Schopenhauer - Mambrettinet

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Schopenhauer - Mambrettinet
Lorenzo Mambretti – www.mambrettinet.altervista.org
Schopenhauer
La vita
Arthur Schopenhauer è lontano sia dal positivismo che dall'idealismo. Inaugura una
corrente, inserendosi in un clima ideale che è quello del romanticismo. Esso prevede
l'esaltazione tipicamente estetizzante dell'individuo, del suo slancio artistico in una realtà
avversa che lo condanna essenzialmente al dolore e alla frustrazione. È un tedesco dell'est,
nasce a Danzica, nella Prussia orientale. Viene da una famiglia di commercianti e banchieri.
Da questo tipo di attività Schopenhauer avrebbe dovuto indirizzarsi ad un istruzione media
non di tipo classico ma di tipo tecnico commerciale a cui si associano importanti viaggi in
Europa a seguito del padre che ritiene di introdurlo e favorire l'apprendistato del figlio nel
mondo degli affari. L'opera più interessante sono i diari di viaggio in giro per l'Europa a
fianco del padre.
Il padre muore presto e finalmente Schopenhauer e sua madre, che soffrivano di essere
collocati in un ceto di mercanti, ereditano una grande fortuna e la famiglia si allontana da
Danzica e si sposta a Weimar, capitale culturale del mondo tedesco. È sede di residenza del
massimo intellettuale tedesco, Goethe. La madre crea un importante salotto letterario.
Schopenhauer compie gli studi classici che desiderava. Nel 1809 si iscrive a medicina e poi
passa a filosofia. Completa gli studi a Berlino, che in tempi brevissimo diventa un centro
d'élite in Europa. Si laurea a Jena con una tesi su un problema classico della logica
Leibniziana. Tra il 13 e gli anni immediatamente dopo collabora con Goethe alla teoria dei
colori ma presto tra i due nascono dissidi. Si trasferisce a Dresda per lavorare al suo
capolavoro, ovvero “Il Mondo come Volontà e Rappresentazione” , pubblicato nel 1819.
Vorrebbe dedicarsi poi alla carriera accademica ma l'università di Berlino è irretita nella
filosofia di Hegel. Mentre le aule in cui insegnava Hegel erano piene ,le sue lezioni erano
poco frequentate. Si trasferisce a Francoforte e scrive qualcos'altro. Il suo pensiero inizia a
suscitare forti interessi dal 1848, forse si cominciano ad intravedere sia elementi non
perfettamente riusciti della filosofia idealistica e positivista. Quando nel 1860 muore è un
intellettuale con un suo seguito di ammiratori e seguaci nel mondo tedesco e in Europa.
Filosofia di Schopenhauer
Egli pone alla base del suo sistema non il sapere, quindi ragione e intelletto, come tutti gli
altri da Cartesio in poi, ma la volontà di vivere. È una volontà che è antitesi della ragione e
della logica, irrazionale e che ha come unico scopo l'affermazione di non dubitare se valga
la pena vivere o se il vivere non vada in parallelo sempre e solo con l'infelicità e con la
frustrazione. Nell'idealismo hegeliano l'uomo può tutto, il positivismo dice che basta
applicare i fatti con i fatti e non c'è realtà che non può essere spiegata e migliorata.
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Schopenhauer inaugura una tendenza culturale che prenderà il nome di pessimismo. Le
ragioni di questa visione del mondo le troviamo declinate nell'atmosfera del romanticismo.
Quest'opera non sortirà in alcun risultato proprio perché controcorrente: di fronte
all'ottimismo dell'idealismo e del positivismo egli fonda una filosofia improntata al
pessimismo. Il mondo per Leibniz è il migliore dei mondi possibili ,mentre per
Schopenhauer è il peggiore dei mondi possibili. Nella dimostrazione metafisica
Schopenhauer dimostra però le carenze della sua preparazione.
