Famiglie con figli nati con fecondazione in vitro

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Famiglie con figli nati con fecondazione in vitro
CAPITOLO 3
Famiglie con figli nati
con fecondazione in vitro
Proprio nel momento in cui le famiglie con madri lesbiche cominciavano
a essere più visibili sulla scena sociale, con la fecondazione in vitro/FIV
sorse un’altra nuova forma familiare, ancora più controversa. Nel 1978,
infatti, nacque nel Regno Unito Louise Brown, la prima figlia “in provetta” (Steptoe e Edwards, 1978). Come scrisse il quotidiano The Guardian
(in un articolo intitolato “La madre in provetta ha una bambina” del 26
luglio 1978): «Ieri notte, all’Oldham General Hospital, nel Lancashire,
la signora Lesley Brown, prima madre al mondo ad avere concepito con
fecondazione in vitro, ha partorito una bambina con taglio cesareo. La
storica nascita è avvenuta poco prima della mezzanotte. La neonata pesa
2,608 kg. I medici hanno dichiarato che madre e figlia sono in condizioni “eccellenti”». E il Daily Express: «È nato il bambino del secolo. Il
primo a essere concepito in laboratorio. Ed è una femmina».
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Per la prima volta era stata creata una vita umana in laboratorio. L’ovulo
della madre era stato fecondato con il seme paterno all’interno di una
capsula di Petri e l’embrione destinato a diventare Louise era stato trasferito nell’utero materno. Louise venne al mondo il 25 luglio 1978.
L’evento ebbe ampia risonanza mediatica in tutto il mondo. Come
affermò la rivista The Economist (in un articolo del 17 luglio 2008, intitolato “Niente fecondazione in vitro, siamo inglesi”): «La stampa di
tutto il mondo era accampata all’esterno, le porte d’ingresso bloccate
e il personale costretto a sgattaiolare dentro e fuori da un’entrata laterale. Patrick Steptoe e Robert Edwards, l’ostetrico e il fisiologo che nove
mesi prima avevano prelevato un ovulo da un’ovaia della signora Brown
sotto anestesia e l’avevano fertilizzato in vitro con il seme del marito,
erano nascosti dentro». Per la rivista Time quella fu «la nascita probabilmente più attesa da 2.000 anni» (dall’articolo “Il primo bambino in
provetta”, 31 luglio 1978).
Ma il percorso che ha portato a questa storica nascita non è stato
privo di ostacoli. In una conferenza celebrativa per il conferimento
del premio Nobel a Robert Edwards, nel 2010, Martin Johnson, biologo della riproduzione e già allievo di Edwards agli albori della FIV,
parlò dell’ostile opposizione incontrata da Edwards e Steptoe ( Johnson,
2010; 2011). Alla pubblicazione del primo articolo scientifico sulla
FIV negli umani, il 14 febbraio 1969, «si scatenò l’inferno», scrisse
Johnson. Edwards e Steptoe furono attaccati dai media, dalla Chiesa
Cattolica Romana e dai colleghi, e il primo di aprile del 1971 il finanziamento che avevano richiesto per la ricerca sulla fecondazione in
vitro fu loro negato: «Solo nel 1989 [...] il Parlamento del Regno Unito
impresse finalmente il suggello di approvazione all’opera anticipatrice di Edwards, dopo una violenta battaglia durata ben undici anni»
( Johnson, 2010, p. 251). E dovettero trascorrere trentadue anni dalla
nascita di Louise Brown perché Robert Edwards vincesse il premio
Nobel. Essendo deceduto nel 1988, Patrick Steptoe non poté ricevere
il riconoscimento insieme a lui.
Negli anni successivi alla nascita di Louise Brown, la FIV è uscita dal
regno della fantascienza ed è divenuta un trattamento per la sterilità
che gode di ampia accettazione e ha consentito la procreazione di oltre
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cinque milioni di bambini in tutto il mondo (Adamson, 2012). Nel 1978,
però, la nascita di Louise provocò opposizione e timore nel pubblico.
Ad alcune delle prime donne che avevano avuto figli in questo modo
capitò di essere evitate o sentirsi urlare contro per strada, perfino i
parenti stretti accolsero con sospetto i bambini nati. Come testimonia
una donna divenuta madre grazie alla FIV: «Credo che mia suocera
pensasse che sarebbe venuto fuori con due teste [...] Lei gli vuole bene,
ne sono certa, ma c’è sempre stato quel qualcosa [...] anche quando
venne in ospedale, appena dopo il parto, non lo prese in braccio».
Nonostante tutto il clamore intorno alla sua nascita, Louise era la figlia
genetica di sua madre e di suo padre. Fatta eccezione per le circostanze
del concepimento, non era diversa da qualunque altro bambino, dal
momento che veniva allevata dai genitori che l’avevano concepita e
messa al mondo. Come già era avvenuto per l’introduzione della pillola contraccettiva, anche la FIV fu osteggiata per la separazione tra
sesso e riproduzione. Ciò nonostante, Louise era in ogni senso figlia
dei suoi genitori: la madre l’aveva portata in grembo e partorita; in
seguito è stata allevata come figlia “sociale” e giuridica del signore e
della signora Brown.
L’affermazione della FIV ha aperto la strada a metodi riproduttivi sempre più legati alle biotecnologie. All’inizio degli anni Novanta, per esempio, è comparsa una nuova tecnica: l’iniezione intracitoplasmatica dello
spermatozoo/ICSI, nella quale un singolo spermatozoo viene iniettato direttamente in un ovulo allo scopo di fecondarlo (Palermo, Joris,
Devroey et al., 1992). L’ICSI è il primo trattamento contro la sterilità
maschile e ha consentito la paternità a uomini con spermatozoi anomali
o con oligospermia. Come avviene anche nella FIV, nell’ICSI, quando
si usano l’ovulo della madre e il seme del padre, e la madre si fa carico
della gravidanza, i genitori hanno una connessione sia genetica sia gestazionale con il figlio – né più né meno di quello che avviene quando si
concepisce in modo naturale.
Per molte coppie sterili, la FIV e l’ICSI sono il trattamento d’elezione,
nella misura in cui il loro desiderio è quello di avere dei figli biologici.
Ecco come si esprime in proposito un uomo divenuto padre grazie alla
FIV:
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Penso che sia veramente la cosa più vicina alla situazione naturale. Cioè, tutto il
resto si allontana di più, giusto? Almeno il seme e gli ovuli sono i miei [e della mia
partner]. È solo un piccolo aiuto a cui puoi ricorrere, meglio di tutto il resto. Se
avessimo adottato, sono sicuro che avremmo amato i bambini allo stesso modo, ma
l’ideale è avere figli propri, no?
