Kineo 18 - Fabrizio Bonomo
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Kineo 18 - Fabrizio Bonomo
GIAMPIETRO LIVINI INTERVENTI Il secolo delle strade G li ultimi cent’anni hanno determinato per la nostra viabilità un cambiamento che possiamo definire epocale: le strade dell’inizio del secolo sono la preistoria, così come ci fanno sorridere le prime auto che a guardar bene erano delle carrozze alle quali avevano tolto il cavallo, ma non avevano ancora deciso dove mettere il motore. Risolta la posizione, a noi è rimasto solo il quesito dove mettere il cornetto di corallo o il gobbetto portafortuna: non ci credo ma non si sa mai. La strada è stata luogo d’avventura e di conquiste ma anche di comunicazione e di scambio; si è snodata per secoli con il lento andare dell’uomo evolvendo dal tratturo alle vie consolari, fino alle strade e alle autostrade moderne, divenendo uno dei più evidenti segni fatti dall'uomo sul territorio. Qui oggi dominano i sistemi di trasporto di massa su gomma, efficaci e flessibili, che proprio nel Novecento fanno il loro salto di qualità e si diffondono. L’automobile è la conquista della libertà individuale e l’autostrada è il prodotto dell’automobile. L’invenzione e lo sviluppo di questo mezzo di trasporto tanto amato o vituperato, ha cambiato radicalmente il nostro modo di vivere dopo il secondo dopoguerra. Oggi il sistema mobilità-auto è giunto a un punto critico con il limite di congestione e per i problemi ecologici che crea, ma anche al tempo dei nostri nonni con tutti quei cavalli in circolazione, forse gli spazzini avevano qualche problema in più. Ma questa è un’altra storia. CENTO ANNI FA All’inizio del secolo scorso si viveva il trionfo della ferrovia come trasporto rapido di massa e simbolo del progresso e della tecnica, mentre la strada era in secondo piano (tanto che in Italia vigeva una legge, come la Lamarmora, che vietava la costruzione di nuove strade tra due punti di territorio già collegati da una linea ferroviaria, ndr). Anche l’argomento della “mano” da tenere nella circolazione stradale è stato in Italia, fino agli anni Venti, uno dei temi di spicco che aveva visto impegnato nell’Ottocento anche Napoleone, e che ci fa meglio capire la genesi di una norma fisiologica di comportamento della vita, oggi indispensabile per la sopravvivenza in strada; inglesi e ferrovie continuano ad andare per conto loro. Aveva un peso considerevole anche il problema della soppressione della polvere dalle strade, argomento oggi dimenticato, che da sempre rappresentò l’esigenza saliente della tecnica e assorbiva consistenti risorse di chi gestiva la viabilità. All’inizio del secolo, nel nostro Paese non esisteva di fatto la segnaletica stradale, e il suo sviluppo lo si deve all’iniziativa del Touring Club Italiano: ancora oggi sono visibili alcuni dei suoi cartelli indicatori posti all’ingresso di città e paesi. La codificazione ufficiale giunge solo negli anni Trenta. Negli anni Novanta siamo ai “pannelli a messaggio variabile”, che oltre alla data e l’ora sarebbe sufficiente che ci comunicassero informazioni sul traffico, preferibilmente non del tipo “traffico regolare sulle tangenziali” quando siamo fermi in colonna. LE VIE DEL TURISMO DI MASSA Le strade e le autostrade del Novecento rappresentano anche il primo, vero strumento per il turismo di massa, il percorso delle vacanze e dei giorni di festa, per moltissime persone. Riaffiorano le immagini di quando, lasciata in cantina la bicicletta con il Mosquito o la Vespa, plotoni di neopatentati andarono a ritirare la Seicento e percorsero le nuove autostrade appena inaugurate. Nel mio primo viaggio sull’Autosole – nel tratto fra Milano e Parma – vedevo davanti al cofano una specie di corsia asettica, qualche raro sorpasso e, ingranata la quarta (solo il Maggiolino aveva tre marce), non si toccava più il cambio e neppure il freno. I motori erano stati progettati per andare in Brianza o ai Castelli, sulle lunghe distanze avevano problemi di sudorazione: quando la