Kineo 18 - Fabrizio Bonomo

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Kineo 18 - Fabrizio Bonomo
GIAMPIETRO LIVINI
INTERVENTI
Il secolo delle strade
G
li ultimi cent’anni
hanno determinato
per la nostra
viabilità un cambiamento
che possiamo definire epocale:
le strade dell’inizio del secolo
sono la preistoria, così come
ci fanno sorridere le prime
auto che a guardar bene
erano delle carrozze alle quali
avevano tolto il cavallo, ma
non avevano ancora deciso
dove mettere il motore.
Risolta la posizione, a noi è
rimasto solo il quesito dove
mettere il cornetto di corallo o
il gobbetto portafortuna: non ci credo ma non si sa mai.
La strada è stata luogo d’avventura e di conquiste ma anche di
comunicazione e di scambio; si è snodata per secoli con il lento
andare dell’uomo evolvendo dal tratturo alle vie consolari, fino
alle strade e alle autostrade moderne, divenendo uno dei più
evidenti segni fatti dall'uomo sul territorio.
Qui oggi dominano i sistemi di trasporto di massa su gomma,
efficaci e flessibili, che proprio nel Novecento fanno il loro salto
di qualità e si diffondono.
L’automobile è la conquista della libertà individuale e
l’autostrada è il prodotto dell’automobile. L’invenzione e lo
sviluppo di questo mezzo di trasporto tanto amato o
vituperato, ha cambiato radicalmente il nostro modo di vivere
dopo il secondo dopoguerra.
Oggi il sistema mobilità-auto è giunto a un punto critico con il
limite di congestione e per i problemi ecologici che crea, ma
anche al tempo dei nostri nonni con tutti quei cavalli in
circolazione, forse gli spazzini avevano qualche problema in
più. Ma questa è un’altra storia.
CENTO ANNI FA
All’inizio del secolo scorso si viveva il trionfo della ferrovia
come trasporto rapido di massa e simbolo del progresso e della
tecnica, mentre la strada era in secondo piano (tanto che in
Italia vigeva una legge, come la Lamarmora, che vietava la
costruzione di nuove strade tra due punti di territorio già
collegati da una linea ferroviaria, ndr).
Anche l’argomento della “mano” da tenere nella circolazione
stradale è stato in Italia, fino agli anni Venti, uno dei temi di
spicco che aveva visto impegnato nell’Ottocento anche Napoleone, e che ci fa meglio capire la genesi di una norma
fisiologica di comportamento della vita, oggi indispensabile per
la sopravvivenza in strada; inglesi e ferrovie continuano ad
andare per conto loro.
Aveva un peso considerevole
anche il problema della
soppressione della polvere
dalle strade, argomento oggi
dimenticato, che da sempre
rappresentò l’esigenza
saliente della tecnica e
assorbiva consistenti risorse
di chi gestiva la viabilità.
All’inizio del secolo, nel
nostro Paese non esisteva di
fatto la segnaletica stradale,
e il suo sviluppo lo si deve
all’iniziativa del Touring
Club Italiano: ancora oggi
sono visibili alcuni dei suoi
cartelli indicatori posti all’ingresso di città e paesi.
La codificazione ufficiale giunge solo negli anni Trenta. Negli
anni Novanta siamo ai “pannelli a messaggio variabile”, che
oltre alla data e l’ora sarebbe sufficiente che ci comunicassero
informazioni sul traffico, preferibilmente non del tipo “traffico
regolare sulle tangenziali” quando siamo fermi in colonna.
LE VIE DEL TURISMO DI MASSA
Le strade e le autostrade del Novecento rappresentano anche il
primo, vero strumento per il turismo di massa, il percorso delle
vacanze e dei giorni di festa, per moltissime persone.
Riaffiorano le immagini di quando, lasciata in cantina la
bicicletta con il Mosquito o la Vespa, plotoni di neopatentati
andarono a ritirare la Seicento e percorsero le nuove autostrade
appena inaugurate. Nel mio primo viaggio sull’Autosole – nel
tratto fra Milano e Parma – vedevo davanti al cofano una
specie di corsia asettica, qualche raro sorpasso e, ingranata la
quarta (solo il Maggiolino aveva tre marce), non si toccava
più il cambio e neppure il freno.
