aprile - Senza Soste
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Periodico livornese indipendente - anno X, n. 103 - in uscita dal 18 aprile 2015 OFFERTA LIBERA Poste italiane S.p.A. Spedizione in Abb. Post. 70% Regime libero aut. cns/cbpa/centro1 Validità dal 05/04/2007 www.senzasoste.it Renzi: manierismo digitale e menzogne NIQUE LA POLICE N ella storia dell’arte il manierismo è un giudizio, sostanzialmente severo, del ‘700 artistico, sul periodo della “maniera” che ha conosciuto grande fulgore soprattutto nel ‘500 italiano. Visto dal ‘700, il manierismo rappresenta non il mondo come si pensa che sia, nella sua originalità, ma secondo lo stile e i canoni di rappresentazione rigorosamente dettati dai maestri. Come dire, in un certo modo liquidatorio: lo stile che divorzia felicemente dal mondo reale. Di maestri fiorentini il manierismo ne ha conosciuti molti: da Andrea del Sarto, all’impareggiabile Benvenuto Cellini e tantissimi altri definibili “minori” solo da una critica che non percepisce la complessità dell’arte. Nel mondo contemporaneo, originario dei dintorni di Firenze, si sta invece imponendo all’attenzione della critica il manierista digitale Matteo da Rignano a.k.a. Matteo Renzi. Nei 140 caratteri di Twitter deve rappresentare un mondo a parte, un artefatto digitale che, per magia, divorzia violentemente dalla realtà proprio nel momento in cui ne parla. Un esempio? Il 2 gennaio 2015 le agenzie di stampa evidenziano il seguente manufatto digitale di Matteo da Rignano: “Tasse meno 18 miliardi (80 euro, Irap, bebè, contratti tempo indeterminato). Si può fare di più. Ma dopo anni intanto per la prima volta meno tasse”. Si tratta di un tweet, in Renzi presto elevato ad arte del politico, di una serie contrassegnata dall’hashtag #Buon2015 .Tempo poche settimane e, di quel tweet, il critico può certificare l’assoluto, solare, manieristico divorzio dalla realtà. Infatti, secondo dati Istat, proprio negli stessi giorni in cui Matteo Renzi twittava, la pressione fiscale saliva. Proprio ai livelli record del 50,3 per cento nell’ultimo periodo rilevato. Come si vede il manierismo digitale di Renzi è rispettoso della forma espressiva, entro i 140 agili caratteri di Twitter, ma altrettanto seccamente netto nel distacco dal mondo reale del manierismo fiorentino del ‘500. Giova anche ricordare che, nel secolo scorso, il manierismo è stato rivalutato, proprio per il suo sottinteso rapporto allucinato con il reale, dal surrealismo. Evvai Matteo, ci sono tutti i segni che almeno al surrealismo digitale ci sei arrivato. Un bel cinque con Jovanotti e in culo alla balena. Giunte immobili I documenti relativi ai beni immobili del Comune di Livorno fanno trasparire una gestione pigra e poco attenta all’interesse pubblico. E la nuova Giunta per ora non sembra aver voltato pagina. Mancanza di tempo, di interesse o di capacità? U no dei corsi che l’Università Popolare Alfredo Bicchierini ha proposto quest’anno, quello di “Diritti e partecipazione”, è stato dedicato in buona parte allo studio del bilancio e del patrimonio comunale. Al termine del corso è stato deciso di provare a mettere in piedi un osservatorio permanente. I documenti a cui è stata data una prima occhiata sono l’elenco degli affitti attivi, quello degli affitti passivi e il piano delle alienazioni e valorizzazioni. È ancora presto per trarre delle conclusioni, ma con questo articolo vogliamo fare un breve riassunto e creare curiosità intorno all’argomento. Affitti passivi Gli affitti più cari che paga il Comune riguardano le case di riposo di via Passaponti e viale Boccaccio (poco meno di 80mila euro l’anno ognuna), di proprietà dell’Asl, e l’Emeroteca di via del Toro (di proprietà della ditta Bartolozzi Costruzioni), con 77.638,68 euro. Pesano molto anche gli affitti di due immobili utilizzati come magazzini: quello di via Grotta delle Fate 19 (ex Fuoricentro) che costa 37.297,612 euro, e quello di via Lamarmora 2C, con 39.026,64. Il primo, che misura 947 mq, ci dicono che sia proprietà della Spil, ma non siamo riusciti a sapere cosa contenga, mentre nel secondo - 800 mq - ci risulta che siano stoccati gli arredi dei seggi elettorali e altre proprietà comunali come ad esempio i palchi. A questi prezzi non converrebbe comprarlo un capannone? O trasferire tutto in strutture di proprietà comunale? Desta curiosità anche il fondo di via San Giovanni 13, nel Palazzo del Portuale, di 190 mq. È indicato come sede di un “Ufficio di piano”, ma non ci sono né insegne né targhe comunali, e ci costa 18.000 euro l’anno. Un immobile di 308 mq posto all’angolo tra via Pollastrini e gli scali Finocchietti viene invece utilizzato dagli uffici comunali e ci costa 28.281,12 euro, mentre per un locale in largo del Cisternino 8, segnalato come pertinenza della ex Casa della Cultura, si pagano circa 8mila euro l’anno (ma l’indirizzo sembra essere errato perché si tratta di un condominio posto sul lato opposto del “Cisternino del Picchianti”). La Casa Famiglia “La Palma” sul viale Carducci costa circa 2.700 euro al mese, una bella cifra per 243 metri quadri in quella zona. Affitti attivi Tra le locazioni da cui il Comune di Livorno ricava un’entrata, il primo posto (10.471,23 euro mensili) spetta all’immobile di in via Toscana 32, cioè il supermercato Coop di Coteto. Al secondo posto (2.908,14 euro mensili) la palazzina di via del Molo Mediceo 13, su cui spicca l’insegna degli ormeggiatori. L’elenco è composto solo da una ventina di immobili, per cui viene da pensare che molte strutture non vi compaiano perché concesse a titolo gratuito e quindi è stato richiesto anche questo elenco all’Ufficio Patrimonio. Piano delle alienazioni e valorizzazioni È un documento in cui le Amministrazioni indicano quali immobili intendono “alienare” o “valorizzare”. Dell’ultimo piano, approvato a dicembre 2014 dalla Giunta Nogarin, la cosa che colpisce è che continuano a comparire immobili interessati da operazioni decise dalla vecchia giunta. Stiamo parlando ad esempio delle aree del Mercato Ortofrutticolo, che la nuova Giunta voleva mantenere di proprietà pubblica, di quelle di Vallin Buio che erano destinate a “polo delle nocività”, per le quali nel piano invece si parla di cessione a Spil, e quelle di Banditella coinvolte nella costruzione del nuovo ospedale, destinate ad essere scambiate con i padiglioni IV e V dell’ospedale di Viale Alfieri. Si tratta di una svista o le procedure stanno andando avanti? Non è che poi ci troveremo di fronte ad una situazione irreversibile? Altro punto importante è la cessione di due immobili “attuale sede“ di scuole d’infanzia, per le quali non è possibile l’adeguamento alle nuove normative. Nel 2011 si parlava di un loro trasferimento nell’area di via del Fagiano, che però è inserita anch’essa nel piano. Quindi verranno diminuiti i posti a disposizione dei bambini? Proseguiamo: la messa in vendita di due circoscrizioni, la 3 e la 4 è un grave danno d’immagine per un movimento politico come il 5 Stelle che fa della partecipazione uno dei suoi cavalli di battaglia. Tra l’altro i locali della 3 e della 4 non ci sembrano così malmessi. Perché alienarle? Perché non è stato indetto un bando per piani di autorecupero diretti alle associazioni? Scorrendo, troviamo poi alcuni terreni e un fabbricato rurale a Colognole, per i quali siamo sicuri, visto il grande successo degli orti urbani di via Goito, che si troverebbero molte persone interessate alla loro valorizzazione e gestione. In centro ci sono invece le serre abbandonate di via degli Archi. E c’è anche l’ex ostello di Villa Morazzana (nella foto), che fa parte di un polo con straordinarie potenzialità turistiche e culturali: Villa Maurogordato (di proprietà provinciale), Villa Rodocanacchi (ex sede legale dell’Asl) con il suo parco di 11 ettari chiuso da anni, e