temperatura dell’acqua saliva e il cruscotto diventava colorato come una Piedigrotta, bisognava fermarsi e chiedere aiuto alla cascina più vicina. Il fiasco d’acqua per il radiatore ha rappresentato l’idea per le aree di servizio. Un mondo di Fantascienza insomma, per chi stava dentro l’autostrada ma anche per chi stava aldilà della rete: i contadini, che per permettere la costruzione delle nuove arterie avevano dovuto sacrificare i gelsi, le marcite, il mais, le risaie, i pioppeti e il grano, potevano nei pomeriggi domenicali “esaltarsi” per il grande spettacolo che avveniva davanti alla cascina o salivano sui sovrappassi a vedere i “signori” che andavano in macchina. L’inizio della Statale 74 “Maremmana”, presso Orbetello, nel 1957. KINEO 18 2000 3 INTERVENTI GIAMPIETRO LIVINI Non percorriamo più lo stradone, com’era chiamata la strada statale, e abbiamo ridisegnato la geografia attraverso i luoghi che hanno il privilegio di uno svincolo, si dimentica Montaperti e conosciamo Sasso Marconi o Roncobilaccio, e non si vedono più le ragazze in bicicletta, gli autostoppisti stranieri e la pattuglia dei “carabinieri a piedi” all’inizio dei paesi. Michelangelo Pasquato, risposero che gli industriali non erano dei missionari e quindi non così masochisti d’andare dove non c’erano strade né alberghi per dormire. Lo spirito imprenditoriale però prevalse e coinvolse altri grandi uomini, fra cui il conte Marzotto che realizzò gli alberghi dove non c’erano, e Pesenti con Pirelli e Valletta costruirono l’Autosole: si poteva andare finalmente da nord a sud e viceversa senza fare testamento. Si dice che l’Autostrada del Sole abbia fatto l’Italia, mentre un’altra scuola di pensiero asserisce che l’impulso l’abbia dato la televisione. Sarà anche vero, però alcune trasmissioni lasciano qualche dubbio. Nacque così la seconda generazione delle autostrade che oltre a incrementare le comunicazioni provvide allo sviluppo delle aree che erano definite depresse. I cantieri stradali hanno creato lavoro e quegli operai che erano saliti al nord hanno poi fatto anche il percorso inverso, per tornare alle origini o per andare in vacanza. Il decentramento produttivo e la suddivisione del processo di produzione in luoghi diversi, sono stati possibili da un sistema di trasporto veloce e nello stesso tempo capillare. La costruzione è avvenuta in pratica a spese degli utilizzatori dell’autostrada stessa, che ha costituito l’indispensabile supporto allo sviluppo e alla trasformazione economica e sociale degli ultimi quarant'anni. È innegabile che l’autostrada, a fronte dell’enorme aumento della mobilità, fenomeno comune a tutti i paesi a elevato reddito, abbia dovuto svolgere una funzione vicaria nel campo del trasporto delle persone e dei beni. Questo è imputabile anche alla scarsa offerta da parte d’altri sistemi e in particolare della ferrovia. ITALIA, PATRIA DELL’AUTOSTRADA È a Milano che nel 1924 viene inaugurato il “primo sistema autostradale nel mondo” e il suo ideatore è Piero Puricelli. Prescindendo da ogni altra considerazione su un eventuale coinvolgimento politico dell’epoca, il suo nome resterà legato a quest’anticipazione italiana anche se in alcuni trattati si citano limitate esperienze precedenti in Germania e in America. Puricelli, nella sua idea originale, previde la tecnica e i macchinari per la costruzione, il sistema di finanziamento e il pedaggio, le aree di servizio e l’assistenza meccanica per quello che diventerà il nuovo sistema viario riservato al traffico automobilistico. È altresì doveroso ricordare che la Germania realizzò autostrade a doppia carreggiata e spartitraffico centrale, molto più preveggenti, mentre quelle italiane diventarono obsolete dopo solo dieci anni. Nata per collegare luoghi lontani, l’autostrada ha con il tempo modificato anche le tipologie d’utenza. La capillarità della rete, solo in Italia si superano i seimila chilometri, la facilità dei collegamenti e l’economicità d’utilizzo, hanno fatto sì che divenisse un'alternativa ai brevi percorsi