I motori erano stati progettati per andare in Brianza o ai
Castelli, sulle lunghe distanze avevano problemi di
sudorazione: quando la temperatura dell’acqua saliva e il
cruscotto diventava colorato come una Piedigrotta, bisognava
fermarsi e chiedere aiuto alla cascina più vicina.
Il fiasco d’acqua per il radiatore ha rappresentato l’idea per le
aree di servizio.
Un mondo di Fantascienza insomma, per chi stava dentro
l’autostrada ma anche per chi stava aldilà della rete: i
contadini, che per permettere la costruzione delle nuove arterie
avevano dovuto sacrificare i gelsi, le marcite, il mais, le risaie,
i pioppeti e il grano, potevano nei pomeriggi domenicali
“esaltarsi” per il grande spettacolo che avveniva davanti alla
cascina o salivano sui sovrappassi a vedere i “signori” che
andavano in macchina.
L’inizio della Statale 74
“Maremmana”, presso
Orbetello, nel 1957.
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Non percorriamo più lo stradone, com’era chiamata la strada
statale, e abbiamo ridisegnato la geografia attraverso i luoghi
che hanno il privilegio di uno svincolo, si dimentica
Montaperti e conosciamo Sasso Marconi o Roncobilaccio, e non
si vedono più le ragazze in bicicletta, gli autostoppisti stranieri
e la pattuglia dei “carabinieri a piedi” all’inizio dei paesi.
Michelangelo Pasquato, risposero che gli industriali non
erano dei missionari e quindi non così masochisti d’andare
dove non c’erano strade né alberghi per dormire.
Lo spirito imprenditoriale però prevalse e coinvolse altri
grandi uomini, fra cui il conte Marzotto che realizzò gli
alberghi dove non c’erano, e Pesenti con Pirelli e Valletta
costruirono l’Autosole: si poteva andare finalmente da nord a
sud e viceversa senza fare testamento.
Si dice che l’Autostrada del Sole abbia fatto l’Italia, mentre
un’altra scuola di pensiero asserisce che l’impulso l’abbia dato
la televisione. Sarà anche vero, però alcune trasmissioni
lasciano qualche dubbio.
Nacque così la seconda generazione delle autostrade che oltre
a incrementare le comunicazioni provvide allo sviluppo delle
aree che erano definite depresse.
I cantieri stradali hanno creato lavoro e quegli operai che
erano saliti al nord hanno poi fatto anche il percorso inverso,
per tornare alle origini o per andare in vacanza.
Il decentramento produttivo
e la suddivisione del
processo di produzione in
luoghi diversi, sono stati
possibili da un sistema di
trasporto veloce e nello stesso
tempo capillare.
La costruzione è avvenuta
in pratica a spese degli
utilizzatori dell’autostrada
stessa, che ha costituito
l’indispensabile supporto
allo sviluppo e alla
trasformazione economica e
sociale degli ultimi
quarant'anni.
È innegabile che
l’autostrada, a fronte
dell’enorme aumento della
mobilità, fenomeno comune
a tutti i paesi a elevato
reddito, abbia dovuto
svolgere una funzione vicaria nel campo del trasporto delle
persone e dei beni. Questo è imputabile anche alla scarsa
offerta da parte d’altri sistemi e in particolare della ferrovia.
ITALIA, PATRIA DELL’AUTOSTRADA
È a Milano che nel 1924 viene inaugurato il “primo sistema
autostradale nel mondo” e il suo ideatore è Piero Puricelli.
Prescindendo da ogni altra considerazione su un eventuale
coinvolgimento politico dell’epoca, il suo nome resterà legato a
quest’anticipazione italiana anche se in alcuni trattati si
citano limitate esperienze precedenti in Germania e in America.
Puricelli, nella sua idea originale, previde la tecnica e i
macchinari per la costruzione, il sistema di finanziamento e il
pedaggio, le aree di servizio e l’assistenza meccanica per quello
che diventerà il nuovo sistema viario riservato al traffico
automobilistico. È altresì
doveroso ricordare che la
Germania realizzò
autostrade a doppia
carreggiata e spartitraffico
centrale, molto più
preveggenti, mentre quelle
italiane diventarono obsolete
dopo solo dieci anni.
Nata per collegare luoghi
lontani, l’autostrada ha con
il tempo modificato anche le
tipologie d’utenza.