Una madre ricorsa a FIV formula così la questione:
Abbiamo sempre detto che, se volevamo dei figli, era proprio per creare qualcosa
che ci unisse. Quindi, non volevamo pensare veramente alla donazione dell’ovulo
o del seme, oppure a un’adozione, se non dopo aver fatto un tentativo con la FIV,
utilizzando il mio ovulo e il seme del mio compagno. E siamo stati molto, molto
fortunati che abbia funzionato.
I possibili rischi connessi all’uso di metodi riproduttivi biotecnologici
come la FIV e l’ICSI hanno suscitato molti timori. Essi si sono concentrati in parte sulla salute e lo sviluppo fisico dei figli – dal momento che
gli ovuli e il seme vengono comunque sottoposti a un trattamento, e
la prima parte dello sviluppo embrionale avviene in un terreno di coltura, al di fuori del corpo materno (per una rassegna sull’argomento
si veda Fauser, Devroey, Diedrich et al., 2014) – e in parte sulle possibili ripercussioni negative di queste tecniche sulla genitorialità e lo
sviluppo psicologico dei bambini. Dato che la sterilità e il suo trattamento sono fonte di stress, per un periodo che spesso può durare anche
molti anni, si pensava che in seguito, con l’eventuale nascita di un figlio
tanto atteso, potessero comparire delle difficoltà nell’adempimento dei
compiti genitoriali. Più in particolare, secondo alcuni autori, i genitori con problemi di concepimento potevano investire emotivamente
troppo nei figli che avevano tanto desiderato (Burns, 1990; Covington
e Burns, 2006), e coloro che, dopo un periodo di sterilità, riuscivano
ad averne rischiavano di diventare iperprotettivi o coltivare aspettative
irrealistiche nei confronti della prole o di se stessi in quanto genitori
(Colpin, Demyttenaere e Vandemeulebroecke, 1995; Hahn e DiPietro,
2001; McMahon, Ungerer, Beaurepaire et al., 1995; Mushin, Spensley
e Barreda-Hanson, 1985; van Balen, 1998). Qualche esperto sosteneva
altresì che lo stress connesso alla sterilità e al suo trattamento poteva
dare origine a disturbi psicologici e problemi coniugali nei genitori che,
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a loro volta, avrebbero potuto portare a conseguenze psicologiche negative per i figli (McMahon, Ungerer, Beaurepaire et al., 1995).
Una preoccupazione che concerneva in particolare l’ICSI, riguardava
i rischi riproduttivi connessi all’uso di spermatozoi anomali, all’aggiramento del normale processo di selezione naturale degli spermatozoi, e
alla possibilità di causare danni fisici all’ovulo, con possibili modificazioni del materiale genetico (Pinborg, Henningsen e Malchau, 2013;
Ponjaert-Kristoffersen, Bonduelle, Barnes et al., 2005; te Velde, van Baar
e van Kooij, 1998) e ripercussioni sullo sviluppo psicologico della prole.
I PARTI MULTIPLI
Uno dei principali motivi per cui il concepimento con FIV o ICSI può
dare origine a un’esperienza familiare piuttosto diversa è l’alta incidenza
dei parti bigemini e trigemini dovuti a questi metodi – una conseguenza
dell’impianto di più embrioni all’interno di un ciclo di FIV o di ICSI.
Per avere un’idea delle proporzioni del fenomeno, si consideri che, tra le
nascite con FIV o ICSI avvenute negli anni Novanta, più di un quarto
in Europa (Nygren e Andersen, 2002) e oltre il 40% negli Stati Uniti
(Wright, Schieve, Reynolds et al., 2001) sono state gemellari, con due
o tre gemelli. Tali cifre si discostano nettamente dalla percentuale di
parti multipli registrata per le gravidanze da concepimento naturale
nello stesso periodo, la quale si aggira intorno all’1% (Bergh, Ericson,
Hillensjö et al., 1999). Il problema dei parti multipli ha avuto proporzioni
maggiori nelle regioni in via di sviluppo e di nuova industrializzazione,
come l’America Latina, dove la percentuale di parti multipli, per le gravidanze dovute al ricorso a metodi di procreazione assistita, nel 2000,
è stata del 50%, mentre oltre il 13,5% delle nascite derivanti da FIV
o ICSI è stato trigemino o quadrigemino (Zegers-Hochschild, 2002).
Il caso più estremo è stato registrato nel 2009 in California, quando
Nadya Suleman, una trentatreenne single soprannominata dai media
Octomom (Ottomamma), ha partorito otto gemelli vivi grazie alla FIV.
Per ovviare ai rischi fisici dei parti multipli – mortalità perinatale, parti
prematuri, basso peso alla nascita, problemi neonatali e disabilità –
alcuni Paesi hanno introdotto norme che limitano il numero di embrioni
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utilizzabili in un ciclo di FIV o ICSI. In questo modo, nel 2009, la percentuale di parti multipli dovuti a FIV o ICSI in Europa è scesa al 20%
(Ferraretti, Goossens, Kupka et al., 2013). Invece, negli Stati Uniti, resta
superiore al 30% (Society for Assisted Reproductive Technology, 2012;
Zegers-Hochschild, Mansour, Ishihara et al., 2013).
In caso di nascite multiple, i genitori non hanno solo il problema di
accudire due o più bambini contemporaneamente, ma anche quello
dei maggiori impegni derivanti dalle particolari necessità di figli prematuri o con basso peso alla nascita. Gli studi sui bigemini e trigemini
nati attraverso il concepimento naturale hanno dimostrato che i genitori devono affrontare numerosi elementi stressanti, che possono ripercuotersi negativamente sulle relazioni all’interno della famiglia (Bryan,
1992; Lytton e Gallagher, 2002). Occuparsi di due o tre figli della stessa
età richiede un’enorme quantità di tempo; pertanto, i genitori si ritrovano spesso, loro malgrado, a trascurare se stessi, esausti, depressi e
alle prese con le difficoltà economiche. È per questo che mediamente
i gemelli hanno meno interazioni individuali con i genitori, rispetto ai
figli singoli1. Quando crescono, i figli nati da parti multipli presentano
spesso ritardi nello sviluppo linguistico e ottengono punteggi più bassi
alle prove di valutazione delle abilità cognitive e ai test di lettura (Hay,
Prior, Collett et al., 1987; Lytton e Gallagher, 2002; Rutter e Redshaw,
1991). Uno studio su un campione tratto dalla popolazione generale ha
accertato che lo sviluppo linguistico nei gemelli di 3 anni avveniva con
3 mesi di ritardo rispetto a quello dei figli singoli – e ciò anche avendo
escluso dal calcolo i gemelli più prematuri o affetti da danno neurologico, e avendo corretto gli effetti dovuti all’età gestazionale dei gemelli
al momento della nascita (Rutter, Thorpe, Greenwood et al., 2003). Dal
momento che il ritardo linguistico si manifestava in bambini senza disabilità e che lo studio teneva conto della maggior brevità del periodo di
gestazione nei gemelli, la conclusione fu che non ci si trovava di fronte
alle conseguenze di un danno cerebrale o dell’immaturità biologica dei
bambini, bensì al riflesso di una reale differenza tra gemelli e figli singoli.