il Centro Basaglia, anch’esso in via di dismissione nel quadro della sciagurata svendita pro-nuovo ospedale. Un quadrilatero da sogno alle porte delle colline livornesi (già, ma il parco?) che un’Amministrazione attenta dovrebbe promuovere. A quasi un anno dall’insediamento della nuova Giunta, la gestione dei beni immobili non ha minimamente risentito del cambiamento politico avvenuto in città e tutto sembra “copiaincollato” dai documenti della vecchia Amministrazione. E la cittadinanza non è stata coinvolta né con nuovi organismi partecipativi, né con bandi per un utilizzo alternativo di questi beni. Mancanza di tempo, di interesse o di capacità? Senza Soste redazione 2 internazionale anno X, n. 103 MEDIO ORIENTE/1 - Per l’Occidente la “lotta al terrorismo” nello Yemen può aspettare NELLO GRADIRÀ L o Yemen, grande quanto la Francia, a differenza dei suoi potenti vicini della penisola arabica è uno dei paesi più poveri del mondo. La sua popolazione (circa 24 milioni di abitanti), quasi interamente araba, è divisa tra una maggioranza sunnita (53%) e una minoranza di sciiti zayditi (47%), prevalenti nella regione nord-occidentale di Sa’dah. Lo Yemen è indipendente dal 1918, quando crollò l’Impero Ottomano. Nel 1962 a Sana’a l’Imam al-Badr (sciita) fu destituito da un golpe e fu proclamata la Repubblica araba dello Yemen del Nord, sostenuta dall’Egitto di Nasser, mentre nel 1971 nel Sud nacque la Repubblica Democratica Popolare (di stampo marxista), con capitale Aden. I due Stati si riunificarono nel 1990 e ne divenne presidente lo sciita Ali Abdallah Saleh, che era già stato alla guida del Nord fin dal 1978. A partire dal 2004, il movimento armato zaydita Houthi (noto anche come Ansar Allah) ha combattuto ben sei volte per l’indipendenza contro il governo di Saleh. Nonostante l’intervento saudita, il movimento ha resistito e ha acquistato credibilità. Sull’onda della cosiddetta Primavera Araba del 2011, Saleh è stato abbattuto e sostituito dal suo vice Mansour Hadi (sunnita), ma gli scontri tra le due principali fazioni religiose sono prose- Il complicato risiko yemenita guiti e i morti sono stati migliaia. La nuova ribellione armata houthi nel gennaio scorso è scaturita da un progetto di federalismo che avrebbe marginalizzato le regioni del nord. Le milizie di Ansar Allah, appoggiate da reparti dell’esercito fedeli a Saleh, hanno preso il controllo della capitale e di altre sette province, tra cui Taiz e Aden. Hadi si è dimesso ed è fuggito. L’alleanza tra Saleh e gli houthi, dopo le battaglie del decennio precedente, non deve sorprendere: gli houthi hanno bisogno di un leader sciita riconosciuto e Saleh ha bisogno di truppe per rovesciare il governo. Hanno inoltre un nemico comune: il partito Al Islah, il ramo yemenita dei Fratelli Musulmani, alleato di Hadi e sostenuto dal Qatar. A questo punto è sceso in campo un nuovo protagonista: lo Stato Islamico, che ha rivendicato gli attentati suicidi che hanno provocato centinaia di morti nelle moschee sciite. Gli islamisti radicali avevano fatto la loro comparsa nello Yemen nel 1994, quando i veterani della guerra contro i sovietici in Afghanistan tornarono e contribuirono a soffocare una rivolta che intendeva ricostituire la Repubblica Popolare nel Sud. Cacciati dall’Arabia Saudi- ta, i jihadisti stabilirono le proprie basi nello Yemen finché nel 2009 dall’unificazione dei rami yemenita e saudita di Al Qaeda è nata Aqpa (Al Qaeda nella Penisola Arabica). Nonostante le campagne statunitensi di omicidi mirati e bombardamenti con i droni, che sotto Obama si sono moltiplicati rispetto ai tempi di Bush, Aqpa non è stata annientata ed anzi lo Yemen è diventato uno dei nodi più importanti del jihadismo internazionale. In questo rompicapo l’Occidente e il suo miglior alleato nella regione, l’Arabia Saudita, che ha 1700 chilometri di frontiera con lo Yemen, si sono trovati di fronte ad una scelta: contrastare lo Stato Islamico e Aqpa in nome della “lotta al terrorismo”, o impedire un rafforzamento del pericolo pubblico numero uno, l’Iran sciita che sostiene gli houthi. L’Iran controlla direttamente lo stretto di Ormuz che consente l’accesso al Golfo Persico. Se gli Houthi conquistassero lo Yemen, potrebbe minacciare anche lo stretto di Bab el-Mandeb, da cui passano tre milioni di barili di petrolio al giorno diretti nel Mar Rosso e quindi attraverso Suez nel Medi- terraneo. L’Arabia Saudita alla fine ha deciso di intervenire direttamente contro gli houthi e il 26 marzo ha lanciato l’operazione “Decisive Storm”, il più imponente intervento militare della sua storia recente. All’operazione, sotto la bandiera della Lega Araba, partecipa una coalizione che comprende dieci paesi tra cui Pakistan ed Egitto. Insomma, la “lotta al terrorismo” può aspettare. Del resto questi strani islamisti radicali non hanno ancora sparato un colpo contro Arabia Sau- L’intervento dell’Arabia Saudita punta a garantire la libera circolazione delle superpetroliere nel Mar Rosso dita (e Israele) e sembrano prendersela soprattutto con gli sciiti, i kurdi e i palestinesi. Intanto però l’Arabia Saudita (e Israele) hanno dovuto incassare il brutto colpo dell’accordo sul nucleare tra Usa e Iran. Vedremo come finirà questa drammatica partita di risiko. MEDIO ORIENTE/2 - Nell’ex paese governato da Assad sono in corso due differenti conflitti DARIO MASSIMO NENALI I motivi del caos siriano, ingarbugliato da quattro anni di guerra civile, sono radicati nella storia stessa del paese: esistono numerose minoranze, da quella curda stimabile nel 10% della popolazione, concentrata nel nord del paese e nella città di Aleppo, a quelle turcomanne, assire, circasse, persino cecene, diffuse in tutto il territorio. Alla varietà etnica si sovrappone quella religiosa: i sunniti, che esprimono la maggioranza della popolazione, sono divisi in molteplici fazioni politiche, molte delle quali radicali; ad essi si aggiungono sciiti, alawiti, drusi, cristiani, zoroastriani. Per circa cinquant’anni gli Assad hanno detenuto saldamente il potere politico in equilibrio tra la dittatura militare e la dinastia familiare, sotto il segno del partito Baath (di ispirazione socialista araba) e dell’appartenenza sciita. I paesi occidentali avevano sostenuto sin dal 2011 la creazione di un Esercito Siriano Libero (Fsa) per contrastare l’esercito regolare. Tuttavia l’Fsa è un aggregazione di decine di gruppi armati uniti soprattutto dai finanziamenti occidentali: nel corso degli anni esso ha ceduto potere ed uomini a vantaggio di Daesh (Isis) e del Fronte Islamico, più efficaci nell’or- Le guerre parallele in Siria ganizzazione militare e nella proposta politica. Gli attori in guerra Al momento esistono almeno 5 attori chiave nel conflitto siriano: 1) il Fronte Islamico, la fazione più attiva, presente dal Nord al Sud a ridosso delle principali città (Aleppo, Idlib, Damasco, Daraa), di ideologia salafita e jihadista. Non riconosce la Coalizione Nazionale Siriana come interlocutore politico e mira ad instaurare un emirato islamico in Siria. È pesantemente finanziato dall’Arabia Saudita, che controlla in parte anche le decisioni strategiche sul campo; 2) il Fronte Al Nusra, affiliato ad Al Qaeda, presente attorno ad Aleppo e Idlib; 3) il Daesh (oggi comunemente chiamato Isis), che controlla l’Est desertico del paese dal confine iracheno verso Raqqa (il loro quartier generale), parte di Der ez Zor e dell’Ovest nella provincia di Aleppo e in molti punti del Nord a contatto con il confine turco; 4) il Rojava, la regione autonoma curda costituita dai tre cantoni di Afrin, Cizre e Kobane a ridosso del confine turco e curdoiracheno; 5) l’esercito siriano fedele agli Assad che non ha ceduto il controllo di nessun capoluogo tranne Raqqa e Idlib, gestisce le parti arabe delle città di Hasakah e Qamishlo (le parti