La capillarità della rete, solo
in Italia si superano i
seimila chilometri, la facilità
dei collegamenti e
l’economicità d’utilizzo,
hanno fatto sì che divenisse
un'alternativa ai brevi
percorsi e alla viabilità
extraurbana.
La percorrenza media dei veicoli passeggeri si è abbassata fino
a cinquanta chilometri, che raddoppiano nel caso delle merci.
Per questo è cambiato il servizio che l’utente desidera: non solo
assistenza generica o rifornimento di carburante ma
soprattutto sicurezza e costante informazione.
Le autostrade sono diventate oggetto d’uso quotidiano, hanno
perso il fascino che potevano avere prima della guerra e
abbiamo quindi perso anche la capacità di apprezzarle.
Luca Goldoni anni fa scriveva che al forzato del volante è
rimasto un solo interesse: il sorpasso, e un unico panorama: il
retro dei Tir.
Questi sono i difetti ma difficilmente riusciamo a immaginare
come sarebbe la vita senza queste infrastrutture. Forse
avremmo meno inquinamento acustico e atmosferico, ma sul
piano economico nazionale si può dire che il miracolo
economico italiano è transitato in autostrada.
LE AUTOSTRADE DELLA SECONDA GENERAZIONE
Per parlare delle attuali autostrade dobbiamo fare un passo
indietro, quando negli anni Cinquanta lo Stato cercò di
ricostruire la nazione e incentivare lo sviluppo del sud Italia.
Il conte Cicogna, presidente della Confindustria, e il vice
TECNOLOGIE DELLE PRIME STRADE
La strada è antica quanto l’umanità e ne ha seguito le vicende
e le vicissitudini nei suoi sviluppi. Quella da noi definita
strada si chiamava in latino via. I romani distinguevano
tecnicamente due tipi di vie: la via silice strata e la via glarea
strata, cioè quella lastricata o quella solo costituita dalla
massicciata. Nel Medioevo la via si trasformò in strata e
questa è una possibile etimologia della parola strada.
Gli iniziatori della tecnica stradale, sviluppando modelli
d’altri popoli antichissimi, furono gli Etruschi che diedero alle
piste una radicale trasformazione, arte che appresero poi i
romani, grandi costruttori.
La strada si rivela nei sentieri che nascono spontanei e si
svolgono in reti irregolari attorno e verso ogni nucleo abitato o
verso i luoghi di culto. I trasporti su questi primordi di strade
erano conseguentemente lenti, faticosi e pericolosi, perciò gli
scambi o i commerci erano difficili. Altre vie erano aperte dal
pastore che doveva trasferire i greggi: da qui le vie armentarie e
Particolare di una delle
strutture realizzate per il
raddoppio dell’autostrada
Milano-Bergamo, 1958.
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le mulattiere per il passaggio degli animali da soma.
I romani costruirono anche i ponti con la più bell’architettura:
la decorazione è semplice, ottenuta con archivolti, cornici,
nicchie e trofei. Le difficoltà nascevano per i ponti a più luci o
con pile in alveo perché non trovarono adeguato appoggio
negli alvei dei corsi d’acqua e questo ci spiega perché non sono
molti i manufatti giunti sino a noi.
È interessante ricordare gli strumenti che disponevano per il
tracciamento delle strade e delle gallerie. Con la groma (specie
di squadro agrimensorio) era possibile stabilire, a ogni imbocco,
la direzione del traforo. Altri strumenti topografici erano la
diottra e un livello costruito sul principio dell’archipendolo.
Con questi mezzi primitivi seppero raggiungere risultati e
costruire opere che possiamo ancora ammirare: non è certo che
lo saranno le nostre tracciate con il laser.
La caduta dell’Impero Romano d’Occidente segnò l’inizio della
distruzione delle strade romane che rimasero fino al decimo
secolo in rovinoso abbandono.
Alcune nuove costruzioni, qualche manutenzione e leggi per la
sicurezza del viandante, si possono trovare all’epoca di Carlo
Magno che aveva ben compreso i vantaggi militari, politici e
commerciali di una buona rete stradale.
Purtroppo l’impulso dato non ebbe effetto duraturo.
Singolarmente fu la Chiesa che nei tempi oscuri del medioevo
protesse la costruzione e la riparazione delle strade e dei ponti.
