7 La partenza - Yoga e Psicoanalisi

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7 La partenza - Yoga e Psicoanalisi
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L’allineamento e la partenza.
Nel circuito dell’Om dopo la preparazione specifica ci avviciniamo
alla linea dello start o della partenza che ci conduce rapidamente al
bivio, dove si apre il problema della scelta tra la via di fuga o
dell’illusione e la via della verità o della prova di verifica.
In realtà, il più delle volte la scelta è già stata fatta prima del bivio,
sia durante la preparazione specifica che durante quella generica
fuori dal circuito e che comprende sia l’educazione tradizionale che
la montatura fatta nella zona franca, quindi
sulla linea di partenza i nuclei di desiderio istintuali,
razionali e immaginari sono già strutturati, per cui la scelta
di quale via percorrere di fronte la bivio è già stata fatta
però, almeno teoricamente dobbiamo accettare il fatto che anche
all’ultimo momento il soggetto possa rivedere le proprie convinzioni e
decidere di percorrere una via piuttosto che un’altra; però, siccome
“l’acqua non va in salita”
le azioni degli uomini sono il prodotto dei nuclei di desiderio
che hanno nel cervello, per cui, quelli che prevarranno
dopo la partenza daranno l’indirizzo comportamentale;
ma prima di parlare del bivio in maniera più approfondita dobbiamo
accennare al fatto che prima della partenza effettiva, ancora nel contesto della preparazione specifica possiamo identificare una piccola fase denominata allineamento.
In pratica, all’interno del circuito dell’Om, dopo la spiegazione delle
3R (Regole da rispettare, Ruoli da rivestire e Risultati da conseguire)
il soggetto viene portato sulla linea di partenza per il cosiddetto allineamento che rappresenta realmente l’ultimo momento in cui il giocatore può ancora riflettere su cosa fare, anche se di fatto ormai è
già stato tutto deciso dai nuclei di desiderio che lo hanno portato
all’interno del gioco.
L’allineamento corrisponde a quello che nella pratica precede la firma definitiva di un contratto per l’acquisto di un bene di consumo o
un servizio, l’ingresso nella sala degli esami e la ricevuta dei compiti
da espletare, ecc.
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Ne parlo perché, per quanto limitata in un’ottica di tempo, anche
questa fase è estremamente delicata e importante, anzi, in certi giochi di gruppo viene preparata con grande cura, proprio perché in tali
contesti la partenza buona è fondamentale
Comunque, quel che ci importa sottolineare è che dal punto di vista
psicologico l’allineamento serve ad allentare la tensione del giocatore non ad aumentarla, soprattutto perché
siccome il via viene dato da un arbitro il giocatore e
non deve stare a pensare quel che fanno gli altri ma
solo concentrarsi sulla propria partenza
questo ovviamente se i giochi fossero regolari, invece ci sono dei
giochi in cui l’allineamento ha assunto un ruolo determinante nella
strategia dell’intera gara, proprio perché taluni giocatori ambivalenti
usano dei trucchi psicologici atti a infastidire gli antagonisti per comprometterne la serenità e ridurre la loro efficienza nella partenza.
Si tratta ovviamente di azioni scorrette, però ci sono dei giochi oltremodo competitivi, come il “Palio di Siena”, che tollerano trucchi e
scorrettezze di questo genere; la conseguenza di tutto ciò è che l’
allineamento viene così curato che a volte l’attesa della partenza diventa qualcosa di estenuante tale da compromettere la serenità dei
fantini e fargli perdere la gara.
Ma perdono la pazienza anche gli spettatori (non i tifosi naturalmente, perché questi godono anche delle scorrettezze) e non è un caso
che poi la gara in sé abbia spesso delle conseguenze tragiche, sia
per i cavalli che per i fantini (e volendo anche per gli spettatori, molti
dei quali non vedono nulla dello spettacolo o stanno male in quanto
assistono per ore schiacciati come sardine) ma l’Ego vuole partecipare comunque e allora...
Ma queste azioni di disturbo nel corso dell’allineamento le possiamo
trovare anche nei giochi della quotidianità, quando per esempio un
venditore non mette a proprio agio il cliente, anzi gli mette fretta per
firmare il contratto e questo subisce, senza sapere che in tutti i giochi
c’è la fase dell’allineamento in cui ci si ferma, si prende posizione, si
verificano le ultime clausole e si decide di partire (per esempio, con
la firma, serenamente).
A tale proposito, ricordo che quando ero giovane c’era un venditore
che di fronte al mio desiderio di pensarci ancora qualche giorno in
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merito all’acquisto di un’enciclopedia che avevo chiesto io di visionare, cercava di farmi firmare rapidamente il contratto dicendomi cose
assurde, del tipo che lui non avrebbe potuto tornare, perché l’ indomani avrebbe dovuto partire e balle di questo genere, allo stesso
modo, recentemente un venditore di auto, alla mia richiesta di preventivo rispondeva sottoponendomi immediatamente un contratto
vero e proprio da firmare; in pratica, subito dopo l’esposizione delle
caratteristiche dell’auto mi ha detto in maniera aggressiva e al tempo
stesso confidenziale (come se ci conoscessimo già da tempo): “Allora l’impianto a gas te lo metto allo stesso prezzo del benzina, ti aggiungo un autoradio e te la consegno tra una settimana! Aspetta che
prendo il contratto da firmare!” proprio come se, il solo fatto di essere
entrato nella concessionaria e la mia domanda di informazioni fossero state interpretate come una domanda d’acquisto immediata (manco fossi entrato in panetteria per chiedere un chilo di pane).
Ma tornando all’allineamento, è anche curioso osservare che nei
giochi della quotidianità, durante quella fase, ognuno manifesta
comportamenti diversi, specie quando i giocatori prima della partenza effettiva soffrono per un’eccessiva tensione: per esempio, alcuni
si agitano, parlano molto, altri cercano rassicurazioni, altri ancora ostentano spavalderia, taluni si isolano, ecc. ma fate bene attenzione
perché quelle citate, anche se diverse, sono tutte manifestazioni di
un eccesso di agonismo o di un eccesso di attaccamento al risultato e, nonostante le apparenze (perché, per esempio, un atteggiamento aggressivo iniziale sia coreograficamente apprezzabile e fa
molto effetto sul pubblico) molto spesso questa tensione non allentata riduce le prestazioni anziché migliorarle.
Non a caso i bravi allenatori dicono di stare calmi sulla linea di partenza e andare cauti all’inizio, proprio per evitare di “partire per la
tangente” alla prima curva o di “scoppiare troppo presto”; in ogni caso questi atteggiamenti stanno a dimostrare o un’insufficiente preparazione o una scarsa fiducia nelle proprie capacità, o comunque, una
sovradeterminazione del risultato immaginato piacevole: difatti,
c’è chi vuole ottenere il risultato a tutti i costi nel più breve tempo
possibile, ovvero, ha una tale paura del fallimento che qualsiasi
mezzo va bene per vincere, anche doparsi (soprattutto perché nella
società dei consumi e dell’immagine in cui viviamo, l’unica cosa che
conti è vincere non partecipare)
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Ora, visto che gli esempi sono innumerevoli, per capire il momento
che stiamo descrivendo è indispensabile che ciascuno faccia riferimento alla propria esperienza: cioè, per comprendere appieno la situazione è necessario che ognuno di noi ricordi una qualsiasi volta in
cui siamo andati incontro a una prova di verifica, se eravamo rilassati
o meno e che cosa abbiamo fatto per ridurre la tensione che ci assaliva.
Sicuramente tutti abbiamo sperimentato un allineamento che precedeva una partenza effettiva: poteva trattarsi di un’interrogazione,
un esame, una gara, uno spettacolo, un colloquio di assunzione, ma
anche solo una cena di gruppo, un incontro galante, o quant’altro.
Bene!
Quello che ci interessa ora è ricordare ciò che abbiamo immaginato
prima, durante e dopo quello che consideravamo “la prova”.
Badate bene, ho detto di porre particolare attenzione su quanto abbiamo “immaginato”, perché
le azioni che noi stessi abbiamo compiuto, in ogni
fase dei giochi cui abbiamo partecipato, sono sempre state
la conseguenza di cosa pensavamo sarebbe accaduto
e, lo ripetiamo, questi pensieri erano comunque gli effetti della
“montatura” che avevamo subito in precedenza, chissà in quale
“zona franca” (ci sono studenti che si lasciano influenzare dalle storie
circa la cattiveria dei professori raccontate dai loro colleghi “bocciati”
o “sconfitti” e, pur essendo preparati, quelle stesse immaginazioni li
intimidiscono e compromettono la loro prestazione) non a caso, al
termine della prova molto spesso ci siamo ritrovati a dire frasi del tipo: “Ma dove avevo la testa?” “Come ho fatto a non capire quello
che stava succedendo?” “Perché non ho ragionato?” Avevo tutto il
tempo, perché mi sono fatto prendere dalla fretta?” “Perché mi sono
fatto influenzare da quello che dicevano gli altri?” ; e così via.
Quindi, sulla linea di partenza il soggetto è in balia delle proprie immaginazioni o elaborazioni mentali che, come abbiamo detto, sono
la conseguenza di tutto ciò che si è verificato prima (nella zona franca e nel corso della preparazione specifica) per cui, se l’individuo
non ha la mente lucida, o per meglio dire, se non ha “i piedi per terra” può addirittura non essere cosciente di quanto gli accade, può
perdere la cognizione del tempo e dello spazio e venire sommerso
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dalle proprie paure, oppure può esplodere in termini di agonismo,
obbligato dalle proprie fantasie di rivendicazioni, senza per questo
essere efficace (un esempio dello sport è l’incontro memorabile
Clay-Foreman dove quest’ultimo accecato dal desiderio di sconfiggere un mito lo ha attaccato subito come una furia, ma Clay dopo essersi difeso ad oltranza, anche con “trucchi da mestierante”, lo ha poi
messo KO con lo stupore di tutti), o ancora, molto più semplicemente
il soggetto può perdere di vista il senso del gioco o lo scopo per cui
sta giocando (come nel caso, sempre parlando di boxe, dell’incontro
tra Tyson-Holyfield, nel quale a seguito delle scorrettezze, nemmeno
gravi di quest’ultimo, sentendosi non supportato dall’arbitro, Tyson
ha perso la testa e con un morso ha staccato un pezzo di orecchio
dell’avversario).
Ma per portare un esempio meno drammatico su cosa significhi perdere il senso del gioco posso usare la mia storia personale: nella
prima partita che ho fatto in un campionato studentesco di pallacanestro giovanile ero così emozionato che, al pronti-via, praticamente
non sapevo dove mi trovavo.
L’allenatore, consapevole della nostra giovane età e delle illusioni ad
essa collegate, negli spogliatoi ci aveva avvertito: “Non guardate il
palazzetto, le luci i cartelloni pubblicitari, il pubblico, ecc. rimanete
concentrati e seguite gli schemi, ecc.” ; io personalmente però non
gli ho dato ascolto e, quando sono entrato mi sono incantato a vedere tutto quello che mi circondava e che per molto tempo avevo sognato di fare.
Purtroppo però, proprio per la mia bassa statura rispetto ai giocatori
di basket, il mio ruolo era addirittura quello di play-maker (quello che
dirige il gioco o porta avanti la palla) e almeno in teoria avrei dovuto
essere quello con la mente più lucida tra i giocatori, invece subito
dopo il fischio d’inizio, in pratica, la palla veniva portata da altri e io
correvo per il campo senza una meta precisa.
L’allenatore se n’è accorto subito e mi ha richiamato in panchina facendomi la classica domanda: “Ma dove hai la testa?” .
“Prendere tempo”.
Una piccola variante alla successione obbligata della preparazione,
l’allineamento e lo start è data dal fatto che, per motivi diversi, a volte
la partenza ufficiale può essere ulteriormente ritardata: esiste infatti
un’opzione chiamata “tempo”, che tutti i giocatori possono richiedere, grazie alla quale, per bisogni urgenti, oppure per un ripensamen-
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to dell’ultimo momento, ognuno può avere un ultimissima dilazione di
tempo che gli può servire per riflettere sul da farsi.
Purtroppo però, anche se questa opzione esiste per tutti i giochi
simbolizzati, nella società dei consumi e dell’immagine i potenti hanno cercato di eliminarla; proprio per questo motivo, dopo le innumerevoli fregature commerciali e le corrispondenti battaglie legali subite
dai deficienti (noi tutti), le associazioni dei consumatori sono riuscite
a imporre una legge che contempla la possibilità di recedere dal contratto anche dopo alcuni giorni dall’averlo firmato.
Difatti, tornate a casa, molto spesso le persone cadevano dalle nuvole e, a mente fredda si sorprendevano di aver firmato dei contratti
con regole assurde e infatti consultandosi con i legali delle associazioni si lamentavano dicendo: “Cosa dovrei fare? Bisogna fare un
abbonamento per tre anni? Ma io non pensavo ci fossero tutte queste clausole e queste spese da pagare! Quello che mi ha fatto entrare (riferendosi alla persona che nella zona franca gli ha montato la
testa a sufficienza per farlo entrare nel “circuito”) mi aveva detto che
non c’era da preoccuparsi, che era tutto gratuito, non c’erano interessi, spese aggiuntive o penali da pagare!”.
Così, il più delle volte, la presa di coscienza del guaio in cui ci si era
cacciati, nel tentativo di soddisfare un desiderio, spesso ficcatoci nel
cervello da altri, poteva anche essere brutale… ma può esserlo tuttora! Specie quando i nostri nuclei di desiderio sono stati montati a sufficienza nella zona franca (non è che con quella legge i potenti si
siano ravveduti ed abbiano fatto da quel momento contratti chiari,
anzi, le regole sono sempre più contorte e naturalmente mai a favore
del cliente); per cui, tenete sempre presente che
anche se con l’ingresso e la preparazione specifica
il gioco è già iniziato, in tutti i giochi
è possibile un ulteriore ripensamento
prima della partenza ufficiale o anche dopo lo start.
In definitiva, la fase dell’allineamento che precede una qualsiasi
prova di verifica è dunque una fase speciale che con i suoi pensieri
e sentimenti viene ricordata molto spesso in letteratura, in quanto,
come abbiamo accennato, è un momento di particolare tensione che
tutti gli esseri umani hanno provato almeno una volta nella vita, spe-
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cie quando si aveva la consapevolezza di non avere alle spalle una
preparazione o un allenamento sufficiente.
A tale proposito, la Bhagavad Gita (un frammento del Mahabaratha il
poema epico indiano più conosciuto al mondo) inizia proprio nel
momento dell’allineamento dei due eserciti che si fronteggiano ed
Arjuna (l’eroe del racconto in questione) che dovrebbe dare il via al
combattimento (lo start) viene preso dal timore per quello che dovrà
di lì a poco andare a fare, si blocca, gli cade l’arco dalle mani, le
gambe gli tremano ed è incapace di continuare.
A questo punto interviene Krishna (il Dio incarnato che in quella vicenda riveste il ruolo di auriga di Arjuna) il quale, di fatto chiede
tempo e questo tempo lo usa per chiarire le idee ad Arjuna in merito
al senso del Dharma (dell’azione corretta) e delle conseguenze
dell’A-dharma (l’azione scorretta) sia in generale, all’interno di tutti i
giochi della vita, che nello specifico del gioco che sta per andare a
fare (la guerra contro i suoi cugini).