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Per figli singoli s’intende non nati da parto gemellare. [N.d.C.]
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Il ritardo osservato nello sviluppo linguistico dei gemelli risultò associato
alla minore qualità e quantità delle interazioni tra madre e figlio, e non
a fattori biologici (Rutter, Thorpe, Greenwood et al., 2003).
Per quanto questi studi sulle famiglie con gemelli nati da un concepimento naturale forniscano informazioni utili, le famiglie con due o tre
gemelli concepiti tramite FIV o ICSI possono presentare particolarità
rilevanti per l’adempimento del ruolo genitoriale e lo sviluppo dei figli.
Per i genitori può essere particolarmente stressante provvedere a due
o tre gemelli, dopo avere avuto un’esperienza di sterilità con il relativo
trattamento. D’altro canto, queste persone possono essere meglio disposte
ad accettare una nascita multipla: chi ricorre alla procreazione assistita,
infatti, avrà quasi certamente considerato questa eventualità, prima di
prendere la decisione di procedere. E in effetti, a buona parte di coloro
che percorrono questa via, l’idea di una nascita multipla appare preferibile rispetto a quella di non avere figli, e la prospettiva dei gemelli viene
considerata positivamente, come un modo per completare la famiglia
senza la necessità di un ulteriore trattamento medico stressante, rischioso
e costoso (Gleicher, Campbell, Chan et al., 1995; Goldfarb, Kinzer,
Boyle et al., 1996; Murdoch, 1997). «Diciamo sempre che è stato un
“paghi uno, prendi due”, perché di fatto è andata proprio così! Uno
lo paghiamo e uno lo riceviamo gratis!» ha commentato una madre.
Gli studi sulle famiglie in cui, in seguito a trattamenti di procreazione
assistita, sono nati due gemelli (Colpin, De Munter, Nys et al., 1999;
Cook, Bradley e Golombok, 1998; Glazebrook, Sheard, Cox et al., 2004;
Olivennes, Golombok, Ramogida et al., 2005) o tre gemelli (Garel,
Salobir e Blondel, 1997; Golombok, Olivennes, Ramogida et al., 2007)
hanno registrato livelli di ansia e depressione più elevati in questi genitori rispetto a quelli con figli singoli, malgrado essi abbiano in genere
dimostrato una maggiore apertura alle nascite multiple. Altre ricerche,
poi, si sono focalizzate in particolare sullo sviluppo dei bambini nati
da un parto gemellare conseguente a un intervento di procreazione
assistita. Per esempio, in una ricerca che ha confrontato gemelli e figli
singoli di 2 anni, tutti nati grazie alla FIV/ICSI (Bonduelle, Ponjaert,
Van Steirteghem et al., 2003), i primi hanno ottenuto punteggi inferiori alla somministrazione delle Bayley Scales of Infant Development.
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Analogamente, in un confronto tra gemelli e figli singoli tra i 2 e i 5 anni,
anch’essi concepiti tutti tramite FIV/ICSI, i primi hanno dimostrato
livelli di funzionamento cognitivo inferiori alla somministrazione della
versione per genitori del Denver Developmental Screening Test, specialmente in relazione allo sviluppo linguistico e alle abilità di motricità
fine (Olivennes, Golombok, Ramogida et al., 2005). Non sono, invece,
emerse differenze per quanto riguarda i problemi emotivi e comportamentali. Inoltre, in generale, i nati da parto trigemino hanno dato segni
di menomazione cognitiva, rispetto ai nati da parto bigemino o singolo
(Feldman, Eidelman e Rotenberg, 2004; Feldman e Eidelman, 2005;
Garel, Salobir, Lelong et al., 2001; Golombok, Olivennes, Ramogida
et al., 2007). I dati relativi all’adattamento psicologico dei nati da parto
trigemino non consentono invece di trarre conclusioni: uno studio su
un gruppo di bambini di 2 anni ha riscontrato un livello più elevato di
problemi emotivi (Feldman e Eidelman, 2005), mentre un altro studio,
focalizzatosi su bambini di età compresa tra i 2 e i 5 anni, non è pervenuto
alle stesse conclusioni (Golombok, Olivennes, Ramogida et al., 2007).
Sul confronto tra gemelli nati con FIV/ICSI e gemelli concepiti in modo
naturale esistono poche ricerche. Da un lavoro sullo sviluppo cognitivo
e motorio, in un campione ampio e rappresentativo dei bambini di
3-4 anni, non sono emerse differenze di sviluppo linguistico e motorio
(Pinborg, Loft, Schmidt et al., 2004). Anche Tully, Moffitt e Caspi (2003),
che si sono concentrati sui problemi comportamentali nei bambini di 5
anni, non hanno riscontrato differenze fra i due gruppi.
Il fatto che nelle coppie e nelle triplette di gemelli nate in seguito a trattamento FIV/ICSI si riscontri un ritardo di sviluppo cognitivo rispetto
ai figli singoli concepiti allo stesso modo indica che il maggior desiderio
di gemelli nelle coppie che ricorrono alla procreazione assistita non è
sufficiente a compensare la situazione di svantaggio in cui si trovano i
gemelli in quanto tali. La stessa considerazione vale anche per i problemi
emotivi – più frequenti nei genitori di coppie e triplette di gemelli FIV/
ICSI, come accennato sopra. Quindi, l’impatto delle nascite multiple
sull’adempimento dei compiti genitoriali e sullo sviluppo dei figli deve
essere considerato a parte rispetto all’impatto della FIV/ICSI di per
sé. Per evitare possibili dubbi interpretativi dovuti alla variabile delle
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nascite multiple, vediamo allora a quali risultati pervengano le ricerche
che si sono focalizzate in particolare sulle famiglie con figli singoli nati
con FIV o ICSI.
