La capacità di riconoscere “analogie”

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La capacità di riconoscere “analogie”
La capacità di riconoscere “analogie”: il caso di area
e volume
Silvia Sbaragli
N.R.D. - Dipartimento di Matematica - Università di Bologna – Italia
A.S.P. – Locarno - Svizzera
con la collaborazione di:
Luigina Cottino, Claudia Gualandi, Carla Nobis,
Adriana Ponti, Mirella Ricci
Lavoro eseguito nell’àmbito del programma strategico di ricerca: «Aspetti
metodologici (teorici ed empirici) della formazione iniziale ed in servizio degli
insegnanti di matematica di ogni livello scolastico», con fondi dell’Università di
Bologna.
Questo articolo è stato oggetto di pubblicazione in:
Sbaragli S. (2006). La capacità di riconoscere “analogie”: il caso di area
e volume. La matematica e la sua didattica. 2, 247-285.
Summary. In this research we show that among primary and secondary
school teachers there are rooted misconceptions regarding assumed
relationships between areas and volumes of solid figures. It derives that the
obstacle to the construction of a satisfactory mathematical knowledge of these
relationships has not an epistemological nature, as it has been pointed out by
research literature, but mainly a didactic one. Moreover we show that analogy
represents a little known strategy that is not exploited by teachers from a
didactic viewpoint, although it is one of the basic objectives of mathematical
teaching.
Resumen. Con esta investigación se quiere demostrar que, en algunos
docentes de las escuelas primarias y del primer año de secundaria, radican
misconcepciones a propósito de supuestas relaciones necesarias entre área y
volumen de figuras sólidas. Esta investigación evidencia cómo en una
construcción matemática satisfaciente de este argumento, actúan sí obstáculos
epistemológicos, como se encuentra en la literatura internacional, pero
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básicamente obstáculos didácticos. Además se presenta que la analogía es una
estrategia poco conocida y poco aprovechada desde un punto de vista
didáctico por parte de los docentes, a pesar de ser uno de los objetivos básicos
de la enseñanza de la matemática
Sunto. In questa ricerca si vuole dimostrare che, presso insegnanti di scuola
primaria e secondaria di primo grado, risiedono misconcezioni radicate a
proposito di supposte relazioni necessarie tra aree e volumi di figure solide,
che fan sì che l’ostacolo alla costruzione di una conoscenza matematicamente
soddisfacente di queste relazioni non è di natura epistemologica, com’è stato
rilevato dalla letteratura di ricerca, bensì prevalentemente di natura didattica.
Inoltre si vuole dimostrare che l’analogia rappresenta una strategia poco
conosciuta e non sfruttata dal punto di vista didattico dai docenti, pur essendo
uno degli obiettivi basilari dell’insegnamento matematico.
Resumo. Nesta perquisa queremos demonstrar que mesmo entre professores
de escola primária e secundaria de primeiro grau permanecem misconcepções
eraizadas sobre supostas relações necessárias entre áreas e volumes de figuras
sólidas, tais que podemos deduzir que o obstaculo à contrução de um
conhecimento matematicamente satisfatório destas relações não è de tipo
epistemológico, como ressaltou a literatura de pesquisa, mas essencialmente
de tipo didático. Queremos além demonstrar que a analogia representa uma
estratégia pouco conhecida e não esplorada didáticamente pelos professores,
mesmo sendo um dos objectivos fundamentais do ensino matemático.
Résumé. Par cette recherche on veut démontrer que dans l’esprit des
enseignants de l’école primaire et secondaire peut-on trouver de solides
méconnaissances concernantes certaines relations, supposées existantes, entre
aire et volume de figures solides, ce qui fait que l’obstacle à la construction
d’une connaissance mathématiquement satisfaisante de ces relations n’est pas
de nature épistémologique (comme a été relevé par la littérature de recherche),
mais en grande partie de nature didactique. On veut en outre démontrer que
l’analogie représente une stratégie, didactiquement peu connue et peu
exploitée par les enseignants, même si elle représente un des objectifs
primaires de l’enseignement mathématique.
Zusammenfassung. Ziel dieser Forschung ist zu zeigen, dass die Primarund Sekundar- Schullehrer verankerte falsche Vorstellungen über vermuteten
Beziehungen zwischen Flächeninhalt und Volumen geometrischer Körper
besitzen; daraus folgt, dass die Hindernissen bezüglich auf einem
mathematisch korrekten Aufbau dieser Beziehungen nicht von
epistemologischer Natur, wie es oft in der Forschungsliteratur behauptet ist,
sondern von didaktischer Natur sind. Ferner, mit dieser Forschung, zeigt man,
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dass die Analogie eine zu wenig bekannte und gar nicht ausgenutzte
didaktische Strategie ist, obwohl sie ein der wichtigsten Ziele der
mathematischen Erziehung ist.
1. Premessa e quadro teorico
Questo lavoro segue una precedente ricerca riguardante le convinzioni di
insegnanti e studenti relative alle relazioni tra perimetro e area di una
figura piana (D’Amore, Fandiño Pinilla, 2005), nella quale si analizzano
le convinzioni degli insegnanti e degli studenti sulle supposte relazioni
tra questi due concetti, convinzioni spesso basate su tentativi di
confermare sempre maggiorazioni o minorazioni tra queste entità, se
poste in relazione. I risultati di quella ricerca, descritta in modo più
puntuale nel paragrafo successivo, mostrano che l’ostacolo che si
oppone alla costruzione da parte degli studenti di una conoscenza
riguardante le relazioni tra “perimetro ed area” non è solo di natura
epistemologica, com’è stato rilevato dalla letteratura di ricerca bensì
soprattutto di natura didattica; esso quindi risiede soprattutto nelle scelte
didattiche.
Siamo partiti da questi risultati per studiare in questa nuova ricerca
l’analogia tra le relazioni attese, verificate o smentite, tra perimetro ed
area di una figura piana, e quelle tra area e volume di una figura solida,
in una sorta di analogia tutta da confermare: perimetro sta ad area (di
una figura piana) come area sta a volume (di una figura solida).
In particolare, ci siamo messi nella condizione di valutare se viene colta,
e di conseguenza sfruttata, dagli insegnanti intervistati e resi consapevoli
dei risultati della prima ricerca, l’analogia tra le situazioni proposte nel
piano e nello spazio, che permetterebbe di non dover rianalizzare i
problemi posti, dall’inizio, come se la situazione precedentemente
proposta nel piano non avesse alcun legame con quella proposta
successivamente nello spazio. Se cioè gli insegnanti che avevano preso
possesso cognitivo delle relazioni tra perimetro ed area sapessero
trasferirle, per analogia, a relazioni tra area e volume.
Abbiamo deciso di rivolgere la nostra attenzione solo ad insegnanti in
quanto riteniamo che per questa problematica sia questo il campione di
analisi più interessante, dato che, come afferma Zan: «Si può riconoscere
che nella formazione delle convinzioni ha una notevole responsabilità il
tipo di insegnamento ricevuto» (Zan, 1998). Ciò evidentemente riguarda
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il problema delle convinzioni e delle concezioni degli insegnanti [ampi
quadri teorici su questo tema sono riportati in D’Amore, Fandiño Pinilla
(2004) e in Campolucci et al. (2006), ai quali rimandiamo].
La vastità della tematica affrontata in questa ricerca, fa sì che il quadro
teorico di riferimento risulta legato a tre differenti tematiche: (1) area e
perimetro, per la quale rimandiamo a D’Amore e Fandiño Pinilla (2005);
(2) area e volume e (3) analogia. Risulta impossibile dare un quadro di
riferimento completo; è per questo motivo che, per non appesantire
troppo la lettura, abbiamo deciso di limitare la nostra analisi solo a quei
riferimenti bibliografici che, in qualche modo, hanno davvero
condizionato l’indirizzo della nostra attuale ricerca.
Per quanto riguarda area e volume, ricordiamo i classici studi condotti da
Vergnaud (1983; Vergnaud et al., 1983; Ricco et al., 1983) che hanno
mostrato le diverse difficoltà che incontrano gli allievi in età compresa
tra gli 11 e i 15 anni a rappresentarsi e a cogliere le diverse concezioni
del concetto di volume; in particolare, l’Autore riporta un’interessante
esperienza didattica effettuata con allievi di 12-13 anni su questo
argomento.
Assumono poi particolare importanza per questa trattazione le
considerazioni di Rogalski (1979) che segnala che uno dei grandi
problemi dell’apprendimento di misure di superficie e volume, sta nel
fatto che esistono specifici ostacoli concettuali che si rafforzano l’un
l’altro: i cambi di dimensione, lo specifico statuto delle unità di misura,
le relazioni esistenti tra l’unità di misura di superfici e volumi con l’unità
di misura di lunghezze.
Interessante è pure la riflessione proposta in Iacomella e Marchini
(1990), in cui si evidenzia il contrasto esistente tra le misure dirette (es.
con geopiani, quadrettature, teorema di Pick) e indirette (es. tramite il
ricorso alle formule, facendo appello a misure lineari) di una superficie e
come questo contrasto possa costituire un ostacolo alla comprensione.
Analogo contrasto può dunque esistere tra le misure dirette (es. con
contenitori graduati) e quelle indirette di volume.
Rouche (1992) mette in evidenza che la determinazione dell’area di un
rettangolo, come prodotto delle misure di due segmenti, è un esempio di
misura indiretta, difficile da essere accettato e costruito concettualmente;
questa difficoltà continua a valere anche per i volumi, se non addirittura
amplificata.
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Considerazioni analoghe sono sostenute da Chamorro (1997; 20012002) che mostra come didatticamente si faccia prevalere per le
grandezze multidimensionali, superficie e volume, il prodotto di misure;
questo comporta che non vi sia una reale valutazione della comprensione
da parte degli alunni della bidimensionalità e tridimensionalità, dato che
tutto ciò che si richiede nelle valutazioni è semplicemente l’applicazione
di una formula. La difficoltà implicita in questo discorso deriva dal fatto
che non tutte le grandezze si prestano con la stessa facilità ad una misura
diretta, dato che essa risulta possibile solo quando si dispone di un
sistema di misure che la facilita, come nel caso della massa e della
capacità, in cui la misura diretta è indubbiamente più semplice da
determinare direttamente, rispetto a quella della superficie e del volume.
Del volume parla anche Bartolini Bussi in un articolo (1989) dove
vengono presentati i risultati della progettazione e sperimentazione di
una sequenza didattica in una quinta primaria relativa a questo tema.
Inoltre, per quanto concerne le difficoltà nel percepire le relazioni tra
area e volume, uno dei riferimenti più illustri risale a Galilei che
considera in “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove
scienze” (1638) i due cilindri (aventi la stessa area superficiale) che si
possono ottenere arrotolando un foglio di carta rettangolare nelle due
disposizioni possibili, sfruttando le diverse dimensioni del foglio stesso.
