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Bollettino informatico del “COORDINAMENTO PROGETTO EURASIA”
ED ITOR IAL E
Pag.1: Creare il “nemico Iran”?!
(di Luca Bionda)
MAGGIO 2006 - Anno II, Numero 5
A RT I COL I:
Pag.2: Bombe nucleari tattiche: siamo alla follia
(di Stephen Osborn)
Pag.3: Perché nel 2006 gli USA attaccheranno l’Iran
(di Dave Eriqat)
Pag.5: Relazioni europee!
(di Antonio Cantarella)
Pag.6: Uranio e sindrome dei Balcani
(di Massimo Fini)
Pag.7: Neanche Blondet doveva parlare?
(di Stefano Vernole)
Pag.7: Cambio della guardia al vertice di ‘Rodina’
(di Daniele Scalea)
NOT IZ I E DA L MO VIMENT O
INT ER NAZ IO NALE EUR A SIA TISTA
Pag.9: L’Eurasia contro la NATO! !
(di Luca Bionda)
I N M EMO R I A M
Pag.10: Aleksandr Zinov’ev (1922 - 2006)
CO NF ER ENZ E, DIBATT IT I ,
INCO NTR I…
Pag.11: Globalizzazione a Trento !
(di Augusto Marsigliante)
CONTINENTE EURASIA
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EDITORIALE: Creare il “nemico Iran”?
Niente di nuovo sul fronte d’Eurasia. Il mese di maggio che ormai ci siamo lasciati alle spalle è stato
caratterizzato da una relativa situazione di stallo nel panorama continentale ed internazionale. A tenere banco in questi
giorni le solite minacce americane nei confronti dell’Iran e le ‘frecciate’ con cui il presidente iraniano Mahmud
Ahmadinejad replica a George Bush e Condoleezza Rice sulla questione nucleare.
L’Iran odierno si può anche permettere di guardare l’avversario dritto negli occhi conscio del fatto che
l’esercito statunitense, al momento impegnato nel distribuire a piene mani lutti e distruzione nel vicino Iraq, non ha al
momento risorse ed appoggi politici sufficienti per avventurarsi in una nuova campagna militare (o “missione
umanitaria”, secondo la denominazione tanto in voga a Washington). Gli Americani non sono rimasti comunque a
guardare, come testimoniano le notizie riguardanti un aereo spia senza pilota precipitato nel territorio iraniano.
Teheran chiede spiegazioni che l’amministrazione americana non può o non vuole fornire.
Intanto anche la campagna di demonizzazione (quella “a sfondo umanitario” usata in questi anni con più o
meno fortuna contro Miloševic, Lukašenko, Putin, Hussein, Chavez…) mossa da giornali e televisioni occidentaliste
contro l’Iran non si ferma: grazie a fantomatici (soprattutto ‘fantasiosi’) dissidenti iraniani (cioè gli iraniani “buoni,
bravi e belli”) che oggi vivono in Canada veniamo a sapere che il governo di Teheran avrebbe imposto agli Ebrei ed
alle altre minoranze religiose iraniane l’uso di speciali segni distintivi da applicare sui capi d’abbigliamento: davvero
facile a questo punto impostare la proporzione “Ahmadinejad : Hitler = Iran : Germania nazista”. I matematici di
Washington l’hanno davvero pensata bella, confidando nel fatto che su un tema così sentito tutti potessero condannare
moralmente Teheran senza nemmeno sentirsi in dovere di verificare l’esattezza di simili affermazioni. Insomma, siamo
tornati allo stesso livello di quando si accusavano i comunisti di mangiare i bambini? Parrebbe proprio così; forse un
tempo la gente riusciva a ridere di simili accuse contro gli strani gusti alimentari dei comunisti, mentre oggi l’opinione
pubblica che può studiare, leggere, ascoltare ed informarsi ci pare anche molto più propensa di allora a bere qualsiasi
nefandezza giornalistica. A rigettare le squallide ed infamanti accuse rivolte alla classe politica iraniana ci hanno
subito pensato i diretti interessati (perfino lo stesso Ministero degli Esteri iraniano), sottolineando la gravità di certe
parole in un periodo di forti tensioni internazionali.
Nella logica multipolare che anima il discorso eurasiatista osserviamo anche che, qualora l’Iran voglia davvero
dotarsi di armi nucleari, tale scelta sarebbe la logica conseguenza di un preciso discorso geopolitico volto a ristabilire
un equilibrio di forze tra lo stesso Iran ed i paesi vicini (India, Pakistan, Russia, Cina) i quali, guarda caso, possiedono
tutti armamenti nucleari. Simili armi le possiede pure l’esercito israeliano, che però nella commedia internazionale
deve recitare la parte del debole e del bisognoso di protezione dal ‘cattivo di turno’…
Noi invece cerchiamo di osservare la posizione storica dell’Iran e degli Stati Uniti e poniamo ai lettori alcuni
interrogativi:
1. Quale nazione si è fino ad ora servita dell’arma atomica nei conflitti pur sapendo perfettamente di colpire
principalmente la popolazione civile? Iran o Stati Uniti?
2. Quale nazione oltre alle ‘minacce’ politiche ha più volte fatto ricorso in questi anni ad interventi militari su
vasta scala in numerose regioni geografiche del mondo? Iran o Stati Uniti?
3. Quale nazione ha da sempre atteso un singolo “misterioso” attentato alle proprie strutture militari o civili
prima di espandere o dare inizio ad un conflitto su scala mondiale? Iran o Stati Uniti?
4. Quale nazione da decenni mantiene le proprie truppe stanziate in tutti i continenti e si serve di basi
logistiche e militari sparse in tutto il globo? Iran o Stati Uniti?
5. Quale nazione accusa i propri nemici di avere precise mire espansionistiche ma di fatto estende
progressivamente un controllo militare, politico ed economico al di fuori del proprio ambito geografico?
Iran o Stati Uniti?
Luca Bionda
! O P P O S T A D I R E Z I O N E " – Pubblicazione non periodica gratuita a cura del
Coordinamento Progetto Eurasia; per informazioni: http://www.oppostadirezione.altervista.org
“LISTA EURASIA” - lista di discussione eurasiatista; per iscriversi, inviare un messaggio a:
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Maggio 2006 - Anno 2, Numero 5
1
ARTICOLI
B om b e n u cl e ari
all a folli a
t a t t i c h e:
siamo
di Stephen M. Osborn
Le ultime notizie
che ho ricevuto dai
sostenitori
di
Bush
riferiscono
che
il
presidente ha chiesto e
ottenuto il permesso di
utilizzare le bombe nucleari sfonda - bunker (bunker
buster) in Iran per un Attacco preventivo. Da esperto
di attività nucleari (Operazione Redwing, Bikini,
1956), posso affermare che si tratta di follia allo stato
puro. Sfonda - bunker è, infatti, un nome simpatico
per un orrore nucleare.
Le esplosioni aeree, producendo un effetto
incredibilmente distruttivo attraverso il calore, l’urto e
l’enorme emissione iniziale di radiazioni, sono già
abbastanza devastanti. La ricaduta radioattiva
prodotta da un’esplosione aerea si manifesta in tutto
il mondo. Un’esplosione in superficie o nel
sottosuolo è ancora più micidiale e duratura.
L’esplosione seguita all’operazione Castle Bravo a Bikini, nel 1954, sprigionò una potenza di
quindici megaton. Provocò nell’atollo un cratere
largo oltre un chilometro e mezzo e profondo più di
dodici metri, cancellando completamente l’isola e
volatilizzando quasi quattro miliardi di metri cubici di
corallo, rocce e acqua, che lanciò nella stratosfera
sotto forma di una grande nuvola radioattiva.
La ricaduta radioattiva sugli atolli limitrofi fu
devastante per le popolazioni e per l’intero
ecosistema.
Tutto
quel
materiale
diviene
estremamente radioattivo e, appena si raffredda, si
condensa ricadendo in una pioggia di cenere, una
vera e propria “neve” radioattiva capace di
contaminare qualsiasi cosa tocchi. Gli effetti
vengono percepiti in tutto il mondo.