LA GENITORIALITÀ NELLE FAMIGLIE
RICORSE A FIV
Le donne e gli uomini che diventano genitori attraverso la FIV si comportano diversamente con i figli rispetto alle madri e ai padri di bambini concepiti in modo naturale? La questione è stata affrontata da vari
ricercatori, prendendo in esame bambini di età diverse. Le ricerche che
riguardano specificamente la primissima infanzia sono state condotte
in Grecia e in Australia. Nello studio greco è stato usato un campione
abbastanza ridotto, ma i risultati sono interessanti in quanto derivano
da una dettagliata valutazione microanalitica dell’interazione tra madre
e figlio eseguita in quattro momenti diversi, quando il bambino aveva
un’età compresa tra le 4 e le 21 settimane (Papaligoura e Trevarthen,
2001). Quanto ai risultati, sono emerse poche differenze tra le famiglie
ricorse a FIV e quelle createsi con concepimento naturale. Tuttavia, a 21
settimane, le madri dei figli nati con procreazione assistita dimostravano
una maggiore attenzione alle condizioni fisiche dei loro piccoli e dedicavano più tempo a cercare di calmarli quando loro erano angosciati.
Venendo invece allo studio australiano, i ricercatori hanno reclutato durante
il momento della gravidanza 70 famiglie ricorse a FIV e 63 famiglie createsi con concepimento naturale, tutte con un solo figlio; dopodiché, le
hanno contattate due volte per una valutazione, la prima volta quando
i figli avevano quattro mesi e la seconda quando i figli avevano 1 anno
(McMahon e Gibson, 2002). Nel corso delle due valutazioni, madri e
padri hanno compilato dei questionari sul senso di competenza genitoriale
e sulla soddisfazione in quanto genitori. A quattro mesi, è stata utilizzata
anche una misura osservativa dell’interazione madre-figlio per valutare
la sensibilità materna. Si è scoperto che alla prima valutazione, le madri
ricorse a FIV si sentivano meno capaci di tranquillizzare i propri figli
e di comprenderne i segnali, rispetto alle madri che avevano concepito
naturalmente (McMahon, Ungerer, Tennant et al., 1997); mentre, alla
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seconda valutazione, tendevano a considerare i propri figli più vulnerabili e “speciali”, rispetto alle madri che avevano concepito naturalmente
(Gibson, Ungerer, Tennant et al., 2000). Tuttavia, non sono emerse differenze in termini di sensibilità materna verso i figli, né a quattro mesi
né a 1 anno (Gibson, Ungerer, McMahon et al., 2000). Quanto ai padri,
tra i due gruppi non sono state rilevate differenze nel senso di competenza genitoriale, né alla valutazione a quattro mesi (McMahon, Ungerer,
Tennant et al., 1997) né a 1 anno (Gibson, Ungerer, Tennant et al., 2000).
Un altro studio importante è stato condotto in Belgio, dove sono state
confrontate 31 famiglie ricorse a FIV e 31 famiglie che avevano concepito naturalmente, tutte con un figlio di 2 anni (Colpin, Demyttenaere,
Vandemeulebroecke et al., 1995). L’interazione tra madre e figlio è stata
valutata con metodi osservativi; mediante questionari sono stati misurati
gli atteggiamenti e i sentimenti delle madri e dei padri nei confronti dei
figli. Ebbene, tra i due tipi di famiglia non sono state riscontrate differenze, né per quanto riguarda il comportamento dei figli verso le madri
e viceversa nel compito di interazione, né per quanto riguarda i pensieri
e le emozioni provate dalle madri e dai padri nei confronti dei figli. In
uno studio di follow-up, condotto quando i figli avevano 8-9 anni, dai
resoconti delle madri e dei padri sul comportamento di cura dei figli
e sullo stress connesso al ruolo di genitore non sono emerse differenze
tra i due gruppi (Colpin e Soenen, 2002).
L’European Study of Assisted Reproduction Families, condotto nel Regno
Unito, in Olanda, in Spagna e in Italia, si è occupato di studiare famiglie
ricorse FIV con figli tra i 4 e gli 8 anni (Golombok, Brewaeys, Cook et al.,
1996; Golombok, Cook, Bish et al., 1995). I ricercatori hanno reclutato
116 famiglie con figli concepiti tramite FIV e due gruppi di confronto,
di cui uno costituito da 115 famiglie con figli adottati nella primissima
infanzia e l’altro costituito da 120 famiglie con figli concepiti in modo
naturale. Inoltre, hanno formato anche un gruppo di 111 famiglie con
figli concepiti attraverso la fecondazione eterologa (si veda il Capitolo 4).
Madri e padri hanno risposto separatamente alle domande di un’intervista in profondità semistrutturata, finalizzata a valutare la qualità delle
cure genitoriali, e a quelle del Parenting Stress Index, un questionario
per misurare lo stress associato al ruolo genitoriale. Le informazioni
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emerse dall’intervista sono state codificate utilizzando uno schema standardizzato. Rispetto alle madri che avevano concepito naturalmente, le
madri ricorse a FIV sono risultate più affettuose e più coinvolte emotivamente con i figli; inoltre, è emerso che interagivano maggiormente con
la prole e riferivano meno stress per il ruolo di genitore. I padri ricorsi
a FIV, stando alle informazioni fornite dalle loro partner, interagivano
con i figli più dei padri che avevano concepito naturalmente, e loro stessi
hanno riferito meno stress genitoriale. I genitori adottivi, in relazione a
queste misure, si sono collocati tra i genitori ricorsi a FIV e quelli che
avevano concepito naturalmente. Nel primo studio condotto in una
cultura non occidentale – a Taiwan – Hahn e DiPietro (2001) hanno
esaminato un campione di famiglie ricorse a FIV con figli in età tra la
scuola dell’infanzia e i primi anni di scuola primaria. Nel complesso, la
qualità delle cure genitoriali è risultata buona, anche se le madri ricorse
a FIV hanno evidenziato un atteggiamento più protettivo nei confronti
dei figli. Secondo quanto riportato dagli insegnanti, che hanno giudicato i bambini senza sapere in che modo fossero stati concepiti, le
madri ricorse a FIV erano più affettuose, anche se non più protettive o
più invadenti rispetto ai genitori che avevano concepito naturalmente.
Per esaminare il funzionamento delle famiglie FIV all’inizio dell’adolescenza, i genitori e i bambini che avevano preso parte all’European Study
of Assisted Reproduction Families sono stati esaminati un’altra volta,
quando i ragazzi hanno compiuto 12 anni, utilizzando un’intervista e un
questionario standardizzati per la valutazione dei rapporti genitore-figlio.
