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n° 333 - gennaio 2008
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
L’altro che abita la mente
Sdoppiamento della personalità come espressione di narcisismo o scambio di identità, intreccio ora drammatico ora comico nella letteratura come nell’arte
La tematica del doppio ricorre frequentemente sin
dall’antichità classica assumendo tratti diversi, a seconda dei diversi concetti
di persona e di identità susseguitisi nei secoli ispirando, attraverso lo sdoppiamento della personalità
e quello dello scambio di
persona e di identità, intrecci ora drammatici ora
comici nella letteratura
come nell’arte.
Uno dei testi antichi più
famosi è la commedia di
Plauto Anfitrione nella quale
l’intrigo amoroso di Giove
produce sulla scena il doppio dello schiavo Sosia. Questi, schiavo di Anfitrione,
viene privato della propria
identità: rientrato dalla
guerra insieme al suo padrone, avviatosi verso casa
per annunciare alla padrona
Alcmena che il marito è tornato, si trova davanti alla
porta di casa il suo doppio.
In realtà è Mercurio che ha
assunto le sue sembianze e
la sua identità. Qui il tema
del doppio innesta una situazione comica: “sono
morto!”, afferma Sosia trovandosi di fronte Mercurio, che dice di essere Sosia.
Oltre due secoli prima di
Plauto questa tematica è al
centro di una tragedia di
Euripide, l’Elena, alla base
della quale vi è una variante
paradossale del mito di
Elena. La donna per cui Menelao mobilitò i Greci per
muovere guerra ai Troiani
sarebbe stata solo un fantasma, un doppio: non sarebbe mai andata a Troia ,
ma sarebbe rimasta per tutti
i dieci anni della guerra in
Egitto presso la reggia del
re Proteo, mentre “un fantasma fatto con un pezzo di
cielo e simile in tutto a lei”
avrebbe ingannato tutto e
tutti, compreso Paride. Il
doppio che è stato mandato
a Troia e l’Elena rimasta in
Egitto sono due entità distinte, che non si incontrano mai, come invece accade nella commedia plautina.
La tragedia di Euripide e la
commedia di Plauto si inseriscono perfettamente
nella letteratura sul doppio: mentre però nella letteratura latina e greca
emerge la stretta connessione tra il motivo del doppio, la magia e l’elemento
divino, in Europa, nel periodo a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, il tema
del doppio diviene espressione dell’identità scissa
dell’uomo moderno, estraniato dalla propria società
lontana e ostile.
Ne Il fu Mattia Pascal di
Pirandello è lo stesso protagonista Mattia Pascal a
creare volontariamente un
suo doppio, un alter-ego visto come liberazione dai
vincoli imposti dalla vita
quotidiana, dalla famiglia e soprattutto dalla società. Mette in scena la propria metamorfosi andando
semplicemente dal barbiere
ed inventando Adriano
Meis, ma l’illusione di poter creare una nuova vita
dura poco:il suo doppio diviene ben presto la sua pri-
gione. Infatti Adriano Meis
non esiste all’anagrafe, non
può sposare Adriana, la
donna di cui si è innamorato, non può comprare un
cane. Sino a decidere di
ideare il suo finto suicidio
per poter riassumere i panni
di Mattia Pascal.
Indipendentemente dalle
caratteristiche che contraddistinguono le varie forme
in cui è trattato il motivo
del doppio si ritrovano nel
tempo e nelle diverse forme
artistiche alcuni elementi
comuni: nell’iconografia
artistica ci imbattiamo quasi
sempre in un’immagine che
somiglia minuziosamente
al protagonista, come se
essa fosse rubata da uno
specchio. Inoltre il doppio
si contrappone di continuo
all’io diventandone perfino
il persecutore. Altro elemento che accomuna le
opere con questo tema è il
doppio che si accompagna
alla morte: la situazione
spesso, soprattutto in letteratura, si evolve nel tentativo di uccidere il doppio, gesto che si rivela essere un suicidio.
Il Ritratto del Dottor Gachet
di Van Gogh, eseguito nel
1890, è esempio illuminante della concezione che
l’uomo moderno ha di sé
come essere frantumato: la
sensazione di un Io frammentato, privo di riferimenti e certezze stabili è
dettata da un perdurante
senso di inadeguatezza e di
disagio propri dell’individuo del Novecento.
Il Ritratto del dottor Gachet,
Carlo Maria Mariani: La mano obbedisce all’intelletto - Collezione privata
pag. 2
una delle ultime opere di
Van Gogh prima del suicidio, può essere ragionevolmente considerato, come è
stato scritto da autorevoli
medici e specialisti della
materia, uno degli esempi
più significativi nella storia dell’arte di transfert psicanalitico.
Il pittore ha effettuato con
profondo successo il processo di identificazione con
il suo medico curante, tanto
da interpretare la richiesta
di un ritratto da parte di
quest’ultimo come una possibilità per autoritrarsi. Il
risultato di tale processo è
nella tela, in cui l’Io disintegrato dell’autore si proietta fuori di sé. Ad accomunarli, infine, oltre ad
una certa somiglianza fisica, un’indole melanconica
incline alla depressione.
