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Bollettino informatico del “COORDINAMENTO PROGETTO EURASIA” ED ITOR IAL E Pag.1: Creare il “nemico Iran”?! (di Luca Bionda) MAGGIO 2006 - Anno II, Numero 5 A RT I COL I: Pag.2: Bombe nucleari tattiche: siamo alla follia (di Stephen Osborn) Pag.3: Perché nel 2006 gli USA attaccheranno l’Iran (di Dave Eriqat) Pag.5: Relazioni europee! (di Antonio Cantarella) Pag.6: Uranio e sindrome dei Balcani (di Massimo Fini) Pag.7: Neanche Blondet doveva parlare? (di Stefano Vernole) Pag.7: Cambio della guardia al vertice di ‘Rodina’ (di Daniele Scalea) NOT IZ I E DA L MO VIMENT O INT ER NAZ IO NALE EUR A SIA TISTA Pag.9: L’Eurasia contro la NATO! ! (di Luca Bionda) I N M EMO R I A M Pag.10: Aleksandr Zinov’ev (1922 - 2006) CO NF ER ENZ E, DIBATT IT I , INCO NTR I… Pag.11: Globalizzazione a Trento ! (di Augusto Marsigliante) CONTINENTE EURASIA Scriveteci a: [email protected] Per ricevere ogni mese Continente Eurasia direttamente nella tua casella di posta elettronica, invia un messaggio in bianco a: [email protected] Vietato ogni sfruttamento commerciale del presente bollettino! Permessa (ed incoraggiata!) la diffusione gratuita. Visita il nostro sito in rete: http://www.continente.altervista.org EDITORIALE: Creare il “nemico Iran”? Niente di nuovo sul fronte d’Eurasia. Il mese di maggio che ormai ci siamo lasciati alle spalle è stato caratterizzato da una relativa situazione di stallo nel panorama continentale ed internazionale. A tenere banco in questi giorni le solite minacce americane nei confronti dell’Iran e le ‘frecciate’ con cui il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad replica a George Bush e Condoleezza Rice sulla questione nucleare. L’Iran odierno si può anche permettere di guardare l’avversario dritto negli occhi conscio del fatto che l’esercito statunitense, al momento impegnato nel distribuire a piene mani lutti e distruzione nel vicino Iraq, non ha al momento risorse ed appoggi politici sufficienti per avventurarsi in una nuova campagna militare (o “missione umanitaria”, secondo la denominazione tanto in voga a Washington). Gli Americani non sono rimasti comunque a guardare, come testimoniano le notizie riguardanti un aereo spia senza pilota precipitato nel territorio iraniano. Teheran chiede spiegazioni che l’amministrazione americana non può o non vuole fornire. Intanto anche la campagna di demonizzazione (quella “a sfondo umanitario” usata in questi anni con più o meno fortuna contro Miloševic, Lukašenko, Putin, Hussein, Chavez…) mossa da giornali e televisioni occidentaliste contro l’Iran non si ferma: grazie a fantomatici (soprattutto ‘fantasiosi’) dissidenti iraniani (cioè gli iraniani “buoni, bravi e belli”) che oggi vivono in Canada veniamo a sapere che il governo di Teheran avrebbe imposto agli Ebrei ed alle altre minoranze religiose iraniane l’uso di speciali segni distintivi da applicare sui capi d’abbigliamento: davvero facile a questo punto impostare la proporzione “Ahmadinejad : Hitler = Iran : Germania nazista”. I matematici di Washington l’hanno davvero pensata bella, confidando nel fatto che su un tema così sentito tutti potessero condannare moralmente Teheran senza nemmeno sentirsi in dovere di verificare l’esattezza di simili affermazioni. Insomma, siamo tornati allo stesso livello di quando si accusavano i comunisti di mangiare i bambini? Parrebbe proprio così; forse un tempo la gente riusciva a ridere di simili accuse contro gli strani gusti alimentari dei comunisti, mentre oggi l’opinione pubblica che può studiare, leggere, ascoltare ed informarsi ci pare anche molto più propensa di allora a bere qualsiasi nefandezza giornalistica. A rigettare le squallide ed infamanti accuse rivolte alla classe politica iraniana ci hanno subito pensato i diretti interessati (perfino lo stesso Ministero degli Esteri iraniano), sottolineando la gravità di certe parole in un periodo di forti tensioni internazionali. Nella logica multipolare che anima il discorso eurasiatista osserviamo anche che, qualora l’Iran voglia davvero dotarsi di armi nucleari, tale scelta sarebbe la logica conseguenza di un preciso discorso geopolitico volto a ristabilire un equilibrio di forze tra lo stesso Iran ed i paesi vicini (India, Pakistan, Russia, Cina) i quali, guarda caso, possiedono tutti armamenti nucleari. Simili armi le possiede pure l’esercito israeliano, che però nella commedia internazionale deve recitare la parte del debole e del bisognoso di protezione dal ‘cattivo di turno’… Noi invece cerchiamo di osservare la posizione storica dell’Iran e degli Stati Uniti e poniamo ai lettori alcuni interrogativi: 1. Quale nazione si è fino ad ora servita dell’arma atomica nei conflitti pur sapendo perfettamente di colpire principalmente la popolazione civile? Iran o Stati Uniti? 2. Quale nazione oltre alle ‘minacce’ politiche ha più volte fatto ricorso in questi anni ad interventi militari su vasta scala in numerose regioni geografiche del mondo? Iran o Stati Uniti? 3. Quale nazione ha da sempre atteso un singolo “misterioso” attentato alle proprie strutture militari o civili prima di espandere o dare inizio ad un conflitto su scala mondiale? Iran o Stati Uniti? 4. Quale nazione da decenni mantiene le proprie truppe stanziate in tutti i continenti e si serve di basi logistiche e militari sparse in tutto il globo? Iran o Stati Uniti? 5. Quale nazione accusa i propri nemici di avere precise mire espansionistiche ma di fatto estende progressivamente un controllo militare, politico ed economico al di fuori del proprio ambito geografico? Iran o Stati Uniti? Luca Bionda ! O P P O S T A D I R E Z I O N E " – Pubblicazione non periodica gratuita a cura del Coordinamento Progetto Eurasia; per informazioni: http://www.oppostadirezione.altervista.org “LISTA EURASIA” - lista di discussione eurasiatista; per iscriversi, inviare un messaggio a: [email protected] Maggio 2006 - Anno 2, Numero 5 1 ARTICOLI B om b e n u cl e ari all a folli a t a t t i c h e: siamo di Stephen M. Osborn Le ultime notizie che ho ricevuto dai sostenitori di Bush riferiscono che il presidente ha chiesto e ottenuto il permesso di utilizzare le bombe nucleari sfonda - bunker (bunker buster) in Iran per un Attacco preventivo. Da esperto di attività nucleari (Operazione Redwing, Bikini, 1956), posso affermare che si tratta di follia allo stato puro. Sfonda - bunker è, infatti, un nome simpatico per un orrore nucleare. Le esplosioni aeree, producendo un effetto incredibilmente distruttivo attraverso il calore, l’urto e l’enorme emissione iniziale di radiazioni, sono già abbastanza devastanti. La ricaduta radioattiva prodotta da un’esplosione aerea si manifesta in tutto il mondo. Un’esplosione in superficie o nel sottosuolo è ancora più micidiale e duratura. L’esplosione seguita all’operazione Castle Bravo a Bikini, nel 1954, sprigionò una potenza di quindici megaton. Provocò nell’atollo un cratere largo oltre un chilometro e mezzo e profondo più di dodici metri, cancellando completamente l’isola e volatilizzando quasi quattro miliardi di metri cubici di corallo, rocce e acqua, che lanciò nella stratosfera sotto forma di una grande nuvola radioattiva. La ricaduta radioattiva sugli atolli limitrofi fu devastante per le popolazioni e per l’intero ecosistema. Tutto quel materiale diviene estremamente