e alla viabilità extraurbana. La percorrenza media dei veicoli passeggeri si è abbassata fino a cinquanta chilometri, che raddoppiano nel caso delle merci. Per questo è cambiato il servizio che l’utente desidera: non solo assistenza generica o rifornimento di carburante ma soprattutto sicurezza e costante informazione. Le autostrade sono diventate oggetto d’uso quotidiano, hanno perso il fascino che potevano avere prima della guerra e abbiamo quindi perso anche la capacità di apprezzarle. Luca Goldoni anni fa scriveva che al forzato del volante è rimasto un solo interesse: il sorpasso, e un unico panorama: il retro dei Tir. Questi sono i difetti ma difficilmente riusciamo a immaginare come sarebbe la vita senza queste infrastrutture. Forse avremmo meno inquinamento acustico e atmosferico, ma sul piano economico nazionale si può dire che il miracolo economico italiano è transitato in autostrada. LE AUTOSTRADE DELLA SECONDA GENERAZIONE Per parlare delle attuali autostrade dobbiamo fare un passo indietro, quando negli anni Cinquanta lo Stato cercò di ricostruire la nazione e incentivare lo sviluppo del sud Italia. Il conte Cicogna, presidente della Confindustria, e il vice TECNOLOGIE DELLE PRIME STRADE La strada è antica quanto l’umanità e ne ha seguito le vicende e le vicissitudini nei suoi sviluppi. Quella da noi definita strada si chiamava in latino via. I romani distinguevano tecnicamente due tipi di vie: la via silice strata e la via glarea strata, cioè quella lastricata o quella solo costituita dalla massicciata. Nel Medioevo la via si trasformò in strata e questa è una possibile etimologia della parola strada. Gli iniziatori della tecnica stradale, sviluppando modelli d’altri popoli antichissimi, furono gli Etruschi che diedero alle piste una radicale trasformazione, arte che appresero poi i romani, grandi costruttori. La strada si rivela nei sentieri che nascono spontanei e si svolgono in reti irregolari attorno e verso ogni nucleo abitato o verso i luoghi di culto. I trasporti su questi primordi di strade erano conseguentemente lenti, faticosi e pericolosi, perciò gli scambi o i commerci erano difficili. Altre vie erano aperte dal pastore che doveva trasferire i greggi: da qui le vie armentarie e Particolare di una delle strutture realizzate per il raddoppio dell’autostrada Milano-Bergamo, 1958. KINEO 18 2000 4 GIAMPIETRO LIVINI le mulattiere per il passaggio degli animali da soma. I romani costruirono anche i ponti con la più bell’architettura: la decorazione è semplice, ottenuta con archivolti, cornici, nicchie e trofei. Le difficoltà nascevano per i ponti a più luci o con pile in alveo perché non trovarono adeguato appoggio negli alvei dei corsi d’acqua e questo ci spiega perché non sono molti i manufatti giunti sino a noi. È interessante ricordare gli strumenti che disponevano per il tracciamento delle strade e delle gallerie. Con la groma (specie di squadro agrimensorio) era possibile stabilire, a ogni imbocco, la direzione del traforo. Altri strumenti topografici erano la diottra e un livello costruito sul principio dell’archipendolo. Con questi mezzi primitivi seppero raggiungere risultati e costruire opere che possiamo ancora ammirare: non è certo che lo saranno le nostre tracciate con il laser. La caduta dell’Impero Romano d’Occidente segnò l’inizio della distruzione delle strade romane che rimasero fino al decimo secolo in rovinoso abbandono. Alcune nuove costruzioni, qualche manutenzione e leggi per la sicurezza del viandante, si possono trovare all’epoca di Carlo Magno che aveva ben compreso i vantaggi militari, politici e commerciali di una buona rete stradale. Purtroppo l’impulso dato non ebbe effetto duraturo. Singolarmente fu la Chiesa che nei tempi oscuri del medioevo protesse la costruzione e la riparazione delle strade e dei ponti. Sorgono confraternite, come la Fratres Pontifices in Provenza, con lo scopo di provvedere alle strade e ai ponti, mentre altri ordini fondavano gli ospizi per i viandanti lungo i percorsi