La scherma dei Greci - Associazione Italiana Maestri di Scherma

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La scherma dei Greci - Associazione Italiana Maestri di Scherma
Alberto Bernacchi
LA SCHERMA DEI GRECI
TESI A.N.S. 2004
Tesi Alberto Bernacchi, sessione esami magistrali Napoli 2004
La scherma dei Greci
La scherma dei Greci
Evoluzione delle tecniche e delle attrezzature
schermistiche nella Grecia antica
dalla età del Bronzo all’Ellenismo
Tesi per la sessione di esami magistrali
Accademia Nazionale di Scherma,
Napoli 2004
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La scherma dei Greci
Premessa
Comunemente collochiamo la nascita della scherma nel
Rinascimento, poichè è relativamente a questo periodo che si ha
notizia dei primi e più completi trattati delle scuole italiana, francese e
spagnola, ma l’arte sistematica del combattere, in Europa, sembra
antica almeno quanto l’uomo stesso. Riferimenti alle arti marziali
abbondano già nella letteratura greca; le fonti sul pankratio olimpico,
per esempio, documentano esempi di wrestling, boxe e kick-boxing
molto simili a quelli moderni.
Il desiderio di conoscere i dettagli degli antichi sistemi di
combattimento con le armi invita ad una sempre più attenta analisi
delle fonti visive e dei pochi frammenti testuali a riguardo, per compiere
osservazioni sulle tecniche che gli antichi Greci impiegavano nella
pratica della scherma e che trasmisero alle epoche successive,
attraverso la mediazione dei Romani. Ricostruire scientificamente
l’antico modo di combattere, le tecniche e le tattiche impiegate nell’uso
della spada, richiede più che una speculazione deduttiva sulla base
delle fonti: l’archeologia sperimentale è oggi divenuto un insostitubile
aiuto per i ricercatori di questo campo.
La perdita moderna della tradizione della scherma greca dell’antichità si
può ricondurre a diversi fattori: per primo il modo orale di trasmettere le
conoscenze schermistiche proprio di quell’epoca. Inoltre la segretezza dei
metodi faceva sì che le teorie dei maestri si perdessero con la loro morte, così
come si è persa anche l’implicita continuità con la scherma romana, medievale
e rinascimentale.
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Capitolo
1
Introduzione
I presupposti della ricerca
La scherma nel tempo
La scherma è un’arte, un complesso di tecniche, tattiche e strategie
di combattimento profondamente radicate nell’essere umano. Non si
può stabilire una data definitiva per le sue origini, poichè essa affonda
le sue ragioni nel passato più remoto e nasce con l’uomo stesso.
L’arte della scherma è un patrimonio culturale dell’umanità, che
attraversa i secoli e non esiste epoca storica che non abbia i suoi
schermitori, i suoi maestri e le sue tecniche schermistiche.
Lo schermitore di qualunque epoca può, a buon diritto, sentirsi parte
di un tutto, un’immagine puntiforme sulla lunga linea del tempo che
unisce il presente ai secoli più remoti: nel profondo dell’animo,
laddove si innescano meccanismi che non sappiamo meglio definire,
lo schermitore di oggi rassomiglia in tutto e per tutto a quello di ieri,
greco o latino, cavaliere medievale o signore del Rinascimento che
fosse.
Il contesto storico e sociale muta con il mutare dei tempi, con il
succedersi di culture e civiltà diverse; la scherma dei nostri tempi non
è quella di cinquant’anni fa ed evidentemente la scherma dei popoli
antichi non poteva che essere ancora diversa e profondamente
legata con la storia dei propri tempi.
Il mondo della scherma, disciplina olimpica e sport di opposizione,
non può resistere al fascino del confronto con il passato più remoto.
La scherma è infatti un’espressione culturale al pari di altre arti e non
vi è campo del sapere umano che non desideri ricercare le proprie
origini e le proprie ragioni storiche.
In particolare è interessante poter ricostruire le tecniche del maneggio
dell’arma, le tattiche e le strategie utilizzate per aver ragione
dell’avversario, poiché queste, pur nella loro evoluzione,
rappresentano una continuità storica avvincente e rinsaldano il
legame tra gli schermitori d’ogni tempo.
Tesi Alberto Bernacchi, sessione esami magistrali Napoli 2004
La scherma dei Greci
La ricerca e la ricostruzione delle tecniche
schermistiche del Medioevo, grazie agli
studi italiani, francesi e tedeschi, è ormai
una scienza completa ed affermata; molte
sono anche le nozioni che possediamo
sulla scherma dei latini, se non altro
perchè l’evidenza storica delle numerose
fonti a riguardo non può essere ignorata.
Non è difficile, per quante differenze
possano esserci nella pratica, assimilare
lo spettacolo gladiatorio dei Romani con il
fenomeno sportivo odierno ed è
altrettanto facile instaurare un confronto
tra quei combattimenti e la scherma
moderna.
Nulla o quasi, invece, sappiamo della
scherma al di fuori dei confini dell’Impero
Romano e dei limiti temporali che ne
determinano la nascita, l’apogeo e
l’inesorabile declino.
E’ logico supporre che la scherma delle
genti che popolarono il Tardo Antico
europeo fosse in perfetta continuità con la
scherma dei Romani, sulla base di una
Figura 1 – Guerriero armato di daga bronzea, vaso ateniese a
tradizione tecnica che si era affermata nel
figure nere, museo di Tampa
tempo ed era stata canonizzata nell’opera
di trattatisti ed esperti del settore: Vegezio
fu uno di questi, senza dubbio la figura predominante, tanto che la
sua Epitoma de Re Militari ha potuto superare nel tempo la selezione
dei copisti amanuensi. Una sopravvivenza, questa, destinata a
confondersi lentamente con nuove teorie e con il progresso dell’arte
schermistica che attraversa tutto il Medioevo ed il Rinascimento, fino
ai giorni nostri. Come schermitori, dunque, riconosciamo di essere in
parte debitori ai latini che maneggiarono le loro corte spade,
pretoriani, centurioni, gladiatori. Il tempo ha prodotto una inevitabile
selezione: la memoria dell’uomo si lega agli avvenimenti più recenti,
dimenticandone le cause e le ragioni del passato. La ricerca delle
origini della scherma non può tuttavia fermarsi laddove le fonti
abbondano ed il terreno di indagine sembra essere più sicuro: la
scherma, ben prima di essere “la scherma dei Romani”, fu quella
degli Osco-Sabelli, in particolare dei Sanniti, degli Iapigi, dei Liguri e
delle altre genti italiote, ma fu soprattutto quella dei Greci, giunta
attraverso la mediazione etrusca ad un processo di lenta
assimilazione ed evoluzione nell’ambito del fenomeno culturale
romano.
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La scherma dei Greci
I Greci ed il loro apporto culturale
Con le prime colonizzazioni nell’Italia del Sud, nelle zone circostanti al
golfo di Napoli, all’incirca verso l’VIII secolo a.C., i Greci portarono
nella penisola un patrimonio culturale già maturo di più di quattro
secoli di storia: arti, architettura, letteratura, ma anche tecniche
agricole e di gestione del territorio e, non ultime, tecniche militari. In
uno straordinario melting-pot di genti autoctone, principalmente
Sanniti, Greci ed Etruschi -questi ultimi stanziatisi nel golfo di Salerno
e nell’entroterra campano pressochè contemporaneamente alla
colonizzazione greca- la cultura mediterranea trovò nell’Italia del Sud
un irripetibile centro di sviluppo e, di lì a poco, il terreno di contatto
con l’astro nascente della politica internazionale, Roma.
E’ in questo contesto che le nozioni di combattimento con le armi,
che i Greci certamente possedevano, poterono radicarsi, evolversi e
trasmettersi nei secoli successivi ed è quantomeno suggestivo,
benchè storicamente nemmeno troppo ardito, voler tracciare un filrouge che unisca storicamente la presenza greca nel golfo di Napoli
con la tradizione che ha reso per secoli questi luoghi uno dei maggiori
centri di diffusione della scherma italiana -sino ai giorni nostri con
l’attività dell’Accademia Nazionale di Scherma.
E’ proprio dello studio delle tecniche schermistiche dei Greci che
possiamo oggi occuparci, per estendere il nostro quadro di
conoscenze sull’evoluzione della scherma nella storia. Se è vero che
la Grecia fu a tutti i livelli la culla della civiltà mediterranea, tanto più ci
dovrebbe stupire che i soli studi sistematici in merito alle tecniche di
combattimento dei Greci si debbano a ricercatori di origine
anglosassone.
Il motivo di questo apparente disinteresse degli studiosi mediterranei
per le tecniche schermistiche degli antichi Greci risiede senz’altro in
un retaggio culturale che, a partire dal XVIII secolo, fa da sfondo allo
studio dell’antichità classica in Italia e nei paesi mediterranei in
genere. L’attenzione degli studiosi italiani, francesi e tedeschi prima,
e anche greci poi, si è focalizzata sulle arti figurative, sulla letteratura,
sulla ricerca delle concezioni filosofiche, sociali e politiche, nell’ambito
della visione neoclassica Winckelmanniana che fece da sfondo ai
primi scavi archeologici ed alle prime ricerche nella metà dell’’800 e
già fortemente influenzata dalla tradizione erudita rinascimentale.
Non ci stupisce, quindi, che l’impulso allo studio degli ambiti tecnicomilitari di epoca classica sia prevalentemente anglosassone: furono
Inglesi e Statunitensi, per primi, a contribuire al mutamento delle
prospettive di ricerca nella seconda metà del ‘900. Siamo
profondamente debitori alla New Archeology ed alla rivoluzione
culturale che essa rappresentò nell’ambito degli studi storici se oggi ci
sentiamo in grado di speculare su tutti gli aspetti della vita quotidiana
dell’uomo dell’antichità, tecniche di combattimento comprese.
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La scherma dei Greci
In particolare è la cosiddetta Archeologia sperimentale l’ambito
scientifico entro il quale possiamo operare, alla ricerca delle tecniche
schermistiche del passato e della loro più plausibile veridicità storica.
Lo stato dell’arte nella ricerca
Sul suolo britannico, molti sono stati, negli anni, i
tentativi di ricostruzione in questo senso e molto
validi sono i risultati raggiunti. Ne è testimonianza il
recente proliferare in Inghilterra di compagnie
d’arme, il cui scopo è quello di dar vita a rievocazioni
di battaglie di contesto greco: dettagliati costumi,
tecniche e conoscenze sperimentate sulla base
delle fonti, conferiscono una attendibilità scientifica
molto solida a queste ricostruzioni che spesso sono
realizzate in collaborazione con gli studiosi di
importanti istituti di ricerca, non ultimo il Departement
of Classical History del British Museum, coinvolto in
questo genere di studi a partire dagli anni ‘90.
Nella Archeologia sperimentale il metodo di ricerca è
basato solo in parte sulle fonti: la certezza di un dato
è piuttosto ricavata dalla sperimentazione a partire
dall’evidenza del reperto. Se le fonti in merito alle
tecniche schermistiche dei Greci sono scarse, non
Figura 2 – un ricercatore con le armi di un oplite
si può dire altrettanto dei reperti. Numerosi sono gli
greco del V secolo, ricostruzione sperimentale
esemplari di spade ed attrezzature da battaglia che
hanno rivisto la luce nel corso delle campagne di
scavo. Se trattati come semplici oggetti artistici, di inestimabile pregio
per le decorazioni che recano, essi non possono aiutarci ad
accrescere le nostre conoscenze sul modo in cui venivano
maneggiati; ma, presi in mano, ci daranno molte più informazioni sul
peso, sull’equilibrio dell’arma e sulle modalità di impugnarla.
L’Archeologia sperimentale è oggi in grado di riprodurre processi
produttivi, materiali e caratteristiche fisiche di queste armi con
assoluta precisione: perfette copie delle stesse possono essere
impiegate in simulazioni di combattimento e fornire una completa
gamma di informazioni sulle possibilità di utilizzo che le spade greche
consentivano ai loro utilizzatori di duemilacinquecento anni fa. Non è
indispensabile che vi sia una fonte letteraria a descrivere i diversi tipi
di colpi possibili, qualora si parta dall’assunto che la scherma è prima
di tutto un’espressione ancestrale, uguale per l’uomo di qualunque
secolo. Il ricercatore non dovrà far altro che comportarsi nel modo
che ritiene più naturale, più efficace per avere ragione dell’avversario
nel corso della simulazione spermentale: saranno così solo le
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La scherma dei Greci
caratteristiche fisiche dell’arma, la forma, il peso, la lunghezza, a
limitare le possibilità tecniche e, sui limiti riscontrati sperimentalmente,
sarà possibile ricostruire in modo abbastanza verosimile anche le
conoscenze tattiche e strategiche.
Il confronto con le conoscenze acquisite in modo certo per epoche
storiche successive serve poi da guida per calibrare i risultati e
affinare la ricerca. Anche le fonti -sebbene, come si è detto, siano
particolarmente rare per l’argomento delle tecniche schermistiche
nella Grecia antica- rientrano poi nel processo di confronto e di
conferma dei risultati ottenuti sperimentalmente.
In effetti l’unico testo in lingua greca dichiaratamente riguardante “le
cose militari” è la Poliorketika di Enea il Tattico o Enea di Stinfalo ,
autore del IV secolo a.C.: ma l’argomento principale del testo sono i
precetti tattici e le strategie politiche da mettere in atto nella difesa e
nell’assedio delle città fortificate; non si parla di tecniche di
combattimento individuale. Tuttavia lo studio delle tecniche, come si è
visto, è sempre possibile, anche sulla base di pochi indizi, e sta alla
correttezza scientifica del ricercatore il non voler superare il limite che
separa una corretta speculazione da una pura ricostruzione di
fantasia. Spesso sottovalutate dalla storiografia tradizionale, infatti,
non mancano altre fonti letterarie di periodo greco relative alle
tecniche di scherma: molti storici, poeti e trattatisti descrivono talvolta
quasi incidentalmente duelli e combattimenti individuali. Pochi
frammenti, scarse indicazioni che, però, unite al confronto con le
conoscenze schermistiche note per l’epoca romana, possono servire
come traccia per una ricostruzione neppure troppo audace della
autentica scherma dei Greci.
Inoltre, è soprattutto dall’arte figurativa che ci perviene un ulteriore
aiuto, con indicazioni più concretamente utili: è noto in Archeologia
classica che tra il VI ed il V secolo a.C. i reperti più consistenti per
abbondanza di materiali nel bacino del Mediterraneo sono proprio le
ceramiche dipinte. Le raffigurazioni, per lo più su vasi attici e corinzi a
figure nere e a figure rosse, di guerrieri impegnati in scontri individuali
sono rare, ma quelle che ci sono pervenute non mancano di dettagli
importanti. Viste le convenzioni proprie dell’arte figurativa, anche in
questo caso sarà talvolta necessario uno sforzo di immaginazione
per configurare correttamente il problema della posizione di guardia o
del modo di portare i colpi così come vengono rappresentati dagli
artisti.
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La scherma dei Greci
Capitolo
2
Evoluzione storica e sociale
Il ruolo culturale della scherma
La scherma greca ed il concetto di sport
Si è visto come la mancanza, per la conoscenza delle tecniche
schermistiche greche, di un testo guida come quello già citato di
Vegetio per i Latini, non è un ostacolo insormontabile qualora si pensi
che la scherma ha radici comuni e che l’uomo moderno ne trae le
stesse sensazioni
degli antichi; a
mutare è il contesto
sociale e, semmai,
il ruolo sociale che
si attribuisce al
concetto
di
scherma
nelle
diverse epoche.
La
scherma
moderna è uno
sport olimpico di
opposizione, al pari
di altre arti marziali.
Svuotata del suo
significato di vita e
di
morte,
la Figura 3 – Olimpia, resti del tempio di Zeus
scherma si è oggi
profondamente
modificata nelle tecniche e nelle tattiche adottate, ma per molti secoli
essa ha rappresentato lo strumento per risolvere controversie d’onore
nel contesto quotidiano. Anche prima di essere regolata nelle
convenzioni del duello d’onore, la scherma, intesa come uso delle
armi bianche, doveva essere alla base della risoluzione di molte
controversie. Possiamo a ragione immaginare che un uomo greco
non avesse altro mezzo che la spada per vendicare un torto o per
difendersi da un’aggressione sulla strada.
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La scherma dei Greci
Alcune fonti in greco antico -ed in particolare lo storico Senofonteaccennano poi alla danza Pirrica, praticata da alcuni soldati prima
della battaglia. Danzavano con gli scudi e con le spade in pugno, dice
Senofonte e cantavano il canto di guerra, il peana. L’esibizione delle
capacità di combattimento in una danza fu tipica, in altri tempi, anche
delle tradizioni delle popolazioni germaniche e coinvolgeva l’uso delle
spade. L’antropologia culturale ci insegna che tali riti e costumi sono
propri dell’uomo per via ancestrale e si ripetono con le medesime
modalità in epoche diverse. E’ questa una testimonianza del profondo
legame che unisce la spada come entità simbolica e le manifestazioni
sociali e culturali anche nel mondo greco.
Tuttavia il ruolo sociale ricoperto dalla scherma nel mondo greco è un
argomento piuttosto controverso e che richiede di essere analizzato
sotto diversi punti di vista.
Proprio nell’ anno olimpico che vede il ritorno dei Giochi ad Atene,
sembra doveroso iniziare valutando se essa avesse anche o
primariamente un ruolo sportivo proprio nell’ambito della cultura
greca. Sappiamo che alcune arti marziali possedevano questa
prerogativa nel mondo greco, ma la scherma, sarà bene chiarire,
sebbene fosse a tutti gli effetti un’arte marziale, non era compresa
nelle gare atletiche che costituivano il nucleo originario dei giochi che
si svolgevano quadriennalmente ad Olimpia in onore di Apollo, nè
tantomeno era prevista dal programma di gare dei giochi che si
svolgevano in altri luoghi ed in onore di altre divinità. Sembra che
l’arte della spada non potesse per qualche ragione rientrare
nell’ambito ludico -sempre che così si possa definire il fenomeno dei
Festivals Panellenici- che rappresentava per i Greci prima di tutto un
evento religioso e politico e solo in ultima analisi un fattore di gioco. Il
concetto stesso di agone e di eccellenza atletica andava ben oltre la
nostra definizione di competizione sportiva, compenetrandosi di
significati religiosi e, in senso più lato, sociali, che oggi non riusciamo
a cogliere con totale
naturalezza.
Delineare l’importanza del
fenomeno sportivo nella
Grecia antica e metterne
in
correlazione
le
caratteristiche con lo
sport(1) dei nostri tempi è
argomento assai vasto,
già oggetto di molte
trattazioni specifiche, per
le quali si rimanda alla
bibliografia.
Ciò
che
possiamo affermare con
certezza è che i Greci
concedevano che le mani
Figura 4 – Olimpia, l’ingresso dello stadio
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La scherma dei Greci
venissero usate per l’agone atletico, ma la spada era destinata solo
ad uccidere.
Indipendentemente dal valore dello sport nell’allenamento del
soldato, l’opinione popolare vedeva nella dimostrazione di coraggio e
di tenacia una sicurezza per la città in tempi difficili. Lo sport era un
modo indiretto per allenarsi alla guerra. Ma Sparta, la città greca
tradizionalmente meglio organizzata militarmente, riduceva e
condannava il ruolo dello sport e allenava i suoi giovani direttamente
in attività di guerra.
Le gare atletiche per i Greci si restringevano agli eventi equestri, per
lo più corse con i carri, al lancio del disco e del giavellotto, al salto in
lungo ed alla corsa. Vi erano anche –si è detto- alcune arti marziali,
quali una forma di boxe molto simile a quella attuale, lo wrestling, il
pankration, e un posto a parte ricopriva il pentathlon che, però, a
differenza della odierna disciplina olimpica, non comprendeva alcuna
forma di combattimento armato. Vi erano infine varie specialità di
corsa; proprio tra queste, sorprendentemente, individuiamo una
forma di sport che, sebbene non prevedesse il combattimento tra due
avversari, risultava fortemente connessa con l’attività militare degli
uomini in armi, gli opliti.
Specialità introdotta per la prima volta nei giochi di Olimpia del 520
a.C. e in quelli di Delfi nel 498 a.C., come risultato dei primi scontri dei
Greci con gli arcieri persiani, si trattava di una gara di corsa della
lunghezza di due o quattro stadi (da 384 a 768 metri), in cui
competevano atleti con indosso un’armatura completa, schinieri ed
elmo compresi, e che correvano impugnando una spada.
Considerando il peso dell’intera armatura doveva essere un evento
particolarmente faticoso, la cui importanza era collegata con
l’addestramento dei giovani soldati che, sul campo di battaglia,
dovevano essere in grado di spostarsi rapidamente, specie quando si
trovavano sotto il tiro degli arcieri nemici.
La misura di due o quattro stadi corrispondeva approssimativamente alla lunghezza
della zona di combattimento coperta dal tiro degli arcieri nemici durante una
battaglia, distanza che i fanti greci dovevano percorrere per entrare in contatto con
le linee nemiche, come descritto da Erodoto nel suo racconto della battaglia di
Maratona del 490 a.C. La corsa degli uomini in armi serviva agli efebi -giovani tra i
18 e i 20 anni che prestavano la leva militare obbligatoria biennale- in
addestramento ad imparare a correre portando con sè lo scudo. Laddove questo
tipo di competizione sportiva è raffigurata sui vasi attici, gli scudi dipinti spesso
mostrano identici blasoni, a testimonianza del fatto che lo Stato deteneva alcuni
scudi “da competizione” evidentemente di uguale misura e peso.
Gli inventari dei magazzini dei templi spesso citano scudi o scudi leggeri (aspidìskoi)
mantenuti appositamente per l’uso sportivo. Gli scudi recano normalmente simboli di
una divinità nel cui tempio sono tenuti, o al cui festival pertiene la competizione: per
esempio la lettera Α o la parola ΑΤΗΕ, per Atena, e il simbolo del sole per Apollo.
Scudi standardizzati con il simbolo della lettera iniziale del nome di una divinità
compaiono dapprima nell’ambito sportivo; solo successivamente l’apposizione di un
blasone sullo scudo interessa anche quelli usati sul campo di battaglia, dove l’uso
sugli scudi di lettere come blasone dello Stato deve essere derivato dalla analoga
pratica che se ne faceva negli hoplitòdromi (stadi per la corsa degli opliti).
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La scherma dei Greci
Dunque i Greci, a parte questa forma di corsa che coinvolgeva le
armi ma non il loro uso, non ritenevano l’esercizio della scherma una
pratica sportiva. Se i Romani seppero tramutare i combattimenti in
armi in spettacoli gladiatori che attiravano immense folle di spettatori,
sembra che per i Greci non vi fosse proprio nulla di divertente nel
confronto con le spade. E’ questo uno spunto di riflessione piuttosto
importante, poichè analizzarne le ragioni ci permette di trarre
conclusioni sul ruolo della pratica delle armi nella società greca. In un
contesto storico, infatti, individuare le interconnesioni tra un
fenomeno, nel nostro caso quello della pratica della scherma, e il suo
delinearsi nella società, ci permette di riconoscere anche cause e
ragioni del progresso delle tecniche. I legami sacrali, rituali e in
definitiva religiosi che nei popoli antichi si instauravano attorno alla
spada, simbolo di forza, di ricchezza e di potere, ed al suo possesso,
dovevano certo esistere anche per i Greci. Così come è evidente che
ad essere armati erano, almeno in un primo momento, gli individui
preminenti della società, la cerchia degli aristocratici, in qualche
modo avvolta da un aurea di sacralità.