radioattivo e, appena si raffredda, si condensa ricadendo in una pioggia di cenere, una vera e propria “neve” radioattiva capace di contaminare qualsiasi cosa tocchi. Gli effetti vengono percepiti in tutto il mondo. Lanciare le bombe sfonda-bunker di Bush contro l’Iran, come del resto contro qualsiasi altro paese, polverizzerà centinaia di migliaia di tonnellate di terra, acqua, rocce, mandando questo cocktail radioattivo, grazie all’azione del vento, a uccidere e ammalare intere popolazioni. I primi a essere colpiti moriranno presto, questione di ore, forse di giorni. Per quelli, invece, che abitano più lontano, ci vorrà un po’ più di tempo. L’incidenza globale di tumori e malattie risorgerà sensibilmente. I territori limitrofi rimarranno contaminati e inutilizzabili per generazioni. Se ci fossero rifugi profondi, è stato ipotizzato dai progettisti, le bombe sfonda-bunker non penetrerebbero abbastanza in profondità da poterli colpire. Immagino che inizierebbe la teoria di attacco di lanciare una bomba dopo l’altra sempre nello stesso buco. Immaginatevi l’intensità del disastro radioattivo perpetrato nell’area colpita. Di quelli che assisterono ai test nucleari, non siamo rimasti in molti. Tuttavia, esiste un numero di gruppi che monitorano gli effetti attraverso i tumori, le malformazioni congenite, sia fisiche che psichiche, e la contaminazione dell’ambiente. Ancora oggi risentiamo dei risultati di quei test. Ho scambiato email con abitanti delle aree limitrofe e con i loro figli che, a loro volta, hanno avuto bambini con malformazioni congenite e che non hanno alcun precedente nella storia delle loro famiglie; persone che soffrono dei tumori tipici causati dall’esposizione alle radiazioni nucleari. Adesso ci troviamo faccia a faccia con lo spettro dell’Uranio Impoverito (UI), le cui tracce iniziano a comparire nei filtri atmosferici intorno al pianeta. L’Uranio Impoverito è un sottoprodotto dell’industria nucleare. È un materiale estremamente denso con un basso livello di radioattività. La vita media dell’UI è di 4,5 miliardi di anni. Le persone che si trovano a lavorare a contatto con l’UI devono indossare un equipaggiamento a protezione totale e delle maschere apposite per poter respirare. L’UI utilizzato per le munizioni è estremamente pesante e denso. È in grado di penetrare una corazza come fosse carta velina, polverizzando e bruciando, lasciando polvere e particelle simili a piccoli frammenti, che possono essere ingeriti o inalati. L’UI non è esattamente quello che comunemente si pensa di un materiale radioattivo. Esso emette solamente radiazioni alfa e beta. Basta un solo pezzetto di carta per fermarlo. Il problema è la sua presenza nei polmoni o in qualche altra parte del corpo umano: a contatto con i tessuti di un organismo, si produce un bombardamento continuo e costante per il resto della vita e oltre, seppur a un basso livello di radiazioni. Radiazioni che, in ogni caso, possono condurre al tumore, a seri danni genetici e all’eventuale morte. Laboratori indipendenti come quelli della Johns Hopkins, hanno studiato questo argomento e hanno espresso delle previsioni sul possibile danno che l’UI potrebbe provocare. Il governo sostiene, come fece con l’Agente Arancio , che “Non c’è niente di vero, sono solo vostre supposizioni”. Nel frattempo, la gente continua ad ammalarsi e a morire e così avverrà per generazioni. Chernobyl non fu un’esplosione nucleare. Fu un incendio violento di combustibile nucleare difficile da gestire. Si stima che Chernobyl, insieme una vasta area circostante, rimarrà inabitabile per un periodo che va dai tre ai seicento anni. La caduta di materiali radioattivi provocata da Chernobyl contaminò per lungo tempo alimenti e bestiame in tutta l’Europa e in Scandinavia e, ancora oggi, è possibile vedere le tracce di queste radiazioni nel suolo e in alcuni esseri viventi. Io, come molte migliaia di persone, abbiamo lavorato molti anni per scongiurare una volta per tutte la minaccia nucleare. Gli accordi erano redatti e ratificati. Con l’accordo denominato Utilizzo pacifico dello spazio (The Peaceful Uses of Space), veniva garantito che nessuna nazione avrebbe usato lo spazio come piattaforma per fare la guerra. Quell’accordo viene ora deriso dalla dirigenza militare americana e definito un accordo ingenuo. Siamo pronti a prendere il controllo totale dello spazio intorno alla terra, per fornire una posizione dall’alto contro Maggio 2006 - Anno 2, Numero 5 2 eventuali attacchi di qualsiasi tipo di “minaccia” verso l’egemonia degli Stati Uniti. L’Accordo di non proliferazione del nucleare (Nuclear NonProliferation Treaty), venne elaborato per evitare che la tecnologia di armi nucleari si diffondesse in tutto il mondo. Bush ha ristretto quell’accordo solo a quei paesi che, prima o poi, potrebbero rappresentare una minaccia per il dominio americano. I nostri “amici” possono, invece, costruire quello che vogliono. Addirittura con il nostro aiuto. Il Trattato per la riduzione degli armamenti (Arms Reduction Treaty) tra gli USA e l’URSS. Questo era un accordo finalizzato alla distruzione delle armi nucleari e dei sistemi di distribuzione su base reciproca, che prevedeva degli osservatori da entrambi i paesi per verificare l’effettivo completamento delle operazioni. Bush e Putin decisero di modificare il trattato, prevedendo un semplice magazzinaggio delle armi, anziché la loro distruzione. Depositare le armi in un magazzino significa dare libero accesso a oscuri trafficanti che, corrompendo un servizio di sorveglianza sottopagato, possono sottrarre armi e materiali che saranno poi rivenduti al miglior offerente. I trattati non significano niente per questo governo se, naturalmente, questi interferiscono con i profitti o con il potere. Le Convenzioni di Ginevra relative al trattamento dei prigionieri di guerra sono ignorate, le convenzioni internazionali contro la tortura sono ignorate, i principi dei primi dieci emendamenti della nostra Costituzione del 1791, nei quali è sancita la garanzia della privacy e della libertà di espressione ai suoi cittadini, sono stati cancellati da Bush e dai suoi favoriti, la Carta delle Nazioni Unite è ignorata e messa in ridicolo. Il Protocollo di Kyoto per il riscaldamento globale e altre ricerche vengono ignorate dalla sua amministrazione in quanto interferenti con profitti a breve termine. Tutte queste violazioni dell’umanità sono offuscate, comunque, dalla possibilità che noi abbiamo di utilizzare le armi nucleari. Gli effetti di un simile utilizzo sancirà tanto la rovina del pianeta quanto il surriscaldamento e l’inquinamento globale, e tutto ciò potrà essere evitato molto semplicemente non utilizzando le armi nucleari. L’unica cosa che noi non possiamo aspettarci da Bush, almeno fino a quando non lo fermeremo, vietandogli in assoluto l’uso di armi nucleari. Ancora meglio sarebbe impedirgli, insieme a chiunque non condivida le sue scelte, di condurre le cosiddette “guerre preventive”. Propongo alcuni collegamenti per chi desidera leggere qualcosa di più su questo argomento. Questa è la mia pagina sul sito Atomi Veterans. Vi sono contenuti scritti sulle mie esperienze nucleari, ma vale la pena dare uno sguardo anche al resto del sito www.aracnet.com (in lingua inglese). I Downwinders sono le persone che sono state esposte alle radiazioni dei test nucleari sia