curde sono in mano alle YpgYpj) e combatte con tenacia a Damasco ed Aleppo. La situazione sul campo è però molto fluida: le fazioni antiAssad creano e rompono alleanze con frequenza e non è raro che pur in presenza di un’alleanza territoriale da una parte, le stesse fazioni siano in lotta in un’altra zona del paese. Il Fronte Islamico mira alla creazione di due di- stinte aggregazioni militari: l’Esercito della Conquista e il Fronte del Levante. Il primo è l’unione di sette gruppi armati tra cui il Fronte Islamico ed Al Nusra ed è stato creato per prendere la città di Idlib, secondo capoluogo (dopo Raqqa) fuori dal controllo di Assad. Qui è entrata in vigore la legge islamica. Il Fronte del Levante invece unisce diverse formazioni islamiste (Al Nusra esclusa) ed è localizzato ad Aleppo nella battaglia per il controllo della più grande città siriana del Nord. Il Rojava A pochi chilometri sembra svolgersi un’altra guerra: le unità di difesa del popolo (Ypg) e quelle delle donne (Ypj), che controllano i tre cantoni autonomi del Rojava, lottano contro i miliziani di Daesh che per lunghi mesi hanno assediato Kobane senza successo ma ne hanno distrutto quasi interamente l’abitato. La linea di combattimento rimane mobile con le forze curde a dar battaglia attorno alla città di Sarrin, ultimo avamposto di Daesh nel cantone di Kobane, e attorno a Tall Tamer, nel cantone di Cizre. In queste manovre le armate di Assad restano in disparte perché danno priorità alla lotta contro i ribelli del Fsa piuttosto che contro Daesh. Solo alcune unità del Fsa stanno supportando la riconquista del cantone di Kobane grazie ad un’alleanza che ha messo fine anche agli scontri attorno al cantone di Afrin, nel nordovest siriano. Così in Siria è come se si conducessero due guerre differenti e parallele: una nel Nord, tra curdi e Daesh, una nel centro e nel sud tra Fsa, Fronte Islamico ed esercito regolare, con Al Nusra talvolta come attore autonomo, altre volte legato alle forze antiAssad. in uscita dal 18 aprile 2015 3 interni EXPO - La rassegna milanese minata nell’immagine da multinazionali, speculazioni e lavoro gratuito FRANCO MARINO E xpo 2015 sarà un’esposizione universale che si svolgerà a Milano a partire dal 1 maggio fino al 31 ottobre 2015. Il tema principale sarà ‘’Nutrire il pianeta, energia per la vita’’, vale a dire sviluppo sostenibile, ecologia e condivisione di benessere a livello globale. Per ospitare Expo 2015 la città di Milano ha messo a disposizione una delle ultime aree verdi della città per circa un milione di metri quadri dove, dopo la cementificazione, sono stati costruiti gli stand e i padiglioni. I visitatori previsti durante i 6 mesi di esposizione sono circa 20 milioni. La domanda che fin dall’inizio i gruppi No Expo si sono fatti è: sarà un evento mirato a mettere in discussione gli errori commessi in campo economico, ecologico e sociale dalla nostra società per promuovere un nuovo modello di sviluppo o invece, dietro a una facciata di millantata eco-sostenibilità, si nasconderanno i soliti interessi, le solite multinazionali e le solite strategie di sviluppo che vedono come unico protagonista il lucro? Domanda retorica. Le multinazionali dell’insostenibilità Expo 2015, ad esempio, dedicherà un padiglione ai produttori della Coca Cola. Solo per l’altissima concentrazione di zucchero, questa bevanda è considerata a livelli di rischio per il corpo umano e una delle prime cause di obesità. Senza contare le accuse documentate dalla Harvard University sulle potenzialità corrosive a livel- La truffa Expo 2015 lo osseo e di quelle sull’uso di Ogm. In India, numerose comunità hanno denunciato lo spropositato sfruttamento delle risorse idriche, mentre a Panama la Coca Cola è stata condannata al pagamento di una multa di 300.000 dollari per l’inquinamento provocato all’ecosistema locale attraverso lo scarico non autorizzato di acque inquinate. In Colombia sono cronaca contemporanea, invece, le uccisioni dei sindacalisti scomodi. Un altro partner sarà Eni di cui sono più o meno note le modalità estrattive e i disastri compiuti nel delta del Niger. È il caso ad esempio del gas-flaring: nonostante il governo lo abbia vietato dal 1978, è praticato impunemente da Eni che brucia a cielo aperto il gas che fuoriesce dai giacimenti durante l’estrazione del petrolio, non recuperandolo come avviene nei paesi occidentali, perché troppo dispendioso. E quindi è più profittevole ammalare ambiente e popolazione. La percentuale di tumori nella regione è schizzata alle stelle, rapporti sanitari parlano di aborti e malattie croniche della pelle e delle vie respiratorie. Insomma, l’Expo 2015 sarà la grande fiera del saccheggio globale e di quell’industria energetica e agroalimentare che ha come unico obiettivo quello di valorizzare i propri capitali quotati in borsa e non certo quello di nutrire il mondo in modo sano. Ed a corollario ci saranno tutta una serie di multinazionali delle armi come Selex, o dell’energia come Enel, che ultimamente ha puntato anche su carbone e nucleare. Speculazioni e lavoro gratuito È notizia ormai quotidiana che la grande esposizione abbia trascinato con sé corruzione e infiltrazioni mafiose negli appalti, oltre che alti costi per la collettività a fronte delle briciole di ritorno. Due esempi su tutti. Il primo è che, solitamente, per le esposizioni universali si scelgono terreni di proprietà pubblica. In questo caso l’area è invece privata. È stata acquisita da una società costituita ad hoc (Areaexpo Spa), pagando ben 49.615.642,50 euro di soldi pubblici al costruttore milanese Cabassi. Infine il lavoro: “Expò sarà un’enorme opportunità di lavoro”, dicevano. Con un accordo del luglio 2013 l’ente Expo, le imprese e le istituzioni han- no concordato con Cgil-Cisl-Uil che gran parte di coloro che faranno funzionare la Fiera lo faranno gratuitamente. Circa 800 persone lavoreranno con contratti a termine, di apprendistato o da stagista, che garantiranno una retribuzione di 400/500 euro mensili. Siccome i contratti e le leggi avrebbero previsto condizioni più favorevoli per i lavoratori, si è applicato quel principio della deroga normativa, con- CocaCola, McDonald’s, Eni e tante altre: il trionfo del sistema multinazionale e della loro nocività globale tro il quale la Cgil si era spesso pronunciata. Ma questi 800 lavoratori sottopagati sono comunque una élite rispetto agli altri che avranno un orario giornaliero obbligatorio e turni ma senza alcuna retribuzione. Saranno considerati volontari e riceveranno solamente dei buoni pasto quotidiani. Nelle previsioni iniziali questi “fortunati” avrebbero dovuto essere 18.500, da qui le dichiarazioni sui 20.000 posti di lavoro creati dalla magia dell’Expo. Ora invece pare che siano meno della metà. Il 1 maggio a Milano ci sarà una grande manifestazione contro questa rassegna ipocrita: buon No Expo a tutt*. JACK RR FINANZA - Il Quantitative Easing rischia di non avere effetti nell’economia reale locale L I soldi della Bce nelle mani sbagliate a Bce da alcuni mesi sta cercando di riattivare l’economia dell’Eurozona utilizzando strumenti monetari che permettano di rimettere in mano ad aziende e famiglie dei soldi con la speranza di vederli circolare il prima possibile nel sistema economico reale. È opportuno ricordare che l’economia è la risultante delle economie locali, per cui quando una manovra a livello europeo viene intrapresa se ne dovrebbero necessariamente attendere gli effetti a livello locale. Ma c’è chi si tiene la nuova liquidità in mano facendone un uso diverso dall’erogazione di credito. Le manovre della Bce. Nel giugno 2014 il Consiglio europeo annunciò l’avvio di operazioni mirate di rifinanziamento di lungo termine (Tltro). Poi nel settembre 2014 fu la volta del programma di acquisto di Abs emessi in seguito alla