Vi è quindi una sorta di rispetto da parte della cultura greca nei
confronti dell’uso delle armi, o forse, al contrario, una scarsa
considerazione. Sappiamo da Aristotele e da molti altri autori che
culturalmente i Greci consideravano sconveniente dedicarsi ad
attività manuali ed abbiamo visto come le uniche arti marziali
comprese nei giochi olimpici implichino la lotta a mani nude. Anche
nella corsa degli uomini in armi l’atleta dimostrava la sua eccellenza
mediante un confronto quasi indiretto: vinceva sopportando il peso
dell’armatura e giungendo per primo al traguardo, ma non si doveva
confrontare con un avversario sugli aspetti tecnici del maneggio
dell’arma. Si potrebbe ascrivere tale implicita disattenzione per l’uso
delle armi all’ideale sportivo greco -ben riassunto nella parola
kalokàgathia (kalòs= bello, agathòs= buono)- che è compenetrazione
di valore etico e bellezza fisica: sarebbe dunque il corpo in se stesso
e la sua forma perfetta a sostanziare il valore dell’atleta e non il
ricorso ad una tecnica di qualunque specie. Tuttavia contrasta con
tale ipotesi la presenza, tra le gare, di diversi tipi di competizioni
equestri, nelle quali è indiscutibilmente importante anche la capacità
tecnica di condurre il cavallo piuttosto che la sola eccellenza del kalòs
kaì agathòs, senza poi dire che boxe, pankration e wrestling, senza
dubbio, dovevano essere discipline tecniche e tattiche oltre che
fisiche.
Dunque, la ragione della marginalità della scherma nell’evento
sportivo è da ricercarsi altrove e più probabilmente nel passaggio dal
contesto socio politico della società oligarchica a quello della pòlis di
omoìoi, cioè il passaggio dalle forme di monarchia a quelle di
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La scherma dei Greci
democrazia in città-stato di cittadini che si consideravano tutti uguali
tra loro. Come vedremo, questo mutamento influì molto sulle
concezioni militari dei Greci e tale influenza dovette riflettersi anche
su quelle sportive.
Il quadro storico e le testimonianze archeologiche
Erano molte le differenze fra la società greca dell'età del Bronzo e
quella dei periodi arcaico e classico. La guerra in questo primo
periodo probabilmente non coinvolgeva falangi organizzate di fanteria
pesante (opliti), che divennero invece caratteristiche del periodo
classico, anche se c’è prova, sia archeologica che documentaria
(dalle tavolette micenee in lineare B), che almeno alcuni guerrieri
greci della tarda età del Bronzo erano armati pesantemente e
potrebbero essere stati allineati in formazioni ammassate in fila.
La loro attrezzatura, come sappiamo dai ritrovamenti e dalle
rappresentazioni, poteva includere elmi di
bronzo o di qualche altro materiale
rinforzato con il bronzo, corazze di bronzo
o di altri materiali metallici e grandi scudi
di cuoio, a forma rettangolare o a forma di
otto, o uno scudo più piccolo, di tipo
circolare, come lo scudo dell’oplite,
particolarmente popolare verso la fine del
XIII e XII secolo a.C. Sembra essere
caratteristico degli scudi della tarda età
del Bronzo l’essere stati sostenuti da una
cinghia di cuoio che attraversava la spalla
del soldato e l’esser maneggiati grazie ad
una singola impugnatura centrale che
permetteva al guerriero di spostare il suo
scudo da un lato all’altro, in un modo che
sarebbe stato impossibile per l’oplite di
qualche secolo dopo. Ciò probabilmente
condusse ad un'organizzazione più
allentata della fanteria e potrebbe aver
permesso i duelli fra i campioni
aristocratici, che sappiamo essere una
caratteristica della guerra nei poemi
omerici.
Le armi utilizzate includevano daghe
(caratteristiche dell'età del Bronzo più
recente), spade e lance, la maggior parte
delle quali, giudicando dagli esemplari
Figura 5 – campo di archeologia sperimentale, ricostruzione di un
sopravvissuti,
erano del tipo da punta fino
oplite greco
alla fine dell'età del Bronzo; dal XII secolo
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La scherma dei Greci
a. C. in avanti, entrò in uso anche una lancia più leggera adatta al
lancio, comunemente detta giavellotto.
Fra l’inizio del VII secolo e la metà del IV secolo a.C., i Greci antichi
hanno adottato una forma di guerra che li ha differenziati dalle altre
civiltà contemporanee nel Mediterraneo orientale. Ciò ha coinvolto
l'uso del fante pesantemente armato, chiamato oplite, sostenuto da
frombolieri armati alla leggera e da arcieri. Gli opliti erano
contraddistinti dal loro scudo rotondo, di legno e di cuoio ricoperto da
bronzo, dalle loro lunghe lance da stocco e dalla loro armatura
protettiva di bronzo, solitamente formata da un elmo, una corazza e
dagli schinieri. Il bronzo, una lega di rame e stagno, può brillare come
oro quando è nuovo e l’avanzare delle strette fila della falange degli
opliti al suono dei canti di guerra –unito talvolta a terrificanti blasoni
raffigurati sui loro scudi- doveva rappresentare una vista
impressionante per il nemico. In oriente, d'altra parte, l'abitudine era
di portare armature riempite di tela e di cuoio, che erano più leggere e
più confortevoli di quelle degli “uomini di bronzo” greci. Le armi
impiegate dai Greci in questo periodo erano costruite solitamente di
ferro e di legno e, pertanto, generalmente, non hanno resistito ai
secoli, diversamente dal bronzo, che tende a rimanere stabile una
volta che si è formata una patina di ossidazione sulla superficie.
L’attrezzatura personale era in qualche caso sepolta con il corpo del
guerriero morto sul campo, almeno a partire circa dal 700 a.C., in
modo tale che i ritrovamenti di tali contesti archeologici sono rari ma
sempre significativi. D'altra parte, armi e armatura erano spesso
dedicati agli dei di un santuario dopo una vittoria in battaglia e gli
scavi moderni, come per esempio ad Olimpia, mettono spesso in luce
reperti di questo genere.
L'armatura e l'attrezzatura dell’ oplite riflettono queste differenze fra il
modo di combattere nell'età del Bronzo e quello dei periodi arcaico e
classico. Al tempo delle poléis era usata da cittadini-soldato una
forma specifica di guerra, sviluppata soltanto dalle città-stato greche
nell’intero bacino del Mediterraneo. Questa organizzazione,
naturalmente,
non
è
stata
adottata
da
ogni
polis
contemporaneamente, ma si è sviluppata lentamente per molti anni,
fino a che la falange oplitica (phàlanx) o la formazione di fanti armati
pesantemente disposti in fila vicine, dominò il campo di battaglia
greco. La vittoria dipendeva dall'unità e resistenza delle fila e dalla
capacità di rompere le linee del nemico. Una volta che la linea fosse
stata rotta, l’oplite era mal dotato per il combattimento individuale.
Un cittadino non veniva ammesso nell'esercito oplitico a meno che
potesse procurarsi la sua propria attrezzatura. La città-stato di Atene,
tuttavia, certamente dopo il 335 a.C., forniva ogni giovane, al
completamento del suo addestramento, di una lancia ed uno scudo.
Inoltre, se il padre fosse morto in battaglia, altre armi gli venivano
fornite. Un'idea del costo per l’attrezzatura usata può essere ricavata
dai prezzi registrati a Atene nel 415 a.C.: un giavellotto costava due
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La scherma dei Greci
dracme; una lancia, una dracma e quattro oboli. Per confronto, il
soldo dell’oplite, a quei tempi, era di circa una dracma al giorno più
una sovvenzione per i pasti.
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La scherma dei Greci
Capitolo
3
Gli uomini e la scherma
La figura del guerriero dall’età del Bronzo all’Ellenismo
Il ruolo del guerriero nelle fonti omeriche
Figura 6 -
Tra il XII e l’VIII secolo a.C. il ruolo individuale del guerriero era
riconducibile alla sua appartenenza ad un’élite aristocratica.
Testimonianze di questa condizione si ritrovano nell’epica
omerica. Iliade ed Odissea narrano in
forma poetica le gesta di questi eroi e
spesso ce li mostrano impegnati in
combattimenti
individuali.
Certo,
dobbiamo
interrogarci
sulla
attendibilità
storica
delle
opere
omeriche, giacchè -come è noto- esse
furono il risultato dello stratificarsi di
tradizioni orali in seguito ricollegate tra
loro nel primo testo scritto della
letteratura greca, operazione che gli
studiosi collocano tra il IX e l’VIII
secolo a.C. La società greca ed i suoi
costumi, così come narrata da Omero,
è la commistione della struttura sociopolitica del periodo miceneo con quella
della civiltà greca del periodo in cui i
poemi furono effettivamente redatti in
forma scritta. Molteplici sono i dettagli
storici che hanno fatto propendere gli
studiosi per questa convinzione: Iliade
ed
Odissea
non
sono
una
archeologia sperimentale, un guerriero iliadico
testimonianza storica diretta e non
presentano un quadro della società
omogeneo che sia riconducibile ad un preciso periodo storico, ma
sono piuttosto la raccolta di diverse tradizioni e strutture sociali
che si svilupparono tra il XII e il IX secolo. Ciò non significa che
tutti i dettagli in Omero siano necessariamente inventati o
16
La scherma dei Greci
inattendibili ed inutilizzabili ai fini della corretta ricostruzione delle
tecniche di combattimento. Se gli studi comparativi di poesia epica
suggeriscono che l’era da cui la tradizione epica attinge
maggiormente la sua cristallizzazione narrativa contribuì alla
visione storica contenuta nei poemi -e sebbene la stratificazione di
dettagli renda artificiale la veridicità storica di queste opere per
quanto concerne le tecniche militari, così come per gli usi della
società e in tutte le sfere della attività umane- è pur vero che
Omero si dimostra abbastanza preciso e prodigo di informazioni
quando si tratta di descrivere i duelli tra gli eroi. Certo il poeta avrà
attinto dalla realtà storica, o da più realtà storiche, ma non è
discutibile il fatto che, se Iliade ed Odissea mostrano diversi duelli,
questa forma di combattimento doveva essere stata effettivamente
in uso nel periodo miceneo che fa da sfondo alle vicende narrate,
tra il XII e il X secolo. Tuttavia, proprio per la stratificazione storica
che caratterizza questi poemi, essi testimoniano anche gli usi
militari contemporanei alla loro stesura in forma scritta, cioè quelli
del IX secolo, che avevano ridotto progressivamente l’importanza
del combattimento individuale. Infatti nei poemi, a parte il duello
tra Achille ed Ettore descritto nell’Iliade, i combattimenti individuali
non hanno mai un peso determinante nello svolgimento delle
battaglie omeriche e molto spesso le guerre sono combattute da
schieramenti contrapposti di interi eserciti,
piuttosto che risolte dai loro campioni.
L’estasi poetica del combattimento eroico
individuale era una forma di ideologia politica che
innalzava i guerrieri sopra il gruppo (pròmakhoi) e
attestava ruoli politici e non solo militari per le élites
aristocratiche della Grecia fino al IX secolo, ma il
processo che da lì a poco avrebbe visto il
costituirsi delle poléis democratiche era
evidentemente già in atto ai tempi
di Omero. L’importanza dei duelli
individuali eroici non può quindi
essere
assunta
come
Figura 7 – scudo dell’età del Bronzo, ricostruzione
presupposto
definitivo
per
un’analisi del ruolo della scherma nella società
greca: essa è un’illusione creata dai poeti –e
nondimeno dalla cinematografia moderna- per
esigenze narrative, ma è pur vero che i poemi
omerici non mostrano ancora compiutamente quella Figura 8 – elmo dell’età del Bronzo,
che sarà la tecnica di guerra dei Greci in età arcaica ricostruzione
e classica. Si è detto infatti che Iliade ed Odissea
spesso descrivono combattimenti di interi schieramenti d’uomini, ma,
17
La scherma dei Greci
contrariamente alla ortodossia dell’opinione dei revisionisti storici, vi è
molta differenza nella realtà tra guerra di schieramenti e guerra di
falangi, forma di combattimento che sarà caratteristica dei Greci solo
a partire dall’VIII secolo a.C. E’ legittimo indicare che le descrizioni
omeriche di battaglie nelle quali i campi nemici erano a poca distanza
tra loro, implicano la tecnica dei combattimenti tra file organizzate di
uomini, ma è illegittimo paragonare tali schieramenti alle falangi:
infatti il continuo muoversi di truppe, anche nella medesima giornata,
descritto da Omero, è incompatibile con il movimento in formazioni
strette. Di seguito è riportata una breve rassegna dei passi omerici
più significativi per la descrizione di duelli individuali. Del testo
dell’Iliade e dell’Odissea sono state antologizzate tutte le occorrenze
della parola “spada”, espunti quei passi nei quali l’uso del termine
assolveva meramente ad una funzione descrittiva. Il testo dell’Iliade è
presentato nella famosa traduzione di Vincenzo Monti, mentre quello
dell’Odissea nella traduzione di Ippolito Pindemonte: entrambe
restituiscono il sapore eroico dei passi omerici meglio di altre
traduzioni più moderne.
TESTO OMERICO
COMMENTO
[…] Lo guatò bieco Achille, e gli
rispose:
Anima invereconda, anima avara,
chi fia tra i figli degli Achei sì vile
che obbedisca al tuo cenno, o trar la
spada
in agguati convegna o in ria
battaglia? […]
Achille cita l’uso della spada in duelli
individuali, distinguendolo dall’uso in
battaglie di più uomini. L’uso della
spada è segno di coraggio ed è
contrapposto da Achille alla viltà del
suo interlocutore.
[…] L'irato Atride allora
trasse la spada, ed erto un gran
fendente
gli calò ruïnoso in su l'elmetto.
Non resse il brando, ché in più pezzi
infranto
gli lasciò la man nuda; ond'ei
gemendo
e gli occhi alzando dispettoso al
cielo, Crudel Giove, gridava, il più
crudele di tutti i numi! Io mi sperai
punire di questo traditor l'oltraggio:
ed ecco che in pugno, oh rabbia! mi
si spezza il ferro, e gittai l'asta
indarno e senza offesa. […]
Vi è qui la descrizione dell’inizio
della sequenza di colpi tipica del
duello
individuale
in
epoca
prearcaica, che verrà conservata
nelle sue linee generali anche negli
scontri individuali di epoca classica:
fendente alla testa, verticale dall’alto
verso il basso; ma la spada si
rompe
inaspettatamente
nell’impatto
con
l’elmo
dell’avversario, lasciando disarmato
l’eroe che, rivolgendosi a Zeus,
lamenta di aver rotto il proprio ferro
e di aver precedentemente già
lanciato invano il suo giavellotto.
18
La scherma dei Greci
[…] e in pugno
stretta l'acuta spada glie l'immerse
nella ventraia, e gli rapìo la vita; […]
Sintetica descrizione di una puntata
che trafigge l’avversario al petto,
uccidendolo.
[…] A prima giunta
Astìnoo uccise ed Ipenòr: trafisse
l'uno coll'asta alla mammella; all'altro
la paletta dell'omero percosse
con tale un colpo della grande
spada,
che gli spiccò dal collo e dalla
schiena
l'omero netto. […]
Lo scambio di colpi tra due eroi:
l’uno trafigge con la lancia il suo
nemico, l’altro mena un colpo di
spada alla parte superiore del
braccio dell’avversario, all’altezza
dell’omero, riuscendo a mozzarlo di
netto.
Non
è
forse
una
esagerazione, considerando il peso
delle armi dell’epoca.
[…] Indi la spada
agli omeri sospende rilucente
d'aurate bolle, e la vestìa d'argento
larga vagina col pendaglio d'oro.
Poi lo scudo imbracciò che vario e
bello
e di facil maneggio tutto cuopre
il combattente. Ha dieci fasce
intorno
di bronzo, e venti di forbito stagno
candidissimi colmi, e un altro in
mezzo
di bruno acciar. Su questo era
scolpita
terribile gli sguardi la Gorgone
col Terrore da lato e con la Fuga,
rilievo orrendo. Dallo scudo poscia
una gran lassa dipendea d'argento,
lungo la quale azzurro e sinuoso
serpe un drago a tre teste, che
ritorte
d'una sola cervice eran germoglio.
Quindi al capo diè l'elmo adorno
tutto
di lucenti chiavelli, irto di quattro
coni e d'equine setole con una
superba cresta che di sopra
ondeggia
terribilmente. Alfin due lance
impugna massicce, acute, le cui
ferree punte
mettean baleni di lontano. Intanto
E’ la vestizione del guerriero in cui
vengono descritte molte parti
dell’attrezzatura: la lucente spada
intersiata a sbalzo, introdotta in un
fodero d’argento che pendeva dai
fianchi; lo scudo, facile da
maneggiare, che proteggeva il
corpo del guerriero, di venti fasce
bronzee e venti di stagno e, di ferro
al centro, recava il blasone della
Gorgone; poi due lance e l’elmo con
il suo pennacchio di crine di cavallo.
Emblematico il fatto che, nella
sequenza, venga citata per prima la
spada(2),
certamente
per
il
significato simbolico che ricopriva
nell’immaginario
collettivo.
La
lancia, sebbene sappiamo che sul
campo veniva usata per prima,
lasciando alla spada un ruolo
secondario,
è
citata
solo
successivamente, addirittura dopo
l’elmo.
Evidentemente
fu
un’innovazione
tecnologica
posteriore, che permetteva di
affrontare
il
nemico
senza
avvicinarglisi troppo pericolsamente,
ma
il
nucleo
originario
dell’attrezzatura doveva essere
composto da spada, corazza ed
elmo. Da notare altresì come
Omero si concentri ampiamente sui
19
La scherma dei Greci
Giuno e Palla onorando il grande
Atride
dier di sua mossa con fragore il
segno. […]
dettagli decorativi e costruttivi delle
armi, citando il numero di anelli che
componevano
lo
scudo,
distinguendo tra i diversi tipi di
metalli impiegati e descrivendone il
grado di lucentezza. Ampio spazio è
dato anche alla figura della
Gorgone, che doveva incutere
timore alla vista, per spaventare il
nemico.
[…] alza Eleno la spada, ed alla
tempia
Dëìpiro fendendo gli dirompe
l'elmo, e dal capo glielo sbalza in
terra.
Ruzzolò risonante la celata
fra le gambe agli Achivi […]
Un altro fendente alla testa(3), tirato
con tanta forza da far cadere l’elmo
all’avversario: i colpi alla testa
servivano inizialmente per stordire
l’avversario
e
renderlo
più
vulnerabile,
non
certo
per
trapassare di taglio il robusto elmo.
[…] Nettunno
li precorrea, nella robusta mano
sguäinata portandosi una lunga
orrenda spada che parea di Giove
la folgore, e mettea nel cor paura.
Misero quegli che la scontra in
guerra! […]
Si cita una lunga spada(4), portata
dal guerriero ad una sola mano.
Sembra che i Greci, anche nell’età
del Bronzo, non conoscessero né la
spada a due mani né tantomeno
tecniche di utilizzo dell’arma con la
mano sinistra(5).
[…] Si scagliò questi con ira
contro Acamante che del re l'assalto
non attese; ed il colpo a lui diretto
Ilïonèo percosse, unica prole
di Forbante che ricco era di molto
gregge; e Mercurio, che d'assai
l'amava,
di dovizie fra' Troi l'avea cresciuto.
Il colse Penelèo sotto le ciglia
dell'occhio alla radice, e la pupilla
schizzandone passar l'asta gli fece
via per l'occhio alla nuca. Ilïonèo
assiso cadde colle man distese:
ma stretta Penelèo l'acuta spada,
gli recise le canne, e il mozzo capo,
coll'elmo e l'asta ancor nell'occhio
infissa,
gli mandò nella polve. […]
Nuovamente due guerrieri si
scontrano: l’uno si scaglia con forza,
forse a tutta corsa, verso l’altro,
colpendolo sotto le ciglia e
cavandogli un occhio. E’ questo un
colpo vibrato con una corta lancia,
usata però come fosse una spada:
non viene lanciata a gran distanza,
ma impugnata e diretta verso il
bersaglio con una puntata. La
spada vera e propria, di cui Omero
sottolinea la acutezza della punta,
viene sguainata solo per finire
l’avversario, con un colpo che gli
viene vibrato al collo e gli mozza il
capo. Da notare come non vi sia
alcuna convenzione cavalleresca
nei duelli di questi campioni eroici:
20
La scherma dei Greci
l’avversario, già a terra, viene
colpito a morte e non vi è nemmeno
un breve sambio di parole tra i due.
Quella descritta da Omero è prima
di tutto una guerra e, più che
capacità tecnica, quella dei suoi
guerrieri sembra essere vera e
propria furia cieca.
[…] Di frassino una grave asta
scotea
Aiace. A questa avvicinato Ettorre
tal trasse un colpo della grande
spada
che netta la tagliò là dove al tronco
si commette la punta. Invan vibrava
il Telamònio eroe l'asta privata
della sua cima, che lontan cadendo
risonò sul terren. […]
La spada viene qui utilizzata
direttamente contro un avversario
armato di lancia. L’equità dei mezzi
non rappresentava certo una
preoccupazione sul campo di
battaglia, ma in questo caso ha la
meglio proprio l’eroe che utilizza la
spada: egli riesce con un colpo a
spezzare in due la lancia dell’altro e
a
renderla
così
inoffensiva.
Possiamo ipotizzare che il guerriero
abbia provato a parare un colpo
proprio usando il legno della lancia.
[…] Indi la spada
di bei chiovi d'argento aspra e
lucente
dall'omero sospese. Indi lo scudo
saldo e grande imbracciò: la
valorosa
fronte nell'elmo imprigionò, su cui
d'equine chiome orrendamente
ondeggia
una cresta. Alfin prese, atte al suo
pugno,
valide lance; ed unica d'Achille
l'asta non prese, immensa, grave e
salda
cui nullo palleggiar Greco potea,
tranne il braccio achillèo. […]
Un'altra scena di vestizione
dell’eroe: la spada viene legata in
un fodero che penzola dalla spalla,
viene imbracciato lo scudo e poi
l’elmo. Achille prende con sé anche
due lance, ma Omero ci dice che
non si arma del giavellotto, l’asta
corta adatta al lancio. Le lance
lunghe, infatti, non venivano usate
per essere gettate, bensì come vere
armi da stocco: portate di punta,
esse, in un certo senso, non erano
altro che spade tubolari, più sottili,
più lunghe e prive di elsa.
[…] S'azzuffâr Lico e Penelèo: ma in
fallo
trasser ambo le lance. Allor più fieri
dier mano al brando. Del chiomato
elmetto
Lico il cono percosse: ma la spada
Lico e Peneleo si scontrano, ma
entrambi rompono le proprie lance:
entrambi passano alla spada.
Ancora una volta la frase d’armi è
semplice ed inizia con un fendente
verticale alla testa. Questa volta,
21
La scherma dei Greci
si franse all'elsa. All'avversario il
ferro
assestò Penelèo sotto l'orecchio,
e tutto ve l'immerse. Penzolava
in giù la testa dispiccata, e sola
tenea la pelle. […]
però, l’avversario, Peneleo, esegue
un’uscita in tempo e colpisce di
punta Lico sotto l’orecchio, aiutato
dallo spezzarsi del ferro dell’altro.
Vista la dinamica del colpo
possiamo pensare che si sia trattato
di una passata sotto(6), infatti
Peneleo raggiunge Lico al di sotto
dell’orecchio, dal basso verso l’alto.