qui che nel Pacifico. www.downwinders.org (in lingua inglese). Ci sono numerosi siti interessanti relativi a Chernobyl, ma questi due aiutano davvero ad aprire gli occhi: il sito http://library.thonkquest.org (in lingua inglese) va a indagare le circostanze e gli effetti che Chernobyl ha avuto sul mondo intero; Il sito Kiddofspeed appartiene a una coraggiosa signora, di nome Elena, che ha percorso in moto Chernobyl e dintorni, fotografando ciò che ha trovato: www.kiddofspeed.com (in lingua inglese). Le discussioni sull’Uranio Impoverito si possono trovare su molti siti, compresi i seguenti: www.iacenter.org (in lingua inglese). Un’eventuale ricerca sull’Uranio Impoverito attraverso Google vi darà cinque milioni di pagine circa, molte delle quali sono apologie del governo in cui si sostiene che l’UI non è nocivo o, se lo è, solo leggermente. www.cadu.org è il sito della Commissione contro l’Uranio Impoverito e vale bene una lettura. www.ccnr.org (in lingua inglese) è un sito sull’UI e sulla sindrome del Golfo. Vi sono indagati anche alcuni dei problemi riguardo alla fabbricazione degli armamenti con Uranio Impoverito per l’ecologia in prossimità degli stabilimenti. Fatevi la vostra lettura sull’argomento, quindi non stancatevi di insistere che l’uso delle armi nucleari è inaccettabile sotto qualunque aspetto. Da uno che ha visto negli occhi il drago nucleare ed è sopravvissuto, posso solo dire che “Al bando la bomba!” non è solo uno slogan, è una necessità. Fonte: Comedonchisciotte [05/04/2006] Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=vie wArticle&code=OSB20060314&articleId=2093 14.03.06 Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FABRIZIO LENCIONI Perché nel 2006 a t t a c ch e r a nn o l 'I r an gl i USA di Dave Eriqat Sono state avanzate numerose ipotesi sull'eventualità o meno che gli Stati Uniti possano attaccare l'Iran. C'è chi è dell'opinione che gli Stati Uniti lo faranno e chi invece ritiene che non lo faranno. Lasciando perdere i discorsi pubblici alquanto spavaldi provenienti da entrambi i governi, io credo che nel 2006 gli Stati Uniti attaccheranno l'Iran. Vi spiego perché: Il piano principale degli Stati Uniti prevede il controllo del petrolio nel Medioriente. Soltanto due Paesi si sono opposti a questo piano: l'Iraq e l'Iran. L'Iraq è stato neutralizzato e reso impotente per i prossimi dieci anni a causa della guerra civile. Adesso è rimasto solo l'Iran ad ostacolare il piano principale degli Stati Uniti. Ma prima di continuare il filo logico di questo discorso, facciamo una breve digressione. E' chiaro che l'Iraq rappresenti un disastro sia dal punto di vista umanitario che militare. Ma l'Iraq sta diventando anche un disastro politico per i Repubblicani negli Stati Uniti, perché i Repubblicani non solo rischiano di perdere il controllo del Congresso, ma con il tasso di approvazione per il presidente Bush sceso sotto terra [n.d.t. l'originale in inglese è “in the toilet”], essi potrebbero anche Maggio 2006 - Anno 2, Numero 5 3 perdere la Casa Bianca. La lezione data dalla messinscena dell'11/9 e dalla conseguente guerra in Iraq è chiara: gli Statunitensi si raccolgono intorno al presidente e al suo partito nei momenti di difficoltà. Per questo presidente e per il suo partito che cosa sarebbe conveniente più di un altro evento costruito in stile 11/9, seguito da un'altra guerra di rappresaglia, questa volta contro l'Iran? Non credo che un altro simulato 11/9 sia davvero necessario per far sì che il presidente intraprenda un'altra guerra nel Medioriente. Proprio quando stavo cominciando a credere che il calo precipitoso del sostegno alla guerra in Iraq – sceso fino a circa un terzo dell'opinione pubblica – fosse un segnale del fatto che gli Statunitensi stavano arrivando a capire la realtà dei fatti, recenti sondaggi rivelano che più di metà degli Statunitensi sono a favore di una nuova guerra contro l'Iran! Come è possibile che siano a favore di una nuova guerra se il loro appoggio per l'ultima sta venendo meno? Sono rimasto perplesso dinanzi a tanta incoerenza finché non ho capito che il calo di sostegno alla guerra in Iraq non è un rifiuto alla guerra in quanto tale, ma è espressione di un rifiuto a una guerra in cui si perde. Gli statunitensi sono assolutamente a favore delle guerre finché le vincono. In ogni caso, sembra che ci sia un ampio consenso da parte dell'opinione pubblica statunitense per una nuova guerra contro l'Iran. Un altro attacco simulato del tipo dell'11/9 non è necessario, anche se si potrebbe comunque verificare per favorire le ambizioni totalitaristiche del governo. Il ritiro delle truppe statunitensi dall'Iraq è fuori questione. Un'azione simile equivarrebbe ad un'ammissione di sconfitta da parte di quest'amministrazione, un'ammissione che non è prossima a venire. Inoltre, gli Stati Uniti hanno compiuto grandi sforzi e speso molte risorse per andare in Iraq e costruirvi basi militari permanenti. Semplicemente non se ne andranno per almeno qualche decennio. La scelta di lasciare lo status quo in Iraq è altrettanto difficile da difendere, man mano che crescono di giorno in giorno le esortazioni a ritirarsi, e quindi per questa amministrazione rimane soltanto una via: l'escalation. Una nuova guerra contro l'Iran distoglierà l'attenzione dall'Iraq e consoliderà l'appoggio dell'opinione pubblica a favore del presidente e del suo partito, come si rivelerà dalla rinnovata passione per i fiocchi magnetici rosso-bianchi-blu e gialli [n.d.t. simboli dell'orgoglio patriottico]. Un'altra buona ragione per intraprendere una guerra contro l'Iran consiste nel distogliere l'attenzione dall'economia. E' ormai ovvio che la bolla immobiliare statunitense si stia sgonfiando. Potrebbe continuare a sgonfiarsi gradualmente o potrebbe crescere con conseguenze spettacolari, nessuno lo sa. Come andrà a finire dipende molto dalla percezione della gente. Le persone sono ancora molto ottimiste riguardo all'economia, quindi forse è per questo motivo che la bolla immobiliare si sta sgonfiando ancora lentamente. Ma la situazione potrebbe cambiare. In ogni caso, con la bolla immobiliare come forza trainante del recente “consumer spending” [n.d.t. la spesa dei consumatori], e con il “consumer spending” che traina l'economia, non appena la bolla immobiliare si sgonfierà, il “consumer spending” scenderà. Un imminente declino del “consumer spending”, insieme ad altri indicatori, come il convergere di bond yield [n.d.t. rendimenti di obbligazioni] , fanno prevedere una recessione verso la fine di quest'anno. Una nuova guerra rappresenterebbe un efficace diversivo dai problemi economici e permetterebbe al governo di far entrare “liquidità” nell'economia. Il governo degli Stati Uniti ha recentemente sospeso le pubblicazioni dei dati della maggiore grandezza di offerta di moneta, M3, forse per nascondere future introduzioni di liquidità. Torniamo a riflettere sul progetto principale [n.d.t. degli Stati Uniti]. In molti hanno sottolineato come l'attacco all'Iran non regga ad un'analisi che prenda in considerazione il rapporto costi-benefici. Si ritiene che l'attacco all'Iran indurrebbe l'Iran a vendicarsi fomentando l'insurrezione in Iraq e minacciando il trasporto di petrolio attraverso il Golfo Persico. Chi lo afferma dà per scontato che gli Stati Uniti non metteranno in pericolo la vita dei loro