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ARTE&IMMAGINI
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Comune
di Caltagirone
Centro d'Arte Piana dei Colli
Villa Alliata Cardillo, Palermo
La certezza dell’ombra
Un progetto di Kali Jones e Maurizio Ruggiano
A cura di Giulia Ingarao
GRUPPO EDITORIALE KALÓS
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MOSTRE/EXHIBITIONS:
La certezza dell’ombra
Evento espositivo a cura di Domenico Amoroso
MACC- Ospedale delle Donne, Caltagirone
5-27 marzo 2011
La certezza dell’ombra
Un progetto di Kali Jones e Maurizio Ruggiano
A cura di Giulia Ingarao
Centro d’arte Piana dei Colli di Villa Alliata Cardillo, Palermo
Direzione e Coordinamento: Attilio Lodetti Alliata
Responsabile dell’allestimento tecnico e logistico: Giuseppe Carli
Segreteria organizzativa: Maria Teresa Anzalone e Aurelio Ferrante
6-26 marzo 2011
Ringraziamenti:
Mohamed Ali Khalil, Sen. Ludovico Corrao, Marilena Mauro, Pina Miria, Nino La Barbera,
Grace Yuen, Richard Gutter, La Famille Rapinat, Aldo Palazzolo, Christophe Wattelet,
Alberto Moncada, Marie-France Mottin, Francesco Mannarino, Pasquale Pontidoro, Rinaldo
il fuoco
la terra
l’acqua
l’aria
e tutti quelli che hanno contribuito alla realizzazione di questo progetto
Tutte le immagini, se non diversamente indicato, sono tratte dalla videoinstallazione
La certezza dell’ombra di Kali Jones e Marurizio Ruggiano, 2010
Progetto grafico: Kali Jones e Maurizio Ruggiano
Le poesie di Adonis sono state tradotte dall’arabo da Fawzi Al Delmi (italiano),
Adnan Haydar e Michael Beard (inglese), Jean-Philippe Raîche (francese)
© 2011 Gruppo Editoriale Kalós • via Siracusa, 19 • 90141 Palermo
tel. e fax 091/6262894 • www.edizionikalos.com • [email protected]
Redazione: Valentina Alabiso
Impaginazione: Valentina Puletto
Stampa e confezione: Priulla S.r.l., Palermo
La certezza dell’ombra / [video installazione Kali Jones, Maurizio Ruggiano con Adonis] ; a cura di Giulia Ingarao. – Palermo : Kalós, 2011.
(Arte & immagini)
ISBN: 978-88-97077-11-4
1. Video art – Temi [:] - Cataloghi di Esposizioni.
I. Jones, Kali.
II. Ruggiano, Maurizio.
II. Ingarao. Giulia.
709.05 CDD-22
SBN Pal0233217
CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”
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EVENTO ORGANIZZATO DA:
Institut Français
Centro d’Arte Piana dei Colli - Villa Alliata Cardillo,
Palermo
MACC – Museo d’Arte Contemporanea, Caltagirone
Comune di Caltagirone
“Premio Nazionale di Poesia Maria Marino”
Comune di Gibellina
BCLA Ambassade de France en Italie
Biblioteca Comunale di Palermo
Centre Culturel Canadien Paris
SPONSORSHIP:
Lodetti Commerciale Metalli
Fondazione Orestiadi di Gibellina e Tunisi
Abraxas Vigne di Pantelleria
Provincia Regionale di Trapani
Centre Culturel Français de Palerme et Sicile
Centre Culturel Français de Milan
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Adelfio Ricevimenti
CON
IL
PATROCINIO
DI:
Comune di Caltagirone – eredità Maria Marino
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INDICE
LA
CERTEZZA DELL’OMBRA
Che l’universo sia tutt’uno in me di Giulia Ingarao
The universe has merged itself with me
L’univers s’est uni à moi
La certezza dell’ombra di Domenico Amoroso
The certainty of shade
La certitude de l’ombre
Il poeta cammina nell’immagine di Sophie-Isabelle Dufour
The poet walks in the image
Le poète marche dans l’image
Poesie nella pelle del mondo di Laura U. Marks
Poems in the skin of the world
Des poèmes dans la peau du monde
L’inquietante dimora di Houria Abdelouahed
The uncanny home
L’inquiétante demeure
Il poeta nel giardino dei miti di Francesca Corrao
The poet in the garden of myths
Le poète dans le jardin des mythes
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Intervista con Adonis a cura di Kali Jones e Maurizio Ruggiano
Interview with Adonis
Entrevue avec Adonis
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Poesie
Poems
Poèmes
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CHE L’UNIVERSO
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SIA TUTT’UNO IN ME
di Giulia Ingarao
Una la forma o anima; una la materia o
corpo. Una la cosa. Uno lo ente.
Uno il massimo et ottimo: il quale non
deve poter essere compreso, e però infinibile,
et interminabile, e pertanto infinito et interminato; e per conseguenza immobile. 1
I primi frames della videoinstallazione La certezza dell’ombra alternano schermate di bianco e grigio granuloso ad intermittenza che si susseguono
a ritmo naturale come pulsazioni finché alla luce del
bianco si sostituisce il volto di Adonis, protagonista e ispiratore del video. L’immagine sgranata del
volto del poeta siriano rimanda ai granuli della parete in cemento del Cretto di Burri, uno dei luoghi
attraversati nel suo viaggio in Sicilia che il video metaforicamente documenta.
La luce è la certezza dell’ombra / l’ombra è l’illusione della luce2 recita, in asincronia con l’immagine del suo volto, la voce di Adonis, annunciando
uno dei temi centrali tanto della sua produzione poetica come della trasposizione audiovideo realizzata da Kali Jones e Maurizio Ruggiano. La luce è il
miraggio verso cui l’intero viaggio tende. Un percorso sinestetico dove suono, segno e natura si mescolano attraverso il corpo, sublime strumento esperienziale. Il percorso è ciclico, senza ritorno; così,
in un crescendo cromatico, il video inizia e finisce
nell’alternanza bicromatica bianco-nero; la funzione primaria dei due colori sancisce il legame tra i
momenti di transizione del viaggio-video: l’inizio e
la fine.
Anche se tu ritornassi, Ulisse […] rimarresti sempre una storia di viaggio:3 la seconda poesia recitata da Adonis associa il poeta ad un Ulisse contemporaneo che fugge il ritorno per guardare sempre
al disvelamento di una diversa conoscenza della natura. Adonis viaggia attraverso l’immersione nei suoni e nelle immagini della terra, al di fuori del condizionamento sociale o della dicotomia
geografico/culturale – come l’eroe arabo medieva-
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le Mihyar4 – alla ricerca di tracce di luce. Da qui l’assonanza con il Mito della caverna di Platone, suggestione da cui – spiegano i due artisti – nasce l’intera idea del video: il concetto di immagine come
intuizione parziale viene messo in scena attraverso la tecnica dello stop-motion che, saturando l’immagine di luce amplifica il dettaglio, come una eco,
attraverso il rallentamento dell’azione.
Il corpo riflesso sulle pareti concave dell’Orecchio di Dionisio – scenario non casuale scelto per
tradurre visivamente il mito platonico –, investito
dalla luce, diventa silhouette che si muove meccanicamente in un paesaggio sfocato. La corrispondenza con lo scenario scelto per tradurre in immagine il Mito della caverna è amplificato dall’ipotesi – ricca di fascino – secondo cui Platone avrebbe effettivamente tratto ispirazione da questo
luogo durante la sua permanenza in Sicilia. Ritorna dunque come costante, a dettare il ritmo dello
sviluppo del video, l’associazione tra luce e conoscenza, tra corpo e ombra, tra intuizione della realtà e forma della realtà.
Il video, mixando all’interno delle singole immagini sfere percettive diverse, mette ciclicamente in
discussione il limite della percezione, della visione;
il corpo diventa l’unico possibile sensore del mondo. Solo il corpo può comprendere la natura riattivando un ancestrale processo di comunione.
Così il ventre diventa terra, il respiro vento e la pelle rosea dei corpi in movimento è anche pelle grigia del mondo.
Se la stabilità, la certezza, è profanazione della percezione, la vita nel suo dipanarsi ciclico e complesso è un labirinto di cemento animato da un soffio vitale che rimbomba prepotente sussurrando storie passate e presenti.
L’acqua riflette il mondo. Nelle tre immagini sincroniche che compongono uno dei trittici visivi della installazione, tre pozze d’acqua riflettono sagome sbiadite di luce e cielo, profili d’alberi, corpi nudi
e nuvole in movimento. Tre finestre astratte si muovono al ritmo delle parole di Adonis mutando silen-
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Kali Jones, Célébrations, installazione, particolare,
ziosamente forma: diventano pittura informale visionaria e poi, tramite un processo d’osmosi con la
poesia, acquistano liricità. La lucidità dell’immagine riflessa rimanda alla pittura su rame, tecnica rara
e diffusa anticamente: la molteplicità di rimandi tanto visivi come storico-artistici, restituisce la stratificazione di contenuti presente nel video. Le immagini create da Kali Jones e Maurizio Ruggiano condensano nell’intensità del singolo frame la densità e complessità della visione totale; il riflesso dunque non è proiezione narcisistica ma onnivisione del
mondo: Che l’universo sia tutt’uno in me / le sue
palpebre sono le mie.5
Un nuovo trittico si apre: un occhio rovesciato
11
muove appena la palpebra accanto a mappature epidermiche; la pelle e il cretto si identificano, i quadri di pelle come le testurologie di Dubuffet o i paesaggi incrostati di Burri evocano la storia viva scritta sulla pietra.
Una citazione paesaggistica di Kiarostami e il rumore del campanello, suono che sostituisce l’immagine del bestiame al pascolo, avvolge la scena
nella nebbia del passato introducendo il tema della memoria: O tu, bambino che è in me, avanti /
che cosa, ora, ci accomuna, che cosa diremo?6 Il
passato, emerso nei frames precedenti come
frammenti giustapposti di ricordi, viene bruciato dal
fuoco che, sull’orizzonte, traccia una linea di confine sempre rinnovabile.
Al rosso-arancio del fuoco segue lo scorrere dell’acqua, metafora della vita: l’acqua come il sangue collega gli elementi e produce esistenza. Si alternano flussi di immagini che visivamente traducono le cadenze della natura. Una sequenza di frames a ritmo crescente crea un collegamento visivo-empatico tra un’eclissi solare, la bocca di Adonis che pronuncia versi siriani e l’orgasmo di una
donna: Ho abitato il volto di una donna / che abita un’onda.7
Il rapporto tra macro e microcosmo è esemplificato da una serie di immagini che collegano la parte al tutto; la parola scritta, contenitore di un significato limitato, diventa ricamo su cielo di volo
d’uccello che, nell’andamento curviforme, evoca la
scrittura araba: segni neri e ariosi che riempiono
lo sfondo bianco del foglio. Alla scrittura limitata dell’uomo si sostituisce la scrittura simbolica della natura il cui significato, come per gli oracoli, resta aperto all’interpretazione.
Il corpo e la sua ombra scandiscono le diverse
sequenze del video: il corpo assorbe il paesaggio
per diventare porzione e riflesso dell’universo nei
suoi infiniti paesaggi. I quattro elementi si alternano ciclicamente nelle composizioni a tre che determinano il ritmo della percezione del video. Sul finire del viaggio, alla luce si sostituisce l’ombra, il
fuoco brucia le parole, dalla cenere però i segni scritti emergono più chiaramente, come incisi in bianco su uno sfondo carbone. Si torna al bianco e nero
dell’inizio, dalle ceneri il viaggio prende nuovamente avvio come in un loop.
Kali Jones traduce questo aspetto, centrale nella poetica di Adonis – la morte come accidente –
nelle pagine dell’installazione Célébrations, un li-
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Jacqueline Guillermain, Terre d’écriture, installazione (carta e terracotta), 1984.
bro d’artista che precede la videoinstallazione realizzata con Ruggiano, dove pochi, intensi, segni a
inchiostro colorato visualizzano le parole di Adonis raccolte nei versi Celebrazione delle cose oscure e chiare;8 in una delle pagine frammenti di cenere avvolti in un’aureola di sangue – chiaro riferimento alla ciclicità della vita – si depositano
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come lapilli incandescenti sul foglio bianco.
Sembra far eco all’impossibilità di certezza, di
univocità della parola, l’installazione Terre d’écriture di Jacqueline Guillermain – anch’essa in mostra all’interno dell’itinerario espositivo che tesse
un racconto complesso attorno alla figura di Adonis. L’artista franco-svizzera realizza quest’opera nel
1984, in occasione dell’inaugurazione del Museo del
Libro e del Manoscritto della Biblioteca Wittockiana di Bruxelles. Un trittico in terracotta composto
da un manoscritto originale di Adonis accompagnato, sui due lati, dalle traduzioni in francese di Salah Stétié e di Abdelwahab Meddeb. La terracotta,
contenitore durevole, metonimia della terra, accoglie l’instabile parola che nella sua mutevolezza assume, nelle due traduzioni, lievi accezioni semantiche diverse. La parola scritta dall’uomo si fonde
con la terracotta che, come naturale scenografia,
l’avvolge, per recuperare la valenza originaria
della parola scritta, incisa su pietra. Anche qui, come
nella installazione video La certezza dell’ombra, la
forma viene suddivisa in tre.
Se il trittico nell’opera Guillermain è risultato casuale ma significativo, perché parte di una più ampia installazione composta da 42 elementi, nella videoinstallazione la scelta è strettamente connaturata all’identità dell’opera. Le tre immagini proiettate, legate dalla sincronia dell’audio e del movimento, esprimono una comune essenza: un’orazione laica alle forze ipostatiche.9 L’installazione è sta-
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THE
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UNIVERSE HAS MERGED ITSELF WITH ME
by Giulia Ingarao
Una la forma o anima; una la materia o
corpo. Una la cosa. Uno lo ente.
Uno il massimo et ottimo: il quale non
deve poter essere compreso, e però infinibile,
et interminabile, e pertanto infinito et interminato; e per conseguenza immobile. 1
The initial frames of the video installation The
certainty of shade alternate intermittent screenings
of grainy grey and white followed by naturally pulsing rhythms until the white light becomes the face
of Adonis, chief character and inspiration of the
video. The dilated image of the Sirian poet’s face
recalls the granulated cement walls of Burri’s
Cretto, one of the places visited during his journey
through Sicily which is documented metaphorically by the video.
Light: the certainty of shade. / Shade: the illusion of light2 delivers, through the voice of Adonis
alternating with the picture of his face, a statement
as much of the central themes of his poetic works
as of the audio-visual version created by Kali Jones
and Maurizio Ruggiano. The entire journey proceeds
towards light as a mirage. This is a multi-sensory journey where sound, sign and nature are fused within the body, which is the sublime instrument of experience. The journey is cyclic, with no return. Thus,
in a chromatic crescendo, the video begins and finishes with alternating black and white. The primary
function of the two colours sanctions the link between
the moments of transition of the journey-video; the
beginning and the end. Even if you came back,
Odysseus […] you will still be a whole history of wandering.3 The second poem recited by Adonis associates the poet with a contemporary Ulysses who flees
from returning so that he can observe forever the
revelation of a different awareness of nature. Adonis travels losing himself in the sounds and scenes
of the earth, beyond social conditioning or any geographical or cultural dichotomy, like the medieval
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Arab hero Mihyar,4 seeking for traces of light. The two
artists explain that an assonance with Plato’s Myth
of the Cave arises here which gave rise to the whole
idea of the video: the concept of the image as partly instinctive being shot through the technique of stopmotion which amplifies the detail by saturating the
image with light, like an echo, through slowing down
the action.
The body reflected on the concave walls of Dionysius’ Ear, a carefully chosen background to translate the Platonic myth visually, assailed with light
and being transformed into a silhouette, moves mechanically in a blurred landscape. A correspondence
with the scene selected to translate the Myth of the
Cave into an image is increased by the intriguing
idea that Plato was in fact inspired by this place during his stay in Sicily. The association between light
and awareness, between body and shadow, and between the intuition of reality and its form constantly returns to dictate the rhythm of the developing
video.
The video mixes different aspects of perception
within its single images, and suggests limits of perception and vision in rotation, while the body becomes
the only possible sensory receptor of the world. Only
the body can comprehend nature by reactivating an
ancient process of communion. The stomach thus becomes the earth, the breath the wind and the rosy
skin of bodies in movement is also the grey skin of
the world.
If stability and certainty are the desecration of
perception, life in its cyclical and complex convolutions is a labyrinth of concrete animated by a vital breeze of powerful resonance, murmuring past
and present histories.
Water reflects the world. In the three simultaneous images which make up one of the visual
tryptychs of the installation, three pools of water
reflect colourless outlines of light and sky, of trees,
naked bodies and moving clouds. Three abstract
windows move to the rhythm of Adonis’ words,
silently changing shape. They become unformed
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visionary pictures and then, through a process of
osmosis with the poetry, they acquire lyricism. The
clarity of the image reflected recalls pictures painted on copper, an ancient and valued technique;
the multiplicity of visual, historic and artistic reminders reinforces the layering of content within the video. The images created by Kali Jones and
Maurizio Ruggiano concentrate the density and intricacy of their overall vision in the intensity of a
single frame; the effect is not of narcissistic projection but an overall vision of the world, The universe has merged itself with me. / We wear the
same eyelids.5
A new triptych appears; an upside-down eye
scarcely moves its eyelid in the midst of its epidermal clefts, skin and crevice are related, the images
of skin resemble Dubuffet’s textologies and the encrusted landscapes of Burri evoke live history written on stone.
A landscape evokes by Kiarostami and the sound
of the bell, a sound that replaces the image of animals in the fields, envelops a scene of the misty
past which introduces the theme of memory; Child
that I was / come forth. / What is it that brings us
together now? / What shall we say?6 The past,
emerging from preceding frames like juxtaposed
fragments of memories, is burnt by the fire which
traces an ever renewable boundary line on the horizon.
The orange-red of fire is followed by flowing water, a metaphor for life; the water linking the elements and producing existence like blood. Sequences of pictures alternate which visibly translate the rhythms of nature. A series of frames of
increasing tempo create a visual link of empathy
between a solar eclipse, the mouth of Adonis reciting Syrian verse and a woman’s orgasm, I lived inside a woman’s face. / She lived in a wave.7
The relationship between macro and microcosm
is illustrated by a series of images which connect
the one part to all; the written word, container of
a limited meaning, becomes the embroidery on the
sky of a bird’s flight that evokes Arabic script in its
curved shapes, black and airy signs filling the white
background of the paper. The symbolic writing of
nature replaces the limited writing of man, and its
meaning is open to interpretation like that of the
oracles.
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The body and its shadow articulate the video’s
various sequences; the body absorbs landscape to
become a part and reflection of the universe in its
infinite landscapes. The four elements alternate in
succession with the three-part compositions which
determine the rhythms of the video’s perception.
On completion of the journey, light is replaced by
shadow, fire burns the words, however from the
ashes the written signs emerge more clearly, as if
incised in white on a charcoal background. There
is a return to the black and white of the beginning,
as in a loop the journey achieves a new beginning
from the ashes.
Kali Jones interprets this aspect of death as an
accident, which is central to Adonis’ poetry, in the
pages of the Célébrations installation, an artist’s
book which precedes the video installation created with Ruggiano, where a few intense marks in
coloured ink depict the words of Adonis collected
in his poems Celebrating vague / clear things.8 On
one of the pages fragments of ash surrounded by
a halo of blood, a clear reference to the cyclic nature of life, fall onto a white sheet of paper like incandescent lava.
The installation Terre d’écriture by Jacqueline
Guillermain seems to be an echo of the impossibility of certainty and of the single meaning of a
word. She takes part in the exhibition by contributing to the weaving of a complex story around the
figure of Adonis. The French-Swiss artist created
this work in 1984, when the Museum of Books and
Manuscripts was opened at the Wittockiana Library
in Brussels. A terracotta triptych consisting of an
original manuscript by Adonis is accompanied on
each of its sides by translations of Salah Stetie and
Abdelhawab Meddeb in French. The terracotta, a
durable container and metonym for the earth, receives the unstable word that in its muteness takes
on slightly different meanings within the two
translations. The word written by man merges with
the terracotta which enfolds it as its natural setting,
to recover the original content of the written word,
incised in stone. Here as well, as in the video installation The certainty of shade, the form is divided into three.
If the triptych in Guillermain’s work appears fortuitous but meaningful, forming part of a larger installation of 42 elements, in the video installation
the selection is strictly inherent with the identity of
the work. The three projected images, linked to the
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L’UNIVERS S’EST
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UNI À MOI
de Giulia Ingarao
Una la forma o anima; una la materia o corpo. Una la cosa. Uno lo ente.
Uno il massimo et ottimo: il quale non deve
poter essere compreso e però infinibile, et
interminabile, e pertanto infinito et interminato; e per conseguenza immobile.1
Les premiers plans de la video-installation La certitude de l’ombre font s’alterner des images voilées
de blanc et de gris granuleux qui, intermittentes, se
succèdent à un rythme naturel, comme des pulsations, jusqu’à ce que la lumière du blanc cède la
place au visage d’Adonis, le protagoniste et l’inspirateur du vidéo. L’image granulée du visage du
poète syrien rappelle les granules des parois en ciment du Cretto de Burri, l’un des lieux qu’Adonis a
traversé lors de son voyage en Sicile et que le vidéo
documente métaphoriquement.
La lumière: certitude de l’ombre / L’ombre: illusion de la lumière2 récite la voix d’Adonis asynchronique par rapport à l’image de son visage, annonçant ainsi un des thèmes centraux aussi bien de
sa production poétique que de sa transposition audio-visuelle réalisée par Kali Jones et Maurizio Ruggiano. La lumière est le mirage vers lequel tend tout
le voyage. Un parcours marqué par la synesthésie
où le son, le signe et la nature se mèlent à travers
le corps, instrument expérimental sublime. Le parcours est cyclique, sans retour; c’est ainsi que dans
un crescendo chromatique, le vidéo commence et finit dans l’alternance du blanc et du noir; la fonction
première de ces deux couleurs étant d’établir le lien
entre les différents moments de transition du
voyage-vidéo: le début et la fin.
Même si tu reviens, Ulysse, (...) tu resteras à
jamais une histoire de l’errance:3 la seconde poésie récitée par Adonis associe le poète à un Ulysse
contemporain qui renvoie toujours son retour pour
contempler sans fin le dévoilement d’une connaissance différente de la nature. Adonis voyage immergé dans les sons et les images de la terre, audelà du conditionnement social ou de la dichotomie
15
géographie-culture – comme le héros arabe médiéval Mihyar4 – à la recherche de traces de lumière.
De là, l’assonance avec le Mythe de la Caverne de
Platon, une suggestion d’où est née toute l’idée du
vidéo, ainsi que l’expliquent les deux artistes: le
concept d’image comme intuition partielle est mis
en scène à travers la technique du stop-motion qui,
en saturant l’image de lumière, amplifie le détail, tel
un écho, à travers le ralentissement de l’action.
Le corps, réfléchi sur les parois concaves de
l’Oreille de Denys et investi de lumière – scénario
qui ne doit rien au hasard puisqu’il sert à traduire
visuellement le mythe platonicien –, devient une silhouette qui se meut mécaniquement dans un paysage flou. La correspondance avec le scénario choisi
pour traduire en images le Mythe de la Caverne est
amplifiée par l’hypothèse – plutôt fascinante – selon
laquelle Platon se serait effectivement inspiré de ce
lieu durant son séjour en Sicile. L’association entre
la lumière et la connaissance, le corps et l’ombre,
entre l’intuition de la réalité et la forme de la réalité,
revient donc comme une constante qui dicte son
rythme au développement du vidéo.
En mixant à l’intérieur d’une image unique des
sphères perceptives différentes, le vidéo remet cycliquement en question les limites de la perception, de
la vision; le corps devient l’unique capteur possible du
monde. Il n’y a que le corps qui peut comprendre la
nature en réactivant un processus ancestral de communion. Ainsi le ventre se fait terre, la respiration
vent, et la peau rosée des corps en mouvement est
aussi la peau grise du monde.
Si la stabilité – la certitude – est une profanation
de la perception, la vie dans son demêlement cyclique et complexe est un labyrinthe de ciment animé
d’un souffle vital qui retentit autoritaire en murmurant des histoires passées et présentes.
L’eau reflète le monde. Dans les trois images synchroniques qui composent l’un des triptyques de
l’installation, trois flaques d’eau reflètent des silhouettes décolorées de lumière et de ciel, des profils d’arbres, des corps nus et des nuages en mouve-
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ment. Trois fenêtres abstraites bougent et se métamorphosent silencieusement au rythme des paroles
d’Adonis: elles deviennent des peintures informelles
visionnaires et puis, grâce à un processus d’osmose
avec la poésie, elles acquièrent un lyrisme indéniable. Le brillant de l’image reflétée renvoie à la peinture sur cuivre, une technique rare mais autrefois répandue : la multiplicité des renvois aussi bien visuels
qu’historico-artistiques, restitue la stratification des
contenus présents dans le vidéo. Les images créées
par Kali Jones et Maurizio Ruggiano condensent dans
l’intensité d’un plan unique, la densité et la complexité de la vision totale; le reflet n’est donc pas
projection narcissique mais omnivision du monde:
L’univers s’est uni à moi / Ses paupières sont les
miennes.5
Un nouveau triptyque s’ouvre: un oeil renversé
bouge à peine la paupière à côté de topographies
épidermiques, la peau et la glaise s’identifient, les
peintures de peau de même que les texturologies de
Dubuffet ou les paysages incrustés de Burri évoquent
l’histoire vivante qui s’écrit dans la pierre. Une citation paysagère de Kiarostami accompagnée d’un
bruit de clochette – son qui remplace l’image du troupeau en pâture – enveloppe la scène dans la brume
du passé, introduisant ici le thème de la mémoire:
Enfant que j’étais, / montre-toi. / Que reste-il qui
puisse nous unir? / Que dirons-nous?6 Le passé, qui
emerge comme des fragments juxtaposés de souvenirs dans les plans précédents, est brûlé par le feu
qui, à l’horizon, trace une ligne de démarcation toujours changeante.
Au rouge-orange du feu succède la course de
l’eau, métaphore de la vie: comme le sang, l’eau relie les éléments et produit de l’existence. Des flux
d’images s’alternent qui traduisent visuellement les
cadences de la nature. Un plan-séquence au rythme
croissant crée une liaison visuelle-empathique entre une éclipse de soleil, la bouche d’Adonis récitant
des vers syriens et l’orgasme d’une femme: J’ai habité le visage d’une femme / habitant une vague.7
Le rapport entre le macro et le microcosmos est
illustré par une série d’images qui relient la partie
au tout; le mot écrit, réceptacle d’un sens circonscrit, devient la broderie sur fond de ciel d’un vol d’oiseau qui dans son évolution curviforme, évoque
l’écriture arabe: des signes noirs et amples remplissent le fond blanc de la page. A l’écriture finie de
l’homme se substitue l’écriture symbolique de la nature dont le sens, comme dans les oracles, reste ou-
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vert à l’interprétation.
Le corps et son ombre rythment les différentes
séquences du vidéo: le corps absorbe le paysage
pour devenir portion et reflet de l’univers avec ses
paysages infinis. Les quatre éléments s’alternent cycliquement dans des compositions à trois qui déterminent le rythme de perception du vidéo. A la fin du
voyage, l’ombre se substitue à la lumière, le feu
brûle les paroles, de la cendre cependant, les signes
écrits émergent plus clairement, comme incisés en
blanc sur un fond carbone. On retourne au noir et
blanc du début, des cendres, le voyage repart à nouveau, comme dans un loop.
Kali Jones traduit cet aspect central dans la poétique
d’Adonis – la mort comme accident –, dans les pages
de l’installation Célébrations, un livre d’artiste qui précède la vidéo-installation réalisée avec Maurizio Ruggiano, où peu mais d’intenses signes tracés à l’encre
colorée visualisent les paroles d’Adonis rassemblées
dans les vers Célébration des choses obscures et claires;8 sur l’une de ces pages, des fragments de cendre
entourés d’une auréole de sang – réfèrence claire au
caractère cyclique de la vie – se déposent comme des
lapilli incandescents sur la feuille blanche.