In questa fase, è emerso che le madri e i padri FIV avevano in genere con
i figli un rapporto positivo, in cui l’affetto si combinava con una forma
di controllo adeguata alla loro età (Golombok, Brewaeys, Giavazzi et al.,
2002; Golombok, MacCallum e Goodman, 2001). Le poche differenze
rilevate hanno evidenziato un funzionamento più positivo nelle famiglie
FIV rispetto a quelle con figli adottati o concepiti in modo naturale, fatta
eccezione per l’ipercoinvolgimento di una piccola percentuale di genitori.
Le famiglie britanniche dell’European Study of Assisted Reproduction
Families sono state contattate nuovamente quando i figli avevano 18
anni (Owen e Golombok, 2009). Le madri e i padri FIV non hanno
presentato differenze rispetto alle madri e padri degli altri gruppi, in
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nessuna delle variabili connesse all’affetto o al conflitto, fatta eccezione
per l’indulgenza disciplinare, più presente nelle madri FIV. Inoltre, i
diciottenni stessi hanno risposto alle domande di un’intervista standardizzata e di alcuni questionari per valutare la qualità del rapporto con i
genitori (Golombok, Owen, Blake et al., 2009), ed è emerso che avevano
un buon rapporto con loro. Risultati analoghi sono stati registrati al follow-up dello studio belga sopra citato, quando i figli avevano compiuto
15-16 anni (Colpin e Bossaert, 2008). Gli adolescenti e i due genitori,
ciascuno separatamente, hanno compilato un questionario standardizzato per la valutazione di alcuni costrutti connessi allo stile genitoriale,
ovvero la responsività, il controllo comportamentale, il controllo psicologico e il sostegno all’autonomia. Le valutazioni di madri, padri e figli
non hanno evidenziato differenze tra lo stile genitoriale delle famiglie
FIV e quello delle famiglie da concepimento naturale.
Si può allora dire che le donne e gli uomini che si sono serviti della
FIV fatichino a prendersi cura dei figli a lungo attesi? Sembra che nei
primi mesi di vita dei figli le madri siano meno sicure rispetto a quelle
che non hanno avuto bisogno della procreazione assistita. Ma la differenza sembra effimera. Quando i figli si trovano tra la scuola dell’infanzia e i primi anni di scuola primaria, le madri e i padri FIV risultano adempiere ai compiti genitoriali in modo più positivo rispetto ai
genitori da concepimento naturale, sebbene in una minoranza di madri
possa esserci una tendenza all’eccesso di coinvolgimento e di protettività.
Quando i figli entrano nell’adolescenza, le madri e i padri FIV appaiono molto simili a quelli che hanno concepito i figli in modo naturale, sia
nell’approccio al ruolo di genitore sia nella qualità del rapporto con i
figli. In generale, i genitori aiutati dalla FIV sembrano molto impegnati
e coinvolti – un risultato che forse non dovrebbe sorprendere, dati gli
ostacoli che hanno dovuto superare per avere un figlio.
I BAMBINI NELLE FAMIGLIE RICORSE A FIV
Che cosa sappiamo invece dei figli? Nella loro vita incontrano difficoltà
psicologiche in qualche modo connesse al metodo con cui sono stati
concepiti? Nello studio australiano citato nel paragrafo precedente è
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emerso che i bambini concepiti con FIV avevano maggiori difficoltà
di comportamento rispetto a quelli concepiti in modo naturale. Infatti,
confrontando le valutazioni delle madri ricorse a FIV e quelle che avevano concepito naturalmente, è risultato che a 4 mesi i figli delle prime
avevano un temperamento più difficile (McMahon, Ungerer, Tennant
et al., 1997); all’età di 1 anno, a questo si sono aggiunti anche maggiori
problemi comportamentali (Gibson, Ungerer, Leslie et al., 1998). In
occasione di questa seconda valutazione, però, non sono emerse differenze nelle percentuali di bambini che, in base alla Strange Situation,
risultavano avere un attaccamento sicuro (Gibson, Ungerer, McMahon
et al., 2000). In uno studio svedese, 121 bambini concepiti con FIV sono
stati confrontati nella primissima infanzia con un gruppo appaiato di
110 bambini concepiti in modo naturale, somministrando a tutti i partecipanti il Toddler Behavior Questionnaire quando i bambini avevano
1 anno; è stato così accertato che i primi risultavano più gestibili, attenti
e abitudinari, ma anche più sensibili agli stimoli forti (Sydsjö, Wadsby,
Kjellberg et al., 2002).
L’adattamento psicologico di un gruppo di bambini tra i 4 e gli 8 anni
concepiti con FIV è stato esaminato nell’European Study of Assisted
Reproduction Families, somministrando alle loro madri e ai loro insegnanti lo Strengths and Difficulties Questionnaire, uno strumento utilizzato spesso per la misurazione dei problemi comportamentali ed emotivi
(Goodman, 1994; 1997; 2001). Inoltre, ai bambini sono stati somministrati alcuni test per la valutazione dell’autostima e dei sentimenti
verso i genitori. Nel complesso, non sono emerse differenze rispetto ai
bambini concepiti in modo naturale (Golombok, Brewaeys, Cook et al.,
1996; Golombok, Cook, Bish et al., 1995). Soltanto nel Regno Unito la
sicurezza dell’attaccamento dei bambini ai loro genitori è stata valutata
mediante il Separation Anxiety Test e uno psichiatra infantile ha valutato
in cieco le trascrizioni delle interviste sul funzionamento psicologico dei
figli. È risultato in questo modo che tra i figli delle due categorie non
c’erano differenze per quanto riguarda la sicurezza dell’attaccamento e
l’incidenza di disturbi psicologici (Golombok, Cook, Bish et al., 1995).
Lo studio belga già ricordato si è occupato dei bambini di 8-9 anni (Colpin
e Soenen, 2002). Quando i figli avevano quell’età, le loro madri, i padri e
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CAPITOLO 3 | Famiglie con figli nati con fecondazione in vitro
gli insegnanti hanno compilato la Child Behavior Checklist (Achenbach
e Rescorla, 2000). Non sono emerse differenze di adattamento tra i figli
concepiti con la FIV e quelli concepiti in modo naturale, né secondo le
valutazioni degli insegnanti né secondo quelle dei genitori.
Soltanto uno studio condotto in Israele ha registrato un maggior livello
di problemi emotivi nei bambini concepiti con FIV, quando frequentavano la scuola secondaria di primo grado (Levy-Shiff, Vakil, Dimitrovsky
et al., 1998). Rispetto ai figli concepiti naturalmente, secondo gli insegnanti, essi hanno avuto un adattamento scolastico peggiore; inoltre,
nella descrizione di sé sono risultati più aggressivi, ansiosi e depressi.
Non conosciamo le ragioni della discordanza tra i risultati di questo e
degli altri studi, ma possiamo supporre che vada ricondotta al fatto che,
solo nel campione israeliano, i genitori ricorsi a FIV erano più anziani
di quelli che avevano concepito naturalmente.
