore del mondo schiaccia il poeta, lo avvolge, non fa distinzione fra le entità. Egli continua, Ma’ thalika, mala’ zâhirhu bi’adab al-mâdda: «Tuttavia, egli colmò la sua apparenza con la cortesia della materia».1 Così il poeta, con grazia, allontana l’illusione di essere un essere separato, colmando da se stesso un velo. Altrove questo velo brucia. Adonis amaramente fa appello ad un dio morto per rimpiazzare gli dei delle religione («il miraggio del sabato, il mi- 43 Adonis imp.qx6 17-08-2011 POEMS 16:41 Page 44 IN THE SKIN OF THE WORLD by Laura U. Marks The certainty of shade creates a feeling of timelessness that is vertiginous. Adonis wrote some of these poems as long ago as 1961, 1965; eventually they were translated into French, Italian, English. Poetry is eternal, we can say, and certainly Adonis places himself in an ancient tradition, his nom de plume and his themes linking to ancient Greek poetry. And the poems stand on their own. But here the poet stands before us, reading words he wrote fifty years ago. Poems about death, written by a young man, read by the same man, aged. This is vertiginous. Adonis writes against fixed meaning, against identity. Can the poet, present before us, embody the non-continuity his words embrace? Anyway, it is a joy to behold the great poet looking so well in Kali Jones’ and Maurizio Ruggiano’s beautiful video, with his red wool scarf and his cigar, walking the labyrinth. He presents us with his voice, performing his words with feeling as though he wrote them just yesterday. He allows the camera to study the landscape of his wrinkled skin, and sometimes it seems that his skin and voice, rather than the unity of his face, are what carry Adonis’ presence to us. Jones’ and Ruggiano’s images and sounds are vigorous, elemental, like Adonis’ poems: they hold on to life with all their might. Strong young feet grip the earth. The video itself grips onto surfaces, often preferring surface to outline, as though trying to get close to life itself. A rock; a smooth belly; the rough face of paper. Skin of the poet, skin of the world: these surfaces press together throughout La certezza dell’ombra. Adonis’ poems evoke a thick intertwining of the world with itself, and an inextricable mingling of person and world. In the fifth poem, Unity, Adonis and the universe are made one, for the universe’s eyelids are his own eyelids – like a child who believes that the world goes dark when she closes her own eyes. «For which of us created the other?» The video spreads out surfaces of skin that cradle an unblinking eye: unity of the poet 44 and the universe. Water forms one of the surfaces that unite the poet with his experience. In the fourth poem, Adonis has become a mirror reflecting everything. Planes of reflective water fill all three screens of the video. The poet tells how tears in his eyes, doubled pearls, tears bring him together with the watery world; they make him and the water lovers. «I was born in the name of water / Water is born in me / Water and I are twins.» The central screen blinks and weeps as the water reflects the blinding light of the sun. A dark liquid unites the poet with world and beloved in the eighth poem, A Woman’s Face. «I lived in the face of a woman who lived in a wave. She makes me die / she loves to be in my blood, to the limit of madness / And then become a darkened lighthouse.» It is a powerful metaphor for yielding to love and thus losing all point of reference, flowing as the dark liquid of blood inside another liquid world of seawater. The image stages this merging in a most startling way. We see a blurry dark form against a pale surface; then Adonis’ parted lips; then the dark form again, now in focus: a woman’s pubic hair. In a series of still images, blurred by motion, the woman gives herself over to orgasm: in quick edits, her face, distorted by pleasure, mingles with the face of the moon. Placing together the poet’s mouth, the woman’s rapture, and the moon, Jones’ and Ruggiano’s video honors Adonis and takes him at his word. These poems evoke a thickness of the world with itself, a thickness between self and world, so dense that there is hardly space to back away slightly and see, or hear, the world as a separate thing. The certainty of shade seems to gently pry apart the dense layers, just slightly, enough for us to feel the thickness of the world all around us. This is why so many of the video’s images are seen from close up: the textures of rocks, skin, sand, water. Yet to be in the world, to perceive the world, is to be constantly parting the folds of the 44 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 45 world just enough to slip through. As though the world were loose-skinned tangerine and our perception slips between the peel and the fruit. The high sloping stone walls of Dionysius’s Ear, where some of the lovely images of passing human shades were made, resemble this idea of the world. They seem to have parted just enough for human life to pass through. The triptych form of the video also emphasizes this feeling, for sometimes it literally makes the field of vision peel away on both sides as we move into the central image. The triptych envelops, embraces us, folds us into its skin, and lets our looking peel it apart. Light, and language too, pass between the world’s surfaces, creating a semblance of difference: between bodies and shadows, between words and things. The passing light casts the shadow of things, making the things appear separate. The title The certainty of shade comes from a poem telling that the light gives certainty to the shadow; yet the shadow is the illusion of the light. Death, too, in the seventeenth poem, is a sudden light that makes things appear separate. «When I saw Death on my path… I was refuged / in a flash of lightning, drawn upon the dust.»1 Death is a flash of lightning that draws us on the dust (in a word, turâb, related to the word for grave, turba). Light makes things appear separate that are really inextricable: the light allows shadow to have its illusion of existence, just as death, in its flash of light, gives a life the appearance of having been a separate thing. Writing, too, peels the world away from itself. The eleventh poem, one of Adonis’ series Questions I have been asked and have not answered, calls up the profound frustration with language that engenders poetry. The poet laments that he’s 45 been asked why he, or why poetry, has divided things from their names, made them wrestle with each other – for Adonis, more than anyone else, introduced modernism to Arabic poetry. «Why is it that still all you know are the things that have no names?» In a breathtakingly apt image, flocks of starlings converge in an ever-changing, living unity, like a flock of words sculpting an elusive, everchanging thing. Now we hear rustling and see gnarled roots folded upon themselves. They are roots of the banyan, that tree that loves the earth so much that it drops down roots from its lofty branches. Between these many-folded roots, Adonis’ closed mouth appears in the central panel, seen as a vertical fold, lips pressed together. The image recalls the (unseen) labia of the woman in the earlier scene, and also the folds of the roots: folds between exterior and interior surfaces. The mouth of the poet here is not only a vehicle for poetry but a material passageway. His eye, too, cloudy and red-veined, appears less a window into the soul than part of the skin. Adonis says Arafa alâkhir hijabun: «He knew the other is a veil.» This compact phrase is very beautiful. To know that another is a veil acknowledges that we present surfaces to each other that make us appear separate. Yet skins, whether of bodies or of trees, are the folded surface of some fundamentally undivided substance. Here too, the thickness of the world presses into the poet, encompasses him, makes no distinction between entities. He continues, Ma‘ thalika, mala’ zâhirhu bi’adab al-mâdda: «Nevertheless, he filled out his appearance with material courtesy.»2 Thus the poet graciously carries out the pretense of being a separate being, filling out 45 Adonis imp.qx6 DES 17-08-2011 16:41 Page 46 POÈMES DANS LA PEAU DU MONDE de Laura U. Marks Le sentiment d’intemporalité que fait naître La certitude de l’ombre est vertigineux. Certains de ces poèmes d’Adonis remontent à 1961, 1965 et n’ont été traduits en français, italien, anglais que plus tard. La poésie est éternelle, aussi Adonis s’inscrit-il dans une ancienne tradition, son pseudonyme et ses thèmes de prédilection étant liés à la poésie grecque antique. Et les poèmes se révèlent d’eux-mêmes. Ici, le poète paraît pour lire les mots qu’il a écrits un demi-siècle plus tôt. Des poèmes sur la mort, écrits par un jeune homme, lus par celui-ci alors qu’il est devenu âgé. C’est en cela que réside le vertige. L’écriture d’Adonis se dresse contre le sens strict, contre l’identité. Le poète qui se trouve devant nous peut-il incarner la non-continuité que renferment ses mots? Quoi qu’il en soit, c’est un bonheur de voir, dans cette très belle vidéo de Kali Jones et Maurizio Ruggiano, le grand poète portant beau avec son écharpe rouge et son cigare, arpentant le labyrinthe. Il nous offre sa voix, rendant ses mots avec émotion comme s’il venait à peine de les écrire. Il laisse la caméra étudier les paysages de sa peau ridée, si bien qu’il arrive parfois que sa peau et sa voix, plutôt que l’harmonie de son visage, devienne le véhicule de sa présence. Les images et les sons de Jones sont vigoureux, bruts, comme les poèmes d’Adonis: ils s’accrochent à la vie de toutes leurs forces. De jeunes et solides pieds adhèrent à la terre. La vidéo elle-même adhère aux surfaces, préférant souvent la surface au contour, comme pour approcher de la vie même. Une pierre, un ventre lisse; la face rugueuse d’une feuille de papier. La peau du poète, celle du monde: ces surfaces sont pressées l’une contre l’autre tout au long de La certitude de l’ombre. Les poèmes d’Adonis évoquent un solide entrelacement du monde avec luimême, un inextricable mélange de l’individu et du monde. Dans le cinquième poème, Unité, Adonis et l’univers ne font qu’un car les paupières de l’univers deviennent les siennes – tel une enfant 46 qui, pour peu qu’elle ferme ses propres paupières, croit le monde plongé dans l’obscurité. «Ainsi, qui de nous deux invente l’autre?» La vidéo étale des surfaces de peau où se niche un œil qui ne cille jamais: l’unité du poète et de l’univers. L’eau constitue l’une de ces surfaces qui unissent le poète à son expérience. Dans le quatrième poème, Adonis devient un miroir qui réfléchit tout. Des plaines d’eau qui reflètent remplissent les trois écrans de la vidéo. Le poète dit comment, les larmes dans ses yeux, des larmes doubles, l’unissent au monde liquide; elles font de lui et de l’eau des amants. «Je nais au nom de l’eau. / L’eau naît en moi. / L’eau et moi / sommes jumeaux.» Rappelant un sanglot, l’écran central clignote alors que l’eau reflète l’éblouissante lumière du soleil. Dans le huitième poème, Le visage d’une femme, c’est un liquide noir qui unit le poète au monde. «J’ai habité le visage d’une femme habitant une vague (…) / qui me fait mourir, / heureuse de s’infiltrer dans mon sang, / pour naviguer jusqu’aux confins de la démence. / Et devenir un phare éteint.» Il s’agit d’une puissante métaphore de l’abandon amoureux entraînant la perte des repères, se répandant comme le sang noir dans un autre monde liquide, celui de l’eau de mer. L’image met en scène cette confluence de la manière la plus saisissante. On voit une forme noire et floue contre une surface claire; puis les lèvres ouvertes d’Adonis; puis cette forme noire à nouveau, plus nette cette fois-ci: un pubis. Dans une série d’images fixes que rend trouble le mouvement, la femme s’abandonne à l’orgasme: grâce à un montage rapide, son visage, déformé par le plaisir, se confond avec la face de la lune. En superposant la bouche du poète, l’extase de la femme et la lune, la vidéo de Jones et Ruggiano rend hommage à Adonis et le prend au mot. Ces poèmes évoquent une certaine épaisseur entre le monde et lui-même, une épaisseur entre soi et le monde, si dense qu’il en devient presque impossible de prendre du recul et de voir, ou d’en- 46 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 47 tendre, le monde comme un élément séparé de soi. La certitude de l’ombre semble détacher délicatement les couches denses, à peine assez pour nous permettre de sentir de toutes parts l’épaisseur du monde. De là les nombreux gros plans de la vidéo: les textures des pierres, de la peau, du sable, de l’eau. Etre dans le monde, percevoir celui-ci, n’en est pas moins écarter sans cesse les plis du monde afin de s’y introduire. Comme si le monde était une mandarine à chaire flasque et que notre perception s’immisçait entre l’écorce et la pulpe. Les parois inclinées de l’Oreille de Denys, où ont été filmées certaines des très belles images des ombres de passants, évoquent cette figure du monde. Elles semblent tout juste assez écartées pour laisser passer une vie humaine. La présentation en triptyque accentue cette impression, il arrive en effet que le champ de vision se détache des côtés au fur et à mesure qu’on entre dans l’image centrale. Le triptyque nous enveloppe, nous étreint, nous incorpore à sa peau, comme pour laisser notre regard la peler. La lumière, comme le langage, passent entre les surface du monde créant un semblant de différence: entre les corps et les ombres, entre les mots et les choses. La lumière mouvante projette l’ombre des choses et donne l’impression qu’elles sont distinctes les unes des autres. La certitude de l’ombre est le titre d’un poème qui dit que la lumière confère à l’ombre sa certitude ; l’ombre pourtant, est l’illusion de la lumière. Dans le dixseptième poème, la mort elle-même prend la forme d’une lumière soudaine qui donne aux choses l’aspect du distinct. «Quand / j’ai vu la mort sur ma route, (…) / J’ai trouvé refuge dans l’éclair / me suis trouvé tracé/ dans la terre.»1 La mort est un éclair qui nous dessine sur la poussière (tourâb, lié à tourba qui signifie tombe). La lumière donne l’aspect du distinct aux choses qui, en fait, sont inextricables: la lumière donne à l’ombre l’illusion d’exister tout comme la mort, en un éclair, donne à une vie l’apparence du distinct. L’écriture aussi détache le monde de lui-même. Le onzième poème, qui s’inscrit dans la série des «questions qui m’ont été posées, auxquelles je n’ai pas répondu», évoque la profonde frustration 47 face au langage qu’engendre la poésie. Le poète se plaint qu’on lui demande pourquoi lui-même ou la poésie a-t-elle séparé les choses de leurs noms, les a forcés à se combattre, – car Adonis, plus que tout autre, a introduit la modernité dans la poésie arabe. «Pourquoi alors / sembles-tu n’avoir connu / que les choses / qui n’ont pas de nom?» Dans une image d’une stupéfiante pertinence, des volées d’étourneaux convergent en une harmonie sans cesse renouvelée, pareils à un essaim de mots sculptant un objet insaisissable et sans cesse transformé. Plus loin on entend des bruissements et l’on voit des racines noueuses qui s’entrecroisent. Ce sont les racines du banian, cet arbre qui, à force d’aimer la terre, laisse pendre des racines de ses hautes branches. Entre ces racines entrelacées, la bouche fermée d’Adonis apparaît sur l’écran central, tel un pli vertical, des lèvres serrées. L’image évoque les lèvres (non montrées) du sexe d’une autre scène, mais elle évoque aussi les entrelacements des racines: des plis entre surfaces extérieures et intérieures. La bouche du poète n’est pas que le véhicule de la poésie, elle est un conduit dans la matière. De la même manière, son œil, trouble et légèrement injecté de sang, semble moins une fenêtre de l’âme qu’une partie de la peau. Adonis dit «Arafa al-âkhir hijaboun»: «Il sait que l’autre / n’est jamais qu’un voile.» Cette phrase concise est très belle. Savoir que l’autre est un voile, c’est reconnaître que nous présentons aux autres une surface qui nous montre séparé. Cependant, les peaux, que ce soient celles des corps ou des arbres, sont la surface plissée de d’une seule et même substance. Là encore, l’épaisseur du monde pénètre le poète et l’englobe à la fois, ne permettant aucune distinction entre les entités. Il poursuit: «Ma‘ thalika, mala’ zâhirhou bi’adab al-mâdda»: «Mais il étoffe néanmoins, / avec une certaine courtoisie2 de la matière, / son allure.» Ainsi le poète assume-t-il avec grâce sa condition d’être distinct endossant son propre voile. Ailleurs, ces voiles brûlent. Adonis invoque avec amertume un dieu mort afin de remplacer les dieux des religions («le mirage du sabbat. / Et le 47 Adonis imp.qx6 17-08-2011 L’INQUIETANTE 16:41 Page 48 DIMORA di Houria Abdelouahed Narrando, il poeta riscrive la Storia. Facendo ciò, egli attraversa paesi, riveste l’orizzonte, prosciuga le lacrime, guarda, tocca, palpa, abbraccia la donna e ricama lo scialle… È il poeta-narratore-artigiano, che coincide con quanto sostenne Walter Benjamin, per il quale la narrazione non è l’opera di un solo punto di vista. Nella vera narrazione, esiste l’opera della mano. L’antica coordinazione dell’anima, dell’occhio e della mano è la coordinazione artigianale. «Il narratore deve essere posto nel novero dei maestri e dei saggi. Perché è per lui destino risalire il corso di tutta la sua vita […] e di poter narrare tutta la sua vita», scriveva Walter Benjamin. Ne I canti di Mihyar il damasceno, come Nietzsche, Adonis esclama: «Dio è morto». Ne La gaia scienza, Nietzsche evoca un dio cristiano che non è solamente morto, ma che fu assassinato dall’uomo. «Appartiene alla natura inquietante – scrive Heidegger in una riflessione sul nichilismo – dei più inquietanti ospiti di non poter nominare la propria origine». Se, come disse Hölderlin, lo splendore della divinità si è spento, questo significa che la metafisica si priva, da se stessa, della possibilità di essere messa in opera. Ma, con questa disfatta, «è il fondo del mondo, il suo fondamento, che si disfa» (Heidegger). Così il nichilismo diviene il movimento che precipita i popoli nella «sfera del potere dei tempi», nel senso che ripensare la metafisica di Nietzsche significa allora «meditare la situazione e il luogo dell’uomo contemporaneo» (Heidegger). Per colui che ha composto i Canti di Mihyar, quell’uomo è forzosamente contemporaneo, ma non necessariamente occidentale. Oltrepassando le frontiere, egli è, e dimora meticcio o plurale. I paesi si intrecciano in un solo e medesimo progetto e in un medesimo movimento: quello che precipita gli abitanti della terra nella «sfera del potere dei tempi». Se per Nietzsche, il cristianesimo è la manifestazione storica, secolare e politica della Chiesa e della sua volontà di potere, per Adonis, il monoteismo è un colpo di Stato politico. Adonis ha so- 48 stenuto di aver voluto fare, nel seno della cultura araba, quello che fece Nietzsche all’interno della cultura cristiana: distruggere la pienezza a favore di ciò che sfugge. E il mondo diventa, così, senza salvezza. Tuttavia, il Nietzsche di Adonis fu scoperto dopo Eraclito e i mistici. «Tu non puoi attraversare il fiume due volte» rimanda a «Dio non si manifesta mai due volte» del pensiero di Ibn Arabi. Pensiero che riassume la sua risposta alla questione dei teologi:1 «Qual è la causa dell’inizio del mondo?», Ibn Arabi, in una lettura sovversiva della Scrittura, risponde: wa lâ tazâlu kun walâ yazâlu at-takwîn («il “sia!” è permanente. Così la creazione è essa stessa permanente, le cose sono eternamente originate perché perpetuamente sono distrutte»). Condotte dal respiro, esse sono distrutte non appena sono dette. E la parola che sfugge all’idolatria.2 Il rinnovamento si compone dunque di forme infinite, inesauribili, grazie al nafas (il pneuma), indicato come il yawm (il giorno). In quell’istante l’aria è l’invisibile supporto dell’immagine. Quell’immagine che intese l’imperativo “sia!”, l’imperativo come medium originario della parola e come apertura sui corpi della lingua. E l’immagine che intende la voce e che le consente di giungere, inscritta, nel venire al mondo, mentre il desiderio dell’Altro sostiene: “sia!” e la cosa è. Questa è l’aria della phoné