cartolarizzazione di crediti bancari a imprese e famiglie (Abspp) e di obbligazioni bancarie garantite (Cbpp3), con l’obiettivo di favorire il credito all’economia reale e di stimolare la crescita attraverso un aumento della dimensione del bilancio dell’Eurozona. Queste misure di riattivazione erano improntate a dare alle banche, in base alle loro richieste e alle loro previsione di domanda di credito, masse di denaro a bassissimo costo. Infatti dobbiamo ricor- dare che anche l’abbassamento del tasso di sconto degli ultimi anni è stata la prima grande manovra. Recentemente abbiamo letto del programma di “alleggerimento quantitativo” (Quantitative Easing), dove la Bce va ad acquistare soprattutto i titoli di Stato per farne aumentare il corso e diminuirne gli interessi nella speranza che gli investitori si rivolgano alle azioni dei settori privati dando una spinta propulsiva all’economia reale. L’economia reale locale. I dati più recenti relativi all’economia provinciale forniti da Banca d’Italia ed elaborati dal Centro Studi Livorno si fermano al giugno 2014, dove però si possono valutare sia la caduta degli investimenti aziendali tra insolvenze e avversioni al rischio d’impresa, che la caduta dei consumi delle famiglie, le quali tendono a ridurre il ricorso al credito al consumo. Le sofferenze bancarie sono salite del 45% in un anno quindi il rischio insolvenza è altissimo e indica che delle prime manovre Bce 2014 non se ne è sentita la spinta, prova che le manovre monetarie possono anche non creare effetti propulsivi, specialmente in un mondo globalizzato dove se decido di non comprare un titolo di Stato italiano non è detto che compri un’azione di un’azienda che produce qualcosa di reale a Livorno. Questo le istituzioni locali dovevano averlo già capito almeno dal 2002, elaborando una strategia per arginare la crisi ed esercitare quel ruolo per cui son state costruite: regolazione delle tensioni sociali. Il territorio livornese non può sopportare un altro anno di queste tendenze da stato di liquidazione per cui se possono essere raccolti anche una piccola parte dei vantaggi generati dalle operazioni monetarie della Bce, non possiamo permetterci di sprecarne neanche un grammo. Grazie all’”alleggerimento quantitativo” il bilancio della Banca d’Italia è cresciuto di 150 miliardi di € (+30%), ma non sono andate nelle mani giuste. Per capire quali siano le mani giuste Con il Quantitative Easing il bilancio della Banca d’Italia è cresciuto di 150 miliardi, ma non sono andati nelle mani giuste dovremmo approfondire la ricerca per arrivare a decidere quali tipi di prodotti e servizi potranno avere un futuro a vantaggio del benessere di un numero di persone sempre maggiore, dal quale si generino effetti sociali positivi e non solo monetari. Sul piano politico locale deve emergere la denuncia delle contraddizioni di un sistema deflazionario dove accanto ad un “allentamento quantitativo” rimane in atto il Patto di Stabilità che ha distrutto la domanda pubblica. Una gestione di successo delle aziende partecipate con l’avvio di servizi all’avanguardia (e dove il coinvolgimento della popolazione avvenga sia finanziariamente che nell’offerta di forza lavoro) è un obiettivo ragionevole e raggiungibile per riportare anche un’iniziativa privata più coerente con la vita degli abitanti. Il ciclo dei rifiuti, la qualità delle acque, la mobilità, il rapporto porto-città, i servizi turistici, la qualità ambientale, la pesca e i servizi alla persona nelle varie specializzazioni sono tasselli di un’economia locale sana e che devono trovare aiuto in parte in quei 150 mld di nuova costituzione che il sistema delle banche commerciali locali deve impegnarsi a mettere a disposizione, senza utilizzarli per la soluzione dei propri problemi aziendali o immettendoli nei mercati finanziari. 4 Livorno anno X, n. 103 INTERVISTA ESCLUSIVA AL SINDACO DI LIVORNO NOGARIN - Nuovo ospedale, ex Trw, Chiccaia, tagli, partecipate, stipendi, partecipazione, elezioni regionali e altre questioni “L’accordo con Rossi sul Prp deve essere difeso dalla città” C ome redazione di Senza Soste abbiamo chiesto al sindaco Nogarin un’intervista. Lo abbiamo fatto per due principali motivi: il primo perché è sotto gli occhi di tutti, e dentro le statistiche, che la città stia attraversando una profonda crisi occupazionale e sociale, secondariamente perché le scelte che verranno fatte in questo periodo sono fondamentali per il futuro della città o per il suo definitivo affossamento. Qualche anno fa avemmo un contatto informale con l’ex sindaco Cosimi per un’intervista, ma probabilmente la poca fiducia reciproca non permise di concretizzare. A differenza del passato, quindi, abbiamo scelto di fare una richiesta “formale” al sindaco in carica, non certo per sostegno politico o voglia di scoop, ma perché riteniamo che questa amministrazione, nonostante limiti e difetti che ognuno potrà valutare nella sua esperienza quotidiana, abbia necessità (e possibilità) di confrontarsi, e a differenza delle precedenti amministrazioni ha “mani libere” e non deve rispondere direttamente a poteri o sistemi di potere consolidati e incancreniti di questa città. Siamo andati quindi nell’ufficio del sindaco e abbiamo fatto due ore di intervista. Le domande da fare sarebbero state molte di più ma in questa prima intervista abbiamo puntato su quelli che consideriamo i temi più caldi e attuali oppure le critiche più frequenti a questi primi 10 mesi di mandato. Purtroppo per motivi di spazio quella che potete leggere è una sintesi e in certi passaggi una semplificazione, ma speriamo che possa servire a chi ci legge come un promemoria e una bussola per riuscire a tirare le somme tra quattro anni oppure per valutare meglio alcuni passaggi che ci saranno nei prossimi mesi. La variante anticipatrice è passata con molti mal di pancia, anche legittimi, della maggioranza. Come pensate ora di fermare quelle parti del Piano Regolatore Portuale che ritenete a rischio speculazione? Nel braccio di ferro che ho avuto con Rossi ho cercato proprio di portare a casa un accordo in questo senso. Alla fine ce l’ho fatta ma sia chiaro che si tratta di un accordo politico e che quindi oltre a me e la mia maggioranza, dovrà essere la volontà della città, a farlo rispettare. Ho ottenuto che ci sia un tavolo tecnico con Regione e Autorità Portuale per rivedere quelle parti di Prp a rischio di diventare una Porta a Mare 2. E nei protocolli firmati ho fatto inserire operazioni importanti per la valorizzazione della città come lo spostamento del depuratore per rilancia- “L’ospedale deve rimanere in viale Alfieri, i soldi della Regione per il nuovo non ci sono mai stati” re la Venezia e l’abbattimento del Ponte Santa Trinita per valorizzare la Fortezza Vecchia e i fossi. Siamo in gioco e dobbiamo farci rispettare. Infine ho ottenuto anche che i milioni anticipati dalla Regione per quella che doveva essere la nuova viabilità per il nuovo ospedale non vadano restituiti ma utilizzati per la viabilità prevista. Dopo il no al nuovo ospedale, tutti ora aspettano l’alternativa. Intanto voglio precisare una cosa. I famosi 100 milioni o più della Regione che venivano sbandierati non ci sono e non ci sono mai stati. E per chiarire questo aspetto siamo partiti in nove da Livorno per andare a confrontarci con l’assessore regionale alla sanità Marroni. Quell’ospedale si sosteneva finanziariamente sul project financing, cioè i privati, e la vendita del patrimonio immobiliare Asl. Certo lo sappiamo. Però un’alternativa serve e tutti se la aspettano in tempi dignitosi. I nostri uffici stanno lavorando sul vecchio piano Mariotti in collaborazione anche con l’Osservatorio delle Trasformazioni Urbane. Mi prendo la responsabilità di dire che con una riqualificazione energetica e architettonica, l’ospedale