Con questa costruzione, Galilei nota come i due volumi dei cilindri così
ottenuti, stanno fra loro come le altezze contrariamente prese. Eppure,
come afferma lo stesso Galilei, la gente è sempre convinta che i cilindri
costruiti in tal modo, avendo la stessa superficie curva, devono avere
anche lo stesso volume: «Di qui s’intende la ragione d’un accidente che
non senza meraviglia viene sentito dal popolo; ed è come possa essere
che il medesimo pezzo di tela più lungo per un verso che per l’altro, se
ne facesse un sacco da tenervi dentro del grano, come si costuma fare
con un fondo di tavola, terrà più servendoci per l’altezza del sacco della
minor misura della tela e con l’altra circondando la tavola del fondo, che
facendo per l’opposito: come se, per esempio, la tela per un verso fusse
6 braccia e per l’altro 12, più terrà quando con la lunghezza di 12 si
circondi la tavola del fondo, restando il sacco alto braccia 6, che se si
circondasse un fondo di 6 braccia, avendone 12 per altezza. Ora, da
quello che si è dimostrato, alla generica notizia del contenere più per
quel verso che per questo, si aggiunge la specifica e particolare scienza
del quanto ei contenga più; che è che tanto più terrà quanto sarà più
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basso, e tanto meno quanto più alto: e così, nelle misure assegnate
essendo la tela il doppio più lunga che larga, cucita per la lunghezza
terrà la metà manco che per l’altro verso; e parimente avendo una stuoia,
per fare una bugnola, lunga venticinque braccia e larga, per esempio,
sette, piegata per lo lungo terrà solamente sette misure di quelle che per
l’altro verso ne terrebbe venticinque».
Il misconcetto1 legato alle relazioni tra area e volume, analizzato così
sapientemente da Galilei, fa parte delle considerazioni di diversi altri
Autori. Piaget et al. (1960) citano questo classico esempio in riferimento
alla conservazione della superficie; Stavy e Tirosh (2001) riprendono
questa trattazione come sostegno all’ipotesi dell’esistenza della teoria,
chiamata dalle due autrici, delle “regole intuitive”: «Molte risposte che
la letteratura descrive come concezioni errate potrebbero essere
interpretate come l’evoluzione di alcune comuni regole intuitive». Tra le
conclusioni proposte vi è la seguente: «Abbiamo dimostrato che le
risposte degli studenti nei problemi di matematica e scientifici non si
accordano necessariamente con i modelli e i concetti scientifici. Spesso,
tali risposte sono determinate da alcune caratteristiche del problema che
attivano le specifiche regole intuitive correlate» (Stavy e Tirosh, 2001).
Ciò è legato all’idea di modello intuitivo spiegata da Fischbein (1985a):
«Il termine “intuitivo” può avere, nei confronti dei modelli, due
significati distinti tra loro connessi: uno è il significato generale di
rappresentazione pittorico-comportamentale, l’altro si riferisce più
specificamente alla capacità che certi modelli hanno di suggerire
direttamente una soluzione come quella che si impone per la sua
evidenza. (…). Per creare un supporto intuitivo alla ricerca intellettuale,
ai concetti e alle operazioni mentali tendiamo ad associare
spontaneamente modelli significativi dal punto di vista intuitivo»; ma:
«L’insistere eccessivamente nel fornire suggerimenti intuitivi usando
rappresentazioni artificiali e troppo elaborate può fare più male che
bene».
Tornando alla conservazione del volume, altri esempi sono stati trattati
da Piaget (1976), come il confronto tra quantità uguali di acqua in due
recipienti di forma diversa, dal quale Piaget rilevò che i bambini fino ai
5 o 6 anni di età fanno attenzione soltanto alle altezze dell’acqua nelle
1
Sul significato di questo termine, si vedano le riflessioni critiche proposte in
D’Amore, Sbaragli (2005) ed in Sbaragli (2005).
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due tazze, affermando che: «C’è più acqua nella tazza più alta».
Sempre a proposito di conservazione, in uno scritto precedente, Piaget e
Inhelder (1975) sostengono: «È ovvio che il motivo per la non
conservazione della materia fisica deve essere lo stesso di quello delle
entità matematiche: il primato della percezione diretta sulle elaborazioni
intellettuali», ribadendo in questo libro e in altri successivi la loro
opinione che tale schema di conservazione si sviluppa durante la fase
delle operazioni concrete.
In effetti, questi studi classici erano basati soprattutto sugli insuccessi
dei giovani allievi che sembravano dipendere, secondo questi due Autori
e secondo molti altri dopo di loro, solamente da determinati stadi di età e
non dallo sviluppo linguistico del soggetto. Come riportano D’Amore e
Fandiño (2005), le conclusioni di Piaget furono sottoposte a severa
critica da parte di studiosi successivi (si veda: Resnick e Ford, 1981).
Il tema della conservazione continua ad essere oggetto di studio, come
dichiarano Stavy e Tirosh (2001), a difesa della loro teoria delle regole
intuitive; a tal proposito Livne (1996) fece delle prove con studenti di
scuola superiore (16-18 anni di età) concernenti aree e volumi. Per l’area
totale di solidi veniva proposta una situazione nella quale vi erano due
scatole congruenti di cartoncino a forma di parallelepipedo; una veniva
accartocciata su sé stessa in modo da diminuire il volume e lasciare
inalterata l’area, mentre l’altra non veniva modificata. Agli studenti
veniva chiesto se l’area della scatola non accartocciata è maggiore,
minore o uguale rispetto all’area della scatola accartocciata. Livne rivelò
che soltanto una percentuale molto bassa di studenti riteneva che l’area
totale delle facce si conservava inalterata. Nella stessa ricerca presentò
anche una situazione nella quale erano contemplati entrambi i concetti,
di area e volume. Si chiedeva agli studenti di scuola superiore di
confrontare il volume e l’area totale di un solido pieno a forma di
parallelepipedo, prima e dopo averlo diviso in quattro parti. Le
conclusioni rilevarono che circa il 30% degli studenti sostenevano che
oltre a conservarsi il volume si conservasse anche l’area totale.
Attenzione viene dedicata da D’Amore e Fandiño (2005) sul fatto che
questo tipo di risposta possa variare in base al linguaggio utilizzato nel
fare la domanda, al modo e soprattutto all’ordine con il quale si pongono
le domande.
Dei “problemi della conservazione” parla anche in modo esplicito ed
approfondito Chamorro (2001-2002).
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Inoltre, un’interessante analisi che verte sulle convinzioni degli
insegnanti di scuola primaria relative al concetto di volume e sul
processo di insegnamento-apprendimento di tale sapere, è riportato in
Sáiz Roldán (2003) dove si dimostra che le convinzioni e concezioni
degli insegnanti relative a questo tema risultano essere incomplete o
scorrette. In particolare, tra le concezioni prevalgono gli aspetti
quantitativi, basati sull’obiettivo che di solito ci si pone di avere tre dati
numerici da moltiplicare tra loro per applicare una formula. Il numero
diventa così il significato preponderante di tutte le dissertazioni dei
docenti; questo fa sì che alcuni dei problemi individuati negli allievi per
quanto riguarda il volume possono essere spiegati in base alle concezioni
degli insegnanti, assai limitate rispetto alla varietà di significati che
possono essere associati a tale concetto.
La nostra attuale ricerca oltre a rivolgersi alle relazioni tra area e
volume, si basa sull’importanza di riconoscere “analogie” per valutare le
relazioni nel passaggio tra piano e spazio.
Il significato del termine analogìa, nell’accezione comune della lingua
italiana tratto dell’Enciclopedia Treccani, Roma, 2002, è il seguente:
“relazione di somiglianza, uguaglianza di rapporti, proporzione
matematica”. In particolare, l’origine più antica, come suggerisce la sua
radice greca (analoghía), si fonda sul concetto matematico di
proporzione che stabilisce una similitudine come uguaglianza di
rapporti. Ma la nostra interpretazione trascende questo significato
particolare e va anche oltre quella di Pesci (2002) che, a proposito di
pensiero proporzionale, mette in evidenza l’ostacolo didattico che si può
generare quando si punta esclusivamente l’attenzione su termini e
proprietà che sembrano esclusivi del concetto di proporzione, senza far
cogliere l’analogia strutturale tra le situazioni di proporzionalità ed altre
situazioni moltiplicative, e soprattutto quando non si favorisce l’uso
consapevole delle proprietà aritmetiche che, ancora prima dell’impatto
con la proporzionalità, gli allievi conoscono già a proposito di rapporti
ed uguaglianze.
Al di là del riferimento specifico all’analogia nell’àmbito delle
proporzioni, vi sono molti Autori illustri che trattano esplicitamente
dell’importanza dell’analogia nel campo della didattica della
matematica. A tal proposito, Brousseau (2004), in un interessante
articolo su una modellizzazione dell’insegnamento della matematica,
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afferma: «Il docente deve dunque dissimulare le sue intenzioni con un
artificio didattico: scegliere domande le cui risposte possono essere
costruite dall’allievo, ricorrere ad analogie, suggerire metodi ecc.»;
Speranza (1988) sostiene: «Corrispondenze e analogie strutturali, tema
che, a sua volta, è la chiave di volta del pensiero matematico-strutturale.
A mio avviso il ritrovare analogie è uno dei momenti essenziali del
pensiero critico: ritengo che sia utile lasciare che gli allievi si
sbizzarriscono a inventare qualche analogia, anche se poi una più attenta
critica potrà farne dimenticare molte fra quelle inventate».
Fischbein (1985b, p. 130) ribadisce l’importanza dell’analogia in
riferimento ai modelli intuitivi: «Compito della didattica della
matematica è quello di correggere, migliorare, arricchire il fondamento
intuitivo corrispondente ai vari “campi concettuali” matematici e,
certamente, di migliorare il più possibile il controllo delle strutture
concettuali. Eventuali conflitti tra il livello intuitivo, il livello
algoritmico e il livello formale non possono essere eliminati ignorando
semplicemente il livello intuitivo. (…) Lo studente deve essere aiutato a
prendere coscienza di tali conflitti». A questo scopo, per superare
difficoltà derivanti dal forte peso che hanno i modelli intuitivi, l’Autore
consiglia, tra le strategie, proprio quella di fare ricorso all’uso
dell’analogia. Il celebre esempio che l’Autore propone è il seguente:
«“Con 2 dollari si può comprare una bottiglia di 0,75 l di aranciata.
Quanto costa 1 l di aranciata?” Per superare questa difficoltà si possono
usare varie strategie. Una di queste consiste nel fare ricorso a un
problema, connesso all’altro per analogia, ma i cui dati numerici vadano
d’accordo con le richieste intuitive. Per esempio: “Con 10 dollari si
possono comprare 5 l di aranciata. Quanto costa 1 l?” (…) Con la stessa
procedura si può risolvere anche il problema di partenza».