Lanciare le bombe sfonda-bunker di Bush
contro l’Iran, come del resto contro qualsiasi altro
paese, polverizzerà centinaia di migliaia di tonnellate
di terra, acqua, rocce, mandando questo cocktail
radioattivo, grazie all’azione del vento, a uccidere e
ammalare intere popolazioni. I primi a essere colpiti
moriranno presto, questione di ore, forse di giorni.
Per quelli, invece, che abitano più lontano, ci vorrà
un po’ più di tempo. L’incidenza globale di tumori e
malattie risorgerà sensibilmente. I territori limitrofi
rimarranno
contaminati
e
inutilizzabili
per
generazioni. Se ci fossero rifugi profondi, è stato
ipotizzato dai progettisti, le bombe sfonda-bunker
non penetrerebbero abbastanza in profondità da
poterli colpire. Immagino che inizierebbe la teoria di
attacco di lanciare una bomba dopo l’altra sempre
nello stesso buco. Immaginatevi l’intensità del
disastro radioattivo perpetrato nell’area colpita.
Di quelli che assisterono ai test nucleari, non
siamo rimasti in molti. Tuttavia, esiste un numero di
gruppi che monitorano gli effetti attraverso i tumori,
le malformazioni congenite, sia fisiche che psichiche,
e la contaminazione dell’ambiente. Ancora oggi
risentiamo dei risultati di quei test. Ho scambiato email con abitanti delle aree limitrofe e con i loro figli
che, a loro volta, hanno avuto bambini con
malformazioni congenite e che non hanno alcun
precedente nella storia delle loro famiglie; persone
che soffrono dei tumori tipici causati dall’esposizione
alle radiazioni nucleari.
Adesso ci troviamo faccia a faccia con lo
spettro dell’Uranio Impoverito (UI), le cui tracce
iniziano a comparire nei filtri atmosferici intorno al
pianeta. L’Uranio Impoverito è un sottoprodotto
dell’industria nucleare. È un materiale estremamente
denso con un basso livello di radioattività. La vita
media dell’UI è di 4,5 miliardi di anni. Le persone che
si trovano a lavorare a contatto con l’UI devono
indossare un equipaggiamento a protezione totale e
delle maschere apposite per poter respirare. L’UI
utilizzato per le munizioni è estremamente pesante e
denso. È in grado di penetrare una corazza come
fosse carta velina, polverizzando e bruciando,
lasciando polvere e particelle simili a piccoli
frammenti, che possono essere ingeriti o inalati. L’UI
non è esattamente quello che comunemente si
pensa di un materiale radioattivo. Esso emette
solamente radiazioni alfa e beta. Basta un solo
pezzetto di carta per fermarlo. Il problema è la sua
presenza nei polmoni o in qualche altra parte del
corpo umano: a contatto con i tessuti di un
organismo, si produce un bombardamento continuo
e costante per il resto della vita e oltre, seppur a un
basso livello di radiazioni. Radiazioni che, in ogni
caso, possono condurre al tumore, a seri danni
genetici e all’eventuale morte.
Laboratori indipendenti come quelli della
Johns Hopkins, hanno studiato questo argomento e
hanno espresso delle previsioni sul possibile danno
che l’UI potrebbe provocare. Il governo sostiene,
come fece con l’Agente Arancio , che “Non c’è
niente di vero, sono solo vostre supposizioni”. Nel
frattempo, la gente continua ad ammalarsi e a morire
e così avverrà per generazioni.
Chernobyl non fu un’esplosione nucleare. Fu
un incendio violento di combustibile nucleare difficile
da gestire. Si stima che Chernobyl, insieme una
vasta area circostante, rimarrà inabitabile per un
periodo che va dai tre ai seicento anni. La caduta di
materiali radioattivi provocata da Chernobyl
contaminò per lungo tempo alimenti e bestiame in
tutta l’Europa e in Scandinavia e, ancora oggi, è
possibile vedere le tracce di queste radiazioni nel
suolo e in alcuni esseri viventi. Io, come molte
migliaia di persone, abbiamo lavorato molti anni per
scongiurare una volta per tutte la minaccia nucleare.
Gli accordi erano redatti e ratificati. Con l’accordo
denominato Utilizzo pacifico dello spazio (The
Peaceful Uses of Space), veniva garantito che
nessuna nazione avrebbe usato lo spazio come
piattaforma per fare la guerra. Quell’accordo viene
ora deriso dalla dirigenza militare americana e
definito un accordo ingenuo. Siamo pronti a
prendere il controllo totale dello spazio intorno alla
terra, per fornire una posizione dall’alto contro
Maggio 2006 - Anno 2, Numero 5
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eventuali attacchi di qualsiasi tipo di “minaccia”
verso l’egemonia degli Stati Uniti. L’Accordo di non
proliferazione
del
nucleare
(Nuclear
NonProliferation Treaty), venne elaborato per evitare che
la tecnologia di armi nucleari si diffondesse in tutto il
mondo. Bush ha ristretto quell’accordo solo a quei
paesi che, prima o poi, potrebbero rappresentare
una minaccia per il dominio americano. I nostri
“amici” possono, invece, costruire quello che
vogliono. Addirittura con il nostro aiuto. Il Trattato per
la riduzione degli armamenti (Arms Reduction
Treaty) tra gli USA e l’URSS. Questo era un accordo
finalizzato alla distruzione delle armi nucleari e dei
sistemi di distribuzione su base reciproca, che
prevedeva degli osservatori da entrambi i paesi per
verificare l’effettivo completamento delle operazioni.
Bush e Putin decisero di modificare il trattato,
prevedendo un semplice magazzinaggio delle armi,
anziché la loro distruzione. Depositare le armi in un
magazzino significa dare libero accesso a oscuri
trafficanti che, corrompendo un servizio di
sorveglianza sottopagato, possono sottrarre armi e
materiali che saranno poi rivenduti al miglior
offerente.
I trattati non significano niente per questo
governo se, naturalmente, questi interferiscono con i
profitti o con il potere. Le Convenzioni di Ginevra
relative al trattamento dei prigionieri di guerra sono
ignorate, le convenzioni internazionali contro la
tortura sono ignorate, i principi dei primi dieci
emendamenti della nostra Costituzione del 1791, nei
quali è sancita la garanzia della privacy e della
libertà di espressione ai suoi cittadini, sono stati
cancellati da Bush e dai suoi favoriti, la Carta delle
Nazioni Unite è ignorata e messa in ridicolo. Il
Protocollo di Kyoto per il riscaldamento globale e
altre ricerche vengono ignorate dalla sua
amministrazione in quanto interferenti con profitti a
breve termine.
Tutte queste violazioni dell’umanità sono
offuscate, comunque, dalla possibilità che noi
abbiamo di utilizzare le armi nucleari. Gli effetti di un
simile utilizzo sancirà tanto la rovina del pianeta
quanto il surriscaldamento e l’inquinamento globale,
e tutto ciò potrà essere evitato molto semplicemente
non utilizzando le armi nucleari. L’unica cosa che noi
non possiamo aspettarci da Bush, almeno fino a
quando non lo fermeremo, vietandogli in assoluto
l’uso di armi nucleari. Ancora meglio sarebbe
impedirgli, insieme a chiunque non condivida le sue
scelte, di condurre le cosiddette “guerre preventive”.
Propongo alcuni collegamenti per chi desidera
leggere qualcosa di più su questo argomento.
Questa è la mia pagina sul sito Atomi
Veterans. Vi sono contenuti scritti sulle mie
esperienze nucleari, ma vale la pena dare uno
sguardo anche al resto del sito www.aracnet.com (in
lingua inglese). I Downwinders sono le persone che
sono state esposte alle radiazioni dei test nucleari
sia qui che nel Pacifico. www.downwinders.org (in
lingua inglese). Ci sono numerosi siti interessanti
relativi a Chernobyl, ma questi due aiutano davvero
ad aprire gli occhi: il sito http://library.thonkquest.org
(in lingua inglese) va a indagare le circostanze e gli
effetti che Chernobyl ha avuto sul mondo intero; Il
sito Kiddofspeed appartiene a una coraggiosa
signora, di nome Elena, che ha percorso in moto
Chernobyl e dintorni, fotografando ciò che ha
trovato: www.kiddofspeed.com (in lingua inglese).
