tesi di laurea Pillot

Transcript

tesi di laurea Pillot
Università degli Studi di Padova
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Corso di Laurea in Infermieristica
TESI DI LAUREA
Accompagnamento
RELA TORE:
del neonato e della famiglia al momento di fine vita
Prof.ssa a.c. Maria Benetton
CORRELA TORI:
Inf. Annarita
Di Falco,
Inf. Elena Scarabellin
Laureando:
Pillot Giulio
Matricola
Anno Accademico 2009/2010
576235
INDICE
1. Introduzione……………………………………………………pag. 3
2. Quadro teorico………………………………………………....pag. 5
2.1 Il contesto…………………………………………………..….pag. 5
2.2 Revisione bibliografica……………………………………..…pag. 7
2.3 Rassegna critica della letteratura…………………………..….pag. 8
2.4 La carta di Firenze e le posizioni in Europa…………..……..pag. 10
2.5 Rilevanza per la professione……………………………...….pag. 11
3. Scopo dello studio…………………………………………….pag. 13
4. Materiali e metodi……………………………………………pag. 15
5. Risultati……………………………………………………….pag. 17
6. Discussione e conclusioni………………………………….…pag. 27
Bibliografia……………………………………………………..pag. 29
Allegati
1.INTRODUZIONE
Tutte le volte che si sente parlare di diritto alla vita, si pensa a tutte quelle situazioni che ne
mettono in pericolo l’esistenza, ma quasi mai al diritto di una persona a morire con dignità.
La morte di un soggetto rischia di essere lunga e dolorosa, grazie alle scoperte scientifiche
che ogni giorno vengono fatte si riesce a posticipare la fine, come se si volesse sconfiggere
a tutti i costi la morte, cosa che non può essere fatta dato che essa è parte della vita umana.
Forse proprio per questo nell’ultimo periodo si è cominciato a sentir parlare di dignità nella
morte. Morire con dignità, significa morire in modo sereno, senza dolore e possibilmente
in pace.
Ed è proprio compito dell’infermiere stare assieme al malato e alla sua famiglia, aiutarli a
non soffrire e a passare in modo sereno gli ultimi momenti.
Nel nostro Codice Deontologico viene ribadito in più articoli che la nostra professione si
occupa delle palliazione e dell’assistenza al paziente negli ultimi momenti di vita,
facendosi suo tutore nel qual caso il paziente da solo non sia in grado di farlo e lo tutela da
tutte le procedure medico-diagnostiche inutili e superflue.
All’interno dell’Unita Operativa di Patologia Neonatale dell’Azienda Ulss 9 di Treviso,
l’equipe di reparto assieme al Comitato di Bioetica aziendale, per tutelare i bambini nati
prematuri e le loro famiglie dalle cure futili e dal dolore, ha costruito un documento che
guidi le azioni da mettere in atto nell’accompagnamento alla morte. Questo per garantire
un intervento mirato e continuo da parte di tutti gli infermieri e il personale medico, con lo
scopo di eseguire una pianificazione degli interventi mirata e centrata.
Questa tesi si prefigge come primo obiettivo il capire cos’è l’accompagnamento al fine vita
ed il ruolo degli infermieri attraverso una ricerca sull’esperienza personale e tramite una
revisione bibliografica di articoli apparsi in letteratura negli ultimi 10 anni.
Sono state analizzate le conoscenze, le idee e i vissuti delle infermiere del reparto di
Patologia Neonatale, tramite la compilazione di un questionario formato da 20 domande di
cui 4 a risposta aperta. All’interno del questionario oltre ad indagare i vissuti e i pensieri
delle infermiere, è stato indagato anche cosa pensano del documento elaborato dalla U.O.
(unità operativa) e dal Comitato di Bioetica.
3
4
2. QUADRO TEORICO
2.1 Il contesto
Oggi giorno si sente parlare molto spesso di diritto alla vita ma anche di dignità nel fine
vita, in tutti i campi che hanno come soggetto l’uomo, la politica, la cultura, la vita sociale
e naturalmente anche nell’ambito della salute.
La discussione non è sul diritto alla vita inteso come diritto a vivere ma bensì di diritto a
morire in modo sereno.
Molti pensano che accompagnare qualcuno al momento di fine vita significhi in qualche
modo aiutarlo a morire o favorirne la morte, ma non è così.
La prima definizione di eutanasia risale al 1605 ed è di Francesco Bacone; egli proponeva
di indicare l’eutanasia come l’insieme di tutti quegli accorgimenti diretti a lenire il dolore e
ad eliminare la solitudine del paziente terminale, in modo che il trapasso avvenisse con la
massima serenità1;
Attualmente esistono diverse definizioni di eutanasia. Ogni comitato di bioetica ha dato
delle proprie definizioni. Ad esempio, nel 1997, il Comitato belga (parere n.1 del Comitato
Consultivo di Bioetica sull’opportunità di una regolamentazione giuridica dell’eutanasia)
la definì come “atto praticato da un terzo che pone fine intenzionalmente alla vita di una
persona, su richiesta di questa”, mentre il Comitato francese la indica come “l’atto di un
terzo che pone termine deliberatamente alla vita di una persona nell’intento di mettere fine
a una situazione ritenuta insopportabile”. Attualmente in Olanda è considerata come “il
porre termine intenzionalmente alla vita, da parte di un medico, su richiesta esplicita del
paziente” però solo su richiesta, altrimenti l’atto diventa omicidio.
Quindi non si considera eutanasia né l’abbandono dell’ostinazione terapeutica né
l’aumento progressivo delle dosi di narcotici che hanno il doppio effetto di togliere il
dolore e di accelerare la fine.