[…] Ma riparo
l'intrepido vi mise Automedonte,
che rapido insorgendo, e via dal
fianco
sguäinata la lunga acuta spada
tagliò netto al giacente le tirelle,
e fu l'opra d'un punto. Entrambi
allora
rassettârsi i corsieri, e raddrizzârsi
al cenno della briglia obbedïenti. […]
Ancora una citazione di una lunga
spada, anche se in questo caso vi è
una contraddizione: certo non
poteva trattarsi di uno spadone,
giacchè il poeta ci dice che essa
penzolava dal fianco dell’eroe. Si
tratta evidentemente di un caso di
epiteto esornativo formulare: la
spada è definita “lunga” in modo
meccanico, con l’uso di una parola
che permetteva di richiamare alla
memoria il proseguo dei versi(7).
[…] Indi Mulio investendo, entro
un'orecchia
gli fisse il telo, e uscir per l'altra il
fece.
Ad Echeclo d'Agènore un fendente
calò di spada al mezzo della testa,
e la spaccò; si tepefece il grande
acciar nel sangue, e la purpurea
morte
e la Parca possente i rai gli chiuse.
Colse dopo di punta nella destra
Deucalïon là dove i nervi vanno
del cubito ad unirsi. Intormentito
nella mano il guerrier vedeasi
innanzi
la morte, e passo non movea. Gli
mena
un mandritto il Pelìde alla cervice,
netto il capo gli mozza, e via
coll'elmo
lungi il butta. Schizzâr dalle vertèbre
le midolle, e disteso il tronco
giacque. […]
Un solo eroe contro diversi
avversari, che gli si presentano
individualmente, in sequenza: il
primo è trafitto con un lancio di
giavellotto che colpisce il bersaglio.
Poi un colpo di spada, l’abituale
fendente nel mezzo della testa pone
fine alle velleità del secondo. Il terzo
è invece colpito con una puntata in
un punto vitale: per questo cade a
terra ed è poi raggiunto da un colpo
di mandritto, diagonale da destra a
sinistra, che gli mozza il capo
all’altezza del collo. Ancora una
volta il fendente verticale alla testa è
il colpo preferito per iniziare lo
scontro, mentre il colpo orizzontale
o diagonale è usato per finire
l’avversario già inerme. Il colpo di
punta evidentemente non poteva
essere sferrato con la forza
necessaria per uccidere subito
l’avversario, a causa dello spessore
dell’armatura. Per finirlo si poteva
22
La scherma dei Greci
scegliere
se
trapassarlo,
affondando il colpo al petto, oppure
se decapitarlo, e questo era certo
un colpo simbolicamente più
suggestivo.
[…] strinse l'eroe la spada, e dentro
il flutto
come demón lanciossi, rivolgendo
opre orrende nel cor. Menava a
cerchio
il terribile acciar; s'udìa lugùbre
dei trafitti il lamento, e tinta in rosso
l'onda correa. […]
Un caso di mischia: un eroe solo
nella turba dei nemici. La tecnica
usata in questo caso è quella di
menar la spada circolarmente,
davanti a sé. Ma Omero,
contraddicendosi, dice che gli
avversari così uccisi erano stati
trafitti, il che implica colpi portati di
punta, che mal si abbinano alla
tecnica descritta.
[…] Strinse Achille la spada, e alla
giuntura
lo percosse del collo. Addentro tutto
gli si nascose l'affilato acciaro,
e boccon egli cadde in sul terreno
steso in lago di sangue. […]
Una vera puntata al collo. Questa
volta è un colpo di punta che uccide
l’avversario, ma il collo non offre
una gran resistenza ed era forse un
bersaglio più facile per essere
trapassato di punta laddove non era
protetto dall’armatura.
[…] Dal fianco allora
trasse Achille la spada, e furibondo
assalse Asteropèo che invan
dall'alta
sponda si studia di sferrar d'Achille
il frassino: tre volte egli lo scosse
colla robusta mano, e lui tre volte
la
forza
abbandonò.
Mentre
s'accinge
ad incurvarlo colla quarta prova
e spezzarlo, d'Achille il folgorante
brando il prevenne arrecator di
morte.
Lo percosse nell'epa all'ombelico;
n'andâr per terra gl'intestini; in negra
caligine ravvolti ei chiuse i lumi,
e spirò. […]
Achille sguaina la spada dal fodero
e corre verso il nemico. L’attacco
correndo era usuale ed aveva una
funzione: evitare di rimanere fermi
in un punto metteva in difficoltà
l’avversario, che non poteva
scagliare facilmente la sua lancia
contro un avversario in continuo
movimento.
Inoltre,
data
la
semplicità della frase schermistica e
l’impossibilità di parare i colpi con il
pesante ferro, chi prendeva per
primo l’iniziativa dell’attacco, in
genere, risultava vincitore. Anche in
questo caso il colpo risolutivo è una
puntata all’addome. Si noti che,
nonostante fossero dotati di scudo,
quasi mai questi eroi ricorrono ad
esso per difendersi(8). Se questa
fosse la realtà storica è difficile dirlo
entro un contesto poetico che
23
La scherma dei Greci
richiedeva la spettacolarità
anche la brevità del duello.
[…] Ciò detto, scintillar dalla vagina
fe' la spada che acuta e grande e
forte
dal fianco gli pendea. Con questa in
pugno
drizza il viso al nemico, e si disserra
com'aquila che d'alto per le fosche
nubi a piombo sul campo si precipita
a ghermir una lepre o un'agnelletta:
tale, agitando l'affilato acciaro,
si scaglia Ettorre. Scagliasi del pari
gonfio il cor di feroce ira il Pelìde
impetuoso. Gli ricopre il petto
l'ammirando brocchier: sovra il
guernito
di quattro coni fulgid'elmo ondeggia
l'aureo pennacchio che Vulcan
v'avea
sulla cima diffuso. E qual sfavilla
nei notturni sereni in fra le stelle
Espero il più leggiadro astro del
cielo;
tale l'acuta cuspide lampeggia
nella destra d'Achille che l'estremo
danno in cor volge dell'illustre
Ettorre,
e tutto con attenti occhi spïando
il bel corpo, pon mente ove al ferire
più spedita è la via. […]
ma
Ancora uno sguainar di spada nel
duello finale dell’Iliade: Ettore si
scaglia di corsa contro il nemico,
con l’arma posta in linea davanti a
sé. Anche Achille fa lo stesso, di
fronte all’avverario, ma copre il petto
con lo scudo. Non vi è tattica, i
guerrieri omerici risolvono con la
rabbia lo scontro. La forza fisica è
più importante di qualunque
strategia, ma l’abilità tecnica non
deve essere sottovalutata. Un colpo
tirato in modo impreciso, con una
dinamica del pugno o del braccio
non corretta, doveva risultare vano
e metteva certo in pericolo chi
l’aveva eseguito. Infatti, dato il peso
dell’arma e la forza messa nel tirare
il colpo, recuperare dopo un errore
doveva essere piuttosto difficile. Chi
sbagliava
rimaneva
scoperto
abbastanza a lungo da permettere
all’altro di trafiggerlo facilmente di
punta. Le uniche uscite in tempo
permesse dalla situazione erano le
schivate e le sottrazioni di bersaglio,
entrambe
giocate
sullo
sbilanciamento dell’avversario, che
finiva con il ferro sulla linea bassa,
non riuscendo nella maggior parte
dei casi a riportarlo su quella alta
per sferrare un secondo attacco.
Tuttavia, che i duelli descritti da
Omero siano solo uno spettacolo
poetico e che Greci dell’età del
Bronzo
sapessero
invece
controllare meglio la forza dei colpi,
dando vita a duelli tattici,
fatti di seconde intenzioni e uscite in
tempo, è abbastanza plausibile, se
non addirittura certo.
24
La scherma dei Greci
[…] Così dicendo, con la man
gagliarda
Dal suol raccolse la tagliente spada,
Che Agelao su la morte avea
perduto;
E di percossa tal diede al profeta
Pel collo, che di lui, che ancor
parlava,
Rotolò nella polvere la testa. […]
Nell’Odissea è questo l’unico
passo(9) che descrive l’uso della
spada. Moltre altre occorrenze del
termine ricorrono per scopi figurativi
ma non sembrano utili alla analisi
delle tecniche di combattimento. In
questo passo Omero descrive il
consueto diagonale al collo, fatale
per chi lo riceve.
La nascita delle poléis: dagli eroi agli opliti
I poemi Omerici, in definitiva, sono fonti che possono essere utili alla
ricostruzione delle tecniche di combattimento individuale, ma, per
quanto riguarda il ruolo della scherma nella cultura greca, risultano
fuorvianti, poiché mostrano una sorta di età di mezzo tra la società
micenea aristocratica, nella quale certo il
Figura 9 – opliti greci del V secolo, ricostruzione di
duello aveva un’importanza sociale legata
archeologia sperimentale
all’esercizio del potere da parte dei gruppi
dominanti e la società greca arcaica, nella
quale il primo sviluppo della pòlis
democratica aveva sminuito l’influenza
proprio di quelle élites che erano state
depositarie dell’arte della scherma. Inoltre,
all’idea di individualità si sostituisce, a tutti i
livelli
della
società
ed
anche
evidentemente nella concezione militare, il
valore della collettività. Si produsse quindi
anche un cambiamento nell’etica: non più
il valore individuale, la forza o il coraggio
del singolo combattente, ma la coesione
con i compagni erano i punti di forza
dell’uomo d’armi, come ebbe a scrivere
attorno alla metà del VII secolo Archiloco,
poeta lirico di Paro:
“…e dagli avversari difenditi opponendo di
fronte il petto, contro gli assalti dei nemici
ergendoti vicino saldamente…”
(trad. R. Cantarella)
25
La scherma dei Greci
Nell’Iliade la guerra era un problema anche di combattimenti
individuali: il guerriero arrivava sul carro nel campo di battaglia, si
cercava un avversario e combatteva, ma cinquecento anni dopo gli
opliti combattono solo in fila organizzate. Sofocle disse “vero e nobile
è stare ciascuno al fianco dell’altro”; se una formazione si sentiva
instabile abbandonava il campo senza combattere. Anche le
evidenze archeologiche lo confermano: ritrovamenti di armi e
armature e loro rappresentazioni ci indicano che un’innovazione
cruciale nell’equipaggiamento fu rappresentata dallo scudo convesso,
di legno ricoperto di bronzo, che comparve in Argo nel 700 a.C.
Ovviamente, uno scudo del genere, pesante e poco maneggevole,
era inappropriato per il combattimento individuale e fu introdotto
proprio per accrescere le capacità difensive degli uomini che erano
destinati a combattere insieme nelle fila della falange. In seguito,
l’invenzione delle corazze di bronzo e dell’elmo corinzio caratteristico
dell’oplite, sempre intorno al ‘700, indicano la medesima
propensione. Evidentemente questo mutamento fu lungo e non
avvenne contemporaneamente in tutte le zone della Grecia, come è
vero per tutti quei cambiamenti che implicano una completa revisione
delle scale di valori sociali ed etici. Erodoto (I, 82) ancora nel 545 a.C.
attesta che, nell’ambito delle guerre sorte tra Spartani ed Argivi per
questioni di confine, ci fu un combattimento agonale e rituale di 300
campioni, selezionati da ciascun fronte. Alla fine del combattimento
solo tre uomini sopravvissero, due argivi ed uno spartano, ma
quando i sopravvissuti argivi lasciarono il campo per riportare la
notizia della loro vittoria ai concittadini di Argo, l'unico sopravvissuto
spartano, Othryadas, rimase sul campo nella sua posizione. Acclamò
la vittoria per Sparta poichè era rimasto sul posto (en tàxei, nelle fila).
Sebbene non ci fosse una uniformità completa tra tutti gli eserciti
delle città della Grecia, l’oplite ben presto divenne però la norma e
l’archeologia ci conferma per via negativa, insieme alle fonti letterarie,
che a partire dal VIII secolo non vi è più testimonianza alcuna di
combattimenti individuali.
Se nella società micenea del XII – IX secolo possiamo
verosimilmente immaginare che i capi aristocratici nella vita di tutti i
giorni portassero la propria spada nel fodero, nel periodo arcaico, a
partire dall’VIII secolo, armi e armature uscirono dalla sfera dell’utile
quotidiano e servirono piuttosto per dediche nei templi, come
dimostrano, tra le altre, le figurine di piombo dedicate a Ortheia
presso Sparta. Il ruolo dell’individuo armato e, conseguentemente, il
ruolo della scherma come abilità nel maneggio delle armi, dovette
essere fortemente ridimensionato(11). Nella società della pòlis non c’è
spazio per l’uso delle armi nella risoluzione delle controversie private,
o, per lo meno, non primariamente. Esso è semmai una
conseguenza della legittimazione data nel dibattito giuridico, ma il
ricorso alle armi non è la prima soluzione che il cittadino della pòlis
26
La scherma dei Greci
ricercava. La forza della collettività superava ormai di gran lunga, per
i Greci, quella dell’individuo, e questo valeva in ogni ambito della
cultura e della società, uso delle armi compreso. Per certi versi,
quindi, la società greca si dimostrava anche in questo molto
progredita e simile a quella moderna. Se pensiamo che nel Medioevo
e fino al XVII secolo era cosa piuttosto naturale risolvere le più
piccole controversie sfidandosi in duelli mortali, dobbiamo ritenere
che i Greci avessero piuttosto una concezione delle armi molto più
simile alla nostra: il loro uso era militare, ma non poteva sostituire
nella vita di tutti i giorni le armi della civiltà. Ciò che invece manca alla
società greca è allora uno spazio entro il quale confinare l’arte della
scherma: si è detto che questo spazio non era rappresentato dalle
attività sportive, ma neppure dall’esercizio delle armi per via
dilettantistica o come ricerca dell’accrescimento di se stessi. Alla
filosofia greca, a differenza di alcune filosofie orientali più recenti, è
ancora sconosciuto il rapporto che lega l’io dell’individuo e la sua
spada. Il ruolo della scherma nella società greca fu dunque
fortemente condizionato e limitato dalla incredibile fioritura
intellettuale ed etica cui questa civiltà giunse tra l’VIII e il IV secolo
a.C., ma l’uso delle armi, come vedremo, continuò a conservare una
fascia di rispetto, che ancora è possibile intravvedere dietro quella
mentalità etica che fece della falange e dei suoi opliti i campioni del
combattimento collettivo.
27
La scherma dei Greci
Capitolo
4
La guerra delle poléis
Il ruolo del duello individuale nelle tecniche militari
L’oplite e le tecniche sul campo
Fra l’inizio del VII secolo e la metà del IV secolo a.C. i Greci antichi si
schierarono sui campi di battaglia secondo una forma di guerra che
faceva uso di fanti pesanti, gli hoplìtes, muniti di una spada corta, uno
scudo ed una lancia. Il termine oplite indica l’uomo in armi e deriva da
tà hòpla, le armi.
Prima di tutto, l’oplite greco era un guerriero protetto dal suo
scudo di bronzo, che combatteva entro una falange di
soldati allineati in file a ranghi stretti. La falange era una
formazione di combattimento che basava il suo successo
sull’attività coordinata del gruppo: la falange che riusciva a
mantenere la coesione delle sue linee più a lungo,
normalmente, risultava vittoriosa nella battaglia. Quando gli
domandarono perchè gli opliti spartani che perdevano la
loro posizione nella falange venivano disonorati, mentre
quando perdevano il loro elmo non lo erano, secondo
Plutarco (Moralia 220 A) il re spartano Demarato rispose:
“Perchè l’elmo lo mettono a loro protezione, mentre la
posizione la tengono per la salvezza dell’intera linea”. Nel
corso del loro addestramento di due anni, organizzato dallo Figura 10 – scudo greco del V
stato, gli opliti erano addestrati nel loro ruolo di membri della secolo, ricostruzione
falange. Si addestravano a marciare in file, cambiare
formazione, unire gli scudi insieme e usare le lance all’unisono con
quelle dei compagni.
La falange era una macchina da guerra molto più efficace di
qualunque guerriero singolo: permise ai Greci di vincere a Maratona
nel 490 a.C. ed alle Termopili nel 480 a.C., contro l’esercito dei
Persiani.
La battaglia tra gli opliti si svolgeva secondo un copione formulare:
due falangi venivano in contatto in numero all’incirca uguale di
uomini. Al grido rituale del canto di guerra del peàna, rivolto ad
Apollo, iniziava lo scontro e le due falangi avanzavano compatte, a
28
La scherma dei Greci
ritmo di corsa solo se si trovavano entro il raggio degli arcieri nemici,
per superare la zona da loro coperta. Altrimenti si preferiva avanzare
molto lentamente per mantenere più facilmente l’organizzazione e la
compattezza della falange.
”Eluleu” era il grido di guerra che dava l’inizio allo scontro vero e
proprio. Le prime file delle due falangi contrapposte, una volta entrate
in contatto, si spingevano l’un l’altra, scudo contro scudo, e i soldati
passavano le punte delle lance laddove vedevano uno spiraglio tra gli
scudi delle file nemiche. La morte sopraggiungeva per l’impatto e la
pressione esercitata dagli scudi dei nemici più che per le ferite
eventualmente riportate.
L’oplite era coperto dal proprio scudo alla sua sinistra, mentre alla
sua destra era coperto da quello del compagno di fila, e sarebbe
risultato completamente scoperto nel caso in cui il compagno che
aveva al fianco avesse perso per qualche ragione la sua posizione.
Se ne deduce che l’organizzazione della falange non prevedeva la
possibilità di opliti mancini: chi non era di mano destra veniva
comunque addestrato all’uso dell’arma, lancia o spada che fosse, con
quella mano.
Se all’inizio dello scontro le prime linee si contrapponevano
spingendosi, dopo un tempo che gli studiosi hanno ritenuto valutabile
in circa un quarto d’ora, esse iniziavano a ruotare, mescolandosi con
le fila nemiche e si presentavano infine secondo uno schema simile a
questo(12):
***********°°°°°°°°**********°°°°°°
°°°°°°°°*********°°°°°°*******°°°°°
* = soldati falange esercito A; ° = soldati falange esercito B
L’oplite era un ottimo soldato in gruppo, ma non da solo: egli non
riusciva a combattere efficacemente dinnanzi ad un nemico a
distanza molto ravvicinata. Per questo, una volta che la sua fila si era
mischiata a quelle della falange nemica, egli
doveva assolutamente mantenere la posizione. In
genere otteneva la vittoria chi sapeva aspettare
senza lasciarsi trascinare nella foga del
combattimento. Se l’ordine delle fila veniva perso,
la battaglia diventava individuale e, solo da quel
momento, contava il valore e l’abilità tecnica di
ciascuno.
Gli opliti erano armati pesantemente ed erano
accompagnati sul campo da fanti armati più alla
leggera, cittadini di basso rango che non
potevano permettersi l’acquisto di un’attrezzatura
da oplite, o anche schiavi. Questi fanti leggeri
29
Figura 11 – scudo greco del VI secolo,
ricostruzione
La scherma dei Greci
portavano i pesanti scudi degli opliti durante gli spostamenti e si
occupavano di trasportare le vettovaglie; essi erano armati con
giavellotti, ma certamente anche con spade, poiché tra i loro compiti
vi erano quelli di sorvegliare il campo e di coprire eventuali ritirate; per
questo non erano predisposti a combattere in fila organizzate, bensì
individualmente. Data forse anche la loro appartenenza ai più bassi
strati sociali, sappiamo ben poco di questi soldati, citati solo
incidentalmente dalle fonti e mai rappresentati nelle arti figurative, il
che ci impedisce di cogliere i dettagli delle loro tecniche di
combattimento. Qualche informazione in più ci è data riguardo ai
frombolieri e all’uso delle fionde, ma nessuna testimonianza diretta ci
è pervenuta circa l’uso della spada da parte dei fanti armati alla
leggera. Essi svolgevano un compito di supporto e si spostavano
rapidamene sul campo, perciò si può ritenere che tendessero ad
evitare il combattimento, tenendosi a distanze tali dal nemico da non
permettere l’uso della spada. Tuttavia essi la portavano nel fodero, a
scopo difensivo e, probabilmente, per finire nel corso della ritirata i
nemici che erano caduti sul campo.
Le truppe armate alla leggera erano spesso impiegate dagli eserciti Greci per
sostenere la fanteria pesante. Erano frequentemente forze speciali o di mercenari
quali gli arcieri di Creta o i frombolieri di Rodi. I frombolieri spesso usavano proiettili
di piombo di cui sono stati rinvenuti diversi esempi (lunghezza: 3,85 centimetri,
peso: 55,3 g). Inizialmente erano usati semplici ciottoli o sfere di argilla, ma entro il
quarto secolo a.C. si adottò un proiettile standard di piombo con un peso
ragionevolmente uniforme e una forma usuale a mandorla. La fionda era fatta da
due strisce di cuoio, tela o crine di cavallo, ciascuna di lunghezza di circa 1 metro,
con una tasca centrale, solitamente di cuoio, per alloggiare la pallottola. Questi
piccoli proiettili dovevano essere molto efficaci: presentano una
forma aerodinamicamente valida e un fromboliere poteva
lanciare una pallottola ad una velocità di oltre 100 Km/h ad una
distanza di 400 m, causando lesioni letali anche a soldati protetti
dall’armatura.
Il piombo era facilmente forgiato in stampi che potevano produrre
parecchie pallottole contemporaneamente. Frequentemente
lettere e simboli venivano intagliati negli stampi, in modo che si
imprimessero sulla pallottola. Queste iscrizioni potevano riferirsi
alla proprietà - "B" per "degli abitanti della Beozia", per esempio –
o potevano essere propaganda utile o, ancora, costituire una
Figura 12 – proiettile da fionda, visione per
ingiuria al nemico, per esempio "prendi questo", "muori", o
mezzo di uno specchio
"colpo". L’ esempio in figura riporta su un lato l'iscrizione
"ΚΛΕΑΝ∆ΡΟ" ("appartenente a Kleandros "- indicando proprietà).
L'iscrizione è retrograda e deve essere letta da destra a sinistra. Le lettere sono
state intagliate nello stampo da sinistra a destra, generando un'immagine a
specchio quando la pallottola è stata forgiata. La fotografia è stata ingrandita e
rovesciata per mostrare l'iscrizione come comparirebbe se fosse stata scritta nel
senso usuale.
30
La scherma dei Greci
Le fonti sono molto più prodighe di particolari
circa la falange oplitica ed i soldati che la
componevano. Per potersi muovere nelle
loro pesanti armature, gli opliti dovevano
essere atleti veri e propri: la corazza
comprendeva una piastra anteriore per il
petto ed una posteriore per la schiena, unite
da cinghie di cuoio. Il metallo di protezione
scendeva fino ai fianchi, mentre più in basso
si agganciava una piccola frangia di lamine
di metallo, allacciate insieme con strisce di
cuoio che raggiungevano poco meno della
metà della coscia. Da sotto questo punto
sino alle ginocchia le gambe erano scoperte,
ma appena al di sotto del ginocchio vi erano
ulteriori protezioni, gli schinieri, piatti di
bronzo sagomati sulla forma della gamba e
aperti posteriormente: erano tenuti fermi alla
caviglia e alla gamba con cinghie di cuoio.