L’installation Terre d’écriture de Jacqueline Guillermain – qui s’insère elle-aussi dans le parcours de cette
exposition élaborant un récit complexe autour de la figure d’Adonis – semble faire écho à l’impossibilité de
toute certitude ou univocité de la parole. L’artiste
franco-suisse a réalisé cette oeuvre en 1984, à l’occasion de l’inauguration du Musée du Livre et du Manuscrit de la Bibliothèque Wittockiana de Bruxelles. Il s’agit
d’un triptyque en terre cuite composé d’un manuscrit
original d’Adonis accompagné, sur chacun de ses côtés,
des traductions en français de Salah Stetie et d’Abdelhawab Meddeb. La terre cuite, récipient durable, métonymie de la terre, y accueille la parole instable qui
dans sa versatilité, assume dans les deux traductions,
des acceptions sémantiques légèrement différentes. La
parole écrite par l’homme se fond avec la terre cuite
qui, comme un décor naturel, l’enveloppe pour récupérer la valeur originaire de la parole écrite, incisée sur la
pierre. Ici aussi, comme dans l’installation-vidéo La certitude de l’ombre, la forme est subdivisée en trois.
Si dans l’oeuvre de Jacqueline Guillermain, le triptyque est une solution fortuite mais significative,
parce qu’il fait partie d’une installation plus ample
composée de 42 éléments, dans la vidéo-installation,
ce choix est intimement, naturellement, lié à l’identité
de l’oeuvre. Les trois images projetées, reliées par la
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CERTEZZA DELL’OMBRA
di Domenico Amoroso
Trema l’ultimo canto nelle altane
dove il sole era l’ombra ed ombra
il sole
tra gli affanni sopiti.
Cristina Campo, La tigre assenza
È necessario essere illuminati e non disperati,
per credere possibile ciò che si pensa rispetto a ciò
che si vive; anche solo pensando a ciò che si pensa.
A partire dal senso della propria limitatezza, dalla consapevolezza dell’inconoscibile, la certezza dell’ombra ribalta l’idea che la realtà che ci circonda
sia un fondo vuoto, e la sua ricerca un tentativo inutile.
A partire dal riconoscimento di quella luminosità
fioca ma tenace che occupa lo spazio tra la luce trascendente, il corpo opaco e noi, si può scoprire infatti il valore di testimonianza che consente di percepire l’immensità e la complessità del mondo.
In questa enorme zona d’ombra, solo il poeta e
l’artista hanno accesso, rappresentando sulla pro-
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pria pelle la contraddittoria esperienza del tutto e
del nulla; disperatamente chiedendosi se l’esistenza è illuminata da un significato o se è un rapido
ed inutile precipitare nell’abisso. Ben sapendo che,
se è vero che solo la fiammella può rendere conto dell’ombra, anche dopo ogni spiegazione rimane un residuo ineliminabile di oscurità e di ambiguità.
Giacché l’ombra è il lato silenzioso, enigmatico
e sfuggente della realtà, e nello stesso tempo l’altro lato di ciascuno di noi: quello oscuro e sfuggente, oggetto, insieme, di desiderio e di repulsione;
dove giacciono le possibilità scartate o perdute, ciò
che non è stato, il futuro, che, insieme, attrae e inquieta.
Per questo l’ombra è anche sinonimo di fantasma e di simulacro, lo spettro che ci sta alle spalle o ci viene incontro minacciosamente, il luogo e
la condizione necessaria di incantesimi e sortilegi.
Evocabile ma non rappresentabile se non con la
sua stessa sostanza, sempre l’ombra scivola via e
non si lascia carpire come un oggetto definito; rimane in ogni caso nel regno dell’altrove, oltre la forma delle cose, rispetto alla quale rappresenta la sua
non-finità: nell’ombra giace nascosta la forma.
In questo senso la poesia e l’immagine in La certezza dell’ombra, riescono a
registrare e ad esprimere,
parafrasando le parole di
Eugenio Montale, in Ossi di
seppia, «i silenzi in cui si
vede, in ogni ombra umana
che si allontana, qualche disturbata Divinità».
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CERTAINTY OF SHADE
by Domenico Amoroso
Trema l’ultimo canto nelle altane
dove il sole era l’ombra ed ombra
il sole
tra gli affanni sopiti.
Cristina Campo, La tigre assenza
To believe in the possibility of what one thinks
rather than what one lives, even when thinking only
of what one thinks, enlightenment rather than despair is needed.
Beginning from the sense of one’s own limitations, from an awareness of the unknowable and
the certainty of the shadow, overturns the idea that
the reality surrounding us is an empty depth and
that searching for it is a futile effort.
Beginning from the recognition of that shifting
but constant luminosity which occupies the space
between transcendent light, the opaque body and
us, we are allowed to discover the value of evidence
which permits the perception of the immensity and
complexity of the world.
Only the poet and the artist have access to this
enormous area of shadow, representing on their own
skin the contradictory experience of all and of nothing, desperately asking themselves if existence is
illuminated by meaning or if it is a precipitate and
useless fall into the abyss. They know well that if
it is true that only a flickering flame can discern the
shadow, an indestructible residue of obscurity and
ambiguity remains after every explanation.
As the shadow is the silent side, enigmatic and
fleeing from reality, and at the same time the other side of each of us. What is obscure and elusive,
the object together of desire and repulsion, where
discarded or lost possibilities lie, what has never been,
the future that attracts and alarms us at the same
time.
For this shadow is also the synonym for phantom and semblance, the spectre which stands behind us or confronts us menacingly, the necessary
place and condition for enchantment and spells.
Evocative but unrealisable except with its own
substance, the shadow always slips away and cannot be defined as a definite object. It always remains in another kingdom, beyond the shape of
things, which represents its non-completeness; the
shape lies hidden in the shadow.
In this sense the poetry and the image in The
certainty of shade succeed in their task of recording and expressing, paraphrasing the words of Eugenio Montale in Ossi di seppia, «the silences in
which one sees some troubled Divinity in every human who wanders away».
(Translation by Gillian Wise)
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CERTITUDE DE L’OMBRE
de Domenico Amoroso
Trema l’ultimo canto nelle altane
dove il sole era l’ombra ed ombra
il sole
tra gli affanni sopiti.
Cristina Campo, La tigre assenza
Il faut être illuminé et non pas désespéré, pour
croire que ce qui se pense par rapport à ce qui se
vit est possible; même en pensant seulement à ce
qui se pense.
C’est à partir du sens de sa propre limitation,
de la conscience qu’elle a de l’inconnaissable, que
la certitude de l’ombre renverse l’idée selon laquelle la réalité qui nous entoure est une toile de
fond vide et sa recherche, une tentative inutile.
C’est à partir de la reconnaissance de cette luminosité faible mais tenace qui occupe l’espace
entre la lumière transcendante, le corps opaque
et nous-même, que l’on peut découvrir la puissance de témoignage qui permet de percevoir
l’immensité et de la complexité du monde.
A cette énorme zone d’ombre, seuls le poète et
l’artiste ont accès puisque c’est sur leur propre
peau qu’ils représentent l’expérience contradictoire du tout et du rien, en se demandant déses-
pérément si l’existence peut s’illuminer d’un sens
où si elle n’est qu’une précipitation rapide et inutile dans l’abysse. Tout en sachant que – s’il est
vrai que seule la petite flamme peut rendre
compte de l’ombre – toute explication laisse derrière elle un residu inaliénable d’obscurité, d’ambiguïté.
L’ombre est le côté silencieux, énigmatique et
fuyant de la réalité, et en même temps, l’autre
côté de chacun d’entre nous, cet obscur et fuyant
qui est tout à la fois objet de désir et de répulsion,
ce lieu où gisent les possibilités écartées ou manquées, autrement dit tout ce qui n’a pas été, le futur, ce lieu qui attire en même temps qu’il inquiète.
Pour cette raison, l’ombre est aussi synonyme
de fantôme et de simulacre; c’est le spectre qui
se tient derrière nous ou vient, menaçant, à notre
rencontre; c’est le lieu et la condition nécessaire
des enchantements et des sortilèges.
On peut l’évoquer mais on ne peut pas la représenter, sinon avec sa propre substance; l’ombre
fuit toujours et ne se laisse jamais capturer
comme un objet défini ; elle reste, quoi qu’il en
soit, dans le règne de l’ailleurs, au-delà de la
forme des choses, par rapport auxquelles elle présente son non-(dé)fini: dans l’ombre gît la forme
cachée.
En ce sens, la poésie et l’image de La certitude
de l’ombre, réussissent à enregistrer et à exprimer ce
qu’en paraphrasant Eugenio
Montale dans Ossi di seppia
(Os de seiche), je nommerai
«les silences où l’on voit, dans
chaque ombre humaine qui
s’éloigne, quelque Divinité dérangée».
(Traduction par Charlotte
Bernard)
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POETA CAMMINA NELL’IMMAGINE
di Sophie-Isabelle Dufour
Nella video-istallazione La certezza dell’ombra appare il poeta Adonis: «io vivo con la luce», dice in arabo. Come in un trittico, l’opera si compone di tre immagini in movimento poste orizzontalmente una accanto all’altra. «Anche se tu ritornassi, Ulisse», declama il poeta camminando nell’immagine centrale,
sospeso fra partenza e ritorno…
Movimento
«L’idea del ritorno mi differenzia da Ulisse» ha spiegato in un’intervista. «Ulisse tiene al suo ritorno perché vuole rivedere la sua amata Penelope […]. A me
piace essere perpetuamente in movimento».1 Per Adonis il movimento è «presa di coscienza».2 Non sorprende dunque vedere Adonis camminare nelle immagini in movimento di Kali Jones e Maurizio Ruggiano. Fra il leggendario poeta arabo e i due artisti
la collaborazione è feconda; Adonis recita i suoi poemi e le immagini prendono forma. Si produce un chiasmo. La poesia è immagine e le immagini sono poetiche. Si dispiega così il dispositivo dell’opera. «Per
scrivere un poema», dice Adonis, «bisogna andar fuori, ma anche muoversi all’interno di se stessi. Bisogna guardare, ascoltare la musica, respirare, fare
l’amore e molte altre cose ancora…».3 Per Jones e Ruggiano, realizzare video è creare sensazioni visive e
sonore che riguardino «lo spazio, il tempo, l’interiorità, l’esteriorità, la conoscenza di sé attraverso l’altro, la morte». Ne La certezza dell’ombra vi sono tutti questi aspetti. Il video è dominato dalla presenza
di Adonis, dal suo viso senza eguali e dalla sua voce:
«La lingua araba è suono, natura e umana vivacità.
Essa è intimamente e organicamente legata all’orecchio, alla musica e al canto».4
Non è necessario conoscere l’arabo per apprezzare le parole del poeta, è sufficiente lasciarsi trasportare dalla loro musicalità. Esse si mescolano a respiri, a
mormorii; a intermittenza, al centro del trittico si vede,
ripresa in primo piano, una parete di pietra grigia. Poi
il video mostra l’interno di una grotta dalle dimensioni eccezionali: l’orecchio di Dionisio, come la chiamò Caravaggio nel 1608. Questa grotta dalla forma di padi-
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glione auricolare ha una caratteristica particolare: la sua
acustica amplifica i suoni. Si racconta infatti che il tiranno siracusano Dionisio ascoltasse di nascosto le parole che si scambiavano i forzati al lavoro.
Nel trittico si mischiano immagini fisse e immagini intermittenti. Camminando nella gigantesca
grotta, con le proprie ombre coloro che la visitano
creano strani effetti visivi. Queste ombre non sono
però realtà seconde rispetto a realtà prime; esse si
distinguono dal loro referente implicando la riflessione dello spettatore.
Immagine
Come non evocare a questo punto la caverna di Platone, il mito fondatore della conoscenza in Occidente? Se la tradizione platonica considera l’ombra proiettata dalle cose come «la condizione più distante dalla verità»,5 il video di Jones e Ruggiano la presenta come
immagine anti-platonica che produce pensiero. L’ombra filmata nel video non si dà come un simulacro degradato; sollecita lo spettatore conducendolo fuori dalla grotta per permettergli di vedere il mondo e le sue
immagini.
Mettersi in movimento, viaggiare; così, è l’immagine video che ha spinto Adonis a percorrere il Grande Cretto a Gibellina, opera monumentale di Land Art
realizzata da Alberto Burri. Quest’immenso labirinto,
composto di blocchi di cemento bianco, segna il tracciato delle strade della città vecchia di Gibellina.6
Cosa accade nei tre video dell’istallazione di Jones e Ruggiano? Appaiono piedi nudi e calzati; poi,
al centro, Adonis cammina, percorre da un capo all’altro, esplora il bianco labirinto e recita poemi che
rimandano al sentimento della perdita: «Amo questa mite pietra / in lei ho visto il mio volto nei suoi
lineamenti, / ho visto le mie poesie perse». A sinistra, di profilo, un uomo nudo cammina; a destra, una
donna, anch’essa nuda, si dirige verso di lui; si incontreranno? Improvvisamente, le immagini a sinistra e a destra spariscono, risuona un respiro; al centro una parete di cemento bianco, ripresa da molto
vicino, si trasforma in un ventre femminile. Poi le tre
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immagini mostrano pozzanghere che riflettono il cielo, alberi, silhouettes. Ecco che una forma si profila
sulla pupilla di un occhio filmato al contrario, mentre le immagini che lo inquadrano mostrano la pelle. Metamorfosi, ombre, superfici riflettenti, riflessi,
non rimandano ad una riflessione sulla loro fedeltà
mimetica; non sono affatto l’esperienza della pura ripetizione, ma il negativo della poesia che si fa immagine. La posta di quest’opera è metamorfizzare, riflettere la poesia in immagine. Secondo Adonis, «la
poesia è il luogo dove si incontrano tutte le arti»;7 ne
La certezza dell’ombra la poesia va incontro all’immagine.
In pieno sole l’ombra accompagna il viaggiatore
che cammina dentro il Grande Cretto; questo labirinto è, come la vita, fatto di vicoli ciechi, di caso e di
necessità. Nel trittico, l’uomo nudo e la sua ombra seguono con passi lenti la strada che gli si para davanti. Improvvisamente appare una visione apocalittica,
un paesaggio di fuoco. Esso annuncia purificazione
o distruzione? Nell’immagine centrale appare un’ombra umana, come se il video evocasse un fantasma.
L’inquietudine prende forma: l’immagine video è imago. Nella parola latina c’è più complessità che in “immagine”; imago non significa solamente copia, ritratto, statua, effige di cera ma, anche, ombra: quella
di un morto, di uno spettro, di un’immagine speculare. L’imago rinvia alla parte oscura della visione. Poi,
nell’immagine centrale del trittico, Adonis prosegue
il suo cammino: «il tuo sangue, o uomo, / è forse la
tua unica luce?».
Amore
Nel cammino accade che il poeta incontri una donna. Come rendere il poema d’amore in immagine? «Ho
abitato il viso di una donna che mi fa morire»; le parole del poeta sono potenti e chiamano in causa le potenzialità stesse dell’immagine. Al centro del trittico
si profila un’eclisssi. Segue una scena di autoerotismo; una giovane donna nuda si accarezza. Se essa
non è casta, l’immagine non è oscena; il video adotta il punto di vista del poeta per il quale «l’erotismo
è cultura, pensiero e immaginazione».8
Questo modo di impostare le cose non è nuova;
nel Rinascimento Tiziano ha dipinto un celebre quadro, La Venere di Urbino (1538), dove una donna nuda
si masturba distesa su un letto. Lei ci guarda, «sa ciò
che fa» e Tiziano ne fa un «quadro eccezionale» che
mette in scena «l’essenza erotica della pittura»: colui che guarda, commenta Daniel Arasse, «si dibat-
21
te fra il desiderio di fondersi con questa immagine e
la necessità di tenersene a distanza per poterla vedere».9
Se la Venere di Tiziano si tocca esplicitamente, la
giovane donna nel video di Jones e Ruggiano non si
offre allo sguardo che parzialmente; immagini fisse,
spesso sfumate, si alternano a intervalli irregolari seguendo un ritmo indeterminato. A intermittenza, al
centro del trittico, appare in primo piano la bocca del
poeta. Si stabilisce così un rapporto fra la sua bocca e il corpo femminile. L’amore della donna «è il nocciolo essenziale nella vita del poeta»,10 secondo la formula di Adonis; «l’amore è essenziale per l’atto della scrittura».11 Cosa rivela il movimento delle immagini? Senza dubbio un atto di pensiero che rimanda
alla stasi e a ciò che è principio del movimento: «L’uomo preso dall’amore che prova per la donna sente che
viaggia per ritrovarsi».12 Ne La certezza dell’ombra
le immagini del corpo femminile sono associate a quelle di una eclissi; l’amore procede con il crepuscolo.
Malinconia
Adonis cammina nell’immagine fumando un sigaro, l’uomo nudo e la sua ombra avanzano lentamente nel loro cammino nel labirinto di Gibellina. Errare
nel labirinto conduce alla malinconia. Al centro del trittico l’ombra del poeta si disegna al suolo, poi le ombre della grotta si profilano nelle tre immagini. Improvvisamente vedute del cielo, alberi, uccelli, spingono
lo sguardo verso l’alto. Il poeta recita:
una palma si spezza
e le lacrime incidono le sue foglie dorate:
una palma che apprese dalla malinconia
di essere interprete,
quaderno dai caratteri arabi
apprese dalla malinconia
nella cinta dei confini invisibili
Il poeta è al centro; a destra e a sinistra solo luoghi desolati: una casa distrutta, un cimitero, rovine…
Tutto non è che fuoco, polvere, cenere e pietra vulcanica: «la pietra mostra le difficoltà o gli ostacoli che
ci attendono nel nostro movimento».13 Rumori risuonano: turbinare d’aria cui si aggiunge il crepitare del
fuoco.
Poi, da un lato e dall’altro, la donna e l’uomo nudi
proseguono di fronte il loro cammino nel labirinto del
Grande Cretto. Si conosceranno? Al centro un’ombra
indistinta si aggira, quella del poeta o della Morte stes-
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POET WALKS IN THE IMAGE
by Sophie-Isabelle Dufour
In the video installation The certainty of shade,
the poet Adonis appears: «I live with the light», he
says in Arabic. The work is composed of three moving images horizontally placed, as in a triptych. «Even
if you came back, Odysseus», the poet recites as he
walks in the central image, an interval, between departure and return…
Movement
«I am different from Odysseus with regard to the
return. Odysseus values his return because he wanted to see his beloved Penelope again […]. I like to be
in perpetual movement».1 For Adonis, movement signifies “awareness”.2 It’s not surprising to see Adonis
walking in the moving images of Kali Jones and Maurizio Ruggiano. There is a fertile collaboration between the legendary Arab poet and the two artists.
Adonis recites his poems, images take shape. A parallelism occurs: poetry is image and the images are
poetic. The work’s mechanism is set in place «To write
poetry, says Adonis, one must walk outside of, or
within oneself, see, listen to music, breathe, make
love and do many other things…»3 For Jones and Ruggiano, to create video is to construct visual and
acoustic sensations related to «space, time, the internal, the external, knowledge of the self through the
other, death». La certezza dell’ombra, adopts all
these points of views. The video is dominated by Adonis’ presence, his unequalled face and voice: «The
Arabic language is sound, nature and human vivacity, it is intimately and organically connected to the
ear, to music and song.»4
One need not know Arabic to appreciate the poet’s
words; it’s enough to let oneself be transported by
their musicality which mingle with breaths and whispers. At the centre of the triptych, we periodically see
a grey stone wall, shot close up. The video then
shows the interior of a gigantic cave : the Ear of
Dionysius, thus named by Caravaggio in 1608. This
cave, an ancient rock quarry in Syracuse shaped like
an auricular pavilion has a remarkable ability to amplify sounds. It is said that here the ancient tyrant
22
Dionysius secretly listened to the conversations of
prisoners at work.
In the triptych, stills and intermittent images intercut, the shadows of visitors walking in the immense cave create strange visual effects. Rather than
representing a secondary reality, these shadows distinguish themselves from their reference by stimulating the reflection of the viewer.
Image
How could one not recall here the allegory of Plato’s
cave, the Western founding myth of the theory of
knowledge? If the platonic tradition considers the projected shadow as being «the furthest stage from
truth»,5 Jones’ and Ruggiano’s video, presents the
shadow as an anti platonic image and producer of
thought. The filmed shadow does not appear as a degenerate semblance but rather acts as a protagonist,
intriguing the viewer, leading him or her out of the cave
to see the world and its images.
To be in motion, to travel; it is the video image
which brought Adonis to the Grande Cretto at Gibellina, a monumental work of Land Art created by Alberto Burri. This immense labyrinth, composed of blocks
of white cement, follows the layout of the streets of
the former city of Gibellina. Let us recall some facts:
in the night between the 14th and the15th of January
1968, an earthquake shakes the entire Belice valley
(an area comprising the provinces of Palermo, Agrigento and Trapani) destroying the cities of Gibellina,
Poggioreale, Salaparuta and Montevago. An abandoned city, Gibellina, has become the site of a memorial: the Grande Cretto, entirely dedicated to the victims.
What takes place in the three images of the installation? Feet, naked and shod appear; in the centre,
Adonis walks, examines, explores the white labyrinth,
reciting poems related to the feeling of loss: «I worship
this gentle stone, I’ve seen my face in it, my own lost
poems.» On the left, we have the profile of a naked
man, walking; on the right, a naked woman, also seen
in profile, heads toward him. Will they meet? The images on the left and right abruptly disappear, a breath
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resounds; at the centre a wall of white cement, shot
close up, metamorphoses into a woman’s stomach.
Then all the three images display pools of water reflecting the sky, trees, silhouettes. A shape forms on
the pupil of a eye filmed upside-down, framed by skin
on either side. Metamorphoses, shadows, reflecting
surfaces, and reflections show little mimetic fidelity;
they are not the experience of pure repetition, but that
of poetry made image. According to Adonis, «poetry
is the place where all arts meet».6 In The certainty
of shade, poetry comes to meet the image. The video
installation attempts to transform, to imagine poetry in
images.
In full sunlight, the shadow accompanies the traveller in the Grande Cretto; as in life, the labyrinth is
full of dead ends, chance and necessity. The naked
man and his shadow walk slowly on the road which
lies ahead of them. Suddenly we see an apocalyptic
vision: a landscape on fire. Does it announce a purification or a destruction? A human shadow appears in
the middle image; as if the video had brought back a
phantom. An unease emerges: the video image is
imago. The Latin word is more complex than the word
“image”. The imago does not merely signify a copy, a
portrait, a statue, a wax effigy, but also the shade: of
a dead person, a spectre, a specular image. The imago echoes back to the dark part of vision. At the centre of the triptych, Adonis pursues his path:
«Mankind, is your blood the only light you have?».
Love
On the road, occasionally a poet meets a woman.
How does one transform a love poem into an image?
«I lived inside a woman’s face / She makes me die»;
the poet’s words are powerful, and so are the images.
At the centre of the triptych, an eclipse is followed by
an auto erotic scene; a young naked woman caresses her sex. Although she may not be chaste, the image is not obscene; the video adopts the point of view
of the poet for whom «eroticism is a culture, a way of
thinking and imagining».7
This conception of things is not new; during the
Renaissance, Titian painted his famous, The Venus of
Urbin (1538), representing a naked woman, lying on
a bed while masturbating. The Beauty looking at us,
«knows what she is doing», and Titian transforms her
into an «exceptional painting» staging «the eroticism
of painting itself»: the viewer, comments Daniel
Arasse, «is constantly shifting between the desire to
embrace this image, and the need to maintain a dis-
23
tance in order to see it».8
If Titian’s Venus explicitly caresses herself, the
young woman in Jones’ and Ruggiano’s video only
partially offers herself to our gaze; the stills, often
blurred, succeed one another intermittently with an
indeterminate rhythm. At the centre of the triptych,
the poet’s mouth appears periodically in close up.
Thus a rapport is established between the mouth and
the female body. His love for women «is central to
the poet’s life»,9 according to Adonis; «love is essential for the act of writing».10 What does the movement
of the images reveal? Most likely something to do
with the stationary and the moving: «In the love he
feels for a women, the man senses he is on a journey
of self discovery».11 Love is a journey of initiation;
the encounter with oneself occurs through the Other,
however, love also renders «death more extreme».
In The certainty of shade the images of the female
body are associated with those of an eclipse; love and
twilight are inextricably connected.
Melancholy
Adonis walks in the image smoking a cigar, the
naked man and his shadow slowly ambulate within
the labyrinth of Gibellina. Wandering the labyrinth inspires melancholy. At the centre of the triptych, the
poet’s shadow materializes on the ground, then the
shadows of the cave appear in all three images. Sudden views of the sky, trees, and birds propel the gaze
upwards. The poet recites:
A palm tree’s fronds are breaking off,
tears etched on its golden leaves.
A palm tree: grief has made it into an interpreter.
Is this a notebook
in Arabic
taught by grief,
fenced in by invisible boundaries?
The poet is at the centre; on either side we see
only desolate landscapes: destroyed houses, cemeteries, ruins… All is but fire, smoke, dust, ash and volcanic stone: «the stone shows us the difficulties or
the obstacles that await us in our movement».12 We
hear noises: the roaring of air mixes with the crackle of fire.
The naked woman and man; walk toward us, each
in their own image, continuing their journey in the
Grande Cretto. Will they meet? At the centre, an uncertain, blurred shadow roams: that of the poet or
Death itself? «All my years are but a passing fra-
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POÈTE MARCHE DANS L’IMAGE
di Sophie-Isabelle Dufour
Dans l’installation vidéo La certitude de l’ombre, le
poète Adonis apparaît: «Je vis avec la lumière», dit-il en
arabe. L’œuvre se compose de trois images mouvantes
placées, l’une à côté de l’autre horizontalement, à la manière d’un triptyque. «Même si tu revenais, Ulysse», récite le poète en marchant dans l’image du milieu, comme
dans un entre-deux, entre départ et retour…
Mouvement
«Je suis différent d’Ulysse en ce qui concerne le retour,
a-t-il confié lors d’un entretien. Ulysse tient à son retour
parce qu’il voulait revoir sa bien-aimée Pénélope […]. J’aime
être perpétuellement en mouvement».1 Pour Adonis, le
mouvement est «prise de conscience».2 Aussi n’est-il pas
surprenant de voir Adonis marcher dans les images mouvantes des artistes Kali Jones et Maurizio Ruggiano. Entre le légendaire poète arabe et les deux jeunes plasticiens,
la collaboration est féconde; Adonis récite ses poèmes, des
images prennent forme. Un chiasme se produit: la poésie est image et les images sont poétiques. Ainsi se met
en place le dispositif de l’œuvre. «Pour écrire un poème,
dit Adonis, il faut marcher au-dehors, ou bien marcher à
l’intérieur de soi-même. Il faut voir, écouter la musique,
respirer, faire l’amour et beaucoup d’autres choses…».3 Pour
Jones et Ruggiano, faire de la vidéo c’est créer des sensations visuelles et sonores ayant quelque chose à voir avec
«l’espace, le temps, l’intériorité, l’extériorité, la connaissance de soi à travers l’Autre, la mort». Dans La certitude
de l’ombre, tous ces points de vue sont adoptés. La vidéo
est dominée par la présence d’Adonis, son visage sans pareil et sa voix: «La langue arabe est son, nature et vivacité humaine. Elle est liée, de façon intime et organique,
à l’oreille, à la musique et au chant».4
Nul besoin de connaître l’arabe pour apprécier les mots
du poète; il suffit de se laisser porter par leur musicalité.
Celle-ci se mêle à des souffles, à des murmures; par intermittence, au centre du triyptyique vidéo, une paroi de
pierre grise, filmée en gros plan, se donne à voir. Puis la
vidéo montre l’intérieur d’une grotte aux dimensions exceptionnelles: l’oreille de Denys, ainsi nommée par le Caravage en 1608. Située à Syracuse, cette grotte, en forme
de pavillon auriculaire, a une particularité remarquable: son
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acoustique amplifie les sons. Du reste, on raconte que l’antique tyran Denys y écoutait en cachette les paroles échangées par les prisonniers au travail.
Sur le triyptyique, des images fixes se mêlent à des
images saccadées. Les ombres des visiteurs marchant dans
la gigantesque grotte créent d’étranges effets visuels. Ces
ombres ne sauraient être ici des réalités secondes par rapport à des réalités premières; elles se distinguent de leur
référent en appelant la réflexion du spectateur.