che traccia l’immagine.3 Il Nietzsche di Adonis non è solamente colui che critica il cristianesimo e il platonismo. È ugualmente e soprattutto colui che fa del corpo un metodo. «Il corpo è un pensiero più misterioso di quanto un tempo fu l’anima», scrisse Nietzsche e «Io mi sono domandato se, sommato tutto, la filosofia fino ai giorni nostri non è stata solamente un’interpretazione del corpo e un fraintendimento del corpo». Il mistero non è più l’anima, ma il corpo. L’enigma per Adonis è l’infinito del corpo. Se c’è un infinito finito, è quello del corpo. Qui si incontrano Nietzche, Eraclito e i mistici. Nello stesso modo in cui Mihyar diventa damasceno, il triangolo akbariano (la conoscen- 48 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 49 za, il conosciuto e il conoscente), in questo accordo di confluenti, diventa il triangolo del corpo. Così il mistero del pensiero nicciano diventa il fiume d’Eraclito nel presente stesso dell’esperienza mistica, ogni volta che essa si ripete. La vera filosofia, per Nietzsche, è Dioniso e non Socrate. Dioniso è il dio dello smembramento. Contro la Scrittura che sostiene: «egli è l’Unico», Ibn Arabi rettifica: «Egli è l’Unico Multiplo». È quel pensiero dello smembramento e del multiplo che mi ha sconcertato nella lettura de Commencement du corps fin de l’océan. La raccolta è superbamente abitata da una visione mistica e, a tratti, nicciana. Il multiplo è nell’uno del corpo. Attraverso le inclinazioni del corpo. Adonis cancella il pensiero dell’Uno (della teologia). Inoltre, se il corpo della femmina nelle opere teologiche è considerato come il luogo del riposo e dell’appagamento,4 nella poesia di Adonis, al contrario, dimora il godimento, nelle nozze, la separazione e l’abisso. Il poeta nomina l’abisso. L’inquietante stranezza non risulta unicamente dal tema (il simile che scompare in quanto simile e il ritorno dello straniero in quanto familiare). Non si tratta solamente dell’inquietante stranezza dell’essere, ma dell’inquietante all’interno della lingua stessa. La pienezza avvolgente racchiude le cesure. Nella poesia d’Adonis, e ciò ancor di più nei Canti di Mihyar damasceno, la vigna non permette alcuna protezione, il muro è incrinato, il ponte è un ponte di lacrime. «C’è qualcosa di più pericoloso della parola?» «Nulla», tale è la risposta di Heidegger. E Adonis, continuando: «C’è un’acqua che placa la sete dell’acqua?». La sua poesia dice ciò che è inquietante e angosciante nelle risorse primarie della lingua. Non dimentichiamo che al-kalam (la parole), l’atto fonematico, è hua al-jurh, la ferita. «È un terrore che scava in noi l’angoscia delle parole», ha detto Adonis. Ci invita a pensare il negativo, l’angoscia del cominciamento.5 Pensare la familiarità conturbante della prima dimora. «Dopo la mia nascita e dopo aver ricevuto il mio nome, vivo al fianco della morte». Il nome, ism di sumuww, nobiltà, altezza, samâ’, cielo, ciò che è alto, elevato, attesta la propria sovranità sulle cose. «Nessuna cosa è, laddove la parola manca» (Hölderlin). Il poeta, che risponde a questa esigenza di richiamarsi alla potenza nominativa, la fa scintillare a tal punto che la parola ci tocca nel suo spaesamento. 49 Egli erra nel suo tormento e s’eleva organizza il proprio diluvio, tale è il suo disegno (Adonis). Diluvio o vulcano, strillo o gridìo prolungato, pensiero o sensibilità, fonte o scarto… Tutti questi cammini conducono alla parola, «La casa dell’essere» (Hölderlin). Questa, per ultima, lascia che venga il dire poetico, il delirio, l’atrio della lingua. Il cammino verso la parola si dispiega nella parola, nella sua marcia verso il sito dell’infanzia, dove il poeta-fanciullo gioca («nei miei passi e nelle mie parole saltella un fanciullo»). Allora, i fiori cantano la poesia della semenza e danzano nel vento delle fiamme. (…) Io disegno la montagna e certi versetti Fra una valle e l’altra si spezza il filo del destino.6 Il filo del destino si spezza nel dire poetico: – Chi pretende che le profezie non abbiano fine? Chi tenta, chi si riveste delle tue interiora? – Le stagioni – Chi farà profezie per la terra se non c’è il cielo? – L’acqua delle fonti, il fiore delle valli. (…) Né mago, né profeta – solo il fuoco di una poesia. Fiammeggiare e ardere è il dire poetico: Che fai tu, o poeta? In questo paese perduto? Io assisto alla nascita di altri paesi. La poesia diventa lo spazio che sempre rinasce dall’evento. E il poeta è colui che va verso la costruzione del luogo poetico. In questo cammino, noi incontriamo la forma allo stato nascente. Forme in movimento. Figlie del movimento. L’arte della lettura diventa grafica. La dimensione rappresentativa (la scomposizione della pagina) scorre in parallelo alla dimensione ritmica. Segno e forma, ritmo e immagine. La questione del bianco è importante nella poesia d’Adonis. Il bianco nella parola e il bianco della pagina. Gli iati, il silenzio all’interno della lingua. «Una effrazione del sempre nella parola» (André du Bouchet). «È impossibile», ha detto Paul Claudel, 49 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 50 «dare un’immagine esatta dei ritmi del pensiero se non si tiene conto del bianco e dell’intermittenza.» Il bianco non è un artificio grafico. Esso impone l’articolazione ritmica della pagina, in risonanza con quello che lo sguardo ha accordato ad un tono determinato (Henri Maldiney). Quello che Rilke chiama «l’avventura silenziosa degli spazi fra gli intervalli». La struttura spaziale diviene temporale, quella dell’istante, nel senso «di un’istantaneità continuativa». «Io sono, da me stesso, ritmicamente il mio evento» (Henri Maldiney). In questo cammino poetico, in questa coreografia di parole, in questo ballo delle parole e delle cose, la forma non è Gestalt, ma gestaltung, sempre in divenire. La forma si dà forma. Noi avanziamo in una poesia che non cessa di trasformarsi. La spazialità è quella dell’Aperto (Maldiney). L’opera di Adonis è il cammino di se stessa. Apre 50 il cammino della propria formazione in una trasformazione perpetua. Adonis è lettore di Eraclito. Il ritmo è nel corso del fiume ed è nel gorgo delle acque. Il lettore di Eraclito è un fanciullo che gioca e che si meraviglia davanti alla cosa, come se fosse la prima volta. Fin quando l’uomo è capace di meraviglia, l’arte esiste. L’arte del poeta unisce le curve delle donne alle spalle delle colline. Ci fa sentire l’odore della stoffa, la sua delicatezza, il frusciare delle pieghe, l’ondulazione dello scialle, la cosa femminile e… ciò che può essere tessuto e ricamato dalla lingua. Noi inspiriamo, tocchiamo, comprendiamo, sentiamo, palpiamo il blu azzurro o la stella che scintilla, la prima aurora o la sfumatura crepuscolare. Come se si stia cercando di nominare l’enigma sensoriale. Dopo la parola del narratore nel dire poetico, il vegetale cammina al fianco del minerale, che incro- 50 Adonis imp.qx6 THE 17-08-2011 16:41 Page 51 UNCANNY HOME by Houria Abdelouahed Recounting history the poet rewrites it, poetically, and doing so passes across countries, clothes the horizon, dries tears, looks around, touches, feels, embraces women and embroiders a wide mantle. He is poet, storyteller and artisan, as we learn from Walter Benjamin for whom storytelling is not the work of a single craft. True story-telling bears the marks of the artist’s handprints. The ancient coordination of soul of eye and of storytelling comprises the coordination of the artisan. «The storyteller should be counted among masters and sages,» says Walter Benjamin, «since the task is given him to pass through the course of his entire life to climb over again up again over the path of his entire life… and to be able to tell the story of his entire life.» In Mihyar of Damascus, his songs, following the example of Nietzsche, Adonis writes «God is dead» [«I exchanged the god of blind stone, / And the god of the seven days, / for a dead one»]. In The Gay Science Nietzsche invokes a Christian god who is not just dead, but who has been assassinated by Man. «We’re dealing with an uncanny property,” writes Heidegger in his essay European Nihilism, with «that most uncanny of parasites which couldn’t identify its own origin.” If, as Hölderlin says, the splendor of divinity has been extinguished, this means that metaphysics loses, by its own doing, its ability to evolve. With this loss «it’s the basis of the world, its foundation which is lacking” (Heidegger). Nihilism thus evolves into a movement which thrusts people into «the sphere of time’s power,” in the sense where rethinking Nietzsche’s metaphysics is then «to comprehend the condition and the status of contemporary man. Now, for the creator of Mihyar of Damascus that man is inevitably contemporary but not necessarily a westerner. As he crosses borders he is and he remains a mongrel, a plural. Nations coalesce in one and the same movement, in the same motion: a motion which thrusts the inhabitants of the earth into «the sphere of time’s 51 power.” If for Nietzsche Christianity is the historical, secular, political manifestation of the Church’s appetite for power, for Adonis monotheism is a political coup d’état. Adonis says he has intended to create at the heart of Arab culture what Nietzsche accomplished at the heart of Christianity: to abandon the fullness of its benefits in favor of that which is hidden. And thus the world loses its salvation. Nonetheless the Nietzsche of Adonis was known before Heraclitus and the mystics. «You cannot cross the same river twice” finds its rejoinder in Ibn ‘Arabî’s «God never manifests himself a second time,” a thought still misunderstood by being truncated or oversimplified. When a theolo1 gian asks «what caused the beginning of the world,” Ibn ‘Arabî replies, in a subversive reading of that text which says wa lâ tazâlu kûn wa-lâ yazâlu al-takwîn: the imperative “Be!” is permanent. Creation too is permanent, things begin continually and continually they are destroyed. Carried by the wind, they dissolve as soon as they are spoken. And this is how the word escapes idola2 try. Renewal takes place in infinite forms, inexhaustible thanks to the nafas (breath), designated as the yawm (the day). At that moment the air is the invisible support for the image. That image which has heard the imperative “Be!” the imperative as the words original voyage, as an opening to the body of language. And the image, hearing the voice and letting it in, at its arrival in the world, inscribes the desire of the Other, saying “Be!” And the thing is. It’s the melody of phôné 3 which shapes the image. Time, comments Ibn ‘Arabî, is present tense. It’s necessary to rethink the orientation of Ibn ‘Arabî’s mysticism towards the light not as the image of the divine reflected in the heart, but as a present tense at the origin of time, a constant renewal of creation in forms – inexhaustible, infinite, never repeating itself and always in the present. At the heart of that eternal 51 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 52 movement every instant remains superbly unique. The “Now of every instant,» in Heidegger’s beautiful expression. An “every instant” in the present time of experience. Now the Nietzsche of Adonis is not simply the one who criticized Christianity and Platonism. He is, equally, above all, the one who made the body into a method. «The body is a thought more mysterious than the soul used to be,» Nietzsche wrote. «And I have wondered if in its entirety if philosophy has been, all along, nothing but an interpretation, and a miscomprehension, of the body.» The mystery is no longer of the soul but of the body. The enigma for Adonis is the unbounded nature of the body. If there is a bounded infinite it is the body. Here Nietzsche, Heraclitus and the mystics encounter one another. In the same way that Mihyar becomes a man of Damascus, the akbarian triangle (knowledge, the known and the knower) becomes, in this confluence of separate streams, the body. The mystery of Nietzsche’s thought becomes the river of Heraclitus in the Now of every recurrence of the mystical experience. The true philosopher, for Nietzsche, is not Socrates but Dionysos, Dionysos the god of dismemberment. Now, confronting the text which states «He is the One,» Ibn ‘Arabî amends it to «He is the plural One.» Now, it is this concept of dismemberment and of the plural which astounded me in my reading of «Setting out of the Body, all the way to the Sea» (2003). That collection is inhabited, superbly, by a vision which is Nietzschean and mystical all at once. The plural is in the body. It is by means of he crooked grain of the body, that Adonis breaks the concept of the One. I would even dare to say that with the crookedness of this multiple One (the body) that Adonis breaks the One (of theology). Beyond that, if the woman’s body in theological collections is considered as the place of re4 pose and tranquility for the poetry of Adonis in the encounter there lives a yawning gap, in weddings, in separation and in the abyss. The poet names the abyss. Uncanny strangeness flows not simply from the theme (that double which loses its identity as a double, the return of the unfamiliar in the guise of the familiar.) It is not simply a matter of the uncanny strangeness of being but that uncanny presence at the very heart of language. Enveloping plenitude covers over the fissures. In the po- 52 etry of Adonis, ever since Mihyar of Damascus, the vine forbids the growth of the tree, the wall is cracked, the bridge is a bridge of tears. «Is there anything more perilous than the word?» «Hardly.» This is Heidegger’s answer. And Adonis in turn: «Is there water which quenches the water’s thirst?» His poetry speaks what is uncanny and agonizing in the original resources of language. Let’s not forget that al-kalâm (the word) is the phonemic act, the smallest particle of meaning, hua al-jurh, the wound. «It is a dread,» says Adonis, «which carves into us the anguish of words.» He invites us to think the negative, the fear of the 5 beginning. To think the dreadful familiarity of that first dwelling. «Since my birth, since I was named, I’ve been in touch with death.» The ism (name), from sumuww (nobility, eminence), samâ’ (sky, whatever is high, elevated), attests the supremacy of things. «Where the word fails to reach let nothing exist.» (Hölderlin). The poet, who answers this necessity by calling for the strength of naming, makes it glisten by itself, until the word touches us with its alienation… He wanders though his pain. He rechannels his flood; such is his fate. (Adonis) Flood or volcano, shout or shriek, concept or sensation, source or deviation… All those roads lead to the word, «the house of being» (Hölderlin). This last lets in the speech of poetry, delirium, the ins and outs of language. The road to the word unfolds inside the word as it walks toward the real of the childish, where the child plays («in my footsteps and in my words their springs an infant.») And so, Flowers sing poetry of the seed and dance in the wind the dance of flames. I sketch the mountain and there are verses between one valley and another which break the thread of fate.6 Fate's thread breaks in the poetic act: “Who claims that prophecy has no end at all? Who attempts it? Who dresses himself in your entrails?” “The seasons.” “Who besides the sky has made prophecies for the earth?” 52 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 53 “The water of springs, flowers of the valleys. …Neither a magician nor a prophet – only the fire of poetry.” Poetic speech is a bursting into flame, enthusiasm. “What are you doing, o poet in this lost land?” “I’m accompanying it to the birth of other lands.” Poetry becomes the space which gives rebirth to the event. And the poet is he who walks towards the creation of a poetic space. In the course of this journey we encounter the form for the new-born state. Forms in motion. The daughters of motion. The art of reading becomes a graphic art. The visual dimension (the page’s fragmentation) goes hand in hand with the dimension of rhythm. Sign and form, rhythm and image. The question of blank space is important in Al-Kitâb. The space inside the word and the space on the page. The gap, the silence lodged in the interior of language. «A break-in going on constantly inside speech» (André du Bouchet). «It is impossible,» says Claudel, «to determine an exact image of the shape of thought with tak- 53 ing account of the blank space and the space between.» Blank space is not just a graphic contrivance. It demands the rhythmic articulation of the page, harmonizes with what vision finds in itself, in tune with a fixed tone (Henri Maldiney). What Rilke calls «the tranquil experience of the intervals between.» The spatial structure becomes temporal, in the sense «of a continuous instantaneousness.» «I am myself, rhythmically, my own arrival» (Henri Maldiney). In this poetic journey, in this choreography of words, in the dance of words and of things, form is not a Gestalt but a Gestaltung, always becoming. Form forms itself. We walk inside a poem which never ceases transforming itself. The realm of the spatial is the realm of the Open (Maldiney). The work of Adonis is its own path. It opens the path of its own constant transformation. Adonis is a reader of Heraclitus. The rhythm is in the flow of the river, the swirling of the water. The reader of Heraclitus is a child at play, in wonder at the primal substance. To the extent that man is capable of wonder, art exists. The art of the poet unites the curves of woman and with the smooth shoulders of the hills. He makes us experience the smell of fabric, its delicacy, the crispness of its folds, the sinuosity of a 53 Adonis imp.qx6 17-08-2011 L’INQUIÉTANTE 16:41 Page 54 DEMEURE de Houria Abdelouahed Narrant, le poète réécrit poétiquement l’Histoire. Ce faisant, il traverse des contrées, habille l’horizon, essuie les larmes, regarde, touche, palpe, embrasse la femme et brode la mantille… Il est le poète-narrateur-artisan, rejoignant Walter Benjamin pour qui la narration n’est pas l’œuvre d’une seule voie. Dans la véritable narration, existe l’œuvre de la main. L’ancienne coordination de l’âme, de l’œil et de la main est la coordination artisanale. «Le narrateur doit être mis au nombre des maîtres et des sages. Car il lui est donné de remonter le cours de toute sa vie (…) et de pouvoir narrer toute sa vie», écrivait Walter Benjamin. Dans Les Chants de Mihyar le damascène, à l’instar de Nietzsche, Adonis s’écrie: «Dieu est mort». Or, dans Le gai savoir, Nietzsche évoque un dieu chrétien qui n’est pas seulement mort, mais qui fut assassiné par l’homme. «Il appartient au caractère inquiétant, écrit Heidegger dans une réflexion sur le nihilisme, de ce plus inquiétant des hôtes de ne pas pouvoir nommer sa propre origine». Si, comme dit Hölderlin, la splendeur de la divinité s’est éteinte, ceci signifie que la métaphysique se prive elle-même de sa propre possibilité de déploiement. Seulement, avec ce défaut, «c’est le fond du monde, son fondement qui fait défaut» (Heidegger). Aussi le nihilisme devient-il le mouvement qui précipite les peuples dans «la sphère de puissance des temps», dans le sens où repenser la métaphysique de Nietzsche, c’est alors «recueillir la situation et le lieu de l’homme contemporain» (Heidegger). Or, pour celui qui composa les Chants de Mihyar, cet homme est forcément contemporain, mais pas nécessairement occidental. Dans un dépassement des frontières, il est et il demeure métisse ou pluriel. Les contrées s’enlacent dans un seul et même projet et un même mouvement: celui qui précipite les habitants de la terre dans «la sphère de puissance des temps». Si pour Nietzsche, le christianisme est la manifes- 54 tation historique, séculière et politique de l’Eglise et de son appétit de puissance, pour Adonis, le monothéisme est un coup d’Etat politique. Adonis dit avoir voulu faire au sein de la culture arabe, ce que fit Nietzsche au sein du christianisme: rompre avec la plénitude au profit de ce qui se dérobe. Et le monde devient ainsi sans salut. Toutefois, le Nietzsche d’Adonis fut découvert après Héraclite et les mystiques. «Tu ne peux traverser le fleuve deux fois.» rejoint le «Dieu ne se manifeste jamais deux fois» de la pensée d’Ibn