Sorgono confraternite, come la Fratres Pontifices in Provenza,
con lo scopo di provvedere alle strade e ai ponti, mentre altri
ordini fondavano gli ospizi per i viandanti lungo i percorsi
alpini. La sicurezza dei viaggi non sarebbe stata comunque
garantita nemmeno dalle Guide Rosse Michelin.
L’EVOLUZIONE, DOPO OLTRE MILLE ANNI
Purtroppo bisognerà attendere il 1716 per vedere concretizzati,
per opera del Perronet, i principi di una nuova tecnica con la
famosa Ecole des Ponts et Chaussees.
Il primo che propose in termini concreti la questione delle
carreggiate fu Piermaria Gerolamo Tresaguet, ingegnere capo
di Limoges, che ideò una massicciata costituita da uno strato
di fondazione fatto di grosse pietre collocate a coltello sul
sottofondo sagomato superficialmente come la strada finita, un
secondo strato di pietre più piccole venivano battute con mazze
entro gli interstizi della fondazione per non lasciare vuoti e da
un terzo strato d’elementi durissimi “ridotti alla grossezza di
una noce”.
L’idea del Tresaguet seppur costosa per la troppa manodopera
e il troppo materiale, fu molto seguita fino a quando non
s’impose il sistema di John Loudon Mac Adam. Questo
scozzese gettò le basi della tecnica moderna per la costruzione e
la manutenzione delle massicciate stradali e dimostrò per
primo che la costruzione delle massicciate si poteva fare senza
fondazione ma con un solo strato di pietrisco proveniente dalla
frantumazione delle pietre o di ghiaia posata direttamente sul
terreno, purché si adottassero elementi di grossezza uniforme e
si desse allo strato uno spessore non inferiore a 25 centimetri.
In quegli anni un altro scozzese, Thomas Telford, svolse anche
lui importanti studi sulle massicciate. Le sue idee erano più
simili a quelle del Tresaguet, ritenendo necessaria per la
massicciata, una fondazione con pietre ben accostate e di
grossezza degradante dalla mezzeria verso i lati.
Le strade in macadam furono le strade dell’ottocento mentre la
tecnica è andata orientandosi verso i criteri del Tresaguet e del
Veduta dell’autostrada
Monaco-Berlino, a doppia
carreggiata e due corsie,
1938 circa.
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Telford per l’obiettiva necessità di una fondazione.
Un’ultima doverosa nota deve ricordare anche il Polenceau,
che incorporò alla massicciata un materiale d’aggregazione
come peraltro si fa oggi, più è piccolo e quindi meglio legante
del pietrisco usato per il corpo della massicciata. Il Polenceau
fu anche il primo ad applicare la cilindratura delle carreggiate
senza dover attendere la lenta azione del carreggio.
L’AVVENTO DI NUOVI MATERIALI
La diffusione degli asfalti, dei bitumi, dei catrami e del
calcestruzzo, caratterizzano lo sviluppo recente delle tecniche di
costruzione. La selezione dei materiali e la ricerca scientifica
per l’identificazione e la standardizzazione dell’impiego,
hanno segnato un periodo lungo più di un secolo e non è
ancora terminato.
L’uso del catrame aveva raggiunto in quegli anni una gran
diffusione ma per le ricerche dei tecnici dovute all’aumento del
traffico automobilistico, nel periodo successivo alla prima
guerra mondiale, viene presentato sul mercato un grande
antagonista: il bitume. Macadam bitumati vengono realizzati
a Roma, a Milano e in altre città italiane e l’Azienda
Autonoma della Strada ne fece largo impiego sia nel tipo a
caldo sia in emulsione all’acqua.
Per anni l’Italia ha acquistato il bitume all’estero ma dagli
anni trenta la raffinazione del petrolio per carburanti ne
garantirà l’approvvigionamento per la costruzione delle strade.
Sempre in quegli anni si pensò anche alla polvere d’asfalto
fluidificata per migliorare i “piani viabili con spesa
relativamente bassa” e nelle città si sperimentavano
pavimentazioni in asfalto compresso.
Altri tentativi vennero fatti con piastrelle di legno, con
elementi in ghisa e con lastre di gomma.