Image
Comment ne pas évoquer ici le mythe fondateur de la
théorie de la connaissance en Occident: l’allégorie de la
caverne de Platon? Si la tradition platonicienne considère
l’ombre projetée des choses comme, «le stade le plus éloigné par rapport à la vérité» un faux-semblant du réel,5 la
vidéo de Jones et Ruggiano, elle, la présente comme une
image anti-platonicienne productrice de pensée. L’ombre,
filmée par la vidéo, ne se donne pas comme un simulacre dégradé; elle intrigue celui qui la regarde et l’entraîne
en dehors de la grotte pour lui permettre de voir le monde
et ses images.
Se mettre en mouvement, voyager; c’est l’image vidéo qui a conduit Adonis à arpenter le Grande Cretto, à
Gibellina, œuvre monumentale de Land Art réalisée par
Alberto Burri. Cet immense labyrinthe, composé blocs de
ciment blanc, suit le tracé des rues de l’ancienne ville de
Gibellina. Rappelons quelques faits: dans la nuit du 14
au 15 janvier 1968, un tremblement de terre secoue toute
la vallée du Belice (la zone comprise entre les provinces
de Palerme, Agrigente et Trapani) et détruit les villes de
Gibellina, Poggioreale, Salaparuta et Montevago. Aujourd’hui abandonnée, Gibellina est le site d’un mémorial: le Grande Cretto, entièrement dédié aux victimes.
Sur les trois images vidéo de l’installation de Jones et
Ruggiano, que se passe-t-il? Des pieds nus ou chaussés
apparaissent; puis au centre, Adonis marche, arpente, explore le blanc labyrinthe et récite des poèmes ayant quelque chose à voir avec le sentiment de perte: «J’adore cette
pierre douce. / J’ai vu mon visage / dans ses veines, /
mes poèmes perdus». À gauche, un homme nu marche,
vu de profil; à droite, une femme nue, de profil elle aussi,
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se dirige vers lui; se rencontreront-ils? Soudain, les images de gauche et de droite disparaissent, un souffle résonne; au centre une paroi de ciment blanc, filmée de très
près, se métamorphose en un ventre féminin. Puis les trois
images font voir des flaques d’eau reflétant le ciel, des arbres, des silhouettes. Soudain, une forme se profile sur
la pupille d’un œil filmé à l’envers, tandis que les images
qui l’encadrent montrent de la peau. Métamorphoses, ombres, surfaces réfléchissantes, reflets ne sauraient engager une réflexion sur leur seule fidélité mimétique; ils ne
sont nullement l’expérience de la répétition pure, mais
l’épreuve de la poésie faite image. L’enjeu de l’installation
vidéo est de métamorphoser, de réfléchir la poésie en
image. Selon Adonis, «la poésie est le lieu où se rencontrent tous les arts»;6 dans La certitude de l’ombre, la poésie vient à la rencontre de l’image.
En plein soleil, l’ombre accompagne le voyageur qui
marche dans le Grande Cretto; ce labyrinthe est comme
la vie, fait d’impasses, de hasard et de nécessité. Sur le
triyptyique, l’homme nu et son ombre suivent à pas lents
la route qui se présente devant eux. Soudain apparaît une
vision apocalyptique: un paysage de feu. Celui-ci annoncet-il une purification ou une destruction? Une ombre humaine apparaît sur l’image du milieu; comme si la vidéo
faisait revenir un fantôme. Une inquiétude surgit: l’image
vidéo est imago. Il y a dans le mot latin plus de complexité
que dans «image»; l’imago signifie non seulement une copie, un portrait, une statue, une effigie en cire, mais aussi
de l’ombre: celle d’un mort, d’un spectre, d’une image spéculaire. L’imago renvoie à la part sombre de la vision. Puis,
au centre du triyptyique, Adonis poursuit sa route:
«Homme, ton sang est-il / la seule lumière qui soit tienne?».
Amour
Sur la route, il arrive qu’un poète rencontre une
femme. Comment transformer le poème d’amour en
image? «J’ai habité le visage d’une femme qui me fait
mourir»; les mots du poète sont puissants, il en va de
même en ce qui concerne les pouvoirs de l’image. Au centre du triyptyique, une éclipsen se profile. Suit une scène
d’auto-érotisme; une jeune femme nue se caresse le sexe.
Si elle n’est pas chaste, l’image n’est pas obscène; la vidéo adopte le point de vue du poète pour qui «l’érotisme
est une culture, une pensée et une imagination».7
Cette façon d’envisager les choses n’est pas nouvelle;
à la Renaissance, Titien a peint un tableau célèbre, La
Vénus d’Urbin (1538), représentant une femme nue, allongée sur un lit, qui se masturbe. La Belle nous regarde,
«sait ce qu’elle fait», et Titien fait d’elle un «tableau exceptionnel» en mettant en scène «l’érotique même de
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la peinture»: celui qui regarde, commente Daniel
Arasse, «est sans cesse pris entre le désir de l’embrasser, cette image, et la nécessité de se tenir à distance
pour pouvoir la voir».8
Si la Venus du Titien se caresse explicitement, la jeune
femme dans la vidéo de Jones et Ruggiano ne s’offre au regard que partiellement; des images fixes, souvent floues,
se succèdent de façon saccadée en suivant un rythme indéterminé. Au centre du triyptyique, la bouche du poète apparaît par intermittence en gros plan. Un rapport s’établit
ainsi entre la bouche et le corps féminin. L’amour de la femme
«est le noyau essentiel dans la vie du poète»,9 selon la formule d’Adonis; «l’amour est essentiel pour l’acte d’écriture».10
Que révèle le mouvement des images? Sans doute un mouvement de pensée ayant quelque chose à voir avec le fixe
et le mouvant: «L’homme dans l’amour qu’il éprouve pour
la femme sent qu’il voyage pour se retrouver».11 L’amour
est un voyage initiatique; la rencontre avec soi se fait avec
l’Autre. Mais il est aussi vrai que l’amour fait vire « la mort
de façon plus extrême».12 Dans La certitude de l’ombre, les
images du corps féminin sont associées à celles d’une éclipse;
c’est que l’amour va de pair avec le crépuscule.
Mélancolie
Adonis marche dans l’image en fumant un cigare,
l’homme nu et son ombre poursuivent lentement leur
route dans le labyrinthe de Gibellina. Errer dans le labyrinthe conduit à la mélancolie. Au centre du triyptyique, l’ombre du poète se dessine sur le sol, puis les ombres de la grotte se profilent sur les trois images. Soudain des vues de ciel, d’arbres, d’oiseaux propulsent le
regard vers le haut. Le poète récite:
Un palmier se brisait,
des larmes martelant ses feuilles dorées.
Un palmier qui apprit de la mélancolie
à se faire interprète.
Un cahier
à l’écriture arabe
enseignée par la mélancolie,
encerclée de frontières invisibles.
Le poète est au centre; à sa gauche et à sa droite,
il n’y a que des lieux désolés: maison détruite, cimetière,
ruines… Tout n‘est que feu, fumée, poussière, cendre et
pierre volcanique: «la pierre montre les difficultés ou les
obstacles qui nous attendent dans notre mouvement».13
Des bruits résonnent: grondement d’air auquel s’ajoute
le crépitement du feu.
Puis d’un côté et de l’autre, la femme et l’homme nus;
vus de face, marchant parrallèlement chacun dans son
image, ils poursuivent leur route dans le labyrinthe du
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NELLA PELLE DEL MONDO
di Laura U. Marks
La certezza dell’ombra crea un sentimento di
eternità che è vertiginoso. Adonis ha scritto alcune di queste poesie nel lontano 1961, 1965; successivamente, esse furono tradotte in francese, in
italiano, in inglese. La poesia è eterna, possiamo
dire, e certamente Adonis si situa in una antica
tradizione, il suo nom de plume e i suoi temi lo ricollegano all’antica poesia greca. Le poesie stanno benissimo in piedi da sole. Ma qui, il poeta sta
di fronte a noi, leggendo le parole che ha scritto
cinquanta anni fa. Poesie sulla morte, scritte da
un giovane uomo, lette dalla stesso uomo, anziano ormai. Questo è vertiginoso. Adonis scrive contro la fissità dei significati, contro l’identità. Può il
poeta, allora, incarnare di fronte a noi la non-continuità che le sue parole abbracciano?
Comunque, è una gioia assistere al grande poeta che fissa così intensamente nel bel video di Kali Jones e Maurizio Ruggiano, con la sua sciarpa
rossa e il suo sigaro, camminando nel labirinto.
Egli ci regala la sua voce, recitando le sue parole
con sentimento come se le avesse scritte ieri. Permette alla videocamera di studiare il paesaggio
della sua pelle raggrinzita, e, a tratti, sembra che
la pelle e la voce sono ciò che ci porta alla presenza di Adonis, piuttosto che l’unità del suo viso. Le
immagini di Jones e di Ruggiano sono vigorose,
appartengono agli elementi, come le poesie di
Adonis: si trattengono in vita con tutto ciò che
possono. Forti e giovani piedi si aggrappano al terreno anche il video si aggrappa alle superfici,
spesso preferendo delinearle, sebbene tenti di avvicinare la vita in se stessa. Una pietra; un ventre
levigato; la rude facciata di una pagina.
La pelle del poeta, la pelle del mondo: queste
superfici si premono una sull’altra attraverso tutta La certezza dell’ombra. Le poesie di Adonis evocano un denso intreccio del mondo con se stesso
e una inestricabile fusione di uomo e mondo. Nella quinta poesia, Unità, Adonis si fa tutt’uno con
l’universo, le sue palpebre sono le palpebre del
poeta – come un bambino che crede che il mondo
42
scompaia nel buio quando lui stesso che chiude gli
occhi. «Per chi di noi ha creato l’altro?». Il video
diffonde superfici di pelle che cullano un occhio fissamente aperto: l’unità del poeta e dell’universo.
L’acqua forma una delle superfici che unisce il
poeta alla sua esperienza. Nella quarta poesia,
Adonis diventa uno specchio che riflette ogni cosa. Piani di acqua riflettente riempiono i tre schermi del video. Il poeta dice come le lacrime nei
suoi occhi, coppia di perle, lo trascinino nel mondo delle acque; rendono lui e l’acqua come se fossero amanti. «Io sono nato nel nome dell’acqua \
acqua è nata in me \ io e l’acqua siamo gemelli».
Lo schermo centrale vibra come un batter d’occhi
e piange non appena l’acqua riflette l’accecante
luce del sole.
Un liquido scuro unisce il poeta, il mondo e
l’amata nell’ottava poesia. Un volto di donna. «Io
ho vissuto nel volto di una donna che visse nell’onda. Lei mi fa morire \ lei ama essere nel mio
sangue, al limite della follia \ e poi diventa un
oscurato faro». È una metafora molto esplicita dell’abbandono all’amore e del seguente perdere di
ogni punto di riferimento, scorrendo come un
oscuro liquido di sangue dentro un altro liquido
mondo d’acquamarina. L’immagine inscena questa fusione in una maniera ancora più sorprendente. Nello schermo c’è una scura forma sfuocata
posta di fronte ad una superficie pallida; poi, subito dopo, le labbra d’Adonis aperte; poi la forma
scura di nuovo, adesso però messa a fuoco: il folto pube di una donna. In una serie di immagini
fisse, sfuocate dal movimento, la donna si masturba fino a giungere all’orgasmo: in un rapido montaggio, il suo viso, distorto dal piacere, si fonde
con la faccia della Luna. Sovrapponendo insieme la
bocca del poeta, l’estasi della donna e la Luna, il
video di Jones e di Ruggiano onora Adonis e lo
prende in parola.
Queste poesie evocano lo spessore del mondo
in sé, uno spessore fra l’io e il mondo, così denso
che c’è così poco spazio per indietreggiare di un
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passo e vedere o ascoltare il mondo come una cosa separata da sé. La certezza dell’ombra sembra
gentilmente discoprire i densi piani del mondo, un
gesto leggero, abbastanza per farci sentire lo
spessore del mondo intorno a noi. Per questo molte delle immagini del video sono close-up: la trama delle rocce, la pelle, la sabbia, l’acqua. Essere
nel mondo, percepirlo, significa dividere costantemente i piani del mondo quel tanto che basta per
scivolarci dentro. Sebbene il mondo sia un mandarino dalla buccia delicata e le nostre percezioni scivolino fra la sua pelle e il frutto. Le alte, inclinate,
mura di pietra dell’Orecchio di Dionisio, dove sono state girate alcune delle affettuose immagini di
ombre umane che scorrono, ricordano l’idea del
mondo. Loro sembrano aver già diviso abbastanza perché la vita umana vi scorra dentro. La forma del trittico, anche, esalta questo sentimento;
a tratti, esso sbuccia il campo della visione sui due
lati, mentre noi avanziamo nello schermo centrale. Il trittico ci avvolge, ci abbraccia, ci piega nella sua pelle, e fa sì che la nostra apparenza ci venga tolta come se fosse una buccia.
Luce, e linguaggio anche, passano attraverso
le superfici del mondo, creando una somiglianza
di ciò che è differente: fra corpi e ombre, fra parole e cose. La luce trascorrente getta l’ombra delle cose, rendendole come cose separate. Il titolo
La certezza dell’ombra viene da una poesia che
racconta come la luce dia certezza all’ombra; sebbene l’ombra sia l’illusione della luce. La morte,
anche, nella diciassettesima poesia, è una luce improvvisa che rende le cose all’apparenza come se
fossero separate. «Quando io vidi la morte sul mio
cammino... io mi rifugiai / in un lampo di tuono,
teso sulla polvere». La morte è un lampo di tuono
che ci trascina nella polvere (una parola, turab,
che è legata alla parola tomba, turba). La luce fa
sì che le cose appaiano separate, inestricabili: la
luce lascia che l’ombra abbia la sua illusione di esistere, come la morte, nel suo lampo di luce, dà
alla vita l’apparenza di essere una cosa separata.
La scrittura, anche, sguscia il mondo via da sé.
L’undicesima poesia, tratta dalla serie Domande
sulle quali sono stato interrogato e a cui non ho ri-
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sposto, si riallaccia alla profonda frustrazione del
linguaggio che genera la poesia. Il poeta si lamenta del fatto che gli è stato chiesto perché lui, o
perché la poesia, abbia diviso le cose dai propri
nomi, facendo sì che essi lottino fra loro – perché
Adonis, più di chiunque altro, ha introdotto il modernismo nella poesia araba. «Perché ancora tutti voi sapete che esistono cose che non hanno nome?». In un’immagine che toglie il fiato per quanto è appropriata, uno stormo si raduna in una
sempre nuova e vivente unità, come uno stormo
di parole che scolpisce una cosa che diviene sfuggente, elusiva.
Adesso noi udiamo un frusciare e vediamo un
nodoso ceppo di radici intrecciate fra loro. Sono
radice di baobab, l’albero che ama la terra così
tanto che sgocciola le proprie radici giù dai suoi
alti rami. Appare, fra questo intrico di radici, la
bocca chiusa di Adonis nello schermo centrale,
ruotata in verticale, le labbra schiacciate fra loro.
L’immagine richiama le (non viste) labbra della
donna nella scena precedente, e anche l’intrico di
radici: pieghe fra le superfici, esterne ed interne.
La bocca del poeta qui è non solo il veicolo della
poesia, ma un passaggio materiale. Il suo occhio,
anche, nuvoloso e venato di rosso, appare come
una porzione di pelle, piuttosto che una finestra
sull’anima. Adonis dice Arafa al-akhir hijabun:
«Lui sa che l’altro è un velo». Questo verso, così
compatto, è bello. Conoscere che l’altro è un velo
ci fa rendere conto che noi siamo superfici uno all’altro, che ci fanno apparire separati. Così le pelli, siano esse di corpi o di alberi, sono le superficie ripiegate di una sostanza fondamentalmente
non divisa. Anche qui, lo spessore del mondo
schiaccia il poeta, lo avvolge, non fa distinzione
fra le entità. Egli continua, Ma’ thalika, mala’ zâhirhu bi’adab al-mâdda: «Tuttavia, egli colmò la
sua apparenza con la cortesia della materia».1 Così il poeta, con grazia, allontana l’illusione di essere un essere separato, colmando da se stesso un
velo.
Altrove questo velo brucia. Adonis amaramente fa appello ad un dio morto per rimpiazzare gli
dei delle religione («il miraggio del sabato, il mi-
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IN THE SKIN OF THE WORLD
by Laura U. Marks
The certainty of shade creates a feeling of timelessness that is vertiginous. Adonis wrote some of
these poems as long ago as 1961, 1965; eventually they were translated into French, Italian, English. Poetry is eternal, we can say, and certainly Adonis places himself in an ancient tradition, his nom
de plume and his themes linking to ancient Greek
poetry. And the poems stand on their own. But here
the poet stands before us, reading words he
wrote fifty years ago. Poems about death, written
by a young man, read by the same man, aged. This
is vertiginous. Adonis writes against fixed meaning, against identity. Can the poet, present before
us, embody the non-continuity his words embrace?
Anyway, it is a joy to behold the great poet
looking so well in Kali Jones’ and Maurizio Ruggiano’s beautiful video, with his red wool scarf and
his cigar, walking the labyrinth. He presents us
with his voice, performing his words with feeling
as though he wrote them just yesterday. He allows the camera to study the landscape of his
wrinkled skin, and sometimes it seems that his
skin and voice, rather than the unity of his face,
are what carry Adonis’ presence to us. Jones’ and
Ruggiano’s images and sounds are vigorous, elemental, like Adonis’ poems: they hold on to life
with all their might. Strong young feet grip the
earth. The video itself grips onto surfaces, often
preferring surface to outline, as though trying to
get close to life itself. A rock; a smooth belly; the
rough face of paper.
Skin of the poet, skin of the world: these surfaces press together throughout La certezza dell’ombra. Adonis’ poems evoke a thick intertwining
of the world with itself, and an inextricable mingling of person and world. In the fifth poem, Unity, Adonis and the universe are made one, for the
universe’s eyelids are his own eyelids – like a child
who believes that the world goes dark when she
closes her own eyes. «For which of us created the
other?» The video spreads out surfaces of skin
that cradle an unblinking eye: unity of the poet
44
and the universe.
Water forms one of the surfaces that unite the
poet with his experience. In the fourth poem, Adonis has become a mirror reflecting everything.
Planes of reflective water fill all three screens of
the video. The poet tells how tears in his eyes,
doubled pearls, tears bring him together with the
watery world; they make him and the water
lovers. «I was born in the name of water / Water
is born in me / Water and I are twins.» The central screen blinks and weeps as the water reflects
the blinding light of the sun.
A dark liquid unites the poet with world and
beloved in the eighth poem, A Woman’s Face. «I
lived in the face of a woman who lived in a wave.
She makes me die / she loves to be in my blood,
to the limit of madness / And then become a darkened lighthouse.» It is a powerful metaphor for
yielding to love and thus losing all point of reference, flowing as the dark liquid of blood inside another liquid world of seawater. The image stages
this merging in a most startling way. We see a
blurry dark form against a pale surface; then Adonis’ parted lips; then the dark form again, now in
focus: a woman’s pubic hair. In a series of still images, blurred by motion, the woman gives herself
over to orgasm: in quick edits, her face, distorted
by pleasure, mingles with the face of the moon.
Placing together the poet’s mouth, the woman’s
rapture, and the moon, Jones’ and Ruggiano’s
video honors Adonis and takes him at his word.
These poems evoke a thickness of the world
with itself, a thickness between self and world, so
dense that there is hardly space to back away
slightly and see, or hear, the world as a separate
thing. The certainty of shade seems to gently pry
apart the dense layers, just slightly, enough for us
to feel the thickness of the world all around us.
This is why so many of the video’s images are
seen from close up: the textures of rocks, skin,
sand, water. Yet to be in the world, to perceive the
world, is to be constantly parting the folds of the
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world just enough to slip through. As though the
world were loose-skinned tangerine and our perception slips between the peel and the fruit. The
high sloping stone walls of Dionysius’s Ear, where
some of the lovely images of passing human
shades were made, resemble this idea of the
world. They seem to have parted just enough for
human life to pass through. The triptych form of
the video also emphasizes this feeling, for sometimes it literally makes the field of vision peel away
on both sides as we move into the central image.
The triptych envelops, embraces us, folds us into
its skin, and lets our looking peel it apart.
Light, and language too, pass between the
world’s surfaces, creating a semblance of difference:
between bodies and shadows, between words and
things. The passing light casts the shadow of things,
making the things appear separate. The title The
certainty of shade comes from a poem telling that
the light gives certainty to the shadow; yet the
shadow is the illusion of the light. Death, too, in the
seventeenth poem, is a sudden light that makes
things appear separate. «When I saw Death on my
path… I was refuged / in a flash of lightning, drawn
upon the dust.»1 Death is a flash of lightning that
draws us on the dust (in a word, turâb, related to
the word for grave, turba). Light makes things appear separate that are really inextricable: the light
allows shadow to have its illusion of existence, just
as death, in its flash of light, gives a life the appearance of having been a separate thing.
Writing, too, peels the world away from itself.
The eleventh poem, one of Adonis’ series Questions I have been asked and have not answered,
calls up the profound frustration with language
that engenders poetry. The poet laments that he’s
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been asked why he, or why poetry, has divided
things from their names, made them wrestle with
each other – for Adonis, more than anyone else,
introduced modernism to Arabic poetry. «Why is it
that still all you know are the things that have no
names?» In a breathtakingly apt image, flocks of
starlings converge in an ever-changing, living unity, like a flock of words sculpting an elusive, everchanging thing.
Now we hear rustling and see gnarled roots
folded upon themselves. They are roots of the
banyan, that tree that loves the earth so much
that it drops down roots from its lofty branches.
Between these many-folded roots, Adonis’ closed
mouth appears in the central panel, seen as a vertical fold, lips pressed together. The image recalls
the (unseen) labia of the woman in the earlier
scene, and also the folds of the roots: folds between exterior and interior surfaces. The mouth
of the poet here is not only a vehicle for poetry
but a material passageway. His eye, too, cloudy
and red-veined, appears less a window into the
soul than part of the skin. Adonis says Arafa alâkhir hijabun: «He knew the other is a veil.» This
compact phrase is very beautiful. To know that another is a veil acknowledges that we present surfaces to each other that make us appear separate.
Yet skins, whether of bodies or of trees, are the
folded surface of some fundamentally undivided
substance. Here too, the thickness of the world
presses into the poet, encompasses him, makes
no distinction between entities. He continues, Ma‘
thalika, mala’ zâhirhu bi’adab al-mâdda: «Nevertheless, he filled out his appearance with material courtesy.»2 Thus the poet graciously carries out
the pretense of being a separate being, filling out
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DES
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POÈMES DANS LA PEAU DU MONDE
de Laura U. Marks
Le sentiment d’intemporalité que fait naître La
certitude de l’ombre est vertigineux. Certains de
ces poèmes d’Adonis remontent à 1961, 1965 et
n’ont été traduits en français, italien, anglais que
plus tard. La poésie est éternelle, aussi Adonis
s’inscrit-il dans une ancienne tradition, son pseudonyme et ses thèmes de prédilection étant liés à
la poésie grecque antique. Et les poèmes se révèlent d’eux-mêmes. Ici, le poète paraît pour lire les
mots qu’il a écrits un demi-siècle plus tôt. Des
poèmes sur la mort, écrits par un jeune homme,
lus par celui-ci alors qu’il est devenu âgé. C’est en
cela que réside le vertige. L’écriture d’Adonis se
dresse contre le sens strict, contre l’identité. Le
poète qui se trouve devant nous peut-il incarner la
non-continuité que renferment ses mots?
Quoi qu’il en soit, c’est un bonheur de voir,
dans cette très belle vidéo de Kali Jones et Maurizio Ruggiano, le grand poète portant beau avec
son écharpe rouge et son cigare, arpentant le labyrinthe. Il nous offre sa voix, rendant ses mots
avec émotion comme s’il venait à peine de les
écrire. Il laisse la caméra étudier les paysages de
sa peau ridée, si bien qu’il arrive parfois que sa
peau et sa voix, plutôt que l’harmonie de son visage, devienne le véhicule de sa présence. Les
images et les sons de Jones sont vigoureux, bruts,
comme les poèmes d’Adonis: ils s’accrochent à la
vie de toutes leurs forces. De jeunes et solides
pieds adhèrent à la terre. La vidéo elle-même
adhère aux surfaces, préférant souvent la surface
au contour, comme pour approcher de la vie
même. Une pierre, un ventre lisse; la face rugueuse d’une feuille de papier.
La peau du poète, celle du monde: ces surfaces
sont pressées l’une contre l’autre tout au long de
La certitude de l’ombre. Les poèmes d’Adonis évoquent un solide entrelacement du monde avec luimême, un inextricable mélange de l’individu et du
monde. Dans le cinquième poème, Unité, Adonis
et l’univers ne font qu’un car les paupières de
l’univers deviennent les siennes – tel une enfant
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qui, pour peu qu’elle ferme ses propres paupières, croit le monde plongé dans l’obscurité. «Ainsi,
qui de nous deux invente l’autre?» La vidéo étale
des surfaces de peau où se niche un œil qui ne
cille jamais: l’unité du poète et de l’univers.
L’eau constitue l’une de ces surfaces qui unissent le poète à son expérience. Dans le quatrième
poème, Adonis devient un miroir qui réfléchit tout.
Des plaines d’eau qui reflètent remplissent les
trois écrans de la vidéo. Le poète dit comment, les
larmes dans ses yeux, des larmes doubles, l’unissent au monde liquide; elles font de lui et de l’eau
des amants. «Je nais au nom de l’eau. / L’eau naît
en moi. / L’eau et moi / sommes jumeaux.» Rappelant un sanglot, l’écran central clignote alors
que l’eau reflète l’éblouissante lumière du soleil.
Dans le huitième poème, Le visage d’une
femme, c’est un liquide noir qui unit le poète au
monde. «J’ai habité le visage d’une femme habitant une vague (…) / qui me fait mourir, / heureuse de s’infiltrer dans mon sang, / pour naviguer jusqu’aux confins de la démence. / Et devenir un phare éteint.» Il s’agit d’une puissante métaphore de l’abandon amoureux entraînant la
perte des repères, se répandant comme le sang
noir dans un autre monde liquide, celui de l’eau
de mer. L’image met en scène cette confluence de
la manière la plus saisissante. On voit une forme
noire et floue contre une surface claire; puis les
lèvres ouvertes d’Adonis; puis cette forme noire à
nouveau, plus nette cette fois-ci: un pubis. Dans
une série d’images fixes que rend trouble le mouvement, la femme s’abandonne à l’orgasme:
grâce à un montage rapide, son visage, déformé
par le plaisir, se confond avec la face de la lune. En
superposant la bouche du poète, l’extase de la
femme et la lune, la vidéo de Jones et Ruggiano
rend hommage à Adonis et le prend au mot.
Ces poèmes évoquent une certaine épaisseur
entre le monde et lui-même, une épaisseur entre
soi et le monde, si dense qu’il en devient presque
impossible de prendre du recul et de voir, ou d’en-
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tendre, le monde comme un élément séparé de
soi. La certitude de l’ombre semble détacher délicatement les couches denses, à peine assez pour
nous permettre de sentir de toutes parts l’épaisseur du monde. De là les nombreux gros plans de
la vidéo: les textures des pierres, de la peau, du
sable, de l’eau. Etre dans le monde, percevoir celui-ci, n’en est pas moins écarter sans cesse les
plis du monde afin de s’y introduire. Comme si le
monde était une mandarine à chaire flasque et
que notre perception s’immisçait entre l’écorce et
la pulpe. Les parois inclinées de l’Oreille de Denys, où ont été filmées certaines des très belles
images des ombres de passants, évoquent cette
figure du monde. Elles semblent tout juste assez
écartées pour laisser passer une vie humaine. La
présentation en triptyque accentue cette impression, il arrive en effet que le champ de vision se
détache des côtés au fur et à mesure qu’on entre
dans l’image centrale. Le triptyque nous enveloppe, nous étreint, nous incorpore à sa peau,
comme pour laisser notre regard la peler.
