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Annaflavia Bianchi e Paolo Pini: Post-elezioni che fare? Mission
(im)possible.
Paolo Pini | 3 marzo 2013 | Comments (0)
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DOSSIER ELEZIONI 2013, 19. Riceviamo il 3 marzo 2013 direttamente dall’Università di Ferrara il seguente
testo:
Elezioni: due no, il primo al sistema dei partiti italiano, il secondo alla politica di austerità. La credibilità
verso i primi e verso la seconda non ha più ragion d’essere. E’ un bene? E’ un male? Anzitutto sarebbe
bene riconoscere che l’austerità è stata bocciata dagli elettori, e con essa la politica germanocentrica
dell’Europa rigorista. E questo è un bene. Poi, riconosciamo anche che il centro-sinistra, quello
tradizionale, e la sinistra che la voleva condizionare da sinistra, altrettanto tradizionale, non ha raccolto
le ragioni del dissenso che si è incanalato invece in un non-partito. Se sia un male, lo dimostreranno i
mesi che seguiranno. Ora vi è una “Mission (im)possible!!!” da compiere. Realizzare un programma che –
al di la della protesta – accumuni Italia Giusta e MoVimento 5 Stelle. Sapranno dialogare i nostri eroi per
dare un governo al Paese, ed evitare governissimi, governi tecnici, governi del Presidente, e frittura mista
? Ecco alcune azioni su cui sarebbe essenziale convergere.
E’ passata una settimana circa dal risultato elettorale. Molte analisi sono state fatte, molte interpretazioni hanno
anche portato a discutere di possibili soluzioni politiche e di scenari di governo. Molti hanno capito. In Italia ma
anche in Europa. Altri forse fanno finta di non capire e perseverano nel pensare che si possa proseguire, più o
meno, come prima, in Europa più che in Italia.
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Tuttavia i dati di fatto appaiono chiari.
Il voto ha espresso due no: contro la politica di austerità e contro la politica offerta dai partiti tradizionali,
nessuno escluso.
Il 25% degli elettori si è rifiutato di andare al voto, un altro 25% circa ha votato un movimento non-partito.
Assieme fanno il 50% circa dei potenziali elettori, insoddisfatti della offerta politica tradizionale.
Fatto salvo meno del 10% circa che ha creduto nella linea della austerità coerente con il Governo Monti, il
rimanente 90% dei votanti per ragioni anche diverse si è espressa contro. Più dei 2/3 di questo 90%, quelli che
non hanno votato liste di centro-destra o destra, ha votato chiedendo o la fine tout court dell’austerità, oppure
una politica di crescita con attenzione al sociale, una lotta alle disuguaglianze ed ai privilegi sociali ed
economici, una maggiore progressività nella tassazione e minore evasione ed elusione fiscale, maggiori
opportunità di lavoro e prospettive di futuro per i giovani, una forte attenzione ai beni comuni e collettivi, senza
dilapidare ulteriori risorse pubbliche, anzi rinegoziando e riducendo il debito, perché questo è il solo modo per
riaffermare il ruolo dello stato che interviene direttamente sul mercato. Non meno stato, ma uno stato per la
collettività.
Un messaggio chiaro anche per l’Europa, per la Germania anzitutto, e per i paesi continentali che anche loro
hanno problemi causati dalla politica di austerità, pensiamo alla Francia, l’Olanda, la Danimarca, ai paesi nordici
e quelli dell’est europeo. Anche per alcuni di questi, i vincoli di bilancio (deficit e debito) rischiano di saltare.
Al margine, ma non molto al margine, di questi due no, segnaliamo altri due no. Il voto non si è indirizzato verso
la proposta politica offerta da PD e SEL, che è stata intesa in tutta la sua ambiguità tra rinnovamento e
continuità, e quindi non ha avuto il mandato di governare, né da soli né con altri al centro. Neppure però si è
indirizzato verso una proposta politica comunque tradizionale alla sinistra dell’altrettanto tradizionale voto al
partito maggioritario del centro-sinistra. Anche su questo occorre essere chiari. SEL ha raccolto pochissimo,
Rivoluzione civile quasi nulla. Chi voleva dare un voto a sinistra del PD ha scelto il M5S, risultato più credibile
sia nella protesta sia nella proposta.
Coloro che hanno rifiutato qualsiasi offerta politica disertando il voto, e coloro che votando hanno detto due
secchi no all’austerità ed alla politica che non cambia, ma che conserva, sommano a più del 70% dei cittadini
italiani potenziali elettori. A questi non può essere data come risposta la ingovernabilità post-elettorale ed il
ritorno immediato al voto. Tanto meno un governissimo, un governo tecnico, od altra frittura mista. Proprio
perché questi cittadini hanno chiesto una politica forte di cambiamento, occorre praticare questa politica di
cambiamento, adesso ! Il messaggio è stato inviato, ora sta alla politica trovare la risposta.
Quali sono le possibili cose da fare per un programma minimo di governo prima di andare di nuovo al voto?
Secondo noi le priorità su cui misurarsi nel Parlamento per una possibile convergenza tra Pd-Sel e M5S sono le
seguenti.