Tutta l’attrezzatura pesava diversi chili: fino a
35 Kg in base a recenti ricerche di Rudolph
Storch della Maryland University. La sola
corazza pesava 5-10 Kg, in base ad una
stima ragionevole del suo spessore, che non
ci è noto per certo. Per confronto un soldato
moderno porta 22 Kg in combattimento e 25
Figura 13 – armatura da oplite, ricostruzione moderna
Kg quando marcia. A testimonianza della
difficoltà di movimento cui andava incontro il
soldato, nel 392 a.C., durante la Guerra del Peloponneso, il generale
ateniese Ificrate introdusse la figura del peltasta, soldato armato di un
corto giavellotto e di un piccolo scudo, dotato di armatura leggera per
renderlo più agile e veloce sul campo. La corazza, in effetti, per tutti i
327 anni che passarono dalla sua introduzione nel 650 a.C. all’epoca
di Alessando (323 a.C.), fu opzionale in molti schieramenti greci,
principalmente per le suddette questioni di manovrabilità. Oltre alla
difficoltà di movimento causata dal peso dell’armatura, l’oplite doveva
sopportare altre scomodità: l’elmo era di bronzo, abbastanza aperto
anteriormente per lasciare spazio agli occhi, ma spesso dotato di
pezzi mobili per proteggere le guance. Alla sommità vi era una cresta
per deviare i fendenti e un pennacchio. L’elmo corinzio chiudeva
maggiormente la faccia e le guanciere non erano amovibili,
similmente a quelle degli elmi dei cavalieri medievali. Lo scudo
costituiva poi la protezione principale: conoscere come usare lo
scudo per coprire ogni bersaglio, o come atterrare il nemico
colpendolo
con
esso,
era
una
parte
fondamentale
dell’addestramento.
31
La scherma dei Greci
Evidentemente non si prevedeva di poter parare con l’uso del ferro.
Lo scudo era rotondo, ma talvolta anche ovale, di 120 cm di
diametro. Esso era costituito da molti strati di metallo rivettati insieme
e presentava una sporgenza metallica al centro.
Al suo interno vi erano due maniglie per la mano
sinistra. Gli scudi erano dipinti e, sebbene non
esistessero nel mondo greco distintivi e stemmi
araldici, essi recavano simboli specifici: gli scudi
dei cittadini di Sicione, per esempio, erano
marcati con la lettera Σ e quelli degli Ateniesi con
la lettera Α. I primi scudi erano più grandi e
pesanti ed avevano una sola maniglia interna; a
causa del loro notevole peso, per essere spostati
da parte a parte, avevano una cinghia che veniva
fatta passare attorno al collo del soldato.
L’oplite aveva una lancia(13) con manico di legno,
lunga 180 cm in tutto. Troppo pesante per essere
usata come arma da lancio, serviva più
efficacemente come arma da punta.
Figura 14 - schineri, completano
La spada era tenuta di riserva nel caso di rottura l'armatura precedente, ricostruzione
della lancia. Non superava i 65 cm di lunghezza, moderna
configurandosi come una corta daga bilama più
che come una sciabola: essa era usata sia di taglio che di punta per
combattere a distanze ravvicinate, che i Greci non amavano e
ritenevano troppo pericolose. In effetti, sebbene spendessero molto
tempo ad allenarsi, i soldati greci, specie quelli spartani, non erano
affatto abili nel maneggio della spada. Si è visto come nella falange
non vi fosse spazio per la tecnica o le abilità tattiche personali e
questo aveva indubbiamente influito negativamente sulle capacità
individuali.
L’attrezzatura dell’oplite era composta da:
Aspìs (scudo): spesso detto inesattamente hoplon, termine che indica piuttosto
“l’uomo in armi”.
Corazza: di tela (linothòrax) o corpetto intarsiato a sbalzo, di bronzo.
Krànos: elmo completo di cresta e pennacchio di crine di cavallo.
Kìton: un tipo di tunica da portare sotto l'armatura e imbottita dentro.
Sandali: calzature di cuoio, allacciate fino al ginocchio.
Spada: spada di tipo variabile tra kòpis, machàira o xìphos.
Lancia: da 180 a 220 cm di lunghezza, con un piccola punta a forma di foglia ed un
rinforzo bronzeo di circa 38 cm di lunghezza.
Pìlos di lana o di feltro: cappello da portare sotto l'elmo per impedire ferite alla testa
nel caso in cui l’elmo fosse stato perforato.
Cappello tessalico: cappello da portare nel corso del riposo
Himàtion: mantello, rosso scuro o lavorato con patchworks colorati.
32
La scherma dei Greci
Le tecniche di combattimento individuale
La spada era un’arma assolutamente di seconda scelta, sfoderata
solo quando la lancia dell’oplite era stata lanciata (doràtismos) o si
era rotta nella fase in cui le linee delle falangi opposte si
incontravano. Combattere con scudo e lancia richiedeva coraggio,
resistenza e capacità di premere contro le linee nemiche. Una volta
che le due linee avevano perso l’ordine, le lance erano gettate e
venivano sfoderate le spade per il duello corpo a corpo, che
assumeva la forma di scontri individuali in condizioni di disordine,
quando le due linee compatte di scudi si erano ormai rotte. Nella sua
Vita di Timoleonte (XXVIII,1), che descrive la battaglia di Crimiso
combattuta nel 341 a.C. contro i Cartaginesi, Plutarco afferma che gli
opliti della falange cartaginese combatterono contro i greci siciliani del
generale corinzio Timoleonte, finchè nel combattimento giunse il
momento di usare le spada e ciò richiese abilità non meno che
resistenza.
In un altro passaggio della sua Vita di Pirro (VII, 5), Plutarco descrive
un duello tra il Re Pirro dell’Epiro e Pantauco, generale di Demetrio
Poliorcete, nel 288 a.C. Prima i due avversari lanciarono le loro lance
e poi, venendo a contatto ravvicinato, si affrontarono con le spade
con coraggio ed abilità. Pirro fu ferito ma riuscì a sua volta a ferire
Pantauco al collo, l’unico punto vulnerabile tra elmo e scudo.
Paradossalmente, sebbene il combattimento con la spada non era
insegnato nell’addestramento, esso richiedeva maggior abilità e
allenamento che non quello con lancia e scudo. Per questo sorse
una domanda crescente per l’insegnamento privato dell’arte della
scherma. Le famiglie con fondi sufficienti spendevano molto per
questo genere di istruzione extra: la compattezza della falange era
evidentemente tutt’altro che certa e saper maneggiare la spada a
stretta misura poteva rappresentare la salvezza dei giovani rampolli.
Istruttori, noti con il nome di hoplomàchoi (uomini in armi) sono
menzionati per la prima volta nelle fonti letterarie afferenti all’ultimo
quarto del V secolo a.C.
Di cinque holpomàchoi di questo periodo sappiamo anche il nome:
Stesìleos, fratello di Euthydémos e Dionysodòros di Chio, Phàlinos di
Stymphàlos (che poi servì come consigliere militare del generale
Persiano Tissaferne nella battaglia di Cunaxa del 401 a.C.) e
Diòmilos di Andro. Gli oplomàchoi non limitavano la loro opera
all’insegnamento dell’arte della scherma; si professavano capaci di
insegnare tutte le branche dell’arte militare, inclusa la capacità di
comandare su altri uomini. Per questa ragione le fonti sono per lo più
ostili alla professione degli olpomàchi. Senofonte, nei suoi
Memorabilia (III, 1),descrive come Dionysodòros arrivò in Atene ad
33
La scherma dei Greci
annunciare che intendeva insegnare l’arte del comando sul campo di
battaglia. Le fonti sono dunque molto critiche
circa questi
personaggi, indicandoli spesso alla stregua di ciarlatani. Tuttavia essi
colmavano una vera lacuna nell’addestramento del soldato greco,
che fu rimediata ufficialmente solo ad Atene nel 335 a.C. quando la
riforma di Licurgo migliorò il sistema di addestramento degli opliti, tra
le altre cose, mettendo sotto contratto statale istruttori specialisti nella
scherma. Anche Platone, uno dei più severi critici degli olpomàchoi,
ammette attraverso le parole che pone in bocca al generale Ateniese
Nicia (Lacedemoni 182 A), che questo genere di allenamento è di
gran vantaggio quando le fila sono rotte e gli opliti devono combattere
uomo a uomo in combattimenti individuali con la spada, o quando
devono inseguire un nemico che cerca di sfuggire all’attacco, o,
ancora, quando si devono difendere essi stessi nel corso di una
ritirata.
34
La scherma dei Greci
Capitolo
5
Armi e attrezzature
L’evoluzione tecnica delle attrezzature schermistiche
Le spade greche dell’età del Bronzo
La daga larga (lunghezza 13.4 cm) rappresenta il tipo maggiormente
usato durante il terzo millennio a.C. dagli abitanti delle isole Cicladi,
un gruppo delle isole dell’Egeo che ha sviluppato una cultura
distintiva
nella
prima età del
Bronzo.
Molte
daghe di questo
tipo sono state
rinvenute
nell’area
Figura 15 - daga cicladica
cicladica, benchè
alcune
siano
state
trovate
anche a Creta e nella Grecia continentale. Presenta una lama
lavorata con semplici increspature, che sarebbe stata fissata ad
un’impugnatura d’osso o legno attraverso quattro fori ancora visibili. Il
largo bordo superiore del manico era originariamente a forma di
cuore. La larghezza del manico probabilmente ha impedito il relativo
uso come coltello ordinario da taglio, ma come arma da stoccata
sarebbe stata abbastanza efficace.
La daga più stretta (lunghezza: cm 12,4) proviene da Cipro, dove una
civilità differente fiorì nell'età del Bronzo. Data al 2300-1500 a.C. e
può essere paragonata facilmente alla daga cicladica. Una differenza
importante
è,
all'estremità
superiore,
la
nuova linguetta
che
è
stata
inserita
nel
manico: proprio
Figura 16 - daga cipriota, manico ricostruito
35
La scherma dei Greci
con il grande foro nella linguetta e gli altri due nelle spalle della lama,
essa sarebbe stata fissata più saldamente all’elsa. A giudicare
dall'acutezza della punta e dalla resistenza della lama con cui erano
state progettate, queste daghe popolari erano probabilmente
ugualmente utili per i colpi di punta e per quelli di taglio.
Le spade o spadini, anch’essi provenienti da Cipro ma di maggior
lunghezza (da cm 46,6), datano un poco più tardi (ca. 1550-1400
a.C.). Questo tipo è stato chiamato "a coda di topo", a causa della
forma caratteristica della linguetta stretta che doveva presentare la
punta ripiegata all’indietro per assicurarla all’elsa. Spade simili erano
state prodotte prima della metà del XVI secolo a.C., ma una forma
standard è stata sviluppata soltanto al tempo in cui si iniziarono ad
usare due stampi per la fusione del metallo nel corso della forgiatura.
Gli esemplari di questo tipo sono stati rinvenuti in Anatolia così come
a Cipro, ma non erano molto comuni e presto scomparvero.
Per concludere, una testa di lancia, proveniente da Cipro (lunghezza:
cm 35,2) che doveva certamente appartenere ad una lancia da
stocco, che data circa tra il 1400 e 1150
a.C. Presenta una stretta lama a forma di
foglia con un’ampia nervatura rinforzata
verso il centro. Il codolo tubolare è stato
realizzato battendo il metallo intorno ad un
mandrino, in modo da farlo aderire
perfettamente all’asta lignea che costituiva
il manico. C’è una lunga fessura nel lato
Figura 17 - testa di lancia, restauro moderno
del codolo, in modo da permettere il
fissaggio. La parte superiore era fissata da
un anello di bronzo, decorato con due piccole creste, appena sotto al
quale si vedono due fori nei lati del codolo, che avrebbero contenuto
un chiodo passante attraverso il manico. I frammenti di legno
rinvenuti all'interno del codolo sono stati riconosciuti provenire da un
albero della pianura, forse un Leccio. Lance simili a questa di Cipro
sono inoltre in uso nello stesso periodo in tutto l’Egeo.
Le spade lunghe e le sciabole del periodo classico
Il museo di Shefton conserva importanti e rari
esemplari di armi usate dall’oplite greco. In figura si
osserva una testa di lancia (lunghezza: cm 38). La
lancia era solitamente realizzata in ferro, ma il bronzo,
che non arrugginisce, era usato per l'estremità che
36
Figura 18 - testa di lancia, particolare
dell’incisione
La scherma dei Greci
avrebbe spesso dovuto essere piantata nella terra. È un’arma da
lancio(14) molto pesante, anche se la parte metallica è vuota sin quasi
alla punta. Il manico in legno, che non si è conservato, era progettato
chiaramente come contrappeso alla testa: se si fosse rotto in
battaglia, l'estremità avrebbe potuto, naturalmente, anche servire da
arma da stocco, come fosse una spada priva di elsa. La forma
costruttiva riflette di fatto un metodo di manifattura primitivo, avendo
ancora uno spesso anello di bronzo vicino al centro, necessario per
fissare alle rispettive estremità il manico di legno e la testa della
lancia in ferro. All'interno di questo esemplare ci sono tracce dei rivetti
usati per fissare il manico. Durante un restauro nel 1977 fu scoperta
un'iscrizione
nera sulla
parte
superiore,
sotto
gli
strati
di
corrosione
superficiali.
Fra
due
fasce strette Figura 19 - spada greca dritta, ricostruzione
vi sono le
lettere
Μ Α Κ, che devono certamente essere una forma abbreviata della
parola "Mac(edone)". Dallo stile di queste lettere è stata suggerita per
l’ intero pezzo una datazione di massima intorno alla fine del IV
secolo a.C., in conformità con le caratteristiche generali della
manifattura.
Le spade greche maggiormente usate nel periodo classico avevano
una lama dritta, affilata sui due tagli, forgiata in ferro, con sezione che
si allargava verso la punta e con impugnatura cruciforme. I riferimenti
alle spade Calcidesi nelle fonti antiche, così come in un frammento
del poeta di Lesbo Alceo, suggeriscono che le migliori e più raffinate
spade greche fossero prodotte nella città di Calcide, in Eubea.
L’Archeologo Anthony Snodgrass, invece, afferma nel suo libro Arms
and Armour of the Greeks -che fu pubblicato per la prima volta nel
1967 ma che è ancora il testo di riferimento più dettagliato
siull’argomento(15)- che Calcide divenne un eccezionale centro di
produzione in Grecia solo per la forgiatura di lame in ferro, come
Toledo lo divenne per le lame d’acciaio nell’Europa medievale, ma
non per la produzione di spade complete di guardia. Evidentemente
le
lame
venivano
acquistate
in Eubea
per
poi
essere
Figura 20 - spada greca diritta
37
La scherma dei Greci
Figura 21
montate e rifinite dalle committenze
locali e dai loro artigiani. La spada
con la lama sagomata a forma di
foglia poteva essere usata di taglio o
di punta, ma è evidente dalle
rappresentazioni che era usata
principalmente dall’alto verso il basso,
di taglio. Abbiamo infatti pochi ma
dettagliati indizi sul modo di utilizzarla:
primo tra tutti, un interessante vaso
conservato nel British Museum,
raffigurante un duello tra Achille ed
Ettore. Achille, sulla sinistra, continua
a combattere con la lancia, ma Ettore
ha perso la sua e si appresta a
lanciare un violento attacco con la sua
spada corta, che è del consueto tipo
con il ferro a forma di foglia. Egli ha
caricato il braccio con la spada
impugnata nella destra e si appresta a
correre verso Achille. Nella corsa
verso di lui agiterà la spada in avanti
ed in alto e poi sopra la propria spalla
destra, piegando il gomito e
mantenendo il busto e le spalle il più
possibile in alto, per sferrare il colpo
davanti a sè con la massima forza
possibile. E’ interessante notare che il
pittore, forse per errore, ha fornito
Ettore di una seconda spada tenuta
nel fodero. L’allargarsi del ferro, sia in
- spada greca diritta con fodero, ricostruzione
larghezza sia in spessore, fin lungo la
punta, che conferisce alle lame
greche la peculiare forma a foglia. fu presumibilmente studiato per
spostare il centro di gravità del ferro verso la punta e il più lontano
possibile dall’impugnatura, per massimizzare la forza del fendente
menato dall’alto vero il basso(16).
La maggior maneggevolezza possibile dell’arma doveva essere
mirata alla possibilità di sferrare colpi verso il basso ed è per questo
che, con il passare del tempo, troviamo che i Greci usavano anche
altri due tipi di spade: queste erano curve ed affilate su un solo taglio,
disegnate per massimizzare al massimo la forza dei fendenti verticali.
Le armi con la lama ricurva erano più rare: tra esse la kòpis, simile
alla machàira, ma con la parte del taglio posta sulla parte convessa
del ferro, simile alla falcata o al kukri moderno. La machàira invece
era una specie di grosso coltello da guerra, affilato su un solo lato e
appuntito. Il suo ferro era pesante, curvo e largo abbastanza da farne
38
La scherma dei Greci
l’arma ideale anche per la cavalleria. Anche l’harpé è un tipo di arma
greca ricurva, la cui caratteristica è il largo sperone sul lato concavo e
tagliente della lama. I Romani l’avrebbero chiamata ensis hamatus o
ensis falcatus(17).
Il primo tipo è
meglio
descritto
come
sciabola
ricurva. Di forma
simile ad un gurkha
kukri o ad una
yataghan
[lunga
sciabola ricurva dei
mussulmani],
il
dorso della lama
era
curvato
in
avanti e il peso
dell’arma
bilanciato verso la
punta. Il taglio si
trovava dalla parte
concava del ferro; l’elsa terminava in genere a forma di testa di
animale, comunemente d’uccello, o assumeva una curvatura
all’indietro, terminando a forma di un pugno serrato. Le illustrazioni
mostrano che questo genere di arma veniva usata comunemente per
sferrare colpi di rovescio, a rientrare -considerando che il taglio si
trovava sul lato concavo della lama- o anche montanti dal basso
verso l’alto.
Un buon esempio dell’uso di questa arma ricurva è raffigurato sul
vaso di Bologna che rappresenta un’ Amazzone che brandisce una
sciabola ricurva, caricando il braccio all’ indietro verso la propria
spalla sinistra: ella sta per sferrare un fendente diagonale alla propria
destra, anteriormente. Le sciabole ricurve sono storicamente molto
comuni nella penisola iberica, ma tutti i reperti attestati per quest’area
sembrano essere posteriori ed è possibile che rappresentino un
successivo diffondersi dell’uso di quest’arma verso occidente, al di
fuori del mondo greco. I Greci usavano un terzo tipo di spada,
precedentemente non distinto dalla sciabola ricurva da parte degli
archeologi, che, comparata con la terminologia usata per le armi del
medioevo, potremmo denominare falchion (falcata); un’altra
denominazione appropriata potrebbe essere pallasch. Anche essa
aveva un pesante ferro affilato su un solo lato, il cui dorso era dritto o
leggermente concavo, ma non ricurvo come nella sciabola detta
sopra, mentre il taglio presentava una pronunciata curva convessa e
si allargava molto verso la punta. Come la sciabola ricurva, il falchion
entrò in uso verso la fine del VI secolo a.C. Il falchion è raffigurato
solo su un numero molto limitato di vasi e la sua popolarità non
sembra aver superato il V secolo.
Figura 22 - kòpis con fodero, ricostruzione
39
La scherma dei Greci
Sciabole ricurve e falchion raffigurate nei vasi fanno sempre parte
della dotazione di personaggi con le caratteristiche dei soldati delle
truppe achemenidi. Ciò suggerisce che entrambe le armi dovevano
avere origini orientali prima che il loro uso si diffondesse in Grecia,
forse a causa dei contatti commerciali che i Greci intrattenevano nelle
aree ioniche dell’Asia Minore. Tuttavia non esistono esempi completi
che attestino che le sciabole ricurve sopravvissero anche in contesti
achemenidi. Solo un esempio di una coppia di decorazioni da
applicare all’elsa fu rinvenuto negli scavi di Persepoli, nei quartieri un
tempo occupati dalla guardia di palazzo: tali applicazioni provengono
forse da un falchion piuttosto che da una sciabola ricurva.
Evidentemente l’elsa dell’arma cui appartenevano consisteva in un
disco centrale di ferro, una sorta di prolungamento della lama, al
quale su entrambi i lati era fissato un disco non metallico. Gli esempi
dei reperti degli scavi di Persepoli sono costituiti di una pasta blu di
materiali compositi, ad imitazione della preziosa pietra del
Figura 23 - machàira con fodero e coltello da cucina, ricostruzioni
lapislazzulo. Evidentemente provengono da un esemplare di bassa
qualità usato da una delle guardie. Altri esemplari di minor pregio
avevano un’elsa decorata probabilmente in osso o in legno. Nella sua
Ciropedia (I, 2, 9), Senofonte descrive l’equipaggiamento usato dal
soldato di fanteria persiano al primo inizio del IV secolo a.C.,
composto da arco e faretra, da uno scudo di vimini, due lance e
un’ascia da battaglia o da una spada. Senofonte si riferisce
evidentemente alla sciabola ricurva o al falchion e usa la parola kòpis
(spada) per descriverla. Tale parola letteramente significa mannaia e
in molti loca letterari è usata per descrivere il grande coltello del
macellaio e, laddove questi coltelli sono raffigurati sui vasi dipinti,
essi richiamano la forma del falchion o della sciabola ricurva miltare.
Similarmente, la medesima parola kòpis è usata per descrivere i
pugnali sacerdotali utilizzati nei sacrifici religiosi e anche in questo
caso, laddove ci siano figure di sacerdoti, essi impugnano coltelli che
imitano la forma della sciabola ricurva. Di conseguenza possiamo
ragionevolmente essere certi che, quando la parola kòpis è usata in
un contesto militare, essa è si riferisce alla sciabola ricurva o al
falchion. I greci usavano altri due termini per indicare la spada:
40
La scherma dei Greci
machàira e xìphos. Nell’ultimo paragrafo del suo manuale sulla
cavalleria militare (XII, 11), Senofonte raccomanda che il cavaliere usi
una machàira piuttosto che una xìphos, perchè dalla sua postazione
elevata sarà capace di sferrare colpi con più forza usando una kòpis
piuttosto che una xìphos. Evidentemente in questo brano l’autore usa
il termine machàira come sinonimo di kòpis e in contrasto con xìphos.
Il nome machàira è dato alla sciabola ricurva o anche al falchion.
Euripide, nel suo dramma satiresco Il Ciclope (241 a.C.), usa
entrambi i termini come sinonimi. Gli studiosi moderni usano
correntemente il termine machàira per descrivere il falchion o la
sciabola greca ricurva, ma quest’uso non è propriamente corretto.
Nel suo senso originale, nel greco antico, la parola machàira
significava infatti coltello e questo nome era attribuito ai coltelli da
cucina usati nella vita quotidiana e anche -in forma di diminutivo- per i
coltelli del chirurgo; inoltre la parola greca per indicare un fabbricante
di coltelli è appunto machairopòios. Per questa ragione non possiamo
essere certi che ogni qualvolta la parola machàira sia usata nei testi
antichi per descrivere una spada, essa si riferisca al falchion o alla
sciabola ricurva. Nei testi degli storici è usata spesso, per esempio,
per descrivere la spada lacedemone a lama dritta. Similmente
sembra che la parola xìphos sia usata tanto in senso generale, per
riferirsi alla spada, quanto in senso specifico, per intendere la spada
standard da fendente dei Greci, con la sua caratteristica lama a
forma di foglia e l’elsa cruciforme.
Tutti questi tipi di spada usati nel primo periodo classico soffrivano di
un problema strutturale: la forma delle lame di tutte e tre le tipologie
presentava un punto di rottura sul codolo della lama, vicino all’elsa.
Con il tempo anche le migliori lame potevano indebolirsi e rompersi;
questo certamente accadde durante la fase finale della battaglia delle
Termopili nel 480 a.C. Erodoto (VII, 224-5) descrive come 300
Lacedemoni comandati da Leonida combatterono armati solo con le
loro spade (machàirai) -quelli che ancora le avevano- quando le loro
lance si furono rotte e, poi, quando anche queste si ruppero,
continuarono a combattere anche solo con le loro mani nude e con i
denti.
