Maupassant cent`anni dopo attende ancora il vero successo

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Maupassant cent`anni dopo attende ancora il vero successo
Bo, C.
MAUPASSANT CENT’ANNI DOPO ATTENDE ANCORA IL VERO SUCCESSO
A 100 anni dalla morte, Guy de Maupassant è ancora
considerato dalla critica più severa un autore secondario
di Carlo Bo,
da «Cronaca letteraria», «Gente», 26 luglio 1993, pag. 125
Fino a che punto e in quale misura il successo di pubblico grava sul giudizio della critica?
Intendo, grava negativamente. La domanda mi sorge ripensando a Guy de Maupassant, di cui
in questi giorni si ricorda il centenario della morte. Maupassant è considerato dalla critica più
sofisticata e severa un narratore di secondo piano, però non ha avuto quell’attenzione degli
studiosi che invece hanno ottenuto scrittori del suo tempo e meno fortunati. Nel suo caso poi le
cose diventavano ancora più gravi nel senso che Io scrittore era un personaggio continuamente
esaltato o condannato dalla cronaca e famoso per le sue imprese amorose, per gli scandali, per
la condotta della sua vita, specialmente per una sorta di compiacimento che metteva nel mostrarsi un campione di forza naturale e un lavoratore Fuori della norma.
La sua vita era di per sé un romanzo: una vita conclusa a quarantatré anni, dopo lunghi
periodi di malattia (prima la sifilide e poi la follia) e un’intera biblioteca messa insieme nell’arco
di dieci anni: trecento novelle, sei romanzi, duecento cronache letterarie e politiche e ancora
altre centinaia di pagine disperse. Una vera furia e uno spettacolo che era cominciato con una
celebre novella entrata a far parte del manifesto dei naturalisti, Palla di sego. In un primo tempo il consenso fu generale, le cose cominciarono a guastarsi quando il fiume invece di ridurre
la sua forza l’aumentava. Fu allora che amici e critici presero le distanze e; a poco a poco, misero il povero Maupassant Fuori della letteratura con la maiuscola.
Ma le ragioni vere di questo ostracismo? Il grande successo editoriale dei suoi libri; gli amici si informavano in libreria, ristabilendo un contatto con la regola eterna dell’invidia e della
gelosia. Tutte cose che già Victor Hugo aveva avuto modo di registrare nell’ambito della sua
amicizia con il critico Sainte-Beuve, reso sospettoso proprio dall’eccesso della fantasia e dalla
ricchezza poetiche dell’amico. Nel caso di Maupassant non ci sono state però revisioni postume, quella ingiusta condanna, quelle riserve restarono dopo la sua morte, anzi potremmo dire
che sono ancora vive oggi.
Va però detto che il sistema viene sempre applicato quando uno scrittore viene esaltato dal
pubblico, al di là dei calcoli e dei sospetti della critica. Senza andare troppo indietro nel tempo,
la storia si è ripetuta con Giovanni Guareschi, perfino in maniera crudele. Perfino nominarlo
significava abdicare all’idea di letteratura, quale viene stabilita e fissata da piccoli gruppi di lettori “scelti”, dalle famiglie degli intenditori che professano un’altra idea della scrittura.
Né nel suo caso sono valsi i dati del successo, il suo Don Camillo è forse il libro italiano più
conosciuto al mondo, le sue storie divenute film hanno divertito centinaia di migliaia di spettatori: tutto inutile. Anzi il successo era considerato la riprova della sua pochezza intellettuale.
Nell’occasione dei venticinque anni dalla sua morte, i figli hanno messo insieme
un’autobiografia raccogliendo cose inedite e altre famose, sì da formare un quadro attendibile
dell’uomo e dello scrittore. Il grosso volume pubblicato da Rizzoli (l’editore che sin dagli inizi
ha creduto in lui) ha un titolo che riflette e illumina l’anagramma del suo nome: Chi sogna nuovi gerani? (pag. 679, lire 34.000).
Chissà che l’impresa questa volta non possa rovesciare la situazione, ma ho molti dubbi. Ci
sono dei pregiudizi duri a morire e, del resto, ci sono ogni giorno nuove conferme di questo sistema di esclusioni e di silenzi preordinati. Tempo fa protestava giustamente Luciano De Cre-
scenzo, anche se poi si consolava pensando alle proporzioni del successo costante dei suoi libri.
Non vorrei sbagliarmi, ma mi sembra che la ragione di questo antico sistema vada ricercato
non tanto nell’ambito della famiglia dei lettori quanto nella natura stessa degli uomini che fanno lo stesso mestiere e Finiscono per passare dal ruolo di collega a quello di concorrente. Naturalmente ci sono altre conseguenze di questo modo di giudicare e di fare la storia.
‘Tornando al caso Maupassant, come non osservare che soltanto da poco è stato ammesso
nella Pléiade? Gli sono passati avanti molti altri narratori già segnati dal tempo e quindi di più
ardua e complessa lettura. Evidentemente ha pesato molto in questa disposizione dei “tempi”
un’opinione critica che tendeva a ridurre il peso del successo. Comunque, ci è arrivato mentre
dubito molto clic ci possa essere qualcosa di simile per sistemare storicamente Guareschi,
tutt’ora affidato esclusivamente alle sue forze e, oggi, a quelle dei suoi figli.
Ci sono delle collane di classici del Novecento e non sarebbe impossibile trovargli un posto
e questo per un criterio di giustizia. Guareschi non è stato soltanto uno scrittore solitario, uno
che correva da “isolato”, ma è stato un testimone di un periodo importante della nostra storia.
Può avere sbagliato nelle sue analisi, può essere caduto in una trappola nel caso De Gasperi
e caduto per ingenuità, per un eccesso di fede in chi gli stava vicino e gli faceva da suggeritore
ma tuttavia ha espresso sentimenti comuni a molta gente. Sapeva leggere nel cuore degli uomini semplici e che credevano ancora in certi valori. Certo non parlava né da una cattedra né
da un pulpito, si limitava a raccontare le sue minuscole, piccole storie, pensando a un’Italia che
aveva cominciato a declinare, a corrompersi. Le sue erano reazioni di un uomo che credeva
più che nella bontà della sua scrittura, in quello che riteneva giusto e irrinunciabile.
Insomma era il figlio di una terra generosa dilaniata fra due ipotesi, fra due illusioni: quella
di Don Camillo che aveva di Dio un’immagine concreta e profonda e quella di Peppone che
subiva il fascino di promesse che non avrebbe mai potuto avverarsi. Ma lo scrittore andava al di
là della contesa e della rissa e puntava sull’aiuto del tempo e sul fondo uguale di quelle due anime; sapeva che al momento buono il rumore sarebbe cessato e i due amici-nemici si sarebbero ritrovati insieme nella speranza di una pace comune. Era un sogno che in parte la realtà ha
smentito, in parte però si è trasformato in attesa segreta, in una misteriosa promessa.
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