La lumière, comme le langage, passent entre
les surface du monde créant un semblant de différence: entre les corps et les ombres, entre les
mots et les choses. La lumière mouvante projette
l’ombre des choses et donne l’impression qu’elles
sont distinctes les unes des autres. La certitude
de l’ombre est le titre d’un poème qui dit que la lumière confère à l’ombre sa certitude ; l’ombre
pourtant, est l’illusion de la lumière. Dans le dixseptième poème, la mort elle-même prend la
forme d’une lumière soudaine qui donne aux choses l’aspect du distinct. «Quand / j’ai vu la mort
sur ma route, (…) / J’ai trouvé refuge dans l’éclair
/ me suis trouvé tracé/ dans la terre.»1 La mort
est un éclair qui nous dessine sur la poussière
(tourâb, lié à tourba qui signifie tombe). La lumière donne l’aspect du distinct aux choses qui,
en fait, sont inextricables: la lumière donne à
l’ombre l’illusion d’exister tout comme la mort, en
un éclair, donne à une vie l’apparence du distinct.
L’écriture aussi détache le monde de lui-même.
Le onzième poème, qui s’inscrit dans la série des
«questions qui m’ont été posées, auxquelles je
n’ai pas répondu», évoque la profonde frustration
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face au langage qu’engendre la poésie. Le poète
se plaint qu’on lui demande pourquoi lui-même ou
la poésie a-t-elle séparé les choses de leurs noms,
les a forcés à se combattre, – car Adonis, plus que
tout autre, a introduit la modernité dans la poésie
arabe. «Pourquoi alors / sembles-tu n’avoir connu
/ que les choses / qui n’ont pas de nom?» Dans
une image d’une stupéfiante pertinence, des volées d’étourneaux convergent en une harmonie
sans cesse renouvelée, pareils à un essaim de
mots sculptant un objet insaisissable et sans cesse
transformé.
Plus loin on entend des bruissements et l’on
voit des racines noueuses qui s’entrecroisent. Ce
sont les racines du banian, cet arbre qui, à force
d’aimer la terre, laisse pendre des racines de ses
hautes branches. Entre ces racines entrelacées, la
bouche fermée d’Adonis apparaît sur l’écran central, tel un pli vertical, des lèvres serrées. L’image
évoque les lèvres (non montrées) du sexe d’une
autre scène, mais elle évoque aussi les entrelacements des racines: des plis entre surfaces extérieures et intérieures. La bouche du poète n’est
pas que le véhicule de la poésie, elle est un
conduit dans la matière. De la même manière, son
œil, trouble et légèrement injecté de sang, semble moins une fenêtre de l’âme qu’une partie de la
peau. Adonis dit «Arafa al-âkhir hijaboun»: «Il sait
que l’autre / n’est jamais qu’un voile.» Cette
phrase concise est très belle. Savoir que l’autre
est un voile, c’est reconnaître que nous présentons aux autres une surface qui nous montre séparé. Cependant, les peaux, que ce soient celles
des corps ou des arbres, sont la surface plissée de
d’une seule et même substance. Là encore,
l’épaisseur du monde pénètre le poète et l’englobe
à la fois, ne permettant aucune distinction entre
les entités. Il poursuit: «Ma‘ thalika, mala’ zâhirhou bi’adab al-mâdda»: «Mais il étoffe néanmoins,
/ avec une certaine courtoisie2 de la matière, / son
allure.» Ainsi le poète assume-t-il avec grâce sa
condition d’être distinct endossant son propre
voile.
Ailleurs, ces voiles brûlent. Adonis invoque avec
amertume un dieu mort afin de remplacer les
dieux des religions («le mirage du sabbat. / Et le
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L’INQUIETANTE
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DIMORA
di Houria Abdelouahed
Narrando, il poeta riscrive la Storia. Facendo ciò,
egli attraversa paesi, riveste l’orizzonte, prosciuga le lacrime, guarda, tocca, palpa, abbraccia la donna e ricama lo scialle… È il poeta-narratore-artigiano, che coincide con quanto sostenne Walter Benjamin, per il quale la narrazione non è l’opera di un
solo punto di vista. Nella vera narrazione, esiste
l’opera della mano. L’antica coordinazione dell’anima, dell’occhio e della mano è la coordinazione artigianale. «Il narratore deve essere posto nel novero dei maestri e dei saggi. Perché è per lui destino risalire il corso di tutta la sua vita […] e di poter narrare tutta la sua vita», scriveva Walter Benjamin.
Ne I canti di Mihyar il damasceno, come Nietzsche, Adonis esclama: «Dio è morto».
Ne La gaia scienza, Nietzsche evoca un dio cristiano che non è solamente morto, ma che fu assassinato dall’uomo. «Appartiene alla natura inquietante – scrive Heidegger in una riflessione sul nichilismo – dei più inquietanti ospiti di non poter nominare la propria origine». Se, come disse Hölderlin, lo splendore della divinità si è spento, questo significa che la metafisica si priva, da se stessa, della possibilità di essere messa in opera. Ma, con questa disfatta, «è il fondo del mondo, il suo fondamento, che si disfa» (Heidegger). Così il nichilismo diviene il movimento che precipita i popoli nella «sfera del potere dei tempi», nel senso che ripensare
la metafisica di Nietzsche significa allora «meditare la situazione e il luogo dell’uomo contemporaneo»
(Heidegger). Per colui che ha composto i Canti di
Mihyar, quell’uomo è forzosamente contemporaneo,
ma non necessariamente occidentale. Oltrepassando le frontiere, egli è, e dimora meticcio o plurale.
I paesi si intrecciano in un solo e medesimo progetto e in un medesimo movimento: quello che precipita gli abitanti della terra nella «sfera del potere dei
tempi». Se per Nietzsche, il cristianesimo è la manifestazione storica, secolare e politica della Chiesa e della sua volontà di potere, per Adonis, il monoteismo è un colpo di Stato politico. Adonis ha so-
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stenuto di aver voluto fare, nel seno della cultura
araba, quello che fece Nietzsche all’interno della cultura cristiana: distruggere la pienezza a favore di
ciò che sfugge. E il mondo diventa, così, senza salvezza.
Tuttavia, il Nietzsche di Adonis fu scoperto dopo
Eraclito e i mistici. «Tu non puoi attraversare il fiume due volte» rimanda a «Dio non si manifesta mai
due volte» del pensiero di Ibn Arabi. Pensiero che
riassume la sua risposta alla questione dei teologi:1 «Qual è la causa dell’inizio del mondo?», Ibn
Arabi, in una lettura sovversiva della Scrittura, risponde: wa lâ tazâlu kun walâ yazâlu at-takwîn («il
“sia!” è permanente. Così la creazione è essa stessa permanente, le cose sono eternamente originate perché perpetuamente sono distrutte»). Condotte dal respiro, esse sono distrutte non appena sono
dette. E la parola che sfugge all’idolatria.2 Il rinnovamento si compone dunque di forme infinite, inesauribili, grazie al nafas (il pneuma), indicato come
il yawm (il giorno). In quell’istante l’aria è l’invisibile supporto dell’immagine. Quell’immagine che intese l’imperativo “sia!”, l’imperativo come medium
originario della parola e come apertura sui corpi della lingua. E l’immagine che intende la voce e che
le consente di giungere, inscritta, nel venire al mondo, mentre il desiderio dell’Altro sostiene: “sia!” e
la cosa è. Questa è l’aria della phoné che traccia
l’immagine.3
Il Nietzsche di Adonis non è solamente colui che
critica il cristianesimo e il platonismo. È ugualmente e soprattutto colui che fa del corpo un metodo.
«Il corpo è un pensiero più misterioso di quanto un
tempo fu l’anima», scrisse Nietzsche e «Io mi sono
domandato se, sommato tutto, la filosofia fino ai giorni nostri non è stata solamente un’interpretazione
del corpo e un fraintendimento del corpo». Il mistero non è più l’anima, ma il corpo. L’enigma per Adonis è l’infinito del corpo. Se c’è un infinito finito, è
quello del corpo. Qui si incontrano Nietzche, Eraclito e i mistici. Nello stesso modo in cui Mihyar diventa damasceno, il triangolo akbariano (la conoscen-
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za, il conosciuto e il conoscente), in questo accordo di confluenti, diventa il triangolo del corpo. Così
il mistero del pensiero nicciano diventa il fiume d’Eraclito nel presente stesso dell’esperienza mistica, ogni
volta che essa si ripete.
La vera filosofia, per Nietzsche, è Dioniso e non
Socrate. Dioniso è il dio dello smembramento. Contro la Scrittura che sostiene: «egli è l’Unico», Ibn
Arabi rettifica: «Egli è l’Unico Multiplo». È quel pensiero dello smembramento e del multiplo che mi ha
sconcertato nella lettura de Commencement du corps
fin de l’océan. La raccolta è superbamente abitata
da una visione mistica e, a tratti, nicciana. Il multiplo è nell’uno del corpo. Attraverso le inclinazioni del corpo. Adonis cancella il pensiero dell’Uno (della teologia). Inoltre, se il corpo della femmina nelle opere teologiche è considerato come il luogo del
riposo e dell’appagamento,4 nella poesia di Adonis,
al contrario, dimora il godimento, nelle nozze, la separazione e l’abisso. Il poeta nomina l’abisso.
L’inquietante stranezza non risulta unicamente
dal tema (il simile che scompare in quanto simile
e il ritorno dello straniero in quanto familiare). Non
si tratta solamente dell’inquietante stranezza dell’essere, ma dell’inquietante all’interno della lingua
stessa. La pienezza avvolgente racchiude le cesure. Nella poesia d’Adonis, e ciò ancor di più nei Canti di Mihyar damasceno, la vigna non permette alcuna protezione, il muro è incrinato, il ponte è un
ponte di lacrime. «C’è qualcosa di più pericoloso della parola?» «Nulla», tale è la risposta di Heidegger.
E Adonis, continuando: «C’è un’acqua che placa la
sete dell’acqua?». La sua poesia dice ciò che è inquietante e angosciante nelle risorse primarie
della lingua. Non dimentichiamo che al-kalam (la
parole), l’atto fonematico, è hua al-jurh, la ferita.
«È un terrore che scava in noi l’angoscia delle parole», ha detto Adonis. Ci invita a pensare il negativo, l’angoscia del cominciamento.5 Pensare la familiarità conturbante della prima dimora.
«Dopo la mia nascita e dopo aver ricevuto il mio
nome, vivo al fianco della morte». Il nome, ism di
sumuww, nobiltà, altezza, samâ’, cielo, ciò che è
alto, elevato, attesta la propria sovranità sulle cose.
«Nessuna cosa è, laddove la parola manca» (Hölderlin). Il poeta, che risponde a questa esigenza di
richiamarsi alla potenza nominativa, la fa scintillare a tal punto che la parola ci tocca nel suo spaesamento.
49
Egli erra nel suo tormento e s’eleva
organizza il proprio diluvio, tale è il suo disegno
(Adonis).
Diluvio o vulcano, strillo o gridìo prolungato, pensiero o sensibilità, fonte o scarto…
Tutti questi cammini conducono alla parola, «La
casa dell’essere» (Hölderlin). Questa, per ultima,
lascia che venga il dire poetico, il delirio, l’atrio della lingua.
Il cammino verso la parola si dispiega nella parola, nella sua marcia verso il sito dell’infanzia, dove
il poeta-fanciullo gioca («nei miei passi e nelle mie
parole saltella un fanciullo»).
Allora,
i fiori cantano la poesia della semenza e danzano
nel vento delle fiamme.
(…) Io disegno la montagna e certi versetti
Fra una valle e l’altra
si spezza il filo del destino.6
Il filo del destino si spezza nel dire poetico:
– Chi pretende che le profezie non abbiano fine?
Chi tenta, chi si riveste delle tue interiora?
– Le stagioni
– Chi farà profezie per la terra se non c’è il cielo?
– L’acqua delle fonti, il fiore delle valli.
(…) Né mago, né profeta – solo il fuoco di una poesia.
Fiammeggiare e ardere è il dire poetico:
Che fai tu, o poeta?
In questo paese perduto?
Io assisto
alla nascita di altri paesi.
La poesia diventa lo spazio che sempre rinasce
dall’evento. E il poeta è colui che va verso la costruzione del luogo poetico.
In questo cammino, noi incontriamo la forma allo
stato nascente. Forme in movimento. Figlie del movimento. L’arte della lettura diventa grafica. La dimensione rappresentativa (la scomposizione della pagina) scorre in parallelo alla dimensione ritmica. Segno e forma, ritmo e immagine.
La questione del bianco è importante nella poesia d’Adonis. Il bianco nella parola e il bianco della pagina. Gli iati, il silenzio all’interno della lingua.
«Una effrazione del sempre nella parola» (André du
Bouchet). «È impossibile», ha detto Paul Claudel,
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«dare un’immagine esatta dei ritmi del pensiero se
non si tiene conto del bianco e dell’intermittenza.»
Il bianco non è un artificio grafico. Esso impone l’articolazione ritmica della pagina, in risonanza con
quello che lo sguardo ha accordato ad un tono determinato (Henri Maldiney). Quello che Rilke chiama «l’avventura silenziosa degli spazi fra gli intervalli». La struttura spaziale diviene temporale, quella dell’istante, nel senso «di un’istantaneità continuativa». «Io sono, da me stesso, ritmicamente il
mio evento» (Henri Maldiney).
In questo cammino poetico, in questa coreografia di parole, in questo ballo delle parole e delle cose,
la forma non è Gestalt, ma gestaltung, sempre in
divenire. La forma si dà forma. Noi avanziamo in
una poesia che non cessa di trasformarsi. La spazialità è quella dell’Aperto (Maldiney).
L’opera di Adonis è il cammino di se stessa. Apre
50
il cammino della propria formazione in una trasformazione perpetua. Adonis è lettore di Eraclito. Il ritmo è nel corso del fiume ed è nel gorgo delle acque. Il lettore di Eraclito è un fanciullo che gioca
e che si meraviglia davanti alla cosa, come se fosse la prima volta. Fin quando l’uomo è capace di
meraviglia, l’arte esiste.
L’arte del poeta unisce le curve delle donne alle
spalle delle colline. Ci fa sentire l’odore della stoffa, la sua delicatezza, il frusciare delle pieghe, l’ondulazione dello scialle, la cosa femminile e… ciò che
può essere tessuto e ricamato dalla lingua. Noi inspiriamo, tocchiamo, comprendiamo, sentiamo, palpiamo il blu azzurro o la stella che scintilla, la prima aurora o la sfumatura crepuscolare. Come se
si stia cercando di nominare l’enigma sensoriale.
Dopo la parola del narratore nel dire poetico, il vegetale cammina al fianco del minerale, che incro-
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THE
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UNCANNY HOME
by Houria Abdelouahed
Recounting history the poet rewrites it, poetically, and doing so passes across countries,
clothes the horizon, dries tears, looks around,
touches, feels, embraces women and embroiders
a wide mantle. He is poet, storyteller and artisan,
as we learn from Walter Benjamin for whom storytelling is not the work of a single craft. True story-telling bears the marks of the artist’s handprints. The ancient coordination of soul of eye and
of storytelling comprises the coordination of the
artisan. «The storyteller should be counted among
masters and sages,» says Walter Benjamin, «since
the task is given him to pass through the course
of his entire life to climb over again up again over
the path of his entire life… and to be able to tell
the story of his entire life.»
In Mihyar of Damascus, his songs, following the
example of Nietzsche, Adonis writes «God is
dead» [«I exchanged the god of blind stone, / And
the god of the seven days, / for a dead one»].
In The Gay Science Nietzsche invokes a Christian god who is not just dead, but who has been
assassinated by Man. «We’re dealing with an uncanny property,” writes Heidegger in his essay European Nihilism, with «that most uncanny of parasites which couldn’t identify its own origin.” If, as
Hölderlin says, the splendor of divinity has been
extinguished, this means that metaphysics loses,
by its own doing, its ability to evolve. With this
loss «it’s the basis of the world, its foundation
which is lacking” (Heidegger). Nihilism thus
evolves into a movement which thrusts people into «the sphere of time’s power,” in the sense
where rethinking Nietzsche’s metaphysics is then
«to comprehend the condition and the status of
contemporary man. Now, for the creator of Mihyar
of Damascus that man is inevitably contemporary
but not necessarily a westerner. As he crosses borders he is and he remains a mongrel, a plural. Nations coalesce in one and the same movement, in
the same motion: a motion which thrusts the inhabitants of the earth into «the sphere of time’s
51
power.” If for Nietzsche Christianity is the historical, secular, political manifestation of the Church’s
appetite for power, for Adonis monotheism is a political coup d’état. Adonis says he has intended to
create at the heart of Arab culture what Nietzsche
accomplished at the heart of Christianity: to abandon the fullness of its benefits in favor of that
which is hidden. And thus the world loses its salvation.
Nonetheless the Nietzsche of Adonis was
known before Heraclitus and the mystics. «You
cannot cross the same river twice” finds its rejoinder in Ibn ‘Arabî’s «God never manifests himself a
second time,” a thought still misunderstood by being truncated or oversimplified. When a theolo1
gian asks «what caused the beginning of the
world,” Ibn ‘Arabî replies, in a subversive reading
of that text which says wa lâ tazâlu kûn wa-lâ
yazâlu al-takwîn: the imperative “Be!” is permanent. Creation too is permanent, things begin continually and continually they are destroyed. Carried by the wind, they dissolve as soon as they are
spoken. And this is how the word escapes idola2
try.
Renewal takes place in infinite forms, inexhaustible thanks to the nafas (breath), designated as the yawm (the day). At that moment the air
is the invisible support for the image. That image
which has heard the imperative “Be!” the imperative as the words original voyage, as an opening
to the body of language. And the image, hearing
the voice and letting it in, at its arrival in the
world, inscribes the desire of the Other, saying
“Be!” And the thing is. It’s the melody of phôné
3
which shapes the image. Time, comments Ibn
‘Arabî, is present tense. It’s necessary to rethink
the orientation of Ibn ‘Arabî’s mysticism towards
the light not as the image of the divine reflected
in the heart, but as a present tense at the origin
of time, a constant renewal of creation in forms –
inexhaustible, infinite, never repeating itself and
always in the present. At the heart of that eternal
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movement every instant remains superbly unique.
The “Now of every instant,» in Heidegger’s beautiful expression. An “every instant” in the present
time of experience.
Now the Nietzsche of Adonis is not simply the
one who criticized Christianity and Platonism. He
is, equally, above all, the one who made the body
into a method. «The body is a thought more mysterious than the soul used to be,» Nietzsche
wrote. «And I have wondered if in its entirety if
philosophy has been, all along, nothing but an interpretation, and a miscomprehension, of the
body.» The mystery is no longer of the soul but of
the body. The enigma for Adonis is the unbounded nature of the body. If there is a bounded infinite it is the body. Here Nietzsche, Heraclitus and
the mystics encounter one another. In the same
way that Mihyar becomes a man of Damascus, the
akbarian triangle (knowledge, the known and the
knower) becomes, in this confluence of separate
streams, the body. The mystery of Nietzsche’s
thought becomes the river of Heraclitus in the Now
of every recurrence of the mystical experience.
The true philosopher, for Nietzsche, is not
Socrates but Dionysos, Dionysos the god of dismemberment. Now, confronting the text which
states «He is the One,» Ibn ‘Arabî amends it to «He
is the plural One.» Now, it is this concept of dismemberment and of the plural which astounded me
in my reading of «Setting out of the Body, all the
way to the Sea» (2003). That collection is inhabited, superbly, by a vision which is Nietzschean and
mystical all at once. The plural is in the body. It is
by means of he crooked grain of the body, that Adonis breaks the concept of the One. I would even
dare to say that with the crookedness of this multiple One (the body) that Adonis breaks the One (of
theology). Beyond that, if the woman’s body in theological collections is considered as the place of re4
pose and tranquility for the poetry of Adonis in the
encounter there lives a yawning gap, in weddings,
in separation and in the abyss. The poet names the
abyss.
Uncanny strangeness flows not simply from the
theme (that double which loses its identity as a
double, the return of the unfamiliar in the guise
of the familiar.) It is not simply a matter of the uncanny strangeness of being but that uncanny
presence at the very heart of language. Enveloping plenitude covers over the fissures. In the po-
52
etry of Adonis, ever since Mihyar of Damascus, the
vine forbids the growth of the tree, the wall is
cracked, the bridge is a bridge of tears. «Is there
anything more perilous than the word?» «Hardly.» This is Heidegger’s answer. And Adonis in
turn: «Is there water which quenches the water’s
thirst?» His poetry speaks what is uncanny and
agonizing in the original resources of language.
Let’s not forget that al-kalâm (the word) is the
phonemic act, the smallest particle of meaning,
hua al-jurh, the wound. «It is a dread,» says Adonis, «which carves into us the anguish of words.»
He invites us to think the negative, the fear of the
5
beginning. To think the dreadful familiarity of that
first dwelling.
«Since my birth, since I was named, I’ve been
in touch with death.» The ism (name), from
sumuww (nobility, eminence), samâ’ (sky, whatever is high, elevated), attests the supremacy of
things. «Where the word fails to reach let nothing
exist.» (Hölderlin). The poet, who answers this necessity by calling for the strength of naming,
makes it glisten by itself, until the word touches us
with its alienation…
He wanders though his pain.
He rechannels his flood; such is his fate. (Adonis)
Flood or volcano, shout or shriek, concept or
sensation, source or deviation… All those roads
lead to the word, «the house of being» (Hölderlin).
This last lets in the speech of poetry, delirium, the
ins and outs of language.
The road to the word unfolds inside the word as
it walks toward the real of the childish, where the
child plays («in my footsteps and in my words their
springs an infant.») And so,
Flowers sing poetry of the seed and dance in the
wind the dance of flames.
I sketch the mountain and there are verses
between one valley and another
which break the thread of fate.6
Fate's thread breaks in the poetic act:
“Who claims that prophecy has no end at all?
Who attempts it? Who dresses himself in your entrails?”
“The seasons.”
“Who besides the sky has made prophecies for the
earth?”
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“The water of springs, flowers of the valleys.
…Neither a magician nor a prophet – only the fire of
poetry.”
Poetic speech is a bursting into flame, enthusiasm.
“What are you doing, o poet
in this lost land?”
“I’m accompanying it
to the birth of other lands.”
Poetry becomes the space which gives rebirth
to the event. And the poet is he who walks towards the creation of a poetic space.
In the course of this journey we encounter the
form for the new-born state. Forms in motion.
The daughters of motion. The art of reading becomes a graphic art. The visual dimension (the
page’s fragmentation) goes hand in hand with the
dimension of rhythm. Sign and form, rhythm and
image. The question of blank space is important
in Al-Kitâb. The space inside the word and the
space on the page. The gap, the silence lodged
in the interior of language. «A break-in going on
constantly inside speech» (André du Bouchet).
«It is impossible,» says Claudel, «to determine
an exact image of the shape of thought with tak-
53
ing account of the blank space and the space between.» Blank space is not just a graphic contrivance. It demands the rhythmic articulation of
the page, harmonizes with what vision finds in itself, in tune with a fixed tone (Henri Maldiney).
What Rilke calls «the tranquil experience of the
intervals between.» The spatial structure becomes temporal, in the sense «of a continuous
instantaneousness.» «I am myself, rhythmically,
my own arrival» (Henri Maldiney).
In this poetic journey, in this choreography of
words, in the dance of words and of things, form
is not a Gestalt but a Gestaltung, always becoming. Form forms itself. We walk inside a poem
which never ceases transforming itself. The realm
of the spatial is the realm of the Open (Maldiney).
The work of Adonis is its own path. It opens the
path of its own constant transformation. Adonis is
a reader of Heraclitus. The rhythm is in the flow of
the river, the swirling of the water. The reader of
Heraclitus is a child at play, in wonder at the primal substance. To the extent that man is capable
of wonder, art exists.
The art of the poet unites the curves of woman
and with the smooth shoulders of the hills. He
makes us experience the smell of fabric, its delicacy, the crispness of its folds, the sinuosity of a
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L’INQUIÉTANTE
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DEMEURE
de Houria Abdelouahed
Narrant, le poète réécrit poétiquement l’Histoire. Ce faisant, il traverse des contrées, habille
l’horizon, essuie les larmes, regarde, touche,
palpe, embrasse la femme et brode la mantille… Il
est le poète-narrateur-artisan, rejoignant Walter
Benjamin pour qui la narration n’est pas l’œuvre
d’une seule voie. Dans la véritable narration,
existe l’œuvre de la main. L’ancienne coordination
de l’âme, de l’œil et de la main est la coordination
artisanale. «Le narrateur doit être mis au nombre
des maîtres et des sages. Car il lui est donné de
remonter le cours de toute sa vie (…) et de pouvoir narrer toute sa vie», écrivait Walter Benjamin.
Dans Les Chants de Mihyar le damascène, à
l’instar de Nietzsche, Adonis s’écrie: «Dieu est
mort».
Or, dans Le gai savoir, Nietzsche évoque un
dieu chrétien qui n’est pas seulement mort, mais
qui fut assassiné par l’homme. «Il appartient au
caractère inquiétant, écrit Heidegger dans une réflexion sur le nihilisme, de ce plus inquiétant des
hôtes de ne pas pouvoir nommer sa propre origine». Si, comme dit Hölderlin, la splendeur de la
divinité s’est éteinte, ceci signifie que la métaphysique se prive elle-même de sa propre possibilité
de déploiement. Seulement, avec ce défaut, «c’est
le fond du monde, son fondement qui fait défaut»
(Heidegger). Aussi le nihilisme devient-il le mouvement qui précipite les peuples dans «la sphère
de puissance des temps», dans le sens où repenser la métaphysique de Nietzsche, c’est alors «recueillir la situation et le lieu de l’homme contemporain» (Heidegger). Or, pour celui qui composa
les Chants de Mihyar, cet homme est forcément
contemporain, mais pas nécessairement occidental. Dans un dépassement des frontières, il est et
il demeure métisse ou pluriel. Les contrées s’enlacent dans un seul et même projet et un même
mouvement: celui qui précipite les habitants de la
terre dans «la sphère de puissance des temps».
Si pour Nietzsche, le christianisme est la manifes-
54
tation historique, séculière et politique de l’Eglise
et de son appétit de puissance, pour Adonis, le
monothéisme est un coup d’Etat politique. Adonis
dit avoir voulu faire au sein de la culture arabe,
ce que fit Nietzsche au sein du christianisme: rompre avec la plénitude au profit de ce qui se dérobe.
Et le monde devient ainsi sans salut.
Toutefois, le Nietzsche d’Adonis fut découvert
après Héraclite et les mystiques. «Tu ne peux traverser le fleuve deux fois.» rejoint le «Dieu ne se
manifeste jamais deux fois» de la pensée d’Ibn
Arabi. Pensée que résume sa réponse à la question du théologien:1 «Quel est la cause du commencement du monde?», Ibn Arabi, dans une lecture subversive du Texte répond: wa lâ tazâlu kun
walâ yazâlu at-takwîn («le ‘sois!’ est permanent.
Aussi la création est-elle permanente, les choses
sont éternellement commençantes car perpétuellement détruites»). Portées par le souffle, elles
sont défaites dès qu’elles sont dites. Et le mot
d’échapper ainsi à l’idolâtrie.2 Le renouvellement
se fait dans des formes infinies, inépuisables,
grâce au nafas (souffle) désigné comme le yawm
(le jour). A ce moment, l’air est l’invisible support
de l’image. Cette image qui entendit l’impératif:
«sois!», l’impératif comme traversée originaire de
la parole et comme ouverture sur le corps de la
langue. Et l’image, entendant la voix et consentant à venir, inscrit, dans la venue au monde, le
désir de l’Autre disant: «Sois!» Et la chose est.
C’est l’air de phôné qui trace l’image.3
Le Nietzsche d’Adonis n’est pas uniquement celui qui critiqua le christianisme et le platonisme. Il
est également et surtout celui qui fait du corps une
méthode. «Le corps est une pensée plus mystérieuse que jadis l’âme», écrit Nietzsche et «Je me
suis demandé si somme toute, la philosophie
jusqu’à aujourd’hui n’a pas été seulement une interprétation du corps et une mécompréhension du
corps.» Le mystère n’est plus celui de l’âme, mais
du corps. L’énigme pour Adonis c’est l’infini du
corps. S’il y a un fini infini, c’est bien le corps. Ici se
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rencontrent Nietzsche, Héraclite et les mystiques.
De la même façon que Mihyar devient damascène,
le triangle akbarien (la connaissance, le connu et le
connaissant) dans cette rencontre des confluents,
devient celui du corps. Aussi le mystère de la pensée nietzschéenne devient-il le fleuve d’Héraclite
dans le maintenant de chaque fois de l’expérience
mystique.