La spada corta lacedemone
Spade del tutto differenti apparvero in uso verso la fine del V secolo,
ma la loro introduzione è più riconducibile alle nuove tattiche e
concezioni della battaglia sviluppate dai Lacedemoni piuttosto che al
miglioramento dei difetti
strutturali di quelle in uso
fino ad allora. Nessun
41
Figura 24 - spada corta lacedemone, ricostruzione
La scherma dei Greci
esempio di queste nuove spade più corte, note con il nome di spada
corta lacedemone, è sopravvissuto. Tuttavia, un modellino di spada
attualmente conservato al British Museum, comprato da un privato a
Creta nel 1898 e poi acquisito dal museo, forse era la copia di una di
queste, realizzata a scopo votivo: misura 32,3 centimetri ed è
costruita soltanto in solido bronzo. Il peso raggiunge i 780 grammi.
L’elsa non sembra essere stata forgiata separatamente dalla lama,
ma non è immediatamente evidente se sia stata saldata o piuttosto
se la spada sia stata forgiata in un sol pezzo: non c’è traccia sul
metallo dei consueti segni della saldatura intorno all’elsa, ma sul
bordo destro della stessa, appena sopra la guardia, c’è un disco di
metallo lisciato, forse nel punto in cui la colata è stata rotta e
pareggiata in fase di lavorazione. Nonostante il taglio sia molto
rovinato, come si è detto, questo esemplare di spada fu forse forgiato
per uno scopo non militare: probabilmente come offerta votiva o
come ornamento di una statua, eretta da una delle città di Creta per
onorare un re o un generale spartano. Nondimeno, in tutta
probabilità, esso riprende la forma della spada corta lacedemone: la
lama ha una forma a foglia e risulta piuttosto tarchiata, la base della
guardia ha invece una forma ovoidale, mentre il pomolo è circolare e
presenta una rifinitura alquanto grezza.
Un passaggio letterario che menziona le spade corte lacedemoni è
nei Moralia (217 E) di Plutarco, che tramandano una famosa
sentenza del generale Antalcida. In risposta ad un uomo che gli
chiedeva perchè gli Spartani usassero spade corte, Antalcida si
ritiene abbia risposto “perchè combattiamo più vicini al nemico”.
Antalcida fu attivo dal 390 fino al 360 a.C.: giocò un ruolo
fondamentale nelle campagne militari spartane in Asia Minore, che
ebbero termine nel 387 a.C. con la famosa Pace di Antalcida, che
egli in prima persona collaborò a negoziare. Molto probabilmente
questo passaggio può essere riferito a qualche fatto avvenuto
durante questa campagna. Tuttavia è evidente, dalla chiarezza di
alcune rappresentazioni pittoriche che confermano l’attendibilità della
frase riportata da Plutarco, che la spada corta entrò nell’uso molto
prima, forse in qualche momento del secondo quarto del V secolo.
Altrove, sempre nei Moralia (232 E), Plutarco attribuisce
un’affermazione molto simile a un Lacedemone non meglio
identificato, che afferma che gli Spartani possono avvicinarsi al
nemico grazie alle proprie spade corte. Non è certo se questi due
passaggi tramandino affermazioni originali di due individui distinti tra
loro o se la seconda citazione sia una versione abbreviata e distorta
della risposta di Antalcida. E’ significativo che, in questi e in altri
passaggi, l’uso della spada corta sia evidentemente visto come una
pratica tipicamente lacedemone, almeno all’inizio. E’
pure
significativo notare che, in entrambi i passaggi, tale tipo di spada
corta sia chiamata con il nome encheirìdion (daga), piuttosto che con
uno dei termini più usuali per indicare la spada.
42
La scherma dei Greci
La ragione per il passaggio dalle precedenti spade lunghe a quella
più corta è chiarita dagli aneddoti citati: esse permettevano maggior
agilità di combattimento sotto misura. Le prime spade greche erano
multifunzionali ed erano progettate per l’uso di taglio e di punta in
duelli contro un solo nemico, dopo il rompersi delle righe della
falange.
I Lacedemoni erano superiori nel combattimento ravvicinato rispetto
agli altri eserciti oplitici greci, così come erano meglio addestrati a
formare falangi dalle fila serratissime e molto strette. Marciando nelle
fila della falange, essi avrebbero potuto mantenere il loro ordine per
tutta la battaglia, ma se un oplite si vedeva rotta la propria lancia in
battaglia non avrebbe avuto lo spazio per portare la spada lunga, il
falchion o la sciabola sopra al gomito e caricare il colpo: esse erano
troppo lunghe per essere usate facilmente per portare colpi da
distanze molto ravvicinate(18). Ma questo era esattamente ciò per cui
erano disegnate le spade corte, che venivano meglio impiegate di
punta. L’oplite lacedemone poteva colpire il tronco del suo nemico o il
fianco, sia girando attorno all’avversario per trovare una posizione
favorevole, sia usando il proprio scudo per farsi strada attraverso il
muro di scudi della falange nemica. Quando fosse riuscito ad aprirsi
un varco, non gli sarebbe stato difficile cavarsela nella mischia. Gli
Spartani ed i loro imitatori usavano le spade corte in ripetuti colpi
portati di punta: il loro modo di combattere può essere comparato con
il modo in cui i legionari romani usavano le loro daghe spagnole con
grande efficacia.
Una spada corta di questo tipo, sebbene un poco più piccola nelle
dimensioni di quanto doveva essere in realtà, è mostrata in una
scultura conservata al Metropolitan Museum of Art di New York
nell’atto di essere usata: la scultura in marmo pentelico proviene dagli
scavi del monte Pentelikon, in Attica. Sappiamo che il marmo attico
era esportato per essere usato nei laboratori degli scultori dei paesi
limitrofi, sebbene sulla base del confronto stilistico si ritiene che
questa stele possa essere attribuita di certo ad un atelliér attico.
Tuttavia, è ragionevole presumere che la stele fosse stata
originariamente commissionata come una stele funebre dalla famiglia
di un soldato ateniese morto in battaglia, forse durante le guerre del
Peloponneso, essendo stato possibile datare la scultura al tardo V
secolo in base alle peculiarità stilistiche ed epigrafiche. La stele, rotta
nella parte superiore, mostra il defunto nelle vesti di un oplite ateniese
trionfante, in procinto di sferrare un colpo fatale ad un soldato nemico
riverso ai suoi piedi, con un colpo di lancia verso il basso.
Presumibilmente la stele simbolizza la vittoria ottenuta pur nella
morte: sembra infatti che il soldato a terra sia a sua volta in procinto
di sferrare il colpo che uccise l’ateniese, una puntata dal basso verso
l’alto, menata con la sua spada corta(19). La scultura dimostra
chiaramente il modo in cui queste spade erano usate per sferrare
stoccate a stretta misura. L’oplite caduto a terra, sebbene ferito,
riesce a difendersi con l’uso della sola spada: egli indossa un elmo di
43
La scherma dei Greci
Pilo, e potrebbe essere identificato come spartano, anche se non
porta i consueti lunghi riccioli e la barba che, nelle raffigurazioni,
caratterizzavano in genere i soldati spartani. Comunque potrebbe
essere un mercenario dei Lacedemoni od un oplite arruolato tra gli
Iloti spartani o tra i servi; dunque la pertinenza ad un contesto
spartano non è in discussione. Va detto comunque che l’uso della
spada corta si diffuse anche in altri eserciti greci, sebbene al di fuori
di quello lacedemone non rimpiazzò mai completamente l’uso delle
più tradizionali spade greche lunghe.
Gli Spartani erano certo all’avanguardia per quanto concerne le
tecnologie militari e le innovazioni introdotte nell’uso della spada
dovevano far parte di un complesso generale di progressi nell’arte
della scherma, che coinvolgeva senza dubbio anche capacità tattiche
e strategiche nell’affrontare l’avversario individualmente.
L’esercito lacedemone era il meglio organizzato tra quelli Greci e
l’equipaggiamento di cui faceva uso era più uniforme di quello degli
eserciti di altre poléis. Esiste anche qualche testimonianza circa
l’intervento statale nella dotazione dell’equipaggiamento militare: in
altre città-stato sembra che le tipologie di armi portate dai cittadinisoldati potessero variare nell’ambito di una gamma piuttosto ampia,
in base alle preferenze personali, pur entro le linee guida che nella
legislazione statale indicavano quali armi i cittadini dovessero portare
in qualità di opliti. In altri eserciti, il tipo di spada portata dagli opliti
poteva quindi variare entro una significativa percentuale di tipologie
diverse. Non di meno in alcune aree, e il processo si riconosce
chiaramente in Beozia, la spada corta sembra essere entrata nell’uso
comune nel primo quarto del IV secolo a.C. Un consistente numero di
rappresentazioni di opliti della Beozia ce li mostra nella posizione di
guardia, corpo proteso, il busto eretto, con la gamba sinistra in avanti,
che spingono innnanzi lo scudo per far perdere l’equilibrio al nemico,
mentre la mano destra è bilanciata all’indietro per sferrare una
puntata mortale con la spada corta di tipo lacedemone.
I Lacedemoni continuarono ad usare le loro spade corte e le stesse
tecniche schermistiche, influenzando anche gli altri eserciti greci, fino
all’età di Filippo e Alessandro il Macedone, momento dal quale non
furono più in uso, soppiantate da un modo di combattere
completamente diverso. Plutarco, nella sua Vita di Licurgo (XIX, 2),
riporta un altro aneddoto interessante: quando un ateniese si fece
burla della spada lacedemone (machàira) per l’essere tanto corta che
i giocolieri sul palcoscenico potevano facilmente inghiottirla, un certo
re Agide gli rispose “E anche così continueremo a raggiungere i
nostri nemici con queste spade (encheirìdia)”. Qui Plutarco mette la
parola machàira, spesso usata, come abbiamo visto, per indicare la
sciabola, in bocca all’ateniese e quella encheirìdion in bocca allo
spartano Agide. Un passaggio parallello nei Moralia di Plutarco (191
E) identifica il monarca in questione con Agide III -che regnò dal 338
44
La scherma dei Greci
al 331 a.C.- e l’ateniese con l’oratore e politico Demade. Qui la parola
xìphos, il termine comune per i Greci per indicare la spada, è usata
per indicare la spada corta spartana, come in un secondo passaggio
dei Moralia (241 F), dove, secondo Plutarco, una madre lacedemone
avrebbe risposto a suo figlio, quando questi si lamentava che la sua
spada era troppo corta, che “avrebbe dovuto aggiungerle un passo
avanti in più”.
Il modo in cui la parola encheirìdion, machàira e xìphos sono
intercambiabili in questi passaggi, relativamente alla spada corta
lacedemone -pur ammettendo qualche inaccuratezza nella
trasmissione dalla fonte originale alla mano di Plutarco- dimostra
come i diversi termini del greco antico per indicare la spada siano
usati in modo alquanto irregolare. Tuttavia, come abbiamo visto, le
pitture vascolari, le sculture e altri ritrovamenti archeologici
chiariscono le differenze tra i tre tipi di spada e aggiungono maggior
luce sulla evoluzione della spada corta, maggiormente usata, nella
xìphos lacedemone.
Evoluzione dell’elmo greco in epoca classica
Figura 25 - elmo corinzio, museo di
Shefton
Figura 27 - elmo corinzio con
pennacchio, ricostruzione
La tendenza all’uso di attrezzature sempre più leggere si
coglie facilmente nell’evoluzione degli elmi greci di
epoca classica. I primi comparvero all’inizio del tardo
settimo secolo a.C. ed erano di un tipo
denominato “di Corinto”, dal nome della città in Figura 26 - elmo corinzio, museo di
cui erano probabilmente stati sviluppati un Shefton
secolo prima. Un livello elevato di abilità tecnologica era
richiesto per modellare questo tipo di elmo, realizzato a partire
da un singolo foglio di metallo pesante. Inoltre, recentemente,
si è dimostrato che il fabbricante d’armi greco sapeva variare
il grado di durezza del suo metallo per soddisfare
esigenze particolari. Per gli elmi di questo tipo, lo
spessore del metallo era tale da poter resistere ad un
colpo senza creparsi. Il rivestimento interno contribuiva ad
assorbire l'effetto dei fendenti. L’elmo corinzio era
perfettamente aderente, essendo modellato attorno al
cranio con estrema precisione e presentava soltanto
piccole aperture, lasciate per gli occhi, le narici e la bocca.
Deve aver rappresentato una vista terrificante per il
nemico. Questi elmi spesso erano adornati con una cresta
e un lungo pennacchio di crine di cavallo, ma Figura 28 - particolare della
non sembra essercene traccia su alcuni
decorazione dell'elmo precedente
45
La scherma dei Greci
esemplari, almeno a giudicare dalla mancanza della saldatura usata
per fissarli.
Intorno al bordo inferiore fu lavorato un semplice ma artisticamente
pregevole motivo di linguette e spirali. Gli elmi corinzi, particolarmente
quelli del primo periodo, avranno limitato la vista e l’udito di chi
l’indossava(20), ma poi, venendo ulteriormente sviluppati, questi
svantaggi furono eliminati. L’elmo corinzio “del
gruppo di Myros” è così perfetto dal punto di
vista funzionale da rappresentare uno dei
successi supremi dell'arte degli armieri greci,
sia dal punto di vista estetico sia sotto il profilo
funzionale. Questo elmo, probabilmente,
proviene da un santuario: infatti i copri
guancia erano stati ripiegati esternamente per
rendere l’elmo inoffensivo prima di dedicarlo
nel recinto sacro. Sul copri guancia di destra
vi è il segno del restauro e la guanciera di
sinistra è una reintegrazione aggiunta in tempi
moderni. Inoltre vi è un grande foro per
alloggiare un chiodo, vicino al bordo posteriore, attraverso cui questo
esemplare sarebbe stato fissato ad un albero, forse per l’esposizione
pubblica o per qualche rito che ci è ignoto.
Figura 29 - elmo corinzio, ricostruzione di
archeologia sperimentale
Il secondo elmo comunemente usato era il tipo illirico(21) , derivato da
un altro tipo tradizionale e costituito originariamente di parecchie
sezioni rivettate insieme. Questo esemplare data non prima del tardo
VI secolo a.C., periodo in cui il metodo della fabbricazione era stato
assimilato a quello degli elmi corinzi ed è per tale motivo che questi
elmi risultavano già essere forgiati in un unico pezzo. Come
caratteristica peculiare del tipo illirico, si individuano due creste
rilevate -ricavate a sbalzo nel metallo e che corrono lungo la parte
superiore- destinate a deviare i colpi dalla giuntura verso il
centro, nel punto in cui, almeno negli esempi iniziali di
questo tipo, le giunture di destra e di sinistra dell’elmo si
riunivano. Anche le tre linee leggermente incise fra le due
creste seguono le linee guida lungo cui questa giuntura si
univa originariamente: esse sono state mantenute come
componente dell'apparenza tradizionale dell’elmo, anche
dopo che cessarono di avere uno scopo, parte forse di una
sorta di esattezza magica necessaria a soddisfare i clienti,
specialmente quelli esterni al mondo greco. La cresta si
poneva fra queste tre linee, fissata ad un perno nella parte
anteriore e ad un occhiello metallico nella parte posteriore.
Entrambi mancano da questo esemplare, benchè il foro per
la giunzione possa essere visto sulla fronte dell’elmo. Il tipo Figura 30 - elmo illirico, museo di
illirico probabilmente è originario del Peloponneso, ma, dopo Shefton
che cessò di essere comunemente usato, divenne popolare
fra i capi guerrieri al nord, oltre i confini greci, tra la moderna
46
La scherma dei Greci
Albania e la ex-Jugoslavia, cioè nell’antica Illiria (da cui il relativo
nome convenzionale), ma anche in Bulgaria ed in Romania. Furono
certamente importati da queste parti dalle maestranze greche nel
corso di scambi commerciali. L’esemplare di elmo in figura si ritiene abbastanza plausibilmente- essere stato rinvenuto nella regione di
Tessalonica, quando le forze armate inglesi vi scavarono trincee
durante la prima guerra mondiale.
Come il corinzio, l’elmo illirco era molto aderente e garantiva una
buona copertura alla fronte ed alle guance. Tuttavia, il collo di chi lo
indossava rimaneva troppo esposto, benchè questo inconveniente
sia stato spesso risolto aggiungendo una parte speciale che formava
una sorta di gorgiera di metallo. Non vi era alcuna protezione per il
naso ed inoltre l’elmo era eccessivamente pesante a causa della
robustezza delle sue spesse pareti. Il bordo inferiore era decorato
ancora semplicemente con un motivo di creste e di puntini. Una
cinghia di cuoio probabilmente attraversava i fori nelle guanciere per
fissare l’elmo sotto il mento.
L'ultimo elmo più comunemente usato era il tipo calcidico, che data al
primo V secolo a.C.: esso era notevolmente più sottile e leggero dei
due precedenti. Molti esemplari di questo tipo non erano di
fabbricazione greca, ma venivano realizzati in Italia del Sud da
artigiani locali, certamente sotto l’influenza di modelli greci. Il termine
"calcidico" è convenzionale e deriva dal fatto che, in un recente
passato, si riteneva che questi elmi provenissero dalla città greca di
Calcide, in Eubea. Questa tipologia di elmi presenta una protezione
per il naso, ornata e decorata, ed una protezione per il collo molto
aggettante. Purtroppo nei pochi esemplari conservati, laddove un
tempo le due guanciere mobili erano fissate, rimangono soltanto le
cerniere. Queste possono aver assunto la forma di teste d’ariete
lavorate a sbalzo, simili a quelle che sono incise sopra gli orecchi alle
estremità del doppio pattern lavorato. Le estremità inferiori, durante
l’azione, erano probabilmente tenute insieme tramite una cinghia che
passava sotto il mento. Questi elmi erano decorati artisticamente con
motivi floreali e serpenti marini intorno alla parte superiore e alle
sopraciglia, al di sopra dei fori per gli occhi. I fori lungo il bordo erano
usati per cucire un rivestimento di cuoio; comunque alcuni di quelli
più grandi avrebbero potuto anche contribuire ad assicurare le
guanciere una volta sollevate. I segni della saldatura sulla parte
superiore, in molti esemplari conservati, forniscono la prova della
presenza di una cresta.
Si è già detto che l’elmo corinzio sembra permettere la buona visione
laterale una volta indossato, mentre l'indossatore del casco illirico
doveva sentirsi piuttosto come un cavallo che entra in battaglia
coperto dal paraocchi. Soltanto il casco calcidico aveva una grande
apertura intorno all'orecchio, ma quello illirico, con la sua fessura, e il
corinzio con le sue tacche e la sue curvature verso l’esterno
all’altezza dell’orecchio, mostrano un certo tentativo del progettista di
47
La scherma dei Greci
permettere all'indossatore di sentire più facilmente. Tuttavia,
qualunque soldato che portasse un elmo bronzeo riempito, specie in
un clima caldo, era certamente stato addestrato per soffrire un
disagio considerevole, sebbene le guanciere mobili ed il peso più
leggero dell’elmo calcidico dovessero rendergli la vita più facile.
Figura 31 - possibile ricostruzine
di pilos bronzeo
A giudicare dalle rappresentazioni figurative, un tipo di elmo
leggero, chiamato pìlos, era indossato nel corso degli
spostamenti delle truppe e durante i turni di guardia
nell’accampamento. Alcuni studiosi negano che fosse in
bronzo, assimilandolo al cappello in cuoio che alcune classi
sociali dei Greci portavano nella vita quotidiana, detto
appunto pìlos. Vi è però ragione di credere,
indipendentemente dal nome che gli si voglia attribuire, che
un elmo a forma di cono, più leggero ma pur sempre in
bronzo, doveva effettivamente far parte della dotazione
dell’oplite, almeno a Sparta.
Evoluzione dell’armatura in epoca classica
Inizialmente i Greci fabbricavano molte parti delle loro armature in
bronzo pesante, per proteggere meglio il corpo. Gradualmente,
tuttavia, poichè si realizzò che la capacità di muoversi rapidamente
era importante almeno quanto la protezione totale, furono impiegati
metalli più sottili e leggeri(22) ed il numero minimo di parti che
componevano l’armatura è stato
diminuito.
L'armatura
di
bronzo
generalmente era imbottita di
tela o cuoio per comodità e
protezione
supplementare.
Così come l’elmo, un oplite
portava infatti anche una
corazza di bronzo o di tela
per proteggere la cassa
toracica e la schiena. Gli
esemplari in figura sono una
piastra anteriore di bronzo e
una piastra posteriore: non
provengono dalla Grecia continentale, ma sono rari reperti
dell’Italia del Sud, risalenti al V secolo a.C. E’
immediatamente evidente che le due piastre sono molto
piccole (altezza 40 centimetri), destinate a proteggere la
Figura 32 - corazza, piastre anteriore e posteriore
48
Figura 33- corazza lavorata a
sbalzo
La scherma dei Greci
parte centrale del tronco soltanto. Tuttavia, l’armiere italiota fu
sufficientemente influenzato dall'idea greca di una corazza bronzea
modellata sulla forma della cassa toracica e della schiena, con
sbalzati anche i particolari anatomici, muscoli dorsali e pettorali ,
l'ombelico, ecc. Queste piastre erano completate da protezioni per il
fianco e per la spalla, che non sono sopravvissute. Rimangono,
tuttavia, tracce delle cerniere e degli attacchi di ferro che le fissavano
insieme. Vi era già una lunga tradizione in Italia centrale e del sud
nella costruzione di piccoli dischi di metallo, fissati ad una protezione
di cuoio, per proteggere il centro della cassa toracica; così, queste
due piastre mostrano caratteristiche adottate nella fabbricazione di
corazze sia dai tipi greci sia da quelli del sud dell’Italia.
Figura 34 -linothòrax, ricostruzione moderna
Figura 36 schiniere
Secondo alcuni studiosi, spesso era utilizzata
anche una corazza in lino, chiamata linothorax, il
cui pregio principale sarebbe evidentemente stato
il peso assai contenuto. Tuttavia questo genere di
corazza risultava meno protettivo rispetto a quelle
metalliche, e questa fu la ragione per cui non
ebbe mai un grande successo tra le truppe
greche. Tuttavia è incerto se la funzione di questo
corpettto in lino fosse effettivamente
quello di sostituire una corazza o
piuttosto rappresentasse un’ulteriore
protezione da indossare sotto ad
essa, come sembra invece più
plausibile.
Un altro pezzo che completa l'armatura greca sono gli
schinieri: quella in figura è una coppia di schinieri di
bronzo, probabilmente dell’inizio del V secolo a.C.
Sono stati modellati con attenzione per adattarsi alla
forma della gamba e dovevano servire come
protezione a partire dalla parte superiore del piede fin
sopra al ginocchio. Il relativo proprietario -in base alle Figura 35 - schinieri, museo di Shefton
ipotesi ricavabili dall’analisi antropometrica a partire
dalla presunta lunghezza della tibia- doveva essere alto non più di
1 metro e 65 cm. I fori intorno ai bordi erano usati per fissare il
rivestimento interno di cuoio o forse anche per qualche forma di
legatura per il fissaggio alla gamba; sembra però più probabile che
non vi fosse alcun espediente per fissare gli schinieri, poichè il
bronzo doveva essere abbastanza flessibile per essere fatto
ruotare attorno alla gamba e poi incurvato fino a fissarlo ad essa.