soldati in Iraq né correranno il rischio di far salire il prezzo del petrolio per imporre la propria volontà politica sull'Iran e ritiene che persino questa amministrazione non sarebbe tanto folle da farlo. Ma chi pensa così si sbaglia. L'unico obiettivo che gli Stati Uniti si prefiggono nel Medioriente è il controllo del petrolio, costi quel che costi. Esaminiamo quali sono gli eventuali costi. Gli Stati Uniti metterebbero a rischio la vita dei loro soldati in Iraq? Assolutamente sì. Basti pensare a Pearl Harbor durante la Seconda Guerra Mondiale. E' fuor di dubbio che il governo degli Stati Uniti sapesse che i Giapponesi stavano per attaccarli e lasciò che ciò avvenisse. Il governo degli Stati Uniti probabilmente facilitò l'attacco lasciando libera da impedimenti una traiettoria di volo per gli aggressori giapponesi. Dunque sarebbero disposti a sacrificare qualche migliaio di soldati in Iraq? Certamente. E che cosa succederebbe se l'Iran riuscisse a rallentare o fermare il flusso di petrolio attraverso il Golfo Persico? Ancora una volta, questo fatto potrebbe tornare a vantaggio degli Stati Uniti, come vedremo. Nel frattempo, chi beneficerebbe da una riduzione globale delle scorte di petrolio? Le compagnie petrolifere. Negli ultimi anni si è visto che quando il petrolio è salito di prezzo, i profitti delle compagnie petrolifere sono saliti vorticosamente di dieci miliardi di dollari l'anno per compagnia. Abbiamo anche potuto vedere come l'amministrazione Bush si sia voltata dall'altra parte quando le compagnie energetiche hanno sfruttato avidamente il nascente mercato dell'elettricità dopo la “deregulation”, quindi sappiamo a chi vada il suo appoggio. Un altro argomento “razionale” contro la possibilità di un attacco contro l'Iran è che gli Stati Uniti in virtù delle proprie limitate truppe, possano in pratica attaccare l'Iran solo per via aerea, il che non risulterebbe molto efficace se limitato ai bersagli “militari”. E' vero, ma il punto è che l'iniziale attacco aereo sarebbe solitamente il primo passo di quella che gli Stati Uniti probabilmente sperano diventi una guerra più ampia. Perché? Perché l'unico modo che Maggio 2006 - Anno 2, Numero 5 4 gli Stati Uniti hanno per riuscire a neutralizzare con successo l'Iran è sganciare un paio di bombe nucleari sulla popolazione civile, costringendo l'Iran alla resa incondizionata. Persino gli Stati Uniti non oseranno interrompere in modo unilaterale sessant'anni di tabù nucleare e sganciare una bomba nucleare sopra una città iraniana. Ma probabilmente riusciranno a farla franca usando le cosiddette bombe tattiche nucleari “bunker buster” contro bersagli apparentemente militari. Naturalmente il mondo intero si indignerà dinanzi a un simile atto, ma dopo qualche mese di capovolgimento dei fatti attraverso i media, probabilmente gli Stati Uniti placheranno il disprezzo nei loro confronti. Nel frattempo, l'Iran fomenterà l'insurrezione Shiita in Iraq, facendo così aumentare il numero di vittime tra i soldati statunitensi. L'Iran magari affonderà anche qualche nave militare statunitense e qualche petroliera nel Golfo Persico , riuscendo davvero a rallentare o fermare il flusso di petrolio attraverso il golfo. Ovviamente gli Stati Uniti faranno passare questa vendetta iraniana come una sconsiderata e fanatica escalation di guerra. La popolazione statunitense, adirata nel vedere i propri soldati uccisi e le proprie navi militari affondate, si raccoglierà attorno al proprio presidente con ancora maggior fervore. Il governo degli Stati Uniti indicherà i crescenti problemi economici del mondo causati dall'insufficienza di petrolio come prova della necessità di fermare l'Iran, costi quel che costi. I Paesi industrializzati del mondo che dipendono dal petrolio rinunceranno ufficialmente a intraprendere un'azione più dura contro l'Iran, mentre in privato coltiveranno la speranza di vedere gli Stati Uniti far di tutto per riattivare il flusso di petrolio. Allora, senza preavviso, gli Stati Uniti lanceranno un paio di bombe nucleari sopra un paio di città iraniane di medie dimensioni, proprio come fecero in Giappone sessant'anni fa. E useranno le stesse giustificazioni di un tempo: velocizzare la fine della guerra. Ovviamente il mondo sarà indignato, ma tale reazione passerà in sordina, dato che gli Stati Uniti avranno già infranto il tabù del nucleare usando le bombe “bunker buster,” e inoltre, che cosa potrà farci il mondo? L'Iran si arrenderà, e gli Stati Uniti assumeranno il pieno controllo del Medioriente e di due delle sue più importanti fonti di petrolio: l'Iraq e l'Iran . Gli Stati Uniti potranno allora ritirare le loro truppe in Iraq nelle nuove basi militari grandi come intere città e aspettare tranquillamente la fine della guerra civile, tenendo sotto controllo da vicino il petrolio. Gli Stati Uniti saranno una nazione paria, ma che importa? Controlleranno la maggior parte delle risorse petrolifere mondiali. FONTE: www.pravda.ru (giugno 2006) R el az io ni eur o pee di Antonio Cantarella “Come felici sposini sono attirati da divorziati tormentati” La creazione di un nuovo stato in seno alla ex Jugoslavia richiede nuove riflessioni. No, non le solite stupidaggini sentite in questi giorni legate al riconoscimento dell’indipendenza con tanto di congratulazioni e auguri per il nuovo roseo avvenire della repubblica. Ancora più eccentriche sono state le note di biasimo riguardo una Serbia con cui “nessuno vuole avere a che fare”: il Montenegro racchiude una storia di autonomia e indipendenza più longeva delle altre ex - repubbliche federate, in più la richiesta realizzatasi con questo referendum non è certo una novità dell’ultima ora: semmai è una conclusione del decennio scorso che si è portata avanti per verificare se la Jugoslavia poteva ancora sopravvivere sulle basi di due soli Stati; ma a questa soluzione nessuno ha mai creduto fino in fondo. Le preoccupazioni risiedono in ben altri campi: tanto per cominciare le percentuali del referendum adombrano la realtà dei valori assoluti, che un certo calcolo mostra nella loro crudezza (il nostro giornale esce sempre in ritardo perché riflette piuttosto che riportare le notizie). Per la validità del referendum occorreva che almeno il 55 % dei votanti si mostrasse favorevole: la stampa ha espresso lo “schiacciante consenso” con due diverse cifre: 56,3 5 e 55,5 % che, su una popolazione votante di 485.000 persone, significa poco più di 6000 persone in un caso e meno di 2500 nell’altro; questa cifra va modificata perché la massiccia affluenza alle urne non è stata del 100% bensì dell’86,3. Fa niente, non sarà per questo che la storia fermerà il proprio cammino, tantomeno i popoli che la costruiscono quotidianamente: riconosciuta la validità dell’operazione e avendo resi felici i frontalieri che già dispongono con zelo del loro potere di tenerci fermi per sapere chi siamo e cosa vogliamo, occorrerà che il Montenegro ricominci da due. Richiedente e controparte sono più simili di quanto si immagini e questo non significa affatto che il divorzio sia in questo caso più grave dei precedenti; chi ha mai detto che professare la stessa religione debba necessariamente rimandare a un’unità politica? Mi sembra piuttosto una giustificazione delle alleanze occidentali per le neocrociate contro il terrorismo islamico, definizioni completamente