alpini. La sicurezza dei viaggi non sarebbe stata comunque garantita nemmeno dalle Guide Rosse Michelin. L’EVOLUZIONE, DOPO OLTRE MILLE ANNI Purtroppo bisognerà attendere il 1716 per vedere concretizzati, per opera del Perronet, i principi di una nuova tecnica con la famosa Ecole des Ponts et Chaussees. Il primo che propose in termini concreti la questione delle carreggiate fu Piermaria Gerolamo Tresaguet, ingegnere capo di Limoges, che ideò una massicciata costituita da uno strato di fondazione fatto di grosse pietre collocate a coltello sul sottofondo sagomato superficialmente come la strada finita, un secondo strato di pietre più piccole venivano battute con mazze entro gli interstizi della fondazione per non lasciare vuoti e da un terzo strato d’elementi durissimi “ridotti alla grossezza di una noce”. L’idea del Tresaguet seppur costosa per la troppa manodopera e il troppo materiale, fu molto seguita fino a quando non s’impose il sistema di John Loudon Mac Adam. Questo scozzese gettò le basi della tecnica moderna per la costruzione e la manutenzione delle massicciate stradali e dimostrò per primo che la costruzione delle massicciate si poteva fare senza fondazione ma con un solo strato di pietrisco proveniente dalla frantumazione delle pietre o di ghiaia posata direttamente sul terreno, purché si adottassero elementi di grossezza uniforme e si desse allo strato uno spessore non inferiore a 25 centimetri. In quegli anni un altro scozzese, Thomas Telford, svolse anche lui importanti studi sulle massicciate. Le sue idee erano più simili a quelle del Tresaguet, ritenendo necessaria per la massicciata, una fondazione con pietre ben accostate e di grossezza degradante dalla mezzeria verso i lati. Le strade in macadam furono le strade dell’ottocento mentre la tecnica è andata orientandosi verso i criteri del Tresaguet e del Veduta dell’autostrada Monaco-Berlino, a doppia carreggiata e due corsie, 1938 circa. KINEO 18 2000 INTERVENTI 5 INTERVENTI GIAMPIETRO LIVINI Telford per l’obiettiva necessità di una fondazione. Un’ultima doverosa nota deve ricordare anche il Polenceau, che incorporò alla massicciata un materiale d’aggregazione come peraltro si fa oggi, più è piccolo e quindi meglio legante del pietrisco usato per il corpo della massicciata. Il Polenceau fu anche il primo ad applicare la cilindratura delle carreggiate senza dover attendere la lenta azione del carreggio. L’AVVENTO DI NUOVI MATERIALI La diffusione degli asfalti, dei bitumi, dei catrami e del calcestruzzo, caratterizzano lo sviluppo recente delle tecniche di costruzione. La selezione dei materiali e la ricerca scientifica per l’identificazione e la standardizzazione dell’impiego, hanno segnato un periodo lungo più di un secolo e non è ancora terminato. L’uso del catrame aveva raggiunto in quegli anni una gran diffusione ma per le ricerche dei tecnici dovute all’aumento del traffico automobilistico, nel periodo successivo alla prima guerra mondiale, viene presentato sul mercato un grande antagonista: il bitume. Macadam bitumati vengono realizzati a Roma, a Milano e in altre città italiane e l’Azienda Autonoma della Strada ne fece largo impiego sia nel tipo a caldo sia in emulsione all’acqua. Per anni l’Italia ha acquistato il bitume all’estero ma dagli anni trenta la raffinazione del petrolio per carburanti ne garantirà l’approvvigionamento per la costruzione delle strade. Sempre in quegli anni si pensò anche alla polvere d’asfalto fluidificata per migliorare i “piani viabili con spesa relativamente bassa” e nelle città si sperimentavano pavimentazioni in asfalto compresso. Altri tentativi vennero fatti con piastrelle di legno, con elementi in ghisa e con lastre di gomma. Per soddisfare le pressanti esigenze dell’auto e abbandonare l’empirismo che aveva caratterizzato molta parte delle costruzioni, nel ‘20 il Politecnico di Milano e il Touring Club costruiscono il primo Centro Sperimentale Stradale e nasce LA RIVOLUZIONE DEL NOVECENTO Agli inizi del novecento, quando cominciano a circolare