49
La scherma dei Greci
Capitolo
6
I fondamentali della scherma
Ricostruzione delle tecniche schermistiche
Il contributo delle arti figurative
Oltre ai reperti di armi e armature che gli scavi archeologici hanno
riportato alla luce, vi sono anche molte testimonianze nell’arte
figurativa che mostrano guerrieri in lotta: in particolare vi sono molti
vasi ateniesi sui quali le rappresentazioni di opliti ci forniscono ulteriori
particolari circa l’attrezzatura e il modo di usarla. Questi vasi dipinti
sono tuttavia anche una fonte importante per lo studio delle tecniche
e delle tattiche schermistiche utilizzate, proprio perché nelle loro
sequenze pittoriche ci mostrano le armi nell’atto di essere usate. Gli
artisti del periodo classico erano ancora fortemente influenzati
dall’ideale della guerra eroica dei poemi epici, in cui i diversi campioni
degli eserciti contrapposti venivano a contatto per combattere duelli
individuali.
Ciò è confermato dalla scena di battaglia, composta con molta cura e
dovizia di particolari, intorno ad un dìnos, una piccola ciotola per
mescolare vino ed acqua, da
un artista ateniese, il pittore di
Altamura, circa nel 450 a.C.
La scena rappresenta un
arciere che impugna un arco
scita, sulla destra, e un oplite,
a sinistra, che porta una sorta
di gonna di cuoio, fissata allo
Figura 37 – dìnos a figure rosse, museo di Shefton
scudo, per proteggere le gambe dalle
frecce.
Sulla sinistra si intravede un carro
50
Figura 38 - dìnos, particolare
La scherma dei Greci
da combattimento, condotto da due guerrieri, che avanza a gran
velocità – si noti la posizione del carro nell’urto contro un nemico che
sta cadendo: la scena intera si svolge con forza e movimento, il che
indica che l’artista deve aver improntato al massimo realismo anche i
dettagli relativi all’uso delle armi.
Sulla destra, gli opliti sono organizzati in un gruppo di quattro e
combattono due diversi duelli individuali. Questa tipologia di
schieramento delle unità ed il carro ambientano chiaramente la scena
nel passato del mito eroico(23) e non del periodo della falange del V
secolo a.C.
L'attrezzatura rappresentata include gli elmi sia del tipo tracico sia del
tipo calcidico. L’elmo della Tracia, con il suo pennacchio e un ampio
grado di visibilità, era popolare
soprattutto tra i cavalieri. Le
corazze erano del tipo di tela e
cuoio,
cui a volte venivano
aggiunte inserzioni di bronzo.
Queste corazze erano flessibili e
molto più confortevoli di quelle
realizzate interamente in bronzo in
epoca classica. Gli scudi rotondi
degli opliti appaiono di legno,
riempiti di cuoio e ricoperti di
bronzo; come sappiamo, la loro
caratteristica di distinzione era il
doppio sistema di presa all’interno;
il braccio di sinistra era infilato in
una fascia al centro dello scudo,
distogliendo così il peso dal polso
della mano sinistra che reggeva,
invece, una seconda cinghia
fissata all'orlo. I guerrieri raffigurati
stanno utilizzando lunghe lance da
stocco e corte spade.. Alcune di queste sono del
tipo diritto da puntata, altre sono curvate ed
erano usate per colpi di taglio portati con forza
sopra alla testa del nemico.
Questa immagine intorno al dìnos è peculiare
per il modo in cui è costruita la scena di battaglia:
il punto di partenza della sequenza può essere
visto laddove due figure, un oplite e un arciere,
stanno in piedi, schiena contro schiena. Per
osservare la battaglia nell'ordine corretto, si deve
Figura 40 - dinos, particolare
girare il dìnos in senso orario.
Figura 39 - dìnos, particolare
La stessa attrezzatura dell’oplite può essere osservata su un vaso
molto più recente, un collo di anfora ateniese dipinto a figure nere,
collocabile appena prima della metà del VI secolo a.C., di cui un
51
La scherma dei Greci
dettaglio illustra un soldato Lapite, barbuto, che conficca in profondità
la punta della sua lancia nel petto di un
Centauro, il quale cerca riparo dietro ad una
roccia. Quella dei Lapiti era una
tribù leggendaria, che si
supponeva vivere ai margini
settentrionali del mondo greco,
come del resto leggendarie
erano le figure dei Centauri. Il
Lapite porta un elmo del tipo
corinzio, con un'alta cresta che
si erge sopra una montatura
lavorata, indossa una corazza
bronzea, sopra una corta tunica
rossa e schinieri del medesimo
colore; il bordo inciso su questi
ultimi,
probabilmente, Figura 42 - anfora, particolare
rappresenta
il
rivestimento
interno in cuoio. La sua spada
corta si proietta all’indietro, pendendo dalla cinta che gli attraversa il
busto e, retta dal suo braccio di sinistra disteso, vediamo la parte
interna dello scudo con la relativa doppia-presa.
Figura 41 – anfora, museo di
Shefton
Figura 44 - àskos, particolari
Un’anfora del tipo di Nola, databile all’incirca al 440 a.C.,
fornisce ulteriori particolari sull’attrezzatura dell’oplite. Questa
volta l'artista, che gli studiosi hanno chiamato “pittore di
Achille”, non ha scelto di rappresentare la violenza del campo
di battaglia degli eroi, ma la quiete della
casa contemporanea, dove un giovane
oplite si appresta a lasciare la moglie
per affrontare una battaglia od una
qualche
campagna
militare.
Un'attrezzatura da oplite si intravvede
negli ambienti della casa. L’oplite già
impugna la sua lancia, lunga circa due
metri e la donna sta per dargli nelle
mani l’elmo di tipo tracico e lo scudo, il
quale reca a sbalzo l’immagine di
Pegaso, il mitico cavallo alato.
Figura 43 - àskos, museo di Shefton
Su un altro vaso decorato a figure rosse, una piccola boccetta per
l’olio (àskos, diametro: 7,2 cm) risalente all’inizio del V secolo a.C.,
sono raffigurati due elmi, uno del tipo corinzio (a sinistra), di una
forma tarda, ed uno del tipo attico, con protezione per il naso, a
52
La scherma dei Greci
destra. Sull'altro lato del vaso, che non è stato rinvenuto,
probabilmente ne erano dipinti altri due.
Per concludere, osserviamo in figura un frammento molto fine di un
loutrophòros da battaglia,
un vaso di forma speciale usato
tipicamente nel corso dei funerali di coloro che erano caduti sul
campo di battaglia. Fu dipinto nel 430 a.C. circa, da
un artista di cui lo stile è vicino a quello del pittore di
Cleofone. Mostra la testa e le spalle di un guerriero,
sofficemente avvolto in un tunica colorata: porta una
lancia ed uno scudo ed indossa un tipo tardo di elmo,
denominato
pìlos,
che
potrebbe
essere
semplicemente un morbido cappello, di feltro o di
cuoio; ma sappiamo che, entro il IV secolo, una
foggia simile era usata anche per gli elmi di bronzo.
Figura 45 - loutrophòros, museo di
La vernice bianca usata per raffigurarlo su questo
Shefton
vaso suggerisce proprio questa ipotesi. Alla destra vi
è parte di un nastro rosso, che può aver
rappresentato qualche forma di ornamento della tomba.
L’utilità delle arti figurative nello studio delle tecniche schermistiche
antiche deriva essenzialmente dal fatto che, proprio grazie alle
rappresentazioni pittoriche e scultoree, ci è possibile vedere
“all’opera” i soldati delle diverse epoche e le loro armi, osservandone
la posizione di guardia e il modo di portare i colpi. Nella metopa di
Delfi in figura, ad esempio, nonostante le lacune, possiamo intuire
Figura 46 - Tesoro degli A teniesi di Delfi. Metopa nord, Eracle e Cileno, Museo di Delfi
53
La scherma dei Greci
che il soldato sulla destra stia per sferrare un colpo dall’alto verso il
basso, forse usando una spada corta. Non si può infatti trattare che
di questo genere di arma, visto che una lancia sarebbe stata troppo
lunga per essere usata alla distanza raffigurata e, inoltre, non
sarebbe potuta essere contenuta nella cornice superiore del fregio.
L’angolo che si forma tra le gambe, poi, ci fa pensare sicuramente ad
una posizione del bacino piuttosto avanzata, con il busto che si
protende
in
avanti e la
gamba
posteriore che
si
distende,
come in una
sorta
di
affondo,
per
conferire tutta la
forza possibile
al colpo che,
evidentemente,
doveva essere
una puntata al
petto, dall’alto
verso il basso,
con il pugno di
prima -un tipo
di colpo che
ebbe un certo
successo
anche
nel
Rinascimentoe
questo
esclude anche
l’utilizzo di una
sciabola
ricurva.
Del
resto, se il
colpo
fosse
stato
una Figura 47 - Pittore di Nettos, Anfora. Particolare del collo, Eracle e Nesso, Museo Nazionale di Atene
sciabolata alla
testa non si
spiegherebbe perché il soldato alla sinistra tenti di evitarlo, sottraendo
il bersaglio, con lo spostamento del busto all’indietro. Per parare un
colpo di taglio, infatti, avrebbe rischiato di meno alzando lo scudo
sopra la testa.
54
La scherma dei Greci
Nell’anfora del pittore di Nettos, osserviamo come Eracle colpisca un
Centauro con una daga cicladica, di punta, caricando il colpo con il
braccio. Le gambe e le braccia vengono usate come vere e proprie
armi: la mano sinistra afferra la testa del centauro, mentre la gamba
spinge sul suo petto. Si trattava evidentemente di una presa atta ad
immobilizzare l’avversario.
Il pittore -detto “di Cleofrade”- dipinge una tecnica simile. Aiace
afferra la testa di Cassandra con la mano sinistra, prima di sferrarle
una puntata al petto, con la sua spada lunga. In questo caso Aiace è
in perfetta posizione di guardia, peso distribuito sulle due gambe, la
sinistra avanzata, i piedi sulla direttrice.
Figura 48 Pittore di
Cleofrade,
Idria. Aiace e
Cassandra,
Museo
Nazionale di
Napoli
Figura 49
- Pittore
del
gruppo di
Leagro,
Idria.
Contesa
di eroi,
British
Museum
55
La scherma dei Greci
Il pittore di Leagro ci mostra invece una scena di combattimento
piuttosto confusa. Al centro, un guerriero, trattenuto ai fianchi da un
nemico, sta per scagliarsi contro l’avversario che si trova di fronte a
lui, sferrandogli un colpo con la spada che impugna nella mano
destra, mentre ha già colpito un altro avversario con la spada che
tiene nella sinistra. Si tratta, nel primo caso, di una puntata al petto,
caricando il braccio all’indietro come sappiamo esser stata
consuetudine. Il colpo tirato di mancino, invece, è dall’alto verso il
basso: non c’è rotazione del pugno, il guerriero impugna l’arma come
fosse un pugnale, ma direttamente dalla base della lama. Non è
plausibile che tale tecnica fosse realmente d’uso comune, salvo voler
ipotizzare che l’eroe in questione si sia trovato in difficoltà in mezzo
alla mischia e abbia provveduto come meglio poteva. In realtà è più
facile ipotizzare una difficoltà compositiva da parte del pittore: in
epoca arcaica l’arte ancora non riusciva a raffigurare correttamente
tutti i dettagli anatomici, e dipingere un pugno ruotato in prima
posizione non doveva essere certo facile. Quello a cui mira il pittore,
in questo caso, è trasmettere il senso della scena, più che i dettagli.
Nella Tazza del pittore Epitteto, è raffigurato uno dei pochi casi di
mancinismo: Teseo è in una posizione di mezzo tra guardia e
affondo, con la gamba destra avanzata, il busto proteso ma il peso
ancora equilibrato. Egli impugna una lunga spada con la mano
sinistra. Particolare interessante è il ferro, quasi nascosto dietro alla
gamba sinistra, come a voler confondere l’avversario circa il lato sul
quale difendersi.
Figura 50- Epitteto, Tazza. Teseo e il Minotauro, British Museum
56
La scherma dei Greci
Figura 51 – Armodio e
Aristogitone, Museo
Nazionale di Atene
Figura 52 - Pittore di Niobidi,
Cratere. Particolare,
combattimento tra un Greco ed
un'amazzone, Museo Nazionale
di Atene
Figura 53 - Sarcofago
dipinto da Tarquinia.
Combattimento. Museo di
Firenze
Figura 54 - Mosaico da
Pella
57
La scherma dei Greci
Nella pagina precedente si possono osservare quattro casi di uso
della sciabola ricurva. Il braccio è sempre caricato all’indietro, prima di
sferrare una sciabolata alla testa (fig 51 e fig. 54) o una sciabolata
orizzontale o diagonale al bersaglio esterno - evidentemente dopo
aver ruotato il polso in quarta posizione, come dimostrano le figure 52
e 53 nelle quali gli avversari si difendono opponendo il loro scudo alla
propria sinistra, all’altezza del busto e cercano di evitare proprio un
colpo che proviene da quella parte. Nella figura 52, poi, è evidente la
rotazione del polso del guerriero. Confrontando le immagini che ci
mostrano l’uso delle armi ricurve, machàirai o kòpidoi che siano, con
quelle che ci fanno vedere guerrieri che usano spade dritte, possiamo
trarre una importante conclusione circa la posizione di guardia. Infatti
si può notare che la guardia destra, cioè con la gamba corrispondente
al braccio armato, è associata proprio all’uso dell’arma ricurva,
mentre la guardia inversa, cioè con la gamba opposta al braccio
armato portata in posizione anteriore, è sempre associata all’uso
dell’arma a ferro dritto. Volendo trarre una conclusione di carattere
generale, potremmo anche affermare che i Greci ritenevano che la
guardia più adatta per i colpi di taglio fosse quella con la gamba
destra in avanti, mentre preferivano ruotare il busto e mettere avanti
la sinistra per sferrare colpi di punta: sappiamo infatti che le spade
dritte erano prevalentemente usate di punta, mentre le sciabole
ricurve quasi esclusivamente di taglio. La posizione di guardia con la
sinistra avanzata -che abbiamo detto essere usata per le puntatepermetteva infatti di caricare meglio il colpo, con una rotazione del
bacino. Per confronto con le epoche successive, possiamo ritenere
che il colpo terminasse con un affondo mediante lo spostamento della
gamba destra in avanti e la rotazione inversa del bacino.
Nelle figure che seguono, tutte risalenti al IV-III secolo a.C.,
osserviamo due casi di combattimento molto ravvicinato, a misura più
stretta che l’usuale: potremmo definirla misura di corpo a corpo.
Rispetto alle figure precedenti, di epoca classica, ed in particolare alla
numero 48, dove la misura adottata sembra persino troppo lunga se
non addirittura sbagliata, abbiamo qui la conferma che in epoca
ellenistica la misura di combattimento si era fatta più ravvicinata.
L’uso della spada corta lacedemone aveva ormai una tradizione di
almeno un secolo e le tecniche di combattimento erano certamente
mutate anche in ragione di questa innovazione. Nella figura 55,
colmando le lacune, possiamo vedere un soldato che, caduto sferra
una puntata al petto dal basso verso l’alto, dopo essersi abbassato in
una sorta di passata sotto a misura molto stretta. Non si tratta di una
semplice caduta, giacchè questa sarebbe avvenuta più facilmente
all’indietro, mentre il corpo di chi cercava di evitare un colpo si
sbilanciava per sottrarre il bersaglio. Qui, invece, il soldato è in una
posizione che ci fa più pensare ad una scelta volontaria di abbassarsi
58
La scherma dei Greci
per uscire in tempo, piuttosto che ad una caduta: vediamo infatti le
sue gambe ancora piene di forza e il piede destro appoggiarsi a terra
con decisione.
Figura 55 - Mausoleo di Alicarnasso. Combattimento, British Museum
Figura 56 - Grande Altare di Pergamo. Particolare, gigantomachia, British Museum
59
La scherma dei Greci
Nella figura 56, un cerchio rosso evidenzia come il braccio del
soldato, che doveva impugnare una spada corta, sia ancora molto
arretrato al momento in cui compie il suo affondo: la gamba destra è
infatti avanzata, a differenza, come abbiamo visto, della posizione di
guardia e la sinistra completamente distesa. Il fatto che il braccio
armato sia ancora più indietro rispetto al busto, ci fa pensare che
l’avversario doveva essere ancora piuttosto vicino. In effetti potrebbe
trattarsi anche diun secondo colpo, tirato dopo una parata del nemico,
facilmente effettuata con lo scudo. E’ un’ipotesi tanto più suggestiva,
quanto più ci sarebbe facile concepire il passaggio dal colpo parato al
colpo portato come finta per ingannare l’avversario, magari
anticipando le gambe in un falso affondo per mandarlo a coprire un
bersaglio e colpirne poi uno diverso. Si tratta però, almeno in questo
caso, di un’ipotesi che non trova riscontri di certezza: le arti figurative,
per quanto utili, si limitano ad immortalare un momento dl
combattimento, in genere quello che precede la morte, poiché la
cultura greca non amava la rappresentazione del sangue. Non ci
sono quindi le testimonianze -che ci sarebbero tanto utili- di colpi
nell’atto di raggiungere il bersaglio ed ogni ipotesi in merito non può
essere suffragata scientificamente. Tuttavia la ricerca sperimentale, si
è visto, è in grado oggi di colmare almeno una parte di queste lacune
informative, permettendoci di raggiungere un certo livello della
conoscenza delle tecniche della scherma antica. Quando poi il caso
ci permette, quasi fortuitamente, di incrociare i dati delle fonti figurate
con quelli ottenibili dalle fonti letterarie, il nostro livello di conoscenza
aumenta ulteriormente.
Ricostruzione letteraria di un duello ellenistico
Luciano di Samosata (circa 120-190 D.C.), nato a Samosta
sull’Eufrate, fu un attento osservatore del periodo in cui visse. Viaggiò
in Italia e conobbe Atene e l’Egitto. In un suo passaggio letterario,
inedito nella letteratura schermistica italiana, egli ci rende
indirettamente conto delle tecniche e delle tattiche del maneggio della
spada nell’antichità classica, dimostrando anche che tali sistemi, già
all’origine, non erano inferiori a quelli rinascimentali che
comunemente riteniamo più evoluti. Nonostante le nostre scarse
conoscenze in merito alle tecniche di combattimento del periodo
ellenstico, potremmo ritenere quasi per certo che si trattasse
esclusivamente di combattimenti individuali(24).
Nel dialogo di Luciano Toxaris, due amici sciti, i cui nomi sono
Toxaris e Sisinna, stanno per intraprendere un viaggio dalla Crimea
fino ad Atene, nell’ambito della moda dei tour culturali tanto diffusi nel
II secolo d.C. La nave che li trasporta fa scalo ad Amastre, un porto
60
La scherma dei Greci
sul Mar Nero, in Asia Minore. I due compagni vengono qui derubati e
restano privi dei soldi necessari per proseguire il viaggio.
Sisinne incontra sulla strada una processione di giovani uomini, diretti
al foro della città, ingaggiati da un procacciatore di spettacoli per
combattere duelli individuali, da tenersi il giorno appresso.
Sisinna decide di voler competere per cercare di ottenere il premio in
palio, permettendo così a lui ed al suo amico di continuare il viaggio.
Il giorno seguente, nel foro, i monomàchoi (gladiatori) entrano in
scena e l’araldo, presentando un giovane alto e robusto, invita
chiunque voglia misurarsi con quel campione a farsi avanti: la borsa
per l’incontro era fissata in 10000 dracme. Sisinna si fa avanti e
accetta il combattimento, chiedendo che gli siano date delle armi e
convincendo l’amico a seppellirlo se fosse morto. Gli viene così data
un’armatura, ma Sisinna rifiuta di indossare l’elmo.
Luciano descrive così lo svolgersi del duello: già al primo inizio del
combattimento Sisinna riceve la prima ferita, causata da un colpo
portato dal basso verso l’alto, con una sciabola ricurva, che lo
colpisce nella parte posteriore della coscia.
Egli resta fermo nella posizione in cui si trova, attende finchè il suo
avversario non gli corre incontro per finirlo, mostrando troppa
sicurezza di sè. Così Sisinna può colpirlo al petto con un colpo di
punta e poi trapassarlo, facendolo cadere ai suoi piedi morto
all'istante.
Luciano descrive la sciabola dell’avversario di Sisinna usando il
termine kàmpulos, che indicava un’arma prevalentemente da taglio,
con la lama ricurva. Il fatto che Luciano sottolinei le caratteristiche
dell’arma dell’avversario, può significare che Sisinna, invece,
impugnasse una più comune spada dritta, la classica phàsganon o
xìphos, armi standard nella grecia classica, usate sia di taglio che di
punta. La cultura mediterranea nel II secolo d.C. non può dirsi nè
completamente greca nè già del tutto romana. In particolare l'Asia
Minore, dove è ambientata la vicenda narrata da Luciano, era in
questo periodo un vero creocevia di culture.
Questo genere di spettacoli gladiatori, che erano tipici di Roma e
della penisola italica, non avevano alcuna tradizione in Grecia.
Amastre, nel Ponto Eusino, era certamente una città di tradizioni
greche, ma aveva finito per assimilarsi alla cultura romana una volta
entrata a far parte del territorio dell'Impero. Anche le armi usate dai
gladiatori di Amastre potevano quindi essere di impronta romana più
che greca.
Inoltre, i due protagonisti del racconto di Luciano sono sciti, cioè
provengono dal territorio della attuale Russia meridionale. La spada
giocava un ruolo importante nella religione di quelle terre; in una
parte precedente del testo, l’amico di Sisinna, Toxaris, giura “per il
vento e per la spada”, l’una come fonte di vita, l’altro come fonte di
61
La scherma dei Greci
morte. Erodoto riporta che, nelle zone degli Sciti, vi erano culti che
coinvolgevano la spada e descrive aree sacre nelle quali veniva
piantata una spada sopra piramidi di legno livellate alla sommità.
Sacrifici annuali di molte vittime animali venivano rivolti alla spada in
quei luoghi.
La spada caratteristica degli Sciti era l’akinàkes, tipologia
predominante nell’Asia centrale dal VII al II secolo a.C., spesso
rappresentata dalle arti figurative achemenidi e persiane. La sua
impugnatura aveva una caratteristica forma a P e la sua lunghezza
era fissata in 34.45 cm: A partire dal II secolo a.C., essa fu
rimpiazzata da versioni più lunghe, di provenienza sarmata.
Sisinna rifiuta di indossare l'elmo e questo fa sì che la sua testa sia il
bersaglio più facile da colpire per l’avversario che, nell’azione
descritta, avrà forse fintato alla testa, incontrando lo scudo alzato da
Sisinna per difendersi, e avrà poi richiamato all’indietro la spada,
ruotando il pugno e portando un colpo dal basso verso l’alto,
passando circolarmente il ferro vicino alla propria gamba sinistra.
Infatti la ferita descritta da Luciano è provocata da un colpo menato
dal basso verso l’alto, che raggiunge la parte posteriore della coscia.
La ferita non poteva constare di un semplice taglio -poiché Luciano
asserisce che il sangue sgorgava copioso da essa-, ma piuttosto di
uno squarcio o di una profonda lacerazione, resa plausibile se
l’avversario avesse impugnato una kòpis o un harpé. Un colpo di
questo tipo, quantunque potesse essere aiutato dall’angolo della
lama della kòpis, era una manovra complessa che richiedeva
assoluto controllo del ferro, velocità e scelta di tempo, così come una
buona padronanza dell’equilibrio dell’arma e la conoscenza dei punti
mortali.