avulse dalla territorialità balcanica e dai loro parametri multiculturali. Non credo che il Montenegro applicherà un regime di apartheid nei confronti dei serbi come avvenne nella Croazia di Tudjman, anche se non è prevedibile il tipo di reazioni che si presenteranno prossimamente. Ciò che mi incuriosisce è altro. La Serbia e il Montenegro restano praticamente gli unici testimoni della multietnicità dell’Europa, rappresentazione stessa dell’ipotetica ma auspicabile Unione Europea che va costruendosi Maggio 2006 - Anno 2, Numero 5 5 a tavolino; casualmente sono anche gli Stati che probabilmente entreranno per ultimi in detta Unione. La loro stessa natura culturale e politica mostra come si stia andando verso operazioni di chiusura e nazionalismo retti da un’unica impalcatura che necessariamente tenderà a globalizzare le correnti economiche giuridiche culturali e sociali e quindi a scremare le diversità che sono il vanto e la ricchezza del continente. Vediamo l’UE, appunto, festeggiare la comparsa di un nuovo Sovrano entro il territorio, così è sempre più facile maneggiare le politiche nazionali a vantaggio dell’ideale universale e giusto che ha mosso nobili animi a sacrificare parte della loro sovranità per il bene comune. Molti non mancano di ridere sulla condizione serba di indipendenti senza volerlo o senza meritarlo, a nessuno viene in mente che non è questa una strada che potrà avvantaggiare a lungo andare alcunché. Temo che il processo continuerà in una torbida spirale che trascinerà i popoli dell’area: le affermazioni del leader dell’Alleanza sociale democratica della Vojvodina fanno riflettere: come ho detto diverse volte la sostanziale differenza fra repubbliche e province autonome nella exJugoslavia era proprio la richiesta di indipendenza, ma ormai chi ha in mano il futuro dell’area non è interessato a far rispettare alcuna legge che si dimostri incurante del tornaconto che può avere dalla manipolazione degli eventi, anzi attende incoraggiando ulteriori frammentazioni del piatto, così da fagocitare quanto resta in un sol boccone. Un’altra preoccupazione è data dalla presenza sempre più forte di votazioni che rispecchiano una netta divisione nella popolazione: il fenomeno del 50 e 50 ha avuto recenti prove anche nel nostro Paese: recenti dichiarazioni parlano di governare per tutti e non più per i soli elettori: neodemagogia o necessità vista anche dagli ultimi baluardi dei vecchi giochi politici di rinnovare le procedure e le strutture in vista di cambiamenti sostanziali nella segmentazione sociale e nella storia? È chiaro che sarebbe preferibile la seconda ipotesi, come è sequenziale che non accettare questa ottica sarà nocivo per le stesse strutture che tendono all’immobilità. U r ani o e si ndr om e dei Balcani di Massimo Fini Cento cinquantotto militari italiani che hanno operato in Bosnia e in Kosovo si sono ammalati di tumore (alla tiroide, ai testicoli, linfoma di Hodgkin) e di questi ventotto sono morti. È quanto risulta dalla relazione annuale che il ministero della Difesa trasmette al Parlamento. È la cosiddetta ‘sindrome dei Balcani’ che va attribuita all’uso a tappeto che gli americano hanno fatto, in quelle zone, del ‘depleted uranium’, vale a dire dell’uranio impoverito’ (secondo la stessa ammissione del Pentagono proiettili di questo tipo, che hanno la capacità di forare come fossero di burro i blindati, sono stati usati in Bosnia e in Kosovo). Dalla ‘sindrome dei Balcani’ sono stati colpiti ovviamente, oltre che i militari italiani, anche quelli di altri contingenti, soprattutto americani che erano presenti sul terreno con forze massicce. Il Pentagono ha sempre negato che i tumori da cui sono stati colpiti i militari che hanno operato nei Balcani dipendano da contatti diretti con ‘l’uranio impoverito’, ma li ha attribuiti al ‘battle fatigue’, allo stress da battaglia, al fatto di essere un ambiente estraneo e ostile. Spiegazione risibile perché nelle guerre dove (...) l’uso dell’uranio impoverito non era ancora conosciuto, come quella del Vietnam, i soldati venivano colpiti da malattie nervose, depressione e nevrosi, ma non da tumori. Questa versione del Pentagono era stata avallata anche, in un primo tempo, dalla Commissione d’inchiesta istituita dal nostro Ministero della Difesa (che vi era stato costretto dalle richieste di risarcimento avanzate dai militari ammalati o dai famigliari di quelli deceduti), presieduta dal professor Mandelli che arrivò a concludere che il numero dei casi di tumore fra questi militari rientrava nella media nazionale. Tesi ancora più risibile e, se posso dirlo, vergognosa, perché la media nazionale riguarda l’intera popolazione, e quindi anche gli uomini maturi e gli anziani fra cui il tumore miete il maggior numero di vittime, non ragazzi ventenni e trentenni, nel pieno della loro giovinezza, forti e sani per definizione, sottoposti preventivamente a severi controlli medici. Tanto che una successiva commissione d’inchiesta, presieduta da Falco Accame, di fronte all’impressionante allungarsi della lista dei decessi, ha dovuto fare qualche ammissione, sia pur con la formula tartufesca, che avrebbe fatto arrossire Ponzio Pilato, che “non si può affermare con certezza assoluta che i tumori di cui sono ammalati i soldati siano dovuti a contatti diretti con l’uranio impoverito, ma non lo si può neanche escludere”. Che l’Uranio impoverito sia all’origine di queste patologie è invece certo, perché tali patologie si sono manifestate solo quando sono stati usati questi proiettili, come nella prima guerra del Golfo nel 1990 o nel cosiddetto intervento di ‘peace keeping’ in Somalia, nel 1993,e non in altre occasioni in cui pur i militari erano sottoposti allo stress del ‘battle fatigue’ (come risulta da studi degli americani che, per primi, si sono occupati di questa faccenda). Ma la questione che pongo qui è anche, se non soprattutto, un’altra. Se nelle zone contaminate dell’uranio impoverito si sono ammalati tanti militari, che pur usavano tutta una serie di precauzioni per non venire a contatto diretto con l’uranio impoverito e che si sono fermati pochi mesi nelle regioni contaminate quante sono le vittime di tumori in Bosnia e in Kosovo, fra i civili che di nulla erano stati avvertiti e in particolare fra i bambini che sono soliti toccare tutto che in quelle aree ci vivono stabilmente? E quante sono le vittime civili in Afghanistan che gli americani hanno letteralmente spianato a suon di bombe, disseminando il terreno non di proiettili all’uranio impoverito, ma di tonnellate e tonnellate di questo micidiale materiale? Che è un’arma chimica e, come tale, vietata dalla Convenzione di Ginevra. Ecco un bell’argomento per Maggio 2006 - Anno 2, Numero 5 6 il Tribunale internazionale dell’Aja che giudica sui ‘crimini di guerra’, ora che Slobodan Milosevic, che armi chimiche non le ha mai usate, si è sottratto, morendo al momento opportuno, al suo giudizio. Ma, naturalmente, è un ‘wishfull thinking’. I Tribunali dei vincitori non giudicheranno se stessi. Neanche Blondet doveva parlare? di Stefano Vernole Alcuni forse ricorderanno il mio articolo di qualche mese fa, “Uranio impoverito vietato Parlare”(1), a proposito delle vicissitudini di un incontro tenutosi a Modena il 18 febbraio 2006 con l’on. Falco Accame. Sabato scorso, 27 maggio 2006, si è avuto il bis o forse