Nell’European Study of Assisted Reproduction Families, i genitori e gli
insegnanti hanno compilato nuovamente lo Strengths and Difficulties
Questionnaire quando i figli avevano 12 anni (Golombok, Brewaeys,
Giavazzi et al., 2002; Golombok, MacCallum e Goodman, 2001). Non
sono emerse differenze tra i tipi di famiglia considerati nello studio, né
dalle valutazioni delle madri né da quelle degli insegnanti. All’età di 18
anni, i ragazzi concepiti con FIV, adottati da piccoli o nati attraverso
concepimento naturale hanno compilato alcuni questionari self-report
per la valutazione dell’ansia, della depressione, dell’ostilità e della sensibilità interpersonale, e non sono emerse differenze tra loro (Golombok,
Owen, Blake et al., 2009). Questo studio ha fornito ai ricercatori la prima
opportunità per chiedere a dei giovani che cosa provassero riguardo
alla natura insolita del metodo con cui erano stati concepiti. Sebbene
una piccola minoranza abbia riferito di avere reagito negativamente al
momento della scoperta, all’età di 18 anni nessuno sembrava soffrirne.
Wagenaar e colleghi (Wagenaar, van Weissenbruch, Knol et al., 2009a)
hanno confrontato il comportamento e il funzionamento socioemotivo
di 139 adolescenti concepiti con FIV e 143 concepiti naturalmente da
genitori che in passato avevano avuto problemi di sterilità. L’età media
era di 13,5 anni. A questo scopo, i loro genitori hanno compilato la Child
Behavior Checklist (Achenbach e Rescorla, 2000), mentre gli insegnanti
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Famiglie con figli nati con fecondazione in vitro | CAPITOLO 3
hanno compilato il Teacher Report Form annesso alla check-list. Stando
alle valutazioni di genitori e insegnanti, il funzionamento dei ragazzi
rientrava nell’ambito della norma. Nei casi in cui emergevano delle differenze, esse evidenziavano un livello di adattamento più elevato tra i
ragazzi concepiti con FIV, specialmente per quanto concerne i problemi
comportamentali. Una tendenza nella stessa direzione, anche se non
significativa, è emersa anche dalle valutazioni dei problemi comportamentali effettuate dagli insegnanti. Dalle autovalutazioni degli adolescenti sul funzionamento comportamentale e socioemotivo, mediante
lo Youth Self-Report, non sono emerse differenze in funzione del tipo
di famiglia (Wagenaar, van Weissenbruch et al., 2011).
Sempre a proposito di ragazzi adolescenti, nell’ambito di una ricerca
longitudinale belga, Colpin e Bossaert (2008) hanno somministrato lo
Youth Self-Report a un gruppo di ragazzi di 15-16 anni e hanno chiesto
ai loro genitori di compilare la Child Behavior Checklist (Achenbach
e Rescorla, 2000). Dall’analisi dei dati non sono emerse differenze di
adattamento tra gli adolescenti concepiti con FIV e quelli concepiti in
modo naturale, né secondo le valutazioni dei genitori né secondo quelle
dei ragazzi. Allo stesso modo, altri due studi che hanno utilizzato la
Child Behavior Checklist (Achenbach e Rescorla, 2000) non hanno rilevato maggiori problemi psicologici nei figli concepiti con FIV rispetto
ai punteggi normativi della popolazione generale (Cederblad, Friberg,
Ploman et al., 1996; Montgomery, Aiello e Adelman, 1999).
Wagenaar e colleghi hanno studiato anche lo sviluppo cognitivo. Dal
confronto tra il funzionamento scolastico di 233 bambini tra gli 8 e i 18
anni concepiti con FIV e di un gruppo appaiato di 233 bambini concepiti naturalmente da persone che in passato avevano avuto problemi
di sterilità, non sono emerse differenze nel livello di istruzione, nell’abilità cognitiva generale e nelle prestazioni scolastiche, comprendendo
in questa categoria anche la necessità di sostegno, educazione speciale
e ripetizione di anni scolastici (Wagenaar, Celeen, van Weissenbruch et
al., 2008). Ai ragazzi che avevano raggiunto la pubertà – 139 nel gruppo
concepito con FIV e 143 nel gruppo di confronto – sono state somministrate alcune prove per valutare l’elaborazione di informazioni, l’attenzione e il funzionamento visuomotorio. Anche in questo caso, i due
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gruppi non hanno mostrato differenze, fatta eccezione per una minore
velocità motoria nei ragazzi concepiti con FIV, che rientrava comunque
nella norma (Wagenaar, van Weissenbruch, Knol et al., 2009b).
Volendo sintetizzare i risultati degli studi ricordati in questo paragrafo,
potremmo dire che, a dispetto delle paure che hanno accompagnato la
comparsa della FIV, i bambini concepiti con questo metodo risultano
avere scarsi problemi emotivi e comportamentali, e nessun segno di difficoltà cognitive. Anche se qualche lavoro ha evidenziato la presenza di
problemi temperamentali nella primissima infanzia, tale riscontro potrebbe
essere il riflesso di impressioni soggettive di alcune madri ansiose più
che di oggettive difficoltà nei loro figli. Per quanto riguarda il legame di
attaccamento, la probabilità che i bambini sviluppino un attaccamento
sicuro con la madre è la stessa per i bambini concepiti con FIV e per
quelli concepiti naturalmente. Infine, tra gli studi che hanno utilizzato
lo Strengths and Difficulties Questionnaire (Goodman, 1994; 1997;
2001) o la Child Behavior Checklist (Achenbach e Rescorla, 2000) – le
due misure dell’adattamento infantile più attendibili e valide – nessuno
ha riscontrato problemi psicologici maggiori nei figli concepiti con FIV.
Poiché in alcune ricerche tali questionari sono stati somministrati anche
agli insegnanti allo scopo di ottenere ulteriori valutazioni indipendenti,
i risultati da essi raggiunti sono particolarmente affidabili, o perlomeno
più di quanto lo sarebbero se i questionari fossero stati compilati solo
dai genitori. Sembra, quindi, che la tendenza all’iperprotettività osservata nelle madri ricorse a FIV non provochi problemi psicologici nei
figli, così come la migliore qualità delle cure fornite dai genitori FIV
non sembra migliorarne l’adattamento.