Secondo l'esotismo tipico dell'età romantica i suoi orizzonti culturali trascendono quelli
dell'occidente e arrivano anche ad oriente. Riprende l'edonismo platonico e dall'altro si
propone di fondere questa tradizione nazionale dell'ottocento con suggestioni mistico
religiose della cultura orientale. Filosofia e religione sono risposte diverse ma tutto
sommato convergenti all'unico bisogno metafisico dell'uomo: scoprire l'origine del dolore e
del male presente nel mondo. Prima di Kant la metafisica era sinonimo di una speculazione
dogmatica posta su un piano assolutamente impraticabile da parte dell'esperienza. A
proposito dell'esperienza Schopenhauer dice che è possibile impostare una metafisica
dell'esperienza, una spiegazione che si mantiene sul piano delle cose e non sul piano di
valori astratti. L'esperienza viene spiegata senza introdurre le astrazioni ma cercando di
rischiararne il significato reale verso cui spinge la necessità dell'uomo. È simile ai sistemi
pre-idealistici di Fichte e Schelling. Egli rifiuta l'idealismo per andare a favore
dell'esistenzialismo. Schopenhauer ricava una morale rovesciata, improntata sulla rinuncia.
Se la vita è dolore l'unica soluzione possibile è la rinuncia ad ogni desiderio, ad ogni forma di
desiderio, la rinuncia alla volontà di vivere. Se è dalla volontà che viene il dolore, allora
l'obbiettivo è la negazione della stessa. Ciò contribuisce a rendere popolare Schopenhauer
quando il mondo si rende conto che l'idealismo non ha portato alla libertà di tutti e che il
positivismo non ha migliorato l'esistenza dell'uomo ma anzi hanno portato alla prima guerra
mondiale.
Il mondo come volontà e rappresentazione
La critica ad Hegel lo porta a ricominciare da Kant, che ha svuotato di significato metafisico
i termini Io, Dio e Mondo. Essi sono contenitori vuoti, senza alcuna consistenza empirica.
Kant ha avuto il merito di distinguere tra fenomeno e noumeno elevando una distinzione
efficacissima tra conoscere l'obbiettivo e il pensare. Ma Kant ha detto che la conoscenza
umana è la conoscenza di fenomeni,dietro il quale la cosa in sé è pensabile ma non
conoscibile. Per questo viene criticato da Schopenhauer. La filosofia deve avere come
obbiettivo l'effettiva conoscenza del mondo per arrivare alla cosa in sé. La realtà in sé, il
noumeno diventato conoscibile è la volontà. La sua opera principale è “Il mondo come
volontà e rappresentazione” .
Schopenhauer distingue la realtà come volontà e il mondo come rappresentazione. Esse
possono essere interpretate come complementari per dirci qualcosa a proposito della
realtà. Schopenhauer si muove in direzione diversa rispetto alla volontà, ritenendo che la
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filosofia non nasca dalla meraviglia. Non nasce dalla spontanea domanda “che cos'è?”, che
l'uomo fa nella realtà in cui si trova. Non nasce dalla consapevolezza che il mondo sia un
incognita che deve divenire un termine noto. Per Schopenhauer la filosofia nasce dallo
stupore, dallo scandalo suscitati dalla tragedia di cui è investita la condizione umana.
L'uomo è essenzialmente dolore, non destinato alla catarsi e alla riscossa, ma destinato alla
morte. Questo per Schopenhauer è uno scandalo. Per quale ragione siamo chiamati a vivere
se vuol dire supportare le frustrazioni che essa comporta per concludere la stessa in modo
traumatico con l'annientamento della vita? Filosofia e religione hanno in comune molto, in
quanto hanno il compito di dare una risposta al dolore umano. La filosofia usa la ragione,
mentre la religione la fede, ma entrambe soddisfano all'esigenza di capire perché la vita sia
limitata nel tempo. La sua filosofia è allora una ricerca di salvezza esattamente com'è nelle
religioni, ma è una ricerca di salvezza che si impone il limite dell'immanenza, non una
soluzione nell'aldilà, lasciando la possibilità che rimanga solo il nulla e assurdo dopo la
morte.