Dalla corrispondenza di
Van Gogh alla sorella apprendiamo che «attualmente niente, assolutamente
niente mi trattiene qui,
salvo Gachet». Ne emerge
il legame di forte interdipendenza tra i due, messa
in atto con visibili meccanismi di proiezione, attraverso i quali il ritrattista
riesce a mettersi in sintonia psichica con il suo modello, verificando le varie
somiglianze che li uniscono.
Ma il quadro offre altri
spunti: negli anni Ottanta
del secolo scorso Gachet,
medico, fu allievo e assistente all’ospedale parigino
della Salpetrière, ove ebbe
modo di conoscere Charcot e di approfondire i suoi
studi sulle patologie mentali. La sua tesi in medicina
- Studio sulla Malinconia è considerata una sorta di
compendio delle conoscenze
neurologiche del tempo,
nella quale viene presentata la descrizione dell’individuo melanconico che
ritroviamo descritta nel ri-
tratto dove è ben presente
il legame con la restante
tradizione iconografica, un
riferimento pittorico su
tutti la Melencolia di Durer: il tronco obliquo e la
testa appoggiata sul pugno
chiuso di Gachet costituiscono i tratti distintivi dell’homo melancholicus, di Saturno, il padre dei malinconici. Il pittore, scrivendo
a Gauguin (lettera 638, datata 4 giugno 1890), definiva tale posa «l’espressione triste della nostra
epoca», e come hanno fatto
notare tanto Freud quanto
la Klein, esistono correlazioni concrete tra una disposizione alla melanconia
e la tendenza alla scissione
della personalità e al suicidio.
In un altro messaggio al fratello Theo in cui descrive
il suo ultimo ritratto, il pittore dichiara «la testa con
un berretto bianco, molto
bionda, molto chaira; anche la carnagione delle mani
molto bianca, un frac blu
e uno sfondo cobalto. Le
mani sono da ostetrico, più
chiare del volto» (lettera
638 datata 4 giugno 1890).
Oltre all’evidente rimando
a uno dei temi più cari agli
artisti, l’opera è molto ricca
di valori simbolici; la pianta
di digitale in primo piano
allude apertamente alla passione per l’omeopatia del
medico-mecenate, che la
usava per curare i disturbi
cardiovascolari.
Anche i due libri appoggiati al tavolo hanno un loro
senso e significato. Sono i
due romanzi dei fratelli
Goncourt, Germine Lacerteux e Manette Salomon: l’uno
narra di un caso patologico
conclusosi tragicamente,
l’altro è ambientato nel
mondo dell’arte, nel quale
assumono un’importanza
centrale le dinamiche del
ritratto.
Nel giugno del 1890 ricordiamo il particolare stato
psichico dell’artista, il quale
di lì a poche settimane (27
luglio), si sarebbe suicidato
sparandosi.
Altro esempio di rappresentazione di doppio si ritrova nel romanzo di Oscar
Wilde, Il Ritratto di Dorian
Gray dove il giovane bellissimo, rimasto “abbagliato” dalla bellezza del
proprio ritratto eseguito
dall’amico pittore Basilio
Hallward, esprime il desiderio di poter rimanere per
sempre attraente e giovane
trasferendo su quell’immagine i segni dell’età e degli
errori. Una lettura narcisistica per la propria immagine e per il proprio io. Dorian, che nel romanzo è proprio chiamato Narciso, finisce con l’odiare il proprio
doppio: quel ritratto che
Vincent Van Gogh: Ritratto del Dottor Gachet Collezione privata
Busto del dio Giano - Città del Vaticano,
Musei Vaticani
pag. 3
rappresenta i segreti e i desideri della sua anima diventerà un persecutore. Irrompe il rimorso e si genera un incontrollabile impulso distruttivo: per questo il protagonista decide
di eliminare il ritratto, ma
uccidendo l’altro, Dorian
uccide se stesso.
Il tema dell’inafferrabile
volto nascosto dell’Io tradizionalmente personificato nel doppio ha, come
per la letteratura, antica nascita: la figura di Giano bifronte è archetipo di ogni
successivo essere a due facce,
mentre tra i dipinti più noti
ricordiamo L’allegoria del
tempo di Tiziano e Il Narciso
di Caravaggio, opera quest’ultima dipinta non a caso
in un momento in cui l’artista predilige le atmosfere
magiche, sospese e introspettive. Con diversi strumenti e in diverse varianti
gli artisti hanno dato forma
allo sfuggente Io, anche attraverso il riconoscersi e il
moltiplicarsi nei mille riflessi di uno specchio, come
Giovanni Bellini: Giovane donna nuda che si guarda allo specchio - Vienna, Kunsthistorisches
Museum
Albrecht Dürer: Melencolia I - Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle,
Kupferstichkabinett
quello di domestiche intimità dei Coniugi Arnolfini
di Van Eyck, quello ammaliante della giovane donna
di Giovanni Bellini, oppure
Tiziano Vecellio: Allegoria del tempo governato dalla
prudenza
Londra National Gallery
quello assorto e notturno
della Maddalena di Georges de la Tour.
maria siponta de salvia
valentina baldini
Michelangelo Merisi da Caravaggio: Narciso Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica Palazzo Barberini
Jan van Eyck: Ritratto dei coniugi Arnolfini Londra, National Gallery