Anche se, come riferisce Bazzini (1995), citando Fischbein: «Non
dobbiamo però dimenticare che se i vari tipi di ragionamento analogico
da una parte possono favorire la costruzione di conoscenze, dall’altra
possono indurre a conclusioni erronee nel momento in cui vengano
enfatizzati o distorti particolari aspetti a svantaggio di altri. Se l’analogia
è una potenziale generatrice di ipotesi, può essere anche causa di
misconcetti o fraintendimenti (Fischbein, 1987, 1989)». In effetti, capita
spesso che, quando il soggetto si trova in forte incertezza di fronte a un
problema da risolvere, tende a trasformare un certo nucleo di
informazioni da un dominio ben conosciuto ad un altro meno noto,
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tramite un trasferimento per analogia. Può avvenire allora che si
assumano per valide corrispondenze analogiche che invece non sono
accettabili per quei particolari sistemi. Si parla, in questo caso, di
analogie “tacite” che possono inserirsi nel processo cognitivo e
perturbarlo.
Ancora, Stavy e Tirosh (2001) sostengono l’importanza dell’analogia,
affermando che lo scopo primario dell’insegnamento matematico e
scientifico è quello di incoraggiare gli studenti a trasferire la conoscenza
da un caso specifico ad altri. Eppure numerosi studi al riguardo hanno
dimostrato che gli studenti non fanno tali auspicati collegamenti, spesso
a causa dell’inadeguatezza del sistema formativo (Noss, Hoyles, 1996).
Così come fece Fischbein, anche Stavy e Tirosh (2001) propongono tra
le metodologie che permettono di aiutare gli studenti a superare gli
effetti delle regole intuitive, l’insegnamento per analogia:
«Nell’insegnamento per analogia, agli studenti per prima cosa viene
presentato un “compito di riferimento”, nel quale sono assenti
caratteristiche irrilevanti capaci di innescare l’uso di una determinata
regola intuitiva (tale compito di riferimento di solito stimola una risposta
esatta). Più avanti, agli studenti viene proposta una serie di “compiti di
collegamento” fondamentalmente simili, in cui caratteristiche non
rilevanti, in grado di stimolare la regola intuitiva, sono via via sempre
più evidenti. Da ultimo, viene proposto un “compito-obiettivo”, in grado
di suggerire esplicitamente la regola intuitiva [una descrizione
dettagliata dell’approccio sull’insegnamento per analogia viene riportata
da Clement (1993)]». L’efficacia di tale sequenza di istruzioni
nell’aiutare gli studenti a vincere le regole intuitive relative agli angoli
venne comprovata da Tsamir (1997).
Sempre a proposito della funzione del ragionamento analogico, nel
processo di ristrutturazione della conoscenza individuale e del
superamento di misconcetti, va ricordato il lavoro di Brown e Clement
(1989).
Attente riflessioni riguardanti l’analogia in situazioni problematiche
sono fornite da Lucangeli e Passolunghi (1995). Da questo punto di
vista, le due Autrici citano varie ricerche che si sono focalizzate su un
particolare tipo di transfer che avviene quando si presenta un problema
base e poi uno ad esso analogo (Reeves e Weisberg, 1993; 1994; Ross,
1987); sembra che siano proprio i dettagli del problema e il contesto in
cui è stato appreso, a guidare il transfer che porta alla soluzione. In
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seguito le due Autrici parlano in modo puntuale del transfer analogico,
che avviene quando il problema di base e il problema target sono
analoghi, cioè quando entrambi condividono la stessa struttura
risolutiva; in tal caso la soluzione del problema base può essere trasferita
al problema target (Gentner e Gentner, 1983). Di questo fatto, le Autrici
forniscono anche un’ampia bibliografia.
Anche Bazzini (1995) sostiene l’importanza del pensare per analogia,
concependola come una strategia fondamentale per aiutare gli allievi
nella costruzione del sapere, in una continua interazione tra ciò che si sa
già e ciò che deve essere acquisito. Per l’Autrice, il pensare per analogia,
aiuta a codificare e organizzare le nuove conoscenze, a recuperare quelle
archiviate in memoria e a creare nuovi schemi concettuali, in linea con il
pensiero di Mason (1992), che considera l’analogia uno strumento
potente per apprendere in maniera relazionale, ossia connettere “pezzi”
di sapere disponendo di sistemi di riferimento atti a strutturare e
comprendere campi problematici nuovi, senza rimanere bloccati da una
conoscenza “inerte”.
In particolare, Bazzini (1995) sottolinea contemporaneamente
l’importanza didattica e la necessaria cautela che è necessario adottare
nel far uso dell’analogia: «Il ragionamento analogico da una parte
richiede e dall’altra stimola la flessibilità mentale, facilitando
l’apprendimento. Come abbiamo già osservato, si tratta dunque di
liberare la conoscenza: “inerte” e utilizzarla in situazioni nuove.
Naturalmente, l’uso dell’analogia nell’istruzione non è esente da rischi e
non per niente l’analogia è stata definita una “lama a doppio taglio”.
Proprio per questo è necessaria un’analisi attenta delle unità didattiche
programmate che permetta all’insegnante di favorire un uso produttivo
del ragionamento analogico, prevenendo anche le possibili insidie».
Come si vede, il quadro scientifico di riferimento è di straordinaria
complessità ed ampiezza su ciascuno dei versanti, oggetto della presente
ricerca.
2. Problemi di ricerca, ipotesi di risposta e metodologia
2.1 Il punto di partenza
Nella ricerca di D’Amore e Fandiño (2005) si è dimostrato che, per
quanto concerne i due concetti geometrici di perimetro e area di una
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figura piana, sono numerose e radicate le misconcezioni possedute da
alcuni insegnanti e allievi di ogni livello scolastico.
In particolare, molte di queste misconcezioni si fondano su presunte
relazioni di dipendenza stretta tra questi due concetti sul piano
relazionale, del tipo:
se A e B sono due figure piane, allora:
• se (perimetro di A > perimetro di B) allora (area di A > area di B)
• idem con <
• idem con = (per cui: due figure isoperimetriche sono
necessariamente equiestese);
• e viceversa, scambiando l’ordine “perimetro – area” con “area –
perimetro”.
In particolare, in tale ricerca veniva chiesto ad insegnanti e allievi di
mettere in relazione i perimetri (p) di due figure con le loro rispettive
aree (A), mostrando un esempio per ciascuno dei seguenti 9 possibili
casi; in questo modo si voleva evidenziare che le “relazioni” sopra
riportate non valgano in modo acritico e generalizzato.
p
>
=
<
A
>
>
>
p
>
=
<
A
=
=
=
p
>
=
<
A
<
<
<
Nella prima casella “> >” si chiede di trovare due figure tali che,
passando dalla prima alla seconda, il perimetro cresca e l’area cresca, e
così via.
I risultati di D’Amore e Fandiño (2005) rivelano le numerose difficoltà
ad accettare l’esistenza di tutti i 9 casi e a riuscire a trovare due figure
per ogni casella; più in generale, dimostrano la presenza di
misconcezioni radicate a proposito di supposte relazioni, che si
crederebbero necessarie, tra la variazione del perimetro e dell’area in
funzione della variazione di una figura piana.
2.2 La presente ricerca. Problemi di ricerca, metodologia e
ipotesi di risposta
Le scelte metodologiche di questa ricerca seguono le fasi già usate in
D’Amore e Fandiño (2005).
Vogliamo puntualizzare fin da ora che questa ricerca, a differenza della
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precedente, è stata effettuata esclusivamente su ricercatori e insegnanti
di scuola primaria e secondaria di primo grado e tutte le prove sono state
fatte sotto forma di intervista individuale.
• Fase 1. Inizialmente, per dare l’avvio alla ricerca, abbiamo posto a
metà dei soggetti intervistati la seguente domanda:
- Nello spazio ho due solidi, se il secondo ha rispetto al primo area
maggiore, avrà anche volume maggiore?
Dopo aver ricevuto la risposta si effettuava la seconda domanda:
- Nel piano ho due figure, se la seconda rispetto alla prima ha perimetro
maggiore avrà anche area maggiore?
All’altra metà dei soggetti intervistati si ponevano le stesse domande ma
invertite come ordine.
Successivamente, veniva effettuata una breve intervista per indagare se
gli insegnanti avevano mai riflettuto su questo argomento e se
conoscevano esempi di figure, sia nel piano che nello spazio, che
contraddicevano le risposte fornite.
Ipotesi Fase 1. Ipotizzavamo che i risultati relativi alla fase 1 sarebbero
stati diversi in base all’ordine delle domande (anche per quanto
evidenziato, a questo stesso proposito, in D’Amore, Fandiño, 2005).
Essendo più conosciute le nozioni legate al piano rispetto a quelle
relative allo spazio (in particolare che a perimetro uguale non
corrisponde necessariamente area uguale), piuttosto che l’analogo sapere
riferito allo spazio, ipotizzavamo che gli insegnanti avrebbero teso a
sbagliare maggiormente nel primo caso che coinvolge per primo lo
spazio, piuttosto che nel secondo. Nel primo caso ipotizzavamo, però,
che qualche insegnante, dopo aver sentito la seconda domanda relativa al
piano, volesse addirittura cambiare anche la risposta sbagliata fornita
alla prima domanda, manifestando così di aver colto l’analogia tra un
sapere posseduto e uno non del tutto dominato. Invece, nel secondo caso,
essendo il sapere della prima domanda conosciuto da diversi insegnanti,
ipotizzavamo che gli intervistati avrebbero teso a trasferirlo anche nella
seconda domanda, effettuando così un ragionamento analogico tra piano
e spazio. Nel primo caso, a nostro parere, le misconcezioni basate su
supposte relazioni obbligatorie tra i concetti geometrici in oggetto
sarebbero risultati più forti, dato che lo spazio rappresenta un àmbito nel
260
La matematica e la sua didattica • Anno 20, n. 2, 2006, 247-285
quale in genere le persone, anche gli insegnanti, hanno avuto modo di
riflettere meno rispetto al piano [uno dei motivi potrebbe essere che lo si
considera un sapere da sottovalutare dal punto di vista scolastico,
rispetto al piano (Arrigo, Sbaragli, 2004)]; mentre, nel secondo caso,
avrebbe potuto essere d’aiuto nel rispondere, l’uso dell’analogia rispetto
alle domande poste.
Questa prima fase permette quindi di indagare:
- eventuali usi dell’analogia
- difficoltà concernenti lo spazio
- come può incidere l’ordine delle domande poste sulle risposte date.
• Fase 2. Successivamente, abbiamo chiesto se esistono per perimetro e
area tutti i 9 casi di relazione visti in precedenza [legati alla ricerca di
D’Amore e Fandiño (2005)] (si chiedeva se esistono due figure tali che:
la seconda rispetto alla prima abbia, perimetro maggiore e area
maggiore, ..., seguendo la tabella indicata sopra); poi si domandava di
completare la tabella cercando esempi opportuni in modo personale.