Le discussioni sull’Uranio Impoverito si possono
trovare su molti siti, compresi i seguenti:
www.iacenter.org (in lingua inglese).
Un’eventuale ricerca sull’Uranio Impoverito
attraverso Google vi darà cinque milioni di pagine
circa, molte delle quali sono apologie del governo in
cui si sostiene che l’UI non è nocivo o, se lo è, solo
leggermente. www.cadu.org è il sito della
Commissione contro l’Uranio Impoverito e vale bene
una lettura. www.ccnr.org (in lingua inglese) è un
sito sull’UI e sulla sindrome del Golfo. Vi sono
indagati anche alcuni dei problemi riguardo alla
fabbricazione degli armamenti con Uranio Impoverito
per l’ecologia in prossimità degli stabilimenti.
Fatevi la vostra lettura sull’argomento, quindi
non stancatevi di insistere che l’uso delle armi
nucleari è inaccettabile sotto qualunque aspetto.
Da uno che ha visto negli occhi il drago
nucleare ed è sopravvissuto, posso solo dire che “Al
bando la bomba!” non è solo uno slogan, è una
necessità.
Fonte: Comedonchisciotte [05/04/2006]
Link:
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=vie
wArticle&code=OSB20060314&articleId=2093
14.03.06
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura
di FABRIZIO LENCIONI
Perché
nel
2006
a t t a c ch e r a nn o l 'I r an
gl i
USA
di Dave Eriqat
Sono state avanzate numerose ipotesi
sull'eventualità o meno che gli Stati Uniti possano
attaccare l'Iran. C'è chi è dell'opinione che gli Stati
Uniti lo faranno e chi invece ritiene che non lo
faranno.
Lasciando perdere i discorsi pubblici alquanto
spavaldi provenienti da entrambi i governi, io credo
che nel 2006 gli Stati Uniti attaccheranno l'Iran. Vi
spiego perché: Il piano principale degli Stati Uniti
prevede il controllo del petrolio nel Medioriente.
Soltanto due Paesi si sono opposti a questo piano:
l'Iraq e l'Iran. L'Iraq è stato neutralizzato e reso
impotente per i prossimi dieci anni a causa della
guerra civile. Adesso è rimasto solo l'Iran ad
ostacolare il piano principale degli Stati Uniti. Ma
prima di continuare il filo logico di questo discorso,
facciamo una breve digressione.
E' chiaro che l'Iraq rappresenti un disastro sia
dal punto di vista umanitario che militare. Ma l'Iraq
sta diventando anche un disastro politico per i
Repubblicani negli Stati Uniti, perché i Repubblicani
non solo rischiano di perdere il controllo del
Congresso, ma con il tasso di approvazione per il
presidente Bush sceso sotto terra [n.d.t. l'originale in
inglese è “in the toilet”], essi potrebbero anche
Maggio 2006 - Anno 2, Numero 5
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perdere la Casa Bianca. La lezione data dalla
messinscena dell'11/9 e dalla conseguente guerra in
Iraq è chiara: gli Statunitensi si raccolgono intorno al
presidente e al suo partito nei momenti di difficoltà.
Per questo presidente e per il suo partito che cosa
sarebbe conveniente più di un altro evento costruito
in stile 11/9, seguito da un'altra guerra di
rappresaglia, questa volta contro l'Iran?
Non credo che un altro simulato 11/9 sia
davvero necessario per far sì che il presidente
intraprenda un'altra guerra nel Medioriente. Proprio
quando stavo cominciando a credere che il calo
precipitoso del sostegno alla guerra in Iraq – sceso
fino a circa un terzo dell'opinione pubblica – fosse un
segnale del fatto che gli Statunitensi stavano
arrivando a capire la realtà dei fatti, recenti sondaggi
rivelano che più di metà degli Statunitensi sono a
favore di una nuova guerra contro l'Iran!
Come è possibile che siano a favore di una
nuova guerra se il loro appoggio per l'ultima sta
venendo meno? Sono rimasto perplesso dinanzi a
tanta incoerenza finché non ho capito che il calo di
sostegno alla guerra in Iraq non è un rifiuto alla
guerra in quanto tale, ma è espressione di un rifiuto
a una guerra in cui si perde. Gli statunitensi sono
assolutamente a favore delle guerre finché le
vincono. In ogni caso, sembra che ci sia un ampio
consenso
da
parte
dell'opinione
pubblica
statunitense per una nuova guerra contro l'Iran. Un
altro attacco simulato del tipo dell'11/9 non è
necessario, anche se si potrebbe comunque
verificare per favorire le ambizioni totalitaristiche del
governo.
Il ritiro delle truppe statunitensi dall'Iraq è fuori
questione. Un'azione simile equivarrebbe ad
un'ammissione
di
sconfitta
da
parte
di
quest'amministrazione, un'ammissione che non è
prossima a venire. Inoltre, gli Stati Uniti hanno
compiuto grandi sforzi e speso molte risorse per
andare in Iraq e costruirvi basi militari permanenti.
Semplicemente non se ne andranno per almeno
qualche decennio. La scelta di lasciare lo status quo
in Iraq è altrettanto difficile da difendere, man mano
che crescono di giorno in giorno le esortazioni a
ritirarsi, e quindi per questa amministrazione rimane
soltanto una via: l'escalation. Una nuova guerra
contro l'Iran distoglierà l'attenzione dall'Iraq e
consoliderà l'appoggio dell'opinione pubblica a
favore del presidente e del suo partito, come si
rivelerà dalla rinnovata passione per i fiocchi
magnetici rosso-bianchi-blu e gialli [n.d.t. simboli
dell'orgoglio patriottico].
Un'altra buona ragione per intraprendere una
guerra contro l'Iran consiste nel distogliere
l'attenzione dall'economia. E' ormai ovvio che la
bolla immobiliare statunitense si stia sgonfiando.
Potrebbe continuare a sgonfiarsi gradualmente o
potrebbe crescere con conseguenze spettacolari,
nessuno lo sa. Come andrà a finire dipende molto
dalla percezione della gente. Le persone sono
ancora molto ottimiste riguardo all'economia, quindi
forse è per questo motivo che la bolla immobiliare si
sta sgonfiando ancora lentamente.
Ma la situazione potrebbe cambiare. In ogni
caso, con la bolla immobiliare come forza trainante
del recente “consumer spending” [n.d.t. la spesa dei
consumatori], e con il “consumer spending” che
traina l'economia, non appena la bolla immobiliare si
sgonfierà, il “consumer spending” scenderà. Un
imminente declino del “consumer spending”, insieme
ad altri indicatori, come il convergere di bond yield
[n.d.t. rendimenti di obbligazioni] , fanno prevedere
una recessione verso la fine di quest'anno. Una
nuova guerra rappresenterebbe un efficace diversivo
dai problemi economici e permetterebbe al governo
di far entrare “liquidità” nell'economia. Il governo
degli Stati Uniti ha recentemente sospeso le
pubblicazioni dei dati della maggiore grandezza di
offerta di moneta, M3, forse per nascondere future
introduzioni di liquidità.
Torniamo a riflettere sul progetto principale
[n.d.t. degli Stati Uniti]. In molti hanno sottolineato
come l'attacco all'Iran non regga ad un'analisi che
prenda in considerazione il rapporto costi-benefici. Si
ritiene che l'attacco all'Iran indurrebbe l'Iran a
vendicarsi fomentando l'insurrezione in Iraq e
minacciando il trasporto di petrolio attraverso il Golfo
Persico. Chi lo afferma dà per scontato che gli Stati
Uniti non metteranno in pericolo la vita dei loro
soldati in Iraq né correranno il rischio di far salire il
prezzo del petrolio per imporre la propria volontà
politica sull'Iran e ritiene che persino questa
amministrazione non sarebbe tanto folle da farlo.