le prime automobili, il fatto che caratterizza da subito il nuovo mezzo sono le ruote motrici che a differenza di quelle dei carri devono far presa coi pneumatici sulle massicciate sollecitandole in maniera più forte, creando danni alla struttura e per la maggiore velocità, più polvere. Singolarmente un pioniere di quest’ultimo problema è stato il medico Guglielminetti di Montecarlo che nel 1901 s’accorse dell’efficacia di alcune chiazze di catrame cadute sulla strada. Promosse una campagna e fondò nel 1903 la “Lega contro la polvere”. La catramatura della strada, quale antidoto alla polvere, aveva avuto in verità un pioniere nell’ingegner Guido Rimini che utilizzando il catrame, sottoprodotto della distillazione dell’industria del gas illuminante, aveva realizzato alcuni tratti di strada in prossimità di Lugo di Romagna. Le catramature si diffusero ben presto tanto che a Milano già nel 1908 si “catramò” Piazza Castello e i viali del Parco. Inizia così un nuovo capitolo nella storia della tecnica stradale. Stesa della massicciata dell’autostrada VeneziaPadova, 1930 circa. KINEO 18 2000 6 GIAMPIETRO LIVINI una nuova disciplina, la “Scienza e la Tecnica delle Sovrastrutture”, che assieme ad altre discipline ingegneristiche contribuirà in maniera significativa al progresso stradale. E nel Trenta finalmente compaiono i conglomerati bituminosi che nella varia pezzatura degli inerti, nei vari spessori e con l’evoluzione dei tipi di bitume, costituiscono la sovrastruttura della maggior parte delle attuali pavimentazioni. Ma l’autostrada nasce in conglomerato cementizio: all’inizio degli anni Venti Puricelli va negli Stati Uniti per apprendere sul campo le nuove tecnologie e scopre un nuovo macchinario che è in grado di realizzare in maniera autonoma pavimentazioni in calcestruzzo; intuisce il valore della novità e ne compra ben cinque. Quelle betoniere semoventi a vapore, con la trave posteriore per la distribuzione e livellamento del calcestruzzo sono servite per tutte le autostrade della prima generazione, per molte strade urbane e dopo la guerra anche per la realizzazione di alcuni aeroporti. La validità del calcestruzzo sul bitumato, o viceversa, è ancora oggi argomento di discussione fra gli addetti ai lavori, o meglio fra i cementieri e i petrolieri. NASCE UNA GENERAZIONE DI MACCHINE STRADALI È altrettanto doveroso ricordare che anche in Italia non sono mancate industrie meccaniche affermate a livello mondiale che hanno costruito e costruiscono macchinari. L’uso delle macchine per la realizzazione delle strade ha una storia recente e sono state essenzialmente quelle per la preparazione del terreno e dei movimenti di terra, quelle per la compattazione dei rilevati, dei sottofondi o delle pavimentazioni e infine quelle per la stesa delle pavimentazioni. In quest’elencazione volutamente sommaria, sono state tralasciate tutte quelle per la costruzione delle gallerie e dei manufatti, non per minore importanza, ma per limitarne il campo. L’uso delle macchine per movimenti di terra ha le sue origini nel 1834 negli Stati Uniti con l’escavatore William Otis, e il primo impiego di un certo numero di escavatori si ebbe nella costruzione del canale di Panama. Inizialmente montati su binari e azionati a vapore, all’inizio del secolo furono introdotti i primi modelli su cingoli e con motore a scoppio, mentre l’escavatore moderno può essere datato 1930. In Italia le macchine stradali fecero la prima apparizione all’Esposizione di Milano del 1906. Nel frattempo gli scavi erano sempre effettuati a mano con pale e picconi, il trasporto dei materiali avveniva con carriole, barelle o carri trainati dagli animali o con le prime ferrovie a scartamento ridotto, o “ferrovie portatili” com’erano citate nel 1912 dall’ingegner Gino Toller, comunque con i vagoncini spinti ancora a braccia o tirati nel migliore dei casi dai cavalli. Le pietre erano estratte dagli scalpellini mentre i primi frantoi a mascelle e i vagli rotativi per la produzione di inerti si diffondono con