Dopo che l’insegnante considerava la propria tabella conclusa, si
esplicitava a tutti, indipendentemente dalla prestazione, che sì, è
possibile trovare tutti e 9 i casi, e si mostravano e spiegavano in dettaglio
i 9 esempi riportati in allegato 1. Seguiva poi un’intervista utile per
indagare le convinzioni, i dubbi, le incertezze e l’eventuale cambio di
convinzione degli insegnanti su questo argomento. Le domande erano
del tipo: È vero o non è vero che viene spontaneo pensare che
all’aumentare del perimetro di una figura piana, ne aumenti l’area, in
generale? È vero o non è vero che bisogna fare uno sforzo, per
convincersi che le cose NON stanno così? Sapevi prima di questa attività
che NULLA si può dire a priori del legame tra “aumento (uguaglianza,
diminuzione) del perimetro” ed “aumento (uguaglianza, diminuzione)
dell’area” di due date figure piane, la seconda ottenuta dalla prima?
Ipotesi fase 2. I risultati di tale fase non rientrano tra gli obiettivi di
questa ricerca dato che questa tappa rappresenta solo il punto di partenza
per creare l’analogia con la fase successiva, della quale ci occuperemo in
modo puntuale. In ogni caso, prevedavamo che le risposte fornite dagli
intervistati fossero confrontabili con quelle ottenute nella ricerca
precedente.
• Fase 3. Conclusa la seconda fase, si chiedeva agli stessi insegnanti se
Sbaragli S. • La capacità di riconoscere “analogie”: il caso …
261
secondo loro si possono realizzare 9 casi analoghi anche per area e
volume di figure solide e si domandava di completare la seguente tabella
(si chiedeva se esistono due figure solide tali che: la seconda rispetto alla
prima abbia, area maggiore e volume maggiore, e così via…).
A
>
=
<
V
>
>
>
A
>
=
<
V
=
=
=
A
>
=
<
V
<
<
<
In questo modo si voleva vedere se gli insegnanti erano in grado di
sfruttare l’analogia tra piano e spazio, ossia tra ciò che avevano appena
risolto individualmente, o del quale erano venuti a conoscenza tramite
l’allegato 1 mostrato dal ricercatore, e il nuovo problema proposto.
Seguiva un’intervista per indagare le convinzioni e gli eventuali cambi
di convinzioni degli insegnanti che verteva su domande relative alle
presunte relazioni tra area e volume del tipo: È vero o non è vero che
viene spontaneo pensare che all’aumentare dell’area di una figura solida,
ne aumenti il volume, in generale? Sei convinto che NULLA si può dire
a priori del legame tra “aumento (uguaglianza, diminuzione) dell’area”
ed “aumento (uguaglianza, diminuzione) del volume” di figure solide?
In tale intervista, si ponevano anche domande relative all’analogia tra
questa situazione e quella precedente: Come hai fatto a trovare questi
casi nello spazio? Che cosa hai sfruttato? Ti sono serviti i 9 casi del
piano? Per lo spazio, reputi che sia la stessa situazione del piano o
consideri che sia diverso? Che cosa hai provato quando, dopo la fase su
perimetro e area, ti sono state proposte domande su area e volume?
Quando l’intervista pareva conclusa, si mostravano e si spiegavano i 9
casi dello spazio riportati in allegato 2, ottenuti per estensione da quelli
dell’allegato 1, e si ponevano alcune domande sulle possibili relazioni
tra area e volume di figure solide del tipo: Riesci ad accettare che non
esistono relazioni obbligate tra area e volume di figure solide? Risulta
facile accettare i 9 esempi?;
e altre domande sull’analogia tra questa situazione e quella precedente
del tipo: Che cosa pensi ora? Sei riuscito a cogliere l’analogia tra le due
situazioni? Fino a che punto? La intuisci? Ci avevi mai pensato? Reputi
importante l’analogia? Perché?
Ipotesi fase 3. A nostro parere, la maggioranza degli insegnanti
262
La matematica e la sua didattica • Anno 20, n. 2, 2006, 247-285
intervistati, dopo aver osservato i 9 casi nel piano, avrebbero intuito che
esistono i 9 casi anche nello spazio, utilizzando così una prima analogia;
ma pensavamo altresì che, probabilmente, non sarebbe così automatico
trovare tutti i casi, segno di una mancanza di consapevolezza piena del
pensiero analogico tra gli esempi visti nel piano e quelli da trovare nello
spazio. Molti insegnanti, a nostro parere, avrebbero affrontato il
problema come se non ci fosse stata una fase analoga precedente.
Prevedevamo che i casi più semplici di passaggio per analogia tra il
piano e lo spazio avrebbero riguardato le figure concave che, di solito,
non vengono colte in modo spontaneo dagli insegnanti (D’Amore,
Fandiño, 2005); prevedevamo infatti che, il fatto d’aver mostrato le 9
configurazioni della fase 2, alcune delle quali sono figure concave,
avrebbe aiutato a far pensare a questo genere di figure anche nello
spazio.
Ipotizzavamo che questa terza fase, oltre a rilevare uno scarso uso
dell’analogia da parte degli insegnanti, avrebbe mostrato che, presso
alcuni, vi sono misconcezioni radicate a proposito di supposte relazioni
necessarie tra area e volumi delle figure solide, pur avendo visto esempi
contrari nel piano. Ossia, ipotizzavamo che, senza l’uso dell’analogia,
per gli insegnanti sarebbe risultato difficile trovare i 9 esempi nello
spazio (specialmente nel caso in cui l’area deve diminuire e il volume
aumentare), dato che lo spazio risulta essere un àmbito poco conosciuto.
In particolare, a noi interessava rilevare il mutamento delle convinzioni;
volevamo indagare cioè se, dopo aver mostrato gli esempi, gli insegnanti
fossero disposti a cambiare idea ammettendo, se è il caso, personali
carenze relative ai concetti di area e volume e all’uso dell’analogia.
Diventava così essenziale far esprimere le convinzioni dei soggetti
prima e dopo gli esempi; per raggiungere questo scopo, più che fare dei
test, diventava essenziale ricorrere ad interviste.
Come indicatori delle nostre ipotesi, abbiamo deciso di assumere o le
stesse ammissioni esplicite dei soggetti sottoposti alla prova, o la
evidenza oggettiva delle loro eventuali difficoltà.
2.3 Domande generali di ricerca
Siamo ora in grado di formulare domande di ricerca come segue:
D1. Presso gli insegnanti di scuola primaria e secondaria di primo grado
vi è piena consapevolezza della mancata esistenza di relazioni obbligate
Sbaragli S. • La capacità di riconoscere “analogie”: il caso …
263
tra area e volume di figure solide o vi sono problemi di costruzione
concettuale in questo àmbito?
D2. Gli insegnanti riescono a cogliere l’analogia tra la situazione
proposta nel piano e quella proposta nello spazio? Più in generale,
l’analogia è una capacità posseduta dagli insegnanti?
D3. Se l’intervistato non ha intuito personalmente l’analogia tra le
situazioni proposte in esame nel passaggio tra piano e spazio, dopo
avergliela illustrata, è capace di coglierla e farne uso? Ne riconosce
l’importanza? Quali ritiene essere le cause del suo eventuale mancato
uso?
2.4 Ipotesi generali di risposta
I1. A nostro parere, gli insegnanti di scuola primaria e secondaria di
primo grado non hanno piena consapevolezza della mancata esistenza di
relazioni obbligate tra area e volume di figure solide. Molto
probabilmente, dalle affermazioni degli insegnanti emergeranno quindi
radicate misconcezioni e difficoltà concernenti lo spazio. Prevediamo
quindi che si manifestino evidenti problemi di costruzione concettuale in
questo àmbito da parte degli insegnanti [tale ipotesi deriva dai risultati
ottenuti nel piano da D’Amore e Fandiño (2005), che saranno a nostro
avviso addirittura notevolmente amplificati nel passaggio allo spazio].
Sarà anche possibile che, anche dopo aver visto gli esempi, si manifesti
da parte di alcuni insegnanti qualche resistenza. Azzardiamo quindi
l’ipotesi che, così com’è stato dimostrato da D’Amore e Fandiño (2005)
per “perimetro e area”, l’ostacolo alla costruzione di una conoscenza
matematicamente soddisfacente delle relazioni tra “area e volume” di
figure solide non sia solo di natura epistemologica, come evidenziato
dalla letteratura di ricerca, ma anche di natura didattica. Anzi, riteniamo
che in questo caso gli ostacoli didattici saranno ancora più accentuati,
dato che ai modelli intuitivi si somma la scarsa preparazione degli
insegnanti su concetti inerenti lo spazio (Arrigo e Sbaragli, 2004).
I2. A nostro parere gli insegnanti intervistati non riusciranno a cogliere
spontaneamente l’analogia delle due situazioni proposte nel piano e
nello spazio, ossia non riusciranno a sfruttare gli esempi trovati o
mostrati nel piano a sostegno di ciò che devono ottenere nello spazio.
264
La matematica e la sua didattica • Anno 20, n. 2, 2006, 247-285
Più in generale, prevediamo che, dalle affermazioni degli insegnanti,
emergerà che l’analogia è una strategia che non usano personalmente (e
che non viene di conseguenza sviluppata dal punto di vista didattico).
I3. Riteniamo che, dopo aver mostrato l’esistenza dell’analogia tra la
situazione proposta nel piano e quella presentata nello spazio, gli
insegnanti riusciranno a coglierla e a riconoscerne le potenzialità per
l’apprendimento. Ossia, prevediamo che a questo punto gli insegnanti ne
riconoscono l’importanza dal punto di vista didattico, valutandola come
una strategia fondamentale per facilitare gli alunni nella costruzione del
sapere, che però non sanno dominare e sviluppare didatticamente.
Inoltre, a nostro parere, gli insegnanti individueranno le cause
dell’eventuale mancato uso di tale strategia in fattori “esterni”, come:
l’assenza di formazione in questo campo, la mancata presenza di questo
sapere sui libri scolastici, il non aver mai incontrato prima persone che li
facessero riflettere su tale aspetto, …
È anche probabile che gli insegnanti manifesteranno il proprio disagio
nei confronti di questi argomenti che non sono stati oggetto di una
personale riflessione.
2.5 Campione di ricerca
Nel 2004 abbiamo sottoposto alla seconda e terza fase di questa ricerca 5
collaboratori, docenti di scuola primaria, senza che fossero a conoscenza
della ricerca (allora in corso) di D’Amore e Fandiño (2005) e abbiamo
analizzato le loro convinzioni relative a questo tema.
La metodologia scelta con questi insegnanti è stata quella già presentata
nei paragrafi precedenti. I risultati avuti, riportati nel prossimo
paragrafo, mettono in evidenza difficoltà nella gestione di questo sapere.
Si è così rivelato necessario effettuare un percorso di formazione per
questi insegnanti, durato vari mesi, per far sì che avvenissero in loro
cambi di convinzioni su questo argomento.