Arabi. Pensée que résume sa réponse à la question du théologien:1 «Quel est la cause du commencement du monde?», Ibn Arabi, dans une lecture subversive du Texte répond: wa lâ tazâlu kun walâ yazâlu at-takwîn («le ‘sois!’ est permanent. Aussi la création est-elle permanente, les choses sont éternellement commençantes car perpétuellement détruites»). Portées par le souffle, elles sont défaites dès qu’elles sont dites. Et le mot d’échapper ainsi à l’idolâtrie.2 Le renouvellement se fait dans des formes infinies, inépuisables, grâce au nafas (souffle) désigné comme le yawm (le jour). A ce moment, l’air est l’invisible support de l’image. Cette image qui entendit l’impératif: «sois!», l’impératif comme traversée originaire de la parole et comme ouverture sur le corps de la langue. Et l’image, entendant la voix et consentant à venir, inscrit, dans la venue au monde, le désir de l’Autre disant: «Sois!» Et la chose est. C’est l’air de phôné qui trace l’image.3 Le Nietzsche d’Adonis n’est pas uniquement celui qui critiqua le christianisme et le platonisme. Il est également et surtout celui qui fait du corps une méthode. «Le corps est une pensée plus mystérieuse que jadis l’âme», écrit Nietzsche et «Je me suis demandé si somme toute, la philosophie jusqu’à aujourd’hui n’a pas été seulement une interprétation du corps et une mécompréhension du corps.» Le mystère n’est plus celui de l’âme, mais du corps. L’énigme pour Adonis c’est l’infini du corps. S’il y a un fini infini, c’est bien le corps. Ici se 54 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 55 rencontrent Nietzsche, Héraclite et les mystiques. De la même façon que Mihyar devient damascène, le triangle akbarien (la connaissance, le connu et le connaissant) dans cette rencontre des confluents, devient celui du corps. Aussi le mystère de la pensée nietzschéenne devient-il le fleuve d’Héraclite dans le maintenant de chaque fois de l’expérience mystique. Le vrai philosophe, pour Nietzsche, est Dionysos et non Socrate. Dionysos est le dieu du démembrement. Or, face au Texte qui énonce: «Il est l’Un», Ibn Arabi réctifie: «Il est l’Un multiple». Or, c’est cette pensée du démembrement et du multiple qui m’a bouleversée lors de ma lecture du Commencement du corps fin de l’océan. Le recueil est superbement habité par une vision mystique et nietzchéenne à la fois. Le multiple est dans l’un du corps. Par le biais du corps, Adonis casse la pensée de l’Un. J’ai même envie de dire que par le biais de cet un-multiple (le corps), Adonis casse l’Un (de la théologie). En outre, si le corps de la femme dans les recueils théologiques est considéré comme le lieu du repos et de l’apaisement,4 dans la poésie d’Adonis, dans la rencontre, demeure la béance, dans les épousailles, la séparation et l’abîme. Le poète nomme l’abîme. L’inquiétante étrangeté ne découle pas uniquement du thème (le semblable qui disparaît en tant que semblable et le retour de l’étranger en tant que familier). Il ne s’agit pas seulement de l’inquiétante étrangeté de l’être mais de l’inquiétant au sein de la langue même. La plénitude enveloppante enferme des cassures. Dans la poésie d’Adonis, et ce depuis les Chants de Mihyar le damascène, la vigne ne permet pas l’abri, le mur est fissuré, le pont est un pont de larmes. «Y a-t-il quelque chose de plus périlleux que le mot?» «Guère», telle est la réponse d’Heidegger. Et Adonis de poursuivre: «Y a-t-il une eau qui étanche la soif de l’eau?». Sa poésie dit ce qui est inquiétant et angoissant dans les ressources premières de la langue. N’oublions pas que al-kalâm (la parole) qui est l’acte phonématique, hua al-jurh, est la blessure. «Il est une terreur qui en nous creuse l’angoisse des mots», dit Adonis. Il nous invite à penser le négatif, la détresse du commencement.5 Penser la familiarité effrayante de la première demeure. «Depuis ma naissance et ma nomination, je côtoie ma mort». Le nom, ism de sumuww, noblesse, hauteur, samâ’, ciel, ce qui est haut, élevé, 55 atteste de sa souveraineté sur les choses. «Aucune chose ne soit, là où le mot faillit» (Hölderlin). Le poète, qui répond à cette exigence d’en appeler à la puissance nominative, fait miroiter par lamême à quel point la parole nous touche de son dépaysement. Il erre dans son tourment et s’élève, – Organise son déluge, tel est son dessein (Adonis). Déluge ou volcan, cri ou hurlement, pensée et sensorialité, sources et écart… Tous ces chemins mènent à la parole, «la maison de l’être» (Hölderlin). Cette dernière laisse venir le dire poétique, le délire, les aîtres de la langue. Le chemin vers la parole se déploie dans la parole dans sa marche vers le site de l’infantile où le poète-enfant joue («dans mes pas et dans mes mots sautillent un enfant»). Alors, Les fleurs chantent la poésie de la semence et dansent dans le vent la danse des flammes. (…) Je désigne la montagne, et certains versets Entre une vallée et une autre Se brise le fil du destin.6 Le fil du destin se brise dans le dire poétique: – Qui prétend que les prophéties n’ont point de fin? Qui tente, qui se revêt de tes entrailles? – Les saisons. – Qui prophétisa pour la terre si ce n’est le ciel? – L’eau des sources, les fleurs des vallons. (…) Ni magicien, ni prophète – seul le feu d’une poésie. Flamboiement et ardeur est le dire poétique: – Que fais-tu ô poète? Dans ce pays perdu? – J’assiste à la naissance d’autres contrées. La poésie devient l’espace renaissant de l’événement. Et le poète est celui qui marche vers la construction du lieu poétique. Dans cette marche, nous rencontrons la forme à l’état naissant. Formes en mouvement. Filles du mouvement. L’art de lecture devient graphique. La dimension représentative (le découpage de la page) va de pair avec la dimension rythmique. Signe et forme, rythme et image. 55 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 56 La question du blanc est importante dans la poésie d’Adonis. Le blanc dans la parole et le blanc de la page. Le hiatus, le muet à l’intérieur de la langue. «Une effraction de toujours dans la parole.» (André du Bouchet). «Il est impossible, dit P. Claudel, de donner une image exacte des allures de la pensée si l’on ne tient pas compte du blanc et de l’intermittence.» Le blanc n’est pas un artifice graphique. Il commande l’articulation rythmique de la page en résonance avec laquelle le regard se trouve accordé à un ton déterminé (Henri Maldiney). Ce que Rilke nomme «l’aventure silencieuse des espaces intervallaires». La structure spatiale devient temporelle, celle de l’instant au sens «d’une instantanéité continue». «Je suis moi-même rythmiquement mon avènement» (Henri Maldiney). Dans cette marche poétique, dans cette chorégraphie des mots, dans le bal des mots et des cho- 56 ses, la forme n’est pas Gestalt mais gestaltung, toujours en devenir. La forme se forme. Nous marchons dans un poème qui ne cesse de se transformer. La spatialité est celle de l’Ouvert (Maldiney). L’œuvre d’Adonis est le chemin d’elle-même. Elle fraie le chemin de sa propre formation en transformation perpétuelle. Adonis est lecteur d’Héraclite. Le rythme est dans le cours du fleuve et il est dans les remous de l’eau. Le lecteur d’Héraclite est un enfant qui joue et qui s’étonne devant la chose première. Et tant que l’homme est capable d’étonnement, l’art existe. L’art du poète unit courbes de femmes à des épaules de collines. Il nous fait sentir l’odeur de l’étoffe, sa délicatesse, le froissement des plis, l’ondulation des mantilles, la chose féminine et …ce qui peut être tissé ou brodé en langue. Nous humons, touchons, entendons, sentons, palpons 56 Adonis imp.qx6 IL 17-08-2011 16:41 Page 57 POETA NEL GIARDINO DEI MITI di Francesca Corrao La Sicilia, giardino senza steccati, dove ogni storia si trasforma in mito ospita spesso Adonis, da circa trent’anni. Il grande poeta arabo ama molto l’Italia per la sua accoglienza e in particolare trova in Sicilia l’eredità dell’umanesimo europeo inaugurato da Federico II. Adonis ama tornare sui luoghi dove gli Arabi hanno lasciato le gemme migliori della loro antica civiltà, dove egli coglie l’alba di un armonioso meticciato, sola prospettiva di pace in questo tempo in cui il colloquio con l’altro diviene sempre più difficile. La poesia di Adonis è dialogo, è incontro tra il nuovo significato immaginato dal poeta e le cose, è un incessante desiderio di dare nuovo senso alle parole per comunicare sogno e bellezza. Adonis come novello Omero raccoglie le leggende dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo per cantare la nuova Itaca. Il non-luogo dove gli esseri umani di ogni provenienza ritrovano la loro dimora di pace spogliandosi dagli angusti vincoli dell’appartenenza forieri di odio. Adonis come il filosofo Gianbattista Vico, crede che la poesia sia la fonte di ogni conoscenza, che in versi trasmette la memoria, e pertanto è sedimento del passato e prevede il futuro. La poesia di Adonis nasce nella pace delle campagne siriane; sin dagli esordi ha ereditato il messaggio delle antiche civiltà mediterranee. Nella sua terra un verso di Giovenale diventa proverbio che lui ama citare per sottolineare quanto le nostre vite siano legate da tempo immemorabile: “L’Oronte di Siria sfocia nel Tevere”. I conflitti politici e le guerre lo hanno spinto esule volontario verso altri approdi a portare una visione nuova, diversa. La sua poesia ha anticipato l’arrivo dei profughi il dolore del loro estraniamento, il difficile incontro con la solitudine della modernità. Ha riscattato in pagine di gloria i devastanti decenni di guerra e nel suo viaggio verso l’Occidente ha trovato in Sicilia la possibilità di vedere 57 realizzato il sogno di un incontro possibile, la capacità di trasformare la tragedia in bellezza, la storia in mito. La parola per Adonis è la sua casa, sa che in essa si cela la potenzialità del cambiamento; la parola è profetica e ci traghetta verso una nuova cultura che accoglie nuovi sensi e li fa propri, come nel dialetto siciliano, dove le parole arabe si mischiano all’italiano, come nei cibi e nei profumi dove le culture si incontrano per creare un trionfo di bellezza. Questa visione ammalia Adonis tanto da farsi coinvolgere da me nel promuovere incontri su temi a lui cari per la Fondazione Orestiadi di Ludovico Corrao a Gibellina. Questa in Europa rappresenta una vera rivoluzione nel comportamento, perché ribalta la sottomissione all’eredità neocoloniale che vede sempre l’Occidente maestro dell’Oriente. Insieme ad artisti e intellettuali provenienti da ogni parte del mondo, ci siamo interrogati su argomenti di attualità. In questi incontri insieme abbiamo maturato l’abitudine a dialogare e Adonis ci ha insegnato l’arte dell’ascolto; insieme a Gibellina abbiamo imparato a diventare portatori di una nuova weltenschaung, basata sul dialogo, sull’incontro e sul rispetto della dignità umana. A Gibellina Adonis ha recitato con Mimmo Cuticchio in un incontro tra l’epopea di Orlando e il ricordo dell’Andalusia araba. Ha sentito le sue poesie accompagnate dalla musica a Catania ed è tornato a leggere in arabo dove un tempo regnavano i principi musulmani, da Caltagirone a Siracusa fino alla Cuba di Palermo. Nel suo viaggio ci ha sempre ricordato che siamo noi i primi a dover cambiare, per aprirci ad una visione che trasforma il presente, per non essere dominati dalla retorica di un linguaggio che manipola. Secondo Adonis il poeta dà nuovo senso alle 57 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 58 parole, a partire dalle quali si può cambiare la visione del mondo, perché solo armonizzando le nostre intime dicotomie possiamo proiettare una visione migliore di noi stessi e del mondo. Adonis ha trovato in Sicilia l’orecchio di Dionisio, metafora perfetta dell’importanza dell’ascolto, e le latomie testimoni delle tante civiltà che l’hanno arricchita. Ma per noi la vera miriabilia è l’arte del poeta, dell’uomo profeta che ha il dono di trasformare il male in bene; per questo Adonis si trova a suo agio in questa terra dei miti, dove ha incontrato gente capace di mutare le tragedie dei terremoti e di creare nuove pagine di arte nella storia dell’umanità. Adonis Il più grande poeta arabo vivente è nato a Qassabin, in Siria (1930). Sin da giovane si afferma come una promessa nell’agone poetico, si impegna in politica ma, la difficile situazione lo porta a lasciare Damasco dopo la laurea e ad emigrare a Beirut. La pubblicazione della prima antologia (Poesie prime, 1957) ottiene molti consensi, e il poeta libanese Yùsuf alKhal lo coinvolge nella creazione della rivista d’avanguardia “Shi‘r” (Poesia). Adonis a Beirut partecipa al dibattito animato dagli intellettuali di diverse tendenze sui grandi temi dell’innovazione e della sperimentazione artistica. Assieme ad altri letterati, tra cui il palestinese Jabra Ibrahim Jabra forma il gruppo “Tammuz” (dal Dio della fertilità babilonese) per promuovere il rinnovamento della struttura poetica araba e rileggere in chiave moderna sia il patrimonio della tradizione arabo islamica sia quello delle civiltà del Medio Oriente antico. Di ritorno da un anno di studio a Parigi scrive Canti di Mihyar il damasceno (1961), un’opera di taglio metafisico strutturata in- 58 torno ad un tema centrale che segnerà un cambiamento fondamentale nella sua produzione e nella tradizione poetica araba. Rompe definitivamente con la poesia a rima baciata, opta per il verso libero e la poesia in prosa. Adonis sviluppa un discorso essenziale, per molti versi vicino alla poetica di René Char. Nella sua poesia i versi diventano come arcipelaghi in cui le frasi si aggrumano formando mirabili immagini e suoni. Nei poemi in prosa mantiene una scrittura fitta, ritmata con un forte uso dell’allitterazione. A volte lascia la prosa per riprendere il verso libero e procede per immagini astratte; poi torna alla scrittura in prosa dove espone le sue riflessioni più filosofiche. Adonis si fa promotore della rilettura critica della poetica classica araba pubblicando studi innovativi e le riviste “Afaq” (1964) e “Mawaqif” (1968) dove ospita le più ardite sperimentazioni nel campo della poesia, le esperienze in lingua dialettale, i poemi in prosa e traduzioni. Negli anni in cui divampa il nazionalismo arabo, Adonis prende le distanze dai poeti impegnati, difendendo la libertà dell’artista da chi lo vorrebbe ossequiente al potere. Mentre la sconfitta del 1967 sancisce la fine dell’illusione che la sola unità araba avrebbe portato al progresso, il poeta ribadisce nel poema Ecco il mio nome (1969) la necessità di riformare l’atteggiamento arabo e di risvegliare l’innata capacità creativa per forgiare nuovi ideali più consoni allo spirito del tempo. Negli anni in cui esplode la guerra civile a Beirut, Adonis è testimone della cronaca dell’orrore quotidiano che registra ne Il Libro dell’assedio (1985). Sul finire della guerra si trasferisce in Francia dove vive tuttora. Nella nuova condizione di emigrato Adonis si impegna nella rilettura della produzione occidentale con lo sguardo dell’ospite straniero, curioso e disincantato. In Occidente incontra il favore del pubblico e della critica per il linguaggio essenziale che aiuta la lettura di temi articolati e complessi. Nelle sue opere si ritrovano valori e atmosfere diverse ma al tempo stesso complementari, che sovente rispecchiano universi poetici a noi noti, come quelli di Char e Rimbaud. 58 Adonis imp.qx6 THE 17-08-2011 16:41 Page 59 POET IN THE GARDEN OF MYTHS by Francesca Corrao Sicily, a garden without fences, where stories become myth, has often welcomed Adonis over the last thirty years. The great Arab poet loves Italy for its hospitality and Sicily in particular which he sees as embodying the inheritance of European humanism inaugurated by Frederick II. Adonis loves to return to places where the Arabs left the most beautiful gems of their ancient civilization, where he senses the dawn of a harmonious blending of cultures, the sole possibility for peace at a moment when communication with the other is increasingly difficult. Adonis’ poetry is a dialogue, between a new significance imagined by the poet and things, it is an continuous longing to give words a new sense, to convey dream and beauty. A contemporary Homer, Adonis gathers the legends of the peoples of the Mediterranean, singing a new Ithaca. The non-place where human beings of every origin rediscover a haven of peace, free from the ties of belonging which give rise to hatred. Like the philosopher Gianbattista Vico, Adonis sees poetry as the ultimate source of knowledge, transmitting memory in verse, sedimenting the past, foreseeing the future. The poetry of Adonis is born in the tranquillity of the Syrian countryside; from the beginning, he inherited the message of the ancient Mediterranean civilizations. In his country, a poem by Giovenale becomes a proverb which he loves to cite to remind us just how much our lives are connected from time immemorial: “The Syrian Oronte flows in the Tiber”. Political conflicts and wars have pushed him into voluntary exile toward other shores where he has brought a new and different vision of the world. His poetry anticipated the arrival of refugees, the pain of their estrangement, the difficult encounter with the loneliness of modernity. He reconfigured 59 decades of devastating war into glorious pages and in his journey toward the West, in Sicily he found the possibility of realizing the dream of an impossible encounter, the ability to transform tragedy into beauty, history into myth. Adonis inhabits the word, he knows it conceals the potential for change; the word is prophetic and transports us toward a new culture which welcomes new senses, appropriating them, just as in the Sicilian dialect, where Arabic words mix with Italian, as in the flavours and perfumes where cultures meet in a triumph of beauty. Enchanted by this concept, Adonis becomes involved with me in organizing encounters on themes dear to him for Ludovico Corrao’s Orestiadi Foundation at Gibellina. In Europe this represents a true revolution in attitude, as it inverts the submission to a neocolonial authority which forever sees the West as the master of the East. Together with artists and intellectuals from around the world, we have reflected upon current events and Adonis has taught us the art of listening; at Gibellina we have learned to become the messengers of a new weltenschaung, based on dialogue, the encounter and the respect for human dignity. At Gibellina Adonis recited with Mimmo Cuticchio bringing together the epic of Orlando and the memory of Arab Andalusia. Adonis has heard his poems accompanied by music in Catania and returned to read in Arabic where Moslem princes once ruled, from Caltagirone to Syracuse to the Cuba in Palermo. In his journey, he has always reminded us that we must first change ourselves in order embrace a vision which transforms the present so as not to be manipulated by the rhetoric of language. According to Adonis the poet gives new sense to words, a sense which can change our vision of 59 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 60 the world, only through harmonizing our intimate dichotomies can we project a better vision of ourselves and the world. In Sicily, Adonis found the ear of Dionysius, a perfect metaphor for the importance of listening, and the quarries which attest the numerous civilizations that have enriched this land. For us however, the true wonder is the art of the poet, a human prophet capable of transforming evil into good; that is why Adonis is at ease in this land of myths, where he encountered persons capable of transmuting the tragedy of earthquakes and create new pages of great art in the history of humanity. Adonis The greatest living Arab poet was born in Qassabin, Syria (1930). From a young age he proves to be a promising figure on the poetic scene, he also becomes involved in politics but the difficult situation in his country forces him to leave Damascus; after receiving his university degree he emigrates to Beirut. The publication of his first anthology (First Poems, 1957) receives much acclaim and the Lebanese poet Yùsuf al-Khal involves him in the creation of the avant-garde magazine “Shi’r” (Poetry). In Beirut, Adonis is active in debates on the great themes of innovation and artistic experimentation