1.
Riforma elettorale – Costituisce la condizione per andare alle prossime elezioni, non affrontabili con il
presente sistema elettorale, per cui è indispensabile procedere con una riforma secondo il modello del
sistema maggioritario a due turni, su base circoscrizionale-regionale. Su questo è necessario costruire
convergenze tra Italia giusta e M5S.
2.
Costi della politica – Il finanziamento pubblico ai partiti è stato abrogato con un referendum in anni lontani,
ma il rimborso elettorale è un finanziamento pubblico camuffato, ed occorre eliminarlo come la volontà
popolare aveva chiesto. Inoltre dimezzare il numero dei parlamentari, tagliare emolumenti e vitalizi a vari
livelli, nel Parlamento, nei Consigli Regionali, e ridurre drasticamente il cumulo di pensioni e vitalizi. Per
ridurre i costi della politica ed in generale i costi pubblici: eliminare le Province ed attribuire le loro
competenze alcune al livello regionale altre ai livelli inferiori; aggregare i Comuni (soglia 5mila abitanti, se
non addirittura 10mila); definire un tetto massimo alle remunerazioni dei dirigenti pubblici.
3.
Legalità e fiscalità – Corruzione e legalità economica nella politica devono essere contrastate con la
reintroduzione del falso in bilancio, normative rigide sul conflitto di interessi, norme anti-corruzione, contro
il voto di scambio, lotta all’evasione fiscale, tracciabilità dei pagamenti, riduzione al minimo nell’uso del
contante, progressività dell’imposizione fiscale, riduzione della tassazione sul lavoro e sull’impresa,
patrimoniale per l’1% della popolazione più ricca.
4.
Spese militari - Drastico ridimensionamento degli investimenti ed impegni assunti per l’acquisto di nuovi
armamenti e riduzioni degli impegni internazionali negli scenari di guerra, privilegiando gli impegni
umanitari. La recente proposta di drastica riduzione delle spese militari ha raccolto un forte consenso
dell’opinione pubblica (per la cancellazione del programma degli F35, la campagna “Taglia le ali alle armi”
è stata sostenuta da oltre 650 associazioni). Ancora non sappiamo il costo dei 90 F35 il cui acquisto è
attualmente previsto; sappiamo però che il programma complessivo si avvicinerà ad una manovra
finanziaria, oltre 50 miliardi. E sappiamo che il bilancio pluriennale dello Stato prevede già per il Ministero
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della Difesa un progressivo aumento dai 20.935 milioni previsti nel 2013 ai 21.024 milioni nel 2015. Ma vi
sono altre spese nascoste in altri Ministeri. Questa sì che è una spesa sulla quale deve agire il massimo
rigore, superando il tabù che protegge la sfera militare.
5.
Beni comuni – Le risorse condivise dalle comunità, come l’ambiente, internet, l’acqua, le conoscenze e
l’informazione, le reti, la cultura, il territorio, le risorse naturali, l’ambiente, ed altri ancora, possono essere
gestiti in maniera più efficiente e sostenibile dalle comunità autonome piuttosto che dalle imprese private o
dallo stato. La gestione di quei “beni comuni” – alcuni dei quali i referendum del 2011 hanno riportato
(almeno sulla carta) nella sfera pubblica – deve essere sottratta al mercato e controllata principalmente
dalle comunità interessate. Il contributo dello stato deve portare a difendere e non a privatizzare i beni
comuni, investire nei beni comuni a partire dall’acqua, e dalla salvaguardia del territorio, dare segnali di
sostegno a scuola e università, difendere il sistema sanitario.
6.
Provvedimenti economici – La vera emergenza sta nel rilanciare l’economia italiana e creare nuova
occupazione. Ecco alcuni punti prioritari sui quali è necessario e urgente avviare un confronto e soprattutto
azioni politiche immediate. Su questi richiamiamo l’attenzione anche degli eletti del M5S dato che per quel
che sappiamo su alcuni non c’è un esplicito impegno organico nel programma del M5S.
6.1 Sì all’avvio di molte piccole opere a sostegno del territorio e del patrimonio culturale, dell’edilizia scolastica e
pubblica in genere, infrastrutture ritenute essenziali per la collettività. A tal fine occorre anche rivedere il Patto di
Stabilità che impedisce ai Comuni, anche virtuosi, di realizzare investimenti in infrastrutture, opere pubbliche e
attività per la salvaguardia del territorio.
6.2 Sì ad un piano energetico nazionale centrato sulle energie rinnovabili e l’efficienza energetica con
connessioni di rete dalla produzione di energia al consumo finale lungo tutta la filiera, e sì ad un piano dei
trasporti sostenibile urbano e non urbano, non centrato su infrastrutture inutili e costose contrastate dalle
comunità locali.