L’accompagnare qualcuno al fine vita significa adottare tutte quelle tecniche, procedure e
atti che aiutino la persona a non soffrire e a passare in modo sereno il poco tempo rimasto.
1
Pugliese V. Nuovi diritti: le scelte di fine vita tra diritto costituzionale, etica e deontologia medica.
CEDAM, Padova, 2009, p. 165.
5
Questa attività viene svolta da tutto il personale di reparto e non è rivolta solo al soggetto
malato ma anche alla sua famiglia, in quanto la persona che soffre in quel momento non è
sola, ma ha attorno anche un gruppo di persone che condivide il dolore. L’infermiere è
quel professionista che sta più in contatto con loro e che ha il compito e il dovere di
prendersi carico di questo aspetto.
Del resto è l’infermiere che cura in modo globale, che non si limita solo alla cura della
malattia, ma che si rivolge alla persona malata in tutto il suo insieme. Ossia oltre a dare le
cure nel senso tecnico-medico del termine (TO cure) inserisce nell’atto di cura anche la
prospettiva olistica (TO care).
Ho scelto di approfondire l’accompagnamento al fine vita all’interno di un reparto di
Neonatologia in quanto nell’ultimo periodo si è sentito parlare molto di casi di adulti, ma
mai di bambini nati prematuri. Forse si tratta di un argomento forte e difficile da trattare
ma che all’interno di un reparto di neonatologia viene affrontato continuamente.
Le statistiche lo dimostrano. Secondo una revisione clinica del British Medical Journal, del
2009, la maggior parte dei neonati nati a 22 settimane non viene rianimato e la
sopravvivenza oscilla tra 0 e il 5%. A 23 settimane oscilla tra 11 e 43 % e passa a 26-61%
a 24 settimane per arrivare a 44-77% a 25 settimane. Inoltre eseguendo test MRI (Magnetic
Resonance Imaging), sul sistema nervoso centrale si è dimostrato che l’80% ha diffuse
lesioni della materia bianca che possono tradursi in gravi problemi di coordinazione
motoria, paralisi cerebrale, cecità, sordità o deficit cognitivi2.
Sembrerà strano pensare che un bambino prematuro possa non sopravvivere alla nascita.
I bambini nati prima delle 24 settimane, sono bambini che a causa delle loro
malformazioni non riescono a sopravvivere in modo autonomo ed adeguato. Fino a poco
tempo fa era comune fra i medici rianimare sempre e in qualunque caso, anche se questo
comportava un alto rischio di danni fisici e cerebrali permanenti, una forte e prolungata
dipendenza dalle apparecchiature come ventilatore meccanico, linee di infusione, ecc, oltre
che un forte peso emotivo e psicologico per le famiglie ed anche per il personale sanitario.
Attualmente, passando da un atteggiamento paternalistico medico ad uno più incentrato
sulla persona, la decisione è più basata sulla qualità della vita che alla difesa della vita in
modo acritico.
2
Yeaney NK, Less CC, Murdoch EM. The extremely premature neonate: anticipating and managing care.
BMJ 2009;338:b2325.
6
Oggi in Italia all’interno dei reparti di Neonatologia, prevale la tendenza a rianimare,
anche se gli esperti si sono dati un indirizzo a sostegno di decisioni difficili nelle ore
immediatamente successive al parto, con la Carta di Firenze, elaborata nel 2004 da un
gruppo coordinato dal professore Giampaolo Donzelli, neonatologo dell’ospedale
pediatrico Meyer.
La tendenza alquanto condivisa è quella di eseguire solo cure palliative ai nati a 22
settimane, a non rianimare (a meno che il neonato non presenti segni di vitalità con il
respiro, l’attività cardiaca e il movimento) a 23 settimane, di eseguire un trattamento
intensivo a 24 settimane e sottoporre a cure intensive a 25 settimane 3 .
2.2 Revisione bibliografica
Eseguendo una ricerca bibliografica nell’ambito dell’accompagnamento al fine vita, si
possono trovare migliaia di articoli che spaziano dall’accompagnamento al fine vita in
ambito oncologico a discussioni scientifiche su procedure e comportamenti durante la
morte di una persona.
La ricerca bibliografica ha utilizzato come parole chiave:
-
end of life AND children,
-
withdraw life-sustaining treatment AND premature infant.
Sono stati inseriti come limiti di ricerca:
-
articoli pubblicati dal 2000 al 2010l
-
Lingua italiana e inglese,
-
articoli riguardanti bambini di età compresa tra 0 e 23 mesi.
Sono state trovate 10 revisioni sistematiche e 6 articoli validi per la ricerca in oggetto.
3
Pugliese V. Nuovi diritti: le scelte di fine vita tra diritto costituzionale, etica e deontologia medica.
CEDAM, Padova, 2009, pag. 137.
7
2.3 Rassegna critica della letteratura
Dalla ricerca bibliografica emerge che anche se i tassi di mortalità sono scesi da quanto
esistono le terapie intensive neonatali, la gestione della morte di un bambino prematuro
continua a causare agli infermieri e ai medici difficoltà di ordine pratico e etico. Il primo
ritiro selettivo delle cure di sostentamento vitale eseguito su un neonato è stato descritto
nel 1970 e da allora molti autori descrivono la portata e gli effetti che questa decisione ha
sul personale di reparto e sulle famiglie dei bambini prematuri4.