Le vrai philosophe, pour Nietzsche, est Dionysos et non Socrate. Dionysos est le dieu du démembrement. Or, face au Texte qui énonce: «Il
est l’Un», Ibn Arabi réctifie: «Il est l’Un multiple».
Or, c’est cette pensée du démembrement et du
multiple qui m’a bouleversée lors de ma lecture
du Commencement du corps fin de l’océan. Le recueil est superbement habité par une vision mystique et nietzchéenne à la fois. Le multiple est
dans l’un du corps. Par le biais du corps, Adonis
casse la pensée de l’Un. J’ai même envie de dire
que par le biais de cet un-multiple (le corps), Adonis casse l’Un (de la théologie). En outre, si le
corps de la femme dans les recueils théologiques
est considéré comme le lieu du repos et de l’apaisement,4 dans la poésie d’Adonis, dans la rencontre, demeure la béance, dans les épousailles, la
séparation et l’abîme. Le poète nomme l’abîme.
L’inquiétante étrangeté ne découle pas uniquement du thème (le semblable qui disparaît en tant
que semblable et le retour de l’étranger en tant que
familier). Il ne s’agit pas seulement de l’inquiétante
étrangeté de l’être mais de l’inquiétant au sein de la
langue même. La plénitude enveloppante enferme
des cassures. Dans la poésie d’Adonis, et ce depuis
les Chants de Mihyar le damascène, la vigne ne permet pas l’abri, le mur est fissuré, le pont est un pont
de larmes. «Y a-t-il quelque chose de plus périlleux
que le mot?» «Guère», telle est la réponse d’Heidegger. Et Adonis de poursuivre: «Y a-t-il une eau
qui étanche la soif de l’eau?». Sa poésie dit ce qui
est inquiétant et angoissant dans les ressources premières de la langue. N’oublions pas que al-kalâm
(la parole) qui est l’acte phonématique, hua al-jurh,
est la blessure. «Il est une terreur qui en nous
creuse l’angoisse des mots», dit Adonis. Il nous invite à penser le négatif, la détresse du commencement.5 Penser la familiarité effrayante de la première demeure.
«Depuis ma naissance et ma nomination, je côtoie ma mort». Le nom, ism de sumuww, noblesse, hauteur, samâ’, ciel, ce qui est haut, élevé,
55
atteste de sa souveraineté sur les choses. «Aucune chose ne soit, là où le mot faillit» (Hölderlin).
Le poète, qui répond à cette exigence d’en appeler à la puissance nominative, fait miroiter par lamême à quel point la parole nous touche de son
dépaysement.
Il erre dans son tourment et s’élève, –
Organise son déluge, tel est son dessein (Adonis).
Déluge ou volcan, cri ou hurlement, pensée et
sensorialité, sources et écart… Tous ces chemins
mènent à la parole, «la maison de l’être» (Hölderlin). Cette dernière laisse venir le dire poétique,
le délire, les aîtres de la langue.
Le chemin vers la parole se déploie dans la parole dans sa marche vers le site de l’infantile où le
poète-enfant joue («dans mes pas et dans mes
mots sautillent un enfant»).
Alors,
Les fleurs chantent la poésie de la semence et
dansent dans le vent la danse des flammes.
(…) Je désigne la montagne, et certains versets
Entre une vallée et une autre
Se brise le fil du destin.6
Le fil du destin se brise dans le dire poétique:
– Qui prétend que les prophéties n’ont point de
fin?
Qui tente, qui se revêt de tes entrailles?
– Les saisons.
– Qui prophétisa pour la terre si ce n’est le ciel?
– L’eau des sources, les fleurs des vallons.
(…) Ni magicien, ni prophète – seul le feu d’une
poésie.
Flamboiement et ardeur est le dire poétique:
– Que fais-tu ô poète?
Dans ce pays perdu?
– J’assiste
à la naissance d’autres contrées.
La poésie devient l’espace renaissant de l’événement. Et le poète est celui qui marche vers la
construction du lieu poétique.
Dans cette marche, nous rencontrons la forme
à l’état naissant. Formes en mouvement. Filles du
mouvement. L’art de lecture devient graphique.
La dimension représentative (le découpage de la
page) va de pair avec la dimension rythmique. Signe et forme, rythme et image.
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La question du blanc est importante dans la
poésie d’Adonis. Le blanc dans la parole et le blanc
de la page. Le hiatus, le muet à l’intérieur de la
langue. «Une effraction de toujours dans la parole.» (André du Bouchet). «Il est impossible, dit
P. Claudel, de donner une image exacte des allures de la pensée si l’on ne tient pas compte du
blanc et de l’intermittence.» Le blanc n’est pas un
artifice graphique. Il commande l’articulation rythmique de la page en résonance avec laquelle le
regard se trouve accordé à un ton déterminé
(Henri Maldiney). Ce que Rilke nomme «l’aventure
silencieuse des espaces intervallaires». La structure spatiale devient temporelle, celle de l’instant
au sens «d’une instantanéité continue». «Je suis
moi-même rythmiquement mon avènement»
(Henri Maldiney).
Dans cette marche poétique, dans cette chorégraphie des mots, dans le bal des mots et des cho-
56
ses, la forme n’est pas Gestalt mais gestaltung,
toujours en devenir. La forme se forme. Nous marchons dans un poème qui ne cesse de se transformer. La spatialité est celle de l’Ouvert (Maldiney).
L’œuvre d’Adonis est le chemin d’elle-même.
Elle fraie le chemin de sa propre formation en
transformation perpétuelle. Adonis est lecteur
d’Héraclite. Le rythme est dans le cours du fleuve
et il est dans les remous de l’eau. Le lecteur d’Héraclite est un enfant qui joue et qui s’étonne devant la chose première. Et tant que l’homme est
capable d’étonnement, l’art existe.
L’art du poète unit courbes de femmes à des
épaules de collines. Il nous fait sentir l’odeur de
l’étoffe, sa délicatesse, le froissement des plis,
l’ondulation des mantilles, la chose féminine et
…ce qui peut être tissé ou brodé en langue. Nous
humons, touchons, entendons, sentons, palpons
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POETA NEL GIARDINO DEI MITI
di Francesca Corrao
La Sicilia, giardino senza steccati, dove ogni
storia si trasforma in mito ospita spesso Adonis,
da circa trent’anni. Il grande poeta arabo ama
molto l’Italia per la sua accoglienza e in particolare trova in Sicilia l’eredità dell’umanesimo europeo inaugurato da Federico II. Adonis ama tornare sui luoghi dove gli Arabi hanno lasciato le gemme migliori della loro antica civiltà, dove egli coglie l’alba di un armonioso meticciato, sola prospettiva di pace in questo tempo in cui il colloquio
con l’altro diviene sempre più difficile. La poesia di
Adonis è dialogo, è incontro tra il nuovo significato immaginato dal poeta e le cose, è un incessante desiderio di dare nuovo senso alle parole per
comunicare sogno e bellezza.
Adonis come novello Omero raccoglie le leggende dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo
per cantare la nuova Itaca. Il non-luogo dove gli
esseri umani di ogni provenienza ritrovano la loro
dimora di pace spogliandosi dagli angusti vincoli
dell’appartenenza forieri di odio. Adonis come il filosofo Gianbattista Vico, crede che la poesia sia la
fonte di ogni conoscenza, che in versi trasmette
la memoria, e pertanto è sedimento del passato e
prevede il futuro. La poesia di Adonis nasce nella
pace delle campagne siriane; sin dagli esordi ha
ereditato il messaggio delle antiche civiltà mediterranee. Nella sua terra un verso di Giovenale diventa proverbio che lui ama citare per sottolineare quanto le nostre vite siano legate da tempo immemorabile: “L’Oronte di Siria sfocia nel Tevere”.
I conflitti politici e le guerre lo hanno spinto esule
volontario verso altri approdi a portare una visione nuova, diversa. La sua poesia ha anticipato l’arrivo dei profughi il dolore del loro estraniamento,
il difficile incontro con la solitudine della modernità. Ha riscattato in pagine di gloria i devastanti
decenni di guerra e nel suo viaggio verso l’Occidente ha trovato in Sicilia la possibilità di vedere
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realizzato il sogno di un incontro possibile, la capacità di trasformare la tragedia in bellezza, la storia in mito.
La parola per Adonis è la sua casa, sa che in
essa si cela la potenzialità del cambiamento; la
parola è profetica e ci traghetta verso una nuova
cultura che accoglie nuovi sensi e li fa propri, come nel dialetto siciliano, dove le parole arabe si
mischiano all’italiano, come nei cibi e nei profumi
dove le culture si incontrano per creare un trionfo
di bellezza. Questa visione ammalia Adonis tanto
da farsi coinvolgere da me nel promuovere incontri su temi a lui cari per la Fondazione Orestiadi di
Ludovico Corrao a Gibellina. Questa in Europa rappresenta una vera rivoluzione nel comportamento, perché ribalta la sottomissione all’eredità neocoloniale che vede sempre l’Occidente maestro
dell’Oriente. Insieme ad artisti e intellettuali provenienti da ogni parte del mondo, ci siamo interrogati su argomenti di attualità. In questi incontri
insieme abbiamo maturato l’abitudine a dialogare
e Adonis ci ha insegnato l’arte dell’ascolto; insieme a Gibellina abbiamo imparato a diventare portatori di una nuova weltenschaung, basata sul dialogo, sull’incontro e sul rispetto della dignità umana.
A Gibellina Adonis ha recitato con Mimmo Cuticchio in un incontro tra l’epopea di Orlando e il ricordo dell’Andalusia araba. Ha sentito le sue poesie accompagnate dalla musica a Catania ed è tornato a leggere in arabo dove un tempo regnavano i principi musulmani, da Caltagirone a Siracusa fino alla Cuba di Palermo.
Nel suo viaggio ci ha sempre ricordato che siamo noi i primi a dover cambiare, per aprirci ad una
visione che trasforma il presente, per non essere
dominati dalla retorica di un linguaggio che manipola.
Secondo Adonis il poeta dà nuovo senso alle
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parole, a partire dalle quali si può cambiare la visione del mondo, perché solo armonizzando le nostre intime dicotomie possiamo proiettare una visione migliore di noi stessi e del mondo.
Adonis ha trovato in Sicilia l’orecchio di Dionisio, metafora perfetta dell’importanza dell’ascolto, e le latomie testimoni delle tante civiltà che
l’hanno arricchita. Ma per noi la vera miriabilia è
l’arte del poeta, dell’uomo profeta che ha il dono
di trasformare il male in bene; per questo Adonis si trova a suo agio in questa terra dei miti,
dove ha incontrato gente capace di mutare le tragedie dei terremoti e di creare nuove pagine di
arte nella storia dell’umanità.
Adonis
Il più grande poeta arabo vivente è nato a Qassabin, in Siria (1930). Sin da giovane si afferma come
una promessa nell’agone poetico, si impegna in politica ma, la difficile situazione lo porta a lasciare Damasco dopo la laurea e ad emigrare a Beirut. La pubblicazione della prima antologia (Poesie prime, 1957)
ottiene molti consensi, e il poeta libanese Yùsuf alKhal lo coinvolge nella creazione della rivista d’avanguardia “Shi‘r” (Poesia). Adonis a Beirut partecipa al
dibattito animato dagli intellettuali di diverse tendenze sui grandi temi dell’innovazione e della sperimentazione artistica. Assieme ad altri letterati, tra cui il
palestinese Jabra Ibrahim Jabra forma il gruppo
“Tammuz” (dal Dio della fertilità babilonese) per promuovere il rinnovamento della struttura poetica araba e rileggere in chiave moderna sia il patrimonio
della tradizione arabo islamica sia quello delle civiltà
del Medio Oriente antico. Di ritorno da un anno di
studio a Parigi scrive Canti di Mihyar il damasceno
(1961), un’opera di taglio metafisico strutturata in-
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torno ad un tema centrale che segnerà un cambiamento fondamentale nella sua produzione e nella
tradizione poetica araba.
Rompe definitivamente con la poesia a rima baciata, opta per il verso libero e la poesia in prosa.
Adonis sviluppa un discorso essenziale, per molti
versi vicino alla poetica di René Char. Nella sua
poesia i versi diventano come arcipelaghi in cui le
frasi si aggrumano formando mirabili immagini e
suoni. Nei poemi in prosa mantiene una scrittura
fitta, ritmata con un forte uso dell’allitterazione. A
volte lascia la prosa per riprendere il verso libero
e procede per immagini astratte; poi torna alla
scrittura in prosa dove espone le sue riflessioni più
filosofiche.
Adonis si fa promotore della rilettura critica della poetica classica araba pubblicando studi innovativi e le riviste “Afaq” (1964) e “Mawaqif” (1968)
dove ospita le più ardite sperimentazioni nel campo della poesia, le esperienze in lingua dialettale,
i poemi in prosa e traduzioni.
Negli anni in cui divampa il nazionalismo arabo,
Adonis prende le distanze dai poeti impegnati, difendendo la libertà dell’artista da chi lo vorrebbe
ossequiente al potere. Mentre la sconfitta del 1967
sancisce la fine dell’illusione che la sola unità araba avrebbe portato al progresso, il poeta ribadisce
nel poema Ecco il mio nome (1969) la necessità di
riformare l’atteggiamento arabo e di risvegliare
l’innata capacità creativa per forgiare nuovi ideali
più consoni allo spirito del tempo.
Negli anni in cui esplode la guerra civile a Beirut, Adonis è testimone della cronaca dell’orrore
quotidiano che registra ne Il Libro dell’assedio
(1985).
Sul finire della guerra si trasferisce in Francia dove vive tuttora. Nella nuova condizione di emigrato
Adonis si impegna nella rilettura della produzione
occidentale con lo sguardo dell’ospite straniero, curioso e disincantato. In Occidente incontra il favore
del pubblico e della critica per il linguaggio essenziale che aiuta la lettura di temi articolati e complessi. Nelle sue opere si ritrovano valori e atmosfere diverse ma al tempo stesso complementari, che
sovente rispecchiano universi poetici a noi noti, come quelli di Char e Rimbaud.
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POET IN THE GARDEN OF MYTHS
by Francesca Corrao
Sicily, a garden without fences, where stories
become myth, has often welcomed Adonis over
the last thirty years. The great Arab poet loves
Italy for its hospitality and Sicily in particular
which he sees as embodying the inheritance of European humanism inaugurated by Frederick II.
Adonis loves to return to places where the Arabs
left the most beautiful gems of their ancient civilization, where he senses the dawn of a harmonious blending of cultures, the sole possibility for
peace at a moment when communication with the
other is increasingly difficult. Adonis’ poetry is a
dialogue, between a new significance imagined by
the poet and things, it is an continuous longing to
give words a new sense, to convey dream and
beauty.
A contemporary Homer, Adonis gathers the legends of the peoples of the Mediterranean, singing
a new Ithaca. The non-place where human beings
of every origin rediscover a haven of peace, free
from the ties of belonging which give rise to hatred. Like the philosopher Gianbattista Vico, Adonis sees poetry as the ultimate source of knowledge, transmitting memory in verse, sedimenting
the past, foreseeing the future. The poetry of Adonis is born in the tranquillity of the Syrian countryside; from the beginning, he inherited the message of the ancient Mediterranean civilizations. In
his country, a poem by Giovenale becomes a
proverb which he loves to cite to remind us just
how much our lives are connected from time immemorial: “The Syrian Oronte flows in the Tiber”.
Political conflicts and wars have pushed him into
voluntary exile toward other shores where he has
brought a new and different vision of the world.
His poetry anticipated the arrival of refugees, the
pain of their estrangement, the difficult encounter
with the loneliness of modernity. He reconfigured
59
decades of devastating war into glorious pages
and in his journey toward the West, in Sicily he
found the possibility of realizing the dream of an
impossible encounter, the ability to transform
tragedy into beauty, history into myth.
Adonis inhabits the word, he knows it conceals
the potential for change; the word is prophetic and
transports us toward a new culture which welcomes new senses, appropriating them, just as in
the Sicilian dialect, where Arabic words mix with
Italian, as in the flavours and perfumes where cultures meet in a triumph of beauty. Enchanted by
this concept, Adonis becomes involved with me in
organizing encounters on themes dear to him for
Ludovico Corrao’s Orestiadi Foundation at Gibellina. In Europe this represents a true revolution in
attitude, as it inverts the submission to a neocolonial authority which forever sees the West as the
master of the East. Together with artists and intellectuals from around the world, we have reflected
upon current events and Adonis has taught us the
art of listening; at Gibellina we have learned to
become the messengers of a new weltenschaung,
based on dialogue, the encounter and the respect
for human dignity.
At Gibellina Adonis recited with Mimmo Cuticchio bringing together the epic of Orlando and the
memory of Arab Andalusia. Adonis has heard his
poems accompanied by music in Catania and returned to read in Arabic where Moslem princes
once ruled, from Caltagirone to Syracuse to the
Cuba in Palermo.
In his journey, he has always reminded us that
we must first change ourselves in order embrace
a vision which transforms the present so as not to
be manipulated by the rhetoric of language.
According to Adonis the poet gives new sense
to words, a sense which can change our vision of
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the world, only through harmonizing our intimate
dichotomies can we project a better vision of ourselves and the world.
In Sicily, Adonis found the ear of Dionysius, a
perfect metaphor for the importance of listening,
and the quarries which attest the numerous civilizations that have enriched this land. For us however, the true wonder is the art of the poet, a human prophet capable of transforming evil into
good; that is why Adonis is at ease in this land of
myths, where he encountered persons capable of
transmuting the tragedy of earthquakes and create new pages of great art in the history of humanity.
Adonis
The greatest living Arab poet was born in Qassabin, Syria (1930). From a young age he proves to
be a promising figure on the poetic scene, he also becomes involved in politics but the difficult situation in his country forces him to leave Damascus; after receiving his university degree he emigrates to Beirut. The publication of his first anthology (First Poems, 1957) receives much acclaim
and the Lebanese poet Yùsuf al-Khal involves him
in the creation of the avant-garde magazine
“Shi’r” (Poetry). In Beirut, Adonis is active in debates on the great themes of innovation and artistic experimentation alongside intellectuals of varying tendencies. Together with the Palestinian Jabra
Ibrahim Jabra and other men of letters, he forms
the group “Tammuz” (named after the Babylonian
God of fertility) to promote a renewal of the Arabic poetic structure and a contemporary rereading of both the inheritance of the Arab Islamic tradition and that of the civilizations of the ancient
Middle East. Upon his return from Paris after a
year of study, he writes the Songs of Mihyar of
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Damascus (1961), a metaphysical work structured
around a central theme, which will signal a fundamental change in both his writing and the Arab
poetic tradition.
Adonis definitively abandons the rhyming couplet, opting for free verse and poetry in prose. He
develops an essential discourse, similar to the poetic of Rene Char. In his poetry, the verses become
archipelagos, clusters of phrases that form fantastic sounds and images. The prose poems maintain
a tight style characterized by a powerful rhythmic
alliteration. At times Adonis moves from prose to
free verse, proceeding with abstract images; then
returns to prose to expound on his more philosophical reflections.
Adonis promotes a critical rereading of the classical poetic, publishing innovative studies as well
as the magazines “Afaq” (1964) and “Mawaqif”
(1968) where he welcomes the most original experimentations in the field of poetry, experiences
in dialect, poems in prose and translation.
During the years of intense Arab nationalism,
Adonis distances himself from politically engaged
poets, defending the creative freedom of the
artist. While the 1967 defeat dissolves the illusion
that only Arab unity could bring progress, the poet recalls in his poem This Is My Name (1969) the
need to reform the Arab attitude and reawaken its
innate creative ability to forge new ideals more in
tune with the spirit of the time.
Witnessing the daily horrors as war rages for
years in Beirut, Adonis chronicles them in the The
Book of siege (1985).
Near the end of the war, he moves to France
where he still lives today. In his new condition as an
emigrant, Adonis engages upon a rereading of western literature with the eyes of a foreign guest, curious and disenchanted. He is met favourably in the
West by both the public and critics for his use of essential language in re-imagining complex, articulated themes. In his work there are values and atmospheres which are both diverse and complementary,
often reflecting poetic universes familiar to us, such
as those of Char and Rimbaud.
Adonis frequently travels narrating his encounters with the writers and poets of the world in the
London based Arabic daily paper, al-Hayat, maintaining a lively dialogue with Arabs of the Middle
East and of the diaspora.
In the last few years he has written a monu-
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POÈTE DANS LE JARDIN DES MYTHES
de Francesca Corrao
La Sicile, ce jardin sans clôture, où chaque histoire se transforme en un mythe, reçoit souvent
Adonis, depuis une trentaine d’années. Le grand
poète arabe aime beaucoup l’Italie pour son accueil
et en particulier la Sicile qui recèle selon lui, l’héritage de l’humanisme européen inauguré par Frédéric II. Adonis aime revenir sur les lieux où les arabes ont laissé les plus beaux joyaux de leur antique
civilisation, là où il cueille l’aube d’un harmonieux
métissage, seule perspective de paix en ces temps
où le colloque avec l’autre se fait de plus en plus
difficile. La poésie d’Adonis est dialogue, c’est la
rencontre de la nouvelle signification imaginée par
le poète et des choses, c’est un désir incessant de
donner un sens nouveau aux mots pour communiquer le rêve et la beauté.
Comme un nouvel Homère, Adonis rassemble
les légendes des peuples du Bassin méditerranéen
pour chanter la nouvelle Ithaque. Le non-lieu où
les hommes de toutes provenances retrouvent un
havre de paix, débarassés qu’ils y sont des obstacles difficilement contournables de l’appartenance
qui alimentent la haine. Comme le philosophe
Giambattista Vico, Adonis pense que la poésie est
la source de toute connaissance, qu’en vers, elle
transmet la mémoire, et qu’ainsi elle sédimente le
passé et prévoit l’avenir. La poésie d’Adonis naît
dans la paix des campagnes syriennes; dès ses débuts, il a hérité du message de la civilisation méditerranéenne antique. Dans son pays, un vers de
Giovenale est devenu un proverbe qu’il aime citer
pour rappeler combien nos vies sont intimement
liées depuis la nuit des temps: “L’Oronte de Syrie
se jette dans le Tibre”. Les conflits politiques et les
guerres l’ont conduit, exilé volontaire, sur d’autres
rivages pour y apporter une vision des choses nouvelle, différente. Sa poésie a anticipé l’arrivée des
réfugiés, la douleur de leur extranéité, la difficile
rencontre de la solitude de la modernité. Il a racheté dans des pages glorieuses des décennies de
guerre dévastatrices et en voyageant vers l’Occident, il a trouvé en Sicile la possibilité de voir se
61
réaliser le rêve d’une rencontre impossible, la capacité de transformer la tragédie en beauté, l’histoire en mythe.
La parole est le foyer d’Adonis, il sait qu’elle
renferme la potentialité du changement; la parole est prophétique et nous transporte vers une
nouvelle culture qui accueille des sens nouveaux
et se les approprie, comme cela arrive dans le
dialecte sicilien, où des termes arabes se mélangent à l’italien, dans les plats culinaires et les parfums où les cultures se rencontrent pour créer un
triomphe de beauté. Cette “alchimie” envoûte
Adonis au point qu’il s’est laissé entraîner par moi
dans l’organisation de rencontres sur des thèmes
qui lui sont chers pour la Fondation Orestiadi de
Ludovico Corrao à Gibellina. En Europe, celle-ci
représente une véritable révolution dans les comportements, parce qu’elle renverse la soumission
à l’autorité néocoloniale qui voit toujours l’Occident comme le maître de l’Orient. Tous ensemble, avec des artistes et des intellectuels venus
de partout dans le monde, nous nous sommes interrogés sur des sujets d’actualité. Lors de ces
rencontres, nous avons pris l’habitude de dialoguer et Adonis nous a enseigné l’art de l’écoute;
ensemble à Gibellina, nous avons appris à devenir les messagers d’une nouvelle weltanschaaung,
basée sur le dialogue, la rencontre et le respect
de la dignité humaine.
A Gibellina, Adonis a récité avec Mimmo Cuticchio unissant l’épopée de Roland au souvenir de
l’Andalousie arabe. Il a écouté ses poésies accompagnées de musique à Catane et est revenu lire en
arabe là où régnaient autrefois des princes musulmans, de Caltagirone à Syracuse jusqu’à la
Cuba de Palerme.
Durant son voyage, il n’a cessé de nous rappeler que nous sommes nous les premiers à devoir
changer, pour nous ouvrir à une façon de voir qui
transforme le présent, pour ne pas rester dominés
par la rhétorique du langage qui manipule.
Selon Adonis, le poète confère un sens nou-
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veau aux mots, grâce à quoi il devient possible de
modifier notre vision du monde, parce que ce n’est
qu’en harmonisant nos dichotomies intimes que
nous pourrons projeter une vision meilleure de
nous-même et du monde
En Sicile, Adonis a trouvé l’oreille de Denys,
métaphore parfaite de l’importance de l’écoute, et
les latomies qui témoignent des nombreuses civilisations qui ont enrichi l’île. Mais pour nous, la
merveille des merveilles est l’art du poète, de
l’homme prophète qui a le don de transformer le
mal en bien; c’est pour cette raison qu’Adonis se
sent à l’aise sur cette terre de mythes, où il a rencontré des gens capables de transmuer la tragédie des tremblements de terre et d’offrir de nouvelles pages de grand art à l’histoire de l’humanité.
Adonis
Le plus grand poète arabe encore en vie est né
à Qassabin, en Syrie (1930). Jeune, il s’annonce
déjà très prometteur sur la scène poétique et s’implique politiquement, mais la situation difficile de
son pays le porte à quitter Damasco; après s’être
diplomé à l’université, il émigre à Beyrouth. La publication de sa première anthologie (Premiers poèmes, 1957) est très bien accueillie et le poète libanais Yùsuf al-Khal l’entraîne dans la création de
la revue d’avant-garde “Shi‘r” (Poésie). A Beyrouth, Adonis participe au débat animé par des intellectuels de diverses tendances aux grandes
questions de l’innovation et de l’expérimentation
artistique. Avec d’autres hommes de lettre, dont le
palestinien Jabra Ibrahim Jabra, il forme le groupe
“Tammuz” (du dieu de la fertilité babylonien) pour
promouvoir le renouveau de la structure poétique
arabe et relire, à travers le filtre de la modernité,
aussi bien le patrimoine arabe islamique que celui
de la civilisation du Moyen-Orient antique. De retour après un an d’études à Paris, il écrit Chants
de Mihyar le Damascène (1961), une oeuvre de
62
type métaphysique articulée autour d’un thème
central qui marquera un changement fondamental
dans sa production et la tradition poétique arabe.
Il rompt définitivement avec la poésie faite de
rimes embrassées, opte pour le vers libre et la poésie en prose. Adonis développe un discours essentiel, proche de la poétique de René Char à bien des
égards. Dans sa poésie, les vers deviennent
comme des archipels au sein desquels les phrases
se coagulent pour former des images et des sons
admirables. Dans les poésies en prose, son écriture reste dense et rythmée par une utilisation insistante de l’alitération. Parfois, il abandonne la
prose pour reprendre le vers libre et procéder par
images abstraites; puis il revient à l’écriture en
prose pour exposer ses réflexions plus philosophiques.
Adonis se fait le promoteur d’une relecture critique de la poétique classique arabe en publiant
des essais innovants ainsi que les revues “Afaq”
(1964) et “Mawaqif” (1968) où il accueille les expérimentations les plus osées dans le domaine
poétique, les expériences faites en langue dialectale, des poèmes en prose et des traductions.
Durant les années marquées par le nationalisme
arabe, Adonis s’éloigne des poètes engagés, en défendant la liberté de l’artiste contre ceux qui le voudraient respectueux du pouvoir. Alors que la défaite
de 1967 sanctionne la fin de l’illusion que seule l’unité
arabe peut porter au progrès, le poète rappelle dans
son poème Voici mon nom (1969) la nécessité de réformer l’attitude arabe et de réveiller sa capacité
créative innée pour forger de nouveaux idéaux plus
adéquats à l’esprit du temps.
Lorsque la guerre civile éclate à Beyrouth, Adonis, témoin de la chronique de l’horreur quotidienne qui durera plusieurs années, l’enregistre
dans Kitab al-hisar - Le Livre du Siège (1985).