Quel che è successo ad Arjuna (e vi invito caldamente a leggere la
Bhagavad Gita) è un classico attacco di panico e abbiamo già detto
che all’origine degli attacchi di panico sta proprio il fatto che
se io attribuisco alla realizzazione del risultato immaginato
piacevole un valore vitale (considero cioè la realizzazione del
risultato una questione di vita o di morte) ovvero, se ipotizzo
che mi possa sfuggire, mi verrà non solo il timore ma il terrore
con tutti i sintomi collegati al terrore di perdere la vita, ma la cosa curiosa è che nella maggior parte dei casi, tutti quelli che percepiscono il subbuglio emotivo che li agita durante la fase dell’ allineamento, non utilizzano il sintomo come un indicatore dell’ eccesso di investimento nel risultato immaginato piacevole, ma si
colpevolizzano come incapaci di tenere la calma; per questo motivo, dopo averlo sperimentato alcune volte (sempre naturalmente di
fronte a un risultato considerato irrinunciabile)
compare la paura della paura perché si ritiene che sia
la paura ad impedire la realizzazione del risultato desiderato,
quando invece la paura indica un eccesso di investimento
nel risultato immaginato piacevole, considerato cioè vitale
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per questo motivo, la maggior parte inizia a cercare soluzioni personali (per lo più di nascondimento) oppure a seguire le indicazioni tutti
coloro i quali propongono:
- tecniche atte a giocare comunque (per esempio, anche con il
panico addosso);
- oppure dei sistemi che consentano di mantenere la calma (tecniche di rilassamento, yoga, psicofarmaci, ecc.);
- o ancora meglio, metodi per tornare rapidamente calmi (byofeedback, e cose simili, fino anche i defibrillatori portatili).
Ma sono pochi i terapeuti che invitano a disinvestire dal risultato
immaginato piacevole, anzi, la maggior parte è orientata a rinforzare
l’Ego (con tecniche psicologiche assertive: “Devi convincerti di essere il migliore, che quella cosa la puoi fare senza problemi, non ti preoccupare di cosa dirà la gente, molti nemici, molto onore! … e cose
del genere”) oppure le capacità prestazionali del corpo (“Non ti preoccupare devi solo allenarti di più e il risultato non ti potrà sfuggire!”).
Invece, come esprime bene la Bhagavad Gita, alla fine dei conti, Arjuna (proprio come tutti noi) aveva perduto la consapevolezza del
proprio ruolo e Krishna glielo ricorda con tutti i diritti e i doveri ad esso connessi, in particolare gli consiglia di combattere senza pensare
al risultato perché ciò che conta nel gioco è l’azione (corretta ovviamente) e
se si ha un allenamento adeguato e si è consci della
propria preparazione, ovvero se si è rinunciato ai risultati
immaginati piacevoli e si è in linea con il risultato offerto dal
gioco si è in pace con sé stessi e pronti a giocare.
disposti cioè ad accogliere qualsiasi cosa succeda, perché la vita
non finisce con un risultato negativo e, soprattutto, perché è assolutamente vero il detto che sbagliando si impara ma per capirlo e soprattutto per accettarlo è necessario voler imparare; purtroppo però,
anche a seguito dell’educazione che abbiamo ricevuto nella società
dei consumi e dell’immagine (che ci obbliga a vincere e non solo a
partecipare) noi non abbiamo l’obiettivo di imparare,
noi vogliamo vincere e siamo certamente d’accordo
col detto che “sbagliando si impara”, ma vorremmo
che fossero solo gli altri a imparare sbagliando
noi preferiamo fare giusto, sempre e al primo colpo,
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cioè, noi vogliamo a tutti i costi non sbagliare mai soprattutto per evitare le critiche del nostro pubblico immaginario, ancora di più che le
critiche degli altri reali.
Ma tornando al tempo dell’allineamento, ricordiamo che esso rappresenta l’ultimo momento per poter decidere con calma e convincersi della scelta da fare in merito al tipo di via da seguire dopo il bivio:
- la via della verità o della prova di verifica;
- la via di fuga o dell’illusione
infatti, una volta partiti, quando si sarà obbligati a prendere una via o
l’altra, quello che è fatto è fatto e le azioni non potranno che essere
la conseguenza di ciò che si è meditato in precedenza: cioè,
una volta partiti non ci sarà più il tempo di riflettere sul da
farsi, dopo lo start, in un senso o nell’altro, il giocatore
dovrà solo agire per superare la prova di verifica
o per fuggire attraverso la via di fuga o dell’illusione
e, in entrambi i casi, per cercare di ritornare il più in fretta possibile
nella zona franca.
In definitiva lo stato d’animo sulla linea di partenza dipende dal nostro grado di coscienza, ovvero delle dimensioni dei nostri nuclei di
desiderio immaginari, ed è evidente che se non abbiamo le idee
chiare o, per meglio dire, se i nostri nuclei di desiderio immaginari
sono così forti da impedirci di tenere “i piedi per terra”, dopo la partenza rischiamo di partire, nostro malgrado, per la tangente oppure
nel corso dello sviluppo del gioco tutto ci sembrerà estraneo e, usciti
dopo aver fallito la prova di verifica ci sentiremo degli stupidi e/o delle vittime.
Ora, visto che ci siamo, facciamo una piccola parentesi simbolica e
ricordiamo che la richiesta di “prendere tempo” prima della partenza
definitiva, può essere fatta in modi diversi (segni e/o parole), tutti ovviamente simbolici: per esempio, è conosciutissimo il fatto che nel
poker, per riflettere se “andare a vedere” il punto dell’avversario, il
giocatore deve chiedere verbalmente “tempo”, nella pallacanestro,
nella pallavolo, ecc. lo si può fare altrettanto per sospendere almeno
di un minuto la partita in corso, ma la cosa curiosa è che tale richiesta viene accompagnata da un gesto delle mani altrettanto simbolico
(una sorta di mudra come si dice in India o gesto simbolico) che
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guarda caso ricorda il Tau di cui abbiamo parlato nel precedente capitolo (vedi la figura successiva).
Il segno del TIME OUT nella pallacanestro.
E in quest’ottica, se riprendiamo l’immagine del Tau con sovrapposto
i circuiti dell’Om (uno per ogni emisfero cerebrale) ci possiamo rendere conto che,
tra i suoi diversi significati, la T (o il Tau) rappresenta anche
il supporto del tempo di gioco (T come Tempo, appunto)
tempo simbolico intendo, badate bene, non il tempo immaginario, nel
senso che il gioco inizia con la preparazione specifica sulla parte
orizzontale del Tau e finisce con la liberazione all’apice della sua
parte verticale (vedi la figura successiva).
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Questo discorso sulla differenza tra il tempo immaginato (cioè il
tempo percepito: lento veloce, abbondante, ristretto, ecc.), il tempo
simbolico di gioco (quello effettivo dell’orologio che va dall’ingresso
all’uscita dal gioco) e il Tempo Reale (quello che trascende il tempo
di tutti i giochi e che procede per i fatti suoi, indipendentemente dal
desiderio dell’uomo di dividerlo in secondi, minuti, ore, giorni, settimane, mesi e anni) lo riprenderemo più avanti; per adesso andiamo
a vedere la partenza effettiva.
La partenza effettiva, il bivio e la scelta.
Come possiamo vedere nella figura A, a questo punto tutto è pronto:
cioè subito dopo l’allineamento c’è la partenza effettiva che normalmente viene dettata da uno starter (che può essere un arbitro, un
presentatore, un direttore di gara, un battitore, un bidello, un usciere,
un ispettore, un professore, un notaio, un impiegato, ecc.).
A sua volta la partenza effettiva (o START) può essere impostata in
modi diversi e, a seconda dei giochi, abbiamo la partenza da fermi,
eventualmente preceduta da un giro di ricognizione del circuito, la
partenza lanciata, a scaglioni, ecc.
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Fig. A: Il circuito dell’Om e nel riquadro, lo START ovvero, il punto
dell’allineamento e della partenza nel gioco della liberazione
Dal punto di vista neurofisiologico l’allineamento e la partenza corrispondono ad un’area precisa del cervello che è l’Area di Broca o
della parola sita nell’operculum frontale; proprio quella che in un capitolo precedente abbiamo indicato essere la zona toccata dall’indice
per indicare che uno è matto.
Il perché è presto detto.
La partenza effettiva viene sempre determinata da un ordine comportamentale interno di tipo verbale (ed è per questo che lo start corrisponde all’area cerebrale della parola di Broca); subito dopo c’è il
bivio e il dito indice viene messo lì (sulla tempia) per indicare se uno
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è matto in quanto, a seconda dell’azione compiuta o a seconda
della via scelta dal giocatore (passaggio attraverso la Via della Verità o della prova di verifica ovvero dalla Via di fuga o dell’illusione),
gli spettatori possono giudicare se il soggetto sia sano di mente
o meno (intelligente o stupido, maturo o immaturo, ecc.).
L’Area di Broca o della parola (nell’immagine è scritto in inglese
Broca’s area) sta nell’operculum frontale e se sovrapponiamo il circuito dell’Om al cervello ci possiamo facilmente rendere conto della
sua corrispondenza con il punto dello START o della partenza effettiva.
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Il circuito dell’Om sovrapposto al cervello
Ora però state bene attenti perché, in questo momento, oltre ad aver
fatto corrispondere lo START con l’area della parola di Broca contenuta nel cosiddetto operculum frontale, abbiamo aggiunto una importante precisazione psico-fisiologica e cioè che
ogni azione volontaria è il prodotto di un
ordine comportamentale interno (ovviamente
verbale) che parte dall’area di Broca
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quest’ordine però, non attiva subito l’area motoria (nella figura, la
primary motor cortex) ma la corteccia premotoria che corrisponde a
quella porzione di corteccia frontale dove si immaginano o si organizzano le azioni e che con la sovrapposizione del circuito dell’Om la
vediamo corrispondere a dove abbiamo messo il risultato immaginato piacevole.
L’importanza di questa scoperta sta nel fatto che così come gli ordini
comportamentali attivano l’azione, allo stesso modo le parole possono alimentare i nuclei di desiderio immaginari, quindi
attraverso la parola è possibile predisporre il piano immaginario
atto a realizzare dei risultati immaginati piacevoli, tramite
il compimento di azioni, sia di tipo trasgressivo (o furbe)
che di tipo corretto (razionali o di buon senso).
Questo è il motivo per il quale il condizionamento mentale operato
dai mass media (fatto di parole e immagini) funziona, ma è lo stesso
motivo per il quale sia l’educazione che la psicoterapia (di qualsiasi
genere) funzionano per correggere le modalità di pensiero e di comportamento anomali.
Tra l’altro proprio ultimamente il neurologo premio nobel del 2000 Eric Kandel ha dimostrato che attraverso la psicoterapia (che di fatto è
un intervento terapeutico basato sulla parola) è possibile indurre dei
cambiamenti nel funzionamento cerebrale, cambiamenti che hanno
anche un corrispettivo organico e che oggi possono essere rilevati
attraverso i nuovi strumenti di laboratorio (come la RMNf , la PET, la
SPECT, ecc.).
In pratica è proprio la struttura del cervello che si modifica e di qui
anche il suo funzionamento.
Ma torniamo all’ordine comportamentale e domandiamoci:
Chi è che dà l’ordine comportamentale alle aree motorie (eventualmente precedute dalla montatura dell’azione nell’area premotoria)?
Ovviamente l’ordine viene dato dall’Io, ma da quale Io?
Nel libro sulle Intelligenze dell’Io abbiamo visto che nel nostro organismo di “Io” ce ne sono quattro:
- l’Io Reale corporeo (il corpo fisico);
- l’Io immaginario (l’Ego Grande e l’ego piccolo);
- l’Io simbolico (il ruolo rivestito in ogni gioco giocato);
- l’Io Reale Spirituale (l’Anima, l’Atma, il Sé interiore o lo Spirito);
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ma quale di questi quattro “Io” dà l’ordine comportamentale per
compiere un’azione qualsiasi?
In passato abbiamo risposto al quesito dicendo semplicemente che
l’azione dipendeva dai nuclei di desiderio i quali sono anch’essi di
quattro generi (istintuali, immaginari, razionali e Spirituali) e che collegati ciascuno all’Io corrispondente, davano origine a una struttura
(un gruppo di neuroni) al tempo stesso organica e psicologica che
dice: “Io sono, dunque voglio!” .
Al tempo stesso, per separare, distinguere o identificare all’interno
del cervello secondo le loro specifiche caratteristiche psico-neurofisiologiche questi nuclei di desiderio (questi gruppi di neuroni condizionati a un certo oggetto di desiderio) ho poi provato ad applicare
all’anatomia la logica dei Piani di sviluppo della psiche proposti da
Lacan (piano reale fisico, piano immaginario e piano simbolico) e,
dopo diverse prove, ho trovato la corrispondenza tra la psicoanalisi
lacaniana (integrata o arricchita dalla componente Spirituale) e le
neuroscienze sezionando il cervello in quattro aree (vedi figura B):
- la corteccia fronto-parieto-temporo occipitale che corrisponde al
piano immaginario e ai nuclei di desiderio immaginari dell’ Ego
o “Io immaginario”;
- la corteccia prefrontale-orbito-frontale che corrisponde al piano
simbolico e ai nuclei di desiderio razionali, del ruolo o “Io simbolico”;
- le aree sottocorticali (il sistema libico, il tronco ecc. fino al il midollo e ai nervi periferici) che corrisponde al piano reale fisico e
ai nuclei di desiderio istintuali del corpo o “Io Reale corporeo”;
e siccome nella sua distinzione dei piani psicologici Lacan non aveva
contemplato il Piano Reale Spirituale, ce l’ho aggiunto io, ovviamente con l’Io corrispondente (l’Io Reale Spirituale); ma visto che per
definizione lo Spirito sta dappertutto, non sapendo come collocarlo,
nella figura l’ho temporaneamente indicato con una linea blu che
parte genericamente dal cuore e arriva al punto di convergenza o
nell’area in cui avviene la sovrapposizione degli altri tre piani.
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Fig. B: l quattro piani di sviluppo della psiche e le quattro forme
dell’Io corrispondenti, secondo la logica dei piani di Lacan integrati
dal Piano Spirituale
In questo modo ho potuto finalmente fare un collegamento attendibile tra la psicoanalisi e le neuroscienze, nel senso che questa disposizione spiega il motivo per il quale esistono quelli che in psicologia
vengono chiamati conflitti interiori, semplicemente perché i nuclei
di desiderio (quelli che dicono appunto: “Io sono, dunque voglio!”)
collocati nei rispettivi piani, quando non sono in armonia o addirittura
sono incompatibili tra loro (in termini di obiettivi e/o di risultati da realizzare), dato che pensano ed agiscono autonomamente, il conflitto
tra loro si traduce in un gioco di forza che il soggetto percepisce co-
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me sintomi psicologici (ansia, trepidazione, angoscia, ecc.) ma anche sintomi fisici (tremori, tachicardia, sudorazione, ecc.)
Naturalmente, la forza dei nuclei di desiderio è data dal numero di
neuroni coinvolti (che dipende dalla montatura nella zona franca) e
le azioni che noi compiamo sono sempre la risultante o
la conseguenza di chi tra i nuclei di desiderio vince tale lotta.
Con il presente lavoro ho però fatto un passo in più.
Riflettendo sui nuclei di desiderio che dicono: “Io sono dunque voglio” e, in particolare, fissando l’attenzione sull’Io sono, l’Io Spirituale
rappresentava una forma anomala in quanto:
- stando dappertutto e anche al di là del fisico non aveva cellule
(né corporee e nemmeno cerebrali) di riferimento;
- se si poteva ipotizzare un conflitto tra le prime tre forme dell’Io
per soddisfare i rispettivi desideri non si poteva ipotizzare un
conflitto in cui partecipasse l’Io Spirituale perché, per definizione,
lo Spirito non ha nessun desiderio salvo quello di amare e di essere amato (questa almeno secondo la definizione proposta da
tutte le religioni).
per questo motivo rimanevano due ipotesi, già elaborate da diverse
correnti religiose:
1) o lo Spirito è solo uno spettatore di quello che avviene nella natura, compreso il nostro corpo;
2) oppure lo Spirito è parte attiva e interviene direttamente sul fisico obbligando il soggetto ad evolvere in senso spirituale piuttosto che mondano.
