Gli ex giocatori di football americano con una diagnosi di
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Gli ex giocatori di football americano con una diagnosi di
neuroscienze Contraccolpi devastanti Gli ex giocatori di football americano con una diagnosi di morbo di Lou Gehrig sono probabilmente vittime degli effetti cumulativi di traumi cranici ripetuti di Jeffrey Bartholet Kevin Turner, ex giocatore professionista di football americano, è stato vittima in carriera di almeno due commozioni cerebrali. In seguito gli è stata diagnosticata la SLA, o morbo di Lou Gehrig. Alcuni scienziati sono convinti che Turner soffra di un peculiare tipo di SLA, causato da commozioni ripetute, e che altri giocatori di football siano vittime di un destino simile. Gli scienziati hanno identificato alcune malattie che potrebbero essere attribuite a una commozione cerebrale, ma i risultati sono controversi. Alcuni scienziati paragonano il legame tra una commozione cerebrale e le sindromi degenerative simili alla SLA al legame tra fumo e cancro al polmone. Altri affermano che l’analogia è priva di fondamento scientifico. Tuttavia è ampio il consenso sul fatto che traumi cranici ripetuti, come quelli che riceve in carriera un giocatore di football, possano causare un danno al cervello. 74 Le Scienze Scott Cunningham/Getty Images In breve 524 aprile 2012 K evin Turner è stato un atleta di spicco della NFL, la più importante lega professionistica di football americano, un fullback eclettico: veloce, abile nell’intercettare la palla ovale e nel bloccare gli avversari. Con 186 centimetri di statura e 104 chilogrammi di peso, la sua stazza era di poco inferiore alla media del suo ruolo. Ma aveva una straordinaria potenza nelle gambe, che gli permetteva di lanciarsi in mischia anche contro giocatori più robusti di lui. Kevin ha giocato nei New England Patriots dal 1992 al 1994, poi nei Philadelphia Eagles, dove ha giocato fino al suo repentino ritiro, nel 1999. Lo chiamavano «esperto di scontri frontali», a causa delle numerose ammaccature sul casco collezionate nel tempo. Oggi Turner non può più nemmeno abbottonarsi la camicia. Quando l’abbiamo incontrato a Birmingham, in Alabama, poco tempo fa, il primo segno del suo handicap fisico è emerso mentre posava lo zainetto sulla panca, prima di sedersi. Teneva il braccio teso, come Frankenstein, e anche la spalla era rigida mentre allontanava lo zaino dal corpo facendolo oscillare. Ma erano visibili anche altri problemi, come le dita rattrappite e i pollici quasi inservibili. Per bere teneva il bicchiere bloccato fra i palmi delle mani. Poi, dopo avere provato inutilmente a sfilare l’anello di carta che avvolge i tovaglioli, si è voltato furtivo verso gli altri tavoli prima di strapparlo con i denti chinando la testa. «Non sto neanche a raccontarle quanto sia frustrante aprire una scatola di cereali: una vera impresa», mi spiegava Kevin, oggi quarantaduenne padre di tre figli, mentre uscivamo dal ristorante. Al mattino l’ex giocatore ha bisogno di una persona che lo aiuti a infilarsi i pantaloni, un compito che quel giorno aveva svolto la figlia undicenne, che lo aiuta anche a farsi la barba. Nel 2010 Turner ha ricevuto una diagnosi di sclerosi laterale amiotrofica (SLA), il morbo di Lou Gehrig. Nessuno ne conosce ancora le cause: in un numero di casi variabile dal 5 al 10 per cento la malattia è ereditaria; nei restanti, è una condanna a morte dettata dal caso. Inoltre, la ragione per cui si manifesta rimane misteriosa, e non esistono cure. Un gruppo di scienziati di Boston ritiene che Turner, pur manifestando i sintomi della SLA, potrebbe non avere questa malattia. Nello stesso periodo in cui l’ex giocatore ha ricevuto la diagnosi, questi ricercatori hanno scoperto quella che, secondo loro, sarebbe una malattia diversa ma con molti sintomi in comune con la SLA, una patologia che, come la sclerosi