Nel loro studio, Eduard Verhagen et al, segnalano come il 95% dei decessi avvenuti in una
TIN (Terapia Intensiva Neonatale) di un ospedale olandese, siano avvenuti a seguito di una
sospensione delle cure ritenute futili e che il 58% dei bambini deceduti era stato
classificato come privo di possibilità di sopravvivenza, mentre il 42% erano bambini
stabilizzati ma con prognosi peggiore. Inoltre dichiarano che in Olanda la revoca dei
trattamenti di sostentamento vitale viene decisa quando non vi è alcuna possibilità di
successo di trattamento e la morte è imminente oppure quando la sopravvivenza,
nonostante sia possibile, porti il bambino ad una qualità di vita scadente5.
In un articolo del 20046, viene descritta la prassi che gli infermieri debbono avere durante
l’accompagnamento al fine vita di un bambino e quali sono le caratteristiche che un
infermiere dovrebbe avere per partecipare all’accompagnamento. Gli autori pongono
l’attenzione sul fatto che devono fornire supporto psicologico ed emotivo alla famiglia
durante il processo di accompagnamento e che questo deve essere dato anche dopo la
morte del bambino. Ai genitori deve essere permesso tenere in braccio il proprio figlio
durante gli ultimi momenti di vita e anche dopo la sua morte, permettendo così una più
facile accettazione, dando loro la possibilità di salutarlo. Gli autori dichiarano che gli
infermieri specializzati hanno più conoscenze riguardo il lutto e le cure di fine vita rispetto
agli infermieri non specializzati, che gli infermieri con età compresa fra i 35 e i 45 anni si
4
Wilkinson D. J., Fitzsimons J. J., Dargaville P. A., Campbell N. T., Loughnan P. M., McDougall P. N.,
Mills J. F. Death in the neonatal intensive care unit: changing patterns of end of life care over two decades.
Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed 2006; 91:F268-F271.
5
Verhagen A. A. E., MD, JD, PhD; Dorscheidt H. H. M., JD, PhD; Engels B., RN; Hubben J. H., JD, Phd; P.
J. Sauer, MD, PhD. End-of-life decision in Dutch neonatal intensive care units. Arch pediatr adolesc med/vol
163, n. 10, oct. 2009. www.arcpediatrics.com. Ultimo accesso 9 Agosto 2010.
6
Engler A. J., Cusson R. M., Brockett R. T., Cannon-Heinrich C., Goldberg M. A. West M. G., Petow W.
Neonatal staff and advanced practice nurses’ perceptions of bereavement/end-of-life care of families of
critically III and/or Dying infants. American Journal Critical Care 2004; 13: 489-498.
8
trovano più a loro agio nel trattare una situazione di accompagnamento al fine vita rispetto
ad un collega neo assunto, in quanto hanno più esperienza e competenza acquisita.
Da questo studio emerge inoltre, che un’importante barriera fra gli infermieri e la famiglia
è quella della diversità culturale, ogni cultura ha il proprio modo di vedere la morte e di
viverla e se gli infermieri non conoscono questi aspetti potrebbero avere pregiudizi e
incomprensioni con la famiglia e quindi potrebbero non riuscire ad instaurare un buon
rapporto terapeutico.
Un altro importante aspetto che si ripropone più volte all’interno della letteratura, è quello
della speranza. In uno studio trasversale condotto sulle infermiere dell’ospedale pediatrico
di Philadelphia, eseguito nel 20057, si è analizzato il perché alcuni infermieri si sentano più
tranquilli rispetto ad altri quando applicano cure palliative pediatriche di fine vita. Tra le
diverse risposte che possono essere date, si dà per assodato che questo dipenda dal maggior
livello di conoscenze e competenze cliniche che sono in possesso dell’infermiere ma,
secondo questo studio, anche la speranza ha un ruolo importante. Infatti ciò che gli
infermieri credono, sentono e come reagiscono alle situazioni di intenso stress emotivo,
gioca un ruolo importante nel livello di energie date al rapporto di counseling che si crea
tra l’infermiere e la famiglia.
I risultati prodotti da questo studio affermano che: gli infermieri che provano meno disagio
a lavorare con bambini di tutte le età che muoiono hanno anche meno difficoltà a parlare di
morte e del morire con i bambini e le loro famiglie; hanno una maggiore competenza nel
fornire cure palliative, perché hanno probabilmente più anni di esperienza di cura, più ore
di educazione sulle cure palliative e più alti livelli di speranza personale.
L’associazione fra un più alto livello di speranza personale e un maggior comfort nelle
cure palliative, motiva ad una ricerca futura nell’incremento di questo pensiero positivo e
di speranza fra gli infermieri, perché così i bambini potrebbero ricevere delle cure
palliative di maggior qualità.
7
Feudtner C., MD, PhD, MPH, Santucci G., MSN, Feinstein J. A., BA, Snyder C. R., PhD, Rourke M. T.,
PhD, Kang T. I. MD. Hopeful thinking and level of comfort regarding providing pediatric palliative care: A
survey of hospital nurses. www. Pediatrics.org/cgi/doi/10.1542/peds.2006-1048. Ultimo accesso 10/08/2010
9
2.4 La carta di Firenze e le posizioni in Europa
Per quanto riguarda gli atteggiamenti dei neonatologi riguardo le decisioni di continuare o
meno le cure nei grandi prematuri, il comportamento a livello europeo è diverso da paese a
paese. Si deve specificare intanto quali sono le caratteristiche che permettono ad un
neonatologo di optare per il proseguimento delle cure o meno.
La prima caratteristica importante e quella dell’età gestazionale, considerata a livello
internazionale come un metodo sicuro di valutazione. La Carta di Firenze, elaborata nel
2004 presenta al suo interno le differenti fasce gestazionali di sviluppo e le diverse
tendenze di comportamento.