Anche in questo caso, alla fine di ripetute riflessioni ho capito che
sono vere entrambe le cose, e cioè
lo spirito e al contempo spettatore, perché qualunque cosa
succeda nella natura lui non ne viene minimamente intaccato;
ma è al contempo parte attiva in quanto identificandosi con il
corpo e la mente di un individuo gioca la partita della vita
In pratica, si tratta di qualcosa che addirittura avevo già scritto in
passato, ma di cui non ero profondamente consapevole; e cioè:
l’Io Spirituale è il vero padrone del corpo e della mente
e le altre forme dell’Io non sono altro che il risultato di un suo
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processo identificativo con le diverse aree del corpo e del cervello
in particolare, identificandosi con le cellule dell’organismo e più
specificamente con i neuroni del cervello, dà origine alle tre diverse forme dell’Io:
- Io reale corporeo;
- Io immaginario o Ego;
- Io simbolico o ruolo
al tempo stesso, sempre a seguito di tale identificazione lo Spirito
perde coscienza di Sé o della propria Reale Natura e il gioco
della vita consiste proprio nel recuperarla e, dopo, a far funzionare le altre tre forme dell’Io compatibilmente o in armonia con la componente Spirituale che è la vera padrona del corpo.
Il gioco della vita individuale è come la leggenda del figlio del re che
viene rapito infante dai ladroni e, crescendo in mezzo a loro, perde la
coscienza della propria origine e crede di essere pure lui un ladrone.
Questa convinzione si mantiene fino a quando le esperienze della
vita (in particolare la sofferenza) lo portano a pensare di non avere
nulla a che fare con la gente che lo circonda e, seguendo una serie
di indizi che il destino gli offre “casualmente”, arriva a ritrovare la sua
vera origine regale.
Ma ciò non basta, perché una volta capito deve anche mettere in
pratica ciò che ha capito, nel senso che, da un lato deve trovare il
modo di separarsi dai ladroni con i quali è cresciuto e dall’altro deve
farsi riconoscere come il legittimo erede dai sudditi da cui è stato lontano per anni e recuperare la propria autorità nella gestione del regno.
In questo sta il gioco della vita, indicato da tutte le religioni:
l’Io Spirituale (l’Anima, l’Atma, lo Spirito o il Sé interiore,) viene “rapito” dalla materia (il corpo e la mente) e si identifica con essa e sempre attraverso la materia deve tornare a prendere coscienza della
propria Reale Natura Spirituale e liberarsi dai vincoli terreni;
prendere coscienza di sé (del Sé Interiore) però non basta perché
per “liberarsi” definitivamente dai legami terreni o sensoriali (dovuti ai
condizionamenti mentali e anche a quelli genetici). il soggetto deve
manifestare questa presa di coscienza nella pratica quotidiana, solo
in quel caso egli avrà la possibilità di fondersi nel divino da cui è originato, nel momento in cui abbandona il corpo.
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Per un credente, la convinzione di essere Spirito e non corpo potrà
sembrare la scoperta dell’acqua calda, ma per chi è ateo o proviene
da una formazione psicologica o psicoanalitica è molto più difficile
visto che sia Freud che Lacan erano atei ed eccettuato Jung sono
pochissime le teorie psicologiche non psicoanalitiche che contemplino la componente Spirituale del soggetto.
Lo dico perché, dopo vent’anni che tento di collegare psicoanalisi
con la spiritualità e le neuroscienze, solo adesso mi sembra che tutti
i tasselli siano realmente al loro posto, difatti è possibile fare il collegamento suddetto, in maniera attendibile, solo se facciamo partire il
discorso dall’Io Spirituale, in particolare se consideriamo che:
- l’Io Spirituale è il possessore del corpo e della mente;
- con la nascita egli si identifica con tutte le cellule del corpo e con
tutti i neuroni del cervello, diventando in questo modo l’Io Reale
corporeo;
- identificandosi nello specifico o alternativamente con i neuroni
della corteccia fronto-parieto-temporo-occipitale diventa l’Io immaginario (Ego Grande ed ego piccolo);
- attraverso l’elaborazione del simbolico (favorita dall’educazione
genitoriale, scolastica e religiosa) si identifica con i neuroni della
corteccia prefrontale e orbito-frontale diventando così l’Io simbolico (il ruolo rivestito in tutti i giochi dell’esistenza);
è dunque indispensabile tenere presente il fatto che l’Io Spirituale è
sempre in gioco e sono proprio le sue identificazioni successive che
permettono di creare dei nuclei di desiderio e di sviluppare le tre
intelligenze di base (istinto, furbizia e razionalità).
Queste ultime, a loro volta, consentono all’individuo di sopravvivere
più o meno degnamente ed essere considerato normale dal punto di
vista psichico e responsabile anche giuridicamente dei propri atti dal
momento in cui l’intelligenza razionale si ritiene comunemente debba
ormai essere formata (più o meno tra i 14 e i 16 anni).
In ogni caso, aver sviluppato la razionalità non significa aver sviluppato il buon senso perché la razionalità è solo la capacità di distinguere il bene dal male (il giusto dallo sbagliato, l’utile dal dannoso ecc.) ma ciò non significa che il soggetto metta in atto le conclusioni ottenute da tale riflessione (per esempio, dandosi da fare per il
bene proprio, delle persone che lo circondano o della terra che lo
ospita) difatti, come abbiamo accennato alla fine del capitolo precedente,
281
il buon senso non è solo l’espressione dell’intelligenza razionale
ma compare quando l’Io Spirituale aggiunge alla razionalità
anche i valori umani o spirituali della verità, l’amore, l’onestà, ecc.
A conferma di ciò basti pensare ai soliti potenti e in particolare ai politici i quali sono certamente in grado di usare strumenti razionali, ma
solo apparentemente per il bene di tutti (“Dovete cambiare l’auto per
migliorare l’ambiente!”), invece nei fatti usano le argomentazioni razionali solo per i propri interessi; allo stesso modo, un filosofo può
essere estremamente sofisticato nelle sue riflessioni razionali, ma
può non avere nessuna bontà d’animo (ovvero, nessuna voglia di
usarla); così pure un giudice, nel momento in cui deve giudicare un
caso, le sue conclusioni possono essere assolutamente razionali,
ma prive di buon senso.
Non a caso nei tribunali circola il detto: “Per gli sconosciuti la norma
viene applicata, per gli amici invece viene interpretata!” .
Tutto ciò significa che non tutte le persone dotate di razionalità sono
costantemente e nei confronti di chiunque delle persone di buon
senso (buone, comprensive o tolleranti) di fatto, possono essere decisamente piene di presunzione, invidia, gelosia o addirittura odio ed
è chiaro che la loro razionalità viene condizionata da tali sentimenti:
un medico per esempio, può anche essere molto determinato nel
tentare di guarire un malato di tumore e le sue scelte terapeutiche
possono essere dettate dalla razionalità (perché non si discostano
molto dalla pratica corrente) ma di fatto possono di fatto essere prive
di buon senso, specie se il suo “zelo terapeutico” è dettato dal desiderio di accumulare dati di ricerca per far carriera (non a caso c’è l’
esperienza di numerosi pazienti che testimoniano il fatto di essersi
spesso sentiti più cavie da esperimento che persone umane bisognose di cure; difatti ciò ha indotto il legislatore a impostare un programma di ricerca per definire anche legalmente quale possa essere
il limite tra una cura accettabile e il cosiddetto “accanimento terapeutico”).
D’altro canto, è anche vero che molti appaiono estremamente razionali e si comportano pure bene (rispettano cioè le regole e seguono
il giusto o la retta via), ma non perché sono animati da un senso morale o etico (che come vedremo ha a che fare con la spiritualità, anche se il soggetto non è credente) ma solo per paura dell’eventuale
punizione, ecc. perciò,
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non tutte le persone razionali sono persone buone; il buon
senso invece si realizza solo quando alla razionalità si dà
un senso buono o etico e la si orienta al bene di tutti e tutto.
e questo “senso buono” deriva dall’idea che lo Spirito che sta in noi è
presente in maniera identica dentro tutti gli altri, perché è il senso di
identità con gli altri che ci permette di sviluppare il buon senso,
altrimenti si rimane al livello della fredda razionalità.
Detto in altro modo, è solo grazie alla consapevolezza di essere simili in tutto e per tutto agli altri esseri viventi e ospiti della terra che ci
nutre, che si diventa disposti a mettere in atto il detto di Gesù: “Fate
agli altri ciò che vorreste fosse fatto a voi, ovvero, non fate agli altri
ciò che non vorreste fosse fatto a voi!”, perché
è lo Spirito allo stesso modo presente in tutti che
al di là delle apparenze (casta, colore, credo, ecc.)
che ci fa vedere gli altri come noi stessi.
In definitiva, se non ci fosse l’Io Spirituale nessuno potrebbe riuscire
a togliersi dalla logica dell’Io e del mio (ancora di più oggi che in
passato, visto quella dell’Io e del mio è la logica sponsorizzata continuamente dalla società dei consumi e dell’immagine).
Se non ci fosse l’Io Spirituale nessuno potrebbe riuscire a elaborare
il simbolico e, in particolare, i concetti di giusto e sbagliato; e anche
se ci riuscisse (perché con la razionalità è possibile arrivare a distinguerli) nessuno sarebbe disposto a mettere in pratica il giusto se non
nel caso in cui gli sia conveniente.
Se non ci fosse l’Io Spirituale nessuno potrebbe riuscire a elaborare
concetti quali l’etica, la moralità, la giustizia, l’altruismo, la compassione, in una parola l’amore in tutte le sue versioni umane; purtroppo però, nonostante tutte le religioni dichiarino che l’amore rappresenta la natura fondamentale dello Spirito, come dice Kareen
Armstrong: “La maggior parte delle persone religiose preferisce essere razionale piuttosto che compassionevole.
Nonostante le indicazioni delle Scritture e l’esempio dei Maestri del
passato o dei Profeti, la compassione non è una virtù popolare tra i
credenti, quasi fosse considerata una “distrazione” alla correttezza
dottrinale.”
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Come vedremo nel capitolo sulla Spiritualità e le neuroscienze, lo
Spirito oltre ad essere presente dappertutto nel cervello agisce anche direttamente su di esso, infatti
se non ci fosse l’Io Spirituale nessuno potrebbe
riuscire a separare la prefrontale (sede dell’immaginario)
dall’orbito-frontale (sede del simbolico)
cioè distinguere un’area dove si ragiona in termini di Ego e di risultati
immaginati piacevoli (o spiacevoli) da quella dove si ragiona in termini di ruolo e di risultati reali o pratici… e farla funzionare.
Riuscire a fare questa separazione fisiologica (perché anatomicamente non siamo ancora riusciti a vedere la differenza sostanziale
tra la prefrontale e l’orbito-frontale) è come segnare insieme a un
gruppo di amici delle linee su un prato (anche solo immaginarie) e
creare un campo di calcio per giocarci dentro una partita vera: sembra una cosa semplice, ma se non ci fosse l'Io Spirituale che ha separato queste due porzioni di corteccia cerebrale ed è in grado di farle funzionare entrambe, ciò sarebbe impossibile (non a caso gli animali non potrebbero mai fare una partita di calcio).
E’ dunque in questo modo, che penso si possa collegare definitivamente la Spiritualità alla psicoanalisi le neuroscienze.
Grazie a questa premessa possiamo anche aggiungere alcune note
tecniche per quanto riguarda le diverse terapie psicologiche.
Attualmente l’obiettivo massimo di qualsiasi forma o corrente di psicologia, psicoterapia, psicoanalisi, ecc. è lo sviluppo dell’intelligenza
razionale (che piaccia o meno, di fatto l’obiettivo è questo, anche se
non viene dichiarato dai terapeuti) e non potrebbe davvero essere
altro!
In ogni caso, si può raggiungere tale risultato solo se la corrente psicologica seguita dal terapeuta abbia come punto di riferimento il
Principio di Realtà descritto da Freud (o un principio analogo), perché quel che conta è portare il paziente a gestire i propri nuclei di
desiderio immaginari (comprese le proprie emozioni) compatibilmente con il contesto sociale in cui vive e, per far ciò, non dovrebbe assolutamente sottovalutare l’importanza della razionalità nel definire le
sue scelte esistenziali.
In caso contrario, il rischio è che la cura si traduca in un semplice rigonfiamento dell'Ego del paziente da parte del terapeuta e in una
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esaltazione delle sue scelte emotive, come fanno certe forme di psicoterapie che identificano nella soddisfazione dei propri desideri
(qualsiasi essi siano) l’obiettivo esistenziale prioritario; molti terapeuti
infatti operano all’insegna del principio secondo cui: “Il piacere è un
diritto sacrosanto dell’uomo, perciò, prendetevi ciò che volete e non
siate sempre così razionali! Nella vita ci vuole un minimo di trasgressione!” o cose similari; e promuovono a tal fine l’auto-affermazione
indiscriminata all’interno del gruppo in cui vivono, spacciandola per
autostima.
In questi casi, ovviamente, il paziente si sente subito meglio (visto
che il terapeuta sostiene e rinforza le sue parti infantili), ma proprio a
causa di tale supporto acquista una forza maggiore nel relazionare
con il mondo in un’ottica personale di competizione e prevaricazione
dell’altro, con il costante scopo di realizzare il risultato immaginato
piacevole a tutti i costi, cioè anche a scapito degli altri o del gioco
stesso (in pratica, grazie all’aiuto del terapeuta riesce in qualche
modo a fare ciò che ha sempre sognato) ma questa non è una cura
accettabile.
Per spiegare chiaramente ciò che stiamo dicendo riportiamo un esempio tratto da un blog su internet in merito a un successo psicoterapeutico o almeno così considerato dalla psicologa che lo aveva realizzato.
C’era una paziente che non riusciva a non rispondere alla domanda
di carità di tutti i barboni che incontrava senza dargli qualcosa, ma
ciò non basta, perchè tutte le volte che cedeva alle loro insistenze si
colpevolizzava per il fatto di essere debole e incapace di dire no a
chicchessia.
Dopo un po’ di sedute, un giorno la paziente contentissima torna e
racconta alla psicologa di essere riuscita finalmente a dire al barbone che ha incontrato fuori dal supermercato quel che pensava e cioè
che non gli avrebbe dato una lira né ora, né mai, che doveva vergognarsi di chiedere l’elemosina e che avrebbe dovuto andare a lavorare come fanno tutte le persone normali!
Sicuramente il concetto espresso dalla paziente nei confronti del
barbone è assolutamente razionale (se un uomo ne ha la possibilità
fisica e intellettiva è giusto che vada a lavorare per mantenersi e non
vivere di elemosina), ma il fatto di essere contenti per essere riusciti
a reagire in quel modo, cioè per il fatto di essere riusciti a gridargli in
faccia tutto il proprio rimprovero è di buon senso?
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Come potete intuire all’Ego della paziente (proprio come all’Ego di
tutti noi, del resto) non sarebbe bastato girare la testa e andarsene
contenta di aver fatto la scelta giusta (non dare l’elemosina) ed essersi comportata educatamente; perché
l’Ego vuole sempre qualcosa di più, un risultato
tangibile che dimostri la propria superiorità
e, nel suo caso, forse erano anni che sperava finalmente di sfogarsi
e dirgliene quattro (non certo a quel mendicante in particolare, ma al
primo che le sarebbe venuto a tiro, dopo la terapia psicologica che le
aveva fornito finalmente una mentalità “vincente”!). E così è stato e,
tutta contenta, è andata a riferirlo alla psicologa, la quale, a sua volta
l’ha ritenuto un successo terapeutico pubblicabile su internet.
Beninteso, questa è la mia opinione e voi siete liberi di pensarla diversamente, ma questo esempio mi serviva per sottolineare che la
razionalità è comunque a un livello inferiore del buon senso: la
razionalità è sicuramente un traguardo importante da raggiungere
con l’educazione tradizionale e/o con qualsiasi forma di psicoterapia,
ma se consideriamo anche l’esistenza della componente Spirituale
(la parte “buona” o etica dell’individuo) la razionalità rappresenta solo
un risultato intermedio, in quest’ottica,
solo con una psicologia che contempli la componente Spirituale
è possibile dare un significato a concetti come etica, onestà, ecc.