Successivamente, si è chiesto a questi insegnanti di farsi carico della
ricerca, proponendo loro stessi di svolgere la terza fase della ricerca ad
alcuni insegnanti che avevano collaborato in precedenza al lavoro di
D’Amore e Fandiño (2005) e tutte e tre le fasi ad insegnanti di scuola
primaria e secondaria di primo grado. Le indicazioni che dovevano
seguire nell’effettuare questa ricerca sono quelle presentate nei paragrafi
precedenti.
In totale, i numeri di insegnanti sottoposti alla prova sono stati:
Sbaragli S. • La capacità di riconoscere “analogie”: il caso …
265
- 5 collaboratori, docenti della scuola primaria sui quali si sono
analizzate le convinzioni e il cambio di convinzioni (sottoposti alle fasi
2 e 3);
- 5 insegnanti-ricercatori della ricerca precedente: 3 di scuola primaria e
2 di scuola superiore (sottoposti alle fase 3, dato che la fase 2 era stata
oggetto della ricerca da loro condotta);
- 28 insegnanti, 20 della scuola primaria e 8 della scuola secondaria di
primo grado (sottoposti alle fasi 1, 2 e 3);
3. Risultati di ricerca
In questo capitolo presentiamo i risultati ottenuti con le tre tipologie di
insegnanti. Riporteremo tra «» le frasi che, a nostro avviso, confermano
le nostre affermazioni e che ci sembrano più rappresentative.
Vogliamo puntualizzare che tutte le registrazioni e le tabelle con i
disegni originali degli intervistati sono a disposizione, presso l’Autrice,
di chiunque voglia approfondire questo argomento.
3.1 Convinzioni e cambi di convinzioni dei collaboratori
Le prestazioni avute nella fase 2 dai 5 collaboratori sottoposti alla
ricerca, sono confrontabili con i risultati ottenuti da D’Amore, Fandiño
(2005); in effetti, 4 insegnanti su 5 hanno incontrato difficoltà alla
richiesta di trovare tutti i 9 casi per perimetro e area; solo 1 insegnante è
riuscito a trovarli senza troppi problemi, a suo dire grazie ad alcuni
approfondimenti di geometria che aveva effettuato in precedenza.
Dal nostro punto di vista, risulta interessante osservare che nessuno dei 5
insegnanti è riuscito a riconoscere fin dall’inizio l’analogia tra coppie di
caselle della tabella di perimetro e area. Ossia nessuno ha analizzato
inizialmente la tabella scoprendo così che i casi da trovare sono solo 5 e
non 9, dato che in 4 casi è possibile sfruttare ciò che si è già trovato,
scambiando semplicemente l’ordine delle figure. Di questo fatto si sono
accorti solo 3 insegnanti su 5 in corso d’opera, ossia man mano che
venivano trovati esempi. Riportiamo un’affermazione di un’insegnante
ricavata dall’intervista (che si è svolta successivamente): «Non ho colto
come i due termini, perimetro e area fossero in relazione
nell’organizzazione della tabella, se non nel momento della
rappresentazione, solo allora mi sono accorta dei casi contrari. Per ogni
caso cercavo il caso possibile senza far uso delle rappresentazioni
precedenti».
266
La matematica e la sua didattica • Anno 20, n. 2, 2006, 247-285
Dopo aver trovato i 9 casi di perimetro e area e dopo aver mostrato
l’allegato 1 con le soluzioni fornite dal ricercatore, si è chiesto agli
insegnanti di prevedere se secondo loro esistono i 9 casi anche per area e
volume di figure solide. Di questi 5 insegnanti, 2 sostenevano di sì,
mentre 3 si dichiaravano indecisi, dimostrando così di non cogliere con
sicurezza e immediatezza l’analogia tra piano e spazio.
Quando poi si è chiesto di trovare tutti i 9 casi nello spazio, 4 insegnanti
su 5 hanno avuto notevoli difficoltà, a tal punto da riuscire a completare
solo alcune caselle. Le difficoltà nello spazio si sono amplificate rispetto
al piano, tranne che per 1 insegnante che riesce a sfruttare l’analogia
partendo dai 9 casi proposti dal ricercatore nel piano, che sono risultati
più semplici da trasferire rispetto ai propri, essendo questi ultimi basati
su calcoli e non su aspetti visuali.
Le maggiori difficoltà incontrate dai 5 insegnanti risiedono nei concetti
che coinvolgono lo spazio, così come si rileva dall’intervista successiva:
«Quando poi ci hai proposto la seconda tabella per la relazione tra area e
volume ancora una volta mi sono detta che forse erano possibili tutti e
nove i casi, ma ero molto in difficoltà a pensare alle figure da disegnare
e con i volumi mi rendo conto che sono davvero con una fitta nebbia nel
cervello»; «Quando mi hai consegnato la seconda tabella con il rapporto
area-volume, ho pensato per qualche secondo che potevano esserci
esempi anche qui per i 9 casi, ma che avevo bisogno di trovarli per
esserne sicura. Immediatamente mi sono bloccata e avevo la testa in
panne perché non mi venivano in mente solidi per poter accontentare il
primo esempio; il mio problema era: “Come faccio a dire se l’area è
uguale, maggiore o minore visto che sono solidi?”. Il tutto avveniva in
pochi secondi. Io sentivo un forte imbarazzo e credo, a ripensarci bene,
che il problema fosse che l’area dei solidi non è per me così semplice e
di immediato possesso come concetto poiché c’è l’area laterale e quella
delle basi, inoltre se penso a solidi di rotazione la difficoltà per me
aumenta con l’area del cerchio, non parliamo poi della sfera. Ancora una
volta il mio problema è stato un problema di misura che forse nasconde
un problema di comprensione profondo dei concetti di area e volume».
Gli stessi 4 insegnanti in difficoltà, nell’intervista successiva affermano
che, pur avendo trovato personalmente e visto i 9 casi forniti dal
ricercatore nel piano, non sono riusciti a sfruttarli nello spazio, ossia non
sono riusciti a sfruttare l’analogia delle situazioni proposte: «Non ho
Sbaragli S. • La capacità di riconoscere “analogie”: il caso …
267
trasferito nello spazio i casi che avevo rappresentato nel piano, non ho
riconosciuto spontaneamente l’analogia tra i casi nel piano e nello
spazio»; «Neanche per un momento ho pensato che potevo trasferire
almeno qualche esempio della prima tabella alla seconda. Sic!»; «Sono
rimasta malissimo: mi sono sentita crollare il mondo; ho provato una
forte umiliazione. Ho ripensato ai miei insegnamenti: ho cominciato
dallo spazio e sono arrivata al piano; sono passata dall’uno altro, ma non
ho fuso i due livelli. Se era il perimetro era quello, così per l’ area e il
volume».
Del disagio provato nell’affrontare questa richiesta parla anche un’altra
insegnante che ribadisce il bisogno e la voglia di saperne di più: «Non
sono molto fiera di me se ripenso alla reazione che ho avuto, ero
convinta di essere un po’ più capace sia da un punto di vista teorico che
pratico. Questa tua proposta è l’ennesima situazione in cui mi trovo a
ripensare profondamente alle mie conoscenze, alle mie convinzioni e mi
rendo conto che devo approfondirle con un mio maggiore
coinvolgimento (quello che di solito chiedo ai bambini)».
Dall’intervista emergono molti dubbi e considerazioni sulla propria
azione didattica: «Mi sono detta che c’è una grossa difficoltà da parte
mia a pensare per analogie e di conseguenza mi chiedo come e quanto
ciò possa influenzare la mia attività di insegnante»; «La prova mi ha
lasciato molto perplessa, mi sono sentita sconfortata, ho ripensato a
quanti esercizi di calcolo di perimetro, area, volume, a quante poche
attività di immaginazione e manipolazione di figure diverse nel piano e
nello spazio e soprattutto a quanta poca riflessione sulle relazioni in
gioco nel piano, nello spazio, tra piano e spazio»; «Ripensando a me,
alla mia storia di studente non ho ritrovato percorsi o momenti di studio
che mi abbiano stimolato a cogliere analogie in matematica, mentre
penso con facilità alla analogia nella letteratura o in scienze, forse perché
piano e spazio vengono ancora considerati per difficoltà due mondi
separati con regole proprie senza alcuna relazione».
Venti giorni dopo la proposta della ricerca al gruppo di collaboratori,
una di loro invia al ricercatore questa lettera: «Insieme alle altre ho
riprovato a capire e ad approfondire le relazioni delle due tabelle, non ti
nascondo che ora con quella sul perimetro e l’area sono più sicura, ma
con l’altra ho ancora parecchie perplessità e mi sono riproposta di
lavorarci ancora da sola prima di andare a proporla ad altre colleghe. A
268
La matematica e la sua didattica • Anno 20, n. 2, 2006, 247-285
proposito della ricerca, mi sembra davvero bella e utile! Più di me chi
può dirtelo? Ho toccato con mano come sia importante l’analogia nella
risoluzione di problemi e come insegno male, non avendo per prima io
capacità analogiche!».
Questa voglia di approfondire tali situazioni, ha portato a un notevole
studio individuale e di gruppo da parte dei 5 insegnanti, durato più di un
anno, basato anche su incontri di approfondimento e formazione sui
diversi aspetti del quadro teorico. Tale percorso di studio ha prodotto un
notevole cambio di convinzioni e una maggiore acquisizione di
sicurezza su questi argomenti (e non solo); di questo sono testimonianza
le seguenti affermazioni: «La scoperta dell’esistenza dell’analogia
illumina il sapere»; «Finalmente ora mi sento di poterne cogliere il
significato con più consapevolezza»; «Nel mondo al di fuori della scuola
si possono trovare molte situazioni in cui è in gioco la capacità di
stabilire relazioni e di questo dovremmo tenerne conto. Io credo che
molto più spesso dovremmo chiederci se quello che proponiamo ai nostri
alunni è efficace oppure no senza aver paura dei cambi di convinzione»;
«Avere la possibilità di approfondire è fondamentale per essere
insegnanti diversi, io sono diversa da prima con i miei alunni e ho delle
soddisfazioni enormi, vedo i comportamenti dei bambini e ogni volta mi
stupisco dei risultati che osservo»;2 «Non trovo altre parole per dirti
quanto sarebbe fondamentale per ogni insegnante poter entrare in
un’altra fase della vita lavorativa: quella in cui sono messi a nudo i
propri apprendimenti e la propria umanità con una profondità mai
neanche immaginata!».
3.2 Gli insegnanti-collaboratori della ricerca precedente
I risultati ottenuti con i 5 insegnanti-collaboratori della ricerca di
D’Amore e Fandiño (2005) sono nettamente migliori di quelli presentati
nel paragrafo precedente e di quelli che saranno esposti nel paragrafo
successivo, anche se non nascondono alcune difficoltà.