A la fin de la guerre, il part s’installer en France
où il vit encore aujourd’hui. Dans sa nouvelle
condition d’émigré, Adonis entreprend une relecture de la production occidentale avec l’oeil de
l’hôte étranger, curieux et désanchanté. En Occident il jouit des faveurs du public et de la critique
en raison de son langage essentiel qui facilite la
lecture de questions savantes et complexes. Dans
ses oeuvres, on retrouve des valeurs et des atmosphères à la fois différentes et complémentaires, qui
reflètent souvent des univers poétiques que nous
connaissons bien, tels ceux de Char et Rimbaud.
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INTERVISTA
CON
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ADONIS
a cura di Kali Jones e Maurizio Ruggiano, Parigi, ottobre 2010
la luce
La luce non ha immagine, è oltre l’immagine. È lei che
ce la mostra. Per me la luce significa chiarezza, semplicità e, dunque, conoscenza. C’è una certa dimensione di
controllo dell’esistenza, della nostra vita, ma c’è nella luce
qualche cosa che ci spinge ad andare più lontano ed è
questo che più mi interessa nel simbolismo della luce.
L’immagine è una rappresentazione complessa e straordinaria. L’immagine è un mondo e ogni individuo è un
mondo di immagini. Il Cristo è un’immagine e quale straordinaria immagine. Anche la poesia è un’immagine, è
la vibrazione di un’immagine. Quando sono commosso
da una poesia io sono commosso dall’immagine che questa poesia mi rimanda. Il mondo è un’immagine. Ma non
dobbiamo dimenticare la specificità dell’immagine: svela e vela allo stesso tempo, e questa è un’altra questione.
la luce e il tempo
Il tempo come sapete è un grande concetto. C’è il tempo matematico, il tempo oggettivo, il tempo dei calcoli, il tempo soggettivo e il tempo personale. Penso che mi stiate chiedendo il senso del tempo personale. Per me il tempo non
esiste, salvo in ciò che indica un inizio e in ciò che indica una
fine. Ma oltre questo, noi viviamo in un universo di movimento sia interiore che esteriore. Dunque il tempo è ciò che
viviamo, è l’istante, e l’avvenire è un nome. Quando lo pronunciate l’avvenire è già passato, è superato. Viviamo nell’istante e viviamo sempre nel principio, questo per me è il
tempo. È un cominciamento ininterrotto verso l’ignoto o verso ciò che si chiama l’avvenire o “a venire”.
l’infinito
Quando dico infinito intendo che non c’è fine e non
c’è limite. Anche la morte di una persona o di una creatura non è una fine. Forse la morte è un inizio…
La fine, per la morte, è un inizio. Non parlo religiosamente o metafisicamente ma oggettivamente. Un quadro di Van Gogh o di Leonardo da Vinci è una creazione, un prolungamento del creatore. L’opera incarna e va
oltre tutto ciò che è fine. Dunque contiene e connota l’infinito. L’infinito è qualche cosa che va al di là della per-
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ba.
sona e che non si conclude, è in eterna apertura. È la
Mihyar è una invenzione. Tramite lui rimetto in quecreazione artistica che incarna per eccellenza l’infinito.
stione una intera civilizzazione, e il mio modo di vedere le cose.
la vita e la morte
La visione religiosa ha dato alla morte un aspetto paula pietra
roso e tragico. In natura, al di là di ogni religione, l’esLa pietra è l’opposto del movimento, è una sorta di
sere vivente abita la morte durante la vita. É lei che vinrespiro, un arresto, un istante di contemplazione, di doce e non la morte. Si trascende la morte, sempre. L’esimanda per meglio vedere anche il movimento. Dunque
stenza è vita pura e la morte è soltanto un accidente.
la pietra è utile per mostrare gli ostacoli e le difficoltà
Per questo bisogna liberarsi per vedere meglio, per meche ci aspettano sempre nel nostro movimento. Quanglio intendere l’esistenza, la vita e l’essere umano, ocdo la pietra parla, essa significa il nostro errare, la nocorre oltrepassare la visione religiosa.
stra delusione. È il contrario che dice il suo contrario e
che ci può mostrare l’altra faccia del mondo.
Ulisse e Itaca
l’acqua
Per me Ulisse è il viaggio. Io sono diverso da Ulisse
Si può dire che l’acqua è il movimento materiale,
per ciò che concerne il ritorno. Ulisse tiene al suo ritoril movimento corporale della nostra esistenza. È anche
no perché vuole rivedere la sua amata Penelope e queil contrario del movimento dell’aria o ancora meglio del
sto gli impedisce di andare sempre più lontano. Per me
vento. E se il vento simboleggia l’assenza, l’acqua simquesto suo ritorno è una specie di morte. Perché troviaboleggia la presenza. E se il vento rappresenta la mormo veramente l’amore definitivo e assoluto in un ritorte, l’acqua rappresenta la nascita e la vita. Sono dei
no? È perché ritroviamo la nostra terra? Perché ritroviacontrari che si completano e ciascuno illumina l’altro.
mo casa? Che cosa troviamo in questo ritorno? Io amo
Tutto questo per dire che la vita è molto più complesessere in movimento, sempre in viaggio. E se c’è un risa di quanto non si creda.
torno sarà un nuovo punto di partenza. L’essenziale per
me è la partenza e non il ritorno.
lo specchio d’acqua
L’acqua è lo specchio dove potete vedere tutto. Pol’esilio
tete vedere voi stessi e potete vedere anche il moviUtilizzo il termine esilio in mancanza di una parola mimento del mondo. Il movimento dell’acqua è uno specgliore perché, storicamente parlando, il termine esilio conchio che viaggia, è uno specchio in movimento. Nelnota l’isolamento, il rigetto e molti altri termini peggiolo specchio artificiale vedete soltanto voi stessi, solo
rativi. Ma l’esilio per me è la condizione essenziale delil riflesso del vostro viso, invece quando vi rispecchial’essere umano: si nasce in esilio, si vive in esilio e si fa
te nell’acqua sentite che siete in comunione con la nail grande salto, l’assenza nell’universo, restando ancora
tura e con l’esistenza intera e questo è completamenin esilio. Anche nella nostra lingua si vive in esilio, nel
te diverso. Lo specchio fabbricato riflette allora solo
senso che ciò che la lingua esprime nell’immanenza non
l’individuo ed è uno spazio desertico, al contrario lo
dice quello che voglio. Ciò che voglio va al di là della linspecchio d’acqua è un giardino o una foresta.
gua ed è in questo senso che sono esiliato anche nello
Quando vi guardate in uno specchio, voi vedete sostrumento, nello spazio, che mi libera allo stesso temlamente il vostro viso, la vostra individualità estrema.
po. La libertà è legata dunque essenzialmente all’esilio.
L’essere umano deve provare sempre a uscire da questa individualità, dall’isolamento e dal deserto. Ciò non
Mihyar il Damasceno: figura archetipa nell’opera di Adovuol dire che il deserto non sia bello, ogni tanto… bisonis che esprime l’esilio e la modernità nella poesia Ara-
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gna vedere…
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l’uomo e l’universo
Non è l’uomo che ha creato l’universo ovvero l’esistenza. L’uomo è creato dall’esistenza; punto primo. Il
punto secondo è una domanda: l’esistenza è senza senso? E cosa vuol dire un’esistenza che non ha senso? Ciò
che dà senso all’esistenza è l’essere umano. Dunque, se
siamo creati materialmente dall’universo, l’universo è
creato da noi sul piano del senso. Ed è per questo che
mi domando: “…quale di noi due ha creato l’altro?”. Io
sarei dalla parte dell’essere umano. Senza l’essere umano l’esistenza non ha senso. Ma senza l’universo, l’essere umano non esiste. Ecco, questo è il problema. Ognuno trovi il senso a modo suo. Io non lo so, è per questo che ho posto la domanda “chi di noi due ha creato
l’altro?”. Perché in ultima analisi il senso non ha senso.
Ovvero il senso non c’è. Ci sono molti filosofi, come Heidegger, che sostengono che l’essere umano sia creato
per morire o per andare verso la morte. I religiosi dicono che la morte è solamente una tappa e che dopo
la morte ci sia un’altra vita. Io non lo credo! L’uomo è
una straordinaria creatura che muore; che finisce
come una stella che si spegne. È tutto.
Ma questo è molto filosofico. Voi ponete delle domande filosofiche e non poetiche. In fondo, l’estetica sta in
questo: occorre avanzare, è necessario vedere ovvero
provare a percepire il segreto delle cose senza, purtroppo, raggiungere alcun segreto.
l’identità
Tradizionalmente un essere che nasce ha un’identità precostituita. Un bambino italiano deve avere
un’identità italiana così come un francese e un arabo.
Dunque si dice che l’identità è ereditaria. Per me questo riguarda il piano dell’istinto animale. L’animale non
può avere un’identità perché non razionalizza e dunque
non può separarsi dalla natura per creare una sua storia. Allora se c’è una differenza tra l’uomo e l’animale,
è che l’uomo può prendere distanza dal suo contesto
esistenziale e creare così una propria storia. In questo
senso, un’identità è una creazione e non è precostituita. L’essere umano forma la propria identità creando la
propria opera ed è per questo che l’identità è un’apertura verso l’infinito. La creazione della nostra identità
non finisce mai, essa è sempre un’apertura e un movimento. Ciò porta con sé la necessità di essere con l’altro, di avere con l’altro un legame essenziale perché l’essere non può esistere senza l’altro e l’altro è una parte integrante dell’io. Per andare verso me stesso devo
passare attraverso l’altro. Questa nozione d’identità ci
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mostra che la concezione dell’infinito è legata anche alla
concezione dell’io e dell’altro.
il destino
Bene, è l’uomo che crea il suo destino. Credo che la
nostra epoca debba essere il tempo della liberazione dalla religione, soprattutto dalla religione monoteista. Credo che il monoteismo abbia creato una cultura da superare definitivamente. Il monoteismo ha limitato l’esistenza; ha limitato e deformato l’universo e l’essere umano.
il bambino
Ho detto che la morte è presente nella vita. L’uomo vive continuamente la sua morte. Vivendo perde
vita, guadagnando in esistenza, perde vita, dunque la
morte esiste nel nostro movimento, anche adesso si
sta morendo perché si sta vivendo. In questo senso
bisogna sempre sentire l’infanzia, poiché essa è l’inizio. Si sta sempre per incominciare. Occorre combattere. C’è sempre lotta fra la morte e l’infanzia. Mentre la memoria...No, non ci si può separare… ma c’è
memoria e memoria. C’è quella che definisce la vita
e il mondo come la memoria religiosa e questo fa sì
che la vita sia una ripetizione all’infinito. Replichiamo
e preserviamo. È questo quel senso della memoria da
cui bisogna liberarsi per essere sempre pronti a creare il nuovo. Dimenticare per vivere meglio.
la memoria personale
Bisogna concepirla e usarla in modo diverso, cioè tradurla nel senso della libertà. La memoria non mi incatena… ci sono ricordi che incatenano... la memoria non
mi incatena, ma, al contrario, sono io che la incateno.
Sono io che la faccio allontanare da me per vedere meglio, per vivere meglio, per creare meglio.
il corpo
Se ci si libera dalla visione religiosa, si torna al corpo e alla fisicità della vita quotidiana, tutte le religioni
monoteiste hanno quasi lo stesso punto di vista, il corpo è il luogo del peccato, il corpo dunque è maledetto.
Una cosa maledetta, luogo del peccato, non si può comprendere, quindi si tende sempre ad evitarla. Il problema è che il nostro corpo, in questa ottica, è un impedimento per vivere meglio. Ma noi possiamo vivere solo
con il corpo e il nostro corpo è essenziale. La religione
ci dice di no, ci dice che l’essenziale è qualche cosa che
si chiama anima o spirito. Ma lo spirito non esiste senza il corpo. L’essenziale è il corpo. Bisogna riabilitare il
corpo per vedere questo continente straordinario di co-
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noscenza, di sensazioni e di apertura. Il corpo è la vita.
È attraverso la pelle che si sente la vita e che amiamo;
amiamo attraverso il corpo e attraverso il corpo andiamo verso ciò che si chiama spirito. Ogni estasi passa attraverso il corpo.
il cammino: «…tra ombra e sole non ha trovato il cammino…»
Quindi non c’è strada, né nell’ombra, né nel sole, né
tra i due. Nessuna strada. Forse c’è per esprimere una
situazione personale e limitata, perché anche quando non
c’è percorso, si cammina. C’è sempre una strada; forse dico questo per esprimere uno stato spirituale e momentaneo. Perché vivere vuol dire avere una strada, ma
dove conduce questa strada?
l’essenza delle cose
Credo che si possa arrivare all’immagine, ai rapporti tra
forma e immagine, ma cogliere l’essenza del mondo o l’essenza delle cose, implicherebbe la morte della lingua, della poesia, di tutto. Bisogna avere sempre l’ignoto davanti, sennò si muore, la conoscenza muore. Immaginatevi di
essere dotati della conoscenza totale e assoluta e ciò vorrebbe dire che non c’è più conoscenza; che non c’è più ignoto. Questo è quello che fa e dice la religione, ed è per questo che la cultura religiosa è una cultura chiusa e definitiva. No, non si può arrivare all’essenza di una cosa, fortunatamente. Bisogna sempre cercare questa essenza che
è continuamente in movimento verso l’ignoto.
rinnovare il mondo con il linguaggio
Si possono rinnovare i rapporti col mondo e, rinnovando questi rapporti, si può rinnovare indirettamente
il mondo. Quando l’individuo avrà una nuova immagine del mondo e nuovi scambi con esso, vuol dire che lo
cambierà e avrà la possibilità di cambiare il mondo. Dunque la poesia e l’arte cambiano indirettamente il mondo, non direttamente. Una bomba può cambiare direttamente il mondo, ma (ride)…la poesia è altro.
la cortesia della materia: «Sa che l’altro è un velo / nonostante ha riempito la sua apparenza / con la cortesia della materia»
È una poesia che ho scritto vent’anni fa ma penso di
aver voluto dire che l’altro è un velo; l’altro è, in un certo senso, un impedimento. Nonostante questo, ho la necessità di capire tutto ciò che è legato all’altro, con chi
vivo e con chi ho legami. Perché l’altro è un velo? Questo tipo di comprensione, questo provare a capirlo, è la
letteratura o la cortesia della materia regnante. Dunque
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faccio parte di questa cortesia materiale regnante, per
apparire nel mondo di questo Altro che è ugualmente
un velo.
Racconto una piccola storia che può illuminare ciò che
voglio dire. Bergson negli ultimi anni della sua vita aveva deciso di convertirsi al Cristianesimo, era ebreo. Prima di convertirsi veramente, ha approfondito gli orrori del Nazismo ed ha rinunciato. Ha detto, preferisco restare con questo velo, restare ebreo. Non voglio cambiare. Dunque ogni tanto bisogna manifestare solidarietà alle persone che avete deciso di lasciare. Per meglio
vivere con le contraddizioni. La scelta essenziale di Bergson era stata di lasciare l’Ebraismo e di convertirsi al
Cristianesimo ma in un istante, ha detto no, rimango.
Dunque è andato contro di sé per rimanere con il suo
popolo. Come comprenderlo, come spiegarlo? Dunque
bisogna comprendere e accettarlo come un aspetto della vita e delle sue contraddizioni.
Velo simbolico o reale?
Velo reale. Per esempio, amo molto mio padre ma
ho scoperto che anche lui è stato un velo. Ha provato
a farmi scegliere ciò che aveva scelto per se stesso. Ma
dopo, ho provato a superare questo velo, altrimenti sarei stato una ripetizione di mio padre. E a cosa serve?
Qual è il rapporto fra la via interna e la via esterna? «Le
Stelle»
È un po’ mistico. Il centro dell’universo non sono le
stelle ma l’essere umano. Dunque l’individuo è il centro e tutto gira intorno a lui. E in questo senso non sono
le stelle che camminano dietro l’essere umano ma è il
tutto che si muove dietro lui perché egli è… per l’universo, per l’ignoto, per ciò che è a venire.
Da quando sente questa separazione col monoteismo?
Non da molto tempo, più o meno, da dieci anni. Credo che il monoteismo sia una chiusura, me ne sono reso
conto studiando da vicino la visione monoteista, che cosa
è una visione monoteista? C’è un profeta, l’ultimo dei
profeti. C’è una parola definita trasmessa da questo profeta. Questa parola divina è la verità assoluta, definitiva. E non ci sarà, nel futuro, nessuna altra parola divina. Dunque è la fine della conoscenza e non ci sarà più
verità oltre quella. Che cosa vuole dire? Vuole dire due
cose: che l’uomo credente non ha niente da aggiungere, egli deve ascoltare, trasmettere ed ubbidire. Secondo, ed è il punto più contraddittorio e più terribile, è che
Dio non ha più niente da dire perché ha dato la sua ultima parola al suo ultimo profeta. È incredibile! Il Giu-
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daismo dice questo, l’Islam dice questo, nel Cristianesimo invece c’è una piccola differenza. Il Cristianesimo
ha detto no al Giudaismo, ha detto che Dio può essere
una persona e che la persona può essere Dio. È una rivoluzione ma purtroppo la Chiesa ha giudaizzato il Cristianesimo. Dunque, l’essenziale adesso per i Cristiani
è tornare alla persona del Cristo, non alla Chiesa. Altrimenti il Cristianesimo diventa come l’Islam e come il Giudaismo.
Il più grande rivoluzionario del mondo fino adesso è
stato Cristo, perché ha detto di no alla più grande istituzione dell’epoca. Ha detto no. Straordinario questo Cristo! E non ha detto no solamente all’istituzione, ha rifiutato la concezione del Dio ebraico. Ha rifiutato la loro
concezione di Dio. Straordinario! Adesso con la chiesa
diventa il contrario.
Eraclito ed il sufismo
Eraclito è stato il movimento in parola. Straordinario quando ha detto “non attraverserete un fiume due
volte”. Se attraversate il fiume adesso e dopo tornate
per attraversarlo, troverete davanti a voi un altro fiume. Per cui il cambiamento ed il movimento è la legge
del mondo. E questo coincide col misticismo e con le nozioni dell’infinito, di cambiamento, di sorpasso. Eraclito non Platone è uno dei miei maestri.
Per quanto riguarda il sufismo, nel mondo se c’è una
forza che ha custodito la strada verso l’infinito, la strada verso l’essenza, e che ha lasciato delle tracce su questa strada, è quella percorsa dai mistici. Loro sono al
di là della divinità nel senso religioso della parola.
il dialogo tra le culture
Non credo che ci sia un vero dialogo tra le culture e
tra le religioni. È solo un parlare vacuo, perché se ho una
fede assoluta come posso dialogare con un altro che ha
una fede differente dalla mia? Quindi un dialogo può essere utile per la convivenza e per allontanare le difficoltà della vita, ma non è utile per andare in fondo alle cose.
Il dialogo fra le religioni, non può arrivare a niente. È come
il dialogo fra le culture. C’è un altro dialogo tra i popoli
che dovremmo intraprendere: un dialogo basato sulla
creatività attraverso le arti. Perché essenzialmente, come
il canto, tutto quello che unisce le persone dovrebbe servire come base per il dialogo. E quello che unisce le persone di tutte le culture e di tutte le civiltà è la poesia, la
pittura, la musica, la danza, il canto e l’amore. Queste
dovrebbero essere le tematiche del dialogo, ma non si
fa dialogo con questi argomenti. Lo si fa con altri che non
portano a niente.
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il colore
Il colore occorre che sia incarnato. Non c’è colore senza l’uso della vista. Per vedere un colore occorre che sia
sulla carta o sulla tela o su qualcosa di simile. È il contrario del movimento. Il movimento non ha bisogno di
essere incarnato è come l’aria.
tradurre il colore in parole
Sì, il colore… è se stesso, è autosufficiente, non ha
bisogno di altro, ma la parola potrebbe essere un colore. Il modo di scrivere una parola può dare delle linee
e le linee possono creare dei rapporti e l’insieme può far
percepire un colore.
la poesia ed il cinema
Credo che il cinema sia un’arte straordinaria, è l’arte dell’infinito. Questa arte dipende dal regista perché
attraverso di essa egli ha la possibilità di fare tutto: poesia, pittura, filosofia e scienza, ma occorre che ci sia innanzitutto un creatore e la visione di questo creatore.
Sono dalla parte del cinema perché la poesia fa parte
del cinema e non è il contrario. Siamo sempre alla ricerca di questo grande creatore che crea il film della nostra esistenza.
Abbiamo sentito poeti occidentali recitare la sua poesie
però la vibrazione della voce è completamente diversa
rispetto al suo modo di recitare in arabo.
Credo che questo venga dalla parola, dalla lingua. Ma
il linguaggio è radicato nel corpo, viene dalla voce e anche la voce è legata al corpo. A volte gli Occidentali leggono solamente con la loro testa. Non c’è corpo, non c’è
voce ed è per questo che ascoltare un poeta può essere arido e non dà niente. Sono parole che si pronunciano senza vibrazione e tutto finisce lì. Ma si direbbe che
con l’arabo, non c’è solo un’eco, c’è qualche cosa che
emana dalle profondità della nostra vita, dato che viene da molto lontano e va naturalmente ancora più lontano. Dunque credo che la voce, la lingua, il corpo, e la
storia siano strettamente legati. C’è dunque un segreto naturale che passa attraverso la musicalità e la voce
e che partecipa a tutte le nature umane. Ciò è completamente differente dell’intelletto. L’intelletto non partecipa, esso è dal lato della cultura, non è dal lato della
natura. Se si ascoltano i canti in qualsiasi lingua, si è toccati dal canto. Infatti se si ascolta un canto indù, russo o americano, si sente che si è legati al canto in quanto proviene dalla natura e ci lega ad essa. L’arabo è un
canto.
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Adonis, Collage
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l’evoluzione nella poesia araba
Essenzialmente o poeticamente parlando non c’è
un’evoluzione nella “visione” del mondo. Non c’è evoluzione nella luce, per esempio, ma c’è un’evoluzione nel
modo di esprimerla e descriverla. C’è un’evoluzione nei
modi di esprimere la poesia araba. Ciò non vuole dire
che questi modi nuovi siano più belli dei modi passati,
assolutamente no. Forse la poesia di Abu Nuwas per
esempio o di Abu Tammam, la poesia antica, è molto più
bella della poesia attuale. Non c’è stata evoluzione in questo senso. La poesia si evolve nel modo di scriverla o di
esprimerla. E questo si può dire, non solo per quanto
riguarda la poesia araba, ma per la poesia in tutte le lingue.
Lei dice che i poeti medievali erano più creativi con la
lingua araba rispetto ai contemporanei.
Sì, in senso relativo. Il poeta dell’epoca abbaside ha
creato un modo di esprimersi più adatto al suo modo di
vivere, più reale e più profondo rispetto ai nostri poeti
attuali. Indubbiamente, considerando l’epoca in cui noi
arabi viviamo attualmente, manca qualche cosa alla nostra esperienza. Forse l’influenza della tecnologia ci ha
separato… ci ha impedito… non ho la parola esatta… di
creare la nostra modernità come i nostri poeti antichi hanno fatto con la loro. I nostri poeti antichi hanno creato
la loro modernità, ma noi, fino ad adesso, non ci siamo
riusciti perché la modernità occidentale ha sconvolto tutto, e noi arabi siamo diventati come gli occidentali. Non
siamo diventati veramente occidentali, ma abbiamo perso il nostro contesto storico, il nostro patrimonio, il nostro linguaggio poetico-storico. Quindi, o in un modo o
in un altro siamo abbastanza perduti, noi Arabi. E non
solamente sul piano poetico, su tutti piani.
Qual è il ruolo della poesia nel mondo arabo di oggi?
Il suo ruolo forse potrebbe essere quello di esprimere questa perplessità, questo vagare. Questo è il suo scopo.
Ci può parlare di Baghdad nell’epoca Abbaside e la libera espressione dei poeti?
Abbiamo avuto oppressione e tirannia nella nostra storia, tuttavia c’era un margine di libertà più ampio dell’attuale. Gli arabi, allora, occupavano una posizione dominante poiché in quell’epoca erano i maestri del mondo e
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il loro sistema politico permetteva che la poesia si esprimesse più liberamente. Non c’era paura della poesia. Per
questo abbiamo conosciuto dei poeti che hanno posto delle domande su tutti i problemi, compresi i più complessi, riguardanti la religione, la rivelazione, la profezia e l’arabismo. Noi arabi, purtroppo, non abbiamo, attualmente,
la possibilità di porre tali domande. È forse a causa della nostra situazione politica che non trovano spazio espressivo poeti come Abu Nuwas o Abu al-’Ala al-Ma’arri.
Le seguenti domande sono poste da Michael Beard, cotraduttore con Adnan Haydar, di “Mihyar il Damasceno”.
M.B. Quante volte ha scelto il tema della creazione nella sua poesia? E cosa spera di comunicare ai suoi lettori raccontando la nascita del mondo?
Si può parlare della funzione della poesia ma vorrei
che i miei lettori vedano il mondo poeticamente per viverlo poeticamente, come diceva Hölderlin. La poesia non
ha risposta. È un interrogativo, dunque è un’apertura.
Questo per me è la poesia. La poesia non ha risposta,
la poesia non può indicare. La poesia illumina, lascia un
segno e tocca ai lettori continuare ciò che rimane.
M.B. Quando lei crea una poesia, qual è il rapporto tra idea
e forma?
Se si ha una nuova esperienza, si avrà esprimendola, una nuova forma, ciò va da sè. Ogni idea, ogni contenuto ha nell’espressione una nuova forma. Non si può
mai ripetere una forma. La forma è creata totalmente
in funzione dell’esperienza. Ma se non si ha un’esperienza nuova, si cadrà sempre in vecchie forme. In questo
senso, la forma vecchia, la forma ripetuta, è il segno della non creatività.
M.B. Alcuni pensano che Al-Kitab sia la sua opera più
importante. Lei pensa sia così?
Non ho parlato dei miei libri. Quello che vorrei dire
è che divento come la poesia. La poesia è sempre nell’avvenire ed io mi sento in quanto poeta, in quanto persona, nell’avvenire. Non ho realizzato niente, non ho fatto quasi niente.
Dove prova ad andare con la poesia?
Non lo so. Se lo sapessi veramente smetterei di scrivere, fortunatamente non lo so. E’ un cammino ed un
interrogarsi.
Per lei cos’è la poesia?
La poesia è per dire tutto. Senza la poesia, non po-
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INTERVIEW WITH ADONIS
prepared by Kali Jones and Maurizio Ruggiano, Paris, October 2010
ight
Light has no image. Light is beyond image, it is what
shows us the image. For me, light signifies clarity, simplicity and therefore knowledge. In life or rather in our
lives there exists a certain dimension of control but there
is also something in light which impels us to always go
further, and this is what interests me the most in the
symbolism of light. The image is a complex and extraordinary notion. It is a world unto itself and each individual is a world of images. Christ is an image and what an
extraordinary one! Poetry is also an image, it is the vibration of an image. When I am moved by a poem, I am
moved by an image this poem inspires. The world is an
image yet one must not forget its particularity: the image both unveils and veils at the same time, and this is
a different matter.
light and time
As you know, time is a vast concept. There is a mathematical time, an objective time, a time of calculations,
a subjective time and a personal time. I believe you are
asking me about a personal sense of time. For me time
doesn’t exist other than to indicate a beginning and an
end. But beyond that, we live in a universe of movement
and this movement is both internal and external. Therefore time is what we are living, it is the present and the
future is merely a word. When you pronounce the future
it is already in the past, it has already passed. We live in
the instant, we are forever beginning, and therefore time
is a perpetual movement toward the unknown or toward
what we call the future. Something which is always to
come.
infinity
I use the word infinity to express the idea of endlessness, limitlessness. Even death for a person or another
living creature is not an end. Perhaps death is a beginning…
The end, by death is a beginning. I’m not speaking
religiously or metaphysically here, but objectively. That is
to say a painting by Van Gogh or by Leonardo da Vinci is
a creation, an extension of its creator and this work both
75
iled.
Therefore
is essentially
to exile.
embodies
andfreedom
surpasses
everything connected
that is finite.
It conIf one
lives withthe
a traditional
notion of infinity
home, of
martains
or connotes
infinite. Therefore,
is someriage,
family
ties, this
creates an itimpediment
to
thing and
thatofgoes
beyond
the individual,
is endless and
openness,
to exploration
and tocompletely
going beyond.
Everyeternally open.