I muscoli sul retro della coscia (ignuan, in Luciano) erano un
bersaglio fondamentale: essi sono il biceps femoris, il semitendinosus
e il semimembranosus, che unisce la zona pelvica e la gamba, senza
attaccarsi al femore. Tali muscoli sono coinvolti nel movimento di
distensione della gamba, di rotazione dell’anca e nel piegarsi del
ginocchio. Un colpo ad uno di essi può paralizzare la gamba
temporaneamente, specie se coinvolge il nervo ischiaticus. Solo in
rare condizioni si cercava questo bersaglio che, benchè potesse
comunque produrre il collasso dell’avversario, era estremamente
difficile da raggiungere, a causa della sua posizione posteriore
rispetto alla guardia dell’avversario. Secondo il racconto di Luciano,
Sisinna non cade subito, quindi rimane ferito solo leggermente, per
quanto certamente non potesse muoversi per qualche istante.
Certo non può spostarsi per evitare un secondo attacco, nè sottrarre
il bersaglio con un passo indietro. Forse si sarà retto sulla gamba
ancora buona, che doveva essere la destra, e avrà evitato il secondo
colpo ritraendo il busto: ciò significa che l’avversario gli avrà tirato un
fendente alla testa piuttosto che un colpo diagonale o orizzontale, che
Sisinna non avrebbe potuto evitare. La manovra di sottrazione del
62
La scherma dei Greci
bersaglio riesce ed è evidentemente sufficiente per mandare fuori
equilibrio l’avversario per qualche decisivo istante –un’ulteriore
conferma quanto al fatto che il secondo colpo di quest’ultimo viene
tirato con tutta la forza alla testa, verticalmente-: mancato il bersaglio,
infatti, la lama del gladiatore procede per inerzia verso la linea bassa,
con il risultato di far sì che egli si scopra, permettendo a Sisinna di
colpirlo con la punta in linea. Luciano differenzia nel racconto due
tempi per l’azione che risolve l’incontro: il momento passivo
dell’attacco, forse eseguito solo distendendo il ferro in linea, che
risulta in un colpo di punta al petto, e l’attacco vero e proprio,
eseguito trapassando l’avversario, forse con un affondo o con lo
spostamento in avanti del peso del corpo. Se l’avversario muore
all’istante, come dice Luciano, Sisinna deve aver colpito inizialmente
un organo vitale, forse il cuore o un arteria, per poi distruggerla
completamente trapassandola.
La varietà ed il numero di colpi era, lo si è visto, piuttosto limitato(25).
Normalmente si è stimato che si morisse in una o due semplici azioni:
un fendente alla testa era il colpo più usuale, cui ne seguiva un altro
al corpo se l’avversario aveva schivato il primo. I colpi di punta
servivano per finire il nemico, dopo averlo reso inabile con un taglio
che
ne
comprometteva
le
possibilità
di
movimento.
Comprensibilmente vi era poca tattica e il duello si risolveva per lo più
con azioni di prima intenzione, eseguite spesso correndo a tutta
velocità verso l’avversario.
63
La scherma dei Greci
Capitolo
7
Appendice
Elementi di studio e approfondimento
Le spade come oggetti d’arte
Con poche eccezioni, armi ed armature di tutti i periodi storici e delle
diverse culture di tutto il mondo sono state decorate come veri e
propri oggetti artistici: il desiderio di abbellire gli oggetti d’uso
quotidiano si è esteso naturalmente a quelli che avevano scopi di
particolare importanza nella
società. I Greci, come la
maggior parte dei popoli
antichi, ritenevano le armi e le
armature segni distintivi del
rango
sociale
e
della
condizione economica, oltre
che, naturalmente, simboli
tradizionali del guerriero e della
sua forza, nonché della regalità
degli individui. Tuttavia, era
l'uso e la funzione specifica
dell'arma o dell'armatura che
determinava come ed in quale
misura un oggetto veniva
Figura 57 - armi greche, British Museum
decorato. Mentre l'attrezzatura
degli uomini comuni era
spesso non decorata o, comunque, la decorazione era ristretta ad un
minimo, le armi appartenenti ad individui di spicco della società nobili, comandanti militari e guerrieri di élite- venivano cospicuamente
ornate con decorazioni assai costose. Nel periodo dell’età del
Bronzo, quando ancora le capacità economiche dell’individuo erano
strettamente legate alle sue capacità alimentari, il grado di
decorazione era tanto più elevato quanto lo era la condizione del
proprietario dell’arma ed era indicativo del valore e del potere che egli
ricopriva socialmente. Tuttavia, armi ed armature progettate per l’uso
64
La scherma dei Greci
pratico, destinate al campo di battaglia, erano decorate senza
sminuirne la praticità e la robustezza. Soltanto le attrezzature
particolarmente studiate per l’uso cerimoniale venivano decorate, a
volte così generosamente che l'importanza della decorazione
diveniva superiore alla funzione stessa dell'oggetto. Una varietà di
decorazioni particolare era quella legata ai simboli religiosi, per
creare una sorta di aurea di autorevolezza sia intorno all’oggetto sia
al relativo proprietario, attribuendogli qualità magiche ed
apotropaiche.
In Grecia, la tradizione dell'armatura e delle spade decorate iniziò
nell'età del Bronzo; in epoca classica, anche gli esemplari destinati ad
un uso normale possiedono spesso una bellezza scultorea
eccellente, e molte parti dell’attrezzatura militare, particolarmente gli
elmi, erano decorati frequentemente con incisioni e goffrature. I Greci
decoravano principalmente gli elmi, le corazze e gli schinieri con fogli
di bronzo martellati a sbalzo, mentre altre parti dell’armatura erano
lasciate senza decori e venivano semplicemente modellati molto
attentamente attorno allla conformazione del corpo: la piastra
anteriore della corazza spesso veniva decorata ad imitazione
dell'anatomia della muscolatura della cassa toracica. Molti elmi
erano incisi con semplici modelli geometrici lungo i bordi, ma qualche
esemplare presenta anche decorazioni figurate. Le testimonianze,
fornite dai vasi dipinti, rivelano che molti guerrieri andavano in
battaglia con elmi e corazze pregevolmente decorate e con grandi
scudi elaborati e verniciati con modelli geometrici, teste di animali o
scene mitologiche.
Le tecniche per la decorazione delle armi e delle armature possono
essere studiate anche per confronto con le epoche successive, oltre
che con le comtemporanee arti di decorazione dei metalli. La vasta
gamma dei materiali utilizzati nella creazione di questi oggetti è stata
fondamentale per l’aggiunta di qualità estetiche a quelli che dovevano
essere, prima di tutto, articoli funzionali, per l’uso quotidiano o
cerimoniale. Una forma frequente di decorazione è la pittura di
determinate zone o dell'intera superficie dell’oggetto, per mezzo di
vernici o lacche vegetali. Le superficie ed i componenti, fatti di ferro o
di bronzo, potevano anche essere patinati, attraverso le variazioni di
calore o chimicamente, come pure tramite il processo noto come
“doratura”.
I metalli, scaldandosi, nelle varie fasi della forgiatura assumono una
colorazione superficiale che cambia dal giallo alla porpora, fino
all'azzurro profondo man mano che il calore aumenta. Una volta
assunto dal fuoco ad una temperatura particolare, il metallo mantiene
questo colore anche dopo essersi raffreddato. Una considerevole
abilità era richiesta agli artigiani per realizzare colorazioni costanti su
ampie superfici, come per esempio su una piastra di una corazza, o
su interi gruppi di oggetti o su armature complete. Il colore favorito
per le spade era l’azzurro e il processo adottato per decorarle è noto
65
La scherma dei Greci
con il nome di brunitura. Una gamma diversa di colori poteva essere
anche prodotta chimicamente, usando varietà di metalli differenti per
luogo di estrazione e purezza. Oltre ad essere decorative, queste
tecniche avevano anche una funzione pratica, poiché inibivano la
comparsa di ruggine sulla superficie del metallo.
In Grecia, la tecnica di decorazione con vernice era certamente
conosciuta già nell'antichità, anche se nessun reperto di tale tipo è
stato conservato sino ai nostri giorni. E’ ipotizzabile, per confronto con
epoche successive, che esistesse anche un terzo tipo di
decorazione, almeno per le else e le impugnature delle spade: la
copertura mediante tessuti, cuoio colorato, o pelli lavorate finemente
e rivettate sulla superficie da ricoprire. Un procedimento decorativo
noto anche nell’antico Egitto, ma certamente già in uso anche in
epoche più remote, specie nelle regioni orientali, di cui tuttavia non ci
sono pervenuti esempi di contesto greco.
Anche l'applicazione di oro e di argento alla superficie dell'oggetto,
conosciuta generalmente come doratura, era una forma alternativa di
colorazione impiegata certamente per le spade. Il processo implicava
tradizionalmente l'applicazione di un foglio molto sottile di oro o di
argento alla superficie dell’elsa, con l'aiuto di un collante a base di
olio o acqua o, diversamente, l'applicazione di metallo in polvere
sospeso in un mezzo adeguato (vernice o lacca d'oro). Un metodo
più durevole però era la doratura a fuoco ed era usato comunemente
soprattutto sulle lame delle spade da cerimonia: l’oro, ridotto in
polvere fine, veniva unito con il mercurio al metallo già in fase di
lavorazione ed era riscaldato fino all’evaporazione del mercurio
stesso, lasciando l'oro legato alla superficie del metallo della lama. La
doratura era un processo impiegato soprattutto dagli armaioli
dell’Asia Minore, dunque si può ritenere che fosse un processo che i
Greci conobbero da artigiani orientali. L’ intarsio era un’altra tecnica
comune per la decorazione, applicata spesso sui manici di legno e
anche sulle superficie di metallo dell’elsa. Scanalature o veri e propri
disegni venivano intagliati od incisi sulle superficie lignee e, poi,
riempite dello stesso materiale ricavato dall’intarsiatura. Le superfici
del metallo erano intarsiate solitamente con altri metalli, quali oro,
argento, o leghe di rame. Possiamo supporre che fossero in uso
anche tecniche di intarsio con avorio, osso e ambra.
Mentre il materiale organico poteva essere tenuto in loco con l’uso di
colla o di chiodi, l'intarsio del metallo richiedeva una tecnica
differente. In primo luogo, i lati delle cavità che dovevano alloggiare
l’intarsio erano tagliati in un profilo a coda di rondine; poi, materiali più
fluidi, come oro o argento liquidi, venivano colati nella cavità e il
calore provvedeva a fonderli insieme con i lati della concavità. Questa
tecnica d'intarsio è oggi nota con il nome di damascatura lineare, un
termine che allude alla città di Damasco, in Siria, e tradisce le origini
orientali di questo processo, certamente noto già nel periodo
ellenistico. Una tecnica più facile e meno costosa di intarsio era la
legatura dell'argento, nota come falsa damascatura. In entrambe il
66
La scherma dei Greci
metallo generalmente è brunito a livello della superficie; quando
invece grandi quantità d'argento o d'oro sono lasciate
deliberatamente sporgere in rilievo sopra la superficie dell'oggetto, la
decorazione è denominata incrostazione.
Questa tecnica di decorazione è certamente conosciuta già durante il
periodo miceneo e lungo tutta l’età del ferro, anche se fu poi
soppiantata in epoca classica dalla tecnica della colorazione.
Con il termine smaltatura ci riferiamo invece a diversi processi di
utilizzo di colle di vetro fuso. Gli incavi ricavati su una superficie
metallica (cloisonné) o i tagli e le scanalature della lavorazione
(champlevé) venivano in questo caso riempiti di colla di vetro
colorata. L'oggetto era poi infornato in modo che la colla in polvere si
fondesse e legasse con la base del metallo; infine, la superficie
dell'oggetto veniva lisciata e lucidata. Metodi rudimentali di smaltatura
sembrano essere conosciuti fin dal II secolo a.C., anche se, a causa
del loro elevato costo, non erano usati spesso. La goffratura era il
processo usato su una piastra di metallo per sbalzare dalla parte
interna decorazioni e semplici motivi geometrici, in modo che il
disegno comparisse in rilievo sulla parte esterna (repoussé). Questi
disegni potevano variare da semplici creste a scanalature e modelli
geometrici, e, più raramente, a disegni figurati molto elaborati, di
qualità scultorea. Gli oggetti di cuoio o ricoperti in cuoio, quali gli scudi
o le stesse impgnature delle spade, potevano essere decorati usando
la stessa tecnica, ma disegni simili potevano anche essere “timbrati”
o premuti nella superficie usando appositi stampi. La tecnica dello
sbalzo dall’interno, inoltre, è stata applicata spesso ai fogli d’oro o di
argento, che poi venivano usati nella doratura. Il disegno a sbalzo
poteva essere rifinito dettagliando il motivo dalla parte esterna con
uno scalpello. Nota in Europa dall'età del Bronzo, questa era una
tecnica molto usata in Grecia nel periodo classico ed ellenistico, ma,
stranamente, divenne estremamente rara durante le epoche
successive, fino a scomparire quasi del tutto nel Medioevo per poi
rinascere nel XIV secolo.
L’ incisione era un’altra tecnica tipica del mondo greco, in cui i modelli
o le iscrizioni decorative venivano tagliate sulla superficie del metallo
con un attrezzo aguzzo, anch’esso di metallo indurito (burin). Quando
la decorazione è costituita da un modello di puntini perforati nella
superficie, il processo è conosciuto con il nome di pointillé .
L’incisione è probabilmente una tra le più antiche forme di
decorazione in assoluto e può essere trovata tanto sulle armi dell’età
del Bronzo quanto su quelle dell neolitico. Esempi di decorazione
incisa compaiono spesso sulle lamierine delle else delle spade
greche, anche se la tecnica poteva in effetti essere molto più vecchia.
La scultura e la cesellatura, infine, erano forme di decorazione
altrettanto antiche: le parti in avorio o in legno delle armi, quali l’elsa
della spada o il manico della lancia, potevano essere intagliate a
basso o alto rilievo, ma non mancano casi di tutto tondo scultoreo.
67
La scherma dei Greci
Sull'armatura questo procedimento decorativo è raro Quando la
tecnica di scultura è applicata al metallo, ci si riferisce solitamente ad
essa come alla tecnica del ferro tagliato o ferro cesellato. La
cesellatura del metallo e la tecnica della damascatura, della quale
abbiamo già detto, sono spesso confuse dagli studiosi, sebbene
fossero metodi di decorazione diversi.
La dieta dell’oplite
Sembra utile, per concludere questa trattazione, fornire qualche
elemento per la comprensione del mondo della vita quotidiana
dell’oplite. Tra le tante informazioni che possediamo dalle fonti
letterarie, si è voluto trattare l’argomento dell’alimentazione, poiché,
rispetto ad altri, ha maggiori implicazioni nella resa fisica e, quindi, in
qualche modo influenza, seppur indirettamente, tecniche e tattiche di
combattimento.
Molti ingredienti della attuale dieta mediterranea, quali pomodori e
patate, sarebbero stati importati in Grecia solo molto dopo l’epoca di
cui qui si tratta. Le arance ed i limoni dell'India, inoltre, comparvero
nel Mediterraneo orientale solamente nei periodi Bizantino ed
imperiale. La dieta greca antica era sostanzialmente differente da
quella della Grecia moderna. L'orzo era il cibo base mangiato
dall'uomo comune, trasformato in pane azimo, o mangiato come
alphìta: un genere di pastella semifluida ottenuta dall’ orzo sbucciato,
macinato e bollito. Dunque, fondamentalmente, l’alimentazione era
basata sulle proteine vegetali, ricavate sia dall’orzo sia dalle
leguminose, consumate altrettanto in abbondanza. Il fabbisogno di
carboidrati era soddisfatto, nel mondo greco, prevalentemente grazie
al consumo di fichi freschi o secchi.
L’apporto calorico di un pasto era quotidianamente integrato con
frutta o verdure stagionali, quando erano disponibili, che garantivano
una discreta quantità di vitamine. I fichi e l'uva erano consumati in
abbondanza, ma anche mele, pere, gelsi e datteri. I fichi, in
particolare, sarebbero stati spesso accompagnati con i cereali.Il
pesce, fresco se possibile o, altrimenti, conservato sotto sale, doveva
essere un’altra fonte molto importante di proteine, mentre la carne
era consumata solo occasionalmente. Il pesce sotto sale,
denominato tàrichos, era importato nelle città della Grecia in quantità
enormi, particolarmente dal Mar Nero, assai generoso di tonni.
Recenti studi dimostrano che il pesce conservato in questo modo
rimane commestibile per circa un anno, benchè soffra una perdita di
peso del 50% e di una perdita del 15% di proteine, nonché del 50%
di vitamina B.
68
La scherma dei Greci
Erano indubbiamente poco costosi questi cibi che costituivano
comunemente il rancio dell' oplite greco, come ci viene confermato
dalla commedia di Aristofane, Acarnesi, del 425 a.C. In un passaggio
del testo (versi 1097-1101), Aristofane descrive come il generale
ateniese Lamaco imballa del sale mescolato con timo, cipolle e
tarichòi, avvolti in foglie di fico, nel suo gùlion, un paniere di vimini per
il trasporto delle razioni dell'oplite. Aristofane non accenna ai chicchi
d'orzo che la maggior parte degli opliti consumavano sul campo, ma
certamente conferma indirettamente che cipolle e tarichòi sono la
specie di derrate alimentari non deteriorabili che l'oplite greco
preparava più di frequente per intraprendere la campagna. Il sale
mescolato con timo, cui accenna l’autore, era usato come un
condimento per aggiungere gusto a questi alimenti, altrimenti
piuttosto insipidi, forse quando cominciavano a decomporsi e l'oplite
era costretto a mangiarli comunque durante la campagna; tuttavia
l’autore latino Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia (XXI, 157),
dice anche che il timo mescolato al sale poteva servire come efficace
metodo per far perdere l'appetito. Al contrario, Senofonte, nella
Ciropaedia (VI,. 2.31), suggeriva che le carni dovessero essere
alquanto salate, per stimolare l'appetito oltre che per renderle più
durevoli. Nella famiglia greca poteva essere preparata una vasta
gamma di salse per dare a questa dieta, per la verità piuttosto
fondamentale e monotona, un certo gusto; ma, per l'oplite greco sul
campo, sarebbe stato improbabile avere il tempo o l'occasione per
effettuare cotture complicate.
69
La scherma dei Greci
Note
1 - Competizioni atletiche si svolgevano anche in occasione di celebrazioni religiose e culti di eroi, o in
onore di defunti, ecisti –in genere eponimi di colonie- o personalità della vita pubblica. L’agone funebre
era regolato da leggi proprie e non riteniamo appartenesse appieno ad un concetto di sport. Tuttavia è
necessario almeno notare come la mentalità greca fosse improntata al confronto ed alla gara con
intenti celebrativi, quasi che l’onore del defunto fosse accresciuto dalla fatica agonistica dei vivi; era
questo un retaggio dell’epoca dei palazzi, che divennero, nell’evo arcaico e classico, vere e proprie
mete di culto (Argo, Micene), sulla scia della diffusione dei poemi omerici e dell’epica in generale.
L’agone sportivo affondava effettivamente le sue radici nell’epoca micenea e anche i poemi omerici ne
delineano l’esistenza in quell’epoca, al di là di ogni dubbio di contaminazione storica. Il canto XIII
dell’Iliade ne è un esempio:
[…]Surto in piedi allor disse: Atride, Argivi,
gioventù bellicosa, a voi dinanzi
ecco i premii che attendono nel circo
degli aurighi il valor. S'altra cagione
questi ludi eccitasse, i primi onori
miei per certo sarìan, ché la prestezza
de' miei destrieri non ha pari, e voi
lo vi sapete: perocché son essi
immortali, e donolli il re Nettunno
al mio padre Pelèo, che a me li cesse.
Queto io dunque starommi, e queti insieme
i miei cavalli. I miseri perduto
hanno il lor forte condottiero e mite,
che lavarne solea le belle chiome
alla chiara corrente, ed irrorarle
di liquid'olio rilucente; ed ora
piangonlo immoti, colle meste giubbe
al suol diffuse, e il cor di doglia oppresso.[…]
L’occasione per l’agone è la celebrazione funebre in onore di Patroclo ed Achille è, in questo caso, il
giudice unico della gara che vede opposti i migliori tra gli Achei.
2 - Naturalmente è possibile che, nella descrizione della vestizione, la ragione per cui si cita prima la
spada possa essere più semplicemente dovuta al fatto che, per sospenderla all'omero, bisognava
indossare il relativo fornimento prima dell'elmo e delle altre parti dell’armatura.
3 - I colpi portati all’elmo servivano piuttosto a percuotere il capo dell’avversario che non per rompere
l’elmo stesso. Per analogia possiamo osservare che, anche nel Medioevo, difficilmente le pesanti
armature dei cavalieri venivano perforate di punta o di taglio (le analisi paleo-patologiche sui resti
ossei di molti caduti in battaglie campali e scontri di cavalleria avvenuti nell’antichità, dimostrano che la
morte interveniva principalmente per trauma cranico e frattura dell’osso parietale, quasi mai per traumi
lacero-contusi o ascrivibili a perforazione).
4 - Anche le spade cosiddette lunghe, usate nell’epoca del bronzo, o quantomeno considerate più
lunghe rispetto agli altri esemplari che vengono comunemente definiti spade corte lacedemoni, di
epoca tardo classica, non venivano usate a due mani. Tutte le raffigurazioni pittoriche e le descrizioni
letterarie ci mostrano guerrieri che impugnano l’arma con una sola mano, e nell’altra, semmai,
tengono uno scudo.
5 - L’uso della mano sinistra non è descritto in relazione all’uso della spada o di altre armi né nelle fonti
letterarie né tanto meno in quelle iconografiche. E’ logico supporre che ciò sia dovuto ad una
semplificazione ricercata dai pittori di vasi e ad una sostanziale disattenzione al problema delle
tecniche schermistiche da parte degli autori contemporanei; tuttavia è anche possibile ritenere che la
mano destra fosse considerata più pura della sinistra e quindi più adatta a maneggiare l’arma quale
simbolo di giustizia. Nella disposizione della falange, inoltre, un guerriero mancino non avrebbe trovato
70
La scherma dei Greci
agevolmente posto, poiché avrebbe ostacolato il compagno al fianco. Inoltre bisogna ricordare che,
nella falange, l’oplite teneva lo scudo con la mano sinistra, proteggendo con esso non il proprio corpo,
ma quello dell’oplite disposto al suo fianco.
6 - Lico, in effetti, colpisce sì Peneléo -che non avrebbe certo potuto schivare un fendente alla testa
semplicemente abbassandosi-, ma la lama della sua spada si frange contro l’elmo dell’avversario.
Penelèo, che verosimilmente doveva aver comunque subito una spinta verso il basso a seguito del
colpo che lo raggiunge alla testa –fortunatamente per lui fermato dall’elmo-, colpisce Lico con un colpo
portato dal basso verso l’alto, trovandosi in una posizione simile a quella finale della passata sotto
contemporanea, quasi certamente in equilibrio precario e forse anche con una mano poggiata al
suolo.
7 - Si tratta di una deduzione che deriva dall’osservazione iconografica: tutte le armi appese all’omero,
sia nei vasi attici di VI secolo sia in quello corinzi coevi, sono spade corte.
8 - Dall’analisi delle fonti letterarie, anche nelle descrizioni di duelli abbastanza elaborati, si può notare
che lo scontro si risolve nello scambio di pochi colpi e raramente si cita l’uso dello scudo per parare, il
che è giustificato nel testo da una sorta di licenza poetica che faceva della spettacolarità del duello la
chiave della sintesi mnemonica dell’aedo che declamava il passo; se i nostri eroi avessero parato ogni
colpo, il duello si sarebbe allungato oltre i tempi consentiti dalla poesia. Al di là della semplificazione
operata dai poeti, la capacità di usare gli scudi non era certo spinta al massimo e questo
sostanzialmente per due motivi. Il primo e più ovvio consiste nel peso degli stessi, peso per il quale
non era facile -dopo aver parato per esempio un colpo alla testa-, portare rapidamente lo scudo a
difesa del fianco o dell’addome. Scudi più leggeri furono inventati solo a metà del VI secolo, in
concomitanza con l’introduzione di diversi sistemi di imbracatura e di impugnatura degli stessi. La
seconda dimostrazione del fatto che i guerrieri omerici non erano granché bravi nell’uso dello scudo è
data dalla quantità di ferite al petto e all’addome citate nei diversi passi e raffigurate dalla iconografia
anche di epoca classica.