Specificamente sostiene che per i bambini nati alla 22º settimana o al di sotto, per i quali le
speranze di sopravvivenza sono nulle, sono indicate le cure confortevoli; per i bambini nati
dalla 25º settimana in poi sono indicate le cure intensive; mentre per i bambini nati tra la
23º e la 24º settimana, in cui il rapporto tra benefici e svantaggi delle cure intensive è così
sfumato, la prognosi è così imprevedibile che entrambe le scelte possono essere
accettabili8.
Seconda caratteristica importante è quella di riuscire a capire se le cure che vengono date
in quel momento daranno la possibilità al soggetto di avere in futuro una vita considerata
normale, cioè se daranno al bambino la possibilità di viverla nel pieno o quasi delle sue
capacità.
Terza caratteristica importante è quella del coinvolgimento dei genitori nel processo
decisionale dopo averli dovutamente informati della situazione.
In Italia il comportamento più largamente diffuso è quello di rianimare in qualunque caso,
anche se nelle ore immediatamente successive al parto si procederà con le scelte difficili.
In Inghilterra, il parere della Chiesa Anglicana non si discosta da quella espressa dal
documento del Royal College di Ostetricia e Ginecologia ed entrambe dichiarano come sia
corretto in taluni casi evitare e sospendere il trattamento clinico, sapendo che questa scelta
può portare forse o anche certamente alla morte. Nella stessa Inghilterra però il mondo
scientifico è diviso, in quanto l’Istituto di Neonatologia dell’Università di Londra dichiara
che si rischia di trasformare la natura della professione medica in una forma di ingegneria
sociale.
8
Pignotti M. S. Il convegno di Firenze e il dibattito sui grandi prematuri. Bioetica 1-2/2009.
10
Altro modo di affrontare la situazione, è quella presente negli ospedali olandesi, dove non
viene praticata alcuna cura ai bambini nati prima delle 25 settimane. Comportamento
previsto dalla Carta di Groningen del 2002.
In Norvegia, a seguito di un Consensus Conference del 1998, si è stabilito che il limite per
la rianimazione deve essere tra le 23 e le 25 settimane gestazionali, e che comunque
all’interno di questa fascia l’approccio più adeguato è quello della valutazione caso per
caso senza generalizzare9.
Quello che quindi emerge da questa ricerca bibliografica è come in tutta Europa negli
ultimi 30 anni sia emerso il problema dei bambini prematuri e cosa si debba fare riguardo
la rianimazione o meno.
Si noti, come in tutta Europa anche se in modi e tempi differenti, il comportamento sia il
medesimo, ossia si cerchi di eseguire una scelta accurata e corretta nel continuare o meno
le cure. Questo naturalmente ponendo al centro della situazione, i genitori e il bambino,
che sono il fulcro del processo decisionale e che in qualunque caso poi nel prossimo futuro
vivranno gli effetti della decisione.
2.5 Rilevanza per la professione
L’accompagnamento al fine vita è un aspetto di grande rilevanza per l’infermiere che,
considerando l’attuale diffuso dibattito, deve approfondire la tematica.
Chi più di un infermiere sta a contatto con il paziente e la sua famiglia? E soprattutto, chi
più di un’infermiere che affronta le cure in modo olistico deve saper gestire un momento
delicato come questo?
L’infermiere, affrontando questi momenti, si trova a scontrarsi con lo stress scaturito dalla
situazione, con il dolore, il senso di colpa, la delusione e, oltre a gestire tutto il
meccanismo emotivo che scaturisce nella famiglia, deve gestirlo anche per se stesso.
In più nel caso di bambini prematuri oltre a dover affrontare il dolore insito
nell’accompagnamento al fine vita c’è anche il dolore dovuto dal fatto che a morire è
qualcuno che non ha ancora vissuto la propria vita.
9
Markestad T., Kaaresen P. I., Rønnestad A., Reigstad H., Lossius K., Medbø S., Zanussi G., Engelund I. E.,
Polit C., Skjaerven R., Ingens L. M., on behalf of the Norwegian Extreme Prematury Study Group. Early
death, morbidity, and need of treatment among extremely premature infants. Pediatrics, vol. 115, n. 5 May
2005.
11
12
3. SCOPO DELLO STUDIO
Nei reparti di neonatologia il tasso dei decessi riguardanti i bambini prematuri, anche se in
continuo calo, continua ad essere rilevante, quindi non si può non pensare a cosa fare e a
come comportarsi in queste occasioni.
Il reparto di neonatologia dell’ospedale di Treviso, in collaborazione con il Comitato di
Bioetica, ha stilato un documento che indirizza i comportamenti e le decisioni durante i
momenti di fine vita.
Il documento è stato scritto nel 2009 e contiene tutte le fasi che caratterizzano
l’accompagnamento al fine vita. In esso vengono descritti il processo decisionale che sta
alla base della decisione di interruzione delle cure, la modalità tramite la quale deve essere
comunicato e da chi deve essere comunicato ai genitori, come vengono accompagnati il
bambino, i genitori ed i familiari nel fine vita e infine la modalità del colloquio di followup entro i 2 mesi successivi l’accaduto, che viene eseguito da un neonatologo e un
neuropsichiatra infantile con la famiglia, allo scopo di aiutarla nell’elaborazione del lutto
per salvaguardare la loro genitorialità.
Lo scopo di questo documento è quello di implementare una prassi comune per poter dare
una cura completa e uniforme al bambino e alla sua famiglia. Questo permette anche di
non tralasciare alcuni aspetti importanti che caratterizzano il momento di fine vita, come ad
esempio il bisogno della famiglia di tenere in braccio il bambino, ti toccarlo e di parlarci.