Artistic creation
embodies
the
thing
thatofbinds
also limits, and one should always surconcept
infinity.
pass limits.
life and death
Mihyar
The
ofreligious
Damascus:
vision
an has
archetypal
given death
figurea in
fearful
Adonis’
andwork
tragwho
ic aspect.
represents
In nature,
exile and
beyond
modernity
all religious
in Arabic
thought,
poetry.
living
Mihyar
is an invention.
He enables
question
anis
beings
experience
death while
living me
theirtolives.
Death
entire
civilization,
my way
of seeing
things.
part of
life but lifeand
always
overcomes
death.
Death is an
integral part of life. Existence is pure life and death is
the
stonean accident. This is why one must free oneself to
merely
The
stone
represents
of movement,
it is
see
more
clearly,
in orderthe
to opposite
better understand
existence,
a life
sortand
of breath,
a pause,
instant
contemplation,
a
the human
being,anwe
must of
surpass
the religious
questioning
in order to better see movement. Therefore
vision.
the metaphor of stone serves to reveal the difficulties or
Odysseusthat
andconstantly
Ithaca await us in our movement. And
obstacles
personifies
theitjourney,
am different
if theOdysseus
stone speaks,
perhaps
signifiesbut
ourI wandering,
from
OdysseusIt with
regard
to the
return.
Odysseus
valour
disillusion.
is the
opposite
which
speaks
its oppoues which
his return
seeofhis
beloved
site,
can because
show us he
thewishes
other to
face
the
world. Penelope again, and this prevents him from going further. For
water
me his return represents a kind of death. Does one realsay water
the material
the
ly One
find could
a definitive
and is
absolute
love inmovement,
a return? Does
bodily
movement
of our Does
existence.
It is
alsohome?
the oppoone see
one’s country?
one see
one’s
What
site
of one
the movement
of air orAs
thefar
wind,
wind
symbol- I
does
see in this return?
as I ifam
concerned,
izes
wateralways
symbolizes
presence.
And ifiswind
likeabsence,
to be moving,
travelling
and if there
a rerepresents
waterstarting
represents
birth
and
Theseis
turn, it willdeath,
be a new
point.
What
is life.
essential
are
both
complete and illuminate one
theopposites
departure,which
not the
return.
another. Life is much more complex than one would beexile
lieve.
I use the word exile for lack of a better term, as relathe
mirror
of water speaking this word connotes isolation,
tively
or historically
Water isand
themany
mirror
where
you canconcepts.
see everything.
rejection
other
pejorative
I believe
You
can
yourself
and
you can
alsohuman
see the
moveexile
to see
be the
essential
position
of the
being:
one
ment
of in
the
world.
water
is athe
travelis born
exile,
oneThe
livesmovement
in exile andofone
makes
great
ling
mirror, itthe
is aabsence
mirror in
movement.
In the
artificialin
departure,
into
the universe,
remaining
mirror
see only
yourself,
reflection
of your
face,in
exile. you
Therefore,
even
withinthe
one’s
language
one lives
but
when
yousense
see your
reflection
in a mirror
of waterin
exile
in the
that what
this language
expresses
you
that does
you are
communion
with nature
all I
thisfeel
instant
notinreally
convey what
I want.and
What
ofwant,
existence,
this experience
is in
completely
goes beyond
language and
this sense,different.
even withTherefore
the artificial
mirror
reflects
only the
in the instrument
and the
space
which frees
me,individI am ex-
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ual, it is a type of desert; on the contrary the mirror of
water is a garden, a forest.
When you look at yourself in a mirror, you see only
your face, your extreme individuality. Human beings
should attempt to go beyond this individuality, this isolation or desert. It doesn’t mean the desert isn’t attractive from time to time…
man and the universe
Man did not create the universe or existence. Man is
created by existence; first point. The second point is a
question: is existence without meaning? And what does
an existence without meaning imply? That which gives
meaning to existence is the human being. If we are materially created by the universe, the universe is created
by us in terms of it’s significance. And this is why I wonder: “…which of us invented the other?” I would be on
the side of the human being. Without the human being,
life has no meaning. But without the universe the human being doesn’t exist. It’s a problem.
It’s up to each individual to find his or her own meaning. I don’t know if one exists, that’s why I ask the question “…which of us invented the other?” Because ultimately the meaning makes no sense, or there is no meaning.
Many philosophers, such as Heidegger, maintain that the
human being is created to die or to go towards death. The
religious believe that death is only a stage, after death,
there is another life. I don’t believe this! Man is like an
extraordinary creature who dies; who fades out like a dying star. And that is all.
It’s quite philosophical, you ask philosophical questions, not poetic ones. In the end, this is what aesthetics is about: one needs to look ahead, to see or attempt
to perceive the secret of things without unfortunately,
ever arriving at any secret.
identity
Traditionally an individual is born with a prefabricated identity. An Italian child must have an Italian identity, just like a French and an Arab child. Therefore it is
said that identity is hereditary. As far as I am concerned, this remains on the level of animal instinct. An
animal cannot have an identity because it does not reason and therefore cannot separate itself from nature,
so it has no history, it cannot create its history. If there
is a difference between man and the animal, it is that
man can separate himself from his context and thereby create his own history. And in this sense, an identity is a creation, not something prefabricated. Human
beings create their identity creating their œuvre. This is
76
why identity is an opening toward the infinite. One never finishes creating one’s identity which is continuously
changing, moving. This creates the need to be with others, to have an essential connection to the other because we cannot exist without the other and the other
is an integral part of the me. Even to go towards myself
I must pass through the other. And this notion of identity, shows us that the concept of infinity is also bound
to that of the self and of the other.
destiny
Well, man creates his destiny. I believe that this must
be a time when we free ourselves from religion. Especially the monotheistic religions. Monotheism has created a culture that we must definitively surpass. Monotheism has limited life; has limited and distorted both the
universe and the human being.
the child
As I mentioned above, death is present in life. Man
lives his death perpetually. Living, one loses a bit of life,
gaining in existence, we lose life, so death is present in
our movement. Even now, we are dying because we are
attempting to live better. In this sense it is important to
feel childhood because it is the beginning. One is always
beginning. It is a necessary battle, death and childhood
are always in conflict. But there is memory and memory,
one cannot separate oneself… There is a memory that
wants to define life and the world such as the religious
memory and this makes life an endless repetition. One
repeats and preserves. This is the type of memory from
which we must free ourselves so as to always be prepared to create anew. We must forget in order to live better.
personal memory
Memory is a function, but it’s necessary to understand
it so as to use it differently, more freely. Memory does
not imprison me... there are memories which imprison...
memory does not imprison me, I am the one who controls it, forcing memory to distance itself in order better
see, live and create.
the body
If one frees oneself from the religious vision, one returns to the body and to the physicality of daily life. All
the monotheistic religions nearly share the same point of
view, the body is the place of sin, the body is cursed. A
thing which is cursed, a place of sin, cannot be understood, therefore one tends to always avoid it. As there is
a problem, it is always our body which prevents us from
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living better. Yet we cannot live without our body, our
body is essential. Religion claims the essential is something called the soul or the spirit but this doesn’t exist
without the body. We need to rehabilitate the body in order to see this extraordinary continent of knowledge,
sensations and openness. The body is life. It is on the
level of the skin we feel life and love; we love through the
body and through the body we go towards what one calls
the spirit. All ecstasy passes through the body.
the path «…between shade and sun he couldn’t find a
road»
So there is no path, neither in the shade, nor in the
sun, nor between the two. No path. Perhaps this expresses a personal and limited case because even when there
is no path, one walks. There is always a path; perhaps I
said this in order to express a spiritual and momentary
state. Because to live, is it to have a path but where this
path leads is something else.
the essence of things
I believe that one can arrive as far as the image, the
relationship between things…, but to reach the essence
of the world or the essence of things, would imply the
death of language, the death of poetry, the death of
everything. One must always have an unknown ahead,
otherwise one dies, knowledge dies. Imagine if you were
endowed with absolute knowledge, this would be the end
of knowledge; there would no longer be an unknown.
This is what religion propagates, and this is why the religious culture is a closed and definitive culture. No, one
cannot reach the essence of things and fortunately so.
One must always search for this essence which is a perpetual movement toward the unknown.
renewing the world through language
Language can renew our relationships with the world
and by renewing these relationships, one can renew the
world indirectly. As an individual, if you have a new image of the world and new interactions with it, this means
that you will change or have the possibility to change this
world. Therefore poetry and art change the world indirectly, not directly. A bomb can change the world directly, but (laughs) poetry, it is something else.
etiquette and the courtesy of matter… «He knew the Other was a mere veil / Still his reality / was only etiquette»
I wrote this poem twenty years ago but I believe I
meant to say the other is a veil; the other in a certain
sense is an obstacle. In spite of this, I need to under-
77
stand all that which is connected to the other, with whom
I live, with whom I have a relationship. I must understand why the other is a veil. This approach to understanding, this attempt to understand the other is literature or the courtesy of ruling matter. Therefore I form
part of this ruling material courtesy or etiquette in order
to appear in the world of this Other who is also a veil.
I’m going to tell a story that can better illuminate
what I mean. Bergson in the last years of his life had decided to convert to Christianity, he was Jewish. Before
converting, he reflected deeply upon the horrors of
Nazism and renounced. He said I prefer to remain with
this veil, remain Jewish, I don’t want to change. Therefore from time to time it is necessary to show ones solidarity even with those you have decided to leave. I mention this story to help us better understand how to live
with contradictions. The essential choice of Bergson was
to leave Judaism and to convert to Christianity but in an
instant, he said no, I am going to remain. He therefore
went against himself in order to remain with his people.
How is one to understand or explain this? One must understand and accept it as an aspect of life and its contradictions.
symbolic or real veil?
Real veil. For example, I love my father but I discovered that he was also a veil. He tried to make me choose
what he himself had chosen. But afterwards, I attempted to surpass this veil, otherwise I would be a repetition
of my father. What would be the point?
What is the rapport between the external and the internal path? «The Stars»
It is somewhat mystical. The centre of the universe is
not the stars, it is the human being. The individual is the
centre and all the rest revolves around him or her. In this
sense not only the stars trail behind the human being,
everything trails behind because he or she is… for the
universe, for the unknown, for what is to come.
How long have you felt separated from monotheism?
It hasn’t been long, about ten years. I believe that
monotheism closes one off to the world, I realized this
while closely studying the monotheistic vision, what is a
monotheistic vision? There is a prophet, the last of the
prophets. There is a defined message transmitted by this
prophet. This divine word is the absolute, definitive truth
and there will be no other divine word or truth to come.
Thus it is the end of knowledge. What does this mean?
It means two things: The believer has nothing new to
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offer, he or she must listen, transmit and obey. Secondly, and this is the most contradictory and terrifying point:
God himself has nothing more to say because he has
transmitted his final word to his final prophet. It’s incredible! Judaism says this, Islam says this, there is a
small difference with Christianity. Christianity refuted Judaism and it said that God can be a person and that the
person can be God. It’s a revolution but unfortunately
the Church has judeized Christianity. Therefore, the essential now for Christians, it to return to Christ as a person, not to the Church. Otherwise, Christianity would be
like Islam, and Judaism.
Christ has been the greatest revolutionary of the
world until now because he said no to the most important
institution of the time. He said no. He was quite extraordinary this Christ. And he didn’t only say no to the institution, he refused the conception of a Jewish God. He refuted their conception of God. Extraordinary! With the
Church now, it’s becoming the opposite.
Heraclitus
Heraclitus was movement in words. Amazing when he
said “you can not step twice into the same river”. If you
now cross a river, and return to cross it later, you will find
yourself in front of a new river. Therefore change and
movement is the law of nature. This coincides with mysticism and with the notion of infinity, of change, and of
going beyond. Heraclitus not Plato is one of my teachers.
As far as Sufism is concerned, if there is one force
which has safeguarded the path toward the infinite, the
path toward the essence and left traces on this path, it is
the mystics, they are beyond divinity in the religious
sense of the word.
the dialogue between cultures
I don’t believe there is a true dialogue between cultures, nor between religions. It’s empty talk because if I
have an absolute faith, how can I dialogue with an another who has a completely different faith from mine? This
type of dialogue could be useful for coexistence, to distance oneself from the difficulties of life, but it’s not useful to get to the core of things. Dialogue between religions leads nowhere. It’s like the dialogue between cultures. We should engage in another dialogue between
the peoples of the world; one based on creativity though
the arts. Because essentially, just as in song, everything
that unites people, should serve as a base for dialogue.
And what unites people of all cultures, of all civilizations
is poetry, painting, music, song and love. These should be
79
the themes for dialogue but we don’t dialogue with these
themes. We do so with others which can never lead anywhere.
colour
Colour needs to be incarnated. There is no colour
without vision and to be seen, colour must be on paper,
canvas or something similar. It is the opposite of movement. Movement does not need to be embodied, it’s like
air.
translating colour into words
Yes, colour… is itself, it is self sufficient, but the word
could also be a colour. The way a word is written can create lines and these lines can create relationships and all
these together can produce a colour.
poetry and film
I believe that film is an extraordinary art, it is the art
of the infinite. This art depends on the director because
film gives one the possibility to do everything: poetry,
painting, philosophy and science, but one must first
have a creator and the vision of this creator. I would
side with film because poetry is part of film and not the
other way around. One is always searching for this great
creator who will make the film of our life.
evolution in Arabic poetry
Essentially or poetically speaking, there has been no
evolution in the “vision” of the world. There is no evolution in light, for example, but there is an evolution in
the way of expressing light, describing light. There is
an evolution therefore in the ways of expressing in Arabic poetry. This doesn’t mean these new ways are more
beautiful than the old ones, absolutely not. Perhaps ancient poetry such as that of Abu Nuwas for example or
of Abu Tammam, is considerably more beautiful than
contemporary poetry. In this sense there has been no
evolution. Poetry has evolved in the manner of describing and expressing. This can be said not only of Arabic
poetry, but of poetry in all languages.
You have said that the use of the Arabic language by
medieval poets was considerably more innovative than
that of contemporary poets
Yes, relatively speaking. In the Abbasid period, the
poet created a way of expressing which was more real
and deeply connected to his or her way of life than our
present poets. It’s clear we are living in different times
but something is missing from our experience, us Arabs.
Perhaps the influence of technology has separated…
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prevented us… I don’t have the exact term… from creating our own modernity. Our ancient poets created
their modernity, until now, we have not been able to
because Western modernity upset everything and we
Arabs have become westernized. However we have not
really become western and we have lost our historic
context, our heritage, our historic poetic language.
Which ever way you look at it, we are rather lost and
not just on a poetic level, on all levels.
What is the role of poetry in the Arab world today?
Its role perhaps is to express this perplexity, this
wandering. That is its role.
Please speak to us of Baghdad in the Abbasid period
and the free expression of poets.
There was oppression and tyranny in our history, but
it’s as though the margin of freedom was larger than
that of the present. The Arabs where in a position of
force, at that time they were the rulers of the world,
therefore they had the possibility of letting poetry express itself freely. They didn’t fear poetry. For this reason, we had poets who asked questions on all kinds of
problems including the most difficult problems concerning religion, revelation, prophecy and Arabism. Unfortunately at the moment, we don’t have the possibility of
asking such questions. It is perhaps due to the political
situation that we don’t have poets the likes of Abu
Nuwas or Abu al-’Ala al-Ma’arri.
We have occasionally heard Western poets recite your
poetry but the vibration of their voices seems very different from yours, when you recite in Arabic.
I believe this comes from speech and it comes from
the language. But language is rooted in the body, it
comes from the voice which is also connected to the
body. Sometimes Western poets read only with their
heads. There is no body, this is why listening to a poet
can be dry and uninteresting. Words pronounced without vibration fall flat, and everything ends there. But is
seems as though with Arabic, there is not merely an
echo, something emanates from the depths of our lives
and because it comes from far away, it also travels far.
Therefore, I believe that voice, language, body, and history are all inextricably connected.
There is therefore a natural secret that passes
through musicality and the voice, that passes through
human nature. And this is quite different from the intel-
80
lect. The intellect does form part of this natural movement, it pertains to culture, not nature.
One listens to songs in any language and one is
moved emotionally. In fact, if one listens to a Hindu,
Russian or an American song, one feels connected to
the voice and to song because it is natural, and we are
connected on this level. Arabic is a song.
The following questions are posed by Michael Beard. He
and Adnan Haydar co-translated "Mihyar of Damascus".
M.B. How often have you taken the theme of creation as
a theme for your poetry and what do you hope your
readers will learn from your creative process, its
sources, its structure, its function?
One can speak of function in poetry but I would like
my readers to see the world poetically so as to live in
this world poetically as Hölderlin used to say. Poetry has
no answer. It is a questioning, an opening. For me this
is poetry. As it has no answer, it cannot indicate. Poetry illuminates, leaves a sign and it is up to the reader
to do the rest.
M.B. When you create a poem, what is the relationship
between the idea and the form?
If one has a new experience, a new form will be created, expressing it. Every idea, every concept has in its
expression a new form. The form is totally created here
in function of the experience. But if one doesn’t have a
new experience, one will always fall into old forms and
in this sense, the old form, the repeated form, is the
sign of non creativity.
M.B. Some consider Al-Kitab as your most important
work. Why do you think this is?
I haven’t spoken of my books. What I would like to
say is that I am becoming like poetry. Poetry is always
something that is coming into existence, and as a poet, as a person, I feel that I am always coming into being... I haven’t achieved anything, I have hardly done
anything.
Where would you like to go with poetry?
I don’t know. If I knew I would stop writing, fortunately I don’t know. It is a journey and a questioning.
What is poetry for you?
Poetry to say all the above. Without poetry, I could
not speak of all this, hence it is my body in words.
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ENTREVUE
AVEC
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ADONIS
preparée par Kali Jones et Maurizio Ruggiano, Paris, octobre 2010
la lumière
La lumière n’a pas d’image, c’est le dépassement de
l’image. C’est elle qui nous la montre. Pour moi, la lumière signifie la clarté, la simplicité et donc la connaissance. Et il y a une certaine dimension de maîtrise de
l’existence, de notre vie, mais il y a aussi dans la lumière
quelque chose qui nous pousse d’aller toujours plus loin,
et c’est ceci qui m’intéresse le plus dans la symbolique de
la lumière. L’image, c’est une notion complexe et extraordinaire. L’image c’est un monde, et chaque individu
est un monde d’images. Le Christ est une image, et
quelle extraordinaire image! La poésie c’est une image
aussi, c’est la vibration d’une image. Quand je suis ému
par une poésie, je suis ému par l’image que cette poésie m’inspire. Le monde est une image. Mais il ne faut
pas oublier la spécificité de l’image : elle dévoile et voile
en même temps, et c’est une autre question.
le temps et la lumière
Le temps comme vous le savez est une notion très
large. Il y a le temps mathématique, le temps objectif,
le temps des calculs, le temps subjectif et le temps personnel. Je crois que vous me demandez la notion du
temps personnel. Pour moi le temps n’existe pas, sauf
ce qui indique un commencement et ce qui indique une
fin. Mais au-delà de cela, on vit dans un univers de
mouvement qui est intérieur et extérieur. Donc le temps
c’est ce que nous vivons, c’est le maintenant et l’avenir
est un nom. Quand vous le prononcez, l’avenir est déjà
passé, dépassé. Nous vivons dans l’instant, nous vivons
toujours dans un commencement, c’est ça pour moi le
temps. C’est un commencement perpétuel vers l’inconnu ou vers ce qu’on appelle l’avenir ou ‘à venir’.
Quelque chose qui est toujours à venir.
l’infini
Quand je dis infini c’est pour dire qu’il n’y a pas de
fin, qu’il n’y a pas de limites. Même la mort pour une
personne ou pour une créature n’est pas une fin. Peutêtre que la mort est un commencement...
La fin, par la mort, est un commencement. Je ne
parle pas religieusement ou métaphysiquement, mais
objectivement. Un tableau de Van Gogh ou de Leonardo
da Vinci, est une création, un prolongement du créa-
82
bère en même temps. La liberté est liée essentiellement
teur et cette œuvre incarne ou dépasse tout ce qui est
à l’exil.
finitude. Donc elle contient ou connote l’infini. L’infini,
Si on vit dans un esprit de la demeure, de liens, de
c’est quelque chose qui va au-delà de la personne et
mariage, de famille, ça crée une barrière contre la requi ne se termine pas, elle est toujours ouverture. C’est
cherche, le dépassement, et l’ouverture. Tout ce qui lie,
la création artistique qui incarne par excellence le
limite; alors qu’il faut toujours aller au-delà des limites.
concept de l’infini.
la vie et la mort
Mihyar le Damascene: une figure achétypale dans l’œuLa vision religieuse a donné à la mort cet aspect de
vre d’Adonis qui représente l’exile et la modernité dans
la peur et du tragique. Dans la nature, en dehors de
la poésie Arabe
tout esprit religieux, l’être vivant vit sa mort en vivant
Mihyar est une invention. À travers lui j’exprime ma
sa vie. La mort fait partie intégrante de la vie et touremise en question de toute une civilisation, et ma majours ce qui l’emporte c’est la vie, ce n’est pas la mort.
nière de voir les choses.
On dépasse la mort, toujours. L’existence c’est la vie
la pierre
pure et la mort n’est qu’un accident. Et c’est pourquoi
La pierre c’est l’antipode du mouvement, c’est une
il faut se libérer pour mieux voir, pour mieux comprensorte d’haleine, un arrêt, un instant de contemplation,
dre l’existence et la vie et l’être humain, il faut dépasde questionnement pour mieux voir aussi le mouveser la vision religieuse.
ment. Donc la pierre sert à montrer les difficultés ou
bien les obstacles qui nous attendent toujours dans noUlysse et Ithaque
tre mouvement. Et si c’est la pierre qui parle, cela signiPour moi Ulysse c’est le voyage. Je suis différent
fie peut-être notre errance, notre déception. C’est le
d’Ulysse en ce qui concerne le retour. Ulysse tient à son
contraire qui dit son contraire qui peut nous montrer
retour par ce qu’il veut revoir sa bien aimée Pénélope et
l’autre face du monde.
ceci lui empêche d’aller toujours plus loin. Pour moi ce
retour c’est une sorte de mort. Est-ce qu’on trouve vrail’eau
ment l’amour définitif et absolu dans ce retour? Est-ce
L’eau c’est le mouvement matériel si on peut dire, le
qu’on voit le pays? Est-ce qu’on voit la maison? Qu’est
mouvement corporel de notre existence. C’est aussi
ce qu’on voit dans ce retour? En ce qui me concerne,
l’antipode du mouvement de l’air ou du vent. Et si le
j’aime être toujours en mouvement, toujours en
vent symbolise l’absence, l’eau symbolise la présence.
voyage. Et s’il y a un retour, ça sera un nouveau point
Et si le vent représente la mort, l’eau représentante la
de départ. L’essentiel c’est le départ, ce n’est pas le renaissance et la vie. La vie est beaucoup plus complexe
tour.
qu’on ne le croit.
l’exil
le miroir d’eau
J’utilise le terme exil faute de mieux, parce que reL’eau c’est le miroir où vous pouvez voir tout. Vous
lativement ou historiquement parlant c’est un mot qui
pouvez voir vous-même et vous pouvez voir aussi le
connote l’isolement, le rejet, et beaucoup de termes pémouvement du monde. Le mouvement de l’eau c’est un
joratifs. Mais l’exil pour moi c’est la position essentielle
miroir voyageant, c’est un miroir en mouvement. Dans
de l’être humain: on naît en exil, on vit en exil et l’on
le miroir artificiel, vous voyez seulement vous-même,
fait le grand départ, l’absence dans l’univers, aussi resvotre visage, mais quand vous vous reflétez dans un mitant en exil. Même dans notre langue on vit en exil,
roir d’eau, vous sentez que vous êtes en communion
dans le sens que ce que cette langue exprime dans cet
avec la nature et avec l’existence tout entière, c’est tout
instant ne me dit vraiment pas ce que je veux. Ce que
à fait différent. Le miroir fabriqué alors reflète seulement
je veux va au-delà de la langue et dans ce sens, je suis
l’individu, c’est une sorte de désert, au contraire le miexilé même dans l’instrument, dans l’espace qui me li-
82
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roir de l’eau c’est un jardin, c’est une foret.
Quand vous vous voyez dans un miroir vous voyez
seulement votre visage, votre individualité extrême.
L’être humain doit essayer toujours de sortir de cette
individualité, de cet isolement, du désert. Ça ne veut
pas dire que le désert n’est pas joli de temps en temps,
il faut voir…
l’homme et l’univers
Ce n’est pas l’homme qui a créé l’univers ou bien
l’existence. L’homme est créé par l’existence, c’est une
chose. Deuxième chose, c’est une question humaine,
est-ce que l’existence est sans sens? Et qu’est ce que ça
veut dire une existence qui n’a pas de sens? Ce qui
donne le sens à l’existence, c’est l’être humain. Donc, si
on est créé par l’univers matériellement, l’univers est
créé par nous sur le plan du sens. Et c’est pourquoi je
me demande «…de nous deux lequel a créé l’autre?» Je
serais du côté de l’être humain. Sans l’être humain,
l’existence n’a pas de sens. Mais sans l’univers, l’être
humain n’existe pas. Voilà, c’est un problème. Chacun
doit trouver un sens à sa manière. Moi je ne sais pas,
c’est pourquoi j’ai posé la question «qui de nous deux
a crée l’autre? ». Parce qu’en dernière analyse, le sens
n’a pas de sens, ou bien il n’y a pas de sens. Il y a beaucoup de philosophes, comme Heidegger qui disent que
l’être humain est créé pour mourir ou pour aller à la
mort. Les religieux disent que la mort n’est qu’une
étape et qu’après la mort, il y a une autre vie. Enfin,
moi je n’y crois pas! L’homme est une extraordinaire
créature qui meurt; qui finit comme une étoile qui
s’éteint. Et c’est tout.
Mais c’est assez philosophique. Vous posez des
questions philosophiques, non poétiques. Au fond, l’esthétique c’est ça : il faut aller, il faut voir, essayer de
voir le secret des choses, mais malheureusement on ne
peut arriver à aucun secret.
l’identité
Traditionnellement un être qui naît a une identité préfabriquée. Un enfant Italien doit avoir une identité italienne, comme un Français et un Arabe. Donc on dit que
l’identité est héréditaire. Pour moi, ça c’est du niveau de
l’instinct, de l’animal. L’animal ne peut pas avoir une
identité parce qu’il ne raisonne pas et il ne peut pas se
séparer de la nature, donc il n’a pas d’histoire, il ne peut
pas créer son histoire. Alors s’il y a une différence entre
l’homme et l’animal, c’est que l’homme peut se séparer
de son milieu et dans ce sens, il peut créer sa propre
histoire. Et dans ce sens, une identité est une création
et non une chose préfabriquée. L’être humain crée son
identité en créant son œuvre et c’est pourquoi l’identité
83
est un mouvement et une ouverture vers l’infini. On ne
finit jamais de créer notre identité. Et cela donne la nécessité d’être avec l’autre, d’avoir avec l’autre un lien
essentiel parce que l’être, ou bien le moi, ne peut pas
exister sans l’autre et l’autre est une partie intégrante du
moi. Même pour aller vers moi-même, je dois passer par
l’autre. Et cette notion de l’identité nous montre que la
conception de l’infini et liée aussi à la conception du moi
et de l’autre.
le destin
Bien, c’est l’homme qui crée le destin. Je crois que
notre époque doit être l’époque de la libération de la religion, surtout la religion monothéiste. Je crois que le
monothéisme a créé une culture qu’on doit dépasser
définitivement. Le monothéisme a limité l’existence; a
limité et a déformé l’univers et l’être humain.
l’enfant
J’ai dit que la mort est présente dans la vie.
L’homme vit sa mort perpétuellement. En vivant on perd
de la vie en gagnant de l’existence, on perd de notre
vie, donc la mort existe dans notre mouvement. Même
maintenant on est en train de mourir parce qu’on est en
train de mieux vivre. Dans ce sens il faut toujours sentir l’enfance, c’est le commencement. Toujours on est en
train de commencer. Il faut combattre. La mort et l’enfance c’est un combat continu. Mais il y a mémoire et
mémoire, on ne peut pas se séparer... Il y a celle qui
veut définir la vie et le monde comme la mémoire religieuse et cela fait que la vie soit une répétition à l’infini.