Per soddisfare le pressanti esigenze dell’auto e abbandonare
l’empirismo che aveva caratterizzato molta parte delle
costruzioni, nel ‘20 il Politecnico di Milano e il Touring Club
costruiscono il primo Centro Sperimentale Stradale e nasce
LA RIVOLUZIONE DEL NOVECENTO
Agli inizi del novecento, quando cominciano a circolare le
prime automobili, il fatto che caratterizza da subito il nuovo
mezzo sono le ruote motrici che a differenza di quelle dei carri
devono far presa coi pneumatici sulle massicciate sollecitandole
in maniera più forte, creando danni alla struttura e per la
maggiore velocità, più polvere.
Singolarmente un pioniere di quest’ultimo problema è stato il
medico Guglielminetti di Montecarlo che nel 1901 s’accorse
dell’efficacia di alcune chiazze di catrame cadute sulla strada.
Promosse una campagna e fondò nel 1903 la “Lega contro la
polvere”.
La catramatura della strada, quale antidoto alla polvere,
aveva avuto in verità un pioniere nell’ingegner Guido Rimini
che utilizzando il catrame, sottoprodotto della distillazione
dell’industria del gas illuminante, aveva realizzato alcuni
tratti di strada in prossimità di Lugo di Romagna.
Le catramature si diffusero ben presto tanto che a Milano già
nel 1908 si “catramò” Piazza Castello e i viali del Parco.
Inizia così un nuovo capitolo nella storia della tecnica stradale.
Stesa della massicciata
dell’autostrada VeneziaPadova, 1930 circa.
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una nuova disciplina, la “Scienza e la Tecnica delle
Sovrastrutture”, che assieme ad altre discipline ingegneristiche
contribuirà in maniera significativa al progresso stradale.
E nel Trenta finalmente compaiono i conglomerati bituminosi
che nella varia pezzatura degli inerti, nei vari spessori e con
l’evoluzione dei tipi di bitume, costituiscono la sovrastruttura
della maggior parte delle attuali pavimentazioni.
Ma l’autostrada nasce in conglomerato cementizio: all’inizio
degli anni Venti Puricelli va negli Stati Uniti per apprendere
sul campo le nuove tecnologie e scopre un nuovo macchinario
che è in grado di realizzare in maniera autonoma
pavimentazioni in calcestruzzo; intuisce il valore della novità
e ne compra ben cinque. Quelle betoniere semoventi a vapore,
con la trave posteriore per la distribuzione e livellamento del
calcestruzzo sono servite per tutte le autostrade della prima
generazione, per molte strade urbane e dopo la guerra anche
per la realizzazione di alcuni aeroporti.
La validità del calcestruzzo sul bitumato, o viceversa, è ancora
oggi argomento di discussione fra gli addetti ai lavori, o
meglio fra i cementieri e i petrolieri.
NASCE UNA GENERAZIONE DI MACCHINE STRADALI
È altrettanto doveroso ricordare che anche in Italia non sono
mancate industrie meccaniche affermate a livello mondiale che
hanno costruito e costruiscono macchinari. L’uso delle
macchine per la realizzazione delle strade ha una storia recente
e sono state essenzialmente quelle per la preparazione del
terreno e dei movimenti di terra, quelle per la compattazione
dei rilevati, dei sottofondi o delle pavimentazioni e infine
quelle per la stesa delle pavimentazioni. In quest’elencazione
volutamente sommaria, sono state tralasciate tutte quelle per la
costruzione delle gallerie e dei manufatti, non per minore
importanza, ma per limitarne il campo.
L’uso delle macchine per movimenti di terra ha le sue origini
nel 1834 negli Stati Uniti con l’escavatore William Otis, e il
primo impiego di un certo numero di escavatori si ebbe nella
costruzione del canale di Panama. Inizialmente montati su
binari e azionati a vapore, all’inizio del secolo furono
introdotti i primi modelli su cingoli e con motore a scoppio,
mentre l’escavatore moderno può essere datato 1930.
In Italia le macchine stradali fecero la prima apparizione
all’Esposizione di Milano del 1906.
Nel frattempo gli scavi erano sempre effettuati a mano con pale
e picconi, il trasporto dei materiali avveniva con carriole,
barelle o carri trainati dagli animali o con le prime ferrovie a
scartamento ridotto, o “ferrovie portatili” com’erano citate nel
1912 dall’ingegner Gino Toller, comunque con i vagoncini
spinti ancora a braccia o tirati nel migliore dei casi dai
cavalli. Le pietre erano estratte dagli scalpellini mentre i primi
frantoi a mascelle e i vagli rotativi per la produzione di inerti
si diffondono con difficoltà per il loro costo.