di viale Alfieri può diventare funzionale alle nostre esigenze perché è un ospedale nato dalla genialità di un “visionario” come l’ingegner Costa. Disastro abitativo. Ogni giorno la città è sull’orlo di esplodere socialmente sul problema degli sfratti. Cosa pensate di fare? Partiamo dal palazzo della Chiccaia. Sulla Chiccaia ci sono diversi aspetti da valutare. Non è un palazzo con problemi strutturali ma è un palazzo in cui la qualità della vita è bassissima e dove ci sono problemi di umidità essendo appoggiato direttamente in terra. Razionalmente andrebbe buttato giù e rifatto. Però fino ad oggi quando si è buttato giù non si è mai ricostruito, e se lo si è fatto è avvenuto con “All’ex Trw un polo tecnologico legato al Gnl e alla sensoristica” anni di ritardo e con un saldo di abitazioni negativo che la città non può permettersi. Vero. Serve un percorso che faccia da volano. Un percorso partecipato di riqualificazione urbana. Il problema è trovare uno spazio transitorio che tamponi l’emergenza. Bisogna vedere se si riesce a trovare delle strutture e degli spazi dove poter gestire la fase di transizione di tutti quei palazzi che andrebbero rifatti nei quartieri da riqualificare. Capisco anche chi mi dice che meglio alla Chiccaia che in macchina o sotto un ponte. Allora rimarrà in piedi? La Chiccaia resterà in piedi finché non avremo altre soluzioni. Non si può nemmeno ricondurre il problema delle occupazioni solo alla legalità, perché qui esiste un problema di diritti, di giustizia e di disastro sociale. Noi non vogliamo schiacciare tutto sotto l’egida della legalità e anche ai tavoli istituzionali con la Prefettura cerchiamo sempre di dare priorità ad altri aspetti. Abbiamo mandato anche delle osservazioni in quel senso alla legge regionale Saccardi che penalizzava in modo impietoso certi soggetti e le occupazioni. La casa è un diritto e su questo non ci piove. Però sia chiaro che cercheremo di essere inflessibili contro i furbi con macchinone e I-Phone, e chi sfrutta certe situazioni per avere privilegi o chi li ha ereditati dalla famiglia. La questione dei furbi col Suv e la casa popolare si vende bene al popolo. È un fenomeno che esiste ed è giusto combattere ma quantitativamente è marginale e non risolve il problema. Quale idea di edilizia pubblica avete? Nella gestione, spesso clientelare, e piena di inefficienza dell’Erp (Edilizia Residenziale Pubblica), il disastroso Pd su una cosa ha ragione: che il sistema di gestione e manutenzione del sistema Erp è diventato economicamente insostenibile. Il problema a cui bisogna rispondere, e a cui il Pd e Renzi non hanno intenzione di farlo, è di trovare un’alternativa. Quale sarebbe allora la discontinuità col Pd? Per me serve un sistema integrato tra patrimonio pubblico, canoni concordati ed emergenza abitativa, ma soprattutto abbassare i costi degli affitti attraverso un sistema di supertassazione per coloro che accumulano immobili e appartamenti e li tengono sfitti. Lo stesso per chi ha fondi commerciali. Cosic- “Grande distribuzione deleteria, ma con Esselunga arriveranno al Comune i palazzi di viale Petrarca” ché dopo due anni è più conveniente affittarli a prezzi bassissimi che tenerli vuoti. Invece come proposta per l’emergenza casa vorrei lavorare sulla Torre della Cigna che giace lì inutilizzata e invenduta. E sto lavorando anche con Esselunga per il conferimento di alcuni immobili. Cosa c’entra Esselunga? I palazzi accanto al supermercato Magenta2 (ex Fiat) che ora sono scheletri, una volta terminati potrebbero essere conferiti al Comune. Rientrerebbe in quella parte di accordo con Esselunga per cui, riconoscendo che la grande distribuzione è deleteria per i quartieri e una serie di piccole attività, serve una serie di accordi affinché debba necessariamente attingere dai cicli produttivi territoriali ed interagire “Per ora la Chiccaia rimane in piedi, ma serve un’alternativa di transizione per riqualificare i quartieri” in uscita dal 18 aprile 2015 5 Livorno “Livorno polo del Gnl, ma serve il bacino per riconvertire le navi” con il resto del piccolo commercio. Su Esselunga ci torneremo nel prossimo futuro. Per concludere il discorso su emergenza casa e patrimonio pubblico, cosa ci può dire sull’acquisizione della Ex Caserma Del Fante e altro patrimonio demaniale? Sulla Ex Caserma Del Fante la linea è quella dell’acquisizione e dell’autorecupero facendo un percorso che porti alla presenza di progetti con finalità sociale. Però voglio chiarire che il nostro percorso non potrà che essere all’interno della legalità nei confronti dei regolamenti a cui dobbiamo sottostare e della trasparenza nei confronti della città. Passiamo alle note dolenti delle società partecipate in attuale emergenza. Partiamo da Ctt e trasporto urbano. Il bando regionale che porterebbe ad un gestore unico del trasporto su gomma urbano ed extraurbano è continuamente rimandato e ciò fa già capire che il percorso non convince molti. La nostra volontà è uscire da quel percorso e la mia pressione verso Ctt per ottenere i dovuti 22 nuovi autobus urbani, va in quel senso. Il Ctt avrebbe voluto darmi i bus extraurbani ma io mi sono impuntato per avere quelli per il trasporto urbano. Passiamo ad Aamps e l’ingresso in Reti Ambiente. Aamps è stata fino a ieri l’elemento con cui si è creato il consenso elettorale di questa città. Aamps è in difficoltà finanziarie, inutile negarlo. Da poco si è insediato un nuovo management che ha due obiettivi primari: ridurre i costi attraverso la reinternalizzazione di alcuni servizi e la valorizzazione di strutture come i laboratori che sono un fiore all’occhiello e le officine che puntiamo a far diventare un servizio per tutte le partecipate del Comune ottimizzando i costi con economie di scala. Su Reti Ambiente posso dire che sicuramente non ci entreremo con l’obbligo di costruire un nuovo inceneritore o di fare la terza linea. Spero che a breve potremo dare maggiori dettagli. Sul Comune aleggia da anni il buco misterioso di Spil. Cosa ci può dire? Su Spil posso dire che cesserà di essere un’azienda immobiliare a cui venivano conferiti terreni e immobili del Comune per poi usufruire di cambi di destinazione d’uso e incassare da queste speculazioni immobiliari. Spil tornerà a fare l’azienda vera e ci concentreremo sull’attività dei parcheggi con la quale l’azienda si finanzierà. E accanto a questa attività vorremmo che Spil diventi il soggetto che gestisce le attività di start-up di aziende sul territorio e lo faccia dentro l’ex Delphi ed ex Trw, nel Polo Tecnologico. A proposito, cos’è questo Polo Tecnologico di cui si parla insieme alle bonifiche e ad alcuni pare solo un sogno? Nell’era post-industriale Livorno non può pensare di fare a meno di ricerca e sviluppo in settori strategici. Io penso che questa città abbia i cervelli, le strutture e le capacità per puntare a due settori specifici: il primo è quello di polo del gas Gnl. Livorno può diventare un polo europeo per la riconversione e il rifornimento dei motori delle navi a Gnl come ha indicato anche l’Unione Europea. Ma per fare questo serve il bacino grande a Porta a Mare. Non le villette che anche tanti sindacalisti difendono. Il secondo settore su cui specializzarsi sarebbe quello della sensoristica e del business degli “open data”: dal monitoraggio del traffico a sistemi dimmerabili (attenuazione graduale della luce) di energia nelle strade pubbliche. Queste cose per ora non le fa nessuno, ma è un settore in incredibile espansione nel prossimo decennio. Appalti e servizi esternalizzati. Come pensate di tutelare tutti quei lavoratori che operano in “I tagli al sociale e alle associazioni un rischio che bisognava correre, ora dobbiamo ricostruire il sistema di tutela dei più deboli” appalti e servizi banditi dal Comune e dalle partecipate e che sono poco