6.3 Sì ad un piano di lavoro annuale per i giovani, nella fascia di età 15-29 anni, dove si concentra una
disoccupazione del 40%. Si deve dare priorità alla attivazione di domanda pubblica: occorre assicurare una
domanda di lavoro diretta per servizi di pubblica utilità, servizi lavorativi remunerati almeno con 500 euro mensili,
per almeno 1.000.000 di giovani. Pensare al lavoro ed ai giovani è anche uno strumento di sostegno alla
domanda effettiva, che non troverebbe oggi supporto tramite una politica di detassazione delle nuove
assunzioni da parte delle imprese: una azione diretta del pubblico è necessaria a supplenza di un mercato
incapace di creare occupazione mediante stimoli microeconomici. Questo piano deve essere inteso come “lavoro
di cittadinanza”, strumento di partecipazione attiva e esito di una serie di politiche mirate alla “piena e buona
occupazione” che contrasta i fallimenti del mercato.
6.4 Sì ad una politica per l’innovazione tecnologica ed organizzativa nella produzione industriale e nei servizi
centrata sul cambiamento dei luoghi di lavoro e che sperimenti modelli di partecipazione diretta ed indiretta dei
lavoratori all’impresa, con responsabilizzazione tanto dei lavoratori quanto dei manager, che redistribuisca il
reddito prodotto invece di riproporre solo l’accoppiata “maggiore sforzo e maggiore flessibilità”. La dinamica
salariale deve mutare la sua rotta, e passare dal declino alla crescita, e ciò può avvenire coniugando
innovazione e partecipazione.
6.5 Finanza e credito – E’ urgente dare sostegno al credito alle piccole imprese, avviare lo sblocco dei
trasferimenti per commesse pubbliche, agire anche con una sospensione del pagamento di alcune imposte a
carico delle imprese. Non consentire il salvataggio delle banche prevedendo che i costi dei fallimenti delle
stesse vengano sostanzialmente scaricati sui bilanci pubblici, salvaguardando azionisti e creditori, come invece
è nei progetti della Commissione Europea, senza che vi sia alcun controllo nella loro gestione. L’ipotesi della
nazionalizzazione non può rimanere fuori dalle opzioni nei casi di salvataggio. Sui mercati finanziari e sulla
gestione delle società finanziarie occorre intervenire con regole di trasparenza e controlli sulle operazioni
finanziarie, divieti di transazione sugli strumenti finanziari che non corresponsabilizzano nelle perdite gli
intermediari finanziari.
6.6 Sì al contrasto netto della politica europea dell’”austerità espansiva”, ovvero di quella politica che racconta la
favola secondo la quale con il rigore dei conti ed i tagli al welfare pubblico a favore di quello privato si innesca la
crescita e si ottiene la fiducia dei mercati. Azioni invece per rinegoziare le politiche di rientro dai debiti nazionali,
per escludere dal Fiscal Compact le spese di investimento e per le infrastrutture finanziate dai singoli Stati, per
avviare gli Eurobonds per finanziare green economy, knowledge economy e digital economy, perché la BCE
svolga funzioni di prestatore di ultima istanza, per l’introduzione di una Tobin Tax più vincolante, efficace e
generale sulle transazioni finanziarie, perché il Parlamento Europeo rigetti la proposta del Consiglio Europeo di
riduzione del budget dell’UE, e lo riscriva per accrescere gli investimenti in infrastrutture immateriali e ridurre
investimenti per la difesa militare, con un budget complessivo che superi l’1% del GDP totale dei Paesi membri
dell’Unione, per realizzare interventi radicali sul sistema bancario con strumenti fiscali e regolativi piuttosto che
di ponderazione del rischio e di ricapitalizzazione delle banche che si sono dimostrati controproducenti.
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Altre priorità aggiuntive o sostitutive sono possibili? Certo. Basta solo che vengano proposte. Alcune di questo
non sono soddisfacenti? Bene. Che ne discutano. L’importante è che si possa avere un dialogo, e trovare una
via d’uscita, senza aspettare che i fautori del governissimo prevalgano o quelli dello sfascio prevalgano. Che
forse sono, in entrambi i casi, gli stessi.
Paolo Pini è professore ordinario di Economia Politica presso il Dipartimento di Economia e Management (DEM)
dell’Università di Ferrara. Insegna Economia Politica e Economia del lavoro e dell’innovazione. È membro del
Consiglio di Presidenza della Società Italiana degli Economisti (SIE) per il triennio 2011-2013. Collabora a
Sbilanciamoci.info.
Email: [email protected]
Annaflavia Bianchi è economista, esperta di economia dell’innovazione e delle tecnologie di rete, foresight
tecnologico e sviluppo regionale, fa parte di team di ricerca dell’Università di Ferrara e dell’Università di Urbino,
collabora con governi regionali per le politiche a supporto dell’innovazione, e in valutazione di progetti di ricerca
europei.
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Tags: Dossier Elezioni 2013, Featured
Category: Politica
About Paolo Pini: Nato a Rimini nel 1956, laurea in scienze politiche indirizzo economico Università di Bologna e Master of Science in Economics alla London Shool
of Economics and Political Science. Presidente del Centro di Ricerca sulla economia dell'Innovazione e della Conoscenza (CREIC) dell'Univresità di Ferrara,
professore ordinario di Economia politica Università di Ferrara. Collabora a Sbilanciamoci e a Inchiesta
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