Sempre dalla pubblicazione del Toller apprendiamo che la
stesa dei materiali di rivestimento delle massicciate era fatta
prevalentemente a mano anche se sono rappresentate le prime
sfangatrici, spazzole, inaffiatrici meccaniche, però a
“propulsione umana o animale”.
I RULLI COMPRESSORI
Discorso a parte sono i rulli compressori per la formazione dei
rilevati. Fin dai primordi si presentò la necessità di consolidare
le masse di materiali incoerenti in modo da offrire al traffico
un corpo stradale stabile. Sfruttando l’azione del peso si
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usarono i primi rulli in pietra o metallici. Solo dopo la prima
metà dell’ottocento i rulli trainati dagli animali vennero
sostituiti da grandi rulli a vapore semoventi a tre ruote, che
rimasero sulla scena per oltre mezzo secolo. All’inizio del secolo
la cilindratura meccanica, propagandata e importata
dall’ingegner Emilio Cova, fu realizzata prima con macchine
inglesi che avevano praticamente il monopolio in Europa,
eppoi con quelle costruite in Italia dalle officine Gola-Puricelli,
Alfonso e Gaetano Brun e dopo la guerra quasi esclusivamente
dalla Breda e dalla Puricelli.
Il fascino degli “schiacciasassi” della nostra infanzia rimarrà
indelebile nella memoria. Il fuochista, così veniva chiamato,
era il primo che si presentava all’alba in cantiere per accendere
il fuoco sotto la caldaia e avere la macchina in pressione
quando arrivavano gli altri operai. Noi ragazzi a sera,
quando non c’era più nessuno in giro, salivamo sullo
schiacciasassi e facevamo con la fantasia e da fermi, i più bei
viaggi attorno al mondo. Dagli anni cinquanta i rulli sono
vibranti, hanno le ruote di gomma con il motore diesel e anche
i nomi delle ditte sono cambiati così come il fuochista che non è
più nero come uno spazzacamino, ma opera all’interno della
cabina che può essere anche climatizzata.
LE MACCHINE MODERNE DEGLI ANNI CINQUANTA
La vera meccanizzazione dei lavori stradali inizia solo dopo il
secondo conflitto mondiale. Le nostre industrie hanno
progettato i primi escavatori sui telai degli autocarri G.M. o
Dodge e le imprese ricostituirono il loro parco-mezzi utilizzando
i residuati bellici acquistati a buon prezzo nei Campi Arar
(Azienda Rilievo Alienazione Residuati) che avevano lasciato
gli Alleati. Basti pensare che ancora negli anni sessanta i
ponti provvisori per la costruzione della metropolitana di
Milano, erano i Bailey varati dall’esercito americano lungo
tutta la Penisola. Oggi anche le maestranze che lavorano sulle
strade hanno potuto cambiare la loro vita e quella delle loro
famiglie: è la storia di uomini classificati sotto la voce
“manodopera” nei capitolati d’appalto e dai cognomi scritti su
sbiaditi libri-paga. Ogni metro cubo di terra sbancato, ogni
manufatto è la testimonianza del loro impegno e fatica che
non potrà mai essere sostituita e il loro nome non verrà mai
citato in nessun libro. E questo è stato possibile anche per la
costante ricerca di nuove tecniche e la meccanizzazione del
lavoro sviluppato per la realizzazione delle nuove strade che
hanno caratterizzato il secolo appena concluso.
CONCLUSIONI
Di fatto, in tutto il mondo, le reti stradali e autostradali si
sono sviluppate enormemente modificando l’economia dei
trasporti e annullando, non sempre in maniera positiva, la
concorrenza sorta nell’ottocento con la ferrovia.
Per comprendere la lungimiranza degli addetti ai lavori, e non
solo di loro, ci piace concludere rileggendo uno degli ultimi
scritti del professor Francesco Aimone Jelmoni, maestro di
generazioni di “stradini”: “quando mi incaricarono di
studiare la fattibilità dell’Autostrada del Sole, non
s’intravvedeva a quale risultato pratico potesse servire il mio
lavoro… la proposta della doppia corsia fu giudicata da
megalomani”. Già nel sessantacinque fu accusato di miopia
per non aver previsto la terza corsia: speriamo che nel secolo
appena iniziato ci possa essere più lungimiranza nella
progettazione delle nuove opere.
Giampietro Livini
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