In effetti, avere piena cognizione della fase 2, oggetto della ricerca da
loro gestita, che aveva consentito una personale riflessione su tale
argomento, ha permesso di ottenere buoni risultati anche nella fase 3: «A
2
Come sostengono Tirosh e Graeber (2003): «Le convinzioni possono essere un
ostacolo ma anche una potente forza che permette di effettuare cambiamenti
nell’insegnamento».
Sbaragli S. • La capacità di riconoscere “analogie”: il caso …
269
me è servito molto fare questo lavoro su perimetro e area, per le
riflessioni che mi sono trovata a fare sull’argomento, ma anche per le
riflessioni che facevano le persone che intervistavo». Segno che
riflessioni profonde su un certo sapere portano ad effettiva
consapevolezza.
4 insegnanti hanno affermato con sicurezza che esistono i 9 casi anche
per area e volume, riconoscendo l’analogia con la situazione da loro ben
conosciuta nel piano: «Secondo me è uguale al piano». Solo una
insegnante si dimostra un po’ indecisa: «Direi di sì, ma non so».
- 2 insegnanti di scuola primaria espongono però subito le loro difficoltà
nei confronti dello spazio: «Intuitivamente sono certa che c’è la
soluzione per tutti i 9 casi, però ho grosse difficoltà»; «Non è mica
facile trovarli nello spazio, lo spazio è difficile da gestire»; difficoltà
confermate durante la ricerca delle coppie di figure per ogni casella.
- L’altra insegnante di scuola primaria, invece, dopo un primo momento
di insicurezza: «Non mi vengono esempi, ma penso che… sì, si
possono trovare, anzi, ne sono proprio sicura», trova tutti e 9 i casi
sfruttando l’analogia tra piano e spazio.
- Per quanto riguarda i 2 insegnanti di scuola superiore, uno inizia subito
a pensare ai 9 casi che troverà senza difficoltà, mentre l’altro mostra un
po’ di insicurezza e difficoltà a trovare gli esempi.
Sono quindi 3 gli insegnanti (2 di scuola primaria e 1 di scuola
superiore) per i quali non è stato semplice trovare le coppie di figure per
ciascuna delle 9 caselle: «C’è qualche problema in più nello spazio. Ho
già fatto quelle relative nel piano, ma qui nello spazio mi sento davvero
in difficoltà»; ma alla fine tutti sono riusciti a completare la tabella. Di
questi, i 2 insegnanti di scuola primaria inizialmente non hanno pensato
alla simmetria della situazione, ma hanno lavorato caso per caso; solo in
un secondo momento hanno sfruttato questa relazione, incontrata nel
piano. Inoltre, per completare la tabella hanno effettuato numerosi
calcoli cercando conferma nelle formule e non nell’aspetto concettuale o
visuale: «I miei disegni sono imprecisi, ma sono il risultato di calcoli
corretti». Una di loro esegue calcoli per più di mezz’ora.3
3
Interessanti da questo punto di vista sono le considerazioni sui calcoli in geometria
per la determinazione di aree e perimetri di Chamorro (1997; 2001-2002) e di Sáiz
Roldán (2003) riportate nel quadro teorico.
270
La matematica e la sua didattica • Anno 20, n. 2, 2006, 247-285
Le difficoltà incontrate da queste 3 insegnanti sono da ricercare
nell’incapacità di padroneggiare il mondo tridimensionale e di saper
sfruttare in pieno l’analogia come strategia risolutiva nel passaggio tra
piano e spazio (solo una di queste insegnanti usa le figure concave
analizzate nella ricerca precedente).
Gli altri 2 insegnanti, invece, dimostrano di sfruttare in pieno l’analogia
con gli esempi del piano che già conoscono, usando dove possibile le
figure concave e le relazioni di dualità che avevano già incontrato.
Di questi, uno è il professore-ricercatore delle superiori che completa
velocemente la tabella grazie alle sue conoscenze concettuali, ma
affermando però di avere notevoli difficoltà nella visualizzazione e
rappresentazione dello spazio tridimensionale: «Capisco che basta dalla
stessa figura toglierne una parte per ottenere una figura concava, così da
avere il volume minore e l’area maggiore, ma visualizzarmelo o
rappresentarlo per me è davvero difficile. Ho sempre avuto difficoltà in
questo»; mentre l’altra è un’insegnante di scuola primaria che da 6 anni
segue un percorso di progettazione e sperimentazione della geometria
dallo spazio al piano e viceversa (Arrigo e Sbaragli, 2004; Cottino e
Sbaragli, 2005). Questo percorso di formazione basato sull’analogia tra i
due àmbiti, a detta sua, è stato di aiuto per risolvere la situazione tramite
il passaggio tra piano e spazio e viceversa: «Ora io vedo l’analogia tra
piano e spazio, per esempio ho fatto un’attività di frazionamento del
rettangolo e poi del prisma. Ho così visto le stesse relazioni passando
alla tridimensionalità». Nel completare la tabella ad un certo punto
afferma: «In questo caso, io devo ragionare prima nel piano» (poi
disegna un parallelepipedo con un “buco” a forma di cubo nel caso di
volume minore e area maggiore, e nel caso speculare scrive analogo).
L’uso di tale strategia le ha permesso di completare l’intera tabella senza
effettuare neanche un calcolo; questo dimostra che profonde riflessione
su questi aspetti portano a notevoli cambiamenti nelle prestazioni.
In effetti, i 5 insegnanti affermano che, prima di partecipare alla ricerca
di D’Amore e Fandiño (2005), non avevano mai riflettuto su questo
argomento; possedevano quindi misconcezioni basate sulle supposte
relazioni necessarie tra perimetro/area e area/volume: «Prima non avevo
un’idea precisa su queste cose, anche sul piano non avevo mai riflettuto
da questo punto di vista, vedevo sempre figure singole. Eravamo abituati
a pensare che se cresceva un aspetto cresceva anche l’altro»; «Eravamo
abituati a vedere scatole più piccole che diventano più grandi (sta
Sbaragli S. • La capacità di riconoscere “analogie”: il caso …
271
intendendo della stessa forma) e così se aumentava il volume aumentava
anche la superficie»; ma dopo queste due esperienze come ricercatori e
intervistati affermano con passione la voglia di trasferire questi nuovi
saperi in classe: «Non ci avrei mai pensato prima di questa ricerca, ma
ora mi sento capace di gestirlo con i mie allievi, peccato che non abbia al
momento classi nelle quali poterlo fare»; «Anche quest’ultima richiesta
mi ha chiarito ulteriormente le idee, ora mi sento più forte e in grado di
poterlo proporre in classe»; «Poche volte si riflette su queste cose, di
solito si chiedono calcoli su una figura, mai si chiede il confronto,
eppure sono aspetti importantissimi».
Nell’intervista successiva gli insegnanti riconoscono l’importanza
dell’analogia e la voglia di saperne di più di questa strategia che risulta
essere poco conosciuta e sfruttata didatticamente: «È importante,
bisognerebbe sfruttarla su di noi e con i bambini»; «Sono cose che vanno
affrontate meglio anche da noi insegnanti, non sono cose banali e non si
trattano tutti i giorni. Anch’io mi sono sentita in difficoltà ad usarla, ma
mi piace affrontare argomenti sconosciuti, quindi voglio mettermi ad
approfondirlo».
È importante tener conto che questo campione di insegnanti, così come il
precedente, è molto particolare, in quanto si tratta di insegnantiricercatori abituati a mettersi in discussione ed a riflettere criticamente
sul proprio sapere e sul proprio operato, quindi disposti a non abbattersi
alle prima difficoltà, cosa che invece non sempre è avvenuto tra gli
intervistati riportati nel prossimo paragrafo.
3.3 Gli insegnanti di scuola primaria e secondaria di primo
grado
Fase 1. I risultati avuti con i 20 insegnanti di scuola primaria, 10
sottoposti alle seguenti due domande:
- Nello spazio ho due solidi, se il secondo ha rispetto al primo area
maggiore, avrà anche volume maggiore?
- Nel piano ho due figure, se la seconda rispetto alla prima ha perimetro
maggiore avrà anche area maggiore?
e 10 alle stesse due domande ma invertite come ordine, sono i seguenti:
272
La matematica e la sua didattica • Anno 20, n. 2, 2006, 247-285
10 insegnanti
di scuola primaria
Prima
Seconda
domanda
domanda
nello spazio
nel piano
sì
no
sì
sì
sì
no
no
no
non so
no
non so
sì
sì
sì
sì
no
non so
non so
non so
no
10 insegnanti
di scuola primaria
Prima
Seconda
domanda
domanda
nel piano
nello spazio
no
sì
sì
no
sì
sì
non so
non so
non so
non so
sì
sì
no
sì
no
sì
no
sì
no
sì
Dall’analisi delle risposte emerge che l’ipotesi secondo la quale i
risultati relativi a questa fase variano in base all’ordine delle domande
non si è verificata.
In generale, si nota che le misconcezioni basate sulle supposte relazioni
tra perimetro/area e area/volume sono nettamente più radicate nello
spazio piuttosto che nel piano, indipendentemente dall’ordine delle
domande; questo mette in evidenza le carenze che possiedono gli
insegnanti nei confronti dello spazio e le difficoltà a cogliere l’analogia
delle due situazioni proposte.
Riportiamo di seguito un esempio per ogni coppia di domande: nel piano
un’insegnante afferma: «No, non è detto, dipende dalle figure», e subito
dopo nello spazio sostiene: «Sì, per me è così, però non mi sono mai
posta il problema»; viceversa, un insegnante nello spazio afferma: «Mi
viene da dire di sì», mentre nel piano sostiene: «No, perché ho
immaginato un rettangolo di base 10 e altezza 1 che rispetto a un altro
rettangolo non è detto che se aumenta il perimetro aumenta l’area».
L’ipotesi in base alla quale, ponendo prima la domanda nello spazio e
poi nel piano, alcuni insegnanti ritrattino la risposta scorretta data alla
prima domanda, come conseguenza della risposta conosciuta nel piano,
non si è mai verificata; segno che nessuno è riuscito a riconoscere a
posteriori l’analogia delle due situazioni. Sono 3 gli insegnanti che
confermano le stringenti relazioni nello spazio e le smentiscono nel
Sbaragli S. • La capacità di riconoscere “analogie”: il caso …
273
piano, senza accorgersi dell’incoerenza delle risposte fornite.
Inoltre, dalle 10 risposte alle domande dal piano allo spazio, si nota una
maggiore conoscenza della non esistenza dell’obbligo di tali relazioni
nel piano, che però non viene trasferita nello spazio; segno ancora una
volta dell’incapacità a cogliere l’analogia delle due situazioni.
Occorre in ogni caso precisare che anche le risposte che coinvolgono un
sì o un no, quasi mai sono legate ad affermazioni decise; nella quasi
totalità degli insegnanti si percepisce una grande indecisione che poi
sfocia in una risposta non proprio convinta, soprattutto nei riguardi dello
spazio. Le risposte tipiche sono del tipo: «Diciamo di sì, anche se non
sono tanto certa»; segno che questi saperi non sono posseduti dagli
insegnanti.