LA GENITORIALITÀ NELLE FAMIGLIE
RICORSE A ICSI
Anche se le preoccupazioni riguardo alle famiglie ricorse a ICSI si sono
concentrate esclusivamente sulle eventuali conseguenze per i figli, gli
stessi timori espressi in relazione ai genitori ricorsi a FIV – per esempio, quello dell’iperprotettività – valgono anche per i genitori ricorsi a
ICSI. Pertanto, i ricercatori hanno esaminato le cure genitoriali nelle
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famiglie ricorse a ICSI. A questo scopo, in Belgio, Danimarca, Grecia,
Svezia e nel Regno Unito è stato condotto uno studio multicentrico su
larga scala che ha coinvolto 540 famiglie ricorse a ICSI, 439 famiglie
ricorse a FIV e 542 famiglie che avevano concepito naturalmente, con
figli di 5 anni. Le madri e i padri hanno compilato sia la sottoscala
Parent-Child Dysfunctional Interaction del Parenting Stress Index sia
il Parental Acceptance-Rejection Questionnaire. Analizzando i dati,
sono emerse poche differenze nelle cure genitoriali in funzione dei tipi
di famiglia, anche se le madri ricorse a ICSI hanno riferito livelli più
bassi di sentimenti ostili o aggressivi verso i figli e livelli più elevati di
impegno nelle cure, rispetto alle madri dei bambini concepiti in modo
naturale (Barnes, Sutcliffe, Kristoffersen et al., 2004).
Nello stesso studio, ai bambini è stato somministrato il Bene-Anthony
Family Relations Test allo scopo di ottenere una valutazione delle relazioni tra genitori e figli dal punto di vista di questi ultimi. La prova
consisteva in un compito ludico che richiedeva di attribuire sentimenti
e comportamenti al proprio padre e alla propria madre sulla base di
affermazioni positive o negative. In base a queste valutazioni non sono
state identificate differenze connesse al tipo di famiglia in cui vivevano
i bambini, né nei sentimenti positivi o negativi nei riguardi della madre
e del padre né nel coinvolgimento con i due genitori. Risultati analoghi sono emersi da uno studio olandese su 87 famiglie ricorse a ICSI,
92 famiglie ricorse a FIV e 85 famiglie che avevano concepito naturalmente con bambini di età compresa tra i 5 e gli 8 anni (Knoester,
Helmerhorst, van der Westerlaken et al., 2007). Anche in questo studio
non sono state trovate differenze tra i tipi di famiglia, utilizzando la versione olandese del Parenting Stress Index, fatta eccezione per i punteggi
più alti in relazione all’iperattività dei figli nei genitori ricorsi a ICSI e a
FIV. In uno studio belga su un gruppo di bambini di 8 anni (Leunens,
Celestin-Westreich, Bonduelle et al., 2006) non sono state riscontrate
differenze nello stress associato al ruolo genitoriale, riferito dalle madri
e dai padri nella versione olandese del Parenting Stress Index. Sembra,
quindi, che i genitori dei figli concepiti con ICSI siano simili a quelli dei
figli concepiti con FIV, essendo entrambi i gruppi fortemente impegnati
nel ruolo di genitori e avendo relazioni positive con la prole.
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CAPITOLO 3 | Famiglie con figli nati con fecondazione in vitro
I BAMBINI NELLE FAMIGLIE RICORSE A ICSI
Mentre le prime ansie risvegliate dalle famiglie ricorse a FIV erano perlopiù frutto di congetture e derivavano della paura dell’ignoto, l’ICSI ha
messo in moto preoccupazioni più concrete, connesse alla manipolazione
diretta degli ovuli e degli spermatozoi nel processo di fecondazione. Di
conseguenza, una serie di studi ha esaminato lo sviluppo psicologico dei
bambini concepiti con questo metodo. Lo studio delle famiglie ricorse
a ICSI si è avvalso in genere di campioni più numerosi rispetto allo studio delle famiglie ricorse a FIV e, pertanto, ha potuto contare su una
maggiore potenza statistica nella rilevazione di eventuali effetti negativi.
A proposito dell’adattamento psicologico, Barnes, Sutcliffe, Kristoffersen
et al. (2004) non hanno riscontrato differenze tra i figli concepiti con ICSI
e quelli concepiti con FIV o in modo naturale, in termini di problemi
comportamentali o emotivi, secondo le valutazioni espresse da madri
e padri mediante la Child Behavior Checklist (Achenbach e Rescorla,
2000). La medesima checklist è stata somministrata a un gruppo di madri
anche da Knoester, Helmerhorst, van der Westerlaken et al. (2007), i
quali, pur non avendo rilevato differenze tra i bambini maschi concepiti
con ICSI, FIV o in modo naturale, ne hanno trovate invece tra le bambine concepite con ICSI e quelle concepite con FIV. Questo risultato,
tuttavia, non dimostra la presenza di maggiori difficoltà di adattamento
nelle bambine concepite con ICSI, ma è dovuto ai punteggi particolarmente bassi ottenuti dalle bambine concepite con FIV.
In merito alle preoccupazioni a cui abbiamo accennato, è stata dedicata una certa attenzione allo sviluppo cognitivo dei bambini concepiti
con ICSI. Per esempio, in una ricerca belga, è stata somministrata la
Bayley Scales of Infant Development a 201 bambini di 2 anni concepiti
con ICSI e non sono emerse prove di ritardo nello sviluppo, rispetto ai
punteggi normativi ottenuti dai bambini di quest’età (Bonduelle, Joris,
Hofmans et al., 1998). Un lavoro dello stesso team di ricerca, che ha
confrontato 439 bambini di 2 anni concepiti con ICSI e 207 coetanei
concepiti con FIV, non ha riscontrato differenze di punteggio nella Bayley
Scale (Bonduelle, 2003). Risultati analoghi sono stati riferiti anche nel
Regno Unito, in seguito alla somministrazione delle Griffiths Mental
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Famiglie con figli nati con fecondazione in vitro | CAPITOLO 3
Development Scales a un campione rappresentativo di 208 bambini di
1-2 anni concepiti con ICSI e un gruppo di confronto di 221 coetanei
concepiti in modo naturale (Sutcliffe, Taylor, Saunders et al., 2001). Per
contro, in Australia, 89 bambini di 1 anno concepiti con ICSI hanno
ottenuto punteggi significativamente più bassi alla Bayley Scale, specialmente i maschi, rispetto a 84 coetanei concepiti con FIV e 80 concepiti
in modo naturale (Bowen, Gibson, Leslie et al., 1998). Il 17% dei bambini concepiti con ICSI presentava un ritardo dello sviluppo di grado
lieve o significativo, contro il 2% di quelli concepiti con FIV e l’1% di
quelli concepiti in modo naturale.