9 - Usando il database del Perseus e ricercando la parola spada (nelle varie forme greche) si rinviene
a proposito dell’uso della spada solo questo passo; molte altre ricorrenze del termine sono usate in
forme del tipo “portava la lunga spada al fianco” etc., ma non ne descrivono l’uso. Più frequenti invece
i passi in merito all’uso di lancia ed arco (Odùsseos era un arciere, non uno schermitore, molto più
simile a Robin Hood, la cui leggenda, nel momento della gara che gli permette di vincere la propria
amata ha dei tratti che assomigliano molto alla gara vinta da Odisseo prima della strage dei Proci).
10 - In effetti, fino all’età pre-classica non vi era una vera distinzione: cioè tanto era importante il
duello, tanto lo era il combattimento individuale in guerra, che si svolgeva più che altro come duello tra
i capi degli schieramenti opposti. Vi era coincidenza sociale tra i campioni che si sfidavano in guerra e
chi, nella società, detenendo il potere delle armi, deteneva anche una maggior forza politico-socialeeconomica. Con l’epoca arcaica, ed ancor di più in quella classica, vi è un mutamento di valori
sostanziale: il duello non esiste più e il combattimento individuale è cosa di tutte le classi sociali,
benché la collettività sia il valore primo.
11 - Il duello inteso come insieme ordinato e regolato di azioni schermistiche tra due avversari
d’”onore” in effetti non esisteva; esiste qualche testimonianza letteraria (orazioni di Lisia in particolare,
ma si renderebbe necessario verificare tutte le occorrenze con una ricerca specifica) di uccisioni per
vendicare un torto subito, e anche testimonianze di processi intentati a persone che avevano ucciso
con le armi qualcun altro. Se nella società post-micenea (un po’ come nel nostro Medioevo, e le
analogie non finiscono qui, tanto da meritare per i secoli XII-IX il nome di Medioevo Ellenico) saper
usare la spada, quindi possedere tecniche schermistiche, poteva salvare quotidianamente la vita, in
epoca classica, con il subentrare di una società di leggi, il ruolo attribuito alle armi venne a deteriorarsi:
era più importante saper parlare nell’agorà che non saper usare le armi. Ora far approvare una legge
o farsi cedere il passo per la strada era divenuta una questione di parole; non che non esistessero più
gli scontri armati (vedi tra i tanti esempi lo scontro tra Edipo e il padre Laio nell’Edipo Re di Sofocle),
ma si trattava di omicidi condannati dalla legge (sociale e/o morale), proprio come per noi oggi anche
lo sparare ad un individuo che ci sta derubando può essere un reato, mentre nella Sicilia di fine ‘700 o
71
La scherma dei Greci
nella California del ‘800 non lo era: in questo senso possiamo dire che oggi saper usare o meno una
pistola non è fondamentale per la nostra vita sociale e non crea una vera distinzione di classe, proprio
come circa l’uso delle armi bianche nella Grecia classica.
12 - Il disegno mostra solo la prima linea di ciascuna delle falangi contrapposte: disegnando anche la
seconda linea sarebbe più chiaro che piccoli gruppi di ciascuna falange, diciamo segmenti delle varie
linee, si contrapponevano a segmenti delle altre. In pratica le due falangi si compenetravano
capillarmente. La falange che riusciva a mantenere le varie linee il più possibile estese
orizzontalmente avrebbe vinto (come nel gioco della dama), ma questo probabilmente succedeva di
rado: dopo i primi contatti la situazione diveniva confusa; i Greci non lo apprezzavano di certo e forse
ritenevano che da quel punto in poi il combattimento divenisse qualcosa di “sporco”, perché
fondavano sulla compattezza della falange una vera e propria etica sociale oltre che di guerra. Anche
da questo si può ipotizzare il poco amore per la spada, l’unica arma utile a quella distanza, perché
usare la spada significava che la falange si era ormai disunita e lo scontro si era fatto disorganizzato.
13 - Bisogna fare un distinguo tra lancia dell’oplite, lancia del guerriero dell’età del bronzo (omerici) e
giavellotto. La lancia dell’oplite era un’arma che serviva per sfondare le linee: veniva tenuta sottomano
in posizione orizzontale, al fianco dell’oplite, che si proteggeva il corpo con lo scudo. La prima linea di
una falange doveva apparire come una compatta massa di scudi da cui usciva una quantità di punte
di lancia ed era con questa configurazione che si preparava all’impatto. L’oplite non scagliava
praticamente mai la lancia: sarebbe morto in fretta se l’avesse lanciata troppo da lontano e una volta
avvicinatosi al nemico sarebbe dovuto ricorrere alla spada. Inoltre le fila erano troppo compatte per
gestire quasi due metri di lancia, caricare e lanciare efficacemente: teniamo presente che tra due
compagni di falange dovevano esserci meno di 40 cm, e dal compagno che stava nella fila innanzi o
in quella dietro meno di 50 cm (non era considerato onorevole rompere troppo le fila). Per contro,
nell’età del bronzo esisteva una dotazione di armi più variegata (non c’era ancora stata la
standardizzazione che interverrà con la falange) e non ancora del tutto precisata dal punto di vista
archeologico. Certamente esistevano lance brevi, che però dovremmo meglio chiamare “giavellotti”,
poiché appositamente studiati per essere lanciati. Quanto alla scarsa preferenza che i Greci
avrebbero accordato all’uso della spada, esso rientra forse in una concezione di vero e proprio orrore
per il “ferro” che si attestò in età classica. Anche quando si poterono costruire lame più resistenti, non
ci fu mai un vero boom dell’uso della spada e mai una produzione di carattere pre-industriale. La lama,
come del resto il sangue, era vista con una certa ostilità dalla cultura greca: si pensi che ad Atene, in
epoca classica, si istruivano veri e propri processi con tanto di collegio di giudici, che dopo i sacrifici
animali in occasione di alcune feste religiose (Panatenee e altre) si riunivano per giudicare ritualmente
la colpevolezza del coltello che era stato usato per sgozzare l’animale e, condannatolo, provvedevano
a gettarlo dalla Acropoli o dall’Areopago, fuori dalle mura sacre della città.
14 - Nelle battaglie oplitiche del periodo classico la lancia era più spesso usata per colpi di stocco e
veniva portata sottomano dagli opliti delle prime tre fila della falange, che cercavano di trovare per le loro
lance un varco tra gli scudi dello schieramento opposto. A distanza più ravvicinata, ma non ancora
abbastanza da rendere utile l’uso della spada, le lance venivano invece portate sopramano e i colpi erano
scagliati dall’alto verso il basso.
15 – Converrà affrontare qui il tema della cronica mancanza di studi specifici relativi alle armi dei Greci. A
parte rari interventi, di cui il testo di Snodgrass è un esempio tra i più significativi, sembra delinearsi un
vuoto relativo all’evoluzione ed alla cronologia specifica delle attrezzature belliche dall’epoca arcaica a
quella ellenistica. In verità, storici ed archeologi, in questo senso, ci forniscono una cronologia a maglie
ancora piuttosto larghe, che ci permette di stabilire soltanto a grandi linee l’evoluzione di spade, corazze,
elmi e scudi. Gi storici come Victor Davis Hanson e William Pritchett hanno preferito affrontare
l’argomento della guerra dei Greci sotto il profilo sociologico, politico e tattico, arrivando a descrivere con
molta precisione, sulla base delle fonti letterarie, lo scontro delle falangi; al contrario il lavoro di Snodgrass
si concentra sull’analisi delle armi in se stesse, ma non è in grado di elevarsi a studio definitivo
sull’argomento a causa della mancanza di un collegamento davvero profondo tra le evidenze
archeologiche e la tipologia cronologica delle armi in questione. Se autori come Donlan e Thompson, a
metà degli anni ’70, hanno studiato gli eventi di Maratona con i più moderni mezzi messi a disposizione
dall’Archeologia sperimentale e dalle scienze moderne, la maggior parte degli archeologi non si cura
72
La scherma dei Greci
invece di analizzare il problema specifico dell’evoluzione degli armamenti. Gli scavi nella piana di
Maratona, che hanno portato in luce una certa quantità di armi relative alla famosa battaglia del 490 a.C.
e gli scavi di Salamina, Termopili, Cheronea, parimenti ricchi di reperti provenienti da sepolture di massa
dei caduti nelle relative battaglie, meriterebbero una revisione volta ad evidenziare una cronologia più
dettagliata e che tenga in maggior conto le differenze che si possono riscontrare anche tra armi del
medesimo tipo: la tipologia archeologica di per sé non dispone infatti degli strumenti necessari per
valutare i minimi dettagli di un’arma dal punto di vista dell’utilizzatore (contenute variazioni di peso, punto
di equilibrio, diverse conformazioni dell’impugnatura) ed è in grado di evidenziare soltanto le differenze
macroscopiche tra le armi (ad esempio distinguere tra una sciabola ricurva ed una spada dritta).
16 – L’ispessirsi del ferro verso la punta poteva anche migliorare la capacità di penetrazione nelle solide
corazze di bronzo.
17 – Le differenze tra i diversi tipi di sciabola ricurva sono esposte dagli studiosi in termini molto
divergenti; in realtà il materiale a nostra disposizione non è ancora stato del tutto organicamente
analizzato e le stesse fonti letterarie non sempre sono chiare nel definire le differenze tra un’arma e l’altra,
usando termini generici per descriverle. Anche oggi, nel linguaggio comune, sciabola e fioretto vengono
spesso impropriamente definiti “spada”; così doveva accadere anche per gli storici greci, che non
padroneggiavano un linguaggio specifico. Bisogna però notare che Erodoto, Tucidide e Senofonte, per
citare solo gli storici più noti, avevano tutti prestato servizio militare e partecipato alle battaglie oplitiche in
prima persona; questo ci induce a pensare che l’inadeguatezza del linguaggio specifico rimandi più che
altro ad un disinteresse degli stessi antichi verso le caratteristiche tecniche delle armi. L’oplita sceglieva la
propria arma, o ne veniva dotato dalla città stato, senza grande perizia e non era forse del tutto
consapevole della specificità di ciascuna. Tuttavia i Greci si dimostrarono pronti nell’accogliere armamenti
migliori provenienti dall’Oriente e nell’evolvere la dotazione dell’oplite. Dobbiamo, quindi, forse pensare a
figure di tecnici specializzati che si applicavano alla ricerca di nuove soluzioni, anche se le fonti
contemporanee tacciono in proposito, lasciando aperto un interrogativo circa la reale portata dell’interesse
dei Greci per il proprio armamento bellico. Se è vero, come riporta Erodoto, che i Greci sconfissero il
temibile esercito Persiano con la superiorità del proprio spirito di corpo e con l’unione della falange, è pur
vero che una vittoria così schiacciante non sarebbe stata possibile in assenza di un armamento
veramente superiore a quello del nemico, sebbene questo fatto passi pressoché inosservato agli storici
contemporanei a questi fatti.
18 – Si trattava di un problema duplice: per prima cosa la necessità di poter usare un ferro corto al
momento del combattimento ravvicinato, il che implicava certamente una maggior rapidità ed agilità sotto
misura; vi è poi da considerare che, marciando a ranghi stretti e volendo tenere unita la falange il più a
lungo possibile, l’uso di armi a ferro troppo lungo non sarebbe stato affatto comodo, risultando anzi
pericoloso per il compagno di fila. La spada corta era portata sottomano, anche a stretta misura, come
dimostrano le evidenze figurative provenienti da numerosi bassorilievi e ceramiche e richiedeva una
particolare posizione di guardia (gamba sinistra avanzata, busto leggermente arretrato), attestata dalla
documentazione iconografica proprio in relazione a questa tipologia di arma. Se è opinabile
l’affermazione di Hanson secondo cui, rotta l’unione della falange, il combattimento che ne seguiva con la
spada lunga si risolveva nel menar colpi alla cieca senza alcuna perizia tecnica, è certo, al contrario, che
dopo l’introduzione della spada corta si possono ravvisare nei combattimenti dell’oplita greco tutti e tre i
principi fondamentali della scherma: tempo, velocità e misura. Un ferro corto richiedeva infatti una
maggior capacità di controllo da parte dell’oplite e, in certa misura, rendeva certamente più ampia la
varietà di colpi a sua disposizione.
19 – Lo svolgersi dell’azione diventa meglio comprensibile nell’ipotesi che il colpo portato dall’oplite
spartano caduto a terra sia indirizzato verso l’inguine del nemico, ancora in piedi davanti a lui.
Diversamente la morte di entrambi non sarebbe stata un evento probabile: se lo spartano avesse preso il
tempo all’ateniese, questi, con la sua lancia lunga, sarebbe passato oltre al bersaglio, mancandolo; al
contrario se lo spartano caduto a terra avesse cercato di colpire l’ateniese al petto con la sua spada corta,
non avrebbe certo potuto raggiungerlo contemporaneamente o addirittura prima che egli avesse sferrato
il colpo verso il basso con la sua lunga lancia. L’inguine, come il collo, era uno dei bersagli preferiti, poiché
le corazze dell’epoca classica lasciavano scoperti questi punti del corpo, permettendo più facilmente di
raggiungerli con un colpo.
73
La scherma dei Greci
20 – Gli elmi in bronzo ritrovati arrivano a pesare sino a 1 Kg, senza contare che, sotto il sole dell’estate
greca, dovevano procurare una fastidiosa sensazione di calura e di soffocamento. Per questo alcuni
studiosi ritengono che gli opliti indossassero l’elmo solo appena prima dello scontro tra le falangi e
sostengono questa ipotesi sulla base delle numerose raffigurazioni che ci mostrano opliti con l’elmo
alzato sopra la nuca. In effetti è alquanto improbabile che, negli ultimi 200 metri di avvicinamento alla
falange nemica, lanciati in corsa ad una velocità che è stata valutata da Donlan e Thompson in 10 km/h e
stretti a circa 30 cm l’uno dall’altro, reggendo la lancia con la mano destra e lo scudo con la sinistra, in
posizione di combattimento, gli opliti avessero il tempo di abbassare l’elmo sul viso pochi istanti prima
dell’urto con la prima linea del nemico. Certamente però, nei momenti di riposo o anche per parlare tra
loro o ricevere gli ordini dovevano sollevare l’elmo sul capo, un gesto istintivo che anche lo schermitore
moderno, la cui maschera pesa fino a 8 volte meno dell’elmo antico, sente spesso il bisogno di compiere.
21 – La tipologia e la denominazione degli elmi qui adottata è quella più comunemente usata dagli
archeologi; per una trattazione più dettagliata e per una disquisizione sulle diverse controversie circa la
corretta denominazione delle diverse varianti di elmo si rimanda al lavoro di Snodgrass.
22 – Il peso di una corazza raggiungeva anche i 35 Kg, e sommando il peso dello scudo, degli schinieri e
dell’elmo al peso corporeo di un uomo greco di media corporatura, il peso complessivo dell’oplite
superava i 100 Kg (Donlan e Thompson, The Charge at Marathon, Classical Journal LXXI, 1976).
23 – La formazione a quattro è rappresentata in numerosi vasi dipinti: si tratta certo di una semplificazione
del pittore, che non poteva rappresentare un’intera falange (composta in media da 8 fila e anche fino a 50
colonne); tuttavia alcuni studiosi ritengono di poter ravvisare in quest’uso un retaggio dell’epoca omerica,
fonte primaria di ispirazione anche per gli artisti dell’epoca classica e dunque ritengono possibile che primi
esperimenti di falange con un numero ridotto di uomini fossero già stati attuati tra i secoli X e VIII.
24 – In effetti facciamo qui riferimento ad una scarsità di conoscenze che per alcuni studiosi è opinabile,
così come opinabile sarebbe il fatto che i combattimenti in epoca ellenistica sarebbero stati individuali.
Leggendo Snodgrass si potrebbe ricavare la convinzione opposta, ma resta il fatto che a partire dal IV
secolo a.C. nuove tattiche e nuove armi resero profondamente diverso il modo di combattere dei Greci.
La falange macedone, pur analoga nei principi, era molto dissimile da quella del periodo classico e a
Cheronea, nel 338 a.C. mostrò tutta la sua superiorità nella battaglia che vide il trionfo di Filippo il
Macedone sulla coalizione spartano-ateniese. La sarìssa, nuova arma da lancio, costituì un’innovazione
importante ed il ricorso alla cavalleria ed a gruppi di soldati armati alla leggera, impegnati in compiti di
ricognizione e disturbo, ci portano nel quadro di una guerra tatticamente molto più moderna. Il figlio di
Filippo, Alessandro Magno, completò il processo di sperimentazione bellica iniziato dal padre. Alla sua
morte, nel 323 a.C., con l’inizio del periodo ellenistico, il modo di fare guerra dei Greci era ormai già
sostanzialmente diverso. L’unità tipo di fanteria era rappresentata da un soldato armato alla leggera, privo
di corazza o dotato di una corazza di solo lino e cuoio, senza scudo o con uno scudo molto piccolo, simile
alla rotella medievale o al boccoliere. La spada dovette assumere un’importanza maggiore, perché
questo genere di fante non era adatto al combattimento nelle fila di una falange, e comunque l’idea
stessa che stava alla base della falange di epoca classica, quella cioè della forza d’urto e della coesione
dello schieramento, aveva ormai lasciato spazio ad un concetto di guerra diverso. Per questo motivo
possiamo affermare che lo scontro tra gli opliti era ormai un fatto individuale. Sopravvivere o morire
dipendeva in misura molto maggiore dalla propria perizia nel maneggio dell’arma e molto meno dalla
vicinanza con i compagni d’armi. Dunque la battaglia si presentava come la somma di molteplici scontri
individuali, non certo intesi nel senso eroico della battaglia dei campioni o nel senso del più moderno
duello d’onore, ma comunque pur sempre scontri schermistici veri e propri combattuti tra due avversari.
25 – Si è cercato di rimanere il più aderenti possibili alle fonti; letterarie, scultoree o pittoriche che siano,
esse ci mostrano una certa semplicità nel combattimento. La realtà, tuttavia, poteva non essere tale e
indizi in questo senso sono l’uso di armi a ferro corto, il disuso generale delle corazze sul campo di
battaglia, che rendeva maggiore la varietà di bersagli raggiungibili ed un generale senso di progresso che
permea il concetto di guerra in epoca ellenistica. Certamente non possiamo che intravedere la punta
dell’ice-berg di un complesso di conoscenze storico-archeologiche che debbono essere approfondite e,
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soprattutto, corredate da dati ed evidenze scientifiche incontrovertibili. L’augurio che possiamo qui
formulare è che, in un prossimo futuro, nuovi scavi e nuove indagini filologiche portino alla luce manuali e
testi dell’epoca, che certamente dovevano esistere e che, se ritrovati, potrebbero dare un senso al
materiale archeologico sinora recuperato. Del manuale di Enea il Tattico ci è pervenuto solo il capitolo
relativo all’arte dell’assedio delle città, ma molto ancora resta da scoprire sui precetti della scherma greca
e sulle modalità di insegnamento degli stessi. L’esigenza di studi specifici è, in questo senso, una
necessità ormai divenuta incontrovertibile.
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Bibliografia
Opere e testi
Letteratura essenziale in merito agli argomenti trattati
Opere di carattere generale
Charbonneaux, Martin, Villard. La Grecia arcaica. Milano : Rizzoli
Editore, 1969
Charbonneaux, Martin, Villard. La Grecia classica. Milano : Rizzoli
Editore, 1969
Charbonneaux, Martin, Villard. La Grecia ellenistica. Milano : Rizzoli
Editore, 1969
Boardman. Athenian Black Figure Vases. London: Thames &
Hudson, Ltd, 1997.
Boardman. Athenian Red Figure Vases. The Archaic Period.
London: Thames & Hudson, 1996.
Boardman. Athenian Red Figure Vases. The Classical Period.
London: Thames & Hudson, 1989.
Mossè, Schnapp-Gourbeillon. Storia dei Greci. Roma: Carocci
Editore, 1997
Daverio. Città Stato e Stati Federali nella Grecia Classica. Milano:
LED, 1993
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La scherma dei Greci
Opere sulle tecniche militari
Anderson. Military Theory and Practice in the Age of Xenophon.
Berkeley: University of California Press, 1970.
Bettalli. Enea Tattico e l'insegnamento dell'arte militare. Siena: AFLS,
1986
Bettalli. Enea Tattico, La difesa di una città assediata. Siena: AFLS,
1990
Connolly. Greece and Rome at War. London: Greenhill Books, 1998.
Connolly. The Greek Armies. London: MacDonald Educational, 1977.
Hanson. The Western Way of War. New York: Oxford University
Press, 1989.
Oakeshott. The Archaeology of Weapons: Arms and Armour from
Prehistory to the Age of Chivalry. Dover: Dover Publications, 1996
Sekunda. The Ancient Greeks. Osprey Élite Series #7. London:
Osprey Publishing, 1986.
Sekunda. Greek Hoplite, 480-323 BC. Osprey Warrior Series #27.
Oxford: Osprey Publishing, 2000.
Sekunda. The Spartan Army. Osprey Élite Series #66. London:
Osprey Publishing, 1998.
Snodgrass. Arms and Armour of the Greeks. London: Thames and
Hudson, 1967
Warry. Warfare in the Classical World. New York: St. Martin's Press,
1980.
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Opere sullo sport nel mondo greco
Bernardini. Lo sport in Grecia. Bari: La Terza Editore, 1988
Blacklock, Kennett. Olympia, Warrior Athletes of Ancient Greece.
New York: Walker and Co., 2000
Gardiner. Athletic sports and festivals in ancient Greece. London,
1910
Middleton. Ancient Olympic Games. Chicago: Heinemann Library,
2000
Wilkinson. Governing élites. Studies in training and selection. New
York , 1969
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La scherma dei Greci
Indice
Indice degli argomenti
Premessa. .......................................................................................................... 3
La scherma nel tempo..................................................................................... 4
I Greci ed il loro apporto culturale................................................................. 6
Lo stato dell’arte nella ricerca........................................................................ 7
La scherma greca ed il concetto di sport .................................................... 9
Il quadro storico e le testimonianze archeologiche................................. 13
Il ruolo del guerriero nelle fonti omeriche ................................................. 16
La nascita delle poléis: dagli eroi agli opliti .............................................. 25
L’oplite e le tecniche sul campo.................................................................. 28
Le tecniche di combattimento individuale................................................. 33
Le spade greche dell’età del Bronzo .......................................................... 35
Le spade lunghe e le sciabole del periodo classico................................ 36
La spada corta lacedemone ......................................................................... 41
Evoluzione dell’elmo greco in epoca classica.......................................... 45
Evoluzione dell’armatura in epoca classica.............................................. 48
Il contributo delle arti figurative................................................................... 50
Ricostruzione letteraria di un duello ellenistico ....................................... 60
Le spade come oggetti d’arte ...................................................................... 64
La dieta dell’oplite .......................................................................................... 68
Opere di carattere generale.......................................................................... 76
Opere sulle tecniche militari......................................................................... 77
Opere sullo sport nel mondo greco............................................................ 78
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