Dall’intervista emerge che nessun insegnante di scuola primaria aveva
riflettuto in precedenza su queste relazioni nello spazio, mentre 7
insegnanti su 20 lo avevano fatto nel piano: «Nel piano mi è capitato
qualche volta di ragionare su figure lunghissime che poi avevano l’area
minore rispetto ad un quadrato con lo stesso perimetro, allora mi è
capitato di rifletterci, mentre nello spazio no, non mi è mai capitato». Le
giustificazioni che emergono per questa carenza sono spesso legate alla
mancanza di formazione in questo campo: «Non avevo mai dovuto
riflettere prima su queste cose. Nessuno me lo aveva mai fatto notare» o,
qualche volta, al programma scolastico: «Non ho mai pensato a questa
relazione, adesso nel programma di geometria non ho ancora affrontato
lo spazio»; «Lo spazio non lo dobbiamo fare così tanto».
Alla richiesta di trovare esempi di figure che contraddicono le domande
poste, sia nel piano che nello spazio, sono ancora una volta di più gli
insegnanti che riescono ad individuarli nel piano, alcuni contraddicendo
la loro risposta iniziale, mentre si conferma una notevole difficoltà nella
gestione dello spazio. Solo 4 insegnanti su 20 riescono a trovare esempi
nello spazio, sfruttando soprattutto le figure concave; di questi, solo 2
contrastano così la risposta iniziale.
5 insegnanti, invece, dalla ricerca degli esempi hanno trovato conferma
alla loro risposta scorretta. Ad esempio, un insegnante pensa ad un cubo
e ad un cono contenuto nel cubo; esegue dei calcoli per trovare area e
volume di entrambi e conclude che area e volume del cubo sono
entrambe maggiori di quelle del cono. Fa’ altri tentativi, aumentando il
raggio del cono, oppure la sua altezza, e alla fine conclude: «No, nello
spazio se aumenta l’area aumenta sicuramente anche il volume».
274
La matematica e la sua didattica • Anno 20, n. 2, 2006, 247-285
Sono molti gli insegnanti che dicono di non riuscire a trovare esempi
perché non si ricordano le formule e si giustificano dicendo che è da
molto tempo che non hanno più la quinta classe.
I risultati avuti con gli 8 insegnanti di scuola secondaria di primo grado,
essendo un campione assai limitato, non sono generalizzabili; possiamo
tuttavia affermare che i soggetti analizzati dimostrano di possedere
minori insicurezze, soprattutto a proposito del piano, ma ancora notevoli
difficoltà nella gestione dello spazio e nel riconoscimento dell’analogia;
tali carenze saranno più visibili nella terza fase. In effetti, come si può
verificare dalla tabella seguente, la maggioranza degli intervistati
sottoposti alle stesse domande poste agli insegnanti di scuola primaria,
tende spontaneamente ad affermare che vi sia una dipendenza stretta tra
l’aumento/diminuzione dell’area e l’aumento/diminuzione del volume.
4 insegnanti di scuola
secondaria di primo grado
Prima
Seconda
domanda
domanda
nello spazio
nel piano
sì
no
sì
sì
no
no
sì
no
4 insegnanti di scuola
secondaria di primo grado
Prima
Seconda
domanda
domanda
nel piano
nello spazio
no
no
no
no
no
sì
no
sì
Fase 2. Come ipotizzato, i risultati avuti in questa fase negli insegnanti
di scuola primaria e secondaria di primo grado sono confrontabili con
quelli riscontrati nella ricerca di D’Amore e Fandiño (2005) il che
dimostra che l’ostacolo che si oppone alla costruzione di una conoscenza
soddisfacente delle relazioni tra “perimetro ed area”, non è solo di natura
epistemologica bensì soprattutto di natura didattica. Dopo aver mostrato
e fatto riflettere sull’allegato 1, contenente le 9 coppie di figure del
piano, diversi insegnanti, che non erano riusciti a completare la tabella,
hanno manifestato il loro stupore per vari fattori:
- l’esistenza di tutti i casi: «Credevo che il caso <, > fosse impossibile e
invece non è neanche difficile»;
- il ricorso a figure concave: «Non avrei mai pensato assolutamente alle
figure concave»;
- gli esempi concettuali e visuali senza calcoli numerici: «Sono molto
Sbaragli S. • La capacità di riconoscere “analogie”: il caso …
275
più semplici di quelle trovate da me, non ci sono neanche i conti, che
bello! Mi rendo conto come per me area e perimetro siano dei calcoli
aritmetici, infatti non ho pensato di modificare, scomporre le figure, ma
cercavo le soluzioni solo nei numeri»;
- la legge di dualità: «Non avrei mai pensato ai casi uno l’inverso
dell’altro».
In generale si percepisce sorpresa nella quasi totalità degli insegnanti nei
confronti di questo “nuovo” sapere: «È la prima volta che vedo una cosa
del genere. Non ci sarei mai arrivata»; «Non avevo mai riflettuto su
queste cose, ma mi piace aver fatto questo lavoro, è molto bello»; «Chi
lo avrebbe mai detto!».
Quando l’analisi della tabella pareva conclusa, con le considerazioni e
riflessioni degli insegnanti che dimostravano di aver capito i diversi casi,
si passava alla terza fase.
Fase 3. Dopo aver mostrato la tabella da completare con i 9 casi nello
spazio, si è chiesto agli insegnanti se esistono coppie di figure per
esemplificare ogni caso.
A questa sollecitazione, i 20 insegnanti di scuola primaria rispondono
nel seguente modo:
- 8 rispondono di no: «Nello spazio non è la stessa cosa che nel piano.
Puoi togliere qualcosa e far diminuire il volume. Però non credo che
siano tutte possibili»; «No, il piano e lo spazio non sono paragonabili»;
- 5 rispondono di sì: «È la stessa cosa, ma soprattutto per lo spazio devi
pensarci. Per me è ancora più complicato»;
- 7 si dicono indecisi perché lo spazio non lo conoscono: «A questa
domanda non so proprio rispondere; forse sì o forse no».
In generale, si nota una totale assenza del riconoscimento dell’analogia
delle due situazioni; addirittura 2 insegnanti affermano: «Non mi devo
far forviare dalla prima tabella»; «Viene spontaneo dire di sì perché mi
ricordo quello che ho fatto prima, però non è così».
Quando poi si è chiesto di trovare i 9 casi:
- 6 insegnanti su 20 riescono a completare la tabella, ma solo 2 sfruttano
l’analogia con i casi precedenti; gli altri 4 la completano cercando casi
diversi, senza sfruttare la legge di dualità, ma ricordandosi che è lecito
usare figure concave;
- 14 insegnanti non pensano ai casi analizzati nel piano e non riescono a
completare interamente la tabella; addirittura 4 insegnanti rinunciano
276
La matematica e la sua didattica • Anno 20, n. 2, 2006, 247-285
subito senza trovare neanche un caso: «Come è possibile trovare
esempi nello spazio? Non mi ricordo le formule e non so
immaginarle»; «Come si fa a disegnare nello spazio? Non ce la faccio
proprio».
In generale, si percepisce ancora una volta la generale difficoltà di
gestione dello spazio: «Nello spazio è veramente complicato».
Interessanti sono 2 insegnanti che ritrattano la propria ipotesi corretta
iniziale non riuscendo a trovare i 9 casi: «Avrei pensato che era possibile
se valeva la stessa relazione delle isoperimetrie, ma non è così».
Successivamente, quando vengono mostrati i 9 casi dello spazio ottenuti
da quelli del piano per analogia, la totalità degli insegnanti mostra di
averla finalmente colta: «Sì, adesso, dopo che mi hai mostrato e fatto
capire tu gli esempi la vedo, ma mentre la facevo non ci ho proprio
pensato»; «In fin dei conti non ci si deve spaventare dello spazio; le
leggi sono simili»; «Solo con entrambi gli esempi sono riuscita a
coglierla, prima non l’avevo mai pensata. Adesso mi è più facile»; e non
nascondono il proprio stupore: «Era così semplice? Non ci avrei mai
pensato».
Nell’intervista, quando si è chiesto se durante lo svolgimento erano
riusciti a cogliere qualche analogia tra la situazione perimetro/area e
area/volume, la grande maggioranza risponde con tutta sincerità di non
esserci riusciti: «No, non ho più pensato alla situazione precedente»;
«Non ho pensato di utilizzare le stesse figure della prima tabella, non ho
visto l’analogia, perché non mi sono mai trovata in una situazione
simile. Come insegnante lavoro sul cambio di figura con lo stesso
perimetro e la stessa area, ma non li metto in relazione. Nello spazio poi
mai!»; «Non ho pensato di utilizzare le stesse figure della prima tabella.
Per me questi lavori sono completamente una novità. Non ho nella mia
esperienza mai pensato di passare dal piano allo spazio trasformando le
figure. Le figure del piano sono come staccate dalle figure nello spazio»;
«Lo spazio mi ha confuso, cercavo figure diverse, non ho fatto
riferimento alle precedenti, non ci ho proprio pensato. Come sono
lontani piano e spazio per me, e sì che avevo già visto i casi nel piano,
ma non li ho visti come una possibilità per costruire nello spazio… erano
nel piano».
Alcuni sostengono di averla pensata o colta in parte: «L’avevo pensata,
ma la paura dello spazio mi ha bloccata perché penso che le leggi nello
Sbaragli S. • La capacità di riconoscere “analogie”: il caso …
277
spazio siano più complicate»; «L’avevo colta in parte»; uno sostiene di
averla pensata, ma si concentra su dettagli poco importanti: «Sì, ho
pensato che era nello stesso stile. Ho usato i cubetti come i quadratini»;
uno afferma di averla percepita anche se prima non ci aveva riflettuto, in
effetti è uno degli insegnanti che ha individuato gli esempi nello spazio
analoghi a quelli del piano: «Sì, infatti anche nello spazio ho pensato di
costruire figure concave come nell’altro. Però non ci avevo mai pensato
prima, me ne rendo conto adesso che ho fatto questo lavoro, ma
veramente non avevo mai riflettuto prima su queste cose».
Le sensazioni che gli insegnanti sostengono di aver provato sono le
seguenti: «Ero un po’ in panico, non ricordavo le formule dei volumi
perché siamo più abituati alle figure del piano. Noi abbiamo fatto la
tridimensionalità alle magistrali solo l’ultima parte della quarta»; «Ho
fatto veramente uno sforzone»; «Provo un’angoscia terrificante, però
sono curiosa e voglio sapere. Non un’angoscia come se vedo un
cadavere, ma è l’angoscia della mia ignoranza, si può recuperare»; «Mi
ha mandato in crisi, mi sento impotente e incapace»; «Mi sono sentita
confusa»; e un grande stupore davanti al cambio di convinzione: «Ho
avuto un po’ di sorpresa».