laterale amiotrofica, è incurabile. L’unica vera differenza è che la nuova malattia sembra avere una causa precisa: i ripetuti traumi cranici, frequenti sui campi di football americano. Questo dato è controverso. Molti specialisti di SLA hanno criticato le indagini scientifiche su cui si basa il nuovo studio, e temono che disorienti i loro pazienti. Sostengono che decenni di ricerche per dimostrare il legame tra traumi cranici e SLA sono stati, nel migliore dei casi, inconcludenti. A esasperarli, in particolare, è stata l’ipotesi, pubblicizzata nelle interviste, che Lou Gehrig non avesse sofferto del morbo che porta il suo nome. In una lettera al direttore del «Journal of Neuropathology and Experimental Neurology», più di una decina di medici e di ricercatori mettevano in discussione la scientificità dei risultati e lamentavano che «molti pazienti erano spaventati e confusi da queste affermazioni, e chiedevano se avevano ricevuto una diagnosi corretta». Ann McKee, neuropatologa alla Boston University e al Bedford VA Medical Center, nel Massachusetts, è una ricercatrice di primo piano in questo campo. Si dice dispiaciuta del fatto che la sua ipo- 76 Le Scienze tesi sul morbo di Gehrig abbia suscitato tante polemiche, ma è irremovibile sul rigore scientifico da lei adottato. Il suo studio originario si basava su tre casi; oggi ne ha altri cinque, più tre casi sospetti, in attesa di conferma. McKee e colleghi paragonano la loro battaglia a quella combattuta dagli scienziati quando cercavano di dimostrare che il fumo causa il cancro. Hanno trovato molta resistenza, ma sono convinti di riuscire a dimostrare che le commozioni cerebrali ripetute causano una malattia dei neuroni motori, provocando sintomi simili a quelli della SLA. Tuttavia, dati che indicano la possibilità che ripetute commozioni cerebrali causino altre forme di deficit mentale hanno indotto la NFL a cambiare alcune regole nel caso di colpi evidenti alla testa. Addirittura alcuni scienziati critici verso certi dettagli delle ricerche di McKee, o del modo in cui le ha presentate alla stampa, credono che i suoi risultati siano significativi. «Le osservazioni centrali dei suoi studi sono molto importanti – afferma Robert Brown, professore di neurologia alla University of Massachusetts Medical School – e le implicazioni per le politiche pubbliche sbalorditive». Disordine nel cervello Per cogliere la natura della controversia è utile spiegare che cosa succede al cervello di chi è vittima di una commozione cerebrale. Le nostre conoscenze attuali si basano principalmente su modelli animali – esperimenti con i roditori e con i gatti – e anche sull’osservazione di pazienti in terapia intensiva in seguito a gravi traumi cerebrali, e sulle neuroimmagini ottenute con la risonanza magnetica funzionale (fMRI) di vittime di lieve commozione cerebrale. Il quadro clinico è incerto, anche se le conoscenze stanno aumentando. Come spiega Christopher Giza, professore associato di neurologia pediatrica e di neurochirurgia all’Università della California a Los Angeles, che ha passato in rassegna la letteratura scientifica: «Prima era impossibile ottenere i dati necessari senza perforare la testa del paziente. Ma oggi le tecniche di imaging più avanzate ci danno un po’ di informazioni». Una cosa è chiara. Quando la testa, in movimento e con una discreta velocità, si ferma di colpo, le cellule cerebrali sono stirate, compresse e deformate. Nel loro stato normale, i neuroni funzionano trasmettendo corrente elettrica. Una parte della cellula chiamata assone opera come un cavo, conducendo la corrente tra le cellule. Gli ioni entrano ed escono dagli assoni in modo controllato, trasmettendo messaggi fra parti del cervello, e fra il cervello e le altre parti dell’organismo. Ma in caso di commozione cerebrale le membrane delle cellule nervose vengono danneggiate, e le cellule diventano più permeabili, spiega Giza. A quel punto, gli ioni entrano ed escono senza controllo: gli ioni sodio e quelli calcio entrano, e gli ioni potassio escono. A quel punto, il cervello deve ristabilire l’equilibrio. 