Schopenhauer è quindi totalmente in opposizione con positivismo e idealismo,
completamente controcorrente. In un'atmosfera dove impera il positivismo egli ha il
coraggio di definirsi pessimista. I primi due libri della sua opera delineano le due diverse
prospettive, rappresentazione e volontà. Esse vengono ricondotte rispettivamente a
fenomeno e cosa in sé.
Il velo di Maya
Schopenhauer fa suo il punto di vista della sapienza antica secondo cui tutto quello che è
esperibile, tutto ciò che è accertabile attraverso i sensi, non è il mondo vero, ma è il mondo
dell'apparenza, dell'illusione e del sogno. Su questa affermazione concordano poeti arcaici
come Pindaro, filosofi occidentali come Platone o i grandi interpreti delle grandi religioni
orientali, in particolari della religione indiana. Qui troviamo scritto che noi crediamo di
conoscere la realtà, ma di fatto è Maya (secondo induisti), ovvero il velo dell'illusione, che fa
vedere agli uomini un mondo di cui non si può dire alcunché. Il mondo che ci presentano i
sensi è uguale ad un sogno. Questa visione di Schopenhauer viene accolta da alcuni
empiristi inglesi e dal fondamento critico di Kant.
Egli reintroduce il punto di vista platonico di una supposta intuizione intellettuale
esasperando, in direzione scettica, la concezione kantiana di fenomeno. Il fenomeno
diventa parvenza, illusione. Il grande merito di Kant è stato quello di affermare che la
ragione agisce solo in rapporto ai fenomeni e non alle cose in sé. In tal modo Kant ha
conosciuto il carattere finito e limitato dell'esperienza e il suo condizionamento spaziale e
temporale. Nel mondo in cui il sapere ha solo rappresentazione l'uomo tenta di attribuire
sistemi causali e deterministici che risultano vani. Non c'è la possibilità di pervenire alla
conoscenza profonda dell'oggetto. Kant dimostra che non solo il soggetto non può
conoscere l'oggetto, ma neanche sé stesso. Del soggetto non puoi dire nulla, se non che
deve essere una funzione, quella di pensare. Questo è quello che significa per S. il mondo
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come rappresentazione. Fin tanto che l'uomo cerca di conoscere obbiettivamente il mondo
la sola conclusione a cui giunge è che il mondo sia una rappresentazione personale.
Conclusione non kantiana
Avendo allora escluso un accesso di tipo rappresentativo alla cosa in sé non resta che
rassegnarsi alla visione fenomenica del mondo? In fin dei conti potrebbe essere la
conclusione per Kant, ma secondo Schopenhauer Kant ha perso di vista il fatto che la
riduzione del mondo a fenomeno, ad oggetto di rappresentazione è resa possibile a
preliminare e inconsapevole atto di astrazione. Riducendo l'Io a funzione pensante Kant ha
dimenticato quella che Schopenhauer crede essere la dimensione fondamentale della
nostra esperienza nel mondo: la volontà. Della volontà io ho una conoscenza indiretta.
Dall'esterno appare conseguenza diretta degli atti che l'hanno preceduto nel tempo. Un
azione fa a capo delle azioni precedenti: se mi siedo è perché prima mi sono stancato.