Ma chi pensa così si sbaglia. L'unico obiettivo
che gli Stati Uniti si prefiggono nel Medioriente è il
controllo del petrolio, costi quel che costi.
Esaminiamo quali sono gli eventuali costi. Gli Stati
Uniti metterebbero a rischio la vita dei loro soldati in
Iraq? Assolutamente sì. Basti pensare a Pearl
Harbor durante la Seconda Guerra Mondiale. E' fuor
di dubbio che il governo degli Stati Uniti sapesse che
i Giapponesi stavano per attaccarli e lasciò che ciò
avvenisse. Il governo degli Stati Uniti probabilmente
facilitò l'attacco lasciando libera da impedimenti una
traiettoria di volo per gli aggressori giapponesi.
Dunque sarebbero disposti a sacrificare
qualche migliaio di soldati in Iraq? Certamente. E
che cosa succederebbe se l'Iran riuscisse a
rallentare o fermare il flusso di petrolio attraverso il
Golfo Persico? Ancora una volta, questo fatto
potrebbe tornare a vantaggio degli Stati Uniti, come
vedremo. Nel frattempo, chi beneficerebbe da una
riduzione globale delle scorte di petrolio? Le
compagnie petrolifere. Negli ultimi anni si è visto che
quando il petrolio è salito di prezzo, i profitti delle
compagnie petrolifere sono saliti vorticosamente di
dieci miliardi di dollari l'anno per compagnia.
Abbiamo
anche
potuto
vedere
come
l'amministrazione Bush si sia voltata dall'altra parte
quando le compagnie energetiche hanno sfruttato
avidamente il nascente mercato dell'elettricità dopo
la “deregulation”, quindi sappiamo a chi vada il suo
appoggio.
Un altro argomento “razionale” contro la
possibilità di un attacco contro l'Iran è che gli Stati
Uniti in virtù delle proprie limitate truppe, possano in
pratica attaccare l'Iran solo per via aerea, il che non
risulterebbe molto efficace se limitato ai bersagli
“militari”. E' vero, ma il punto è che l'iniziale attacco
aereo sarebbe solitamente il primo passo di quella
che gli Stati Uniti probabilmente sperano diventi una
guerra più ampia. Perché? Perché l'unico modo che
Maggio 2006 - Anno 2, Numero 5
4
gli Stati Uniti hanno per riuscire a neutralizzare con
successo l'Iran è sganciare un paio di bombe
nucleari sulla popolazione civile, costringendo l'Iran
alla resa incondizionata.
Persino gli Stati Uniti non oseranno
interrompere in modo unilaterale sessant'anni di tabù
nucleare e sganciare una bomba nucleare sopra una
città iraniana. Ma probabilmente riusciranno a farla
franca usando le cosiddette bombe tattiche nucleari
“bunker buster” contro bersagli apparentemente
militari. Naturalmente il mondo intero si indignerà
dinanzi a un simile atto, ma dopo qualche mese di
capovolgimento dei fatti attraverso i media,
probabilmente gli Stati Uniti placheranno il disprezzo
nei loro confronti.
Nel frattempo, l'Iran fomenterà l'insurrezione
Shiita in Iraq, facendo così aumentare il numero di
vittime tra i soldati statunitensi. L'Iran magari
affonderà anche qualche nave militare statunitense e
qualche petroliera nel Golfo Persico , riuscendo
davvero a rallentare o fermare il flusso di petrolio
attraverso il golfo. Ovviamente gli Stati Uniti faranno
passare questa vendetta iraniana come una
sconsiderata e fanatica escalation di guerra. La
popolazione statunitense, adirata nel vedere i propri
soldati uccisi e le proprie navi militari affondate, si
raccoglierà attorno al proprio presidente con ancora
maggior fervore. Il governo degli Stati Uniti indicherà
i crescenti problemi economici del mondo causati
dall'insufficienza di petrolio come prova della
necessità di fermare l'Iran, costi quel che costi. I
Paesi industrializzati del mondo che dipendono dal
petrolio rinunceranno ufficialmente a intraprendere
un'azione più dura contro l'Iran, mentre in privato
coltiveranno la speranza di vedere gli Stati Uniti far
di tutto per riattivare il flusso di petrolio.
Allora, senza preavviso, gli Stati Uniti
lanceranno un paio di bombe nucleari sopra un paio
di città iraniane di medie dimensioni, proprio come
fecero in Giappone sessant'anni fa. E useranno le
stesse giustificazioni di un tempo: velocizzare la fine
della guerra. Ovviamente il mondo sarà indignato,
ma tale reazione passerà in sordina, dato che gli
Stati Uniti avranno già infranto il tabù del nucleare
usando le bombe “bunker buster,” e inoltre, che cosa
potrà farci il mondo? L'Iran si arrenderà, e gli Stati
Uniti assumeranno il pieno controllo del Medioriente
e di due delle sue più importanti fonti di petrolio:
l'Iraq e l'Iran .
Gli Stati Uniti potranno allora ritirare le loro
truppe in Iraq nelle nuove basi militari grandi come
intere città e aspettare tranquillamente la fine della
guerra civile, tenendo sotto controllo da vicino il
petrolio. Gli Stati Uniti saranno una nazione paria,
ma che importa? Controlleranno la maggior parte
delle risorse petrolifere mondiali.
FONTE: www.pravda.ru (giugno 2006)
R el az io ni eur o pee
di Antonio Cantarella
“Come
felici
sposini sono attirati da
divorziati tormentati” La creazione di un nuovo
stato in seno alla ex
Jugoslavia richiede nuove
riflessioni. No, non le
solite stupidaggini sentite in questi giorni legate al
riconoscimento dell’indipendenza con tanto di
congratulazioni e auguri per il nuovo roseo avvenire
della repubblica. Ancora più eccentriche sono state
le note di biasimo riguardo una Serbia con cui
“nessuno vuole avere a che fare”: il Montenegro
racchiude una storia di autonomia e indipendenza
più longeva delle altre ex - repubbliche federate, in
più la richiesta realizzatasi con questo referendum
non è certo una novità dell’ultima ora: semmai è una
conclusione del decennio scorso che si è portata
avanti per verificare se la Jugoslavia poteva ancora
sopravvivere sulle basi di due soli Stati; ma a questa
soluzione nessuno ha mai creduto fino in fondo.
Le preoccupazioni risiedono in ben altri
campi: tanto per cominciare le percentuali del
referendum adombrano la realtà dei valori assoluti,
che un certo calcolo mostra nella loro crudezza (il
nostro giornale esce sempre in ritardo perché riflette
piuttosto che riportare le notizie).
Per la validità del referendum occorreva che
almeno il 55 % dei votanti si mostrasse favorevole:
la stampa ha espresso lo “schiacciante consenso”
con due diverse cifre: 56,3 5 e 55,5 % che, su una
popolazione votante di 485.000 persone, significa
poco più di 6000 persone in un caso e meno di 2500
nell’altro; questa cifra va modificata perché la
massiccia affluenza alle urne non è stata del 100%
bensì dell’86,3.
Fa niente, non sarà per questo che la storia
fermerà il proprio cammino, tantomeno i popoli che
la costruiscono quotidianamente: riconosciuta la
validità dell’operazione e avendo resi felici i
frontalieri che già dispongono con zelo del loro
potere di tenerci fermi per sapere chi siamo e cosa
vogliamo, occorrerà che il Montenegro ricominci da
due. Richiedente e controparte sono più simili di
quanto si immagini e questo non significa affatto che
il divorzio sia in questo caso più grave dei
precedenti; chi ha mai detto che professare la stessa
religione debba necessariamente rimandare a
un’unità politica? Mi sembra piuttosto una
giustificazione delle alleanze occidentali per le
neocrociate contro il terrorismo islamico, definizioni
completamente avulse dalla territorialità balcanica e
dai loro parametri multiculturali.
Non credo che il Montenegro applicherà un
regime di apartheid nei confronti dei serbi come
avvenne nella Croazia di Tudjman, anche se non è
prevedibile il tipo di reazioni che si presenteranno
prossimamente. Ciò che mi incuriosisce è altro.