Lo scopo dello studio è di analizzare le esperienze, le percezioni, i vissuti e la formazione
specifica degli infermieri dell’U.O. di Patologia Neonatale, che hanno iniziato un percorso
condiviso con il Comitato di Bioetica dell’ Ospedale di Treviso, per l’accompagnamento
del bambino pretermine in fase terminale.
13
14
4. MATERIALI E METODI
Per raggiungere lo scopo dello studio è stato preparato un questionario composto da 20
items, di cui 16 domande a risposta chiusa e altre 4 a risposta aperta.
Nella disamina della letteratura, non è stato trovato un questionario già validato che
rispondesse allo scopo, per cui si è dovuto costruire ex novo lo strumento, che è stato
validato da tre persone con livelli diversi di formazione in bioetica (un esperto, un
interessato alla materia ma non esperto, un laureato con nessuna conoscenza specifica di
bioetica).
Il questionario è stato somministrato a tutto il personale infermieristico del reparto di
Patologia Neonatale dell’Azienda Ulss 9 di Treviso, composto da 35 infermiere.
15
16
5. RISULTATI
Su 35 questionari consegnati (totalità della popolazione indagata), ne sono stati ritirati 29
e tutti sono stati compilati in modo adeguato e completo per l’analisi dei dati. Qui di
seguito sono riportate tutte le domande con i rispettivi risultati.
DOMANDA N.1
Da quanti anni lavora nel reparto di Neonatologia?
0-1
1-5
5-10
anni
anni
anni
1
5
6
Oltre
17
Tabella 1. Anzianità di sevizio.
Il personale è particolarmente stabile, il 79,31% dei rispondenti al questionario hanno oltre
5 anni di esperienza in questo reparto, quindi possono essere considerati infermieri esperti.
DOMAMDA N.2
In precedenza ha avuto esperienze di accompagnamento alla morte per lavoro,
volontariato, esperienze personali?
Si
No
Lavoro
Volontariato
Esp. personali
21
8
17
1
5
Tabella 2. Esperienze di accompagnamento alla morte.
Dai risultati, emerge che il 72,41% delle dipendenti ha avuto precedentemente l’inizio
della carriera lavorativa in questo reparto, esperienze di accompagnamento alla morte.
Come era prevedibile, per la maggior parte le esperienze derivano dall’ambito lavorativo.
17
DOMANDA N.3
Ha partecipato a corsi di formazione inerenti l’accompagnamento al momento di fine
vita?
Si
No
27
2
Tabella 3. Partecipazione a corsi di formazione.
Il 93,10% delle infermiere hanno partecipato a corsi di formazione inerenti
l’accompagnamento al fine vita
DOMANDA N.4
Le conoscenze/informazioni acquisite nei corsi predetti, sono risultate utili nella vita
professionale? Se si quali, se no perché?
Si
No
Non risposto
22
1
6
Si, norme comportamentali
8
Si, informazioni inerenti il Documento
3
Tabella 4. utilità conoscenze acquisite nei corsi di formazione.
L’infermiera che risponde NO, ne ravvisa l’inutilità in quanto non ha avuto modo in
seguito di applicarle nella vita professionale.
Tra coloro che rispondono SI, più del 30% identifica che le norme comportamentali predefinite da avere con i genitori, (ossia tutti quei comportamenti che permettono alle
infermiere di stare con i genitori e il bambino senza essere invadenti) sono state, quelle più
utili per la pratica professionale.
Il 13 % invece crede che le informazioni più utili siano state quelle fornite dal Comitato di
Bioetica riguardo il Documento sull’accompagnamento al fine vita. Solo un’infermiera
riferisce che grazie alle conoscenze avute con i corsi di formazione, non ha avuto sensi di
colpa nei confronti dei bambini.
18
DOMANDA N.5
Conosce il documento elaborato dal reparto di Patologia neonatale e dal Comitato di
Bioetica?
Si
No
25
4
Tabella 5. Conoscenza del documento sull’accompagnamento al fine vita.
L’86,20%
delle
infermiere
sostiene
di
essere
a
conoscenza
del
documento
sull’accompagnamento alla morte.
DOMANDA N. 6
Se ha risposto si alla domanda precedente, ritiene che questo documento adottato in
Patologia Neonatale, sia utile?
Si
No
25
0
Entrambe le risposte
Non risposto
3
1
Tabella 6. Utilità del documento.
Coloro che rispondono affermativamente, ritengono che il documento adottato in Patologia
Neonatale sia utile in quanto permette di avere degli atteggiamenti uniformi e nel gestire
il piccolo paziente e la sua famiglia. Il documento le aiuta a capire quali sono i
comportamenti da avere e non avere nei confronti del neonato e della famiglia e dà loro più
sicurezza sul come gestire e affrontare la situazione.
Un’unica infermiera risponde alla domanda con entrambe le possibilità. Scrive, che il
documento è utile perché è l’unico scritto in merito all’accompagnamento ma sostiene
anche che non è specifico per l’U.O.
19
DOMANDA N. 7
Lei, ha partecipato alla stesura del documento citato?
Si
No
2
26
Non risposto
1
Tabella 7. Partecipazione alla stesura del documento
Non ci sono sufficienti dati per commentare questo dato. In ambito etico, alla stesura di
documenti multi-professionali devono essere rappresentate tutte le professioni che
direttamente o indirettamente ne sono coinvolte. Suscita perplessità che nessun
professionista infermiere sia stato partecipe alla stesura. Non ci sono però altre
informazioni per spiegare il fatto. Sono state coinvolte ma nessuno ha aderito alla
proposta? Ci si è valsi solo delle professionalità presenti nel Comitato di Bioetica
Aziendale?
DOMANDA N. 8
In cosa ritiene sia migliorabile questo documento?