il tris, se consideriamo i problemi avuti in un ‘iniziativa ancora precedente (ottobre 2005), durante la quale la conferenza dello studioso John Kleeves (“L’Italia è una nazione sovrana”?) era stata disturbata da un allarme partito improvvisamente all’interno della scuola “Venturi”, che ospita la sala all’interno della quale si teneva l’incontro. Questa volta era in programma non solo la proiezione di un video che mostra le contraddizioni della versione statunitense sugli attentati dell’11 settembre 2001, ma anche un dibattito con protagonista il giornalista e scrittore Maurizio Blondet, noto per le sue tesi controcorrente e autore di una cospicua pubblicistica sulle lobbies nordamericane. Nonostante al mattino l’Associazione culturale “Pensieri in Azione”, aderente al Coordinamento Progetto Eurasia, avesse regolarmente ritirato le chiavi di Sala delle Dame (luogo dell’iniziativa il cui affitto era stato già pagato da alcuni giorni), alle 16.30, ora d’inizio dell’incontro, si è rivelato impossibile accedervi in quanto chiusa dall’interno con una sbarra. Nel frattempo, Via dei Servi, dove si trova l’Istituto “Venturi”, si era riempita di persone che volevano assistere alla conferenza, al punto che si conteranno più di 100 potenziali partecipanti. Dopo aver fatto giungere la Polizia Municipale che confermava l’impossibilità dell’accesso alla sala e visto che i responsabili della scuola o del comune non erano rintracciabili telefonicamente, gli organizzatori decidevano di convogliare gli interessati verso la sede di una piccola associazione culturale modenese, che gentilmente acconsentiva di prestarle i locali. Ovviamente, data la sua ridotta capienza, alcuni dei partecipanti decidevano di tornarsene a casa, tra di essi due consiglieri comunali che hanno promesso interrogazioni in proposito. Gli inconvenienti non finivano qui, in quanto lo spazio ristretto non consentiva né la proiezione del video né la presentazione del nuovo numero della Rivista di Studi Geopolitici “Eurasia”, dedicato all’India. In una saletta stipata fino all’inverosimile, il pazientissimo dr. Maurizio Blondet ha comunque tenuto la sua relazione, il cui titolo – concordato con l’Associazione – era: “La strategia dei neoconservatori statunitensi, l’alternativa multipolare di Russia, Cina e India, l’assenza dell’Europa”. Il giornalista milanese ha perciò parlato per quasi due ore delle difficoltà belliche degli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan, del colpo di stato attuato a Washington dopo l’11 settembre 2001, dell’importanza dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai quale alternativa all’unilateralismo atlantista, dell’influenza delle lobbies sioniste sull’Amministrazione Bush, degli accordi economici russo - tedeschi e tanto altro. In questi giorni dopo le decise proteste dell’Associazione culturale “Pensieri in Azione” sono giunte le scuse ufficiali di Istituto e Comune, che hanno scaricato le responsabilità dell’accaduto su un operatore della scuola che avrebbe inavvertitamente chiuso la sala dall’interno prima di andarsene. Nel frattempo due articoli della stampa locale sottolineavano l’incredibile accaduto, mentre gli organizzatori decidevano di incaricare i propri legali affinché venisse fatta una stima dei danni subiti: in tempi di “pensiero unico” non è accettabile che venga chiusa la bocca ai pochi che agiscono controcorrente. NOTE: 1) Articolo su www.terradegliavi.org C am bi o d el l a g u a r di a al v e r t i ce d i ‘ R o di n a ’ di Daniele Scalea Il partito Rodina (in russo, "Patria") nacque pochi anni fa, come risultato della federazione d'innumerevoli partitini ed associazioni della Federazione Russa, di tendenza patriottica e populista. Generalmente, si riconducono le origini del Rodina ad una manovra condotta nell'ombra dal Cremlino: lo scopo era quello di "drenare" una gran quantità di voti dal Partito Comunista della Federazione Russa (PKFR), portandoli alla coalizione sostenitrice di Vladimir Putin, di cui il blocco patriottico faceva inizialmente parte. Tuttavia, il piano ebbe successo solo in una prima fase, quella in cui Rodina seppe immediatamente affermarsi come importante forza politica (con consensi oscillanti poco sotto il 10%), provocando una contemporanea emorragia di voti nel PKFR, tradizionale primo avversario dell'attuale classe dirigente russa. In poco tempo, però, il blocco politico mostrò di possedere una propria anima, e di fronte ad alcuni provvedimenti putiniani considerati poco patriottici (l'irresolutezza, forse solo apparente, con cui sta affrontando l'aggressione occidentalista) Maggio 2006 - Anno 2, Numero 5 7 o poco popolari (la riforma del sistema dei benefit agli ex combattenti, ed ai pensionati in genere), Rodina ha abbandonato Russia Unita per schierarsi col PKFR, al fianco del quale si prepara ad affrontare le elezioni parlamentari che si terranno nel 2007. La nuova alleanza non è stata semplice: i comunisti continuano a vedere in Rodina una creatura del Cremlino, per quanto "ribelle". Non di meno, il panorama politico russo sta radicalizzando e cristallizzando le sue posizioni: da un lato i neoliberali (Unione delle Forze di Destra, Yabloko, Comitato 2008, ecc.), ostili a Putin ma da una prospettiva completamente diversa rispetto ai patrioti; al centro l'alleanza informale tra Russia Unita e Partito Liberal-Democratico di Žirinovskij, che sostengono la politica moderata dell'attuale Presidente. Gioco forza, il PKFR, nell'impossibilità di collaborare con i neoliberali se non per azioni contingenti e tattiche (vedi esposto al Consiglio d'Europa), e di schierarsi con Putin se non occasionalmente e su questioni ben precise (vedi difesa della Russia dall'imperialismo), è stato spinto "a sinistra" in questa strana alleanza col Rodina, che non ostante tutto potrebbe reggere fino al 2007. Il blocco patriottico stesso non è immune da evoluzioni e contrasti interni, particolarmente acuti e significativi in questo momento. La dirigenza del partito, con Dmitri Rogozin alla sua testa (foto a lato), mentre ha spinto il Rodina verso il PKFR, d'altro canto ha coltivato tendenze sempre più xenofobe e nazionaliste (decisamente lesive e controproducenti in un paese, come la Federazione Russa, multietnico e perciò minacciato di disgregazione). Il culmine di questa deriva s'è avuta il 4 dicembre, con le elezioni regionali in molti distretti della Federazione. Il Rodina ha realizzato, per la campagna elettorale moscovita, uno spot televisivo di dubbio gusto: tre caucasici stereotipati tossiscono brandelli di cibo ai piedi d'una donna di chiara etnia slava che spinge un passeggino, mentre una voce fuori campo esorta i cittadini a "ripulire Mosca dall'immondizia". Ciò ha provocato un ricorso presentato dai liberal-democratici (che, a dispetto del nome, sono piuttosto nazionalisti, e dunque temono la concorrenza del Rodina), che ha portato all'esclusione del blocco patriottico dalle elezioni a Mosca e da quelle tenutesi in marzo in altre sette regioni: in definitiva, Rodina s'è potuta presentare solo nella Repubblica siberiana dell'Altaj, dove tra l'altro ha confermato le sue enormi potenzialità giungendo seconda, alle spalle della sola Russia Unita. L'episodio ha lacerato fortemente il blocco stesso. Dmitri Rogozin è stato costretto alle dimissioni, tanto dai suoi sostenitori (per "proteggerlo dalle critiche"), tanto dai suoi oppositori interni (che denunciano la "deriva xenofoba e fascista" della coalizione). Ad essere eletto suo sostituto, nel congresso del partito tenutosi il 25 marzo, è stato Aleksandr Babakov, ex uomo d'affari e principale finanziatore del partito, sostenuto anche da Rogozin, il quale infatti ne aveva appoggiato la candidatura definendolo il suo "migliore amico". Tuttavia, i malumori non si sono ancora placati. Un altro alto dirigente del partito, Nikolaj Novičkov, ha avversato assiduamente Rogozin ed ora sta cercando di far fuori dalle alte sfere anche Aleksandr Čuev e Andrej Savelev, accusati d'aver portato Rodina alla "xenofobia e all'intolleranza nazionale". D'accordo con lui sono i capi dei quattro movimenti socialdemocratici federati in Rodina, vale a dire Vladimir Kišenin (Partito Social-Democratico Russo), Oleg Evdokimov (Associazione Social-Democratica Russa), Aleksandr Gorbunov (Centro SocialDemocratico Russo) e Oleg Venevitin (Unione della Gioventù Social-Democratica). Certo questo scossone al vertice, e le diatribe interne al partito, a un anno di distanza dalle elezioni parlamentari del 2007 (e a due da quelle presidenziali del 2008) potrebbe cambiare molte carte in tavola: è da vedersi se Babakov seguirà la strada imboccata da Rogozin, o se verrà incontro ai desideri della fazione socialdemocratica, e ancora se si manterrà, come il suo predecessore, ostile al Cremlino (Rogozin vuole ora dedicarsi alla promozione di manifestazioni popolari contro Putin), oppure se ricondurrà Rodina "all'ovile". Una cosa è certa: come deputato alla Duma, presidente del partito e suo principale finanziatore, a Babakov non mancherà l'autonomia decisionale. Maggio 2006 - Anno 2, Numero 5 Fonte: "Rinascita", 29 marzo 2006 8 NOTIZIE DAL MOVIMENTO INTERNAZIONALE EURASIATISTA L’Eurasia contro la NATO! di Luca Bionda La Gioventù Eurasiatica (E.S.M.), sezione giovanile del più noto Movimento Eurasiatista Internazionale capitanato da Aleksandr Dugin, ha indetto per il giorno 28 Maggio un’azione congiunta di protesta contro la NATO e le sue linee politiche internazionali. La manifestazione è stata coordinata in modo tale che contemporaneamente vi fossero picchetti di protesta nelle principali città della Russia e dell’Ucraina. Tale aspetto ha richiesto il coinvolgimento di moltissimi simpatizzanti e militanti di ESM. Per la prima volta dalla sua fondazione la Gioventù Eurasiatica, attraverso un’azione coordinata, riesce nell’intento di mettere in campo un notevole dispiegamento di attivisti dall’Ucraina alla Siberia. In Ucraina le città maggiormente coinvolte sono state Kiev, Donetsk, Nikolayev, Kherson (foto a lato) e Kharkov, dove l’occasione ha inoltre permesso agli eurasiatisti di partecipare alle manifestazioni popolari per protestare contro le manovre militari della NATO condotte in Nikolayevskaja Oblast’ (Regione di Nikolayev). Contro la suddetta esercitazione militare in territorio ucraino si scaglierà peraltro anche Natalija Vitrenko (la mente del blocco politico filosocialista “Narodnaja Oppozicija” – Opposizione Popolare) in un comunicato stampa datato 2 Giugno. Maggiori sono stati invece gli obiettivi dei manifestanti nella Federazione Russa, che nello specifico hanno riguardato soprattutto le città di Mosca, Kazan’, Saratov, Moršansk (foto in basso: ESM è stata la prima organizzazione giovanile a portare la politica nelle strade di questa cittadina situata nella regione di Tambov), Ekaterinburg, Makeev, Rostov Na Donu, Pskov e Perm’. I manifestanti, rispettando le linee guida delle proprie azioni dimostrative pacifiche, hanno sventolato le bandiere del Movimento Eurasiatista e di ESM, mostrando i medesimi manifesti anti-NATO in tutte le città coinvolte: “NATO - assassino di Slavi”, “Morte alla NATO”, “No all’occupazione americana”, “Gloria alla Russia Russi alzatevi!”, “la Russia contro la NATO”, “No all’egemonia americana”, “la NATO è morte”, “la NATO è colpevole per tutto”. Alla protesta si sono affiancati saltuariamente anche alcuni militanti nazional-bolscevichi (la corrente opposta ad Eduard Limonov), mentre in Ucraina l’appoggio maggiore è stato dato dal movimento Bratstvo (Fratellanza). Particolare soddisfazione è stata espressa non solo dai partecipanti a Mosca e Kiev, ma soprattutto dagli attivisti che hanno manifestato nelle città “minori”: In tal sede si segnalano soprattutto i commenti entusiastici del coordinatore ESM per la regione di Tambov, Sergej Kirjušatov1: “Molti passanti si sono uniti a noi, scandendo assieme a noi i nostri slogan. Altri si sono avvicinati salutandoci ed abbracciandoci, chiedendoci di proseguire il cammino con lo stesso spirito. Alcune guardie di frontiera presenti per la loro parata si sono avvicinati chiedendoci le nostre bandiere affinché potessero portarle per la città, cosa che noi abbiamo fatto molto volentieri. Abbiamo infine distribuito i nostri giornali a tutte le persone interessate e siamo stati intervistati dalla testata giornalistica locale ‘Soglasie’ ”. 1 Sergej Kirjušatov: “Flagi ESM razvevajutsja nad Moršanskom” - www.rossia3.ru – (04/06/2006) Maggio 2006 – Anno 2, Numero 5 9 È uscito il 6° numero di “EURASIA, rivista di studi geopolitici” (n.3/2006). Il ‘dossario principale’ è dedicato all’INDIA ed ai suoi caratteri storici, culturali e geopolitici. EURASIA è reperibile presso le seguenti librerie (elenco in ordine alfabetico, per provincia): # Libreria Pendragon, Via Saffi 15/2a – Bologna # Libreria Ibis, Via Castiglione 31 – Bologna # Modo Infoshop, Via Mascarella 24/b – Bologna # Libreria di Palazzo Monsignani, Via Emilia 71 – Imola (BO) # La Feltrinelli, Via Garibaldi 30/A, 44100 Ferrara # Libreria Bottega del Fantastico, Via Plinio 32, Milano # L'Isola del Sole, Via Pollaiuolo 5, Milano # Libreria Claudiana, Via Francesco Sforza 12/A, Milano # Centro Librario - Via Saragozza 112 - Modena # Libreria Città Futura - Via Bonacini 137 - Modena # Libreria La Fenice - Via Mazzini, 15 - Carpi (Modena) # Libreria Controcorrente - Via C. De Cesare, 11 – Napoli NOVITA’ # Libreria Draghi, Via Santa Lucia 11 – Padova # Libreria Palatina Editrice, Borgo G.Tommasini 9/A, Parma NOVITA’ # Libreria Morini, Via P.Cocconi 3/F, Parma NOVITA’ # La Feltrinelli, Via della Repubblica 2, Parma # Libreria Fogola – Corso Italia, 82 – Pisa NOVITA’ # Libreria del Centro Studi Italia - Via Guido da Castello 3 - Reggio Emilia # Libreria Europa, Via Tunisi 3/A - Roma # Libreria Koiné - Via Satrico 1/D - Roma # Libreria Ar – Largo Dogana Regia – Salerno # Libreria Alterocca - Corso Cornelio Tacito 29 – Terni # Libreria Comunardi - Via Bogino 2 - Torino # Associazione Culturale “Terra Insubre” - Via Frasconi, 4 – Varese # Libreria Gheduzzi – Giubbe rosse (Libreria Porta Borsari srl) – C.so S. Anastasia, 7 – Verona NOVITA’ # # È anche possibile ordinarlo direttamente presso l'editore (in contrassegno o previo versamento di euro 18,00): Edizioni all'Insegna del Veltro, Viale Osacca 13 - 43100 Parma. - C.C.P. n.14759476 Per tutte le informazioni visitate il sito: http://www.eurasia-rivista.org IN MEMORIAM Aleksandr Zinov’ev (1922 - 2006) In questo mese di maggio ricordiamo Aleksandr Zinov’ev, figura centrale della filosofia e della letteratura del Novecento russo, spentosi all’età di 83 anni. Tra i “meriti” indiscussi di Zinov’ev il coraggio di