La Serbia e il Montenegro restano
praticamente gli unici testimoni della multietnicità
dell’Europa, rappresentazione stessa dell’ipotetica
ma auspicabile Unione Europea che va costruendosi
Maggio 2006 - Anno 2, Numero 5
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a tavolino; casualmente sono anche gli Stati che
probabilmente entreranno per ultimi in detta Unione.
La loro stessa natura culturale e politica mostra
come si stia andando verso operazioni di chiusura e
nazionalismo retti da un’unica impalcatura che
necessariamente tenderà a globalizzare le correnti
economiche giuridiche culturali e sociali e quindi a
scremare le diversità
che sono il vanto e la
ricchezza del continente.
Vediamo l’UE, appunto, festeggiare la
comparsa di un nuovo Sovrano entro il territorio, così
è sempre più facile maneggiare le politiche nazionali
a vantaggio dell’ideale universale e giusto che ha
mosso nobili animi a sacrificare parte della loro
sovranità per il bene comune.
Molti non mancano di ridere sulla condizione
serba di indipendenti senza volerlo o senza
meritarlo, a nessuno viene in mente che non è
questa una strada che potrà avvantaggiare a lungo
andare alcunché.
Temo che il processo continuerà in una
torbida spirale che trascinerà i popoli dell’area: le
affermazioni del leader dell’Alleanza sociale
democratica della Vojvodina fanno riflettere: come
ho detto diverse volte la sostanziale differenza fra
repubbliche e province autonome nella exJugoslavia era proprio la richiesta di indipendenza,
ma ormai chi ha in mano il futuro dell’area non è
interessato a far rispettare alcuna legge che si
dimostri incurante del tornaconto che può avere
dalla manipolazione degli eventi, anzi attende
incoraggiando ulteriori frammentazioni del piatto,
così da fagocitare quanto resta in un sol boccone.
Un’altra preoccupazione è data dalla
presenza sempre più forte di votazioni che
rispecchiano una netta divisione nella popolazione: il
fenomeno del 50 e 50 ha avuto recenti prove anche
nel nostro Paese: recenti dichiarazioni parlano di
governare per tutti e non più per i soli elettori:
neodemagogia o necessità vista anche dagli ultimi
baluardi dei vecchi giochi politici di rinnovare le
procedure e le strutture in vista di cambiamenti
sostanziali nella segmentazione sociale e nella
storia? È chiaro che sarebbe preferibile la seconda
ipotesi, come è sequenziale che non accettare
questa ottica sarà nocivo per le stesse strutture che
tendono all’immobilità.
U r ani o e si ndr om e dei Balcani
di Massimo Fini
Cento cinquantotto militari italiani che hanno
operato in Bosnia e in Kosovo si sono ammalati di
tumore (alla tiroide, ai testicoli, linfoma di Hodgkin) e
di questi ventotto sono morti. È quanto risulta dalla
relazione annuale che il ministero della Difesa
trasmette al Parlamento. È la cosiddetta ‘sindrome
dei Balcani’ che va attribuita all’uso a tappeto che gli
americano hanno fatto, in quelle zone, del ‘depleted
uranium’, vale a dire dell’uranio impoverito’ (secondo
la stessa ammissione del Pentagono proiettili di
questo tipo, che hanno la capacità di forare come
fossero di burro i blindati, sono stati usati in Bosnia e
in Kosovo). Dalla ‘sindrome dei Balcani’ sono stati
colpiti ovviamente, oltre che i militari italiani, anche
quelli di altri contingenti, soprattutto americani che
erano presenti sul terreno con forze massicce.
Il Pentagono ha sempre negato che i tumori
da cui sono stati colpiti i militari che hanno operato
nei Balcani dipendano da contatti diretti con ‘l’uranio
impoverito’, ma li ha attribuiti al ‘battle fatigue’, allo
stress da battaglia, al fatto di essere un ambiente
estraneo e ostile. Spiegazione risibile perché nelle
guerre dove (...) l’uso dell’uranio impoverito non era
ancora conosciuto, come quella del Vietnam, i
soldati venivano colpiti da malattie nervose,
depressione e nevrosi, ma non da tumori.
Questa versione del Pentagono era stata
avallata anche, in un primo tempo, dalla
Commissione d’inchiesta istituita dal nostro Ministero
della Difesa (che vi era stato costretto dalle richieste
di risarcimento avanzate dai militari ammalati o dai
famigliari di quelli deceduti), presieduta dal professor
Mandelli che arrivò a concludere che il numero dei
casi di tumore fra questi militari rientrava nella media
nazionale. Tesi ancora più risibile e, se posso dirlo,
vergognosa, perché la media nazionale riguarda
l’intera popolazione, e quindi anche gli uomini maturi
e gli anziani fra cui il tumore miete il maggior numero
di vittime, non ragazzi ventenni e trentenni, nel pieno
della loro giovinezza, forti e sani per definizione,
sottoposti preventivamente a severi controlli medici.
Tanto che una successiva commissione d’inchiesta,
presieduta
da
Falco
Accame,
di
fronte
all’impressionante allungarsi della lista dei decessi,
ha dovuto fare qualche ammissione, sia pur con la
formula tartufesca, che avrebbe fatto arrossire
Ponzio Pilato, che “non si può affermare con
certezza assoluta che i tumori di cui sono ammalati i
soldati siano dovuti a contatti diretti con l’uranio
impoverito, ma non lo si può neanche escludere”.
Che l’Uranio impoverito sia all’origine di queste
patologie è invece certo, perché tali patologie si
sono manifestate solo quando sono stati usati questi
proiettili, come nella prima guerra del Golfo nel 1990
o nel cosiddetto intervento di ‘peace keeping’ in
Somalia, nel 1993,e non in altre occasioni in cui pur i
militari erano sottoposti allo stress del ‘battle fatigue’
(come risulta da studi degli americani che, per primi,
si sono occupati di questa faccenda). Ma la
questione che pongo qui è anche, se non
soprattutto, un’altra. Se nelle zone contaminate
dell’uranio impoverito si sono ammalati tanti militari,
che pur usavano tutta una serie di precauzioni per
non venire a contatto diretto con l’uranio impoverito
e che si sono fermati pochi mesi nelle regioni
contaminate quante sono le vittime di tumori in
Bosnia e in Kosovo, fra i civili che di nulla erano stati
avvertiti e in particolare fra i bambini che sono soliti
toccare tutto che in quelle aree ci vivono
stabilmente? E quante sono le vittime civili in
Afghanistan che gli americani hanno letteralmente
spianato a suon di bombe, disseminando il terreno
non di proiettili all’uranio impoverito, ma di tonnellate
e tonnellate di questo micidiale materiale? Che è
un’arma chimica e, come tale, vietata dalla
Convenzione di Ginevra. Ecco un bell’argomento per
Maggio 2006 - Anno 2, Numero 5
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il Tribunale internazionale dell’Aja che giudica sui
‘crimini di guerra’, ora che Slobodan Milosevic, che
armi chimiche non le ha mai usate, si è sottratto,
morendo al momento opportuno, al suo giudizio. Ma,
naturalmente, è un ‘wishfull thinking’. I Tribunali dei
vincitori non giudicheranno se stessi.
Neanche Blondet doveva parlare?
di Stefano Vernole
Alcuni forse ricorderanno il mio articolo di
qualche mese fa, “Uranio impoverito vietato
Parlare”(1), a proposito delle vicissitudini di un
incontro tenutosi a Modena il 18 febbraio 2006 con
l’on. Falco Accame.
Sabato scorso, 27 maggio 2006, si è avuto il
bis o forse il tris, se consideriamo i problemi avuti in
un ‘iniziativa ancora precedente (ottobre 2005),
durante la quale la conferenza dello studioso John
Kleeves (“L’Italia è una nazione sovrana”?) era stata
disturbata da un allarme partito improvvisamente
all’interno della scuola “Venturi”, che ospita la sala
all’interno della quale si teneva l’incontro.