Alla domanda se ritengono importante lavorare sull’analogia a scuola,
tutti sostengono che effettivamente lo è e ne riconoscono le diverse
potenzialità: «Bè, sì, bisognerebbe»; «Importantissima perché
economizza. È un percorso intelligente. Non puoi però utilizzare
l’analogia in modo meccanico perché potrebbe portare fuori strada»;4
«Se si fanno dei confronti tutto è più chiaro e si fa meno fatica. Invece di
pensare due volte lo penso una volta sola»; «Sì, molto. Perché ti fa
cogliere degli elementi comuni a due cose che tu reputi diverse perché
poste in settori diversi»;
ma quasi tutti si dicono incapaci di metterlo in pratica: «Mi rendo conto
che è importante e che queste cose non si fanno abbastanza a scuola.
Bisogna farlo, ma io non so come farlo»; le motivazioni della mancata
messa in pratica rientrano tra le seguenti:
- incapacità: «Non so, forse perché non ci si pensa, io non ne so
abbastanza. Mi piacerebbe saperne di più. Fammi sapere di più, se hai
materiale passamelo»;
4
Qui vanno ricordate le considerazioni di Fischbein (1987, 1989) e di Bazzini (1995).
278
La matematica e la sua didattica • Anno 20, n. 2, 2006, 247-285
- mancanza di tempo: «Ci vuole troppo tempo, si fa fatica a lavorare
così»;
- mancanza di formazione: «I miei insegnanti non me ne hanno mai
parlato»;
- mancanza di vera implicazione da parte dell’insegnante: «Il mancato
uso è dovuto al fatto che l’insegnante vuole fare meno fatica. Pensare
per analogia vuol dire ragionare e per far ragionare devi preparare la
lezione in un certo modo. Non ci poniamo questo obiettivo. La scuola
va avanti con metodi vecchi».
I risultati ottenuti dagli insegnanti di scuola secondaria di primo grado
sono confrontabili con quelli ottenuti da quelli di scuola primaria, sia per
le prestazioni nello spazio che per l’uso dell’analogia.
Degli 8 insegnanti intervistati, solo 3 riescono a trovare i 9 casi nello
spazio e, di questi, solo 1 sfrutta completamente l’analogia con la
situazione precedente.
Le autodichiarazioni esplicite di difficoltà fatte da questi insegnanti, sia
per lo spazio che per il riconoscimento dell’analogia, sono minori di
quelli di scuola primaria, ma non cambia la prova evidente ed oggettiva
delle loro difficoltà; le autodichiarazioni ottenute rientrano comunque
tutte tra le tipologie di dichiarazioni riportate per gli insegnanti di scuola
primaria.
In particolare, negli insegnanti di scuola secondaria si nota un maggiore
disagio, evidente nei gesti e nei comportamenti, per non riuscire a
risolvere la situazione, per non saper gestire il sapere dello spazio e l’uso
dell’analogia, che spesso è sfociato in giustificazioni legate al contesto
esterno: mancanza di formazione, programma scolastico lacunoso, libri
di testo non adeguati, …
4. Risposte alle domande di ricerca
Siamo ora in grado di rispondere alle domande di ricerca formulate in
2.3.
R1. I risultati dimostrano che presso gli insegnanti di scuola primaria e
secondaria di primo grado non vi è consapevolezza della mancata
esistenza di relazioni obbligate e predeterminate tra area e volume di
figure solide. Vi sono quindi notevoli problemi di costruzione
concettuale in questo àmbito che fan sì che l’ostacolo alla costruzione di
una conoscenza matematicamente soddisfacente delle relazioni tra “area
Sbaragli S. • La capacità di riconoscere “analogie”: il caso …
279
e volume” di figure solide da parte degli studenti, rilevata dalla
letteratura di ricerca, non è solo di natura epistemologica bensì
prevalentemente di natura didattica, come è avvenuto per la ricerca
precedente su “perimetro e area” (D’Amore, Fandiño, 2005). Anzi, i
risultati attestano che, in questo caso, gli ostacoli didattici sono ancora
più accentuati, dato che ai modelli intuitivi si sommano le difficoltà di
gestione dello spazio che, dalle affermazioni e prestazioni degli
insegnanti, risulta essere un argomento poco conosciuto e di difficile
gestione. Non si sono invece manifestati casi in cui, anche dopo aver
visto gli esempi dei 9 casi nello spazio, alcuni insegnanti hanno
manifestato qualche resistenza. In effetti, più che di resistenza si può
parlare per alcuni docenti di iniziale difficoltà a comprendere gli esempi,
che sono stati accettati e capiti da tutti dopo opportune e dettagliate
spiegazioni. Va qui ricordato che tali carenze sono molto minori in chi
ha avuto modo di riflettere in profondità in modo specifico sull’àmbito
geometrico o sul ruolo dell’analogia.
R2. Le nostre ipotesi sono ampiamente confermate. La quasi totalità
degli insegnanti intervistati non è riuscita a cogliere l’analogia tra piano
e spazio; ossia, i docenti non sono riusciti a sfruttare gli esempi del piano
a sostegno di ciò che avviene nello spazio, affrontando la seconda
situazione come se non avesse nulla a che vedere con la proposta
precedente.
A detta degli insegnanti stessi, l’analogia è una strategia che non viene
sfruttata personalmente dalla quasi totalità dei docenti di scuola primaria
e anche dalla maggioranza degli insegnanti di scuola secondaria di primo
grado; questo comporta di conseguenza che non viene neppure presa in
esame dal punto di vista didattico come strategia di apprendimento o di
risoluzione.
R3. Dopo aver mostrato e spiegato l’esistenza di analogia tra la
situazione proposta nel piano e quella presentata nello spazio, gli
insegnanti sono riusciti a coglierla e a riconoscerne le potenzialità per
l’apprendimento. Ossia, gli insegnanti hanno riconosciuto l’importanza
dal punto di vista didattico di questa strategia che potrebbe facilitare non
solo gli allievi, ma anche loro stessi, nella costruzione del sapere.
Eppure, a detta degli insegnanti stessi, questa metodologia non è da loro
dominata e valorizzata; per questo molti docenti hanno esplicitamente
manifestato il proprio disagio nei confronti di questi argomenti
280
La matematica e la sua didattica • Anno 20, n. 2, 2006, 247-285
(l’analogia e la conoscenza dello spazio) che non sono mai stati oggetto
di una precedente riflessione personale.
Le cause del mancato uso didattico dell’analogia e della non conoscenza
dello spazio dipendono, a detta degli insegnanti, sia da fattori esterni,
come: l’assenza di formazione su questo argomento, la mancata presenza
sui libri scolastici, le manchevolezze durante i loro studi dove questi
argomenti sono stati ignorati, la mancanza di tempo …; sia su fattori
interni dipendenti da loro stessi: incapacità personale di coglierla,
indolenza nella preparazione di attività, …
5. Conclusioni
Questa ricerca ha dimostrato che le misconcezioni radicate a proposito di
supposte relazioni necessarie tra aree e volumi delle figure solide
risiedono presso gli insegnanti di scuola primaria e secondaria di primo
grado; inoltre si è dimostrato che l’analogia è una strategia sconosciuta e
non sfruttata dal punto di vista didattico dalla quasi totalità dei docenti
intervistati.
Una reazione molto diffusa in entrambi i livelli scolastici è la differenza
manifestata a livello intuitivo, al primo contatto con i problemi, rispetto
al cambio (a volte forte) tra la prima risposta intuitiva e la convinzione
acquisita alla fine delle prove, sia sui concetti geometrici che sul
riconoscimento dell’analogia. Il cambio di convinzione è palese, a volte
forte, ed in parecchi casi ha richiesto prove e riflessioni successive non
banali. Perché avvenisse tale cambio, la maggior parte degli intervistati
ha avuto bisogno di ricorrere agli esempi forniti dall’intervistatore. Quel
che si evince, però, è che, dopo aver visto gli esempi, o creati
dall’intervistato stesso o proposti dall’intervistatore, sono (quasi) del
tutto scomparse le misconcezioni legate all’intuizione per quanto
riguarda i concetti geometrici e si è percepita l’utilità dell’analogia come
strategia fondamentale per risolvere velocemente la situazione proposta.
Gli insegnanti dichiarano di capire il senso delle proposte e ammettono
di aver subito un cambio di convinzione che li ha sorpresi, come se esso
scardinasse una consapevolezza acritica, data per acquisita. Il cambio di
convinzione è quindi avvenuto nella maggior parte dei casi con sincera
meraviglia.
Molti insegnanti sostengono che il malinteso di pensare che l’aumento
dell’area comporta necessariamente l’aumento del volume derivi da una
Sbaragli S. • La capacità di riconoscere “analogie”: il caso …
281
cattiva didattica e si ripromettono di includerlo nella propria azione
didattica di insegnamento/apprendimento.
Risulta quindi del tutto evidente che l’ostacolo che si oppone alla
costruzione di una conoscenza soddisfacente alle relazioni tra “area e
volume” non è solo di natura epistemologica bensì soprattutto di natura
didattica. In effetti, se sono servite interviste opportune, piuttosto
profonde, per cambiare le convinzioni degli stessi insegnanti, è
spontaneo pensare che le scelte didattiche che questi utilizzano in aula
con i propri allievi influenzano la formazione di misconcezioni
relativamente a questo tema; di questo sono testimonianza le ammissioni
esplicite degli stessi insegnanti.
Inoltre, l’analogia è una strategia né conosciuta né valorizzata dal punto
di vista didattico da parte degli insegnanti, anche se, come sostengono
concordemente i diversi Autori citati nel quadro teorico, uno degli scopi
primari dell’insegnamento matematico, e più in generale scientifico,
dovrebbe essere proprio quello di incoraggiare gli studenti a trasferire la
conoscenza da un caso specifico ad altri.
Dalle affermazioni degli insegnanti emerge inoltre che difficilmente
questo tema viene preso in esame didatticamente in modo esplicito,
anche per una supposta difficoltà personale del docente stesso.
Queste manchevolezze da parte degli insegnanti possono essere le cause
delle carenze degli studenti evidenziate nel quadro teorico (Noss e
Hoyles, 1996), basate sull’incapacità di riuscire a fare tali auspicati
collegamenti.
Eppure tutti gli insegnanti intervistati hanno riconosciuto le diverse
notevoli potenzialità dell’analogia, considerandola come una strategia
fondamentale per facilitare gli allievi nella costruzione del sapere, che
dovrebbe entrare esplicitamente nella didattica.
Occorre quindi didatticamente sollecitare l’importanza di tale strategia
perché avvenga ciò che auspicava Speranza (1988): «A mio avviso il
ritrovare analogie è uno dei momenti essenziali del pensiero critico:
ritengo che sia utile lasciare che gli allievi si sbizzarriscono a inventare
qualche analogia, anche se poi una più attenta critica potrà farne
dimenticare molte fra quelle inventate».
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