alongside intellectuals of varying tendencies. Together with the Palestinian Jabra Ibrahim Jabra and other men of letters, he forms the group “Tammuz” (named after the Babylonian God of fertility) to promote a renewal of the Arabic poetic structure and a contemporary rereading of both the inheritance of the Arab Islamic tradition and that of the civilizations of the ancient Middle East. Upon his return from Paris after a year of study, he writes the Songs of Mihyar of 60 Damascus (1961), a metaphysical work structured around a central theme, which will signal a fundamental change in both his writing and the Arab poetic tradition. Adonis definitively abandons the rhyming couplet, opting for free verse and poetry in prose. He develops an essential discourse, similar to the poetic of Rene Char. In his poetry, the verses become archipelagos, clusters of phrases that form fantastic sounds and images. The prose poems maintain a tight style characterized by a powerful rhythmic alliteration. At times Adonis moves from prose to free verse, proceeding with abstract images; then returns to prose to expound on his more philosophical reflections. Adonis promotes a critical rereading of the classical poetic, publishing innovative studies as well as the magazines “Afaq” (1964) and “Mawaqif” (1968) where he welcomes the most original experimentations in the field of poetry, experiences in dialect, poems in prose and translation. During the years of intense Arab nationalism, Adonis distances himself from politically engaged poets, defending the creative freedom of the artist. While the 1967 defeat dissolves the illusion that only Arab unity could bring progress, the poet recalls in his poem This Is My Name (1969) the need to reform the Arab attitude and reawaken its innate creative ability to forge new ideals more in tune with the spirit of the time. Witnessing the daily horrors as war rages for years in Beirut, Adonis chronicles them in the The Book of siege (1985). Near the end of the war, he moves to France where he still lives today. In his new condition as an emigrant, Adonis engages upon a rereading of western literature with the eyes of a foreign guest, curious and disenchanted. He is met favourably in the West by both the public and critics for his use of essential language in re-imagining complex, articulated themes. In his work there are values and atmospheres which are both diverse and complementary, often reflecting poetic universes familiar to us, such as those of Char and Rimbaud. Adonis frequently travels narrating his encounters with the writers and poets of the world in the London based Arabic daily paper, al-Hayat, maintaining a lively dialogue with Arabs of the Middle East and of the diaspora. In the last few years he has written a monu- 60 Adonis imp.qx6 LE 17-08-2011 16:41 Page 61 POÈTE DANS LE JARDIN DES MYTHES de Francesca Corrao La Sicile, ce jardin sans clôture, où chaque histoire se transforme en un mythe, reçoit souvent Adonis, depuis une trentaine d’années. Le grand poète arabe aime beaucoup l’Italie pour son accueil et en particulier la Sicile qui recèle selon lui, l’héritage de l’humanisme européen inauguré par Frédéric II. Adonis aime revenir sur les lieux où les arabes ont laissé les plus beaux joyaux de leur antique civilisation, là où il cueille l’aube d’un harmonieux métissage, seule perspective de paix en ces temps où le colloque avec l’autre se fait de plus en plus difficile. La poésie d’Adonis est dialogue, c’est la rencontre de la nouvelle signification imaginée par le poète et des choses, c’est un désir incessant de donner un sens nouveau aux mots pour communiquer le rêve et la beauté. Comme un nouvel Homère, Adonis rassemble les légendes des peuples du Bassin méditerranéen pour chanter la nouvelle Ithaque. Le non-lieu où les hommes de toutes provenances retrouvent un havre de paix, débarassés qu’ils y sont des obstacles difficilement contournables de l’appartenance qui alimentent la haine. Comme le philosophe Giambattista Vico, Adonis pense que la poésie est la source de toute connaissance, qu’en vers, elle transmet la mémoire, et qu’ainsi elle sédimente le passé et prévoit l’avenir. La poésie d’Adonis naît dans la paix des campagnes syriennes; dès ses débuts, il a hérité du message de la civilisation méditerranéenne antique. Dans son pays, un vers de Giovenale est devenu un proverbe qu’il aime citer pour rappeler combien nos vies sont intimement liées depuis la nuit des temps: “L’Oronte de Syrie se jette dans le Tibre”. Les conflits politiques et les guerres l’ont conduit, exilé volontaire, sur d’autres rivages pour y apporter une vision des choses nouvelle, différente. Sa poésie a anticipé l’arrivée des réfugiés, la douleur de leur extranéité, la difficile rencontre de la solitude de la modernité. Il a racheté dans des pages glorieuses des décennies de guerre dévastatrices et en voyageant vers l’Occident, il a trouvé en Sicile la possibilité de voir se 61 réaliser le rêve d’une rencontre impossible, la capacité de transformer la tragédie en beauté, l’histoire en mythe. La parole est le foyer d’Adonis, il sait qu’elle renferme la potentialité du changement; la parole est prophétique et nous transporte vers une nouvelle culture qui accueille des sens nouveaux et se les approprie, comme cela arrive dans le dialecte sicilien, où des termes arabes se mélangent à l’italien, dans les plats culinaires et les parfums où les cultures se rencontrent pour créer un triomphe de beauté. Cette “alchimie” envoûte Adonis au point qu’il s’est laissé entraîner par moi dans l’organisation de rencontres sur des thèmes qui lui sont chers pour la Fondation Orestiadi de Ludovico Corrao à Gibellina. En Europe, celle-ci représente une véritable révolution dans les comportements, parce qu’elle renverse la soumission à l’autorité néocoloniale qui voit toujours l’Occident comme le maître de l’Orient. Tous ensemble, avec des artistes et des intellectuels venus de partout dans le monde, nous nous sommes interrogés sur des sujets d’actualité. Lors de ces rencontres, nous avons pris l’habitude de dialoguer et Adonis nous a enseigné l’art de l’écoute; ensemble à Gibellina, nous avons appris à devenir les messagers d’une nouvelle weltanschaaung, basée sur le dialogue, la rencontre et le respect de la dignité humaine. A Gibellina, Adonis a récité avec Mimmo Cuticchio unissant l’épopée de Roland au souvenir de l’Andalousie arabe. Il a écouté ses poésies accompagnées de musique à Catane et est revenu lire en arabe là où régnaient autrefois des princes musulmans, de Caltagirone à Syracuse jusqu’à la Cuba de Palerme. Durant son voyage, il n’a cessé de nous rappeler que nous sommes nous les premiers à devoir changer, pour nous ouvrir à une façon de voir qui transforme le présent, pour ne pas rester dominés par la rhétorique du langage qui manipule. Selon Adonis, le poète confère un sens nou- 61 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 62 veau aux mots, grâce à quoi il devient possible de modifier notre vision du monde, parce que ce n’est qu’en harmonisant nos dichotomies intimes que nous pourrons projeter une vision meilleure de nous-même et du monde En Sicile, Adonis a trouvé l’oreille de Denys, métaphore parfaite de l’importance de l’écoute, et les latomies qui témoignent des nombreuses civilisations qui ont enrichi l’île. Mais pour nous, la merveille des merveilles est l’art du poète, de l’homme prophète qui a le don de transformer le mal en bien; c’est pour cette raison qu’Adonis se sent à l’aise sur cette terre de mythes, où il a rencontré des gens capables de transmuer la tragédie des tremblements de terre et d’offrir de nouvelles pages de grand art à l’histoire de l’humanité. Adonis Le plus grand poète arabe encore en vie est né à Qassabin, en Syrie (1930). Jeune, il s’annonce déjà très prometteur sur la scène poétique et s’implique politiquement, mais la situation difficile de son pays le porte à quitter Damasco; après s’être diplomé à l’université, il émigre à Beyrouth. La publication de sa première anthologie (Premiers poèmes, 1957) est très bien accueillie et le poète libanais Yùsuf al-Khal l’entraîne dans la création de la revue d’avant-garde “Shi‘r” (Poésie). A Beyrouth, Adonis participe au débat animé par des intellectuels de diverses tendances aux grandes questions de l’innovation et de l’expérimentation artistique. Avec d’autres hommes de lettre, dont le palestinien Jabra Ibrahim Jabra, il forme le groupe “Tammuz” (du dieu de la fertilité babylonien) pour promouvoir le renouveau de la structure poétique arabe et relire, à travers le filtre de la modernité, aussi bien le patrimoine arabe islamique que celui de la civilisation du Moyen-Orient antique. De retour après un an d’études à Paris, il écrit Chants de Mihyar le Damascène (1961), une oeuvre de 62 type métaphysique articulée autour d’un thème central qui marquera un changement fondamental dans sa production et la tradition poétique arabe. Il rompt définitivement avec la poésie faite de rimes embrassées, opte pour le vers libre et la poésie en prose. Adonis développe un discours essentiel, proche de la poétique de René Char à bien des égards. Dans sa poésie, les vers deviennent comme des archipels au sein desquels les phrases se coagulent pour former des images et des sons admirables. Dans les poésies en prose, son écriture reste dense et rythmée par une utilisation insistante de l’alitération. Parfois, il abandonne la prose pour reprendre le vers libre et procéder par images abstraites; puis il revient à l’écriture en prose pour exposer ses réflexions plus philosophiques. Adonis se fait le promoteur d’une relecture critique de la poétique classique arabe en publiant des essais innovants ainsi que les revues “Afaq” (1964) et “Mawaqif” (1968) où il accueille les expérimentations les plus osées dans le domaine poétique, les expériences faites en langue dialectale, des poèmes en prose et des traductions. Durant les années marquées par le nationalisme arabe, Adonis s’éloigne des poètes engagés, en défendant la liberté de l’artiste contre ceux qui le voudraient respectueux du pouvoir. Alors que la défaite de 1967 sanctionne la fin de l’illusion que seule l’unité arabe peut porter au progrès, le poète rappelle dans son poème Voici mon nom (1969) la nécessité de réformer l’attitude arabe et de réveiller sa capacité créative innée pour forger de nouveaux idéaux plus adéquats à l’esprit du temps. Lorsque la guerre civile éclate à Beyrouth, Adonis, témoin de la chronique de l’horreur quotidienne qui durera plusieurs années, l’enregistre dans Kitab al-hisar - Le Livre du Siège (1985). A la fin de la guerre, il part s’installer en France où il vit encore aujourd’hui. Dans sa nouvelle condition d’émigré, Adonis entreprend une relecture de la production occidentale avec l’oeil de l’hôte étranger, curieux et désanchanté. En Occident il jouit des faveurs du public et de la critique en raison de son langage essentiel qui facilite la lecture de questions savantes et complexes. Dans ses oeuvres, on retrouve des valeurs et des atmosphères à la fois différentes et complémentaires, qui reflètent souvent des univers poétiques que nous connaissons bien, tels ceux de Char et Rimbaud. 62 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 63 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 64 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 65 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 66 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 67 Adonis imp.qx6 17-08-2011 INTERVISTA CON 16:41 Page 68 ADONIS a cura di Kali Jones e Maurizio Ruggiano, Parigi, ottobre 2010 la luce La luce non ha immagine, è oltre l’immagine. È lei che ce la mostra. Per me la luce significa chiarezza, semplicità e, dunque, conoscenza. C’è una certa dimensione di controllo dell’esistenza, della nostra vita, ma c’è nella luce qualche cosa che ci spinge ad andare più lontano ed è questo che più mi interessa nel simbolismo della luce. L’immagine è una rappresentazione complessa e straordinaria. L’immagine è un mondo e ogni individuo è un mondo di immagini. Il Cristo è un’immagine e quale straordinaria immagine. Anche la poesia è un’immagine, è la vibrazione di un’immagine. Quando sono commosso da una poesia io sono commosso dall’immagine che questa poesia mi rimanda. Il mondo è un’immagine. Ma non dobbiamo dimenticare la specificità dell’immagine: svela e vela allo stesso tempo, e questa è un’altra questione. la luce e il tempo Il tempo come sapete è un grande concetto. C’è il tempo matematico, il tempo oggettivo, il tempo dei calcoli, il tempo soggettivo e il tempo personale. Penso che mi stiate chiedendo il senso del tempo personale. Per me il tempo non esiste, salvo in ciò che indica un inizio e in ciò che indica una fine. Ma oltre questo, noi viviamo in un universo di movimento sia interiore che esteriore. Dunque il tempo è ciò che viviamo, è l’istante, e l’avvenire è un nome. Quando lo pronunciate l’avvenire è già passato, è superato. Viviamo nell’istante e viviamo sempre nel principio, questo per me è il tempo. È un cominciamento ininterrotto verso l’ignoto o verso ciò che si chiama l’avvenire o “a venire”. l’infinito Quando dico infinito intendo che non c’è fine e non c’è limite. Anche la morte di una persona o di una creatura non è una fine. Forse la morte è un inizio… La fine, per la morte, è un inizio. Non parlo religiosamente o metafisicamente ma oggettivamente. Un quadro di Van Gogh o di Leonardo da Vinci è una creazione, un prolungamento del creatore. L’opera incarna e va oltre tutto ciò che è fine. Dunque contiene e connota l’infinito. L’infinito è qualche cosa che va al di là della per- 68 ba. sona e che non si conclude, è in eterna apertura. È la Mihyar è una invenzione. Tramite lui rimetto in quecreazione artistica che incarna per eccellenza l’infinito. stione una intera civilizzazione, e il mio modo di vedere le cose. la vita e la morte La visione religiosa ha dato alla morte un aspetto paula pietra roso e tragico. In natura, al di là di ogni religione, l’esLa pietra è l’opposto del movimento, è una sorta di sere vivente abita la morte durante la vita. É lei che vinrespiro, un arresto, un istante di contemplazione, di doce e non la morte. Si trascende la morte, sempre. L’esimanda per meglio vedere anche il movimento. Dunque stenza è vita pura e la morte è soltanto un accidente. la pietra è utile per mostrare gli ostacoli e le difficoltà Per questo bisogna liberarsi per vedere meglio, per meche ci aspettano sempre nel nostro movimento. Quanglio intendere l’esistenza, la vita e l’essere umano, ocdo la pietra parla, essa significa il nostro errare, la nocorre oltrepassare la visione religiosa. stra delusione. È il contrario che dice il suo contrario e che ci può mostrare l’altra faccia del mondo. Ulisse e Itaca l’acqua Per me Ulisse è il viaggio. Io sono diverso da Ulisse Si può dire che l’acqua è il movimento materiale, per ciò che concerne il ritorno. Ulisse tiene al suo ritoril movimento corporale della nostra esistenza. È anche no perché vuole rivedere la sua amata Penelope e queil contrario del movimento dell’aria o ancora meglio del sto gli impedisce di andare sempre più lontano. Per me vento. E se il vento simboleggia l’assenza, l’acqua simquesto suo ritorno è una specie di morte. Perché troviaboleggia la presenza. E se il vento rappresenta la mormo veramente l’amore definitivo e assoluto in un ritorte, l’acqua rappresenta la nascita e la vita. Sono dei no? È perché ritroviamo la nostra terra? Perché ritroviacontrari che si completano e ciascuno illumina l’altro. mo casa? Che cosa troviamo in questo ritorno? Io amo Tutto questo per dire che la vita è molto più complesessere in movimento, sempre in viaggio. E se c’è un risa di quanto non si creda. torno sarà un nuovo punto di partenza. L’essenziale per me è la partenza e non il ritorno. lo specchio d’acqua L’acqua è lo specchio dove potete vedere tutto. Pol’esilio tete vedere voi stessi e potete vedere anche il moviUtilizzo il termine esilio in mancanza di una parola mimento del mondo. Il movimento dell’acqua è uno specgliore perché, storicamente parlando, il termine esilio conchio che viaggia, è uno specchio in movimento. Nelnota l’isolamento, il rigetto e molti altri termini peggiolo specchio artificiale vedete soltanto voi stessi, solo rativi. Ma l’esilio per me è la condizione essenziale delil riflesso del vostro viso, invece quando vi rispecchial’essere umano: si nasce in esilio, si vive in esilio e si fa te nell’acqua sentite che siete in comunione con la nail grande salto, l’assenza nell’universo, restando ancora tura e con l’esistenza intera e questo è completamenin esilio. Anche nella nostra lingua si vive in esilio, nel te diverso. Lo specchio fabbricato riflette allora solo senso che ciò che la lingua esprime nell’immanenza non l’individuo ed è uno spazio desertico, al contrario lo dice quello che voglio. Ciò che voglio va al di là della linspecchio d’acqua è un giardino o una foresta. gua ed è in questo senso che sono esiliato anche nello Quando vi guardate in uno specchio, voi vedete sostrumento, nello spazio, che mi libera allo stesso temlamente il vostro viso, la vostra individualità estrema. po. La libertà è legata dunque essenzialmente all’esilio. L’essere umano deve provare sempre a uscire da questa individualità, dall’isolamento e dal deserto. Ciò non Mihyar il Damasceno: figura archetipa nell’opera di Adovuol dire che il deserto non sia bello, ogni tanto… bisonis che esprime l’esilio e la modernità nella poesia Ara- 68 Adonis imp.qx6 17-08-2011 gna vedere… 16:41 Page 69 l’uomo e l’universo Non è l’uomo che ha creato l’universo ovvero l’esistenza. L’uomo è creato dall’esistenza; punto primo. Il punto secondo è una domanda: l’esistenza è senza senso? E cosa vuol dire un’esistenza che non ha senso? Ciò che dà senso all’esistenza è l’essere umano. Dunque, se siamo creati materialmente dall’universo, l’universo è creato da noi sul piano del senso. Ed è per questo che mi domando: “…quale di noi due ha creato l’altro?”. Io sarei dalla parte dell’essere umano. Senza l’essere umano l’esistenza non ha senso. Ma senza l’universo, l’essere umano non esiste. Ecco, questo è il problema. Ognuno trovi il senso a modo suo. Io non lo so, è per questo che ho posto la domanda “chi di noi due ha creato l’altro?”