Questa volta era in programma non solo la
proiezione di un video che mostra le contraddizioni
della versione statunitense sugli attentati dell’11
settembre 2001, ma anche un dibattito con
protagonista il giornalista e scrittore Maurizio
Blondet, noto per le sue tesi controcorrente e autore
di una cospicua pubblicistica sulle lobbies
nordamericane.
Nonostante al mattino l’Associazione culturale
“Pensieri in Azione”, aderente al Coordinamento
Progetto Eurasia, avesse regolarmente ritirato le
chiavi di Sala delle Dame (luogo dell’iniziativa il cui
affitto era stato già pagato da alcuni giorni), alle
16.30, ora d’inizio dell’incontro, si è rivelato
impossibile accedervi in quanto chiusa dall’interno
con una sbarra.
Nel frattempo, Via dei Servi, dove si trova
l’Istituto “Venturi”, si era riempita di persone che
volevano assistere alla conferenza, al punto che si
conteranno più di 100 potenziali partecipanti.
Dopo aver fatto giungere la Polizia Municipale
che confermava l’impossibilità dell’accesso alla sala
e visto che i responsabili della scuola o del comune
non erano rintracciabili telefonicamente, gli
organizzatori decidevano di convogliare gli
interessati verso la sede di una piccola associazione
culturale modenese, che gentilmente acconsentiva
di prestarle i locali.
Ovviamente, data la sua ridotta capienza,
alcuni dei partecipanti decidevano di tornarsene a
casa, tra di essi due consiglieri comunali che hanno
promesso interrogazioni in proposito.
Gli inconvenienti non finivano qui, in quanto lo
spazio ristretto non consentiva né la proiezione del
video né la presentazione del nuovo numero della
Rivista di Studi Geopolitici “Eurasia”, dedicato
all’India.
In una saletta stipata fino all’inverosimile, il
pazientissimo dr. Maurizio Blondet ha comunque
tenuto la sua relazione, il cui titolo – concordato con
l’Associazione
–
era:
“La
strategia
dei
neoconservatori statunitensi, l’alternativa multipolare
di Russia, Cina e India, l’assenza dell’Europa”.
Il giornalista milanese ha perciò parlato per
quasi due ore delle difficoltà belliche degli Stati Uniti
in Iraq e Afghanistan, del colpo di stato attuato a
Washington
dopo
l’11
settembre
2001,
dell’importanza
dell’Organizzazione
per
la
Cooperazione di Shangai quale alternativa
all’unilateralismo atlantista, dell’influenza delle
lobbies sioniste sull’Amministrazione Bush, degli
accordi economici russo - tedeschi e tanto altro.
In questi giorni dopo le decise proteste
dell’Associazione culturale “Pensieri in Azione” sono
giunte le scuse ufficiali di Istituto e Comune, che
hanno scaricato le responsabilità dell’accaduto su un
operatore della scuola che avrebbe inavvertitamente
chiuso la sala dall’interno prima di andarsene.
Nel frattempo due articoli della stampa locale
sottolineavano l’incredibile accaduto, mentre gli
organizzatori decidevano di incaricare i propri legali
affinché venisse fatta una stima dei danni subiti: in
tempi di “pensiero unico” non è accettabile che
venga chiusa la bocca ai pochi che agiscono
controcorrente.
NOTE: 1) Articolo su www.terradegliavi.org
C am bi o d el l a g u a r di a al v e r t i ce d i
‘ R o di n a ’
di Daniele Scalea
Il partito Rodina (in
russo, "Patria") nacque
pochi anni fa, come risultato
della
federazione
d'innumerevoli partitini ed
associazioni
della
Federazione Russa, di tendenza patriottica e
populista. Generalmente, si riconducono le origini
del Rodina ad una manovra condotta nell'ombra dal
Cremlino: lo scopo era quello di "drenare" una gran
quantità di voti dal Partito Comunista della
Federazione Russa (PKFR), portandoli alla
coalizione sostenitrice di Vladimir Putin, di cui il
blocco patriottico faceva inizialmente parte. Tuttavia,
il piano ebbe successo solo in una prima fase, quella
in cui Rodina seppe immediatamente affermarsi
come importante forza politica (con consensi
oscillanti poco sotto il 10%), provocando una
contemporanea emorragia di voti nel PKFR,
tradizionale primo avversario dell'attuale classe
dirigente russa. In poco tempo, però, il blocco
politico mostrò di possedere una propria anima, e di
fronte ad alcuni provvedimenti putiniani considerati
poco patriottici (l'irresolutezza, forse solo apparente,
con cui sta affrontando l'aggressione occidentalista)
Maggio 2006 - Anno 2, Numero 5
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o poco popolari (la riforma del sistema dei benefit
agli ex combattenti, ed ai pensionati in genere),
Rodina ha abbandonato Russia Unita per schierarsi
col PKFR, al fianco del quale si prepara ad
affrontare le elezioni parlamentari che si terranno nel
2007. La nuova alleanza non è stata semplice: i
comunisti continuano a vedere in Rodina una
creatura del Cremlino, per quanto "ribelle". Non di
meno, il panorama politico russo sta radicalizzando
e cristallizzando le sue posizioni: da un lato i
neoliberali (Unione delle Forze di Destra, Yabloko,
Comitato 2008, ecc.), ostili a Putin ma da una
prospettiva completamente diversa rispetto ai
patrioti; al centro l'alleanza informale tra Russia
Unita e Partito Liberal-Democratico di Žirinovskij,
che sostengono la politica moderata dell'attuale
Presidente. Gioco forza, il PKFR, nell'impossibilità di
collaborare con i neoliberali se non per azioni
contingenti e tattiche (vedi esposto al Consiglio
d'Europa), e di schierarsi con Putin se non
occasionalmente e su questioni ben precise (vedi
difesa della Russia dall'imperialismo), è stato spinto
"a sinistra" in questa strana alleanza col Rodina, che
non ostante tutto potrebbe reggere fino al 2007.
Il
blocco
patriottico
stesso
non è immune da
evoluzioni
e
contrasti
interni,
particolarmente
acuti e significativi
in questo momento.
La dirigenza del
partito, con Dmitri
Rogozin alla sua
testa (foto a lato),
mentre ha spinto il
Rodina verso il
PKFR, d'altro canto
ha
coltivato
tendenze sempre più xenofobe e nazionaliste
(decisamente lesive e controproducenti in un paese,
come la Federazione Russa, multietnico e perciò
minacciato di disgregazione). Il culmine di questa
deriva s'è avuta il 4 dicembre, con le elezioni
regionali in molti distretti della Federazione. Il Rodina
ha realizzato, per la campagna elettorale moscovita,
uno spot televisivo di dubbio gusto: tre caucasici
stereotipati tossiscono brandelli di cibo ai piedi d'una
donna di chiara etnia slava che spinge un
passeggino, mentre una voce fuori campo esorta i
cittadini a "ripulire Mosca dall'immondizia".
Ciò ha provocato un ricorso presentato dai
liberal-democratici (che, a dispetto del nome, sono
piuttosto nazionalisti, e dunque temono la
concorrenza del Rodina), che ha portato
all'esclusione del blocco patriottico dalle elezioni a
Mosca e da quelle tenutesi in marzo in altre sette
regioni: in definitiva, Rodina s'è potuta presentare
solo nella Repubblica siberiana dell'Altaj, dove tra
l'altro ha confermato le sue enormi potenzialità
giungendo seconda, alle spalle della sola Russia
Unita.