(tutte espressioni di una spiritualità non necessariamente religiosa)
e consentire al soggetto di trasformare la razionalità in buon senso.
Più avanti vedremo in che modo riuscirci; quel che però mi preme
dire subito è che, se assimiliamo l’etica, l’onestà, la verità, il rispetto,
la compassione, la solidarietà, ecc. alla spiritualità, la realizzazione
del buon senso non è un risultato ottenibile esclusivamente con la
psicoanalisi freudiana-lacaniana (ovviamente arricchita, come stiamo
facendo, dalla componente Spirituale), infatti
se aggiungiamo l’elaborazione dell’etica, qualsiasi forma
di psicologia o psicoterapia che sia orientata a sviluppare
la razionalità può puntare anche allo sviluppo del buon senso,
Per farlo però è necessario che nel progetto terapeutico si “giri il carro” della prospettiva mentale e venga contemplato l’Io Spirituale
come
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il detentore di tali sentimenti (etici o spirituali);
l’attore principale del progetto terapeutico; cioè il paziente che fa
la terapia deve essere considerato fondamentalmente in
un’ottica spirituale (un Anima all’interno di un corpo o di un cervello che deve imparare a gestire);
- l’obiettivo finale da realizzare (il paziente deve arrivare a considerarsi fondamentalmente in un’ottica spirituale e agire di conseguenza);
- l’obiettivo identico in tutti gli esseri umani (l’Io Spirituale o il Sé
Interiore è uguale in tutti e ciò ci rende simili, al di là delle differenze apparenti fisiche o mentali)
in quest’ottica, la fine della terapia psicologica va dunque fatta
corrispondere al momento in cui la realtà spirituale viene compresa e accettata.
-
Volendo essere precisi però, l’acquisizione del buon senso può non
essere considerata la guarigione definitiva, ma soltanto una messa
in condizioni del paziente di realizzarla autonomamente; nel senso
che
con la presa di coscienza della propria realtà Spirituale e lo sviluppo
del buon senso può finire la terapia, ma ad essa dovrebbe seguire
la sua messa in atto abituale e, se il paziente vuole, tale tentativo
può non necessitare più del supporto continuo del terapeuta
è un po’ come la fisioterapia: dopo le sedute necessarie per ristabilire il paziente, quest’ultimo comprende la realtà del proprio corpo e
continua da solo, magari per tutta la vita, a fare gli esercizi che ha
imparato nel corso della cura; in ogni caso, e giusto precisarlo,
solo l’uso abituale del buon senso può essere considerato
la vera guarigione psicologica a seguito di una psicoterapia
o il vero successo educativo per i genitori, gli insegnanti e la
società nei confronti dei figli, degli allievi o dei cittadini.
Lo ripetiamo, per finire la terapia psicologica (almeno di quella che
contempla la realtà Spirituale del soggetto) è necessario comprendere che l’Io di base è lo Spirito il quale, attraverso il processo di identificazione, attiva le varie cellule dell’organismo (specie i neuroni
del cervello) e dà origine allo sviluppo progressivo delle diverse intelligenze dell’Io:
287
-
-
l’istinto, che è presente fin dalla nascita in quanto alla sua comparsa provvede il codice genetico;
la furbizia, che cambia a seconda del tipo di corteccia frontale di
cui il soggetto dispone (più o meno sviluppata) dell’educazione e
del condizionamento mentale operato dalla società in cui è cresciuto;
l’intelligenza razionale, che cambia a seconda del tipo di educazione ricevuta (genitoriale, scolastica e religiosa);
infine il buon senso che dipende dall’inserimento dei Valori Umani etici o spirituali nella gestione della razionalità.
In questo modo, possiamo anche arrivare a precisare il concetto di
normalità psichica, una definizione che sto inseguendo da anni e
che ho già proposto in maniere diverse nei miei lavori precedenti, ma
che oggi si specifica un po’ meglio:
solo lo sviluppo del buon senso può essere considerato a tutti
gli effetti la vera normalità psicologica dell’individuo, non basta
dunque la razionalità perché essa da sola non dà garanzie di bontà
del soggetto e di disponibilità a rivestire i ruoli spettanti nella società
infatti è la bontà d’animo acquisita da tutti i cittadini (più ancora che
la razionalità) che rappresenta l’unica reale garanzia per la realizzazione di una società giusta, semplicemente perché
il buon senso si realizza
aggiungendo l’amore alla razionalità.
Forse si tratta di una verità conosciuta fin dalla notte dei tempi, ma io
proprio non la conoscevo (come detto, fino a poco tempo fa pensavo
che buon senso e razionalità fossero sinonimi) e, in ogni caso, questa conclusione contrasta nettamente con le convinzioni moderne
che circolano nella società dei consumi e dell’immagine, nel senso
che:
- nella migliore delle ipotesi la condizione di normalità psichica (sia
dal punto di vista psicologico che ovviamente legale) viene fatta
corrispondere alla razionalità;
- nella peggiore delle ipotesi invece, viene considerato normale
solo chi sia in grado di “vivere le proprie emozioni” in maniera intensa e sempre originale, perché si tratta di un soggetto capace
di rinnovarsi, elegante nei modi, che sa essere dolce ma
all’occorrenza anche aggressivo e determinato, capace di pro-
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teggere ed esprimere senza vergogna il bambino che ha in sé
e…
e fantasie psicologico/pubblicitarie di questo genere, che sembra
spieghino chiaramente il significato della parola normalità, ma che in
realtà sono solo suggestioni che richiamano qualità psicologiche che
possono persino essere simulate, descrizioni che enfatizzano l’ immagine e non fanno minimamente cenno, alla struttura o al contenuto reale della normalità psicologica o del buon senso.
A semplice titolo informativo, o per chiudere il discorso sull’ evoluzione psicologica possiamo ribadire che, anche se noi comuni mortali ci accontenteremmo di realizzare questa normalità (il buon senso)
per il Gioco della Vita (quello globale intendo) tale risultato non basterebbe ancora, perché dopo lo sviluppo del buon senso il gioco
evolutivo dell’esistenza, di fatto non è ancora finito,
dopo lo sviluppo del buon senso il gioco della
vita ci richiede la realizzazione del risultato finale
che consiste nello sviluppo della saggezza,
questo dovrebbe essere l’ultimo traguardo per l’essere umano, che
in termini pratici corrisponde alla capacità non solo di tradurre nelle
azioni della quotidianità, la presa di coscienza della nostra Realtà
Spirituale costantemente o abitualmente (cioè, senza il benché minimo sbandamento, fino alla fine dei nostri giorni), ma anche quella
di vedere tutti gli altri come appartenenti allo stesso Sé Spirituale (ed
è questa infatti la caratteristica fondamentale di tutti i saggi della storia, l’amore e la compassione per tutti gli esseri viventi in quanto percepiti come parte di sé stessi o appartenenti tutti all’Unico Sé).
In quest’ottica la presa di coscienza della nostra Realtà Spirituale e
lo sviluppo del buon senso (l’integrazione dell’amore alla razionalità)
lo possiamo paragonare alla cosiddetta illuminazione, invece la sua
pratica quotidiana senza cedimenti di sorta e soprattutto la visione
dell’Unità nella diversità di tutti gli esseri umani (il “siamo tutti uno!”),
alla realizzazione.
E se la messa in pratica costante del buon senso può essere una libera scelta del paziente (è il paziente che può decidere se farla autonomamente o con il supporto anche sporadico del terapeuta), la
realizzazione della saggezza è invece un campo che non appartiene
più all’esperienza psicologica, psicoanalitica o psicoterapeutica, ma
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riguarda solo ed esclusivamente l’individuo che ha sviluppato il buon
senso, il quale la può ricercare per conto proprio, difatti
la realizzazione che segue l’illuminazione è il lavoro
conclusivo dell’individuo che, diventato autonomo attraverso
lo sviluppo nel buon senso, può fare tranquillamente da solo.
Cercherò ora di spiegare meglio cosa significhi dire che l’Io Spirituale
sta alla base di tutto e il motivo per il quale esso stesso rappresenti
anche il nostro obiettivo finale.
L’Io Spirituale sta alla base di tutto.
Nel paragrafo precedente siamo partiti dalla domanda: chi è che dà
l’ordine comportamentale che poi si traduce in azione?
Nella prima elaborazione del Gioco della Liberazione, fatta anni fa,
avevo già risposto: “l’Io Simbolico o il ruolo”; infatti, nell’immagine originaria del circuito dell’Om avevo messo l’Io giocatore o ruolo,
(vedi il riquadro nell’immagine successiva).
290
Ora, anche se questa interpretazione va integrata con le nuove conoscenze, essa rimane comunque valida, perché quando vengono
giudicate le azioni che compiamo non viene considerato né il fisico e
nemmeno l’Ego, quello che viene giudicato responsabile dell’azione
è il ruolo (l’ho già detto altre volte, molto spesso si sente dire: “Un
extracomunitario ha fatto…”; “Una pensionata è stata sorpresa a…”;
“Un medico, un infermiere, un impiegato, ecc. hanno deciso di…?”
oppure, “Si trovava a passare un carabiniere il quale anche se in
borghese è intervenuto a …” )
in tutti i giudizi, come prima cosa, viene messo in
evidenza il ruolo, anche perché la responsabilità
dell’atto differisce a seconda del ruolo rivestito:
291
per esempio, un adulto (un ruolo che ha come caratteristica principale quella di essere maggiorenne in termini di età) legalmente ha più
responsabilità di un bambino (un ruolo che ha come caratteristica
principale quella di essere minorenne di età) difatti, se un bambino
rompe una vetrata è meno responsabile di un adulto, anzi, quando
un bambino rompe qualcosa di proprietà altrui, proprio per motivi di
ruolo, viene considerato responsabile il padre, il quale è tenuto alla
riparazione o al risarcimento del danno.
Questo però non significa che mentre compie una determinata azione il soggetto sia sempre consapevole del proprio ruolo, difatti
la maggior parte degli esseri umani agisce sotto
la spinta del proprio Io immaginario (l’Ego)
anche se riveste un ruolo di responsabilità:
per esempio, anni fa c’è stato un carabiniere siciliano che stava passeggiando con la sua fidanzata allo zoo; dopo essersi fermati di fronte alla gabbia del gorilla, quest’ultimo, eccitato alla vista della donna,
diciamo così “formosa”, inizia a masturbarsi. Il carabiniere, dimenticandosi del ruolo rivestito e sentendosi offeso personalmente per il
comportamento osceno del gorilla, tira fuori la pistola e lo uccide.
Denunciato dal direttore dello zoo ha poi dichiarato al giudice che
non poteva sopportare l’idea che il gorilla compisse quell’azione scostumata proprio di fronte alla sua fidanzata e l’aveva presa, appunto,
come un’offesa personale e siccome sappiamo che “il personale” è
collegato all’Ego, quando predomina, ne segue anche i criteri decisionali “personali” (sentimentali, passionali, emotivi, ecc.).
Per dirlo in altro modo, in questo caso, è evidente che per questioni
socio-culturali e soprattutto educative (non dimentichiamo che si trattava di un carabiniere siciliano negli anni sessanta) è l’Ego del soggetto che si è sentito offeso (offeso e soprattutto sminuito a ego piccolo) che ha dato il via all’azione, anche se di fronte al giudice è stato chiamato a dare spiegazioni e ha dovuto rispondere “il ruolo” (il
carabiniere).
Quindi, anche se l’azione è stata fatta partire dall’Ego, la responsabilità è ricaduta sul ruolo, infatti il giudice dovrebbe aver poi condannato il carabiniere per l’atto di crudeltà contro l’animale, non l’Ego del
carabiniere che, molto probabilmente si è pure sentito vittima dell’
incomprensione e soprattutto del “potere dei giudici”.
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Comunque sembra una contraddizione: agisce uno (l’Ego) e viene
punito un altro (il ruolo) ma questo è il gioco della vita e vale per tutte
le azioni compiute nella nostra realtà sociale che si regge sul simbolico.
Anzi, volendo essere precisi, la questione è addirittura più complesso:
- l’Ego dà l’ordine di agire (in genere l’ego piccolo che vuole
sentirsi Grande);
- il ruolo diventa responsabile dell’azione compiuta (il giudizio di
responsabilità dell’atto viene fatto ricadere sul ruolo);
- il corpo viene punito oltre al ruolo (perché, alla fine dei conti, è
sempre il corpo che deve pagare il conto finale e che, per esempio, va a finire in galera).
A tale riguardo possiamo fare anche degli altri esempi: dopo la loro
morte sono venute fuori delle notizie secondo cui, papa Paolo VI portava il cilicio sotto la veste e papa Giovani Paolo II si flagellava la sera in camera; entrambi lo facevano presumibilmente per espiare i
propri peccati o per imitare la passione di Cristo e salvare gli uomini
dai loro peccati; in tutti i casi, quell’azione era dettata dalla loro mente (o, se preferite, dal loro ego piccolo che si voleva sentire Grande
oppure dal loro Ego Grande che si voleva sentire ancora più Grande)
e diciamo con certezza che era maggiormente coinvolto l’Ego in
quanto tali azioni non sono di buon senso (anche se molti santi della
chiesa le hanno compiute) perché sono evidentemente in contrasto
con il benessere del corpo e soprattutto con il ruolo rivestito:
- primo perché ai fedeli necessita di più un esempio di comportamento corretto da parte del papa, piuttosto che di una loro espiazione esemplare dei peccati commessi (anche se fatta di
nascosto);
- secondo, perché i papi dovrebbero avere una particolare cura
per il corpo, in modo da essere efficienti nelle loro funzioni e comunque sempre d’esempio anche su quel versante. Perché maltrattare il corpo è comunque un cattivo esempio per i fedeli di tutte le religioni (bastasse la sofferenza autoprocurata, anche i masochisti potrebbero diventare papi o santi, ma il masochismo è
una malattia mentale che sicuramente impedisce l’uso del buon
senso che invece dovrebbe essere indispensabile per i ministri di
culto, a qualsiasi livello gerarchico appartengano siano cioè preti
di campagna che vescovi, cardinali e papi).
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In ogni caso, negli esempi fatti chi ha pagato il conto è stato comunque il corpo, il quale ha subito ingiustamente ed è stato obbligato a
riparare le ferite inferte con quegli strumenti di tortura medievali.
Fin qui è la lettura che avremmo fatto considerando solo gli aspetti
psicologici dell’individuo, ma non possiamo più accontentarci perché
se aggiungiamo la componente Spirituale ci rendiamo conto che,
nonostante sia l’Ego a ordinare certe azioni discutibili sul piano simbolico (azioni trasgressive, irrazionali o addirittura perverse), di fatto
chi dà l’ordine è sempre e comunque l’Io Spirituale in quanto
tutte le forme dell’Io sono nient’altro che il risultato
dell’identificazione dell’Io Spirituale con le diverse cellule
dell’organismo (in generale) e il cervello (in particolare)
il Sé Interiore (l’Anima, l’Atma o lo Spirito) è fondamentalmente energia e come tale attiva (anima appunto) tutte le cellule dell’ organismo comprese quelle cerebrali e, se osserviamo attentamente, questo processo di attivazione non è altro che un processo di identificazione (proprio come quando un attore, vestendo panni diversi, recita
delle parti diverse anche nello stesso film).
E, come abbiamo detto nel volume precedente delle Intelligenze
dell’Io:
- quando l’Io Spirituale si identifica contemporaneamente con le
cellule di tutto corpo diventa l’Io Reale fisico;
- quando si identifica con le cellule neuronali della corteccia fronto-parieto-temporo-occipitale (quelle che formano il piano immaginario) diventa l’Io immaginario (l’Ego Grande o l’ego piccolo);
- quando si identifica con le cellule neuronali della corteccia prefrontale-orbitofrontale (che formano il piano simbolico) diventa
l’Io simbolico (il ruolo rivestito).