. Perché in ultima analisi il senso non ha senso. Ovvero il senso non c’è. Ci sono molti filosofi, come Heidegger, che sostengono che l’essere umano sia creato per morire o per andare verso la morte. I religiosi dicono che la morte è solamente una tappa e che dopo la morte ci sia un’altra vita. Io non lo credo! L’uomo è una straordinaria creatura che muore; che finisce come una stella che si spegne. È tutto. Ma questo è molto filosofico. Voi ponete delle domande filosofiche e non poetiche. In fondo, l’estetica sta in questo: occorre avanzare, è necessario vedere ovvero provare a percepire il segreto delle cose senza, purtroppo, raggiungere alcun segreto. l’identità Tradizionalmente un essere che nasce ha un’identità precostituita. Un bambino italiano deve avere un’identità italiana così come un francese e un arabo. Dunque si dice che l’identità è ereditaria. Per me questo riguarda il piano dell’istinto animale. L’animale non può avere un’identità perché non razionalizza e dunque non può separarsi dalla natura per creare una sua storia. Allora se c’è una differenza tra l’uomo e l’animale, è che l’uomo può prendere distanza dal suo contesto esistenziale e creare così una propria storia. In questo senso, un’identità è una creazione e non è precostituita. L’essere umano forma la propria identità creando la propria opera ed è per questo che l’identità è un’apertura verso l’infinito. La creazione della nostra identità non finisce mai, essa è sempre un’apertura e un movimento. Ciò porta con sé la necessità di essere con l’altro, di avere con l’altro un legame essenziale perché l’essere non può esistere senza l’altro e l’altro è una parte integrante dell’io. Per andare verso me stesso devo passare attraverso l’altro. Questa nozione d’identità ci 69 mostra che la concezione dell’infinito è legata anche alla concezione dell’io e dell’altro. il destino Bene, è l’uomo che crea il suo destino. Credo che la nostra epoca debba essere il tempo della liberazione dalla religione, soprattutto dalla religione monoteista. Credo che il monoteismo abbia creato una cultura da superare definitivamente. Il monoteismo ha limitato l’esistenza; ha limitato e deformato l’universo e l’essere umano. il bambino Ho detto che la morte è presente nella vita. L’uomo vive continuamente la sua morte. Vivendo perde vita, guadagnando in esistenza, perde vita, dunque la morte esiste nel nostro movimento, anche adesso si sta morendo perché si sta vivendo. In questo senso bisogna sempre sentire l’infanzia, poiché essa è l’inizio. Si sta sempre per incominciare. Occorre combattere. C’è sempre lotta fra la morte e l’infanzia. Mentre la memoria...No, non ci si può separare… ma c’è memoria e memoria. C’è quella che definisce la vita e il mondo come la memoria religiosa e questo fa sì che la vita sia una ripetizione all’infinito. Replichiamo e preserviamo. È questo quel senso della memoria da cui bisogna liberarsi per essere sempre pronti a creare il nuovo. Dimenticare per vivere meglio. la memoria personale Bisogna concepirla e usarla in modo diverso, cioè tradurla nel senso della libertà. La memoria non mi incatena… ci sono ricordi che incatenano... la memoria non mi incatena, ma, al contrario, sono io che la incateno. Sono io che la faccio allontanare da me per vedere meglio, per vivere meglio, per creare meglio. il corpo Se ci si libera dalla visione religiosa, si torna al corpo e alla fisicità della vita quotidiana, tutte le religioni monoteiste hanno quasi lo stesso punto di vista, il corpo è il luogo del peccato, il corpo dunque è maledetto. Una cosa maledetta, luogo del peccato, non si può comprendere, quindi si tende sempre ad evitarla. Il problema è che il nostro corpo, in questa ottica, è un impedimento per vivere meglio. Ma noi possiamo vivere solo con il corpo e il nostro corpo è essenziale. La religione ci dice di no, ci dice che l’essenziale è qualche cosa che si chiama anima o spirito. Ma lo spirito non esiste senza il corpo. L’essenziale è il corpo. Bisogna riabilitare il corpo per vedere questo continente straordinario di co- 69 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 70 noscenza, di sensazioni e di apertura. Il corpo è la vita. È attraverso la pelle che si sente la vita e che amiamo; amiamo attraverso il corpo e attraverso il corpo andiamo verso ciò che si chiama spirito. Ogni estasi passa attraverso il corpo. il cammino: «…tra ombra e sole non ha trovato il cammino…» Quindi non c’è strada, né nell’ombra, né nel sole, né tra i due. Nessuna strada. Forse c’è per esprimere una situazione personale e limitata, perché anche quando non c’è percorso, si cammina. C’è sempre una strada; forse dico questo per esprimere uno stato spirituale e momentaneo. Perché vivere vuol dire avere una strada, ma dove conduce questa strada? l’essenza delle cose Credo che si possa arrivare all’immagine, ai rapporti tra forma e immagine, ma cogliere l’essenza del mondo o l’essenza delle cose, implicherebbe la morte della lingua, della poesia, di tutto. Bisogna avere sempre l’ignoto davanti, sennò si muore, la conoscenza muore. Immaginatevi di essere dotati della conoscenza totale e assoluta e ciò vorrebbe dire che non c’è più conoscenza; che non c’è più ignoto. Questo è quello che fa e dice la religione, ed è per questo che la cultura religiosa è una cultura chiusa e definitiva. No, non si può arrivare all’essenza di una cosa, fortunatamente. Bisogna sempre cercare questa essenza che è continuamente in movimento verso l’ignoto. rinnovare il mondo con il linguaggio Si possono rinnovare i rapporti col mondo e, rinnovando questi rapporti, si può rinnovare indirettamente il mondo. Quando l’individuo avrà una nuova immagine del mondo e nuovi scambi con esso, vuol dire che lo cambierà e avrà la possibilità di cambiare il mondo. Dunque la poesia e l’arte cambiano indirettamente il mondo, non direttamente. Una bomba può cambiare direttamente il mondo, ma (ride)…la poesia è altro. la cortesia della materia: «Sa che l’altro è un velo / nonostante ha riempito la sua apparenza / con la cortesia della materia» È una poesia che ho scritto vent’anni fa ma penso di aver voluto dire che l’altro è un velo; l’altro è, in un certo senso, un impedimento. Nonostante questo, ho la necessità di capire tutto ciò che è legato all’altro, con chi vivo e con chi ho legami. Perché l’altro è un velo? Questo tipo di comprensione, questo provare a capirlo, è la letteratura o la cortesia della materia regnante. Dunque 70 faccio parte di questa cortesia materiale regnante, per apparire nel mondo di questo Altro che è ugualmente un velo. Racconto una piccola storia che può illuminare ciò che voglio dire. Bergson negli ultimi anni della sua vita aveva deciso di convertirsi al Cristianesimo, era ebreo. Prima di convertirsi veramente, ha approfondito gli orrori del Nazismo ed ha rinunciato. Ha detto, preferisco restare con questo velo, restare ebreo. Non voglio cambiare. Dunque ogni tanto bisogna manifestare solidarietà alle persone che avete deciso di lasciare. Per meglio vivere con le contraddizioni. La scelta essenziale di Bergson era stata di lasciare l’Ebraismo e di convertirsi al Cristianesimo ma in un istante, ha detto no, rimango. Dunque è andato contro di sé per rimanere con il suo popolo. Come comprenderlo, come spiegarlo? Dunque bisogna comprendere e accettarlo come un aspetto della vita e delle sue contraddizioni. Velo simbolico o reale? Velo reale. Per esempio, amo molto mio padre ma ho scoperto che anche lui è stato un velo. Ha provato a farmi scegliere ciò che aveva scelto per se stesso. Ma dopo, ho provato a superare questo velo, altrimenti sarei stato una ripetizione di mio padre. E a cosa serve? Qual è il rapporto fra la via interna e la via esterna? «Le Stelle» È un po’ mistico. Il centro dell’universo non sono le stelle ma l’essere umano. Dunque l’individuo è il centro e tutto gira intorno a lui. E in questo senso non sono le stelle che camminano dietro l’essere umano ma è il tutto che si muove dietro lui perché egli è… per l’universo, per l’ignoto, per ciò che è a venire. Da quando sente questa separazione col monoteismo? Non da molto tempo, più o meno, da dieci anni. Credo che il monoteismo sia una chiusura, me ne sono reso conto studiando da vicino la visione monoteista, che cosa è una visione monoteista? C’è un profeta, l’ultimo dei profeti. C’è una parola definita trasmessa da questo profeta. Questa parola divina è la verità assoluta, definitiva. E non ci sarà, nel futuro, nessuna altra parola divina. Dunque è la fine della conoscenza e non ci sarà più verità oltre quella. Che cosa vuole dire? Vuole dire due cose: che l’uomo credente non ha niente da aggiungere, egli deve ascoltare, trasmettere ed ubbidire. Secondo, ed è il punto più contraddittorio e più terribile, è che Dio non ha più niente da dire perché ha dato la sua ultima parola al suo ultimo profeta. È incredibile! Il Giu- 70 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 71 daismo dice questo, l’Islam dice questo, nel Cristianesimo invece c’è una piccola differenza. Il Cristianesimo ha detto no al Giudaismo, ha detto che Dio può essere una persona e che la persona può essere Dio. È una rivoluzione ma purtroppo la Chiesa ha giudaizzato il Cristianesimo. Dunque, l’essenziale adesso per i Cristiani è tornare alla persona del Cristo, non alla Chiesa. Altrimenti il Cristianesimo diventa come l’Islam e come il Giudaismo. Il più grande rivoluzionario del mondo fino adesso è stato Cristo, perché ha detto di no alla più grande istituzione dell’epoca. Ha detto no. Straordinario questo Cristo! E non ha detto no solamente all’istituzione, ha rifiutato la concezione del Dio ebraico. Ha rifiutato la loro concezione di Dio. Straordinario! Adesso con la chiesa diventa il contrario. Eraclito ed il sufismo Eraclito è stato il movimento in parola. Straordinario quando ha detto “non attraverserete un fiume due volte”. Se attraversate il fiume adesso e dopo tornate per attraversarlo, troverete davanti a voi un altro fiume. Per cui il cambiamento ed il movimento è la legge del mondo. E questo coincide col misticismo e con le nozioni dell’infinito, di cambiamento, di sorpasso. Eraclito non Platone è uno dei miei maestri. Per quanto riguarda il sufismo, nel mondo se c’è una forza che ha custodito la strada verso l’infinito, la strada verso l’essenza, e che ha lasciato delle tracce su questa strada, è quella percorsa dai mistici. Loro sono al di là della divinità nel senso religioso della parola. il dialogo tra le culture Non credo che ci sia un vero dialogo tra le culture e tra le religioni. È solo un parlare vacuo, perché se ho una fede assoluta come posso dialogare con un altro che ha una fede differente dalla mia? Quindi un dialogo può essere utile per la convivenza e per allontanare le difficoltà della vita, ma non è utile per andare in fondo alle cose. Il dialogo fra le religioni, non può arrivare a niente. È come il dialogo fra le culture. C’è un altro dialogo tra i popoli che dovremmo intraprendere: un dialogo basato sulla creatività attraverso le arti. Perché essenzialmente, come il canto, tutto quello che unisce le persone dovrebbe servire come base per il dialogo. E quello che unisce le persone di tutte le culture e di tutte le civiltà è la poesia, la pittura, la musica, la danza, il canto e l’amore. Queste dovrebbero essere le tematiche del dialogo, ma non si fa dialogo con questi argomenti. Lo si fa con altri che non portano a niente. 71 il colore Il colore occorre che sia incarnato. Non c’è colore senza l’uso della vista. Per vedere un colore occorre che sia sulla carta o sulla tela o su qualcosa di simile. È il contrario del movimento. Il movimento non ha bisogno di essere incarnato è come l’aria. tradurre il colore in parole Sì, il colore… è se stesso, è autosufficiente, non ha bisogno di altro, ma la parola potrebbe essere un colore. Il modo di scrivere una parola può dare delle linee e le linee possono creare dei rapporti e l’insieme può far percepire un colore. la poesia ed il cinema Credo che il cinema sia un’arte straordinaria, è l’arte dell’infinito. Questa arte dipende dal regista perché attraverso di essa egli ha la possibilità di fare tutto: poesia, pittura, filosofia e scienza, ma occorre che ci sia innanzitutto un creatore e la visione di questo creatore. Sono dalla parte del cinema perché la poesia fa parte del cinema e non è il contrario. Siamo sempre alla ricerca di questo grande creatore che crea il film della nostra esistenza. Abbiamo sentito poeti occidentali recitare la sua poesie però la vibrazione della voce è completamente diversa rispetto al suo modo di recitare in arabo. Credo che questo venga dalla parola, dalla lingua. Ma il linguaggio è radicato nel corpo, viene dalla voce e anche la voce è legata al corpo. A volte gli Occidentali leggono solamente con la loro testa. Non c’è corpo, non c’è voce ed è per questo che ascoltare un poeta può essere arido e non dà niente. Sono parole che si pronunciano senza vibrazione e tutto finisce lì. Ma si direbbe che con l’arabo, non c’è solo un’eco, c’è qualche cosa che emana dalle profondità della nostra vita, dato che viene da molto lontano e va naturalmente ancora più lontano. Dunque credo che la voce, la lingua, il corpo, e la storia siano strettamente legati. C’è dunque un segreto naturale che passa attraverso la musicalità e la voce e che partecipa a tutte le nature umane. Ciò è completamente differente dell’intelletto. L’intelletto non partecipa, esso è dal lato della cultura, non è dal lato della natura. Se si ascoltano i canti in qualsiasi lingua, si è toccati dal canto. Infatti se si ascolta un canto indù, russo o americano, si sente che si è legati al canto in quanto proviene dalla natura e ci lega ad essa. L’arabo è un canto. 71 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 72 Aldo Palazzolo, Adonis-Cretto, fotografia, Gibellina 2008 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 73 Adonis, Collage Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 74 l’evoluzione nella poesia araba Essenzialmente o poeticamente parlando non c’è un’evoluzione nella “visione” del mondo. Non c’è evoluzione nella luce, per esempio, ma c’è un’evoluzione nel modo di esprimerla e descriverla. C’è un’evoluzione nei modi di esprimere la poesia araba. Ciò non vuole dire che questi modi nuovi siano più belli dei modi passati, assolutamente no. Forse la poesia di Abu Nuwas per esempio o di Abu Tammam, la poesia antica, è molto più bella della poesia attuale. Non c’è stata evoluzione in questo senso. La poesia si evolve nel modo di scriverla o di esprimerla. E questo si può dire, non solo per quanto riguarda la poesia araba, ma per la poesia in tutte le lingue. Lei dice che i poeti medievali erano più creativi con la lingua araba rispetto ai contemporanei. Sì, in senso relativo. Il poeta dell’epoca abbaside ha creato un modo di esprimersi più adatto al suo modo di vivere, più reale e più profondo rispetto ai nostri poeti attuali. Indubbiamente, considerando l’epoca in cui noi arabi viviamo attualmente, manca qualche cosa alla nostra esperienza. Forse l’influenza della tecnologia ci ha separato… ci ha impedito… non ho la parola esatta… di creare la nostra modernità come i nostri poeti antichi hanno fatto con la loro. I nostri poeti antichi hanno creato la loro modernità, ma noi, fino ad adesso, non ci siamo riusciti perché la modernità occidentale ha sconvolto tutto, e noi arabi siamo diventati come gli occidentali. Non siamo diventati veramente occidentali, ma abbiamo perso il nostro contesto storico, il nostro patrimonio, il nostro linguaggio poetico-storico. Quindi, o in un modo o in un altro siamo abbastanza perduti, noi Arabi. E non solamente sul piano poetico, su tutti piani. Qual è il ruolo della poesia nel mondo arabo di oggi? Il suo ruolo forse potrebbe essere quello di esprimere questa perplessità, questo vagare. Questo è il suo scopo. Ci può parlare di Baghdad nell’epoca Abbaside e la libera espressione dei poeti? Abbiamo avuto oppressione e tirannia nella nostra storia, tuttavia c’era un margine di libertà più ampio dell’attuale. Gli arabi, allora, occupavano una posizione dominante poiché in quell’epoca erano i maestri del mondo e 74 il loro sistema politico permetteva che la poesia si esprimesse più liberamente. Non c’era paura della poesia. Per questo abbiamo conosciuto dei poeti che hanno posto delle domande su tutti i problemi, compresi i più complessi, riguardanti la religione, la rivelazione, la profezia e l’arabismo. Noi arabi, purtroppo, non abbiamo, attualmente, la possibilità di porre tali domande. È forse a causa della nostra situazione politica che non trovano spazio espressivo poeti come Abu Nuwas o Abu al-’Ala al-Ma’arri. Le seguenti domande sono poste da Michael Beard, cotraduttore con Adnan Haydar, di “Mihyar il Damasceno”. M.B. Quante volte ha scelto il tema della creazione nella sua poesia? E cosa spera di comunicare ai suoi lettori raccontando la nascita del mondo? Si può parlare della funzione della poesia ma vorrei che i miei lettori vedano il mondo poeticamente per viverlo poeticamente, come diceva Hölderlin. La poesia non ha risposta. È un interrogativo, dunque è un’apertura. Questo per me è la poesia. La poesia non ha risposta, la poesia non può indicare. La poesia illumina, lascia un segno e tocca ai lettori continuare ciò che rimane. M.B. Quando lei crea una poesia, qual è il rapporto tra idea e forma? Se si ha una nuova esperienza, si avrà esprimendola, una nuova forma, ciò va da sè. Ogni idea, ogni contenuto ha nell’espressione una nuova forma. Non si può mai ripetere una forma. La forma è creata totalmente in funzione dell’esperienza. Ma se non si ha un’esperienza nuova, si cadrà sempre in vecchie forme. In questo senso, la forma vecchia, la forma ripetuta, è il segno della non creatività. M.B. Alcuni pensano che Al-Kitab sia la sua opera più importante. Lei pensa sia così? Non ho parlato dei miei libri. Quello che vorrei dire è che divento come la poesia. La poesia è sempre nell’avvenire ed io mi sento in quanto poeta, in quanto persona, nell’avvenire. Non ho realizzato niente, non ho fatto quasi niente. Dove prova ad andare con la poesia? Non lo so. Se lo sapessi veramente smetterei di scrivere, fortunatamente non lo so. E’ un cammino ed un interrogarsi. Per lei cos’è la poesia? La poesia è per dire tutto. Senza la poesia, non po- 74 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 75 INTERVIEW WITH ADONIS prepared by Kali Jones and Maurizio Ruggiano, Paris, October 2010 ight Light has no image. Light is beyond image, it is what shows us the image. For me, light signifies clarity, simplicity and therefore knowledge. In life or rather in our lives there exists a certain dimension of control but there is also something in light which impels us to always go further, and this is what interests me the most in the symbolism of light. The image is a complex and extraordinary notion. It is a world unto itself and each individual is a world of images. Christ is an image and what an extraordinary one! Poetry is also an image, it is the vibration of an image. When I am moved by a poem, I am moved by an image this poem inspires. The world is an image yet one must not forget its particularity: the image both unveils and veils at the same time, and this is a different matter. light and time As you know, time is a vast concept. There is a mathematical time, an objective time, a time of calculations, a subjective time and a personal time. I believe you are asking me about a personal sense of time. For me time doesn’t exist other than to indicate a beginning and an end. But beyond that, we live in a universe of movement and this movement is both internal and external. Therefore time is what we are living, it is the present and the future is merely a word. When you pronounce the future it is already in the past, it has already passed. We live in the instant, we are forever beginning, and therefore time is a perpetual movement toward the unknown or toward what we call the future. Something which is always to come. infinity I use the word infinity to express the idea of endlessness, limitlessness. Even death for a person or another living creature is not an end. Perhaps death is a beginning… The end, by death is a beginning. I’m not speaking religiously or metaphysically here, but objectively. That is to say a painting by Van Gogh or by Leonardo da Vinci is a creation, an extension of its creator and this work both 75 iled. Therefore is essentially to exile. embodies andfreedom surpasses everything connected that is finite. It conIf one lives withthe a traditional notion of infinity home, of martains or connotes infinite. Therefore, is someriage, family ties, this creates an itimpediment to thing and thatofgoes beyond the individual, is endless and openness, to exploration and tocompletely going beyond. Everyeternally open. Artistic creation embodies the thing thatofbinds also limits, and one should always surconcept infinity. pass limits. life and death Mihyar The ofreligious Damascus: vision an has archetypal given death figurea in fearful Adonis’ andwork tragwho ic aspect. represents In nature, exile and beyond modernity all religious in Arabic thought, poetry. living Mihyar is an invention. He enables question anis beings experience death while living me theirtolives. Death entire civilization, my way of seeing things. part of life but lifeand always overcomes death. Death is an integral part of life. Existence is pure life and death is the stonean accident. This is why one must free oneself to merely The stone represents of movement, it is see more clearly, in orderthe to opposite better understand existence, a life sortand of breath, a pause, instant contemplation, a the human being,anwe must of surpass the religious questioning in order to better see movement. Therefore vision. the metaphor of stone serves to reveal the difficulties or Odysseusthat andconstantly Ithaca await us in our movement. And obstacles personifies theitjourney, am different if theOdysseus stone speaks, perhaps signifiesbut ourI wandering, from OdysseusIt with regard to the return. Odysseus valour disillusion. is the opposite which speaks its oppoues which his return seeofhis beloved site, can because