criticare con uguale durezza quegli aspetti negativi dell’esperienza sovietica (per la quale fu costretto all’esilio in Germania) e soprattutto negli ultimi anni la linea liberista tracciata dalla Perestrojka di Gorbaciov (per la quale coniò il termine “katastrojka”). Fu tra l’altro critico di Eltsin, degli USA e dell'influenza occidentale sulla Russia. Fu invece ammiratore di Slobodan Milosevic ed appoggiò attivamente la campagna presidenziale di Gennadij Zjuganov (KPFR). Ecco alcune note biografiche tratte dalla rete (www.russianecho.net): “Aleksandr Zinov’ev nasce a Pachtino (Kostroma), un villaggio della russia europea. Completati gli studi, diviene docente di logica matematica presso l'Università di Mosca. E' autore di numerosi lavori in materia ma si fa conoscere più che altro per alcuni scritti di satira e di critica al sistema comunista. Nel '76 appare, prima in edizione russa poi francese, una sorta di autopsia satirica e clinica del totalitarismo nel suo funzionamento quotidiano: si tratta del romanzo “Cime abissali” in conseguenza del quale viene sollevato da tutte le funzioni, privato dei diplomi, escluso dal partito comunista dell’Urss e -nel 1978- espulso dal paese (dove verrà riammesso solo nel 1990). Trasferitosi a Monaco di Baviera, dottore in filosofia, diviene professore membro dell’accademia finlandese delle scienze e per la sua attività scientifica viene Maggio 2006 – Anno 2, Numero 5 10 unanimemente considerato tra i grandi logici contemporanei. Scrive libri di logica, di filosofia, di linguistica; particolarmente importanti risultano i suoi lavori di analisi delle manifestazioni culturali in nesso con il linguaggio. Nella sua variegata produzione spiccano anche romanzi, saggi, poesie, disegni e dipinti, anche se la notorietà presso il largo pubblico rimane legata all'opera letteraria. Dedica una particolare attenzione ai temi dell'oppressione burocratica realizzatasi nella Russia sovietica e dell'utopia intorno alla costruzione dell'“uomo nuovo”. La sua voce, autonoma e sempre personale anche rispetto a quella di altri dissidenti, mette al centro l'uomo: riconosce profondamente la tragedia avvenuta nel corso della storia, scagliandosi nel merito analitico contro le semplificazioni, i superficialismi e le facili illusioni. Tra le pubblicazioni più recenti apparse in Italia ricordiamo “Appunti di un guardiano notturno”, “La casa gialla”, “La caduta dell’Impero del male”; ed ancora “L'umanaio globale”, visione apocalittica del mondo nel XXI secolo”. CONFERENZE, DIBATTITI, INCONTRI… Globalizzazione a Trento di Augusto Marsigliante Si è tenuta stamani a Trento, in una sala gremita all’inverosimile, nell’ambito del “Festival dell’economia”, una tavola rotonda sul tema della globalizzazione. Tra i relatori, Danilo Zolo, che ha confermato ancora una volta la vicinanza del suo pensiero rispetto alle posizioni eurasiatiste. Ad aprire il dibattito due apologeti della globalizzazione, un docente della Bocconi ed un giornalista del New York Times i quali hanno sottolineato gli aspetti positivi, a loro dire, dell’unipolarismo a stelle e strisce, ossia un aumento della ricchezza prodotta, a fronte tuttavia di una distribuzione ineguale della stessa. Una questione che potrebbe essere risolta, secondo i due relatori, affrontando l’evidente “deficit di democrazia” che caratterizza organismi come Fondo Monetario, Banca Mondiale, ecc.., in modo da poter dare più risonanza alla voce dei paesi più svantaggiati. Una soluzione che sappiamo benissimo essere del tutto inefficace, essendo gli organi suddetti proprio degli strumenti in mano agli Stati Uniti per esercitare il proprio dominio. Nel replicare a costoro, hanno avuto buon gioco i critici della globalizzazione presenti al dibattito: innanzitutto Vittorio Agnoletto ha snocciolato una serie di dati statistici i quali hanno confermato la spaventosa e crescente miseria che affligge le sempre più povere popolazioni di tutto il mondo, e tutti i disastri prodotti dalle multinazionali nei paesi da esse saccheggiati. Egli si è tuttavia mostrato inconcludente quando si è trattato di proporre delle valide alternative a questo stato di cose: si è richiamato ai valori universali sanciti dalla rivoluzione francese, alla necessità di un loro recupero e ai valori universali di uguaglianza e democrazia. Ma, ha sottolineato l’europarlamentare, è comunque necessario un recupero della politica, che deve smettere di essere “l’eunuco dell’economia”. Dopo un interessante intervento di Fabrizio Onida sui problemi che si trovano ad affrontare i bambini che nascono in aree devastate dal capitalismo –problemi di analfabetismo e sfruttamento- e della cruciale necessità di un recupero delle giovani generazioni, è stata la volta di Zolo nel discutere l’argomento. Vi sono tre modi di affrontare la globalizzazione: uno è quello tipicamente liberista, di considerarla la strada migliore verso il benessere collettivo, a patto che da parte dello stato non siano posti vincoli alla libera circolazione di beni e capitali. Peccato che queste regole siano valide solo per alcuni – i più ricchi -. Vanno ricordate a questo proposito le elevate barriere protezionistiche che gli Stati Uniti fanno gravare sui prodotti provenienti dall’Unione Europea, e che l’UE a sua volta impone ai prodotti tessili provenienti dalla Cina. C’è poi, prosegue Zolo, l’atteggiamento marxista, che è quello di negare la globalizzazione, e di considerarla uno sviluppo fisiologico del capitalismo in chiave imperialista. È il capitalismo che si disfa delle sovranità statali, che distrugge lo stato sociale e la regolazione politica. Vi è infine il punto di vista fatto proprio dal relatore, che ammette la globalizzazione e constata la necessità di un intervento politico. Il dato statistico dell’aumento di ricchezza pro capite è ben lungi dal delineare realmente la situazione che vede una ristrettissima fascia di popolazione che consuma 40 volte tanto la sempre più ampia fascia di popolazione mondiale che vive in stato di indigenza. Le disastrose conseguenze di ciò sono sotto gli occhi di tutti: la più eclatante, la guerra globale portata avanti dagli Stati Uniti d’America alla ricerca di nuovi mercati da conquistare e di risorse energetiche da sfruttare, in nome di un “valore”, quello della democrazia, che si pretende essere universale ma che in realtà sappiamo bene essere una creatura del mondo occidentale. A ciò va aggiunto che ben difficilmente gli Stati Uniti d’America possono essere considerati un modello di democrazia, né tantomeno di rispetto dei diritti umani. La soluzione dei numerosi e complessi problemi posti dalla globalizzazione non possono certo essere istituzioni internazionali come Banca Mondiale e FMI, completamente subordinate al “Washington Consensus”, né le Nazioni Unite, ormai paralizzate dallo strapotere degli USA. Zolo constata infine la morte del vecchio stato nazionale e, sollecitato dalla moderatrice a dare un proprio parere sulle possibili alternative, egli ripropone le soluzioni da noi sempre caldeggiate: la nascita di grandi spazi interdipendenti capaci di sottrarsi alle regole del mercato imposte dai potentati economici. L’Europa come largo spazio di identità politica, come soggetto autonomo che si liberi dall’abbraccio soffocante della piovra a stelle e strisce. "# "# "# Maggio 2006 – Anno 2, Numero 5 11