Tutto ciò trova conferma nel fatto che non sarebbe possibile parlare
di processo evolutivo, maturazione e liberazione se non ci fosse un
Io Spirituale:
- che conosce (inconsciamente ovviamente) la realtà della propria
Reale Natura (fatta, secondo quanto dicono le Sacre Scritture di
tutte le religioni, di amore e beatitudine);
- che vuole realizzare l’obiettivo finale dell’esistenza (recuperare il
senso di libertà originario);
294
-
che si dispone in modo tale da realizzarlo (anzitutto, come dicono i Veda e le Upanishad, considerando la mente come il principale ostacolo e, al tempo stesso, l’unico strumento a disposizione dello Spirito per “liberarsi”).
D’altro canto, se non ci fosse un Io Spirituale che si considera portatore di Valori Umani, Etici o Spirituali (chiamateli come volete, tanto
sono tutti della stessa Natura) il piano immaginario non potrebbe essere trasformato in piano simbolico, ossia, non ci sarebbe nessun
motivo così forte da spingere un soggetto a sacrificarsi per un altro;
perché
è solo l’Io Spirituale che ci fa sentire simili agli altri e
ci fa sentire male o bene a seconda della loro sofferenza
o felicità, come se le stessimo provando noi stessi.
Certo, oggi hanno scoperto i neuroni specchio per cui si dice che il
meccanismo mentale dell’identificazione proiettiva o dell’empatia dipende da loro, ciò mi trova d’accordo, ma chi è il soggetto che sperimenta la sensazione di essere della stessa Natura dell’altro, di
quell’altro che sta godendo o soffrendo e che vede la sua immagine
proiettata nella propria corteccia frontale?
Chi è il soggetto che ritiene di avere le stesse aspirazioni e di provare gli stessi sentimenti degli altri esseri umani e che ordina al cervello di agire di conseguenza?
Persino le persone egoiste hanno gli stessi moti altruistici, eppure
rientrano nella categoria degli egoisti, non perché siano cattivi per
natura, ma solo perché “frenano” i loro spunti; è come quando vediamo un mendicante e pensiamo: “Quasi quasi gli do 5 euro!”, tempo che abbiamo messo la mano in tasca il pensiero cambia e diciamo “Ma sì, non esageriamo, può anche bastare un euro!” e quando
apriamo il portafogli gli diamo alla fine 20 centesimi, pensando “Beh!
Non dimentichiamo che sono quasi 500 lire. Quando c’era la lira mica glieli avrei dati 500 lire intere!”.
Questo mi serviva per dire che grazie ai neuroni specchio, tutti ci
sentiamo simili agli altri ed abbiamo dei moti di spontanea bontà che
non possiamo reprimere, però li possiamo manipolare nella loro esecuzione finale (come nel caso dell’elemosina), magari attivando dei
nuclei di desiderio immaginari, piuttosto che razionali, comunque,
che ci piaccia o meno, siamo costretti a considerarli perché
all’origine partono dal nostro Io Spirituale.
295
Quindi se riprendiamo la definizione dei nuclei di desiderio (gruppi di
neuroni che dicono: “Io sono dunque voglio!”) capiamo che
l’Io Spirituale è l’”Io sono” il quale identificandosi con i nuclei di
desiderio dice “dunque voglio!” e usando l’energia di cui è costituito attiva i neuroni della corteccia premotoria per preparare l’azione e
dopo quelli della corteccia motoria per dare il via all’azione vera;
quest’ultima, a sua volta, può essere sia un’azione corretta che un’
azione malvagia, ma tutto dipende dallo sviluppo dei nuclei di desiderio che prevalgono nel pretendere la soddisfazione.
Il rapporto tra l’Io Spirituale e i nuclei di desiderio (o i neuroni delle
diverse aree della corteccia cerebrale che danno origine all’ identificazione reale immaginaria o simbolica) è assimilabile ad avere una
slitta di cani:
- i cani sono i nuclei di desiderio,
- il guidatore è il Sé interiore;
quest’ultimo dà l’ordine di partenza e anche l’energia (perché comunque è il guidatore che dà da mangiare ai cani e li fornisce
dell’energia necessaria a muoversi ed è sempre lui che quando decide li fa partire, con un ordine verbale e magari con l’aggiunta di una
frustata); è chiaro però che se la forza dei vari cani non è distribuita
in maniera ordinata o equilibrata all’interno della slitta oppure, se il
guidatore non sa usare le briglie, la voce e la frusta, la direzione non
corrisponderà alla sua volontà, ma la slitta verrà portata nella direzione desiderata dai cani più forti.
In questo modo, dall’impostazione basata sulla logica dei piani di
sviluppo della psiche del libro precedente (Le intelligenze dell’Io)
piani che abbiamo ereditato dalla teoria psicoanalitica di Lacan con
la nostra aggiunta del Piano Reale Spirituale, siamo passati con il
presente lavoro alla logica dei circuiti cerebrali (sia mentali che
organici); ma sarebbe meglio dire che la logica dei piani di sviluppo
della psiche rimane tuttora valida soltanto che su di essi abbiamo
sovrapposto dei circuiti psicologici e neurologici che hanno una specificità:
i circuiti cerebrali dell’azione sono probabilmente
strutturati sulla base del circuito dell’Om e l’Io Spirituale
rappresenta il soggetto che circola dentro tali circuiti
296
Così dicendo però, senza accorgercene siamo entrati nel campo del
soggetto un vocabolo che usiamo abitualmente e di cui pensiamo di
saperne il significato anche se non è così.
A tale riguardo facciamo una piccola parentesi.
- L’individuo e il soggetto.
Nella Bhagavad Gita per indicare l’Io Spirituale viene usato il termine
Ksetrajña dove Ksetra significa “campo” e jña significa “conoscenza”,
quindi l’Io Spirituale sarebbe lo Ksetrajña o “il conoscitore del campo” (ovviamente il campo di gioco dell’esistenza).
Per Lacan invece il soggetto era l’ individuo barrato dalla parola, nel
senso che chiunque nasca nel mondo degli uomini è soggetto alla
parola degli altri o comunque è dipendente da essa, difatti,
nessun essere umano può vivere al di fuori della parola,
quella stessa parola che trova entrando nella sua
nuova comunità di appartenenza attraverso la nascita
persino chi non può parlare è soggetto alle parole degli altri, parole
che deve imparare a comprendere ed eventualmente a tradurre con
proprie parole (magari sotto forma di immagini, segni, rumori o gesti)
perché solo il linguaggio gli permette di sopravvivere.
Questa definizione ha permesso poi a Lacan di allargare il discorso e
aggiungere che il desiderio del soggetto, siccome dipende dalla
parola dell’altro, è comunque il desiderio dell’altro, certamente
una deduzione illuminante anche se molti non riescono a coglierla al
volo (io stesso ci ho messo un bel po’ di tempo a capire che cosa significasse che “Il nostro desiderio è il desiderio dell’Altro”) oggi invece, per semplificare la vita a tutti coloro i quali non sopportano nemmeno l’idea di doversi scervellare per capire le teorie di Lacan, ho
tradotto quel suo concetto con il termine più abbordabile o comprensibile di “montatura” o “condizionamento mentale” che, ormai sappiamo, avviene nella zona franca e ci spinge a desiderare di consumare nostro malgrado anche oggetti superflui, inutili o dannosi usando lo stratagemma che sono desiderati da altri; ma limitandoci per
ora alla questione del soggetto è innegabile che:
l’Essere è colui che parla o che usa la parola
per soddisfare i propri nuclei di desiderio e viene
297
chiamato soggetto perché è soggetto alla parola.
proprio come ha detto Lacan; ma siccome lui non ha considerato
l’esistenza dell’Io Spirituale, dopo aver raggiunto le sue elevate vette
deduttive, si è bloccato e fino alla morte non è riuscito a rispondere
alle domande più profonde che lui stesso si è fatto: “Ma insomma,
chi parla? E a chi parla?”.
Naturalmente per noi l’Essere è lo Spirito, che è colui il quale usa il
cervello per parlare e comunicare ad altri Spiriti, i quali fanno la stessa cosa e, sempre per noi, è altrettanto chiaro che, se non ci fosse
l’Io Spirituale non ci sarebbe nessun motivo per il quale un individuo
dovrebbe sacrificarsi per qualcun altro (dimenticandosi, per esempio,
delle proprie convenienze), quindi
il soggetto è l’Io Spirituale ed è certamente
soggetto alla parola dell’altro in quanto nascendo
come uomo (o incarnandosi in un essere umano)
per poter giocare dipende da essa, totalmente
e il gioco della vita gli richiede che interagendo con i neuroni che costituiscono la corteccia cerebrale, l’Io Spirituale arrivi a capire in che
modo usare la parola per poter gestire i propri nuclei di desiderio
immaginari ma soprattutto che li usi correttamente per capire chi è lui
stesso!
Difatti il primo passo verso la “liberazione” è capire di essere Spirito
e non corpo, ma fino a quel momento, identificandoci con il corpo noi
tutti sperimentiamo i nostri desideri:
- anzitutto, quelli istintuali (legati cioè alla sopravvivenza del corpo);
- e poi quelli immaginari (collegati all’Ego) alimentati in particolare
dal godimento ipotizzato osservando l’Altro e seguendo le indicazioni della sua parola;
- infine quelli razionali (collegati al ruolo) e stimolati dall’ educazione che ci porta a pensare che per far andare bene la società
in cui viviamo a qualcosa dobbiamo pur rinunciare;
ed è per questo motivo che siamo “soggetti” alla parola dell’altro
e soprattutto siamo soggetti ai suoi desideri, anche perché
le azioni che compiamo per soddisfare i desideri
dipendono dalle indicazioni dell’altro, che sono espresse
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con la parola o, ancora di più, dal suo esempio pratico.
Quindi la parola è pervasiva del mondo in cui viviamo e ovviamente
del nostro cervello, difatti essa precede, accompagna e segue, tutte
le azioni che compiamo per soddisfare i nostri desideri, qualunque
essi siano, di conseguenza come soggetti siamo tutti quanti realmente soggetti alla parola.
Questo è il motivo per il quale, nel circuito dell’Om che abbiamo sovrapposto al cervello, l’Io prima del bivio si trova nell’area di Broca
(che non a caso è proprio quella della parola), anche se, devo ammettere che la scoperta della corrispondenza di tale posizione con
l’area della parola di Broca è stata per me puramente casuale (ho
associato solo in questi giorni il fatto che l’Io di fronte al bivio si trovasse proprio sopra l’area di Broca, prima non l’avevo nemmeno ipotizzato) ma questo, come diceva un conduttore televisivo, è “il bello
della diretta” (in questo caso il bello della ricerca psicologica e spirituale in diretta) e tale associazione ora ci permette di dare la risposta
alla domanda iniziale, e cioè,
l’ordine dell’azione per soddisfare i nuclei di desiderio
viene dato dall’Io Spirituale attraverso l’uso della parola.
Come abbiamo accennato però, l’Io Spirituale non solo è soggetto
alla parola, ma anche a tutti i legami con la vita terrena, in particolare
ai nuclei di desiderio istintuali che, a differenza di quelli immaginari e
razionali, sono al di là della parola, sia per quanto riguarda la loro
creazione che per il loro soddisfacimento (almeno in parte perché,
quando compare la parola anche la libertà dei nuclei di desiderio istintuali viene in parte perduta),
In realtà però, l’Io Spirituale non è legato a nulla, egli è sempre libero
dalle tribolazioni della quotidianità, ma per giocare il Gioco della Vita egli deve sentirsi legato e per sentirlo davvero deve identificarsi
con il corpo, l’Ego e i ruoli; di conseguenza, l’intensità di ciò che sperimenta (la dualità della gioia e della sofferenza) dipende dal grado di
identificazione raggiunto, proprio come quando vedendo un film noi
ci identifichiamo nei personaggi e soffriamo o gioiamo con loro, ma
una volta che il film finisce e la luce si accende torniamo a essere noi
stessi, assolutamente separati da quanto abbiamo visto fino a quel
momento.
299
La stessa cosa avviene nel gioco della vita dove ci identifichiamo
con il corpo e la mente e ci dimentichiamo della nostra Natura Spirituale (quella che il Buddha chiamava l’“ignoranza” responsabile del
ciclo delle nascite e delle morti successive, quella mancanza di consapevolezza circa noi stessi che ci spinge a nascere e rinascere innumerevoli volte), ma il gioco nel quale siamo coinvolti pretende che
prima o poi, nel corso di un’esistenza qualsiasi, eliminiamo tale ignoranza; e a tale scopo abbiamo a disposizione le varie intelligenze
(che non casualmente abbiamo definito Intelligenze dell’Io) in particolare il buon senso che ci permette di andare oltre la continua esperienza alternante del piacere e del dolore, e di capire che noi non
siamo né il corpo, né la mente, ma siamo lo Spirito.
Quindi, tornando al circuito dell’Om, l’Io di fronte al bivio è comunque
l’Io Spirituale, anche se dopo la preparazione riveste un ruolo e si
identifica con esso (e/o con il proprio Ego); da questa posizione l’Io
Spirituale dà l’ordine dell’azione utilizzando la parola ma l’azione che
ne segue dipenderà:
- dal tipo dei propri nuclei di desiderio (istintuali, immaginari, razionali o trascendenti);
- dalle loro dimensioni (dal numero di neuroni che li costituiscono).
A tale proposito, come si vede bene nella figura del Gioco della Liberazione, l’Io Spirituale lo abbiamo rappresentato legato da tre fili:
- il filo rosso dei desideri dell’Ego (immaginari);
- il filo verde dei desideri del corpo (istintuali o della sopravvivenza);
- il filo blu dei desideri del ruolo (o del gioco).
300
Per le regole che strutturano il Gioco della Vita l’Io Spirituale rimane
legato fino a quando non diventa definitivamente consapevole della
propria Reale Natura e non mette in atto tale consapevolezza regolarmente e per il resto della propria esistenza, perché come abbiamo
ripetuto più volte
l’intelligenza è capire e mettere in pratica, quindi
anche nel gioco della vita solo la teoria non basta
bisogna anche tradurlo nella pratica ciò che si è capito.
301
Per spiegarlo meglio possiamo usare la metafora dell’energia elettrica e delle lampadine (vedi la figura successiva):
- l’Io Spirituale è l’energia che anima tutte le cellule dell’organismo
compresi i neuroni che costituiscono i nuclei di desiderio;
- i nuclei di desiderio sono le diverse lampadine,
- l’ordine comportamentale non è altro che la corrente elettrica che
viene accesa con l’interruttore (che nel nostro caso abbiamo detto essere la parola);
- la parola viene trasmessa attraverso i fili elettrici alle lampadine
che si accendono e funzionano in maniera diversa a seconda
delle loro specifiche qualità.
In pratica:
- l’Io Spirituale (l’Anima, l’Atma, lo Spirito o il Sé interiore) è il fornitore dell’energia elettrica;
- i fili che legano l’Io sono i fili del desiderio, assimilabili ai fili elettrici;
- i nuclei di desiderio sono le lampadine, di colore e intensità diversa a seconda della propria natura costitutiva (per noi, i nuclei
di desiderio istintuali, ovvero la genetica e/o il karma) i condizionamenti mentali (che creano i nuclei di desiderio immaginari) e l’
educazione (che crea i nuclei di desiderio razionali).
302
La cosa importante è che l’Io spirituale attiva tutti i neuroni contem
poraneamente e questo meccanismo spiega il perché negli psicotici
è possibile che i nuclei di desiderio attivati contemporaneamente
diano al paziente la sensazione che la propria testa parli (le cosiddette “voci” che sentono), oppure che pensi di avere il cervello comandato dall’esterno o che ci sia un registratore interno che registra
i loro pensieri o una telecamera che li scruti in continuazione.