524 aprile 2012 Quando ho chiesto a Giza se questo processo è paragonabile a un incidente automobilistico, mi ha risposto che un’analogia più calzante è la collisione di un sottomarino o di una nave: si aprono falle ovunque, e il personale si fa in quattro per salvare il salvabile. Nelle cellule danneggiate, alcune pompe microscopiche cercano di riportare gli ioni al loro posto. Ma le pompe hanno bisogno di energia, e le cellule sotto stress sperimentano una crisi energetica. Allo stesso tempo si verifica un altro disastro: quando gli ioni si precipitano all’interno distruggono lo scheletro della cellula. «È come se qualcuno lavorasse con la sega, tagliando montanti e sostegni», spiega Giza. Inoltre, il calcio attiva alcuni enzimi che possono indurre la cellula ad autodistruggersi. Nei casi più gravi, le cellule cerebrali si disgregano a causa di queste sollecitazioni fisiche. In quelli più lievi, o «subletali», come li chiama Giza, c’è un margine di guarigione, di cui però non conosciamo i tempi. Nei topi variano fra una settimana e dieci giorni. Ma nell’uomo sono più lunghi rispetto a questi roditori, che vivono due anni al massimo. Il nostro cervello quindi potrebbe impiegare più tempo per tornare a uno stato normale, sano. Che succede allora se, durante il recupero dopo l’emergenza, il cervello subisce un nuovo trauma, o magari più di uno? Dalle commozioni alla malattia stati colorati per rilevare le proteine tau e TDP-43, e altri marcatori. Su una parete del laboratorio era appesa una lista delle 28 regioni del cervello da analizzare, ma quella effettiva, mi aveva detto McKee, ne include quasi quaranta. La ricercatrice mi ha anche spiegato che i giocatori di football, non gli scienziati spaziali, hanno un cervello più grande rispetto all’uomo medio. «La ragione è che sono dei marcantoni», ha precisato. Eppure questi due cervelli non erano grandi come avrebbero dovuto. Il primo pesava 1120 grammi, e avrebbe dovuto pesarne almeno 1350; il secondo – che apparteneva a un ex giocatore molto più anziano – pesava appena 820 grammi. McKee mi ha indicato i deficit macroscopici: mancava un setto, e l’amigdala era «quasi inesistente». Per rilevare l’ETC, la ricercatrice deve osservare il tessuto colorato al microscopio. L’accumulo di tau nelle cellule cerebrali è indicativo della malattia. McKee osserva che c’è una correlazione tra le parti del cervello con una presenza anomala di tau e i problemi psicologici vissuti dal soggetto quando era in vita. La ricercatrice trova tau anormale nella corteccia frontale, l’area responsabile del controllo degli impulsi, della capacità di giudizio e del multitasking; e la trova pure in una struttura profonda del tronco encefalico, il locus coeruleus, associata con la depressione. In stadi successivi, tau si osserva anche nell’amigdala, che un ruolo nel controllo degli impulsi, e nell’ippocampo, importante per la formazione e la conservazione dei ricordi. Da tempo sappiamo che molteplici colpi alla testa possono causare un deficit mentale. In gergo pugilistico si dice che si diventa punchdrunk, rintronati. E in quello scientifico si parla di demenza del pugile. Tuttavia, da una decina di anQuando si verifica una commozione cerebrale, ni il problema si osserva anche nei giocatori di football americano: le autopsie le cellule vengono danneggiate. In modo simile a hanno individuato alcuni marcatori deluna collisione navale, si aprono falle ovunque la malattia, ora chiamata encefalopatia traumatica cronica (ETC). Dopo anni di smentite da parte della NFL e di Alcuni scienziati mettono ancora in dubbio, o addirittura negano, che alcuni ex giocatori della NFL soffrano di depressione grave, scetticismo