Ruolo
Tipologia di
Ruolo
Percorso
Aspetti
infermiere
comunicazione
medico
decisionale
operativi
4
7
0
2
6
Altro
Non
risposto
5
9
Tabella 8. Miglioramento del documento.
A questa domanda hanno risposto il 68,96% delle infermiere. La domanda prevedeva solo
una risposta, ma quattro infermiere hanno dato 2 risposte. I dati ripostati infatti sono il
totale di tutte le risposte, comprese anche le 4 in più.
Quello che risulta importante è come più della metà del personale ritenga necessario
apportare delle modifiche al documento.
Forse questo bisogno di modifiche è dovuto anche dal fatto che l’accompagnare un
bambino al fine vita e comunicarlo ai genitori non sono attività semplici ma soprattutto che
ogni situazione è differente e quindi non permetta l’utilizzo di un metodo sempre uguale e
sicuro. Questo aspetto è stato messo in luce anche da una infermiera che ha sottolineato il
fatto che negli ultimi accompagnamenti il documento non è stato utilizzato.
Questo è successo a causa delle enormi variabili a cui si va incontro durante un evento del
genere.
20
DOMANDA N. 9
Cosa la colpisce maggiormente nei momenti in cui c’è l’accompagnamento al fine vita
di un neonato? (domanda aperta)
A questa domanda si sono astenute dal rispondere 5 infermiere mentre le rimanenti 24
infermiere dichiarano che la cosa che le colpisce di più è il dolore che provano i genitori e
il bambino, seguito dal loro stesso dolore. Un dolore visto come enorme sofferenza vissuta
da tutti che però dà dignità. Il sentimento trasmesso da queste risposte è quello di
sofferenza e accettazione della situazione per tutti. Solo un’infermiera dichiara che la cosa
che la colpisce di più è il clima sereno che si instaura fra le infermiere, il bambino e la
famiglia nonostante il momento difficile che stanno vivendo.
DOMANDA N. 10
La prima volta che ha vissuto una esperienza di accompagnamento al momento di
fine vita di un neonato, cosa ha provato?
Sentimenti/emozioni
Partecipazione
Altro
Non risposto
18
5
3
3
Tabella 9. Primo accompagnamento al fine vita.
La maggior parte di coloro che rispondono identifica i sentimenti di frustrazione, tristezza,
dolore e senso di inadeguatezza nei confronti dei genitori e del bambino, associata però ad
un senso di liberazione e pace per la fine delle sofferenze. Ci sono però anche vissuti (che
potrebbero dar luogo a burnout e sovraccarico emozionale ) di partecipazione
all’avvenimento come se fosse in prima persona, come se la morte del bambino ricoverato
fosse quella di un figlio proprio. Isolatamente, un’infermiera scrive invece di essersi sentita
smarrita perché non è riuscita a dare un supporto efficace, una seconda di aver vissuto
l’accompagnamento in modo distaccato ed una terza dichiara di non ricordarselo ma
afferma che la situazione cambia a seconda dei genitori e del loro vissuto.
21
DOMANDA N.11
Indichi, quale di queste parole descrivono in modo più adeguato il suo stato d’animo,
durante l’accompagnamento al fine vita.
La domanda è composta da 5 parole che esprimono sentimenti negativi e 5 che esprimono
sentimenti positivi. I risultati in percentuale sono:
DOLORE
68,96%
SENSO DI LIBERAZIONE
17,24%
FRUSTRAZIONE
37,93%
SOLLIEVO
6,89%
VERGOGNA
6,89%
SENSO DI PACE
17,24%
DEPRESSIONE
10,34%
ACCETTAZIONE
65,51%
INDIFFERENZA
0%
SERENITA’ PER I GENITORI
27,58%
Tabella 10. Emozioni vissute dal personale durante l’accompagnamento.
Le parole segnalate come più adeguate a descrivere lo stato d’animo delle infermiere sono
il dolore e l’accettazione per la situazione seguite da frustrazione e serenità per i genitori.
Ugualmente significativo è il senso di pace e di liberazione per la situazione vissuta inteso
come la fine di un evento ineluttabile ma fortemente stressante e causa di dolore sincero.
Poche infermiere invece dichiarano di provare depressione durante l’accompagnamento al
fine vita e nessuna prova indifferenza.
Questo permette di capire quanto dolore si crei nell’accompagnare al fine vita una persona.
Purtroppo anche con una preparazione tecnica all’avvenimento della morte e dopo anni di
esperienza, questo processo continua ad essere vissuto con cordoglio e dolore da tutti.
DOMANDA N. 12
Cosa significa per lei, accompagnare al fine vita? (domanda aperta)
La maggior parte delle infermiere dichiarano che per loro l’accompagnamento al fine vita,
consiste nel sostenere i genitori e limitare le sofferenze del bambino e della famiglia con
un’assistenza che preveda cure e comportamenti che non risultino invadenti. Molte
esprimono l’intenzionalità di voler aiutare la famiglia ad accettare l’evento, rendendolo il
più possibile sereno, attraverso un percorso che sostenga i genitori e il bambino e che
permetta al personale di esprimere il loro cordoglio e il loro sostegno.
22
In alcune risposte viene espresso anche il bisogno spirituale ed emotivo, infatti viene
espressa la convinzione che il bambino con la morte è andato in un posto migliore, dove
non soffre.
DOMANDA N.13
Nei momenti in cui sta accompagnando un neonato al fine vita, si sente maggiormente
guidata da:
Sentimenti/emozioni
Esperienza/prassi operativa
15
14
Tabella 11. Orientamento durante l’accompagnamento al fine vita.
Si può dire che in questo reparto prassi e sentimenti sono talmente incrociati che è
difficile fare un distinguo.