difficoltà per il loro costo. Sempre dalla pubblicazione del Toller apprendiamo che la stesa dei materiali di rivestimento delle massicciate era fatta prevalentemente a mano anche se sono rappresentate le prime sfangatrici, spazzole, inaffiatrici meccaniche, però a “propulsione umana o animale”. I RULLI COMPRESSORI Discorso a parte sono i rulli compressori per la formazione dei rilevati. Fin dai primordi si presentò la necessità di consolidare le masse di materiali incoerenti in modo da offrire al traffico un corpo stradale stabile. Sfruttando l’azione del peso si KINEO 18 2000 INTERVENTI usarono i primi rulli in pietra o metallici. Solo dopo la prima metà dell’ottocento i rulli trainati dagli animali vennero sostituiti da grandi rulli a vapore semoventi a tre ruote, che rimasero sulla scena per oltre mezzo secolo. All’inizio del secolo la cilindratura meccanica, propagandata e importata dall’ingegner Emilio Cova, fu realizzata prima con macchine inglesi che avevano praticamente il monopolio in Europa, eppoi con quelle costruite in Italia dalle officine Gola-Puricelli, Alfonso e Gaetano Brun e dopo la guerra quasi esclusivamente dalla Breda e dalla Puricelli. Il fascino degli “schiacciasassi” della nostra infanzia rimarrà indelebile nella memoria. Il fuochista, così veniva chiamato, era il primo che si presentava all’alba in cantiere per accendere il fuoco sotto la caldaia e avere la macchina in pressione quando arrivavano gli altri operai. Noi ragazzi a sera, quando non c’era più nessuno in giro, salivamo sullo schiacciasassi e facevamo con la fantasia e da fermi, i più bei viaggi attorno al mondo. Dagli anni cinquanta i rulli sono vibranti, hanno le ruote di gomma con il motore diesel e anche i nomi delle ditte sono cambiati così come il fuochista che non è più nero come uno spazzacamino, ma opera all’interno della cabina che può essere anche climatizzata. LE MACCHINE MODERNE DEGLI ANNI CINQUANTA La vera meccanizzazione dei lavori stradali inizia solo dopo il secondo conflitto mondiale. Le nostre industrie hanno progettato i primi escavatori sui telai degli autocarri G.M. o Dodge e le imprese ricostituirono il loro parco-mezzi utilizzando i residuati bellici acquistati a buon prezzo nei Campi Arar (Azienda Rilievo Alienazione Residuati) che avevano lasciato gli Alleati. Basti pensare che ancora negli anni sessanta i ponti provvisori per la costruzione della metropolitana di Milano, erano i Bailey varati dall’esercito americano lungo tutta la Penisola. Oggi anche le maestranze che lavorano sulle strade hanno potuto cambiare la loro vita e quella delle loro famiglie: è la storia di uomini classificati sotto la voce “manodopera” nei capitolati d’appalto e dai cognomi scritti su sbiaditi libri-paga. Ogni metro cubo di terra sbancato, ogni manufatto è la testimonianza del loro impegno e fatica che non potrà mai essere sostituita e il loro nome non verrà mai citato in nessun libro. E questo è stato possibile anche per la costante ricerca di nuove tecniche e la meccanizzazione del lavoro sviluppato per la realizzazione delle nuove strade che hanno caratterizzato il secolo appena concluso. CONCLUSIONI Di fatto, in tutto il mondo, le reti stradali e autostradali si sono sviluppate enormemente modificando l’economia dei trasporti e annullando, non sempre in maniera positiva, la concorrenza sorta nell’ottocento con la ferrovia. Per comprendere la lungimiranza degli addetti ai lavori, e non solo di loro, ci piace concludere rileggendo uno degli ultimi scritti del professor Francesco Aimone Jelmoni, maestro di generazioni di “stradini”: “quando mi incaricarono di studiare la fattibilità dell’Autostrada del Sole, non s’intravvedeva a quale risultato pratico potesse servire il mio lavoro… la proposta della doppia corsia fu giudicata da megalomani”. Già nel sessantacinque fu accusato di miopia per non aver previsto la terza corsia: speriamo che nel secolo appena iniziato ci possa essere più lungimiranza nella progettazione delle nuove opere. Giampietro Livini 7