tutelati e sempre in balìa dei rinnovi di appalto? La clausola di salvaguardia del posto di lavoro ci pare il minimo. Ma come pensate di intervenire per una maggiore tutela su professionalità e anzianità che fino ad ora non abbiamo visto? Il nostro obiettivo è reinternaliz- zare i servizi dove si può. C’è, in questo periodo storico-economico-politico, un percorso di speculazione tramite le esternalizzazioni (o a volte tramite privatizzazione). Purtroppo questo è anche causa del Patto di Stabilità. Io sono per il pubblico ma devo fare i conti con le nor mative che impongono tagli. La normativa sugli appalti non mi permette tutte le tutele su contratti e anzianità anche se sarebbero giuste. E il Jobs Act complica tutto. Ma abbiamo visto che laddove i lavoratori lottano e fanno emergere il problema e interviene il sindacato, poi alla fine qualcosa sugli appalti si ottiene. Da una parte posso tutelare il lavoratore, ma dall’altra non ho soldi e quindi posso al massimo spo- starli per queste tutele, ma sottraendoli da altri servizi. La vera lettura politica è che Renzi si è scordato di cosa voleva dire fare il sindaco: la spending review la sta facendo a spese dei servizi ai cittadini passando dalle Pubbliche Amministrazioni e non dai costi della politica, quella vera di Camera, Senato, Parlamento. A proposito di reinternalizzazioni. I tagli al sociale hanno lasciato molti dubbi così come il fatto che gli uffici comunali che dovranno occuparsi di alcuni servizi siano in grado di farlo. I tagli al sociale, cioè ai soggetti che gestivano alcuni servizi, Caritas e Arci in primis ma anche altri, sono l’inizio di un percorso che vuole cambiare un approccio al problema evitando valanghe di assegnazioni dirette di servizi e soldi per il sociale e riportando tutto sotto l’alveo dell’amministrazione, naturalmente con la possibilità di interagire con soggetti esterni e insieme alla città. Certo, ma qui si parla di persone con problemi reali e quotidiani e se pensiamo alle unità di strada, allo sportello migranti, alle ca- selle di posta per i senzacasa o alla gestione di servizi per indigenti, vediamo che a quel sistema che non vi piaceva o che ritenete funzionasse male o fosse troppo costoso e poco trasparente, ora si rischia che per un periodo non ci sia nulla o meno di prima. E su certe persone deboli non ci sono esperimenti che possono prevedere periodi di transizione. Sappiamo che abbiamo intrapreso un percorso rischioso. Ma non potevamo continuare come prima. Per motivi di bilancio e perché era diventato un sistema fuori da ogni controllo e senza una visione di insieme ma con una logica di spacchettamento. Il nostro elettorato ci ha dato mandato di smantellare un sistema, noi abbiamo fatto questo e adesso dobbiamo ricostruirlo insieme alla città. Passiamo ora ad alcune domande che riguardano, a nostro avviso, alcune parti disattese del vostro programma elettorale o che comunque hanno generato molti malumori in città. Il primo sono gli strumenti di partecipazione, che certamente non possono esaurirsi nei meet-up come qualcuno dei 5 Stelle ha detto. È vero. Sugli strumenti di partecipazione ci sono stati ostacoli, dovuti ai tanti impegni da parte di tutti, ma posso assicurare che da parte dell’amministrazione c’è sempre stata tanta disponibilità ad ascoltare tutti. Ma quello che conta sono gli strumenti, non gli atteggiamenti… Stiamo affinando tecnicamente un sistema per un modello di referendum partecipativo attraverso una tecnologia che usa codici e cellulari. Dobbiamo ora testare la sicurezza del sistema contro fake o altre truffe. Poi naturalmente servirà un regolamento comunale a cornice di questo. Stiamo sperimentando. Inoltre è in campo il percorso partecipato su Borgo e Porta a Mare a cui spero partecipino in molti. Tagli agli stipendi della giunta del 10%. È stato un vostro cavallo di battaglia ma alla fine fate una donazione volontaria ad una associazione, Reset, che è sotto il vostro controllo. L’autotassazione per le proprie organizzazioni è un sistema che esiste da decenni in molti partiti dove arrivavano anche al 50%. Dov’è quindi la novità? Intanto c’è da premettere che noi rinunciamo al nostro stipendio da amministratori che non è certo quello che percepiscono al Governo, Parlamento e Regione. Ma la campagna sugli stipendi l’avete fatta voi, non chi ha dubbi sul vostro sistema. Abbiamo deciso di fare la donazione volontaria ad una nostra associazione per evitare che i soldi finissero nelle maglie dell’amministrazione e fossero spesi a copertura di atti che facevano perdere il senso della no- “Non temo i risultati delle regionali, siamo qui da 10 mesi e andremo avanti” stra scelta. Per quanto riguarda l’associazione, è stato solo uno strumento, una volta che raggiungiamo un buon budget faremo un tavolo partecipato per deciderne la destinazione. A noi basta che quei soldi vadano a finire in progetti concreti che possono tamponare alcune situazioni gravi. Un’altra cosa che molti si aspettavano fin dalla vostra vittoria era l’apertura dei famigerati cassetti. Avete trovato qualcosa o no? Se sì, cosa? Abbiamo trovato cose interessanti. Stiamo lavorando per far sì che si metta in sicurezza un percorso per evitare che a causa di scelte del passato folli, si mandi in fallimento il Comune. Ultima domanda. Tra poco più di 2 mesi ci saranno le elezioni regionali: pensa che un eventuale cattivo risultato elettorale potrà avere ripercussioni sulla giunta o la maggioranza? No. E vi dico perché. Intanto perché il nostro Movimento penso non sia strutturato per un ente intermedio come le Regioni. A mio avviso possiamo avere buoni risultati a livello nazionale come abbiamo avuto alle ultime elezioni oppure possiamo crescere a livello amministrativo nelle città. Ma il livello regionale lo conquisti col tempo e con l’esperienza amministrativa. Io procedo tranquillo nel mio lavoro, non tiro le somme dopo 10 mesi dalla vittoria in una città che veniva da decenni di monocolore. Non penso nemmeno che ci possano essere problemi con la giunta o i consiglieri. Con loro semmai i problemi sono altri ma è anche naturale perché i ruoli che abbiamo sono diversi. È normale che io tenga sempre una posizione e un profilo di equilibrio istituzionale mentre nella mia maggioranza a volte ci sono tendenze ad entrare a gamba tesa nei problemi e nelle discussioni. Comunque chi non ci vuole bene dovrà sopportarci ancora qualche anno. Senza Soste redazione 6 per non dimenticare anno X, n. 103 APRILE 1945/1 - Per il 70esimo anniversario della Liberazione la grande festa livornese al Castellaccio I l Centro Politico 1921 anche quest’anno per le celebrazioni del 70° anniversario della Liberazione propone una grande festa al Castellaccio presso l’ex campo di calcio di via della Porcigliana. La festa quest’anno prevede fin dalla mattina ben due possibili escursioni nei boschi delle colline livornesi, entrambe termineranno alle “Grotte dei banditi”, rifugio e base del X Distaccamento Oberdan Chiesa durante la Resistenza. Successivamente nell’ex campo di calcio verrà organizzato un pranzo e ci sarà il concerto della Banda Popolare dell’Emilia Rossa con canzoni di lotta. Questo è il programma, ma dietro c’è un’organizzazione molto più vasta che ha anche un importante valore storico e di conservazione della memoria. Già l’anno scorso, come si può vedere nel gruppo Facebook “25 aprile 2014 a Livorno - Festa al Castellaccio nei luoghi partigiani”, il Centro Politico 1921 riscoprì queste grotte. Fu un’impresa difficile trovarle nelle sterminate colline livornesi, per fortuna Giuliano Ciaponi (un ex staffetta) li aiutò dandogli indicazioni, anche se per la sua età non poté accompagnarli. È stato avvincente aver ripercorso quei sentieri l’anno scorso e leggere il racconto, recuperato dal comandante del X Distaccamento