Il corpo come volontà
Il sentimento intimo con cui tendo ad identificare il mio Io sfugge alla conoscenza
obbiettiva. Ma se andiamo oltre alla causalità meccanica esiste un altra via per identificare il
motivo delle mie azioni: Schopenhauer lo identifica nel corpo vissuto in prima persona. Ci
hanno detto che siamo capacità pensante e conoscitiva, ma ciò non risolve i problemi in cui
naufraghiamo; se ricordiamo che oltre pensiero siamo anche corpo? Egli chiama
autocoscienza la consapevolezza di essere anche corpo. Si tratta di una consapevolezza
intuitiva. Il corpo può essere considerato in due modi: da un primo punto di vista un oggetto
tra gli altri, e quindi è fenomeno. Ma il mio corpo ha il privilegio di costituire per me il primo
oggetto di riferimento, pur essendo dal punto di vista conoscitivo comunque una mia
rappresentazione. Per gli altri sono un corpo, mentre io mi percepisco come un essere vivo
che tende disperatamente alla realizzazione di sé, ovvero al soddisfacimento della mia
volontà. Schopenhauer contrappone a Kant l'idea del corpo vivo. Io esito non perché penso,
ma perché voglio, e volendo mi muovo, mi indirizzo verso una direzione e verso un'altra. Io
sono il mio corpo, io sono volontà. La volontà è la cosa in sé ricercata dagli idealisti. Quando
guardo dentro di me mi abbandono al sentimento del mio volere ed intuisco che lo stesso
mondo mi appare come un fenomeno che ,esattamente come lui, può essere a livello
essenziale volontà. Pervenuto ad identificare la cosa in sé con la volontà, S. applica questa
intuizione a tutti gli aspetti della realtà fisica. Non bisogna praticare un'indagine eziologica,
ovvero ad indagare le cause del mutamento, perché si possono manifestare solo i fenomeni
e non si può descrivere la cosa in sé. Ammettendo l'esistenza di forze che sfuggono ad una
spiegazione scientifica che vanno al di là della conoscenza. Per non cadere nel dogmatismo
e nello scetticismo la scienza deve sapersi aprire ad una controparte filosofica. Solo un
analisi filosofica può consentire di penetrare il mondo naturale ed interpretare come un
unico, complesso fenomeno della volontà. Non essendo sottoposta al principio di ragione
bisogna supporre che la volontà sia unica, identica a tutti i fenomeni che produce. A
mediare tra l'assoluta unità della volontà e le molteplicità delle manifestazioni fenomeniche,
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stanno come gradi intermedi le idee.
Oltre il velo di Maya
Schopenhauer si identifica in un versante antitetico sia al positivismo che all'idealismo. Essi
si basano sull'appropriazione da parte dell'uomo della realtà. Lo strumento che consente
questa appropriazione illimitata della realtà è la conoscenza, secondo Hegel e Comte. Ciò
sottolinea la libertà dell'individuo, del soggetto umano. Schopenhauer è diverso.
L'uomo conosce per rappresentazione, come aveva detto Kant. Ma per Kant, pur non
consentendo il coglimento della cosa in sé, bastava e avanzava, facendo conto sulla propria
esperienza. Per Schopenhauer il termine rappresentazione connota l'uomo in negativo,
l'uomo coglie solo l'apparenza delle cose, non è sufficiente a riscattarsi dal ruolo repressivo
della realtà. Oltre alla rappresentazione per Kant c'era il noumeno, ciò che non si poteva non
pensare e che non si poteva conoscere. Per S. oltre la rappresentazione, squarciando il velo
di Maya ci si può rendere conto di cosa sia la realtà. La realtà è volontà, forza cieca che
tutto opprime e comanda. Non c'è ragione per cui vivere, perché significa fare i conti con la
distanza tra cui vorremo essere ed avere, da cui scaturisce frustrazione. Non c'è possibilità
di libertà, di riscatto, di liberazione. La vita è essenzialmente dolore per tutti gli esseri,
condannati allo stress del nascere e del morire. Massimamente il dolore diventa tangibile
nell'uomo, che è consapevole di essere condannato alla morte. L'uomo ,viceversa, superata
la primissima infanzia, è consapevole di avere un esistenza a tempo.
Come riscattarsi?