La stessa cosa, ovviamente in maniera più contenuta, accade nei
nevrotici (o anche nelle persone normali): per esempio, quando noi
ipotizziamo una discussione con qualcun altro, più o meno consapevolmente attiviamo aree diverse della corteccia cerebrale che fanno
le diverse parti, come se si trattasse di attori su un palcoscenico e gli
diamo voce; e questo dialogo interno può essere così coinvolgente
da durare anche per ore, con tutta la sofferenza che esso comporta,
anche se, a differenza degli psicotici, noi sappiamo perfettamente
303
che quel dialogo interiore è attivato e gestito da noi stessi (anche se
in taluni casi ci prende la mano e ci porta a compiere degli atti sulla
base della presunzione di sapere cosa l’altro reale stia pensando in
quel momento: “Anche se non lo dici, lo so già cosa risponderesti! E’
inutile che neghi, tanto so che cosa stai pensando. Sono giorni che
lo so!”).
Detto questo, sarebbe dunque meglio fissare una volta per tutte che
da questo momento in poi quando parleremo di “Io”, anche se
parleremo di corpo, Ego (Grande o piccolo) e ruolo, parleremo
sempre e comunque dell’Io Spirituale che si sta identificando
con determinate cellule dell’organismo, in questo modo chiariamo
definitivamente che, per noi,
l’Io di riferimento (il soggetto), quello che consideriamo
l’attore principale è sempre e soltanto uno: l’Io Spirituale
(l’Anima, l’Atma, lo Spirito o il Sé interiore), il quale però cambia
aspetto a seconda dei nuclei di desiderio con i quali si identifica
come abbiamo detto, l’Io Spirituale si comporta proprio come un attore che in un film reciti parti diverse, in fondo è sempre lui che recita,
ma cambiando abito (i neuroni che costituiscono i nuclei di desiderio)
cambia parte e diventa corpo, Ego o ruolo, all’interno del dramma o
della commedia.
Per dirlo in altro modo, la vita non è altro che un gioco nel quale il
giocatore principale è l'Io Spirituale; le Regole generali di questo gioco sono fissate da Dio (o se preferite, dalla Natura) e vanno a costituire quello che abbiamo chiamato il Gioco della Liberazione, ma la
cosa curiosa è che queste stesse regole sono anche la struttura di
base che sostiene tutti i giochi dell’esistenza, quindi
la vita è un Gioco della Liberazione nel quale l’Io Spirituale
è entrato e si deve liberare dai fili che lo legano ai nuclei di
desiderio della vita attuale, ma anche a quelli delle vite
precedenti che lo obbligano a reincarnarsi ripetutamente
ovvero a identificarsi con qualcosa che non è se non temporaneamente (un corpo, un Ego o una serie di ruoli), perché tutto finisce
(sia i giochi della vita che la vita stessa) e solo l’Essere rimane eterno.
304
Quanto riportato ovviamente non è farina del mio sacco, ma rappresenta una verità già considerata da millenni nel Samkya Yoga e che
oggi semplicemente recuperiamo e riproponiamo non solo in un’ ottica psicoanalitica ma anche neuroscientifica.
A questo punto possiamo analizzare con occhi nuovi il soggetto che
abbiamo disegnato all’interno del circuito dell’Om, tenendo presente
che i fili (rosso, verde e blu) con i quali l’Io Spirituale è collegato ai
nuclei di desiderio, possono essere visti, oltre che come fili di desiderio, anche come:
- fili di identificazione;
- fili di memoria.
Questo lo vedremo più avanti, per il momento, a titolo di curiosità,
possiamo aggiungere che alle nostre conclusioni c’era arrivato anche il Buddha durante l’ultima fase della sua “meditazione forzata”
(quando dopo anni di sforzi infruttuosi, utilizzando tutte le tecniche di
yoga conosciute, si sedette sotto l’albero della conoscenza e disse a
sé stesso: “Da questo momento non mi muoverò più fino a quando
non avrò capito!”), difatti, seguendo un percorso deduttivo egli ottenne l’illuminazione e, in particolare, ci riuscì rispondendo ai propri
quesiti, in questo modo:
“Qual è la causa della vecchiaia e della morte?”
“La nascita e il vivere”
“Qual è la causa del vivere?”
“I legami”
“Qual è la causa dei legami?”
“I desideri”
“Qual è la causa dei desideri?”
“Le sensazioni”
“Qual è la causa delle sensazioni?”
“I contatti”
“Qual è la causa dei contatti?”
“i sei sensi”
“Qual è la causa dei sensi?”
“La presenza di nomi e forme”
“Qual è la causa dei nomi e delle forme?”
“la percezione”
“Qual è la causa della percezione?”
“L’impressione”
“Qual è la causa dell’impressione?”
“L’ignoranza” .
305
Da queste premesse, il Buddha ha tratto le seguenti conclusioni:
“L’ignoranza è dunque la causa della vecchiaia, della morte e della
sofferenza, perciò sopprimendo l’ignoranza si sopprimerebbero le
impressioni, e via via sopprimendo le impressioni verrebbero soppresse le percezioni, poi i nomi le forme, i sei sensi, i contatti, le sensazioni, i desideri, i legami e infine il vivere e la nascita.
Così, sopprimendo la nascita verrebbero eliminate la sofferenza, la
vecchiaia e la morte.”
Il Buddha dice infatti: “La vita è sofferenza, il desiderio ci porta a nascere e rinascere, quindi ci porta a vivere passando in continuazione
da una sofferenza all’altra, perciò, attraverso il ridimensionamento e
l’eliminazione dei desideri noi possiamo prevenire sia la sofferenza
che la rinascita (ovviamente, la ri-nascita o la re-incarnazione, perché se non fossimo già nati altre volte non ci sarebbero tutti questi
legami fin dal momento in cui veniamo al mondo); ma per far questo
non si deve solo reprimere il desiderio (la stessa psicoanalisi ci dice
che la semplice repressione del desiderio si traduce in nevrosi) ma
bisogna condurre una vita santa.”
Per noi invece, che come detto non aspiriamo a realizzare la santità,
sarebbe sufficiente elaborare il simbolico e sviluppare il buon senso
perché solo grazie ad esso, oltre a ridimensionare i desideri immaginari, potremmo vivere serenamente godendo di quanto ci offre la vita, ovviamente senza esagerare.
In questo modo, vivendo cioè con moderazione, si limiterebbe la sofferenza dell’esistenza al minimo indispensabile e, per quanto riguarda l’illuminazione e la realizzazione definitive, potremmo anche rimandare il progetto a qualche futura esistenza, quando cioè avremo
accumulato un numero sufficiente di bonus da poterci provare con
una certa sicurezza, senza rovinarci la vita attuale con rinunce estreme o inutili sacrifici.
Dico questo perché non dobbiamo demonizzare i desideri immaginari, li dobbiamo solo rendere armonici con quelli razionali (che significa ricercare e soddisfare dei desideri compatibili con i ruoli che rivestiamo, all’interno dei giochi sociali in cui siamo coinvolti), soprattutto
consapevoli che tutto finisce.
306
Non a caso, uno degli insegnamenti più importanti del Buddha si riferisce all’impermanenza (che significa che tutto nella vita si consuma
con il tempo e a nulla ci possiamo attaccare realmente per impedire
tale destino).
Ora, anche se le deduzioni del Buddha non sono una vera novità
perché a tali conclusioni c’erano arrivati gli Indù già migliaia di anni
prima di lui, nonostante tutto, noi occidentali sentiamo il suo insegnamento più vicino al nostro modo di ragionare:
- sia perché non teorizza la figura di Dio onnipotente, onnipresente, ecc. (come fanno invece le altre religioni);
- sia perché egli si concentra sul problema della sofferenza umana
e sul modo di trovare una soluzione alla portata di tutti;
- sia perché le sue deduzioni assomigliano molto all’impostazione
della psicologia in generale e alle neuroscienze moderne in particolare.
Difatti se riprendiamo le sue conclusioni ci accorgiamo che:
“La nascita e il vivere” che il Buddha dice essere la causa della sofferenza, della vecchiaia e della morte, sono per noi l’ingresso nel
gioco della vita e la messa in atto della partita secondo le regole del
Gioco della Liberazione.
“I legami” sono per noi i fili che legano l’Io ai nuclei di desiderio.
“I desideri” sono i nuclei di desiderio.
“Le sensazioni” sono il prodotto dal punto di vista organico del contatto dei sensi con gli oggetti dei sensi.
“i sei sensi” sono i nostri cinque sensi più la mente, perché in India ai
cinque sensi che conosciamo in occidente, aggiungono anche la
mente chiamandola “senso interno”.
“I nomi e le forme” dal punto di vista fisiologico li possiamo genericamente collocare nel cervello, i nomi nell’emisfero sinistro e le forme nell’emisfero destro.
“La percezione” è il prodotto dell’interazione tra l’oggetto percepito e
il cervello che lo percepisce.
“L’impressione” è il meccanismo grazie al quale il cervello viene, per
così dire, “impressionato” come una pellicola fotografica; difatti le
“impressioni” altro non sono che le rappresentazioni immaginarie e
simboliche della corteccia occipitale prima e frontale poi (e se proprio
vogliamo anche della memoria posta nella profondità dell’ ippocampo) immagini e simboli che dovrebbero permettere all’Io Spirituale
l’identificazione.
307
“L’ignoranza” infine, è la mancanza di consapevolezza della propria
Reale Natura (e/o del senso dell’esistenza) che dipende dall’errata
identificazione dell’Io Spirituale con le cellule cerebrali della corteccia
frontale o prefrontale (sede dell’Ego), piuttosto che con quella orbitofrontale (sede del ruolo simbolico) e con un’altra area di cui non sono
ancora a conoscenza che permetterebbe la consapevolezza della
propria identità con lo Spirito.
In questi ultimi tempi alcuni neuroscienziati stanno cercando l’Anima
nella profondità del lobo temporale, perché pazienti affetti da certe
forme di epilessia che coinvolgevano quelle aree hanno avuto delle
esperienze mistiche molto intense, io non so se si possa trovare
l’Anima nel lobo temporale, anche perché, per definizione l’Anima
(l’Io Spirituale) dovrebbe stare dappertutto (sia nel cervello che in tutte le cellule corporee), però
è possibile che ci sia una determinata area cerebrale che
una volta attivata sia capace di darci la consapevolezza
definitiva della nostra Reale Natura Spirituale;
in questo senso dunque la ricerca effettuata da questi neuroscienziati non è da considerarsi superflua; allo stesso modo però, non è escluso che essendo l’Anima al di là della mente, per prenderne coscienza non sia necessario avere un supporto cerebrale specifico.
Come detto, la risposta non la so ancora e quando lo saprò (se mai
la saprò) sarà mia premura comunicarvelo.
In ogni caso, pur condividendo le teorie del Buddha secondo cui sarebbe l’ignoranza delle conseguenze del desiderio la vera causa della sofferenza umana (vecchiaia, malattia e morte comprese) vorrei
aggiungere che l’ignoranza principale da cui bisognerebbe togliersi
per raggiungere la “liberazione in vita” è quella in merito all’Io Spirituale e all’esistenza di Dio,
A tale proposito, è meglio precisare che il Buddha non ha detto
che Dio non esiste (come purtroppo credono anche molti buddisti)
piuttosto, lui stesso si è sempre rifiutato di parlarne perché riteneva
si trattasse di un argomento troppo complesso sul quale coinvolgere
la mente o sprecare il proprio tempo; in particolare, per rispondere a
un discepolo che lo assillava sulla questione di Dio (perché continuava domandargli: “Ma Dio esiste? E se esiste, è lui che ha creato
il mondo? E lo ha creato dal nulla oppure ha dato forma alla materia
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esistente?” e così via, innumerevoli domande analoghe”) il Buddha
ha fatto un esempio di questo tipo: “Parlare di Dio è come se uno
avesse una freccia avvelenata ficcata nella schiena e, anziché cercare rapidamente un rimedio al problema della sua sofferenza e della morte imminente, volesse sapere il nome di quello che gliel’ha tirata, la sua età, il villaggio dov’è nato, ecc.”,
Questo per dire che il Buddha ha lasciato liberi tutti di credere in Dio
se volevano, lui invece, in prima persona, si è impegnato “solo” a
trovare un rimedio utilizzabile da tutti alle questioni fondamentali
dell’esistenza umana (la sofferenza, la malattia, la vecchiaia e la
morte, appunto), come per dire,
chi vuole può cercare le risposte anche in merito all’aldilà
ma sarebbe meglio, prima, trovare le risposte per l’aldiqua.
Per quanto riguarda invece l’Io Spirituale, anche se lui non ne ha
parlato usando i nostri termini è intrinseco nel suo discorso che si riferisse all’Io Spirituale (non fosse così, non si capirebbe chi si incarna o si re-incarna, oppure chi accede al Nirvana, ecc.) comunque, lo
diciamo ancora una volta, noi riteniamo che
l’Io Spirituale sia l’attore principale nel gioco della vita e non ci
possa essere una soluzione definitiva ai problemi dell’esistenza
umana senza che ci sia stata da parte nostra una completa
identificazione nello Spirito (l’Anima, l’Atma o il Sé interiore)
dopo questo passaggio dovrebbe arrivare tutto il resto, perché è
proprio l’Io Spirituale il portatore di tutti i caratteri che specificano
l’essere umano completo (i Valori Umani, Etici o Spirituali che dir si
voglia), il Buddha del resto è diventato un “risvegliato” o un “liberato
in vita” identificandosi con lo Spirito, ovvero, con l’amore e la compassione di cui era costituito il suo “Io” più profondo (il suo Sé Interiore), per cui, concludendo,
alla base di tutta la sofferenza umana c’è sì
l’ignoranza circa le conseguenze del desiderio, ma
soprattutto della nostra Reale Natura (di Anima o Spirito),
infatti identificandoci prevalentemente con l’Ego siamo obbligati a
cedere o a demandare le decisioni dei nostri comportamenti ai nuclei
di desiderio immaginari i quali, dal canto loro, ci “tirano” secondo le
309
proprie impressioni, i propri condizionamenti, ecc. ricevuti nella zona
franca.
Il risultato delle loro scelte però è sempre e comunque il godimento
che, come ormai sappiamo, è piacere immediato seguito da sofferenza certa; invece, la soluzione definitiva starebbe nell’identificarsi
con lo Spirito e riuscire così a manifestare tutti i Valori Umani (amore, compassione, rispetto, verità, onestà, ecc.) di cui esso è portatore.
Per capirlo meglio possiamo usare la metafora del re esautorato dai
suoi segretari.
Il comportamento dell’Io Spirituale è come quello di un re che per
non avere fastidi avesse delegato i suoi segretari a governare il regno e questi ultimi, lottando tra di loro, di nascosto prendessero decisioni seguendo esclusivamente le proprie convenienze.
Per un certo tempo il re è convinto che essi si comportino al meglio e
che ascoltino le esigenze del popolo; perciò, tale impostazione procede fino a quando il re sta bene e non percepisce lamentele da parte dei propri sudditi, ma quando questo succede (il che corrisponde
alla sofferenza insistente fisica e psicologica che l’uomo percepisce
a un dato momento della propria esistenza), purtroppo però, anche
volendo, subito non può fare più di tanto, perché il potere ce l’hanno
ormai in mano i segretari e gli automatismi del governo, creati da loro, secondo una logica di convenienze personali, sono così ingarbugliati che è difficile modificarli rapidamente.