Bruno Bernini, dal titolo “Il 10° distaccamento partigiano e la liberazione della città”. Quest’anno per celebrare il 70° anniversario, sono stati intervistati alcuni degli ultimi partigiani livornesi. Le interviste sono in parte visibili sul gruppo Facebook “25 aprile 2015 a Livorno - Festa al Castellaccio nei luoghi partigiani”. In vista dell’anniversario, il giorno 11 Aprile è stato proiettato il video delle loro interviste e sono state consegnate delle targhe di riconoscimento a questi partigiani che hanno combattuto per la nostra libertà; molti di loro sono sconosciuti perché si sono defilati dalla JOLLY HIDALGO COOKE I l 25 aprile è la data in cui in Italia si celebra la Liberazione dal nazifascismo. In realtà è una data simbolica perché la vera fine della guerra avvenne il 3 maggio 1945, come stabilito dalla formale resa di Caserta del 29 aprile. Davanti a ufficiali delegati americani, inglesi, tedeschi e a un osservatore russo, viene stabilita una resa incondizionata operativa dalle ore 14 del 2 maggio. Il 10 aprile 1945 il Partito Comunista emana la Direttiva n° 16 nella quale diceva che era arrivata l’ora di “scatenare l’attacco definitivo”. Il 25 aprile i repubblichini e i soldati tedeschi cominciano ad abbandonare Milano dove, come si legge nel bellissimo libro di Giovanni Pesce “Quando cessarono gli spari”, la popolazione si era ribellata, gli operai avevano occupato le fabbriche e i partigiani entrarono, dopo Il nostro 25 Aprile Il X Distaccamento partigiano al Castellaccio: al centro con gli occhiali il comandante Bruno Bernini (foto di Alberto Vannini) politica istituzionale, chi per carattere, chi perché in disaccordo con le scelte e i cambiamenti, nel tempo, del Pci. Restano però le parole vive di ricordi ancora lucidi di questi novantenni che avrebbero forse dovuto essere onorati maggiormente in questi anni dalle istituzioni e non dimenticati come è avvenuto. Ecco chi sono i partigiani livornesi intervistati, a cui anche noi come redazione vogliamo mandare un eterno ringraziamento per la loro scelta di vita non scontata nella dura lotta contro il fascismo. Giuliano Ciaponi, classe 1925, è colui che ha fatto riscoprire le grotte. Giuliano operava a stretto contatto col X Distaccamento del Castellaccio; conoscendo molto bene il bosco e i sentieri nella macchia livornese, vi accompagnava i ragazzi che si volevano unire ai partigiani. Ha salvato un aviatore americano nascondendolo nella sua stalla e curandolo. Ha avuto vari riconoscimenti dal Comando americano. Pierluigi Falca (nome di battaglia Bubi), classe 1923, attivo nel Cln clan- destino e nella Resistenza di Riparbella. Si ritiene molto fortunato, molte volte ha rischiato la vita nelle missioni che ha svolto. Saputo che era ricercato si dette alla macchia e aderì all’ VIII Distaccamento della 3ᵃ Brigata Garibaldi. Oggi, deluso dall’Italia di Renzi, vorrebbe andare a vivere a Cuba dove ha amici ed affetti. Ha pubblicato la sua storia in due libretti dal titolo “Le memorie di un Livornese” e “Storie di Bubi - tra Livorno e Riparbella 1923- 2011”. Peccato che non vengano più ristampati, perché sono introvabili. Giuseppe Fusario (nome di battaglia Il Marinaio), classe 1925, l’8 settembre abbandona il Ministero della Marina e diventa uno “sbandato” che rischia la fucilazione. Dopo le parole di Radio Londra, Radio Mosca e di Ercoli (pseudonimo di Togliatti) che invitavano i renitenti alla leva a combattere contro il fascismo, decide di aderire alla Brigata Garibaldi “Gino Bozzi” sul Monte Cimone. Svolge numerose azioni di sabotaggio e guerriglia. Si unisce ai gruppi di combattimento del ricostituito esercito nella divisione “Legnano” e risale da Bologna fino a Milano tra l’euforia del popolo liberato. “Era scoppiata la pace” racconta. APRILE 1945/2 - La fuga, la cattura e la morte del dittatore La fine di Mussolini Ilio Barontini e Walter Audisio averla accerchiata, in città. La sera stessa Mussolini fugge diretto a Como. La destinazione era stata scelta perché pensava che i controlli fossero minori, e lì avrebbe potuto attendere l’arrivo degli Alleati e consegnarsi a loro dopo una trattativa. Il Duce aveva fatto convergere nella città lariana gli ultimi fascisti per avere maggior peso contrattuale nella resa. Alle 21.30, giunto a Como con altri fascisti, Mussolini si rende conto della difficoltà della situazione. Alcuni gerarchi gli suggeriscono di rifugiarsi in Svizzera anche se le autorità elvetiche avevano già detto che non sarebbe stato fatto passare, altri gli dicono di tornare a Milano. Alla fine la decisione è di proseguire verso Menaggio, dove giungono alle 5.30 del 26 aprile. Mussolini apprende che un aereo tedesco lo attende a Chiavenna per portarlo in salvo in Germania. Trova un convoglio militare tedesco di 38 autocarri e si unisce ai duecento soldati tedeschi diretti a Merano. Dopo pochi chilometri vengono fermati ad un posto di blocco delle Brigate Garibaldi. I tedeschi ottengono di poter passare in cambio della consegna di tutti gli italiani trovati a seguito di una ispezione che si stabilisce verrà effettuata a Dongo. Mussolini si traveste da tedesco per passare inosservato. Indossa un cappotto e un elmetto da sottufficiale della Wehrmacht e fingendosi ubriaco sale sul quarto camion della colonna tedesca con targa WH 529507. Verso le ore 16 del 27 aprile, durante l’ispezione nella piazza di Dongo, Mussolini viene riconosciuto dal partigiano Giuseppe Negri. Di- Dopo la Liberazione ha iniziato a svolgere attività politica nel Pci. Roberto Perez (nome di battaglia Il Toscanino), classe 1925, chiamato alla leva nella Repubblica di Salò, diserta e si unisce alla 3ᵃ Brigata della Divisione Piacenza di Giustizia e Libertà in Val Trebbia. Combatte a lungo contro i rastrellamenti dei nazisti nel nord Italia. L’avanzata dei tedeschi lo obbliga a indietreggiare fin sulle Apuane. A Pietrasanta raggiunge il Comando Alleato che però non crede alla sua versione e lo fa prigioniero portandolo in vari campi di concentramento. Qui rimane come prigioniero di guerra fino agli accertamenti avvenuti il 3 ottobre 1945. Per l’occasione, ha consegnato delle memorie mai rese pubbliche che verranno digitalizzate e pubblicate. Mario Ristori, classe 1928, ha fatto parte della 28ᵃ Brigata Garibaldi “Lori Terzo” operante nel ravennate. Deportato dai tedeschi della Todt mentre era sfollato a Calcinaia, per fargli costruire la linea Gotica, riesce insieme ad altri a scappare e dopo aver vagato per giorni alla ricerca di contatti con qualche banda partigiana, si unisce alla Brigata Garibaldi e dopo varie azioni di sabotaggio contribuisce, diciottenne, alla liberazione di Ravenna. Avrebbe voluto arrivare fino a Milano con i partigiani, ma si ammala di tifo e fa ritorno a Livorno. Alberto Vannini, classe 1924, ha fatto parte delle S.A.P. livornesi, in accordo col Partito Comunista clandestino svolge azioni di sabotaggio e di reperimento di armi da portare al Castellaccio, oltre ad accompagnarvi i ragazzi che volevano unirsi al Distaccamento. È lui che scatta le foto presenti sul libro del Bernini, le uniche che testimonino quei lunghi mesi di Resistenza. Sta scrivendo delle memorie per i nipoti dove cerca di spiegare come il fascismo ti teneva sotto controllo e come condizionava ogni aspetto della vita sociale e privata. sarmato viene arrestato e preso in consegna dal partigiano Urbano Lazzaro “Bill”. L’Office Strategic Service (Oss) emana una circolare in cui si chiede di consegnare Mussolini alle Nazioni Unite per processarlo. Da Bresso si alzò un aereo per prelevare il Duce. Il Comitato insurrezionale di Milano (formato da Pertini, Valiani, Sereni e Luigi Longo), appena saputo dell’arresto, si riunisce alle ore 23 del 27 aprile e decide di inviare una missione a Como per procedere all’esecuzione del Duce. La sentenza