show us he thewishes other to face the world. Penelope again, and this prevents him from going further. For water me his return represents a kind of death. Does one realsay water the material the ly One find could a definitive and is absolute love inmovement, a return? Does bodily movement of our Does existence. It is alsohome? the oppoone see one’s country? one see one’s What site of one the movement of air orAs thefar wind, wind symbol- I does see in this return? as I ifam concerned, izes wateralways symbolizes presence. And ifiswind likeabsence, to be moving, travelling and if there a rerepresents waterstarting represents birth and Theseis turn, it willdeath, be a new point. What is life. essential are both complete and illuminate one theopposites departure,which not the return. another. Life is much more complex than one would beexile lieve. I use the word exile for lack of a better term, as relathe mirror of water speaking this word connotes isolation, tively or historically Water isand themany mirror where you canconcepts. see everything. rejection other pejorative I believe You can yourself and you can alsohuman see the moveexile to see be the essential position of the being: one ment of in the world. water is athe travelis born exile, oneThe livesmovement in exile andofone makes great ling mirror, itthe is aabsence mirror in movement. In the artificialin departure, into the universe, remaining mirror see only yourself, reflection of your face,in exile. you Therefore, even withinthe one’s language one lives but when yousense see your reflection in a mirror of waterin exile in the that what this language expresses you that does you are communion with nature all I thisfeel instant notinreally convey what I want.and What ofwant, existence, this experience is in completely goes beyond language and this sense,different. even withTherefore the artificial mirror reflects only the in the instrument and the space which frees me,individI am ex- 75 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 76 ual, it is a type of desert; on the contrary the mirror of water is a garden, a forest. When you look at yourself in a mirror, you see only your face, your extreme individuality. Human beings should attempt to go beyond this individuality, this isolation or desert. It doesn’t mean the desert isn’t attractive from time to time… man and the universe Man did not create the universe or existence. Man is created by existence; first point. The second point is a question: is existence without meaning? And what does an existence without meaning imply? That which gives meaning to existence is the human being. If we are materially created by the universe, the universe is created by us in terms of it’s significance. And this is why I wonder: “…which of us invented the other?” I would be on the side of the human being. Without the human being, life has no meaning. But without the universe the human being doesn’t exist. It’s a problem. It’s up to each individual to find his or her own meaning. I don’t know if one exists, that’s why I ask the question “…which of us invented the other?” Because ultimately the meaning makes no sense, or there is no meaning. Many philosophers, such as Heidegger, maintain that the human being is created to die or to go towards death. The religious believe that death is only a stage, after death, there is another life. I don’t believe this! Man is like an extraordinary creature who dies; who fades out like a dying star. And that is all. It’s quite philosophical, you ask philosophical questions, not poetic ones. In the end, this is what aesthetics is about: one needs to look ahead, to see or attempt to perceive the secret of things without unfortunately, ever arriving at any secret. identity Traditionally an individual is born with a prefabricated identity. An Italian child must have an Italian identity, just like a French and an Arab child. Therefore it is said that identity is hereditary. As far as I am concerned, this remains on the level of animal instinct. An animal cannot have an identity because it does not reason and therefore cannot separate itself from nature, so it has no history, it cannot create its history. If there is a difference between man and the animal, it is that man can separate himself from his context and thereby create his own history. And in this sense, an identity is a creation, not something prefabricated. Human beings create their identity creating their œuvre. This is 76 why identity is an opening toward the infinite. One never finishes creating one’s identity which is continuously changing, moving. This creates the need to be with others, to have an essential connection to the other because we cannot exist without the other and the other is an integral part of the me. Even to go towards myself I must pass through the other. And this notion of identity, shows us that the concept of infinity is also bound to that of the self and of the other. destiny Well, man creates his destiny. I believe that this must be a time when we free ourselves from religion. Especially the monotheistic religions. Monotheism has created a culture that we must definitively surpass. Monotheism has limited life; has limited and distorted both the universe and the human being. the child As I mentioned above, death is present in life. Man lives his death perpetually. Living, one loses a bit of life, gaining in existence, we lose life, so death is present in our movement. Even now, we are dying because we are attempting to live better. In this sense it is important to feel childhood because it is the beginning. One is always beginning. It is a necessary battle, death and childhood are always in conflict. But there is memory and memory, one cannot separate oneself… There is a memory that wants to define life and the world such as the religious memory and this makes life an endless repetition. One repeats and preserves. This is the type of memory from which we must free ourselves so as to always be prepared to create anew. We must forget in order to live better. personal memory Memory is a function, but it’s necessary to understand it so as to use it differently, more freely. Memory does not imprison me... there are memories which imprison... memory does not imprison me, I am the one who controls it, forcing memory to distance itself in order better see, live and create. the body If one frees oneself from the religious vision, one returns to the body and to the physicality of daily life. All the monotheistic religions nearly share the same point of view, the body is the place of sin, the body is cursed. A thing which is cursed, a place of sin, cannot be understood, therefore one tends to always avoid it. As there is a problem, it is always our body which prevents us from 76 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 77 living better. Yet we cannot live without our body, our body is essential. Religion claims the essential is something called the soul or the spirit but this doesn’t exist without the body. We need to rehabilitate the body in order to see this extraordinary continent of knowledge, sensations and openness. The body is life. It is on the level of the skin we feel life and love; we love through the body and through the body we go towards what one calls the spirit. All ecstasy passes through the body. the path «…between shade and sun he couldn’t find a road» So there is no path, neither in the shade, nor in the sun, nor between the two. No path. Perhaps this expresses a personal and limited case because even when there is no path, one walks. There is always a path; perhaps I said this in order to express a spiritual and momentary state. Because to live, is it to have a path but where this path leads is something else. the essence of things I believe that one can arrive as far as the image, the relationship between things…, but to reach the essence of the world or the essence of things, would imply the death of language, the death of poetry, the death of everything. One must always have an unknown ahead, otherwise one dies, knowledge dies. Imagine if you were endowed with absolute knowledge, this would be the end of knowledge; there would no longer be an unknown. This is what religion propagates, and this is why the religious culture is a closed and definitive culture. No, one cannot reach the essence of things and fortunately so. One must always search for this essence which is a perpetual movement toward the unknown. renewing the world through language Language can renew our relationships with the world and by renewing these relationships, one can renew the world indirectly. As an individual, if you have a new image of the world and new interactions with it, this means that you will change or have the possibility to change this world. Therefore poetry and art change the world indirectly, not directly. A bomb can change the world directly, but (laughs) poetry, it is something else. etiquette and the courtesy of matter… «He knew the Other was a mere veil / Still his reality / was only etiquette» I wrote this poem twenty years ago but I believe I meant to say the other is a veil; the other in a certain sense is an obstacle. In spite of this, I need to under- 77 stand all that which is connected to the other, with whom I live, with whom I have a relationship. I must understand why the other is a veil. This approach to understanding, this attempt to understand the other is literature or the courtesy of ruling matter. Therefore I form part of this ruling material courtesy or etiquette in order to appear in the world of this Other who is also a veil. I’m going to tell a story that can better illuminate what I mean. Bergson in the last years of his life had decided to convert to Christianity, he was Jewish. Before converting, he reflected deeply upon the horrors of Nazism and renounced. He said I prefer to remain with this veil, remain Jewish, I don’t want to change. Therefore from time to time it is necessary to show ones solidarity even with those you have decided to leave. I mention this story to help us better understand how to live with contradictions. The essential choice of Bergson was to leave Judaism and to convert to Christianity but in an instant, he said no, I am going to remain. He therefore went against himself in order to remain with his people. How is one to understand or explain this? One must understand and accept it as an aspect of life and its contradictions. symbolic or real veil? Real veil. For example, I love my father but I discovered that he was also a veil. He tried to make me choose what he himself had chosen. But afterwards, I attempted to surpass this veil, otherwise I would be a repetition of my father. What would be the point? What is the rapport between the external and the internal path? «The Stars» It is somewhat mystical. The centre of the universe is not the stars, it is the human being. The individual is the centre and all the rest revolves around him or her. In this sense not only the stars trail behind the human being, everything trails behind because he or she is… for the universe, for the unknown, for what is to come. How long have you felt separated from monotheism? It hasn’t been long, about ten years. I believe that monotheism closes one off to the world, I realized this while closely studying the monotheistic vision, what is a monotheistic vision? There is a prophet, the last of the prophets. There is a defined message transmitted by this prophet. This divine word is the absolute, definitive truth and there will be no other divine word or truth to come. Thus it is the end of knowledge. What does this mean? It means two things: The believer has nothing new to 77 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 78 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 79 offer, he or she must listen, transmit and obey. Secondly, and this is the most contradictory and terrifying point: God himself has nothing more to say because he has transmitted his final word to his final prophet. It’s incredible! Judaism says this, Islam says this, there is a small difference with Christianity. Christianity refuted Judaism and it said that God can be a person and that the person can be God. It’s a revolution but unfortunately the Church has judeized Christianity. Therefore, the essential now for Christians, it to return to Christ as a person, not to the Church. Otherwise, Christianity would be like Islam, and Judaism. Christ has been the greatest revolutionary of the world until now because he said no to the most important institution of the time. He said no. He was quite extraordinary this Christ. And he didn’t only say no to the institution, he refused the conception of a Jewish God. He refuted their conception of God. Extraordinary! With the Church now, it’s becoming the opposite. Heraclitus Heraclitus was movement in words. Amazing when he said “you can not step twice into the same river”. If you now cross a river, and return to cross it later, you will find yourself in front of a new river. Therefore change and movement is the law of nature. This coincides with mysticism and with the notion of infinity, of change, and of going beyond. Heraclitus not Plato is one of my teachers. As far as Sufism is concerned, if there is one force which has safeguarded the path toward the infinite, the path toward the essence and left traces on this path, it is the mystics, they are beyond divinity in the religious sense of the word. the dialogue between cultures I don’t believe there is a true dialogue between cultures, nor between religions. It’s empty talk because if I have an absolute faith, how can I dialogue with an another who has a completely different faith from mine? This type of dialogue could be useful for coexistence, to distance oneself from the difficulties of life, but it’s not useful to get to the core of things. Dialogue between religions leads nowhere. It’s like the dialogue between cultures. We should engage in another dialogue between the peoples of the world; one based on creativity though the arts. Because essentially, just as in song, everything that unites people, should serve as a base for dialogue. And what unites people of all cultures, of all civilizations is poetry, painting, music, song and love. These should be 79 the themes for dialogue but we don’t dialogue with these themes. We do so with others which can never lead anywhere. colour Colour needs to be incarnated. There is no colour without vision and to be seen, colour must be on paper, canvas or something similar. It is the opposite of movement. Movement does not need to be embodied, it’s like air. translating colour into words Yes, colour… is itself, it is self sufficient, but the word could also be a colour. The way a word is written can create lines and these lines can create relationships and all these together can produce a colour. poetry and film I believe that film is an extraordinary art, it is the art of the infinite. This art depends on the director because film gives one the possibility to do everything: poetry, painting, philosophy and science, but one must first have a creator and the vision of this creator. I would side with film because poetry is part of film and not the other way around. One is always searching for this great creator who will make the film of our life. evolution in Arabic poetry Essentially or poetically speaking, there has been no evolution in the “vision” of the world. There is no evolution in light, for example, but there is an evolution in the way of expressing light, describing light. There is an evolution therefore in the ways of expressing in Arabic poetry. This doesn’t mean these new ways are more beautiful than the old ones, absolutely not. Perhaps ancient poetry such as that of Abu Nuwas for example or of Abu Tammam, is considerably more beautiful than contemporary poetry. In this sense there has been no evolution. Poetry has evolved in the manner of describing and expressing. This can be said not only of Arabic poetry, but of poetry in all languages. You have said that the use of the Arabic language by medieval poets was considerably more innovative than that of contemporary poets Yes, relatively speaking. In the Abbasid period, the poet created a way of expressing which was more real and deeply connected to his or her way of life than our present poets. It’s clear we are living in different times but something is missing from our experience, us Arabs. Perhaps the influence of technology has separated… 79 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 80 prevented us… I don’t have the exact term… from creating our own modernity. Our ancient poets created their modernity, until now, we have not been able to because Western modernity upset everything and we Arabs have become westernized. However we have not really become western and we have lost our historic context, our heritage, our historic poetic language. Which ever way you look at it, we are rather lost and not just on a poetic level, on all levels. What is the role of poetry in the Arab world today? Its role perhaps is to express this perplexity, this wandering. That is its role. Please speak to us of Baghdad in the Abbasid period and the free expression of poets. There was oppression and tyranny in our history, but it’s as though the margin of freedom was larger than that of the present. The Arabs where in a position of force, at that time they were the rulers of the world, therefore they had the possibility of letting poetry express itself freely. They didn’t fear poetry. For this reason, we had poets who asked questions on all kinds of problems including the most difficult problems concerning religion, revelation, prophecy and Arabism. Unfortunately at the moment, we don’t have the possibility of asking such questions. It is perhaps due to the political situation that we don’t have poets the likes of Abu Nuwas or Abu al-’Ala al-Ma’arri. We have occasionally heard Western poets recite your poetry but the vibration of their voices seems very different from yours, when you recite in Arabic. I believe this comes from speech and it comes from the language. But language is rooted in the body, it comes from the voice which is also connected to the body. Sometimes Western poets read only with their heads. There is no body, this is why listening to a poet can be dry and uninteresting. Words pronounced without vibration fall flat, and everything ends there. But is seems as though with Arabic, there is not merely an echo, something emanates from the depths of our lives and because it comes from far away, it also travels far. Therefore, I believe that voice, language, body, and history are all inextricably connected. There is therefore a natural secret that passes through musicality and the voice, that passes through human nature. And this is quite different from the intel- 80 lect. The intellect does form part of this natural movement, it pertains to culture, not nature. One listens to songs in any language and one is moved emotionally. In fact, if one listens to a Hindu, Russian or an American song, one feels connected to the voice and to song because it is natural, and we are connected on this level. Arabic is a song. The following questions are posed by Michael Beard. He and Adnan Haydar co-translated "Mihyar of Damascus". M.B. How often have you taken the theme of creation as a theme for your poetry and what do you hope your readers will learn from your creative process, its sources, its structure, its function? One can speak of function in poetry but I would like my readers to see the world poetically so as to live in this world poetically as Hölderlin used to say. Poetry has no answer. It is a questioning, an opening. For me this is poetry. As it has no answer, it cannot indicate. Poetry illuminates, leaves a sign and it is up to the reader to do the rest. M.B. When you create a poem, what is the relationship between the idea and the form? If one has a new experience, a new form will be created, expressing it. Every idea, every concept has in its expression a new form. The form is totally created here in function of the experience. But if one doesn’t have a new experience, one will always fall into old forms and in this sense, the old form, the repeated form, is the sign of non creativity. M.B. Some consider Al-Kitab as your most important work. Why do you think this is? I haven’t spoken of my books. What I would like to say is that I am becoming like poetry. Poetry is always something that is coming into existence, and as a poet, as a person, I feel that I am always coming into being... I haven’t achieved anything, I have hardly done anything. Where would you like to go with poetry? I don’t know. If I knew I would stop writing, fortunately I don’t know. It is a journey and a questioning. What is poetry for you? Poetry to say all the above. Without poetry, I could not speak of all this, hence it is my body in words. 