Questo aspetto rimane invariato anche eseguendo un controllo incrociato dei risultati con
gli anni di servizio del personale. Infatti le infermiere con più di 10 anni di esperienza
lavorativa, che sono 18 e che corrispondono al 62,06% del campione, hanno risposto per il
44,44% che si fanno guidare dai sentimenti e per il 55,55% dall’esperienza.
DOMANDA N. 14
L’impegno emotivo che vive in Patologia Neonatale, l’ha mai portata a chiedere il
trasferimento in altre U.O.?
Si
No
3
26
Tabella 12. Richieste di trasferimento.
Le cause per cui si richiede un trasferimento possono essere varie, ma la motivazione
sembra talmente forte che l’impegno emotivo, anziché elemento di burnout, si trasforma in
identità professionale.
23
DOMANDA N. 15
Durante l’accompagnamento al fine vita, si CONFRONTA con i colleghi sul da farsi?
Si, spesso
Talvolta
Raramente
Mai
21
6
2
0
Tabella 13. Il confronto professionale;
Il confrontarsi risulta essere un elemento diffuso nel gruppo, con una tendenza ad essere
abbastanza continuo.
DOMANDA N. 16
Se alla domanda precedente ha dato risposta positiva al confronto, che tipo di utilità
ne ricava?
Scambio emotivo
Scambio di conoscenze
Astenuti
9
19
2
Tabella 14. Utilità del confronto
Emergono due aspetti: lo scambio come apprendimento di conoscenze ed esperienze, ma
anche come momento liberatorio e di sostegno psicologico.
DOMANDA N. 17
Ha mai partecipato a colloqui, per rielaborare le situazioni vissute durante
l’accompagnamento al fine vita?
Si
No
4
25
Tabella 15. Partecipazione ai colloqui di rielaborazione.
In questa domanda veniva chiesto alle infermiere se dall’inizio della loro esperienza
lavorativa fino ad oggi, avessero partecipato a colloqui di sostegno con delle figure
predisposte ad aiutare nella rielaborazione degli avvenimenti dolorosi e traumatici. Questi
colloqui non sono previsti all’interno del reparto, e non è identificata nessuna figura
predisposta ad aiutare il personale nelle rielaborazioni. Queste figure sono rappresentate da
psicologi, gruppi ascolto, figure religiose. Nel questionario non è stato chiesto di
specificare con che figura fosse stato fatto il colloquio.
24
DOMANDA N. 18
Se SI, le è stato utile e per quali aspetti? (domanda aperta)
Delle 4 infermiere che hanno effettuato colloqui per rielaborare le situazioni vissute, 3
indicano che il colloquio è stato utile perché ha fatto emergere le emozioni represse e il
dolore vissuto per la perdita di un piccolo paziente e perché gli ha permesso di capire che
anche gli altri hanno gli stessi dubbi e limiti. Una invece dichiara che i colloqui non
sempre raggiungono lo scopo prefissato.
DOMANDA N. 19
Durante i momenti di accompagnamento al fine vita, trova CONFORTO nei colleghi?
Si
No
22
7
Tabella 16. Conforto nelle colleghe.
Il conforto nelle colleghe un’aspettativa reale, il risultato coincide quasi perfettamente con
il dato sul confronto.
DOMANDA N. 20
Se ha risposto SI, può individuarne la motivazione?
Esprimermi senza essere giudicato
7
Piangere o esternare le emozioni senza vergognarmene
5
So che mi capiscono, in quanto viviamo le medesime esperienze
18
Astenuti
6
Tabella 17. Motivazioni al conforto.
Le opzioni di risposta potevano essere multiple, ma emerge come venga ritenuto
fondamentale che la comprensione passa solo attraverso l’esperienza che le accomuna.
Va però rilevato quanto sia importante sentire di essere accolti per quello che si prova (non
essere giudicato) ed anche esprimere emozioni in modi che potrebbero essere reputati “non
corretti o non auspicabili” professionalmente come il piangere.
25
26
6. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Dai risultati espressi dal questionario, si capisce che l’accompagnare alla morte un piccolo
paziente provoca molto dolore. Tutte le infermiere che hanno partecipato allo studio
dichiarano di provare un forte dolore durante l’accompagnamento misto a sollievo in
quanto sanno che, con la morte, il bambino ha smesso di soffrire.
I legami che le infermiere instaurano con la famiglia, sono legami profondi, che
permetteranno a tutti, di superare l’evento traumatico.
I risultati di questo studio permettono di capire come fin dal primo caso di
accompagnamento alla morte di un bambino prematuro, successo negli anni 70’, la
mentalità europea riguardo alla dignità nel morire sia cambiata.
Tutti i principali comitati etici europei si sono occupati di dare una definizione di eutanasia
ed è tramite queste definizioni che ci è permesso dire che accompagnare qualcuno alla
morte non significa velocizzarne i tempi ma solo aiutarlo a morire in modo sereno.
L’accompagnare qualcuno, in questo caso i bambini prematuri, alla morte, è un’attività che
tutela il piccolo paziente dal dolore e dalle procedure inutili e che aiuta la famiglia a
rielaborare il lutto e a preservarne la genitorialità.
L’ospedale di Treviso, si è occupato di quest’aspetto tramite la costruzione di un
documento che aiuti i professionisti sanitari in questo difficile compito.
Tramite questo studio, si è verificata la conoscenza del documento ma soprattutto il vissuto
personale dell’evento luttuoso dei componenti dell’equipe infermieristica. Si è potuto
osservare che anche con molti anni di esperienza sulle spalle, accompagnare qualcuno alla
morte continua ad essere un processo doloroso per tutti, che scatena una serie di emozioni
difficili da somatizzare e che è importante poter far affidamento sui colleghi. Chi per uno
scambio di conoscenze, chi per uno scambio emotivo, ma tutti credono nell’aiuto
reciproco.