Per dirimere la controversa questione se i figli concepiti con ICSI presentino o meno un ritardo dello sviluppo, i bambini coinvolti in quest’ultimo studio sono stati valutati nuovamente all’età di 5 anni e le dimensioni del campione sono state portate a 97 bambini concepiti con ICSI,
80 con FIV e 110 in modo naturale (Leslie, Gibson, McMahon et al.,
2003). Tra i bambini concepiti con ICSI e i due gruppi di confronto
non sono state rilevate differenze per quanto riguarda i QI e la percentuale di ritardi dello sviluppo. I risultati di questo lavoro sono coerenti
con quelli di un altro studio, condotto in Belgio, Danimarca, Grecia,
Svezia e Regno Unito su tre gruppi di bambini di 5 anni (PonjaertKristoffersen, Bonduelle, Barnes et al., 2005). I ricercatori hanno confrontato i punteggi alla Revised Wechsler Preschool and Primary Scale
of Intelligence/WPPSI-R e alla Scala Motoria delle McCarthy Scales
of Children’s Abilities ottenuti da 511 bambini concepiti con ICSI, 424
bambini concepiti con FIV e 488 bambini concepiti in modo naturale.
Dall’analisi dei risultati non sono emerse differenze fra i tre gruppi. In
un lavoro parallelo, che comprendeva oltre ai bambini belgi e svedesi
dello studio precedente, un campione di bambini statunitensi (PonjaertKristoffersen, Tjus, Nekkebroek et al., 2004), non sono state evidenziate
differenze di QI alla WPPSI-R fra 300 bambini ICSI e 260 coetanei concepiti in modo naturale, sebbene i primi abbiano ottenuto un
punteggio inferiore in alcune delle sottoscale che misuravano le abilità
visuospaziali.
In un lavoro su un altro campione belga, lo sviluppo cognitivo di bambini
concepiti con ICSI e di quelli concepiti naturalmente è stato esaminato
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CAPITOLO 3 | Famiglie con figli nati con fecondazione in vitro
con la Wechsler Intelligence Scale for Children-Revised/WISC-R, una
prima volta a 8 anni (Leunens, Celestin-Westreich, Bonduelle et al.,
2006) e poi di nuovo a 10 anni (Leunens, Celestin-Westreich, Bonduelle
et al., 2008). Sebbene i figli concepiti con ICSI abbiano ottenuto punteggi più elevati all’età di 8 anni, all’età di 10 non sono state riscontrate
differenze. In Olanda, un gruppo di bambini ICSI tra i 5 e gli 8 anni ha
ottenuto punteggi di QI al Revised Amsterdam Child Intelligence Test
significativamente più bassi rispetto a un gruppo di confronto costituito da figli concepiti in modo naturale, ma non ha mostrato differenze
rispetto a un gruppo di bambini concepiti con FIV. L’inferiorità del QI
nei figli concepiti con ICSI probabilmente è una conseguenza dell’inferiorità dello status socioeconomico dei loro padri. In ogni caso, tali punteggi si collocavano sopra la media della popolazione generale (Knoester,
Helmerhorst, Vandenbroucke et al., 2008). Perciò, nonostante le prime
preoccupazioni, esistono poche prove del fatto che il concepimento tramite ICSI possa dare origine a un impoverimento cognitivo nei figli.
LE ESPERIENZE DEI GENITORI
L’esperienza di chi si sottopone a FIV o a ICSI può essere estremamente
difficile. Un padre l’ha descritta in questi termini:
Penso che sia dura per tutti quelli che l’attraversano, gli alti e i bassi, le piccole vittorie quando le iniezioni incominciano a funzionare. Sei lì che conti gli embrioni
e poi vedi l’immaginetta degli embrioni fatti di due o quattro cellule; e questi sono
gli alti. E poi i bassi quando non funziona. E sapere che devi aspettare per rifare
tutto da capo. È veramente dura.
Un altro padre ha affermato:
Ho sempre voluto una famiglia ed è stata dura – è stata una faticaccia arrivare
ad avere una famiglia. Abbandonerei tranquillamente ogni cosa per stare tutto il
tempo con loro.
Alcune madri hanno commentato così la mancanza di comprensione
con cui hanno dovuto fare i conti nonostante le difficoltà:
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Famiglie con figli nati con fecondazione in vitro | CAPITOLO 3
Non credo che mia suocera si renda conto di quante ne abbiamo dovute passare
per avere dei figli. Sembra tutto rose e fiori quando si dice: “Oh, sì, abbiamo fatto
la FIV”, ma fosse stato così facile!
Voglio che la gente sia più consapevole e si renda conto che è normale. Questa è
una delle cose che mi sono sembrate veramente difficili quando facevamo il trattamento. La gente aveva quest’impressione, che “Oh, non c’è problema, basta fare
la FIV e poi ti arriva un figlio”, e io sento di dover far sapere alla gente che no, non
è così facile. E qualche volta mi è sembrato che qualcuno potesse avere anche un
pregiudizio al riguardo, che “Oh, ma non è naturale” concepire in quel modo. E io
voglio soltanto dire: “Guarda, i miei figli sono perfettamente normali, sani e felici”.
In ogni caso, chi ce l’ha fatta in genere ritiene che ne sia valsa la pena:
Sono dei miracoli. Sono miracoli assoluti. È venuta fuori dal congelatore, ed era fresca.
Io le dico che è molto speciale, del resto, sa com’è, tutti i figli lo sono. Però la mia idea
personale è che i bambini concepiti con FIV lo siano un pochino, pochino di più.
In realtà sono veramente orgogliosa di aver fatto la FIV e che abbia funzionato
davvero. Penso che sia un miracolo assoluto, e se non era per la FIV, ora non sarei
mamma. Quindi, sono contenta di diffonderla, di promuoverla, di parlarne, perché penso che sia un’esperienza stressante ma magica. Comunque, ne vale sicuramente la pena.
CONCLUSIONI
In conclusione possiamo affermare che la FIV e le relative tecnologie
di procreazione assistita (come la ICSI), per quanto assai controverse al
momento della loro comparsa, sono ormai metodi ordinari per il trattamento della sterilità. Sembra che le famiglie create in questo modo
funzionino adeguatamente, mentre risultano infondati i timori per i possibili effetti negativi sulla genitorialità o sullo sviluppo dei figli. L’aspetto
più problematico degli interventi biotecnologici come la FIV e la ICSI è
l’alta percentuale di parti bigemini e trigemini che ne derivano. Ma non
si tratta di un effetto diretto, bensì di una conseguenza del numero di
embrioni utilizzati; infatti, nei Paesi che hanno introdotto delle norme
per limitare il numero di embrioni trasferiti nella FIV o nella ICSI si
registra una riduzione dei parti multipli.
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