80 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 81 Adonis imp.qx6 17-08-2011 ENTREVUE AVEC 16:41 Page 82 ADONIS preparée par Kali Jones et Maurizio Ruggiano, Paris, octobre 2010 la lumière La lumière n’a pas d’image, c’est le dépassement de l’image. C’est elle qui nous la montre. Pour moi, la lumière signifie la clarté, la simplicité et donc la connaissance. Et il y a une certaine dimension de maîtrise de l’existence, de notre vie, mais il y a aussi dans la lumière quelque chose qui nous pousse d’aller toujours plus loin, et c’est ceci qui m’intéresse le plus dans la symbolique de la lumière. L’image, c’est une notion complexe et extraordinaire. L’image c’est un monde, et chaque individu est un monde d’images. Le Christ est une image, et quelle extraordinaire image! La poésie c’est une image aussi, c’est la vibration d’une image. Quand je suis ému par une poésie, je suis ému par l’image que cette poésie m’inspire. Le monde est une image. Mais il ne faut pas oublier la spécificité de l’image : elle dévoile et voile en même temps, et c’est une autre question. le temps et la lumière Le temps comme vous le savez est une notion très large. Il y a le temps mathématique, le temps objectif, le temps des calculs, le temps subjectif et le temps personnel. Je crois que vous me demandez la notion du temps personnel. Pour moi le temps n’existe pas, sauf ce qui indique un commencement et ce qui indique une fin. Mais au-delà de cela, on vit dans un univers de mouvement qui est intérieur et extérieur. Donc le temps c’est ce que nous vivons, c’est le maintenant et l’avenir est un nom. Quand vous le prononcez, l’avenir est déjà passé, dépassé. Nous vivons dans l’instant, nous vivons toujours dans un commencement, c’est ça pour moi le temps. C’est un commencement perpétuel vers l’inconnu ou vers ce qu’on appelle l’avenir ou ‘à venir’. Quelque chose qui est toujours à venir. l’infini Quand je dis infini c’est pour dire qu’il n’y a pas de fin, qu’il n’y a pas de limites. Même la mort pour une personne ou pour une créature n’est pas une fin. Peutêtre que la mort est un commencement... La fin, par la mort, est un commencement. Je ne parle pas religieusement ou métaphysiquement, mais objectivement. Un tableau de Van Gogh ou de Leonardo da Vinci, est une création, un prolongement du créa- 82 bère en même temps. La liberté est liée essentiellement teur et cette œuvre incarne ou dépasse tout ce qui est à l’exil. finitude. Donc elle contient ou connote l’infini. L’infini, Si on vit dans un esprit de la demeure, de liens, de c’est quelque chose qui va au-delà de la personne et mariage, de famille, ça crée une barrière contre la requi ne se termine pas, elle est toujours ouverture. C’est cherche, le dépassement, et l’ouverture. Tout ce qui lie, la création artistique qui incarne par excellence le limite; alors qu’il faut toujours aller au-delà des limites. concept de l’infini. la vie et la mort Mihyar le Damascene: une figure achétypale dans l’œuLa vision religieuse a donné à la mort cet aspect de vre d’Adonis qui représente l’exile et la modernité dans la peur et du tragique. Dans la nature, en dehors de la poésie Arabe tout esprit religieux, l’être vivant vit sa mort en vivant Mihyar est une invention. À travers lui j’exprime ma sa vie. La mort fait partie intégrante de la vie et touremise en question de toute une civilisation, et ma majours ce qui l’emporte c’est la vie, ce n’est pas la mort. nière de voir les choses. On dépasse la mort, toujours. L’existence c’est la vie la pierre pure et la mort n’est qu’un accident. Et c’est pourquoi La pierre c’est l’antipode du mouvement, c’est une il faut se libérer pour mieux voir, pour mieux comprensorte d’haleine, un arrêt, un instant de contemplation, dre l’existence et la vie et l’être humain, il faut dépasde questionnement pour mieux voir aussi le mouveser la vision religieuse. ment. Donc la pierre sert à montrer les difficultés ou bien les obstacles qui nous attendent toujours dans noUlysse et Ithaque tre mouvement. Et si c’est la pierre qui parle, cela signiPour moi Ulysse c’est le voyage. Je suis différent fie peut-être notre errance, notre déception. C’est le d’Ulysse en ce qui concerne le retour. Ulysse tient à son contraire qui dit son contraire qui peut nous montrer retour par ce qu’il veut revoir sa bien aimée Pénélope et l’autre face du monde. ceci lui empêche d’aller toujours plus loin. Pour moi ce retour c’est une sorte de mort. Est-ce qu’on trouve vrail’eau ment l’amour définitif et absolu dans ce retour? Est-ce L’eau c’est le mouvement matériel si on peut dire, le qu’on voit le pays? Est-ce qu’on voit la maison? Qu’est mouvement corporel de notre existence. C’est aussi ce qu’on voit dans ce retour? En ce qui me concerne, l’antipode du mouvement de l’air ou du vent. Et si le j’aime être toujours en mouvement, toujours en vent symbolise l’absence, l’eau symbolise la présence. voyage. Et s’il y a un retour, ça sera un nouveau point Et si le vent représente la mort, l’eau représentante la de départ. L’essentiel c’est le départ, ce n’est pas le renaissance et la vie. La vie est beaucoup plus complexe tour. qu’on ne le croit. l’exil le miroir d’eau J’utilise le terme exil faute de mieux, parce que reL’eau c’est le miroir où vous pouvez voir tout. Vous lativement ou historiquement parlant c’est un mot qui pouvez voir vous-même et vous pouvez voir aussi le connote l’isolement, le rejet, et beaucoup de termes pémouvement du monde. Le mouvement de l’eau c’est un joratifs. Mais l’exil pour moi c’est la position essentielle miroir voyageant, c’est un miroir en mouvement. Dans de l’être humain: on naît en exil, on vit en exil et l’on le miroir artificiel, vous voyez seulement vous-même, fait le grand départ, l’absence dans l’univers, aussi resvotre visage, mais quand vous vous reflétez dans un mitant en exil. Même dans notre langue on vit en exil, roir d’eau, vous sentez que vous êtes en communion dans le sens que ce que cette langue exprime dans cet avec la nature et avec l’existence tout entière, c’est tout instant ne me dit vraiment pas ce que je veux. Ce que à fait différent. Le miroir fabriqué alors reflète seulement je veux va au-delà de la langue et dans ce sens, je suis l’individu, c’est une sorte de désert, au contraire le miexilé même dans l’instrument, dans l’espace qui me li- 82 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 83 roir de l’eau c’est un jardin, c’est une foret. Quand vous vous voyez dans un miroir vous voyez seulement votre visage, votre individualité extrême. L’être humain doit essayer toujours de sortir de cette individualité, de cet isolement, du désert. Ça ne veut pas dire que le désert n’est pas joli de temps en temps, il faut voir… l’homme et l’univers Ce n’est pas l’homme qui a créé l’univers ou bien l’existence. L’homme est créé par l’existence, c’est une chose. Deuxième chose, c’est une question humaine, est-ce que l’existence est sans sens? Et qu’est ce que ça veut dire une existence qui n’a pas de sens? Ce qui donne le sens à l’existence, c’est l’être humain. Donc, si on est créé par l’univers matériellement, l’univers est créé par nous sur le plan du sens. Et c’est pourquoi je me demande «…de nous deux lequel a créé l’autre?» Je serais du côté de l’être humain. Sans l’être humain, l’existence n’a pas de sens. Mais sans l’univers, l’être humain n’existe pas. Voilà, c’est un problème. Chacun doit trouver un sens à sa manière. Moi je ne sais pas, c’est pourquoi j’ai posé la question «qui de nous deux a crée l’autre? ». Parce qu’en dernière analyse, le sens n’a pas de sens, ou bien il n’y a pas de sens. Il y a beaucoup de philosophes, comme Heidegger qui disent que l’être humain est créé pour mourir ou pour aller à la mort. Les religieux disent que la mort n’est qu’une étape et qu’après la mort, il y a une autre vie. Enfin, moi je n’y crois pas! L’homme est une extraordinaire créature qui meurt; qui finit comme une étoile qui s’éteint. Et c’est tout. Mais c’est assez philosophique. Vous posez des questions philosophiques, non poétiques. Au fond, l’esthétique c’est ça : il faut aller, il faut voir, essayer de voir le secret des choses, mais malheureusement on ne peut arriver à aucun secret. l’identité Traditionnellement un être qui naît a une identité préfabriquée. Un enfant Italien doit avoir une identité italienne, comme un Français et un Arabe. Donc on dit que l’identité est héréditaire. Pour moi, ça c’est du niveau de l’instinct, de l’animal. L’animal ne peut pas avoir une identité parce qu’il ne raisonne pas et il ne peut pas se séparer de la nature, donc il n’a pas d’histoire, il ne peut pas créer son histoire. Alors s’il y a une différence entre l’homme et l’animal, c’est que l’homme peut se séparer de son milieu et dans ce sens, il peut créer sa propre histoire. Et dans ce sens, une identité est une création et non une chose préfabriquée. L’être humain crée son identité en créant son œuvre et c’est pourquoi l’identité 83 est un mouvement et une ouverture vers l’infini. On ne finit jamais de créer notre identité. Et cela donne la nécessité d’être avec l’autre, d’avoir avec l’autre un lien essentiel parce que l’être, ou bien le moi, ne peut pas exister sans l’autre et l’autre est une partie intégrante du moi. Même pour aller vers moi-même, je dois passer par l’autre. Et cette notion de l’identité nous montre que la conception de l’infini et liée aussi à la conception du moi et de l’autre. le destin Bien, c’est l’homme qui crée le destin. Je crois que notre époque doit être l’époque de la libération de la religion, surtout la religion monothéiste. Je crois que le monothéisme a créé une culture qu’on doit dépasser définitivement. Le monothéisme a limité l’existence; a limité et a déformé l’univers et l’être humain. l’enfant J’ai dit que la mort est présente dans la vie. L’homme vit sa mort perpétuellement. En vivant on perd de la vie en gagnant de l’existence, on perd de notre vie, donc la mort existe dans notre mouvement. Même maintenant on est en train de mourir parce qu’on est en train de mieux vivre. Dans ce sens il faut toujours sentir l’enfance, c’est le commencement. Toujours on est en train de commencer. Il faut combattre. La mort et l’enfance c’est un combat continu. Mais il y a mémoire et mémoire, on ne peut pas se séparer... Il y a celle qui veut définir la vie et le monde comme la mémoire religieuse et cela fait que la vie soit une répétition à l’infini. On répète et l’on conserve. Dans ce sens, il faut se libérer de la mémoire pour être toujours prêt à créer de nouveau. Il faut oublier pour mieux vivre. la mémoire personnelle C’est une fonction mais il faut la traduire d’une autre manière, dans le sens de la liberté. Une mémoire ne m’enchaîne pas… il y a des mémoires qui enchaînent... la mémoire ne m’enchaîne pas, au contraire c’est moi qui l’enchaîne. C’est moi qui la fait s’éloigner pour mieux voir, pour mieux vivre, pour mieux créer. le corps Si on se libère de la vision religieuse, on retourne au corps et à la matérialité de la vie quotidienne. Toutes les religions monothéistes ont presque le même point de vue, le corps est le lieu du péché, donc le corps est maudit. Une chose qui est maudite, qui est le lieu du péché, on ne peut pas le comprendre, donc on l’évite toujours. Puisqu’il y a un problème, toujours notre corps est celui qui nous empêche de vivre mieux. Alors qu’on ne peut vivre vraiment qu’avec notre corps, c’est notre 83 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 84 corps qui est l’essentiel. La religion nous dit non, l’essentiel c’est quelque chose qu’on appelle âme ou esprit. Mais ça n’existe pas sans le corps. L’essentiel c’est le corps. Il faut réhabiliter le corps pour voir ce continent extraordinaire de connaissance, de sensations et d’ouverture. Le corps c’est la vie. C’est au niveau de la peau qu’on sent la vie et qu’on aime; on aime avec le corps et à travers le corps on va vers ce qu’on appelle esprit. Toute extase réelle passe à travers le corps. le chemin: «...Entre ombre et soleil il n’a pas trouvé de chemin» Donc il n’y a pas de chemin, ni dans l’ombre, ni dans le soleil, ni entre les deux. Aucun chemin. Peut-être que c’est pour exprimer un cas personnel et limité parce que même quand il n’y a pas de chemin, on marche. Il y a toujours un chemin, mais peut-être pour exprimer un état spirituel, passager j’ai dit ça. Parce que vivre c’est avoir un chemin mais où mène t-il ce chemin? C’est autre chose. l’essence des choses Je crois qu’on peut atteindre aux images, à des rapports, mais atteindre l’essence du monde ou l’essence des choses, impliquerait la mort de la langue, la mort de la poésie et la mort de tout. Il faut toujours avoir un inconnu devant soi, sinon on meurt, la connaissance meurt. Imaginez vous maintenant que vous soyez doté d’une connaissance totale et absolue, cela voudrait dire qu’il n’y a plus de connaissance; il n’y a plus d’inconnu. C’est ce que fait ou ce que dit la religion, c’est pourquoi la culture religieuse est une culture fermée et définitive. Non, on ne peut pas arriver à l’essence d’une chose, et heureusement. Il faut toujours être à la recherche de cette essence qui est toujours en mouvement vers l’inconnu. renouveler le monde par le langage On peut renouveler les rapports avec le monde et en renouvelant ces rapports, on peut indirectement renouveler le monde. Quand vous aurez une nouvelle image du monde et des nouveaux rapports avec lui, cela veut dire que vous changerez, vous aurez la possibilité de changer ce monde. Donc la poésie et l’art change le monde indirectement, pas directement. Une bombe peut changer le monde directement, mais (rire) la poésie c’est autre chose. la courtoisie de la matière: «Il sait que l’Autre est un voile / Cependant / il a rempli son apparence / avec la courtoisie de la matière» C’est un poème que j’ai écrit, il y a 20 ans mais je pense que je voulais dire que l’autre est un voile; l’au- 84 tre est dans un sens, un empêchement. Malgré ça, je dois comprendre tout ce qui est lié à cet autre avec qui je vis et avec qui j’ai des liens. Pourquoi il est voile? Cette manière de comprendre, cet essai de le comprendre, c‘est la littérature ou la courtoisie de la matière régnante. Donc je fais partie de cette courtoisie matérielle régnante pour dire que je fais partie du monde de cet autre qui est quand même voile. Je vais raconter une petite histoire qui peut qui peut illuminer ce que je voulais dire. Bergson dans les dernières années de sa vie avait décidé de se convertir au Christianisme. Il était juif. Avant de se convertir vraiment, il avait approfondi les horreurs du Nazisme et a renoncé. Il a dit, je préfère avec ce voile rester juif. Je ne veux pas changer. Donc de temps en temps il faut manifester sa solidarité même avec des gens que vous avez décidé de quitter. C’est pour mieux voir comment vivre avec des contradictions. Le choix essentiel de Bergson a été de quitter le Judaïsme et de se convertir au Christianisme mais dans un instant, il a dit non, je reste. Donc il est allé contre lui-même pour rester avec son peuple. Comment comprendre ou expliquer cela. Donc il faut le comprendre et l’accepter comme un aspect de la vie et de ses contradictions. voile symbolique ou réel? Voile réel. Par exemple, j’aime beaucoup mon père mais j’ai découvert qu’il a été un voile aussi. Il a essayé de me faire choisir ce qu’il a lui-même choisi. Mais après, j’ai essayé de dépasser ce voile. Sinon je serais une répétition de mon père. À quoi ça sert? quel est le rapport entre la voie interne la voie externe? «Les Étoiles» C’est un peu mystique. Le centre de l’univers ne sont pas les étoiles, c’est l’être humain. Donc l’individu est le centre et tout tourne autour de lui. Et dans ce sens non seulement les étoiles marchent derrière l’être humain, tout marche derrière lui parce qu’il est... pour l’univers, pour l’inconnu, pour ce qui est à venir. depuis quand sentez-vous une séparation avec le monothéisme? Il n’y a pas longtemps, il y a dix ans. Je crois que le monothéisme c’est une fermeture, je me suis rendu compte en étudiant de près la vision monothéiste, parce qu’une vision monothéiste, qu’est-ce que c’est? Il y a un prophète, le dernier des prophètes. Il y a une parole définie transmise par ce prophète. Cette parole divine est la vérité absolue, définitive. Et il n’y aura pas, dans le temps à venir, aucune autre parole divine. Donc c’est la fin de la connaissance et il n’y aura plus de vérité ou- 84 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 85 tre celle-là. Qu’est ce que ça veut dire? Cela veut dire deux choses: que l’homme croyant n’a rien à ajouter, il doit écouter, expliquer et obéir. Deuxièmement, et c’est le point le plus contradictoire, le plus terrible, c’est que Dieu lui-même n’a plus rien à dire parce qu’il a donné sa dernière parole à son dernier prophète. C’est incroyable! Le Judaïsme dit ça, l’Islam dit ça, dans le Christianisme il y a une petite différence. Le Christianisme a dit non au Judaïsme, il a dit que Dieu peut être une personne et que la personne peut être Dieu. C’est une révolution mais malheureusement, l’Église a judaïsé le christianisme. Donc, l’essentiel maintenant pour les chrétiens, c’est de retourner à la personne du Christ, et non pas à l’Église. Sinon, le christianisme devient comme l’Islam et comme le Judaïsme. Le plus grand révolutionnaire du monde jusqu’à maintenant c’était le Christ parce qu’il a dit non à la plus grande institution de l’époque. Il a dit non. Extraordinaire ce Christ! Et il n’a pas seulement dit non à l’institution, il a réfusé la conception du Dieu Juif. Il a réfuté leur conception de Dieu. Extraordinaire! Maintenant avec l’Église ça devient le contraire. Héraclite et le soufisme Héraclite a été le mouvement en parole. Extraordinaire quand il a dit “vous ne traverserait pas un fleuve deux fois”. Si vous traversez le fleuve maintenant et après vous retournez pour le traverser, vous trouverez devant vous un autre fleuve. Donc le changement et le mouvement c’est la loi du monde. Et cela coïncide avec la pensée mystique et les notions de l’infini, de changement, de dépassement. Donc c’est Héraclite et non pas Platon qui est un de mes maîtres. En ce qui concerne le soufisme, dans le monde s’il y a une force qui a gardé le chemin vers l’infini, le chemin vers l’essence et qui a laissé des traces sur ce chemin, ce sont les mystiques, ils sont au-delà de la divinité au sens religieux du mot. le dialogue Je ne crois pas qu’il y ait un vrai dialogue entre les cultures, ni entre les religions. C’est du parler vide, parce que si j’ai une foi absolue dans une chose, comment dialoguer avec un autre qui a une foi toute à fait différente? Donc, dialoguer pourrait être utile pour la coexistence, pour écarter les difficultés de la vie, mais pour aller au fond des choses, ce genre de dialogue n’est pas utile. Le dialogue entre les religions ne peut aboutir à rien. C’est comme le dialogue entre les cultures, mais il y a un autre dialogue entre les peuples, qu’on devrait entreprendre; le dialogue basé sur la créativité à travers les arts. Parce qu’essentiellement, comme le chant, tout ce qui 85 unit les gens devrait servir comme base de dialogue. Et ce qui unit les gens de toutes les cultures, de toutes les civilisations c’est la poésie, la peinture, la musique, le chant, la danse et c’est l’amour. Voilà, les champs du dialogue, mais on ne fait pas de dialogue dans ces champs, on le fait dans d’autres qui n’aboutissent à rien. la couleur La couleur, il faut qu’elle soit incarnée. Il n’y a pas de couleur sans la vision. Pour