A questo punto, come riscattarsi? Per Schopenhauer non è la scienza, non è il sapere,
scaturito dalla ricerca, a costituire la soluzione. Tuttavia ci possiamo sforzare a percorrere
strade che momentaneamente ci risollevino dallo stato di transizione. La sofferenza è
universale, ma l'uomo è più disgraziato perché ne ha consapevolezza. La vita è un processo
eterno di creazione e distruzione. Ha come condizione del proprio perpetuarsi il suo
contrario: la morte, la distruzione, la mutua sofferenza del mondo vegetale e quella
inconsapevole del mondo animale, che giungono nell'uomo in una presa di coscienza di una
vita senza scappatoie. L'uomo, in quanto vita tenderebbe al piacere ma questo stimolo
denuncia già l'essenziale dolore, l'essenziale condizione di bisogno e sofferenza. La vita
considerata dal punto di vita utilitaristico ha come conseguenza una perdita. La vita come
pendolo ha come estremi il dolore e la noia, che subentra come effetto di momentanea
soddisfazione del piacere. Questa condizione (esempio bambino) fotografa questo tipo di
situazione scontata, la visione dannata secondo Schopenhauer. L'uomo vive in continua
oscillazione tra due poli: noia e dolore. Questa condizione ha un esito prefissato: la morte. S.
che aveva letto i grandi autori del seicento europeo, in particolare Calderon della barca che
diceva che 'la vita è sogno'. La verità coincide con la volontà.
Ancora Schopenhauer dice che “il delitto più grande che si connette all'uomo è di essere
nati” . Quale via di uscita c'è? S. tenta di rispondere alla domanda a partire dal rapporto tra il
mondo della conoscenza e il mondo della volontà. La volontà è una forza cieca,
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inarrestabile, unica in tutte le sue manifestazioni fenomeniche. La volontà è al di là della
conoscenza, della comprensione intellettuale. È priva di senso, irrazionale. Ci sono le
manifestazioni individuali che si sviluppano nel corso del tempo, che vanno dai sassi
all'uomo. Ma tutti sono accomunati di essere manifestazioni della volontà. Nell'uomo si
manifesta della coscienza, che dipende dal cervello, e che è quindi manifestazione della
volontà. L'intelletto è al servizio della volontà. Non è cioè la volontà ad attuare, nelle
decisioni gli scopi razionali dell'intelletto, ma è l'intelletto il servo della volontà , offrendo alla
volontà la possibilità di attuare gli obbiettivi.
Arte
Si può momentaneamente scappare dalla volontà? Sì ma con riserva.
Una eccezione della fuga dalla volontà è il genio artistico. Schelling diceva infatti che non
sono gli strumenti intellettuali che l'uomo dispone a garantire il superamento tra lui e la
realtà, ma è solo l'intuizione estetica. Non la scienza ma l'arte possono garantire il dominio
sulla realtà. Il romantico Schopenhauer la pensa allo stesso modo. Le procedure
scientifiche si muovono nei limiti del fenomeno, mentre l'artista viceversa si muove su un
terreno diverso. All'artista S. riconosce una forma superiore di visione, che oltre passa i
limiti del fenomeno per cogliere l'essenza delle cose in quanto oggettivazioni e
manifestazioni della realtà. L'albero raffigurato dall'artista ha lo stesso rapporto con gli
alberi reali che l'idea platonica ha con le cose che definisce e descrive. L'arte attua allora
una liberazione dell'intelletto dalla sua condizione di asservimento nei confronti della
volontà. Nei momenti di contemplazione, quando subiamo la fascinazione del bello,
qualcosa che ci gratifica e quasi ci esalta riusciamo a sottrarci alla banalità e al dolore della
vita quotidiana. Essa ci rappresenta in tutti gli aspetti squallidi non appena quel momento è
trascorso. L'arte può regalare dei brevissimi intervalli, delle brevi soste dal dolore.