In ogni caso, per smettere di soffrire (lui e i suoi sudditi) il re dovrebbe:
- prima di tutto, recuperare la consapevolezza di essere il re e
di avere il potere decisionale incontrastato (è per questo che
consideriamo prioritario il discorso sull’Io Spirituale);
- secondo, non lasciarsi intimorire dalle visioni pessimistiche dei
segretari che hanno il governo in mano e non hanno nessuna intenzione di mollarlo;
- capire che l’obiettivo principale è il benessere del regno (il
corpo e la mente) e che per realizzarlo sono necessari sacrifici,
prima di tutto suoi e poi anche dei sudditi (che è l’esatto contrario
di quello che fanno i nostri governanti che chiedono sacrifici al
popolo, ma non per migliorare le cose, quanto per mantenere i
loro personalissimi privilegi);
ma per riuscire nell’impresa di recuperare adeguatamente la propria
310
autorità e il proprio regno, non basta solo uno sforzo autoritario contro i segretari (se il re lo facesse rischierebbe di dover fare un lavoro
che non è in grado sia in termini di competenze che di fatica fisica e
mentale), per cui, facendosi proteggere dal simbolico (ricordando a
tutti che è lui che ha il diritto di dire la parola finale) il re dovrebbe
assolutamente sviluppare e adoperare il buon senso in tutte le
scelte future (perché come abbiamo già detto più volte, non basta
solo capire, bisogna anche mettere in pratica ciò che si è capito).
Riassumendo: i fili che tengono l’Io Spirituale legato ai nuclei di desiderio (istintuali, immaginari e razionali) sono dei neuroni che, collegati tra loro, creano delle catena associative reali, immaginarie o
simboliche, con i nuclei di desiderio corrispondenti, perciò, dal punto
311
di vista neuropsicologico queste catene associative fatte dai neuroni,
oltre ad essere fili di desiderio sono soprattutto fili di memoria:
- il filo verde (del desiderio istintuale) è quello della memoria genetica (presente in tutte le cellule dell’organismo);
- il filo rosso (del desiderio immaginario) è quello della memoria
del risultato immaginato piacevole (strutturato ed eventualmente rinforzato dalla montatura nella zona franca);
- il filo blu (il filo del gioco o del desiderio razionale) è il filo della
memoria di gioco cioè delle Regole, dei Ruoli e dei Risultati
che organizzano il gioco nel quale siamo entrati (la memoria delle 3R).
In particolare:
- nel primo caso, la memoria genetica è fissata nel codice genetico e trasmessa per via ereditaria;
- nel secondo caso la memoria del risultato immaginario viene
fissata attraverso il processo della preparazione generica che
avviene nella zona franca;
- nel terzo caso la memoria di gioco viene fissata attraverso il
processo della preparazione specifica che avviene subito dopo
l’ingresso nel circuito dell’Om)
Andiamo però ora a parlare nello specifico del bivio.
Il bivio e la scelta
A seguito della partenza effettiva compare il bivio dove siamo obbligati a fare una scelta, e tale scelta è ovviamente condizionata dal
fatto che da un lato siamo tirati dai nostri nuclei di desiderio immaginari (per il risultato immaginato piacevole) e dall’altro dai nuclei di
desiderio razionali (per il risultato offerto dal gioco), al contempo,
non possiamo fare a meno di considerare pure i nuclei di desiderio
istintuali che pur non avendo particolare voce in capitolo nella decisione dei risultati da ottenere nei giochi (a meno che non ci troviamo
per qualche motivo in pericolo di vita, ovvero se c’è in atto uno squilibrio ormonale patologico), comunque essi partecipano attivamente
in quanto hanno lo scopo di mantenere l’equilibrio omeostatico sia
che stiamo giocando o non stiamo facendo nulla, sia di giorno che di
notte, sia durante la veglia che mentre dormiamo.
Non a caso quando facciamo un qualsiasi gioco, il presupposto indispensabile per riuscire felicemente dal circuito è mantenere la calma
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(o l’equilibrio) che dal punto di vista fisiologico significa che l’Io corporeo non liberi sostanze o ormoni collegati allo stress, alla paura,
all’aggressività, ecc. ma, al contrario, liberi quelli che stimolano la serenità, il coraggio, l’affetto, ecc.; però per far questo esso dipende
dalle informazioni che riceve dall’Io immaginario e/o dall’Io simbolico
che gli dicono com’è la situazione “fuori” e tali informazioni dipendono da cosa essi ci vedono in quello che sta succedendo all’esterno
del corpo.
Per capirci: il rapporto dell’Io corporeo con l’Ego e con l’Io simbolico
è paragonabile al rapporto che in un carro armato c’è tra il torrettista
e il guidatore: quest’ultimo (che corrisponde all’Io corporeo) ha a disposizione i comandi per guidare il carro e sparare, ma ha una visione limitata perché guarda solo attraverso una feritoia, il torrettista invece (che corrisponde all’Ego) ha la testa fuori dal carro e può spaziare la propria visione a 360° per cui il guidatore orienta il carro e
spara soprattutto grazie alle indicazioni del primo, ma se il torrettista
vede pericoli dove non ci sono o viceversa non vede pericoli là dove
ce ne sono il destino di quel carro è miseramente segnato.
Ma tornando al rapporto tra colui che vede (l’Io immaginario o l’Io
simbolico) e colui che guida (l’Io corporeo), la stessa situazione del
carro armato la ritroviamo in diversi giochi sportivi, per esempio, nei
rally il guidatore dipende quasi totalmente dalle indicazioni del navigatore che vede la strada e la mappa prestabilita e il pilota riesce ad
andare veloce anche quando per esempio non vede la fine di una
curva perché il navigatore lo rassicura in merito al fatto che la si può
fare in sicurezza o con una marcia alta anche se quella curva è cieca, per cui, se il navigatore attribuisce ai vari tratti stradali delle caratteristiche di pericolosità dove non ce ne sono e viceversa sottovaluta i pericoli la dove occorrerebbe prudenza, il destino della loro
corsa è anche in questo caso segnato.
Queste metafore servono a dire che l’Io corporeo è in parte cieco,
ovvero, che ha una visione limitata, dettata prevalentemente dalla
memoria genetica e interviene direttamente solo nel caso di pericolo
di vita immediato: per esempio, quando vediamo un serpente ce la
diamo a gambe indipendentemente da quello che ci dice l’Ego o l’Io
simbolico (che magari non si sono nemmeno resi conto di averlo visto); il problema però è che spesso l’Ego vede serpenti là dove ci
sono solo delle corde per cui allarma inutilmente o troppo frequentemente l’Io corporeo obbligandolo a liberare gli ormoni del pericolo
(tipo l’adrenalina), per cui il soggetto vive la quotidianità come se si
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trovasse in guerra, in gara o in una jungla anche se la realtà non è
assolutamente stressante.
Purtroppo questa situazione viene aggravata nella società dei consumi e dell’immagine in quanto la vita tranquilla e serena viene giudicata negativamente, difatti con i mass media (pubblicità, film, giornali, riviste, fumetti, ecc.) si cerca di valorizzare la vita emozionante
(quella che corrisponde alla liberazione dell’adrenalina e degli altri
ormoni dello stress) la Vita Spericolata e cazzate di questo genere in
continuazione e il motivo è presto detto,
proponendo una vita eccitante si illudono i consumatori
che lo stress e l’adrenalina ad esso associata favoriscano
una condizione di vita piacevole e desiderabile, e ciò li
spinge ad acquistare prodotti superflui inutili o dannosi
salvo poi, una volta sopraffatti dallo stress, gli stessi media offrono
dei prodotti (sempre superflui inutili o dannosi) che dovrebbero toglierlo: in pratica, i potenti propongono ai deficienti prima di eccitarsi
e poi i sonniferi o gli ansiolitici se non riescono a prendere sonno.
Tanto per fare un esempio: ci sono state persone che avevano
l’abitudine di vedere quotidianamente almeno un film del loro genere
preferito e ciò veniva facilitato dal fatto che oltre alle programmazioni
normali delle reti televisive gratuite si sono aggiunti anche dei canali
a pagamento che promettevano con la loro pubblicità una vita diversa dalla solita noiosa routine proprio perché, con pochi soldi, tutti potevano vedere in continuazione film emozionanti.
In realtà questa promozione non era falsa perché vedere immagini in
movimento o stimolare immagini nel cervello con canzoni, racconti,
ecc. stimola a sua volta la produzione degli ormoni corrispondenti,
come se (almeno in parte) quello che si sta vedendo fosse vero; il
problema però è che un certo numero delle persone di cui sopra che
avevano l’abitudine di vedere molti film a un certo punto hanno iniziato a stare male psicologicamente e non sapevano perché.
Mi spiego meglio: se noi mangiamo un limone, abbiamo una serie di
sensazioni o reazioni fisiche che coinvolgono il gusto ma non solo (la
salivazione aumenta, lo stomaco inizia a produrre acido, compaiono
immagini mentali legate al piacere o meno, ecc.) la stessa cosa, anche se in parte ridotta avviene già col semplice pensiero (stimolato
naturalmente dalla parola limone) perché come vedremo, ad ogni
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parola corrisponde almeno un’immagine, una sensazione e un sentimento; quindi, tornando agli appassionati di cinema, una parte di
quelli che hanno fatto l’abbonamento a quel canale televisivo e tutte
le sere prima di andare a dormire vedevano almeno un film del loro
genere preferito (western, poliziesco, thriller, horror, erotico, pornografico, ecc. ) dopo un po’ di tempo non riuscivano più a prendere
sonno facilmente.
E il motivo era semplice: se noi vediamo film di qualsiasi genere esso sia, abbiamo delle sensazioni corrispondenti, che ci piaccia o meno (se vediamo un film horror, non è che stiamo tranquilli sia nel durante che dopo la visione e la stessa cosa se vediamo un porno o un
film di guerra, ecc.) anche perché gli effetti speciali del cinema si sono sviluppati a tal punto da rendere la visione del film sempre più simile alla realtà (persino di più, perché la tensione dello spettatore
viene pure esaltata, dai cambi di scena rapidi, dalle musiche, ecc.),
per cui queste persone stavano male soprattutto perché pretendevano di addormentarsi facilmente dopo aver visto certe scene e ciò non
può essere possibile, perché
se per qualsiasi motivo l’Io coproreo libera
gli ormoni dello stress (tipo l’adrenalina)
ci vuole un po’ prima che venga smaltita
e sia il corpo che la mente tornino calmi
(provate a pensare a quando ci prendiamo uno spavento e il nostro
cuore accelera, così come il respiro ecc.) prima che ci tranquillizziamo ci vuole un po’ di tempo e questo vale allo stesso modo se vediamo un film prima di andare a letto, infatti il giorno che le suddette
persone hanno capito che guardando quei film la loro immaginazione
veniva attivata anziché tranquillizzata hanno deciso, con un certo
sforzo (perché anche la visione dei film dà un certo grado di dipendenza) il loro addormentamento è migliorato (anche perché se siamo
preoccupati per qualsiasi cosa nessuno di noi è in grado di prendere
sonno facilmente).
Tutto questo per dire che le immagini sono sotto il controllo dell’Ego
che le scarica direttamente all’Io corporeo sia che si tratti di realtà
che di immaginazione e questo rapporto anomalo tra l’Ego e l’Io
corporeo sta all’origine della maggioranza dei disturbi psicologici e/o psicosomatici degli individui o meglio
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l’eccesso di interpretazioni allarmistiche dell’Ego in merito
alla realtà percepita e le sue continue richieste nei confronti
dell’Io corporeo di “ormoni da sforzo” rapporto non mediato dal
buon senso dell’Io simbolico dà origine a tutte le forme di stress
e queste interpretazioni allarmistiche dipendono prima di tutto dal tipo di film o programmi visti in televisione.
A conferma di ciò basti pensare che negli anni sessanta c’è stato un
periodo in cui tutti i “registi del brivido” mettevano nei loro film una
scena nella quale una donna sotto la doccia veniva assassinata; negli anni settanta hanno fatto un sondaggio e sapete cos’hanno riposto la maggior parte delle donne americane alla domanda: “Che cosa le fa più paura?”… “Di essere aggredita in bagno da qualcuno
mentre mi faccio la doccia o sono piegata a lavarmi i capelli!”.
Con questa piccola divagazione sembra che dal solo Io Spirituale
siamo tornati a parlare delle diverse forme dell’Io, ma lo dico ancora
una volta, non c’è differenza perché siccome l’Io Spirituale attiva
contemporaneamente tutte le cellule dell’organismo e in particolare
quelle cerebrali,
l’obiettivo più importante è quello di armonizzare
le varie forme dell’Io e le intelligenze corrispondenti
che agiscono per soddisfare i diversi nuclei di desiderio
in pratica, le tre forme dell’Io (Io corporeo, Io immaginario o Ego e Io
simbolico o ruolo) vengono attivate contemporaneamente da parte
dell’Io Spirituale perché hanno funzioni diverse nell’esecuzione di
una stessa attività e il gioco dell’Io Spirituale consiste nel riuscire a
farle funzionare tutte in armonia, ovviamente ognuna facendo il proprio dovere: è un po’ come suonare uno strumento, un accordo è fatto almeno di tre note se queste sono in armonia tra loro il suono che
ne risulterà sarà gradevole, viceversa, anche chi non capisce di musica sentirà la stonatura.
Questo spiega il motivo per il quale abbiamo detto che l’immaginario
(sede dell’Ego) non va distrutto ma va messo al servizio del simbolico e del fisico in modo tale che il soggetto possa trovare delle soluzioni ai propri problemi, ovvero possa soddisfare i propri desideri,
compatibilmente con il fisico che ha e con il ruolo che riveste.
Per capirci, un militare in prima linea avrà reazioni diverse rispetto a
uno in missione di pace; ma se quest’ultimo si sente Rambo (si iden-
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tifica cioè con l’Ego e dimentica il proprio ruolo di pacificatore grazie
alla minaccia delle armi), sparerà come se si trovasse in prima linea.
La stessa cosa vale per i militari in guerra che dimenticando le regole che obbligano a trattare i nemici detenuti almeno con umanità, se
si identificano con l’Ego (e vogliono perciò sentirsi Grandi umiliando i
nemici catturati) dimenticano il proprio ruolo e il rischio è che si lascino andare alle peggiori nefandezze (com’è successo anche solo
recentemente ai militari americani nella guerra in Iraq).
Allo stesso modo, se il navigatore del rally dimentica di avere un ruolo di supporter al pilota e si identifica con l’Ego (e vuole perciò sentirsi Grande vincendo la corsa a tutti i costi) indurrà il pilota a prendere
dei rischi inutili e, magari, a farsi pure male.
E gli esempi possono essere tantissimi, se un vecchio si dimentica
del ruolo che riveste e dell’età che ha, e si identifica con l’Ego (e
vuole perciò sentirsi Grande continuando ad avere rapporti sessuali)
da furbo si imbottisce di Viagra, ma siccome il sesso non coinvolge
solo i genitali ma tutto il fisico e la mente, il rischio è che:
- il fisico “lo lasci” (non sono infrequenti i casi di anziani che
muoiono d’infarto nel corso di rapporti sessuali, magari facilitati
da sostanze chimiche);
- la mente “sbielli” (anche in questo caso non è raro che anziani
perdano la testa per le loro giovani badanti).
Ma come avrete capito, armonizzare le intelligenze non è un problema solo degli anziani, è il problema di tutti e di tutte le età, un problema che sperimentiamo maggiormente (anche sotto forma di dolore fisico oltre che mentale) proprio di fronte al bivio perché è proprio
il bivio che ci impone di fare la scelta su quali nuclei di desiderio
soddisfare; difatti, se:
- il fisico vuole una cosa (mantenere l’equilibrio ormonale per star
tranquillo),
- l’Ego ne vuole un'altra (provare piacere e evitare il dolore per
sentirsi Grande)
- e il ruolo un’altra ancora (realizzare il giusto ed evitare lo sbagliato per ottenere la soddisfazione di sé)
l’Io Spirituale deve trovare un compromesso tra queste tre spinte,
perché l’azione, gioco forza, dipende dalla consistenza dei nuclei di
desiderio preformati.
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Per dirlo in altro modo: se i nuclei di desiderio sono in armonia o in
accordo tra loro l’azione compiuta riesce a soddisfare tutti, in caso
contrario, veniamo trascinati dai nuclei di desiderio che hanno maggiore forza nella strada corrispettiva ma, in questo caso, mentalmente andiamo incontro a quel processo che viene chiamato dissociazione (un nucleo di desiderio tira da un lato e gli altri tirano dall’ altro) e a seconda del livello di discordanza o di stonatura compaiono
comportamenti anomali (o in casi gravi, le malattie mentali).