L'episodio ha lacerato fortemente il blocco
stesso. Dmitri Rogozin è stato costretto alle
dimissioni, tanto dai suoi sostenitori (per "proteggerlo
dalle critiche"), tanto dai suoi oppositori interni (che
denunciano la "deriva xenofoba e fascista" della
coalizione). Ad essere eletto suo sostituto, nel
congresso del partito tenutosi il 25 marzo, è stato
Aleksandr Babakov, ex uomo d'affari e principale
finanziatore del partito, sostenuto anche da Rogozin,
il quale infatti ne aveva appoggiato la candidatura
definendolo il suo "migliore amico". Tuttavia, i
malumori non si sono ancora placati. Un altro alto
dirigente del partito, Nikolaj Novičkov, ha avversato
assiduamente Rogozin ed ora sta cercando di far
fuori dalle alte sfere anche Aleksandr Čuev e Andrej
Savelev, accusati d'aver portato Rodina alla
"xenofobia e all'intolleranza nazionale". D'accordo
con lui sono i capi dei quattro movimenti
socialdemocratici federati in Rodina, vale a dire
Vladimir Kišenin (Partito Social-Democratico Russo),
Oleg Evdokimov (Associazione Social-Democratica
Russa), Aleksandr Gorbunov (Centro SocialDemocratico Russo) e Oleg Venevitin (Unione della
Gioventù
Social-Democratica).
Certo
questo
scossone al vertice, e le diatribe interne al partito, a
un anno di distanza dalle elezioni parlamentari del
2007 (e a due da quelle presidenziali del 2008)
potrebbe cambiare molte carte in tavola: è da
vedersi se Babakov seguirà la strada imboccata da
Rogozin, o se verrà incontro ai desideri della fazione
socialdemocratica, e ancora se si manterrà, come il
suo predecessore, ostile al Cremlino (Rogozin vuole
ora dedicarsi alla promozione di manifestazioni
popolari contro Putin), oppure se ricondurrà Rodina
"all'ovile". Una cosa è certa: come deputato alla
Duma, presidente del partito e suo principale
finanziatore, a Babakov non mancherà l'autonomia
decisionale.
Maggio 2006 - Anno 2, Numero 5
Fonte: "Rinascita", 29 marzo 2006
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NOTIZIE DAL MOVIMENTO INTERNAZIONALE EURASIATISTA
L’Eurasia contro la NATO!
di Luca Bionda
La Gioventù Eurasiatica (E.S.M.), sezione giovanile del più noto Movimento Eurasiatista Internazionale
capitanato da Aleksandr Dugin, ha indetto per il giorno 28 Maggio un’azione congiunta di protesta contro la NATO
e le sue linee politiche internazionali.
La manifestazione è stata coordinata in
modo tale che contemporaneamente vi fossero
picchetti di protesta nelle principali città della
Russia e dell’Ucraina. Tale aspetto ha richiesto il
coinvolgimento di moltissimi simpatizzanti e
militanti di ESM.
Per la prima volta dalla sua fondazione la
Gioventù
Eurasiatica,
attraverso
un’azione
coordinata, riesce nell’intento di mettere in campo
un notevole dispiegamento di attivisti dall’Ucraina
alla Siberia.
In Ucraina le città maggiormente coinvolte
sono state Kiev, Donetsk, Nikolayev, Kherson (foto
a lato) e Kharkov, dove l’occasione ha inoltre
permesso agli eurasiatisti di partecipare alle
manifestazioni popolari per protestare contro le
manovre militari della NATO condotte in
Nikolayevskaja Oblast’ (Regione di Nikolayev). Contro la suddetta esercitazione militare in territorio ucraino si
scaglierà peraltro anche Natalija Vitrenko (la mente del blocco politico filosocialista “Narodnaja Oppozicija” –
Opposizione Popolare) in un comunicato stampa datato 2 Giugno.
Maggiori sono stati invece gli obiettivi dei manifestanti nella Federazione Russa, che nello specifico hanno
riguardato soprattutto le città di Mosca, Kazan’, Saratov, Moršansk (foto in basso: ESM è stata la prima
organizzazione giovanile a portare la politica nelle strade di questa cittadina situata nella regione di Tambov),
Ekaterinburg, Makeev, Rostov Na Donu, Pskov e Perm’.
I manifestanti, rispettando le linee guida delle proprie azioni dimostrative pacifiche, hanno sventolato le
bandiere del Movimento Eurasiatista e di ESM, mostrando i medesimi manifesti anti-NATO in tutte le città
coinvolte: “NATO - assassino di Slavi”, “Morte alla NATO”, “No all’occupazione americana”, “Gloria alla Russia Russi alzatevi!”, “la Russia contro la NATO”, “No all’egemonia americana”, “la NATO è morte”, “la NATO è
colpevole per tutto”.
Alla protesta si sono affiancati saltuariamente anche alcuni militanti nazional-bolscevichi (la corrente
opposta ad Eduard Limonov), mentre in Ucraina l’appoggio maggiore è stato dato dal movimento Bratstvo
(Fratellanza).
Particolare soddisfazione è stata espressa non
solo dai partecipanti a Mosca e Kiev, ma soprattutto
dagli attivisti che hanno manifestato nelle città
“minori”: In tal sede si segnalano soprattutto i
commenti entusiastici del coordinatore ESM per la
regione di Tambov, Sergej Kirjušatov1: “Molti passanti
si sono uniti a noi, scandendo assieme a noi i nostri
slogan. Altri si sono avvicinati salutandoci ed
abbracciandoci, chiedendoci di proseguire il cammino
con lo stesso spirito. Alcune guardie di frontiera
presenti per la loro parata si sono avvicinati
chiedendoci le nostre bandiere affinché potessero
portarle per la città, cosa che noi abbiamo fatto molto
volentieri. Abbiamo infine distribuito i nostri giornali a
tutte le persone interessate e siamo stati intervistati
dalla testata giornalistica locale ‘Soglasie’ ”.
1
Sergej Kirjušatov: “Flagi ESM razvevajutsja nad Moršanskom” - www.rossia3.ru – (04/06/2006)
Maggio 2006 – Anno 2, Numero 5
9
È uscito il 6° numero di “EURASIA, rivista di studi geopolitici” (n.3/2006).
Il ‘dossario principale’ è dedicato all’INDIA ed ai suoi caratteri storici, culturali e geopolitici.
EURASIA è reperibile presso le seguenti librerie (elenco in ordine alfabetico, per provincia):
# Libreria Pendragon, Via Saffi 15/2a – Bologna
# Libreria Ibis, Via Castiglione 31 – Bologna
# Modo Infoshop, Via Mascarella 24/b – Bologna
# Libreria di Palazzo Monsignani, Via Emilia 71 – Imola (BO)
# La Feltrinelli, Via Garibaldi 30/A, 44100 Ferrara
# Libreria Bottega del Fantastico, Via Plinio 32, Milano
# L'Isola del Sole, Via Pollaiuolo 5, Milano
# Libreria Claudiana, Via Francesco Sforza 12/A, Milano
# Centro Librario - Via Saragozza 112 - Modena
# Libreria Città Futura - Via Bonacini 137 - Modena
# Libreria La Fenice - Via Mazzini, 15 - Carpi (Modena)
# Libreria Controcorrente - Via C. De Cesare, 11 – Napoli NOVITA’
# Libreria Draghi, Via Santa Lucia 11 – Padova
# Libreria Palatina Editrice, Borgo G.Tommasini 9/A, Parma NOVITA’
# Libreria Morini, Via P.Cocconi 3/F, Parma NOVITA’
# La Feltrinelli, Via della Repubblica 2, Parma
# Libreria Fogola – Corso Italia, 82 – Pisa NOVITA’
# Libreria del Centro Studi Italia - Via Guido da Castello 3 - Reggio Emilia
# Libreria Europa, Via Tunisi 3/A - Roma
# Libreria Koiné - Via Satrico 1/D - Roma
# Libreria Ar – Largo Dogana Regia – Salerno
# Libreria Alterocca - Corso Cornelio Tacito 29 – Terni
# Libreria Comunardi - Via Bogino 2 - Torino
# Associazione Culturale “Terra Insubre” - Via Frasconi, 4 – Varese
# Libreria Gheduzzi – Giubbe rosse (Libreria Porta Borsari srl) – C.so S. Anastasia, 7 – Verona NOVITA’
#
#
È anche possibile ordinarlo direttamente presso l'editore (in contrassegno o previo versamento di euro 18,00):
Edizioni all'Insegna del Veltro, Viale Osacca 13 - 43100 Parma. - C.C.P. n.14759476
Per tutte le informazioni visitate il sito: http://www.eurasia-rivista.org
IN MEMORIAM
Aleksandr Zinov’ev (1922 - 2006)
In questo mese di maggio ricordiamo Aleksandr Zinov’ev, figura centrale della filosofia e della letteratura del
Novecento russo, spentosi all’età di 83 anni. Tra i “meriti” indiscussi di Zinov’ev il
coraggio di criticare con uguale durezza quegli aspetti negativi dell’esperienza
sovietica (per la quale fu costretto all’esilio in Germania) e soprattutto negli ultimi anni
la linea liberista tracciata dalla Perestrojka di Gorbaciov (per la quale coniò il termine
“katastrojka”). Fu tra l’altro critico di Eltsin, degli USA e dell'influenza occidentale sulla
Russia. Fu invece ammiratore di Slobodan Milosevic ed appoggiò attivamente la
campagna presidenziale di Gennadij Zjuganov (KPFR).