della comunità scientifica, l’ETC «sta di perdita della memoria, di comportamento instabile o aggressivo, guadagnando consensi», ammette la ricercatrice. tutti causati dai ripetuti colpi alla testa ricevuti in carriera. Eppure, «Abbiamo superato il punto di svolta, e sempre più perun numero preoccupante di essi si è suicidato o è morto dopo una sone si schierano con noi». Addirittura la NFL ha cambiavita di disturbi mentali, e molti ex giocatori, preoccupati di ave- to idea e ha donato a scopo di ricerca un milione di dollari al re la malattia, hanno disposto la donazione del loro cervello in no- Center for the Study of Traumatic Encephalopathy della Boston me della scienza. Uno degli ultimi casi è quello di David Duerson, University, di cui McKee è condirettrice. Le sue scoperte più recenti sono ancora più controverse. Con i già stella dei Chicago Bears, che si è sparato al petto (non alla testa), lasciando istruzioni che il suo cervello fosse donato alla banca dei colleghi, McKee ha scoperto che nel 13 per cento dei casi di ETC cervelli della NFL, creata appunto per la ricerca. Come in molti altri studiati le persone decedute avevano anche una diagnosi di SLA: una percentuale molto alta, dato che nella popolazione generale casi, l’autopsia ha stabilito che Duerson aveva l’ETC. McKee ha eseguito l’autopsia di Duerson, ed è la responsabile la probabilità di sviluppare la malattia è di un adulto su 400. Neldi una banca con un centinaio di cervelli, di cui una trentina di ex le autopsie di questi casi McKee ha trovato proteina tau anormagiocatori della NFL. Nell’obitorio del Bedford VA Medical Center le, un segno indicativo di ETC, ma anche una quantità esagerata di ci sono sette congelatori in acciaio inox riempiti di gelidi cestel- proteine TDP-43, distribuite con un andamento anomalo. Al microscopio, TDP-43 ha l’aspetto di una lanugine scura, o rili stracarichi di materia cerebrale. Quando arrivano nuovi cervelli, McKee esegue le autopsie ed esamina al microscopio frammenti di corda i puntini delle pulci sul mantello dei cani. Di solito la proteitessuto. In particolare indaga il deposito anomalo di due proteine: na si trova nel nucleo delle cellule cerebrali, ma quando le cellutau e TDP-43. Il resto della materia cerebrale è congelato e conser- le subiscono un danno assonale e si ammalano le proteine escono dal nucleo e si accumulano nel citoplasma. La TPD-43 anomala si vato a –80 gradi Celsius, pronto per gli studi successivi. Durante una mia recente visita alla sua struttura, McKee mi ha osserva anche in pazienti con la SLA. Solo che, spiega McKee, nei mostrato due cervelli appena arrivati. Sembravano grossi blocchi cervelli da lei studiati, i cui soggetti erano affetti anche da ETC, la gelatinosi di corallo o di qualche altra creatura marina dei fonda- distribuzione di TDP-43 è diversa. La ricercatrice ha scoperto alculi. La ricercatrice, con il suo camice azzurro e un paio di guanti di ni depositi di TDP-43 sulla superficie del cervello, lungo i ventrigomma bianchi, ne ha rigirato uno fra le mani, da cui poi delicata- coli e nel tronco encefalico, un andamento tipico della SLA, spiemente ha tagliato una fetta spessa come un’unghia, che ha adagia- ga. Con il suo gruppo, McKee ha coniato un nuovo nome per la to in un contenitore di plastica. Poi i frammenti del tessuto sono malattia: encefalomielopatia traumatica cronica, o CTEM. www.lescienze.it Le Scienze 77 Conclusioni troppo ardite? Molti specialisti di SLA sostengono che McKee e colleghi si siano sbilanciati in affermazioni non sostenute dai fatti. «Il vuoto di conoscenze è notevole», dice Stanley H. Appel, condirettore del Methodist Neurological Institute, a Houston. Che aggiunge: «Non sappiamo quante commozioni cerebrali ci vogliano, né quali siano i fattori di rischio. Perché a 10 o 15 anni dall’ultimo trauma cranico si sviluppa una malattia così devastante? Urgono