L’impegno emotivo forte, che può essere causa di burnout, è invece vissuto come sostegno
ed è probabilmente la motivazione che trattiene i professionisti nel reparto di
Neonatologia.
Aspetti importanti che dovrebbero essere perseguiti in futuro sono ad esempio i colloqui di
rielaborazione, che dovrebbero essere previsti, strutturati e programmati all’interno
dell’unità operativa, inserendo al loro interno la presenza di un professionista che aiuti gli
27
infermieri nella rielaborazione dell’avvenimento doloroso e nel suo superamento. Sarebbe
auspicabile dare la possibilità al personale di effettuare questi incontri sia in modo
individuale che in gruppo, in una stanza separata dall’ U.O. per favorire il distacco dalla
vita interna al reparto e per poter dare al personale la possibilità di scegliere come
parteciparvi. Questi incontri daranno così la possibilità al personale di avere una valvola di
sfogo e aiuteranno a prevenire il burnout.
Secondo aspetto importante sarà quello di favorire degli incontri fra i colleghi di reparto
che vogliano condividere fra loro le emozioni, dando loro uno spazio personale, intimo che
permetta loro di liberarsi dalle emozioni che le affliggono, senza sentirsi giudicati. Questi
incontri potrebbero essere previsti a tempi di distanza regolari fra loro se vengono previsti
di gruppo, mentre per gli incontri individuali si deve lasciare la libertà di scelta.
Altra cosa importante è quella di stimolare e favorire la partecipazione degli infermieri ad
un gruppo professionale che si occupa di Bioetica. In questo studio è emerso il fatto che
solo 2 infermiere abbiano partecipato alla stesura del Documento in collaborazione con il
Comitato di Bioetica.
Nelle questioni etiche l’infermiere può dare un grande contributo perché il suo lavoro lo
porta a stretto contatto con i pazienti e le loro famiglie, in continua vicinanza con i
problemi reali delle persone ed ha quindi una piena consapevolezza e conoscenza dei
problemi che essi esprimono.
Il ruolo che l’infermiere riveste nell’accompagnamento al morente è di notevole
importanza. L’infermiere gestisce e crea legami durevoli nel tempo, che permetteranno al
bambino di morire in modo sereno libero dal dolore e dalle afflizioni di una terapia
superflua e che permetteranno ai genitori di superare il lutto a cui stanno andando incontro.
L’infermiere è in grado di fare ciò perché nel suo stesso codice Deontologico è previsto,
molti articoli citano le attività di tutela del paziente e di palliazione. Queste sono attività di
primaria importanza che non devono mai essere dimenticate.
Infine è importante ricordare il dolore che viene vissuto dall’infermiere in questi momenti.
Non è solo un paziente ad andarsene ma una parte dell’infermiere stesso, quella
rappresentata dal legame che unisce infermiere paziente. Un legame che, non vive nella
sconfitta della morte, ma nel valore di non aver lasciato solo il morente adulto o bambino e
neppure i suoi familiari.
28
BIBLIOGRAFIA
1: Pugliese V. Nuovi diritti: le scelte di fine vita tra diritto costituzionale, etica e
deontologia medica. CEDAM, Padova, 2009, p. 165.
2: Yaney NK, Less CC, Murdoch EM. The extremely premature neonate: anticipating and
managing care. BMJ 2009;338:b2325.
3: Pugliese V. Nuovi diritti: le scelte di fine vita tra diritto costituzionale, etica e
deontologia medica. CEDAM, Padova, 2009, p. 137.
4: Wilkinson D. J., Fitzsimons J. J., Dargaville P. A., Campbell N. T., Loughnan P. M.,
McDougall P. N., Mills J. F. Death in the neonatal intensive care unit: changing patterns of
end of life care over two decades. Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed 2006; 91:F268-F271.
5: Verhagen A. A. E., MD, JD, PhD; Dorscheidt H. H. M., JD, PhD; Engels B., RN;
Hubben J. H., JD, Phd; P. J. Sauer, MD, PhD. End-of-life decision in Dutch neonatal
intensive care units. Arch pediatr adolesc med/vol 163, n. 10, oct. 2009.
www.arcpediatrics.com., ultimo accesso 9/8/2010
6: Engler A. J., Cusson R. M., Brockett R. T., Cannon-Heinrich C., Goldberg M. A. West
M. G., Petow W. Neonatal staff and advanced practice nurses’ perceptions of
bereavement/end-of-life care of families of critically III and/or Dying infants. American
Journal Critical Care 2004; 13: 489-498.
7: Feudtner C., MD, PhD, MPH, Santucci G., MSN, Feinstein J. A., BA, Snyder C. R.,
PhD, Rourke M. T., PhD, Kang T. I. MD. Hopeful thinking and level of comfort regarding
providing pediatric palliative care: A survey of hospital nurses.
www. Pediatrics.org/cgi/doi/10.1542/peds.2006-1048. ultimo accesso 19/08/2010.
29
8: Pignotti M. S. Il convegno di Firenze e il dibattito sui grandi prematuri. Bioetica 12/2009
9: Markestad T., Kaaresen P. I., Rønnestad A., Reigstad H., Lossius K., Medbø S., Zanussi
G., Engelund I. E., Polit C., Skjaerven R., Ingens L. M., on behalf of the Norwegian
Extreme Prematury Study Group. Early death, morbidity, and need of treatment among
extremely premature infants. Pediatrics, vol. 115, n. 5 May 2005.
30