On répète et l’on conserve. Dans ce sens, il faut se libérer de la mémoire pour être toujours prêt à créer de
nouveau. Il faut oublier pour mieux vivre.
la mémoire personnelle
C’est une fonction mais il faut la traduire d’une autre manière, dans le sens de la liberté. Une mémoire ne
m’enchaîne pas… il y a des mémoires qui enchaînent...
la mémoire ne m’enchaîne pas, au contraire c’est moi
qui l’enchaîne. C’est moi qui la fait s’éloigner pour mieux
voir, pour mieux vivre, pour mieux créer.
le corps
Si on se libère de la vision religieuse, on retourne au
corps et à la matérialité de la vie quotidienne. Toutes les
religions monothéistes ont presque le même point de
vue, le corps est le lieu du péché, donc le corps est
maudit. Une chose qui est maudite, qui est le lieu du
péché, on ne peut pas le comprendre, donc on l’évite
toujours. Puisqu’il y a un problème, toujours notre corps
est celui qui nous empêche de vivre mieux. Alors qu’on
ne peut vivre vraiment qu’avec notre corps, c’est notre
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corps qui est l’essentiel. La religion nous dit non, l’essentiel c’est quelque chose qu’on appelle âme ou esprit.
Mais ça n’existe pas sans le corps. L’essentiel c’est le
corps. Il faut réhabiliter le corps pour voir ce continent
extraordinaire de connaissance, de sensations et d’ouverture. Le corps c’est la vie. C’est au niveau de la peau
qu’on sent la vie et qu’on aime; on aime avec le corps
et à travers le corps on va vers ce qu’on appelle esprit.
Toute extase réelle passe à travers le corps.
le chemin: «...Entre ombre et soleil il n’a pas trouvé de
chemin»
Donc il n’y a pas de chemin, ni dans l’ombre, ni dans
le soleil, ni entre les deux. Aucun chemin. Peut-être que
c’est pour exprimer un cas personnel et limité parce que
même quand il n’y a pas de chemin, on marche. Il y a
toujours un chemin, mais peut-être pour exprimer un
état spirituel, passager j’ai dit ça. Parce que vivre c’est
avoir un chemin mais où mène t-il ce chemin? C’est autre chose.
l’essence des choses
Je crois qu’on peut atteindre aux images, à des rapports, mais atteindre l’essence du monde ou l’essence
des choses, impliquerait la mort de la langue, la mort de
la poésie et la mort de tout. Il faut toujours avoir un inconnu devant soi, sinon on meurt, la connaissance meurt.
Imaginez vous maintenant que vous soyez doté d’une
connaissance totale et absolue, cela voudrait dire qu’il
n’y a plus de connaissance; il n’y a plus d’inconnu. C’est
ce que fait ou ce que dit la religion, c’est pourquoi la culture religieuse est une culture fermée et définitive. Non,
on ne peut pas arriver à l’essence d’une chose, et heureusement. Il faut toujours être à la recherche de cette
essence qui est toujours en mouvement vers l’inconnu.
renouveler le monde par le langage
On peut renouveler les rapports avec le monde et
en renouvelant ces rapports, on peut indirectement renouveler le monde. Quand vous aurez une nouvelle
image du monde et des nouveaux rapports avec lui, cela
veut dire que vous changerez, vous aurez la possibilité
de changer ce monde. Donc la poésie et l’art change le
monde indirectement, pas directement. Une bombe
peut changer le monde directement, mais (rire) la poésie c’est autre chose.
la courtoisie de la matière: «Il sait que l’Autre est un
voile / Cependant / il a rempli son apparence / avec la
courtoisie de la matière»
C’est un poème que j’ai écrit, il y a 20 ans mais je
pense que je voulais dire que l’autre est un voile; l’au-
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tre est dans un sens, un empêchement. Malgré ça, je
dois comprendre tout ce qui est lié à cet autre avec qui
je vis et avec qui j’ai des liens. Pourquoi il est voile?
Cette manière de comprendre, cet essai de le comprendre, c‘est la littérature ou la courtoisie de la matière régnante. Donc je fais partie de cette courtoisie matérielle
régnante pour dire que je fais partie du monde de cet
autre qui est quand même voile.
Je vais raconter une petite histoire qui peut qui peut
illuminer ce que je voulais dire. Bergson dans les dernières années de sa vie avait décidé de se convertir au
Christianisme. Il était juif. Avant de se convertir vraiment, il avait approfondi les horreurs du Nazisme et a
renoncé. Il a dit, je préfère avec ce voile rester juif. Je
ne veux pas changer. Donc de temps en temps il faut
manifester sa solidarité même avec des gens que vous
avez décidé de quitter. C’est pour mieux voir comment
vivre avec des contradictions. Le choix essentiel de
Bergson a été de quitter le Judaïsme et de se convertir
au Christianisme mais dans un instant, il a dit non, je
reste. Donc il est allé contre lui-même pour rester avec
son peuple. Comment comprendre ou expliquer cela.
Donc il faut le comprendre et l’accepter comme un aspect de la vie et de ses contradictions.
voile symbolique ou réel?
Voile réel. Par exemple, j’aime beaucoup mon père
mais j’ai découvert qu’il a été un voile aussi. Il a essayé
de me faire choisir ce qu’il a lui-même choisi. Mais
après, j’ai essayé de dépasser ce voile. Sinon je serais
une répétition de mon père. À quoi ça sert?
quel est le rapport entre la voie interne la voie externe?
«Les Étoiles»
C’est un peu mystique. Le centre de l’univers ne sont
pas les étoiles, c’est l’être humain. Donc l’individu est le
centre et tout tourne autour de lui. Et dans ce sens non
seulement les étoiles marchent derrière l’être humain,
tout marche derrière lui parce qu’il est... pour l’univers,
pour l’inconnu, pour ce qui est à venir.
depuis quand sentez-vous une séparation avec le monothéisme?
Il n’y a pas longtemps, il y a dix ans. Je crois que le
monothéisme c’est une fermeture, je me suis rendu
compte en étudiant de près la vision monothéiste, parce
qu’une vision monothéiste, qu’est-ce que c’est? Il y a un
prophète, le dernier des prophètes. Il y a une parole
définie transmise par ce prophète. Cette parole divine
est la vérité absolue, définitive. Et il n’y aura pas, dans
le temps à venir, aucune autre parole divine. Donc c’est
la fin de la connaissance et il n’y aura plus de vérité ou-
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tre celle-là. Qu’est ce que ça veut dire? Cela veut dire
deux choses: que l’homme croyant n’a rien à ajouter, il
doit écouter, expliquer et obéir. Deuxièmement, et c’est
le point le plus contradictoire, le plus terrible, c’est que
Dieu lui-même n’a plus rien à dire parce qu’il a donné
sa dernière parole à son dernier prophète. C’est incroyable! Le Judaïsme dit ça, l’Islam dit ça, dans le Christianisme il y a une petite différence. Le Christianisme a dit
non au Judaïsme, il a dit que Dieu peut être une personne et que la personne peut être Dieu. C’est une révolution mais malheureusement, l’Église a judaïsé le
christianisme. Donc, l’essentiel maintenant pour les
chrétiens, c’est de retourner à la personne du Christ, et
non pas à l’Église. Sinon, le christianisme devient
comme l’Islam et comme le Judaïsme.
Le plus grand révolutionnaire du monde jusqu’à
maintenant c’était le Christ parce qu’il a dit non à la plus
grande institution de l’époque. Il a dit non. Extraordinaire ce Christ! Et il n’a pas seulement dit non à l’institution, il a réfusé la conception du Dieu Juif. Il a réfuté
leur conception de Dieu. Extraordinaire! Maintenant
avec l’Église ça devient le contraire.
Héraclite et le soufisme
Héraclite a été le mouvement en parole. Extraordinaire quand il a dit “vous ne traverserait pas un fleuve
deux fois”. Si vous traversez le fleuve maintenant et
après vous retournez pour le traverser, vous trouverez
devant vous un autre fleuve. Donc le changement et le
mouvement c’est la loi du monde. Et cela coïncide avec
la pensée mystique et les notions de l’infini, de changement, de dépassement. Donc c’est Héraclite et non pas
Platon qui est un de mes maîtres.
En ce qui concerne le soufisme, dans le monde s’il y
a une force qui a gardé le chemin vers l’infini, le chemin
vers l’essence et qui a laissé des traces sur ce chemin,
ce sont les mystiques, ils sont au-delà de la divinité au
sens religieux du mot.
le dialogue
Je ne crois pas qu’il y ait un vrai dialogue entre les
cultures, ni entre les religions. C’est du parler vide, parce
que si j’ai une foi absolue dans une chose, comment dialoguer avec un autre qui a une foi toute à fait différente?
Donc, dialoguer pourrait être utile pour la coexistence,
pour écarter les difficultés de la vie, mais pour aller au
fond des choses, ce genre de dialogue n’est pas utile. Le
dialogue entre les religions ne peut aboutir à rien. C’est
comme le dialogue entre les cultures, mais il y a un autre dialogue entre les peuples, qu’on devrait entreprendre; le dialogue basé sur la créativité à travers les arts.
Parce qu’essentiellement, comme le chant, tout ce qui
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unit les gens devrait servir comme base de dialogue. Et
ce qui unit les gens de toutes les cultures, de toutes les
civilisations c’est la poésie, la peinture, la musique, le
chant, la danse et c’est l’amour. Voilà, les champs du
dialogue, mais on ne fait pas de dialogue dans ces
champs, on le fait dans d’autres qui n’aboutissent à rien.
la couleur
La couleur, il faut qu’elle soit incarnée. Il n’y a pas de
couleur sans la vision. Pour voir une couleur il faut
qu’elle soit sur du papier, sur de la toile ou sur quelque
chose de semblable. C’est le contraire du mouvement.
Le mouvement n’a pas besoin d’être incarné, comme
l’air.
traduire la couleur en mots
Oui, la couleur… est elle même, est auto suffisante,
elle n’a pas besoin d’autre, mais le mot pourrait être
une couleur. La manière d’écrire un mot peut donner
des lignes et les lignes peuvent créer des rapports et
l’ensemble peut faire percevoir une couleur.
la poésie et le cinéma
Je crois que le cinéma c’est un art extraordinaire,
qu’il est l’art de l’infini. Cet art dépend du créateur parce
que dans le cinéma on a la possibilité de tout dire : la
poésie, la peinture, la philosophie et la science mais il
faut trouver un créateur et la vision de ce créateur. Je
serai du côté du cinéma parce que la poésie fait partie
du cinéma et ce n’est pas le contraire. On est toujours
à la recherche de ce grand créateur qui fera le film de
notre existence.
Nous avons entendu des poètes occidentaux réciter vos
poèmes mais souvent la vibration de la voix est complètement différente par rapport à votre façon de réciter en
arabe...
Je crois que ça vient de la parole, de la langue. Mais
la langue est enracinée dans le corps, ça vient de la voix
et la voix est aussi liée au corps. Parfois les Occidentaux
lisent de leur tête seulement. Il n’y a pas de corps, il n’y
a pas de voix et c’est pourquoi écouter un poète peut
être sec et ne rien donner. Ce sont des mots qui se prononcent et tout fini là. Mais on dirait qu’avec l’arabe, il
n’y a pas seulement un écho, il y a quelque chose qui
émane des profondeurs de notre vie et parce que ça
vient de très loin, naturellement ça va vers un très loin
aussi. Donc je crois que la voix, la langue, le corps et
l’histoire sont liés tous ensemble.
Il y a alors un secret naturel qui passe à travers la musicalité et la voix et qui participe à toutes les natures humaines. C’est tout à fait différent de l’intellect. L’intel-
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lect ne participe pas, il est du côté de la culture, il n’est
pas du côté de la nature. On écoute les chants dans
n’importe quelle langue et on est touché par le chant.
Si on écoute un chant indu, russe ou américain, on sent
qu’on est lié au chant parce que ça vient de la nature et
on est uni sur ce plan. L’arabe c’est un chant.
l’évolution dans la poésie Arabe
Essentiellement ou poétiquement parlant, il n’y a pas
eu d’évolution dans la « vision » du monde. Il n’y a pas
d’évolution dans la lumière, par exemple mais il y a une
évolution dans la manière d’exprimer la lumière, de décrire la lumière. Il y a une évolution dans les manières
d’exprimer dans la poésie Arabe. Cela ne veut pas dire
que ces manières nouvelles sont plus belles que les manières anciennes, absolument pas. Peut-être que la poésie d’Abu Nuwas par exemple ou d’Abu Tammam, la
poésie ancienne, est beaucoup plus belle que la poésie
actuelle. Dans ce sens il n’y a pas d’évolution, mais la
poésie évolue dans la manière d’écrire ou d’exprimer.
Et on peut dire cela non seulement concernant la poésie Arabe, mais concernant la poésie tout court, dans
toutes les langues.
Vous dites que les poètes médiévaux étaient plus créatifs avec la langue Arabe que les contemporains.
Oui, relativement parlant. Le poète dans l’époque
Abbasside a crée une manière de s’exprimer adaptée à
sa façon de vivre, plus réelle et plus profonde que nos
poètes actuels, que nous actuellement. Sans doute
l’époque est différente, mais il manque quelque chose
à notre expérience, nous les Arabes. Peut-être l’influence de la technicité nous a séparé, nous a empêché, je n’ai pas le mot exact… de créer notre modernité
comme nos anciens poètes. Nos anciens poètes ont crée
leur modernité, mais nous jusqu’à présent, on n’arrive
pas parce que la modernité occidentale a bouleversé
tout, donc on est devenu comme des occidentaux. Alors
qu’on n’est pas devenu vraiment occidental et l’on a
perdu notre contexte historique, notre patrimoine, notre langage poétique historique. Donc on est d’une manière ou d’une autre assez perdu, nous les Arabes. Et
pas seulement sur le plan poétique, sur tous les plans.
Quel est le rôle de la poésie dans le monde Arabe d’aujourd’hui ?
Son rôle c’est peut-être dire notre errance et notre
perplexité. C’est ça son rôle.
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Pouvez-vous nous parler de Bagdad à l’époque Abbasside et la libre expression des poètes?
Il y avait de l’oppression et de la tyrannie dans notre histoire, mais on dirait qu’il y avait une marge de liberté qui était plus large que la marge actuelle. Les Arabes étaient dans une position de force, ils étaient à
l’époque les maîtres du monde donc ils avaient la possibilité de laisser la poésie s’exprimer comme elle voulait. Ils n’avaient pas peur de la poésie. C’est pourquoi
nous avons connu des poètes qui ont posé des questions sur tous les problèmes y compris les problèmes
les plus difficiles concernant la religion, la révélation, la
prophétie, l’arabisme. Et nous actuellement, malheureusement nous n’avons pas la possibilité de poser de
telles questions. C’est peut-être à cause de la situation
politique que nous n’avons pas de poètes comme Abu
Nuwas ou bien Abu al-’Ala al-Ma’arri.
Les questions suivantes sont posées par Michael Beard,
co-traducteur avec Adnan Haydar de «Mihyar le Damascene».
M.B. Combien de fois avez-vous prit le thème de la
création comme thème pour votre poésie et qu’espérez-vous que vos lecteurs apprennent de votre processus de création, ses sources, sa mise en forme, sa fonction?
On peut parler de fonction dans la poésie mais j’aimerai que mes lecteurs voient le monde poétiquement
pour mieux vivre ce monde poétiquement comme disait Hölderlin. La poésie n’a pas de réponse. C’est un
questionnement, donc c’est une ouverture. C’est ça la
poésie pour moi. La poésie n’a pas de réponse, la poésie ne peut pas indiquer. La poésie illumine, éclaire, fait
signe seulement et c’est aux lecteurs de continuer ce
qui reste.
M.B. Quand vous créez un poème, quelle est le rapport
entre l’idée et la forme?
Si vous avez une nouvelle expérience, vous aurez
en l’exprimant, une nouvelle forme, ça va de soit. Chaque idée, chaque contenu a dans l’expression une forme
nouvelle. On ne peut pas répéter une forme, jamais. La
forme est crée totalement en fonction ici de l’expérience. Mais si vous n’avez pas une expérience nouvelle,
vous tomberez toujours dans des formes anciennes. Et
c’est dans ce sens, la forme ancienne, la forme répétée,
c’est le signe de la non créativité.
M.B. Certains pensent qu’Al-Kitab soit votre œuvre plus
importante. Pourquoi pensez-vous qu’il est ainsi?
Je n’ai pas parlé de mes livres. Ce que j’aimerais dire
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Il dio morto
Oggi ho
bruciato
il
miraggio
del
sabato
e il
miraggio
del
venerdì
oggi ho tolto la maschera
delle mie parti
ho scambiato il dio cieco della
pietra
e il dio dei sette giorni
con un dio morto.
The Dead God
Today I burned the mirage of
Saturday,
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La morte
Quando vidi
la morte
sulla mia
strada
vidi i miei
pensieri
vidi il mio
volto
locomotiva
che si
stendeva
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come la nebbia.
Mi rifugiai nei fulmini
tracciato sulla terra.
Death
When I saw Death along my
path
I saw my own thoughts.
I saw my face
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Celebrazione delle cose oscure
e chiare
La tua patria, o poeta
è là dove non puoi che essere
esiliato.
Celebrating vague / clear things
Poet:
Exile
Is your only homeland.
Célébrations des choses
obscures
et claires
Ta patrie,
poète,
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Il sangue che sprizza
Sogno:
questa voce non sarà la mia
voce
sei il cadavere che giace
sono il sangue che sprizza di
una civiltà immolata
che accende il fuoco della morte
che spegne il fuoco della morte.
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Flowing Blood
I dream.
This voice will no longer be my
voice.
You are the felled corpse.
I am blood escaping
from a civilization
sacrificed
stoking the fire of death
extinguishing the fire of death.
Le sang qui s’échappe
Je rêve.
Cette voix ne sera plus ma voix.
Tu es le cadavre
renversé.
Moi, le sang qui s’échappe
d’une civilisation immolée
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Celebrazione delle cose oscure
e chiare
Sa che l’altro è un velo
eppure la sua apparenza è
colma
della grazia della materia.
Celebrating vague / clear things
He knew the Other was a mere
veil.
Still his reality
was only etiquette.
Célébrations des choses
obscures
et claires
Il sait que l’autre
n’est jamais qu’un voile.
Mais il étoffe néanmoins,
13
Le stelle
Cammino e dietro di me
camminano le stelle
verso il domani delle stelle
il mistero, la morte, ciò che
nasce,
la fatica singolare,
fanno morire i miei passi e
rivivere il mio sangue.
Sono colui il cui cammino non è
ancora iniziato,
le sue profondità ancora
sconosciute
cammino verso me stesso
verso un domani che verrà,
cammino e dietro di me
camminano le stelle.
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Stars
I walk
and the stars trail behind me
towards their tomorrow.
The secret, death, what is being
born,
and that which wears me out —
all of them deaden my steps.
All of them quicken my blood.
I’m the one whose road
hasn’t yet begun,
its depths yet unseen.
I walk towards myself,
towards my imminent tomorrow
I walk
and the stars trail behind me.
Des étoiles
Je marche
et les étoiles me suivent
vers leurs lendemains.
Le secret, la mort, ce qui naît
comme ce qui m’épuise,
tout cela
fait mourir mon pas,
vivre mon sang.
Je suis celui dont la route
n’est pas encore ouverte,
ses profondeurs restent
inconnues.
Je marche vers moi,
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Celebrazione delle cose oscure
e chiare
Con il linguaggio hai voluto
conoscere te stesso e il
mondo,
per questo hai separato le cose
e i loro nomi:
hai istigato la cosa contro il
nome,
il nome contro la cosa,
eccoli ancora lottare, ciascuno
cerca ma non trova.
Perché, dopo tutto ciò,
sembri conoscere soltanto,
le cose che non hanno nome?
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Celebrating vague / clear things
You wanted language to know
you,
to renew the world,
so you made things break away
from their names.
You incited thing against name
and name against thing.
And here they are
still in strife,
each one searches but does not
find.
Why is it that still
all you seem to know
are the things which have no
names.
Célébrations des choses
obscures
et claires
Tu voulais par la langue te
connaître toi-même
et connaître le monde
et tu as séparé les choses
de leur nom.
Tu as dressé la chose contre le
nom,
le nom contre la chose.
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Celebrazione delle cose oscure
e chiare
Cercò di attraversare la strada
non riuscì a camminare
all’ombra
non riuscì a camminare al sole
e fra loro nessuna strada trovò
Celebrating vague / clear things
He tried to cross the street.
He couldn’t walk in the shade.
He couldn’t walk in the sun.
Between shade and sun he
couldn’t find a road.
Célébrations des choses
obscures
et claires
Il a tenté de traverser la rue.
Ne pouvait marcher à l’ombre.
Ne pouvait marcher au soleil.
Entre l’ombre et le soleil,
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Albero
Caddero due stelle
sulla testa del viaggiatore
straniero, passò una nube
lui si affrettò a cogliere il saluto,
una palma si spezza
e le lacrime incidono le sue
foglie dorate:
una palma che apprese dalla
malinconia
di essere interprete,
quaderno dai caratteri arabi
apprese dalla malinconia
nella cinta dei confini invisibili
di essere l’origine del luogo
e i venti sono ciò che rimane.
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Tree
Over the head of the passing
traveler
two stars fell.
A cloud passed by.
He bowed down to return the
greeting.
A palm tree’s fronds are
breaking off,
tears etched on its golden
leaves.
A palm tree: grief has made it
into an interpreter.
Is this a notebook
in Arabic
taught by grief,
fenced in by invisible
boundaries?
That is where it begins.
And all the rest is wind.
Arbre
Au-dessus de la tête de celui qui
voyage
deux étoiles
tombèrent.
Un nuage
passa.
Il s’inclina pour rendre le salut.
Un palmier se brisait,
des larmes martelant ses feuilles
dorées.
Un palmier qui apprit de la
mélancolie
à se faire interprète.
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Volto di donna
Ho abitato il volto di una donna
che abita un’onda
gettata fin sulla spiaggia dalla
marea
nelle cui conchiglie si è smarrito
il porto.
Ho abitato il volto di una donna
che mi fa morire, che ama
essere
un faro spento nel mio sangue
che naviga fino al fondo della
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follia
A Woman’s Face
I lived inside a woman’s face.
She lived in a wave
swept off by a tide,
swept off to a harbor
that lost its shells.
I lived inside a woman’s face
She makes me die,
she loves to get inside my blood
and sail to the limit of
madness.
And then become a darkened
lighthouse.
Visage d’une femme
J’ai habité le visage d’une
femme
habitant une vague
qu’emportait la marée
jusqu’au rivage, au port
perdu
parmi ses coquillages.
J’ai habité le visage d’une
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Celebrazione delle cose oscure
e chiare
Ogni volta che prova a
cancellare i ricordi,
il presente si prepara per
cancellare lui,
ogni volta che il suo cuore si
mobilita per intravedere il
futuro,
viene assediato da un esercito di
ricordi,
il recinto che lo protegge
è lo stesso che lo tiene sotto
assedio,
che strano cerchio:
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il tuo sangue, o uomo,
è forse la tua unica luce?
Celebrating vague / clear things
Whenever he tries to erase his
memories
the present starts to erase him
and every time his heart rushes
to glimpse the future
memory’s army hems him in.
The fence that protects him
is the wall that holds him back.
What a circle.
Mankind, is your blood
the only light you have?
Célébrations des choses
obscures
et claires
S’il tente d’effacer ses souvenirs
le présent, à son tour, tente de
l’effacer
et chaque fois son cœur s’élance
pour entrevoir l’avenir.
L’armée de la mémoire le cerne.
L’enceinte qui le protège
est le rempart qui le retient.
Cercle sans fin.
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L’inizio del discorso
Una volta, quel bambino che
ero,
venne da me,
era un volto straniero.
Non disse nulla,
c’incamminammo,
e ciascuno scrutava l’altro in
silenzio.
I nostri passi erano un fiume
che scorreva straniero.
Le origini ci avevano
accomunato in nome di
questi fogli che volano nel
vento,
ci separammo,
una foresta che la terra scrive e
le stagioni narra.
O tu, bambino che è in me,
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avanti,
che cosa, ora, ci accomuna, che
cosa diremo?
The Origin of Words
Once,
that child I was came back,
an unfamiliar face.
He didn’t say a word. We
walked,
each glancing at the other in
silence.
Our steps,
a river flowing, unfamiliar.
In the name of those leaves,
fluttering in the wind,
our lineage brought us together
and then we parted.
A forest written by the earth,
watered by the seasons.
Child that I was
come forth.
What is it that brings us
together now?
What shall we say?
Naissance de la parole
Un jour,
cet enfant que j’avais été m’est
revenu,
au visage inconnu.
Il n’a rien dit. Nous avons
marché,
l’un et l’autre s’observant en
silence.
Nos pas, une rivière coulant
inconnue.
Au nom de ces feuilles
tournoyant dans le vent,
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Albero d’Oriente
Divenni lo specchio:
riflettei ogni cosa
mutai nel tuo fuoco il rito
dell’acqua e delle piante
mutai forma alla voce e al
richiamo.
Cominciai a vederti duplice:
tu e queste perle che nuotano
nei miei occhi.
Io e l’acqua diventammo
amanti:
nasco in nome dell’acqua
e in me si genera l’acqua.
Io e l’acqua diventammo
gemelli.
Unità
Che l’universo sia tutt’uno in
me,
le sue palpebre sono le mie,
che l’universo sia tutt’uno in me,
nella mia libertà,
quale di noi due ha inventato
l’altro.
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Tree of the East
I have become the mirror.
I reflect everything.
Your flame empowered me to
change
the rituals of water and of
plants,
to change the voices’s shape,
the shape of crying out.
And now I see you as two:
you and the pearls that swim
inside my eyes.
Now the water and I are lovers:
I’m born in the name of water.
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Unity
The universe has merged itself
with me.
We wear the same eyelids.
I chose within myself to make
us one.
Water is born in me.
Water and I are twins.
Arbre de l’Orient
Je suis devenu miroir.
Je reflète tout.
Ta flamme m’a permis de
transformer
les rituels de l’eau et des
plantes,
de changer la forme des voix,
la forme du cri.
Et désormais je te vois double:
toi et les perles qui nagent dans
So which of us invents the
other?
Unité
L’univers s’est uni à moi.
Ses paupières sont les miennes.
Par choix,
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Terra senza ritorno
Anche se tu tornassi, Ulisse
anche se la distanza fosse
invalicabile
e la guida bruciasse
nel tuo volto tragico
o nel tuo consueto terrore
rimarresti sempre una storia di
viaggio
rimarresti sempre in una terra
senza promesse
rimarresti sempre in una terra
senza ritorno.
Anche se tu tornassi, Ulisse.
Land with no return
Even if you came back,
Odysseus,
even if all those distances have
hemmed you in,
even if your guide bursts into
flame right before your tragic
face
or in your intimate terror
you will still be a whole history
of wandering,
still in a land without promise
still in a land with no return,
even if you come back,
Odysseus.
Terre sans retour
Même si tu reviens, Ulysse,
si les distances se referment sur
toi,
si le feu embrase ton guide
devant ton visage tragique, ou
dans ta terreur de tous les
jours,
tu resteras à jamais une histoire
de l’errance,
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Pietra
Amo questa mite pietra
in lei ho visto il mio volto nei
suoi lineamenti,
ho visto le mie poesie perse.
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Stone
I worship this gentle stone.
I’ve seen my face in it,
my own lost poems.
Pierre
J’adore cette pierre douce.
J’ai vu mon visage
dans ses veines,
mes poèmes perdus.
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Vivo la luce.
Il mio tempo è aroma che passa,
l’infinito è il mio istante.
Se la morte dovesse ridere sulle tue labbra
La vita piangerebbe di nostalgia per te.
I live with the light,
all my years are but a passing fragrance,
each second, years and years.
Should Death laugh upon your lips
Life in tears would long for you
Je vis avec la lumière.
Mes années sont un parfum qui passe
et chaque seconde, des années.
Si la mort devait rire sur tes lèvres,
la vie en larmes se languirait de toi.
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Celebrazione delle cose oscure e chiare
La luce è la certezza dell’ombra
l’ombra è l’illusione della luce.
Celebrating vague / clear things
Light: the certainty of shade.
Shade: the illusion of light.
Célébrations des choses obscures et claires
La lumière: certitude de l’ombre
L’ombre: illusion de la lumière
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La certezza dell’ombra
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ISBN 978-88-97077-11-4
9
€ 32,00
788897 077114
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