una riflessione e un’indagine scrupolose, verso le quali, peraltro, non sono critico. Piuttosto, le mie critiche sorgono quando ricevo telefonate da decine di pazienti in preda al panico, convinti di avere ricevuto una diagnosi sbagliata». Un punto su cui Appel e McKee sono d’accordo è che la SLA è una sindrome, non una singola malattia. Come la demenza è una grande categoria di malattie, così la SLA è una categoria di sintomi clinici. Secondo McKee, la CTEM rientra nell’ambito della SLA, un disturbo diverso causato da ripetute commozioni cerebrali. Appel pensa che sia «un salto teorico troppo ardito», non giustificato dai dati pubblicati. Appel sospetta che i cervelli esaminati da McKee, caratterizzati da una degenerazione dei motoneuroni, fossero in realtà affetti da due malattie: ECT e SLA. Queste critiche mettono in luce che gli studi più solidi non hanno dimostrato il collegamento tra commozioni cerebrali e SLA. «È possibile che il trauma sia la causa della SLA?», si chiede Appel. «Certo. Eppure, scienziati di spessore la studiano da trent’anni e non sono ancora riusciti a dimostrarlo». I pazienti, più che considerare sfumature e dettagli del processo scientifico, valutano la propria condizione. È probabile che si fidino dei propri ricordi, e della conoscenza di prima mano del loro corpo e della loro mente, per valutare che cosa sta succedendo. Turner, i suoi familiari e gli amici sono certi che lui abbia la ECT, e quasi sicuramente anche la CTEM. Si sentono in qualche modo sollevati, per quanto sembri paradossale, dal fatto di avere una spiegazione su che cosa è andato storto nella vita di quest’uomo. «Ho cominciato a giocare a football all’età di cinque anni», ricorda Turner. «Da sempre amo questo sport, che ha riempito la mia vita fino a 31 anni. Certo, sapevo che sulla sessantina avrei avuto problemi alle ginocchia e dolori alla schiena e al collo. Mai nessuno però mi aveva accennato al cervello. Mi dicevano: “colpisci con la fronte”. Era l’unico modo in cui mi riusciva». Turner ricorda due volte nella sua carriera da professionista in cui è stato vittima di commozioni cerebrali gravi: la prima con i Patriots, la seconda con gli Eagles. Dopo il secondo incidente ricorda di avere giocato un altro trimestre, ma non ricorda in quale città, se Philadelphia o Green Bay. «Ma devono essere successi al- 78 Le Scienze R e a z i o n e r i ta r d ata meno un centinaio di episodi in cui il mio cervello è stato sballottato», racconta. «Che cos’è una commozione cerebrale? Quali sono i suoi criteri? Quando senti i campanellini dentro la testa? Quando vedi delle macchie? O quando ti senti stordito? Sono sensazioni che ho provato molte volte, soprattutto in allenamento». Una lesione cerebrale può causare la degenerazione e infine la morte di singoli neuroni a distanza di anni dalle commozioni cerebrali originarie. In una di questa patologie, la CTEM, malattia che somiglia al morbo di Lou Gehrig, le proteine stabilizzanti tau si staccano dai microtubuli, cioè dal sostegno degli assoni, le strutture allungate filamentose dei neuroni. I microtubuli quindi si disgregano e le proteine tau formano aggregati dannosi per la cellula. Allo stesso tempo le proteine TDP-43, che regolerebbero l’attività dei geni, si spostano dal nucleo al citoplasma, dove formano aggregati tossici. Nella CTEM, lo spostamento di tau e di TDP-43 può danneggiare il normale funzionamento cellulare e causare anche la morte del neurone. Una sentenza di condanna. Che fare? Diverse testimonianze dicono che Turner fosse un bambino determinato e meticoloso, un modello di comportamento che lo avrebbe accompagnato anche da adulto. «Era bravo e schietto, sempre puntuale», racconta Craig Sanderson, amico e compagno di stanza all’Università dell’Alabama, a suo tempo wide receiver – specialista nella ricezione dei passaggi – con l’Alabama Crimson Tide. «All’epoca in cui