Tra parentesi, le varie forme di dissociazione possono essere utilizzate per definire correttamente i vari gradi della malattia mentale e,
per curiosità anticipiamo che:
- la prima forma di dissociazione mentale si ha quando noi seguiamo la via di fuga o dell’illusione (facciamo una trasgressione) ma al tempo stesso viviamo nella costante preoccupazione
di essere scoperti;
- ma anche seguire la retta via può dare origine alla dissociazione
mentale, perché a volte ci comportiamo bene (spinti da tante motivazioni, non da ultima la paura) però continuiamo ad avere nella testa il risultato immaginato piacevole cui abbiamo rinunciato
(perché trasgressivo) e se non smettiamo di pensarci questo
rammarico ci porta a commettere errori nel compimento
dell’azione corretta;
e come potete intuire, questi errori sono proporzionali all’entità della
dissociazione (nel senso che,
tanto più pensiamo ad altro (ci difendiamo), oppure, tanto più ci
rammarichiamo di quello che avremmo ci siamo persi o avremmo
potuto fare e non abbiamo fatto, tanti maggiori saranno gli errori
pur se stiamo cercando di compiere delle azioni corrette
non a caso, di fronte a certi comportamenti anche nel linguaggio comune si dice: “Ma dove avevi la testa?”.
Da quanto detto risulta chiaro che per passare da una via o un’altra
necessita una scelta, vediamo allora di cosa si tratti.
La scelta
Diciamo subito che per scelta noi intendiamo molto chiaramente: tra
due cose prenderne una e rinunciare all’altra.
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Si tratta di un concetto all’apparenza evidente, ma la realtà ci dimostra che per quanto possa sembrare ovvio, di fatto la maggior parte
degli esseri umani non è in grado di scegliere ovvero non riesce a
metterla in atto abitualmente, soprattutto perché i tempi della scelta
sono due:
- prendere una cosa;
- rinunciare all’altra;
difatti nella maggior parte dei casi tutti noi vorremmo:
- prendere questo e quello (cioè vorremmo tutto o non vorremmo rinunciare a nulla );
- prendere questo senza quello (il piacere senza dover soffrire, il
risultato immaginato piacevole senza dover pagare, senza sforzarci, ecc.)
e la maggior parte dei nostri problemi psicologici a partire dall’ adolescenza fino alla vecchiaia dipendono proprio dal fatto che non si è
stati educati correttamente al significato della scelta e soprattutto
non siamo stati invogliati a farla correttamente..
Anzi, come abbiamo ripetutamente detto nel libro sulle Intelligenze
dell’Io
l’educazione tradizionale è stata boicottata dai mass media
soprattutto con i messaggi pubblicitari che ci illudono sulla
possibilità di avere questo senza quello (il piacere senza il
dolore) a patto di avere i soldi per poterselo permettere.
Comunque, il problema della scelta si pone di fronte al bivio perché
non potendoci evidentemente dividere fisicamente, siamo obbligati a
prendere una strada sola e, osservando la figura, risulta chiaro che
per passare attraverso la via della verità o della prova di verifica è
necessario dare un taglio al filo rosso del desiderio o quantomeno
investire il desiderio nel risultato del gioco.
Per questo motivo, nel corso della preparazione specifica, oltre
all’aggancio del filo blu del gioco, si dà al soggetto anche un coltello
(indicato nel cerchio della figura) che può essere usato:
- sia per tagliare il filo rosso del desiderio (che significa rinunciare al risultato immaginato piacevole e procedere per la via
della verità o della prova di verifica);
- sia per tagliare il filo blu del gioco (cioè “tagliare la corda” e
procedere per la via di fuga o dell’illusione)
normalmente il coltello non viene usato per tagliare il filo verde perché essendo il filo della vita o della vitalità esso viene tagliato solo
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in caso di suicidio (dunque in caso di rinuncia definitiva al Gioco della Vita).
Quindi, il taglio del filo rosso o blu corrisponde a quello che nel linguaggio comune viene denominata la scelta ed è l’atto che compete
a noi più importante (è come l’ultima parola del re di fronte alle proposte dei ministri); per questo motivo la scelta o la capacità di scegliere rappresenta un indice assolutamente attendibile per definire la
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maturità psicologica di un individuo; e in quest’ottica quando parliamo di scelta possiamo fare subito una distinzione tra:
- scelta vera o definitiva;
- scelta apparente, falsa, ambigua o comunque temporanea;
- scelta ambivalente o casuale.
Scelta vera, apparente e ambivalente.
Normalmente, anche se siamo inconsapevoli dell’esistenza del circuito dell’Om, del Gioco della Liberazione e delle sue componenti tutti
noi, quando dobbiamo fare una scelta, sappiamo perfettamente di
avere di fronte almeno due strade: una che va verso destra (la retta
via o la via difficile) e una che va verso sinistra (la via alternativa,
facile, trasgressiva, ecc.) e, anche se non la chiamiamo partenza,
sappiamo che arriva un momento in cui dobbiamo decidere quale
delle due prendere, senza più possibilità di procrastinare; allo stesso
modo, sappiamo che
indipendentemente dalle parole dette o dalle nostre intenzioni
più o meno buone o sincere, le azioni che compiremo
dimostreranno la scelta effettuata e con essa la forza dei nuclei
di desiderio immaginari e razionali che ci avranno orientato.
Ma vediamo cosa interviene nel meccanismo mentale della scelta.
Allora, subito dopo la partenza le tre ruote dei nuclei di desiderio
ci tirano lungo il Circuito dell’Om (vedi l’immagine successiva):
- da un lato abbiamo il filo verde della vita o della vitalità che ci
lega alla ruota dei nuclei di desiderio istintuali, che gira sempre e
che nel bene e nel male ci dà l’energia vitale necessaria per
compiere le azioni di qualsiasi natura esse siano (buone o cattive);
- il filo blu del gioco che ci lega alla ruota dei nuclei di desiderio
razionali, i quali ci tirano verso la Via della Verità o della prova di
verifica;
- il filo rosso del desiderio che ci lega ai nuclei di desiderio immaginari che ruotano attorno al punto di fissazione per il risultato
immaginato piacevole, ci tirano verso la via di fuga o dell’ illusione nel tentativo di realizzarlo immediatamente e senza passare
dalla prova di verifica.
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Ho detto che la ruota dei nuclei di desiderio istintuali gira sempre e
“nel bene e nel male” dà l’energia necessaria per compiere le azioni di qualsiasi natura esse siano perché
l’intelligenza del corpo (l’istinto) non ha i criteri del giusto e
dello sbagliato, anche perché all’Io reale corporeo che la
gestisce non interessa quale sia la fonte utilizzata per
mantenere l’equilibrio omeostatico dell’organismo:
se per soddisfare la fame c’è solo della carne di un animale domestico, l’uomo non si fa problema, lo uccide e per un po’ sopravvive, così
come se per mangiare deve rubare, non ci pensa due volte e così
via per tutte quelle azioni che servono per mantenersi in vita (sia che
si tratti di problemi o pericoli reali che, come vedremo, immaginari).
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Per capirlo meglio possiamo recuperare l’esempio della prostituta.
Mettiamo che per motivi diversi il livello “ormonale” di un soggetto
qualsiasi sia cresciuto oltre misura: per esempio, abbia visto un film
erotico e si sente tutto eccitato; a seguito dell’eccitamento il suo corpo gli dà dei segnali, che gli psicoanalisti rimandano alla cosiddetta
pulsione sessuale, ma che dal punto di vista neurologico altro non
sono che messaggi del corpo volti a recuperare l’equilibrio omeostatico perduto, stimoli che lo spingono a fare qualcosa e, in certi casi,
qualsiasi cosa, per recuperare uno stato di tranquillità.
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Ho detto qualsiasi cosa perché ci sono dei malati di mente che per
recuperare l’equilibrio omeostatico (precedente per esempio, alla visione di un film erotico) sono anche disposti a violentare una donna.
In realtà il corpo parla, sia prima che durante e dopo certe visioni,
ma se l’Ego non lo sta a sentire (e l’Io razionale non ha molta voce in
capitolo) l’intelligenza del corpo usa i suoi meccanismi di compenso
riflessi e per un po’ sta calmo; ma se lo stimolo è eccessivo, il corpo
non compensa più e chiama in causa le altre due intelligenze
(l’intelligenza immaginaria o furbizia e quella razionale o buon senso) per trovare una soluzione più efficace.
A quel punto il soggetto può recuperare l’equilibrio omeostatico perduto in molti modi e tali soluzioni potranno essere più o meno immaginarie, ovvero, più o meno razionali a seconda del suo grado di maturità psicologica e/o della consistenza dei suoi nuclei di desiderio,
come detto
un intellettuale può pure avere molta razionalità a sua
disposizione ma se ha alimentato i nuclei di desiderio
immaginari oltre un certo limite, si comporterà come
un malato di mente, anche se ha tre lauree
e ciò trova conferma nella cronaca quotidiana, quando veniamo a
scoprire che personaggi pubblici all’apparenza integerrimi, quando
finivano il lavoro, smettevano la maschera di politici, imprenditori,
ministri di culto, professionisti, padri di famiglia, mariti devoti, ecc. e
si lasciavano andare a comportamenti trasgressivi di tutti i generi.
Ma tornando all’esempio di prima, tra le varie soluzioni ipotizzate per
togliersi “la scimmia” che si è impadronita della sua mente, il nostro
soggetto eccitato sessualmente dal film erotico può decidere di andare con una prostituta; certo, non è un’azione corretta, ma ci serve
per spiegare che all’Io corporeo (ai nuclei di desiderio istintuali) poco
importa; al corpo interessa solo allentare la tensione dettata dagli
“ormoni” improvvisamente cresciuti e per riuscirci si affida anzitutto
alle scelte dell’Ego, disinteressandosi se siano giuste o sbagliate,
morali o immorali, per cui
se l’intelligenza immaginaria (la furbizia) trova un sostituto
dell’oggetto naturale del soddisfacimento, l’intelligenza del corpo
(l’istinto) accetta la soluzione senza reclamare più di tanto.
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D’altronde, il corpo non ragiona in termini di conseguenze future piacevoli o spiacevoli perché a questo ci devono pensare le intelligenze
superiori (l’intelligenza immaginaria e quella razionale) che hanno gli
strumenti per farlo e, per mantenere l’equilibrio omeostatico, gli va
bene tutto (una merendina cancerogena per placare il senso di fame,
una bibita energetica diabetogena al posto dell’acqua, una prostituta,
una bambola gonfiabile o un membro dello stesso sesso per riequilibrare gli ormoni sessuali, ecc.), in quest’ottica,
il rapporto tra l’Io Reale corporeo e l’Ego è come quello
di un sottoposto che di fronte a un ordine contraddittorio
del capo dice: “Ok tu sei il boss e sai quel che stai facendo!”.
Quindi, date queste premesse, da un lato l’Ego vorrebbe godere di
un rapporto sessuale con una prostituta immediatamente, senza
preoccuparsi del futuro, ma siccome a sua volta, ha un rapporto dialettico con l’Io razionale sa che è sconveniente e soprattutto che ogni
azione ha delle conseguenze, però, piuttosto di rinunciare, cerca un
sistema per ottenere il risultato immediato e piacevole ed evitarle, a
tale riguardo,
se escludiamo i malati di mente e i bambini che non
hanno proprio idea delle possibili conseguenze negli
altri casi l’Ego è limitato nella possibilità di soddisfare
tutti i suoi desideri quantomeno dalla paura
e nell’esempio della prostituta la paura potrebbe essere quella di
prendersi una malattia, di essere scoperto dalla moglie, dai colleghi,
ecc., ma la paura è comunque un freno limitato perché può essere
superata dalla forza dei nuclei di desiderio.
D’altro canto, a favorire l’azione trasgressiva ci pensano i mass media con la cosiddetta montatura fatta nella zona franca o anche i potenti che “beccati” in flagrante nelle loro trasgressioni, per salvare la
faccia e/o per mantenere l’elettorato minimizzano la gravità degli atti
compiuti o addirittura valorizzano il loro comportamento immorale;
diceva un politico smascherato in un suo rapporto con una prostituta:
“E allora? Non sono mica un santo! E poi i miei elettori mi vogliono
così!!” il che vuol dire: che
l’arte della politica consiste nel fare discorsi morali e
proporre leggi repressive per i reati commessi (compreso quello
325
di andare a prostitute) ma che valgono solo per i deficienti
difatti, solo i poveracci che vengono sorpresi con le prostitute si vedono sequestrare l’automobile, appioppare una multa salatissima e
comparire di fronte al giudice per rispondere di oltraggio al pudore,
invece i potenti possono permettersi di trasgredire, grazie ai soldi
che servono a far tacere tutti, ma soprattutto grazie ai deficienti che li
sostengono in quanto vorrebbero anche loro fare quello che vogliono, ma non possono per paura o per mancanza di potere, denaro,
ecc. (non a caso, un politico “beccato” a fare un orgia a base con
due prostitute con l’aggiunta di cocaina a fiumi, nonostante sia stato
travolto dallo scandalo in quanto una delle prostitute è stata ricoverata per overdose, è stato sommerso da lettere o e.mail di deficienti
suoi sostenitori che lo osannavano: “Sei Grande! Sei tutti noi! Vorremmo essere come te!” e complimenti analoghi).
Ma tornando al nostro esempio, dato che nel mondo degli uomini per
soddisfare un desiderio bisogna entrare in un gioco e, soprattutto,
siccome ad ogni azione corrispondono delle conseguenze che sono
in linea con la correttezza dell’azione o meno, per il nostro soggetto
eccitato dal film erotico, andare con una prostituta implica certamente delle conseguenze:
- sia sul piano fisico (perché può anche prendersi una malattia venerea),
- sia sul piano immaginario (perché anche se l’Ego si sente grande ed è soddisfatto per aver goduto, magari con una bellissima
donna, dall’altro lato non può dimenticare che si trattava di una
prostituta, idea che comunque gli rimpicciolisce l’ego);
- sia sul piano simbolico (perché andare con una prostituta è vietato per legge specie per chi riveste un ruolo pubblico e, inoltre,
perché se quell’atto dovesse venire fuori, potrebbe venir compromessa sia l’attività professionale che anche il rapporto matrimoniale, le relazioni famigliari, di amicizia, ecc.).
In ogni caso, ormai deciso ad andare con una prostituta, una volta
entrato in macchina per andare a trovarla, di fatto, il nostro amico è
già entrato in un gioco, trascinato
- dagli ormoni sessuali;
- dal desiderio per il risultato immaginato positivo (l’Ego vuole avere un rapporto sessuale con una donna che gli piace e spera
come detto di non essere “beccato” da conoscenti);
326
-
l’Io simbolico o ruolo, tira invece da un’altra parte (vuole tornare
a casa, non solo per evitare malattie o salvare la reputazione,
ma soprattutto perché si tratta di un’azione sbagliata).
L’Ego però procede, perché ha il potere in mano (come il segretario
che ha più poteri del re) che mantiene anche grazie a trucchi del tipo: “Non ti preoccupare, non ci vede nessuno! Ma sì dai, ci facciamo
solo un giro! Diamo un’occhiata e poi a casa!”.
Arriva però il momento che in lontananza appare la prostituta e magari, quest’ultima corrisponde al cliché che ha nella testa (per esempio assomiglia, anche solo vagamente, a quella vista nel film) e,
in quel momento, anche grazie agli ormoni in circolo, il soggetto ha
un sobbalzo.
Prima di procedere oltre però, gli compare nella mente il bivio e il
coltello con il quale deve tagliare uno dei due fili (quello rosso del
desiderio per il risultato immaginato positivo o quello blu del gioco) e
che cosa succede?
Il resto lo vedremo alla prossima puntata dove parleremo più approfonditamente, appunto della scelta vera, falsa e ambivalente.