Ecco alcune note biografiche tratte dalla rete (www.russianecho.net):
“Aleksandr Zinov’ev nasce a Pachtino (Kostroma), un villaggio della russia europea.
Completati gli studi, diviene docente di logica matematica presso l'Università di
Mosca. E' autore di numerosi lavori in materia ma si fa conoscere più che altro per
alcuni scritti di satira e di critica al sistema comunista. Nel '76 appare, prima in
edizione russa poi francese, una sorta di autopsia satirica e clinica del totalitarismo nel
suo funzionamento quotidiano: si tratta del romanzo “Cime abissali” in conseguenza
del quale viene sollevato da tutte le funzioni, privato dei diplomi, escluso dal partito comunista dell’Urss e -nel
1978- espulso dal paese (dove verrà riammesso solo nel 1990). Trasferitosi a Monaco di Baviera, dottore in
filosofia, diviene professore membro dell’accademia finlandese delle scienze e per la sua attività scientifica viene
Maggio 2006 – Anno 2, Numero 5
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unanimemente considerato tra i grandi logici contemporanei. Scrive libri di logica, di filosofia, di linguistica;
particolarmente importanti risultano i suoi lavori di analisi delle manifestazioni culturali in nesso con il linguaggio.
Nella sua variegata produzione spiccano anche romanzi, saggi, poesie, disegni e dipinti, anche se la notorietà
presso il largo pubblico rimane legata all'opera letteraria. Dedica una particolare attenzione ai temi
dell'oppressione burocratica realizzatasi nella Russia sovietica e dell'utopia intorno alla costruzione dell'“uomo
nuovo”. La sua voce, autonoma e sempre personale anche rispetto a quella di altri dissidenti, mette al centro
l'uomo: riconosce profondamente la tragedia avvenuta nel corso della storia, scagliandosi nel merito analitico
contro le semplificazioni, i superficialismi e le facili illusioni.
Tra le pubblicazioni più recenti apparse in Italia ricordiamo “Appunti di un guardiano notturno”, “La casa
gialla”, “La caduta dell’Impero del male”; ed ancora “L'umanaio globale”, visione apocalittica del mondo nel XXI
secolo”.
CONFERENZE, DIBATTITI, INCONTRI…
Globalizzazione a Trento
di Augusto Marsigliante
Si è tenuta stamani a Trento, in una sala gremita all’inverosimile, nell’ambito del “Festival dell’economia”,
una tavola rotonda sul tema della globalizzazione. Tra i relatori, Danilo Zolo, che ha confermato ancora una volta
la vicinanza del suo pensiero rispetto alle posizioni eurasiatiste.
Ad aprire il dibattito due apologeti della globalizzazione, un docente della Bocconi ed un giornalista del New
York Times i quali hanno sottolineato gli aspetti positivi, a loro dire, dell’unipolarismo a stelle e strisce, ossia un
aumento della ricchezza prodotta, a fronte tuttavia di una distribuzione ineguale della stessa.
Una questione che potrebbe essere risolta, secondo i due relatori, affrontando l’evidente “deficit di
democrazia” che caratterizza organismi come Fondo Monetario, Banca Mondiale, ecc.., in modo da poter dare più
risonanza alla voce dei paesi più svantaggiati. Una soluzione che sappiamo benissimo essere del tutto inefficace,
essendo gli organi suddetti proprio degli strumenti in mano agli Stati Uniti per esercitare il proprio dominio. Nel
replicare a costoro, hanno avuto buon gioco i critici della globalizzazione presenti al dibattito: innanzitutto Vittorio
Agnoletto ha snocciolato una serie di dati statistici i quali hanno confermato la spaventosa e crescente miseria che
affligge le sempre più povere popolazioni di tutto il mondo, e tutti i disastri prodotti dalle multinazionali nei paesi da
esse saccheggiati. Egli si è tuttavia mostrato inconcludente quando si è trattato di proporre delle valide alternative
a questo stato di cose: si è richiamato ai valori universali sanciti dalla rivoluzione francese, alla necessità di un loro
recupero e ai valori universali di uguaglianza e democrazia. Ma, ha sottolineato l’europarlamentare, è comunque
necessario un recupero della politica, che deve smettere di essere “l’eunuco dell’economia”. Dopo un interessante
intervento di Fabrizio Onida sui problemi che si trovano ad affrontare i bambini che nascono in aree devastate dal
capitalismo –problemi di analfabetismo e sfruttamento- e della cruciale necessità di un recupero delle giovani
generazioni, è stata la volta di Zolo nel discutere l’argomento. Vi sono tre modi di affrontare la globalizzazione: uno
è quello tipicamente liberista, di considerarla la strada migliore verso il benessere collettivo, a patto che da parte
dello stato non siano posti vincoli alla libera circolazione di beni e capitali. Peccato che queste regole siano valide
solo per alcuni – i più ricchi -. Vanno ricordate a questo proposito le elevate barriere protezionistiche che gli Stati
Uniti fanno gravare sui prodotti provenienti dall’Unione Europea, e che l’UE a sua volta impone ai prodotti tessili
provenienti dalla Cina. C’è poi, prosegue Zolo, l’atteggiamento marxista, che è quello di negare la globalizzazione,
e di considerarla uno sviluppo fisiologico del capitalismo in chiave imperialista. È il capitalismo che si disfa delle
sovranità statali, che distrugge lo stato sociale e la regolazione politica. Vi è infine il punto di vista fatto proprio dal
relatore, che ammette la globalizzazione e constata la necessità di un intervento politico. Il dato statistico
dell’aumento di ricchezza pro capite è ben lungi dal delineare realmente la situazione che vede una ristrettissima
fascia di popolazione che consuma 40 volte tanto la sempre più ampia fascia di popolazione mondiale che vive in
stato di indigenza.
Le disastrose conseguenze di ciò sono sotto gli occhi di tutti: la più eclatante, la guerra globale portata
avanti dagli Stati Uniti d’America alla ricerca di nuovi mercati da conquistare e di risorse energetiche da sfruttare,
in nome di un “valore”, quello della democrazia, che si pretende essere universale ma che in realtà sappiamo
bene essere una creatura del mondo occidentale. A ciò va aggiunto che ben difficilmente gli Stati Uniti d’America
possono essere considerati un modello di democrazia, né tantomeno di rispetto dei diritti umani. La soluzione dei
numerosi e complessi problemi posti dalla globalizzazione non possono certo essere istituzioni internazionali
come Banca Mondiale e FMI, completamente subordinate al “Washington Consensus”, né le Nazioni Unite, ormai
paralizzate dallo strapotere degli USA. Zolo constata infine la morte del vecchio stato nazionale e, sollecitato dalla
moderatrice a dare un proprio parere sulle possibili alternative, egli ripropone le soluzioni da noi sempre
caldeggiate: la nascita di grandi spazi interdipendenti capaci di sottrarsi alle regole del mercato imposte dai
potentati economici. L’Europa come largo spazio di identità politica, come soggetto autonomo che si liberi
dall’abbraccio soffocante della piovra a stelle e strisce.
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Maggio 2006 – Anno 2, Numero 5
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