dividevamo la stanza, teneva tutte le cose in ordine», prosegue Craig. Adesso però il soggiorno di Sanderson dimostra fino a che punto è cambiato il suo amico in questi ultimi anni. Capita che Turner trascorra qualche giorno dai Sanderson, e i suoi effetti personali sono sparpagliati per la stanza. «Ho assistito a un vero cambiamento di personalità: oggi Kevin fatica a portare a termine un qualunque compito», spiega Craig. Sanderson e l’ex moglie di Turner, Joyce, dicono che l’uomo ha sofferto di depressione. In un primo tempo pensavano che la causa fossero il ritiro dallo sport attivo e dai riflettori, che fossero i cambiamenti esistenziali dovuti al ritorno a una vita normale. Turner però fu anche soggetto a una grave dipendenza da antidolorifici quando lasciò lo sport. E, come ciliegina sulla torta, la sua agenzia immobiliare andò a rotoli. Non è difficile immaginare che i suoi problemi psicologici, come la depressione e la mancanza di determinazione, fossero collegati a queste difficoltà. Ma gli amici e la famiglia dicono che quei problemi non fanno parte della sua natura e hanno una spiegazione diversa: i suoi fallimenti personali sono tipici di numerosi altri ex giocatori, il cui cervello, come rivela l’esame autoptico, è stato messo a soqquadro dalla proteina tau. I cambiamenti comportamentali e di personalità «si possono considerare psicologici, ma in realtà sono strutturali», sostiene McKee. «La ECT ha attirato la mia attenzione perché mi risulta che diversi giocatori abbiano avuto molti problemi identici ai miei», spiega Turner, che ha creato una fondazione per sostenere la ricerca su questo tema. «Ancora non so se questa malattia sia la ragione dei miei problemi, ma per me è importante sapere di non essere solo. Almeno altre 14 persone hanno vissuto le mie stesse traversie: dipendenza, divorzio, bancarotta. Ero proprio nel gruppo speciale che aveva sviluppato la SLA. Ma è un sollievo da poco sapere che non sono stato l’unico a perdere tutto in una notte». La tau anormale può essere scoperta solo con l’autopsia, e dunque la situazione non sarà chiara fino a quel momento. Per questo Turner ha disposto la donazione del suo cervello e del midollo spinale al gruppo di ricerca di McKee. Ma lui e la sua famiglia sono fiduciosi su ciò che mostreranno i risultati. Eppure Turner non ha smesso di amare il football. I suoi due figli, Nolan di 14 anni e Cole di 8, lo praticano. Ma l’autunno scorso lui li ha fatti smettere. Desidera trascorrere del tempo con i ragazzi fino a quando ha ancora l’uso delle gambe, e vuole che il più piccolo eviti possibili commozioni cerebrali, almeno fino a quando frequenterà la scuola media. «Se abbandonano il football sarò contento, ma sarà dura farli smettere», dice il padre, che pure conserva un amaro senso dell’umorismo sulla sua complicata situazione. «È stato una parte importante della mia vita, e non potrò mai odiare questo sport. Lo stesso discorso vale per la mia ex moglie: è un sentimento che non riesco a provare. 524 aprile 2012 Dopo commozioni ripetute Morte di un neurone TDP-43 nel nucleo Molecole tau stabilizzanti Microtubulo normale TDP-43 nel citoplasma Microtubulo che si disintegra Neurone Assone Condizione normale Illustrazione di Emily Cooper La ricercatrice sottolinea che i suoi studi non sono completi. Per esempio non è chiaro il ruolo preciso delle proteine tau e TDP-43 come causa delle malattie, sempre che abbiano un ruolo. «La patologia ha stabilito che il problema esiste, ma molte domande sono senza risposta», aggiunge. Eccone alcune: perché alcune persone manifestano i sintomi relativamente presto, e altre dopo molti anni? Perché persone vittime di ripetuti traumi cranici non hanno mai avuto problemi? E poi, c’è una predisposizione genetica? Le stesse domande potrebbero valere anche per il rapporto tra fumo e tumori, sostengono McKee e colleghi. Oggi però nessuno mette più