Soluzione ascetica
Si può provare inoltre con i comportamenti, con le scelte di vita quindi con la morale. Essa
sembra garantire una prospettiva più stabile dal riscatto dalla infelicità universale. La ragion
pratica che Kant descrisse dovrebbe renderci consapevole della nostra libertà, ma non di
una libertà positiva. Si tratta di una libertà non di essere e di fare questo o quello ma di una
libertà negativa, una libertà da interpretarsi solo come indipendenza dalle costrizioni e dai
legami che rendono infelici. Finché il nostro agire si lascia condizionare dalla volontà di
vivere che continua ad animarci anche quando ci rendiamo conto che non vale la pena
vivere, le sue conseguenze sul piano empirico non saranno altro che il male, il senso di
colpa e le infelicità che scaturiscono dall'egoismo. Solo se ci distacchiamo da questo piano
della volontà, solo se mettiamo tra parentesi il nostro egoismo, la determinazione ad
affermarci, a realizzare noi stessi, se cessiamo di volere come vuole farci volere la volontà
in sostanza solo se smettiamo di volere, solo se non vogliamo più nulla può aprirsi una via
di liberazione dal mondo e di felicità tipo quella suggerita dalle scuole post aristoteliche. Gli
stoici credevano per esempio che la felicità è non desiderare nulla per non essere schiavo di
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nulla. Dopo aver capito ciò o si accetta di identificarsi attivamente con la volontà, o vi è la
via dell'asceta che rinuncia progressivamente a tutto cercando di mettere a scacco la
volontà di vivere negando la volontà. Chi ha capito che l'affermazione della vita non può
essere disgiunta dalla sofferenza può avviarsi al difficile cammino di rinuncia. L'ascetismo
si traduce in una morale della compassione che consiste nella capacità di patire con l'altro,
giungendo ad emarginare l'egoismo come forma tipica della volontà di vivere. Non si tratta
di interpretare la compassione come un sentimento ma come un esperienza che ha un
valore ontologico. L'artista intuisce la volontà profonda tra sé e le cose così l'uomo
compassionevole intuisce la volontà profonda, il destino comune degli esseri come volontà.
Sente il dolore degli altri come proprio, la sofferenza è cifra comune con gli altri. Per questo
è spinto ad alimentare in sé un senso di giustizia che va oltre alla giustizia delle leggi. Chi
viva la volontà della compassione non evita di fare il male per il timore del castigo, ma
rinuncia ad ogni tipo di azione per non infliggere agli altri dolore neanche involontariamente.
Questa passività è alla base di un cammino ascetico.
Quest'ultima possibilità coincide con una ascesi più radicale, con un cammino che coincide
con una progressiva astensione, auto-sottrazione di quello che la vita comporta, fare a
meno di tutto ciò che è riconducibile alla nefasta azione della volontà di vivere su di noi.
Rinunciare quindi ad ogni forma di piacere, scegliere la castità , avere un atteggiamento
religioso di una religione coincidente al bisogno di liberazione del mondo immanente. Si
tratta di un cammino che coincide con una dimensione oscuramente definita da
Schopenhauer noluntas, la negazione della volontà. Indica la volontà da cui ci si è liberati,
non più la cieca libertà di viverre, ma un azzeramento della volontà. Quando la volontà è
davvero estinta, quando non si vuole più nulla si può superare lo stato di beatitudine
raggiungendo il Nirvana.
È facilissimo discutere e svuotare di significato questa proiezione nel Nirvana, perché è
assolutamente scontato che finché vivi non puoi sottrarti al dominio della volontà. È un
aspirazione di tipo unicamente consolatorio. Quindi è un aspetto fortemente contraddittorio
che segnano il pensiero di Schopenhauer. Schopenhauer muore nel 1860. Egli ha successo
solo nell'ultima parte della sua vita, dopo la morte di Hegel. Alla sua morte è uno degli autori
più letti e seguiti del momento.