voir une couleur il faut qu’elle soit sur du papier, sur de la toile ou sur quelque chose de semblable. C’est le contraire du mouvement. Le mouvement n’a pas besoin d’être incarné, comme l’air. traduire la couleur en mots Oui, la couleur… est elle même, est auto suffisante, elle n’a pas besoin d’autre, mais le mot pourrait être une couleur. La manière d’écrire un mot peut donner des lignes et les lignes peuvent créer des rapports et l’ensemble peut faire percevoir une couleur. la poésie et le cinéma Je crois que le cinéma c’est un art extraordinaire, qu’il est l’art de l’infini. Cet art dépend du créateur parce que dans le cinéma on a la possibilité de tout dire : la poésie, la peinture, la philosophie et la science mais il faut trouver un créateur et la vision de ce créateur. Je serai du côté du cinéma parce que la poésie fait partie du cinéma et ce n’est pas le contraire. On est toujours à la recherche de ce grand créateur qui fera le film de notre existence. Nous avons entendu des poètes occidentaux réciter vos poèmes mais souvent la vibration de la voix est complètement différente par rapport à votre façon de réciter en arabe... Je crois que ça vient de la parole, de la langue. Mais la langue est enracinée dans le corps, ça vient de la voix et la voix est aussi liée au corps. Parfois les Occidentaux lisent de leur tête seulement. Il n’y a pas de corps, il n’y a pas de voix et c’est pourquoi écouter un poète peut être sec et ne rien donner. Ce sont des mots qui se prononcent et tout fini là. Mais on dirait qu’avec l’arabe, il n’y a pas seulement un écho, il y a quelque chose qui émane des profondeurs de notre vie et parce que ça vient de très loin, naturellement ça va vers un très loin aussi. Donc je crois que la voix, la langue, le corps et l’histoire sont liés tous ensemble. Il y a alors un secret naturel qui passe à travers la musicalité et la voix et qui participe à toutes les natures humaines. C’est tout à fait différent de l’intellect. L’intel- 85 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 86 lect ne participe pas, il est du côté de la culture, il n’est pas du côté de la nature. On écoute les chants dans n’importe quelle langue et on est touché par le chant. Si on écoute un chant indu, russe ou américain, on sent qu’on est lié au chant parce que ça vient de la nature et on est uni sur ce plan. L’arabe c’est un chant. l’évolution dans la poésie Arabe Essentiellement ou poétiquement parlant, il n’y a pas eu d’évolution dans la « vision » du monde. Il n’y a pas d’évolution dans la lumière, par exemple mais il y a une évolution dans la manière d’exprimer la lumière, de décrire la lumière. Il y a une évolution dans les manières d’exprimer dans la poésie Arabe. Cela ne veut pas dire que ces manières nouvelles sont plus belles que les manières anciennes, absolument pas. Peut-être que la poésie d’Abu Nuwas par exemple ou d’Abu Tammam, la poésie ancienne, est beaucoup plus belle que la poésie actuelle. Dans ce sens il n’y a pas d’évolution, mais la poésie évolue dans la manière d’écrire ou d’exprimer. Et on peut dire cela non seulement concernant la poésie Arabe, mais concernant la poésie tout court, dans toutes les langues. Vous dites que les poètes médiévaux étaient plus créatifs avec la langue Arabe que les contemporains. Oui, relativement parlant. Le poète dans l’époque Abbasside a crée une manière de s’exprimer adaptée à sa façon de vivre, plus réelle et plus profonde que nos poètes actuels, que nous actuellement. Sans doute l’époque est différente, mais il manque quelque chose à notre expérience, nous les Arabes. Peut-être l’influence de la technicité nous a séparé, nous a empêché, je n’ai pas le mot exact… de créer notre modernité comme nos anciens poètes. Nos anciens poètes ont crée leur modernité, mais nous jusqu’à présent, on n’arrive pas parce que la modernité occidentale a bouleversé tout, donc on est devenu comme des occidentaux. Alors qu’on n’est pas devenu vraiment occidental et l’on a perdu notre contexte historique, notre patrimoine, notre langage poétique historique. Donc on est d’une manière ou d’une autre assez perdu, nous les Arabes. Et pas seulement sur le plan poétique, sur tous les plans. Quel est le rôle de la poésie dans le monde Arabe d’aujourd’hui ? Son rôle c’est peut-être dire notre errance et notre perplexité. C’est ça son rôle. 86 Pouvez-vous nous parler de Bagdad à l’époque Abbasside et la libre expression des poètes? Il y avait de l’oppression et de la tyrannie dans notre histoire, mais on dirait qu’il y avait une marge de liberté qui était plus large que la marge actuelle. Les Arabes étaient dans une position de force, ils étaient à l’époque les maîtres du monde donc ils avaient la possibilité de laisser la poésie s’exprimer comme elle voulait. Ils n’avaient pas peur de la poésie. C’est pourquoi nous avons connu des poètes qui ont posé des questions sur tous les problèmes y compris les problèmes les plus difficiles concernant la religion, la révélation, la prophétie, l’arabisme. Et nous actuellement, malheureusement nous n’avons pas la possibilité de poser de telles questions. C’est peut-être à cause de la situation politique que nous n’avons pas de poètes comme Abu Nuwas ou bien Abu al-’Ala al-Ma’arri. Les questions suivantes sont posées par Michael Beard, co-traducteur avec Adnan Haydar de «Mihyar le Damascene». M.B. Combien de fois avez-vous prit le thème de la création comme thème pour votre poésie et qu’espérez-vous que vos lecteurs apprennent de votre processus de création, ses sources, sa mise en forme, sa fonction? On peut parler de fonction dans la poésie mais j’aimerai que mes lecteurs voient le monde poétiquement pour mieux vivre ce monde poétiquement comme disait Hölderlin. La poésie n’a pas de réponse. C’est un questionnement, donc c’est une ouverture. C’est ça la poésie pour moi. La poésie n’a pas de réponse, la poésie ne peut pas indiquer. La poésie illumine, éclaire, fait signe seulement et c’est aux lecteurs de continuer ce qui reste. M.B. Quand vous créez un poème, quelle est le rapport entre l’idée et la forme? Si vous avez une nouvelle expérience, vous aurez en l’exprimant, une nouvelle forme, ça va de soit. Chaque idée, chaque contenu a dans l’expression une forme nouvelle. On ne peut pas répéter une forme, jamais. La forme est crée totalement en fonction ici de l’expérience. Mais si vous n’avez pas une expérience nouvelle, vous tomberez toujours dans des formes anciennes. Et c’est dans ce sens, la forme ancienne, la forme répétée, c’est le signe de la non créativité. M.B. Certains pensent qu’Al-Kitab soit votre œuvre plus importante. Pourquoi pensez-vous qu’il est ainsi? Je n’ai pas parlé de mes livres. Ce que j’aimerais dire 86 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 87 87 Adonis imp.qx6 88 17-08-2011 16:41 Page 88 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 89 89 Adonis imp.qx6 90 17-08-2011 16:41 Page 90 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 91 91 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 92 Aldo Palazzolo, Adonis-Cretto, fotografia, Gibellina 2008 92 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 93 93 Adonis imp.qx6 94 17-08-2011 16:41 Page 94 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 95 16 Il dio morto Oggi ho bruciato il miraggio del sabato e il miraggio del venerdì oggi ho tolto la maschera delle mie parti ho scambiato il dio cieco della pietra e il dio dei sette giorni con un dio morto. The Dead God Today I burned the mirage of Saturday, 17 La morte Quando vidi la morte sulla mia strada vidi i miei pensieri vidi il mio volto locomotiva che si stendeva 95 come la nebbia. Mi rifugiai nei fulmini tracciato sulla terra. Death When I saw Death along my path I saw my own thoughts. I saw my face 95 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 96 17 96 16 96 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 97 14 Celebrazione delle cose oscure e chiare La tua patria, o poeta è là dove non puoi che essere esiliato. Celebrating vague / clear things Poet: Exile Is your only homeland. Célébrations des choses obscures et claires Ta patrie, poète, 15 Il sangue che sprizza Sogno: questa voce non sarà la mia voce sei il cadavere che giace sono il sangue che sprizza di una civiltà immolata che accende il fuoco della morte che spegne il fuoco della morte. 97 Flowing Blood I dream. This voice will no longer be my voice. You are the felled corpse. I am blood escaping from a civilization sacrificed stoking the fire of death extinguishing the fire of death. Le sang qui s’échappe Je rêve. Cette voix ne sera plus ma voix. Tu es le cadavre renversé. Moi, le sang qui s’échappe d’une civilisation immolée 97 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 98 15 98 14 98 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 99 12 Celebrazione delle cose oscure e chiare Sa che l’altro è un velo eppure la sua apparenza è colma della grazia della materia. Celebrating vague / clear things He knew the Other was a mere veil. Still his reality was only etiquette. Célébrations des choses obscures et claires Il sait que l’autre n’est jamais qu’un voile. Mais il étoffe néanmoins, 13 Le stelle Cammino e dietro di me camminano le stelle verso il domani delle stelle il mistero, la morte, ciò che nasce, la fatica singolare, fanno morire i miei passi e rivivere il mio sangue. Sono colui il cui cammino non è ancora iniziato, le sue profondità ancora sconosciute cammino verso me stesso verso un domani che verrà, cammino e dietro di me camminano le stelle. 99 Stars I walk and the stars trail behind me towards their tomorrow. The secret, death, what is being born, and that which wears me out — all of them deaden my steps. All of them quicken my blood. I’m the one whose road hasn’t yet begun, its depths yet unseen. I walk towards myself, towards my imminent tomorrow I walk and the stars trail behind me. Des étoiles Je marche et les étoiles me suivent vers leurs lendemains. Le secret, la mort, ce qui naît comme ce qui m’épuise, tout cela fait mourir mon pas, vivre mon sang. Je suis celui dont la route n’est pas encore ouverte, ses profondeurs restent inconnues. Je marche vers moi, 99 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 100 13 100 12 100 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 101 11 Celebrazione delle cose oscure e chiare Con il linguaggio hai voluto conoscere te stesso e il mondo, per questo hai separato le cose e i loro nomi: hai istigato la cosa contro il nome, il nome contro la cosa, eccoli ancora lottare, ciascuno cerca ma non trova. Perché, dopo tutto ciò, sembri conoscere soltanto, le cose che non hanno nome? 101 Celebrating vague / clear things You wanted language to know you, to renew the world, so you made things break away from their names. You incited thing against name and name against thing. And here they are still in strife, each one searches but does not find. Why is it that still all you seem to know are the things which have no names. Célébrations des choses obscures et claires Tu voulais par la langue te connaître toi-même et connaître le monde et tu as séparé les choses de leur nom. Tu as dressé la chose contre le nom, le nom contre la chose. 101 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 102 11 102 102 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 103 9 Celebrazione delle cose oscure e chiare Cercò di attraversare la strada non riuscì a camminare all’ombra non riuscì a camminare al sole e fra loro nessuna strada trovò Celebrating vague / clear things He tried to cross the street. He couldn’t walk in the shade. He couldn’t walk in the sun. Between shade and sun he couldn’t find a road. Célébrations des choses obscures et claires Il a tenté de traverser la rue. Ne pouvait marcher à l’ombre. Ne pouvait marcher au soleil. Entre l’ombre et le soleil, 10 Albero Caddero due stelle sulla testa del viaggiatore straniero, passò una nube lui si affrettò a cogliere il saluto, una palma si spezza e le lacrime incidono le sue foglie dorate: una palma che apprese dalla malinconia di essere interprete, quaderno dai caratteri arabi apprese dalla malinconia nella cinta dei confini invisibili di essere l’origine del luogo e i venti sono ciò che rimane. 103 Tree Over the head of the passing traveler two stars fell. A cloud passed by. He bowed down to return the greeting. A palm tree’s fronds are breaking off, tears etched on its golden leaves. A palm tree: grief has made it into an interpreter. Is this a notebook in Arabic taught by grief, fenced in by invisible boundaries? That is where it begins. And all the rest is wind. Arbre Au-dessus de la tête de celui qui voyage deux étoiles tombèrent. Un nuage passa. Il s’inclina pour rendre le salut. Un palmier se brisait, des larmes martelant ses feuilles dorées. Un palmier qui apprit de la mélancolie à se faire interprète. 103 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 104 10 104 9 104 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 105 8 Volto di donna Ho abitato il volto di una donna che abita un’onda gettata fin sulla spiaggia dalla marea nelle cui conchiglie si è smarrito il porto. Ho abitato il volto di una donna che mi fa morire, che ama essere un faro spento nel mio sangue che naviga fino al fondo della 105 follia A Woman’s Face I lived inside a woman’s face. She lived in a wave swept off by a tide, swept off to a harbor that lost its shells. I lived inside a woman’s face She makes me die, she loves to get inside my blood and sail to the limit of madness. And then become a darkened lighthouse. Visage d’une femme J’ai habité le visage d’une femme habitant une vague qu’emportait la marée jusqu’au rivage, au port perdu parmi ses coquillages. J’ai habité le visage d’une 105 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 106 8 106 106 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 107 7 Celebrazione delle cose oscure e chiare Ogni volta che prova a cancellare i ricordi, il presente si prepara per cancellare lui, ogni volta che il suo cuore si mobilita per intravedere il futuro, viene assediato da un esercito di ricordi, il recinto che lo protegge è lo stesso che lo tiene sotto assedio, che strano cerchio: 107 il tuo sangue, o uomo, è forse la tua unica luce? Celebrating vague / clear things Whenever he tries to erase his memories the present starts to erase him and every time his heart rushes to glimpse the future memory’s army hems him in. The fence that protects him is the wall that holds him back. What a circle. Mankind, is your blood the only light you have? Célébrations des choses obscures et claires S’il tente d’effacer ses souvenirs le présent, à son tour, tente de l’effacer et chaque fois son cœur s’élance pour entrevoir l’avenir. L’armée de la mémoire le cerne. L’enceinte qui le protège est le rempart qui le retient. Cercle sans fin. 107 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 108 7 108 108 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 109 6 L’inizio del discorso Una volta, quel bambino che ero, venne da me, era un volto straniero. Non disse nulla, c’incamminammo, e ciascuno scrutava l’altro in silenzio. I nostri passi erano un fiume che scorreva straniero. Le origini ci avevano accomunato in nome di questi fogli che volano nel vento, ci separammo, una foresta che la terra scrive e le stagioni narra. O tu, bambino che è in me, 109 avanti, che cosa, ora, ci accomuna, che cosa diremo? The Origin of Words Once, that child I was came back, an unfamiliar face. He didn’t say a word. We walked, each glancing at the other in silence. Our steps, a river flowing, unfamiliar. In the name of those leaves, fluttering in the wind, our lineage brought us together and then we parted. A forest written by the earth, watered by the seasons. Child that I was come forth. What is it that brings us together now? What shall we say? Naissance de la parole Un jour, cet enfant que j’avais été m’est revenu, au visage inconnu. Il n’a rien dit. Nous avons marché, l’un et l’autre s’observant en silence. Nos pas, une rivière coulant inconnue. Au nom de ces feuilles tournoyant dans le vent, 109 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 110 6 110 110 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 111 4 Albero d’Oriente Divenni lo specchio: riflettei ogni cosa mutai nel tuo fuoco il rito dell’acqua e delle piante mutai forma alla voce e al richiamo. Cominciai a vederti duplice: tu e queste perle che nuotano nei miei occhi. Io e l’acqua diventammo amanti: nasco in nome dell’acqua e in me si genera l’acqua. Io e l’acqua diventammo gemelli. Unità Che l’universo sia tutt’uno in me, le sue palpebre sono le mie, che l’universo sia tutt’uno in me, nella mia libertà, quale di noi due ha inventato l’altro. 111 Tree of the East I have become the mirror. I reflect everything. Your flame empowered me to change the rituals of water and of plants, to change the voices’s shape, the shape of crying out. And now I see you as two: you and the pearls that swim inside my eyes. Now the water and I are lovers: I’m born in the name of water. 5 Unity The universe has merged itself with me. We wear the same eyelids. I chose within myself to make us one. Water is born in me. Water and I are twins. Arbre de l’Orient Je suis devenu miroir. Je reflète tout. Ta flamme m’a permis de transformer les rituels de l’eau et des plantes, de changer la forme des voix, la forme du cri. Et désormais je te vois double: toi et les perles qui nagent dans So which of us invents the other? Unité L’univers s’est uni à moi. Ses paupières sont les miennes. Par choix, 111 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 112 5 112 4 112 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 113 2 Terra senza ritorno Anche se tu tornassi, Ulisse anche se la distanza fosse invalicabile e la guida bruciasse nel tuo volto tragico o nel tuo consueto terrore rimarresti sempre una storia di viaggio rimarresti sempre in una terra senza promesse rimarresti sempre in una terra senza ritorno. Anche se tu tornassi, Ulisse. Land with no return Even if you came back, Odysseus, even if all those distances have hemmed you in, even if your guide bursts into flame right before your tragic face or in your intimate terror you will still be a whole history of wandering, still in a land without promise still in a land with no return, even if you come back, Odysseus. Terre sans retour Même si tu reviens, Ulysse, si les distances se referment sur toi, si le feu embrase ton guide devant ton visage tragique, ou dans ta terreur de tous les jours, tu resteras à jamais une histoire de l’errance, 3 Pietra Amo questa mite pietra in lei ho visto il mio volto nei suoi lineamenti, ho visto le mie poesie perse. 113 Stone I worship this gentle stone. I’ve seen my face in it, my own lost poems. Pierre J’adore cette pierre douce. J’ai vu mon visage dans ses veines, mes poèmes perdus. 113 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 114 3 114 2 114 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 115 1 Vivo la luce. Il mio tempo è aroma che passa, l’infinito è il mio istante. Se la morte dovesse ridere sulle tue labbra La vita piangerebbe di nostalgia per te. I live with the light, all my years are but a passing fragrance, each second, years and years. Should Death laugh upon your lips Life in tears would long for you Je vis avec la lumière. Mes années sont un parfum qui passe et chaque seconde, des années. Si la mort devait rire sur tes lèvres, la vie en larmes se languirait de toi. 115 115 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 116 1 116 116 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 117 Celebrazione delle cose oscure e chiare La luce è la certezza dell’ombra l’ombra è l’illusione della luce. Celebrating vague / clear things Light: the certainty of shade. Shade: the illusion of light. Célébrations des choses obscures et claires La lumière: certitude de l’ombre L’ombre: illusion de la lumière 117 117 Adonis imp.qx6 118 17-08-2011 16:41 Page 118 118 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 119 La certezza dell’ombra 119 Adonis imp.qx6 120 17-08-2011 16:41 Page 120 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 121 ISBN 978-88-97077-11-4 9 € 32,00 788897 077114 121 Adonis imp.qx6 17-08-2011 16:41 Page 122