in dubbio che il fumo causa il cancro. Joyce Turner prova rabbia per la situazione. «Era un ragazzo spensierato. Poi, di colpo si è depresso», si sfoga. «Non voleva che le sue sofferenze venissero alla luce. Ma era incapace di prendere una decisione, non portava a termine nulla. Mi sembrava di vivere con un quarto figlio o con un fratello, o con la migliore amica, verso la quale covi sempre rabbia. Tre anni prima della diagnosi di SLA, Kevin aveva pensato di uccidersi. In casa aveva delle pistole. Mi aveva detto che voleva togliersi la vita perché non si sentiva più lo stesso di prima. Solo che non ci riusciva. Sa, i bambini». «Provo rabbia per tutti i suoi problemi, emotivi e fisici, causati dal football. Quando si faceva male alle ginocchia consultava i migliori chirurghi e fisioterapisti. Ma quando prendeva una botta allatesta riprendeva subito a giocare. È come quando non sapevamo che fumare fa male alla salute», rincara Joyce. I critici sostengono che l’analogia non regge. Carmel Armon, direttore della divisione di neurologia del Baystate Medical Center di Springfield, nel Massachusetts, e professore di neurologia alla Tufts University School of Medicine, è convinto che i dati che collegano il fumo al cancro, risalenti addirittura agli anni cinquanta, siano molto più solidi rispetto a quelli di McKee e colleghi sul rapporto tra commozioni cerebrali e malattia dei motoneuroni. Per Armon sono prove scarse, inutilizzabili per stabilire nessun’altra associazione, se non la coesistenza fortuita di due malattie: ETC e SLA. «Sono molte le interpretazioni di questi dati, anche quando sono inequivocabili», spiega Armon. Per esempio le proteine tau e TDP-43 potrebbero essere gli agenti causali della malattia cerebrale, ma potrebbero anche essere parte del meccanismo di risposta per combattere la malattia. E se anche fossero causali potrebbero avere un ruolo in due malattie differenti. «I dati non dicono che ETC e CTEM fanno parte di un profilo continuo», ribadisce. www.lescienze.it Accumulo di tau (dentro il neurone) Fatta questa premessa, Armon aggiunge di non avere comunque alcun dubbio sul fatto che le commozioni cerebrali fanno male. «Diventa una questione di natura sociale: perché la società incoraggia sport dove siamo soggetti a traumi multipli?», si domanda. E rincara: «Un tempo c’erano i gladiatori, oggi non più. Nessuna seria discussione scientifica potrà mai dire che le commozioni ripetute fanno bene». È un punto su cui McKee si trova d’accordo. Solo che lei vuole trovare una terapia. Crede che il suo lavoro sia mirato a capire meglio come le commozioni cerebrali causano la degenerazione del cervello e possa produrre «enormi conoscenze mirate a possibili terapie». Nel caso di persone come Kevin Turner e la sua famiglia forse è troppo tardi. Ma questa è l’unica speranza. n per approfondire Offensive Play: How Different Are Dogfighting and Football? Gladwell M., in «The New Yorker», 19 ottobre 2009. TDP-43 Proteinopathy and Motor Neuron Disease in Chronic Traumatic Encephalopathy. McKee A.C. e altri, in «Journal of Neuropathology and Experimental Neurology», Vol. 69, n. 9, pp. 918-929, settembre 2010. Concussions: The Hits That Are Changing Football. King P., in «Sports Illustrated», Vol. 113, n. 16, pp. 34-40, 1° novembre 2010. Trauma, TDP-43, and Amyotrophic Lateral Sclerosis. Appel S.H. e altri, in «Muscle and Nerve», Vol. 42, n. 6, pp. 851-852, dicembre 2010. Correspondence Regarding: TDP-43 Proteinopathy and Motor Neuron Disease in Chronic Traumatic Encephalopathy. Bedlack R.S. e altri, in «Journal of Neuropathology and Experimental Neurology», Vol. 70, n. 1, pp. 96-97, gennaio 2011. Duerson’s Brain Trauma Diagnosed. Schwarz A., in «The New York Times», 2 maggio 2011. Handling the Rough Game: The Slow Evolution of Sports Medicine. Martinez S.J., in «The Atlantic», pubblicato on line il 17 ottobre 2011. Le Scienze 79