verrà eseguita con cinque colpi di mitra e uno successivo al cuore, alle ore 16.10 del 28 aprile, da Walter Audisio (“Valerio”) a Giulino in via XXIV maggio davanti all’inferriata di Villa Belmonte: “Per ordine del Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano”. in uscita dal 18 aprile 2015 7 stile libero SUONI - A Livorno è nato un nuovo collettivo per promuovere progetti musicali indipendenti S e c’è una cosa che non manca a Livorno è la buona musica. Molti artisti, molti gruppi, molte occasioni per suonare. Nonostante tutto, nonostante la crisi. Anzi forse proprio la crisi ha spinto, rispetto al passato (perché davvero adesso non c’è niente da perdere) a credere di più nella musica (e nelle arti in generale), a prenderla sul serio. A difenderla, a promuoverla, in una dinamica di autoproduzione ed autopromozione che mette in sinergia saperi e competenze tecniche diverse (musicisti, grafici, videomaker, giornalisti). Abbiamo intervistato Emanuele, Valerio, Giorgio, Filippo, che all’alba del 2015 insieme a tanti altri ed altre hanno lanciato ufficialmente un nuovo progetto: Inner Animal Recording, un collettivo di musicisti che collaborando da tempo ha deciso di dare una forma definitiva ed un nome a questa ormai rodata collaborazione. Da quale esigenze nasce la I.A.R. e con quali scopi ed obiettivi? Inner Animal nasce e si fonda sull’amicizia e sul rapporto di stima reciproca tra i vari componenti. Se penso ai Bad Love Experience in tutti questi anni ci siamo creati intorno un network di collaboratori e professionisti con i quali lavoriamo da tantissimo, completamente svincolati da quel tipo di logica presente in Italia secondo la quale se vuoi avere qualche risultato devi avere quell’etichetta, quell’ufficio stampa oppure quell’editore. Tante di queste realtà prendono vita dall’ego di qualcuno con Inner Animal Recording il mito del manager o del grande talent scout, ma poi in definitiva non sono in grado di offrire niente di concreto per la crescita di una band. Magari dipende anche dal fatto che il panorama italiano di per sé è limitante, ma spesso semplicemente non sono in grado. Abbiamo deciso di tornare completamente autonomi nel processo produttivo e promozionale e come noi altre band. Così è nato il collettivo Inner Animal. Abbandonato il falso mito del successo, è tornato a essere importante tutto il percorso anziché l’ipotetico risultato, e concentrarci su tutto quel processo che porta dall’idea al prodotto fisico è quello che ci rende soddisfatti. Chi ne fa parte? Per adesso I.A.R. è formata da Bad Love Experience, Mandrake, Jackie O’s Farm, Hic Sunt Leones, NU (il nuovo progetto di Filippo Infante) e dal 360MusicFactory Studio. Ci sono degli spazi fisici di riferimento per questa esperienza? Il posto dove più spesso discutiamo tutto quello che riguarda I.A.R. è la nostra sala prove, per l’appunto dentro al 360MusicFactory Studio, oppure nel camerino di qualche locale aspettando di salire sul palco. Produrre musica è difficile? Produrre musica è sempre più facile, se parliamo del lato tecnico della cosa; quindi trovare uno studio, registrare, stampare un disco. Inner Animal può esistere anche per questo motivo; non c’è bisogno di un’etichetta il cui unico lavoro è mandare un disco in stampa, puoi farlo per conto tuo. Senza che nessuno te lo rivenda poi come un qualcosa che è possibile solo grazie a loro, ai quali poi magari devi rendere di conto per ciò che riguarda solo te e che accade solo grazie a te, tutto questo perché hai firmato un foglio, tutto questo perché hai creduto che una piccola etichetta indipendente italiana potesse fornirti quegli agganci che ti mancavano per fare il salto di qualità. Ben vengano collaborazioni con chi può darti davvero una mano, ma basta essere solo un nome in più sul catalogo di qualcuno. Cosa si potrebbe fare di più e/o cosa servirebbe? Ci vorrebbe prima di tutto onestà intellettuale nelle persone con le quali ti rapporti come band. Non voglio dire che tutto l’apparato che sta dietro la scena indipendente in Italia sia fatto da disonesti, ma piuttosto che è facile per le persone convincersi di essere qualcosa di molto più grande di quello che realmente sono e poi riproporlo agli altri. Alla fine stiamo parlando di una scena, quella italiana, che è ai margini di un’altra, quella europea, che è a sua volta ai margini di quella mondiale. Diciamo che riportare intanto i piedi per terra sarebbe un bel passo avanti. Le vostre attuali produzioni? All’interno di I.A.R. ogni band gestisce in maniera completamente autonoma tutto il processo produttivo del proprio album e dei propri prodotti in generale, quindi non so se si possa parlare di nostra produzione nel senso stretto del termine. Diciamo che i primi lavori che sono usciti con il logo I.A.R. sono stati “Dancing with Viga” dei Mandrake e “Believe Nothing” dei Bad Love Experience, insieme al cortometraggio musicale “Believe Nothing” e al videoclip di “Yoniso”. Progetti in cantiere? Oltre ai prossimi dischi di Jackie O’s Farm, NU e Hic Sunt Leones, stiamo lavorando per organizzare la presentazione vera e propria del collettivo con un mini “Abbandonato il falso mito del successo, è tornato a essere importante tutto il percorso” festival che si terrà il 15 agosto a Livorno. In più stiamo cercando di portare in giro il progetto I.A.R. con i live delle band, cercando di fare sempre più concerti come quello di sabato 4 aprile a Firenze, dove eravamo insieme Bad Love e Mandrake. Info: http://inneranimalrecordings. tumblr.com A cura di Lucio Baoprati LETTURE - Demenza digitale, un libro di Manfred Spitzer sulla dipendenza da internet e smartphone Le nuove tecnologie ci rendono stupidi? NELLO GRADIRÀ L e riunioni dei vari collettivi di movimento durano sempre meno: finiscono in pratica dopo una decina di minuti, quando la maggioranza dei partecipanti smette di ascoltare gli interventi e comincia a guardare il proprio smartphone, picchiettando freneticamente sulla tastiera chissà quale irrimandabile conversazione, e il livello d’attenzione a quanto sta accadendo nella stanza scende rapidamente a zero. A quel punto tanto vale interrompere la riunione e andarsene a casa. Una volta era la squadra politica della Questura a sciogliere le “adunate sediziose”, oggi la stessa funzione viene esercitata dai social network, in modo molto più efficace e con molte meno proteste. Così quando ho visto sugli scaffali di una libreria “Demenza digitale”, un libro uscito nel 2013, non potevo non comprarlo. Ho pensato che for- se avrei trovato la risposta al mio preoccupato interrogativo: ci troviamo di fronte a un vero e proprio rimbambimento di massa? L’autore, Manfred Spitzer, è un medico tedesco che dirige la Clinica psichiatrica e il Centro per le Neuroscienze e l’Apprendimento dell’Università di Ulm, e tiene anche una rubrica televisiva stile “Quark”. Spitzer dedica la sua ricerca soprattutto alla fase dell’apprendimento e scrive che in Germania 250.000 giovani tra i 14 e i 24 anni soffrono da dipendenza da internet, e un altro milione e 400mila vengono considerati “internauti problematici” (dati 2012). Sempre in Germania, nel 2009 il tempo dedicato all’utilizzo di tv o dvd, chat e videogiochi tra gli studenti di prima superiore era di 7 ore e 14 minuti al giorno, mentre due anni prima in Corea del Sud, un paese dove l’utilizzo dei nuovi media è particolarmente sviluppato, era stato registrato tra i giovani “un aumento dei disturbi della memoria, dell’attenzione e della concentrazione, oltre ad appiattimento emotivo e generale ottusità”. È a questo quadro clinico che è stato dato il nome di “demenza digitale”. La tesi di Spitzer è che il cervello è un muscolo e come tutti i muscoli va esercitato. Utilizzando i nuovi media deleghiamo totalmente a loro la risoluzione di molti problemi e non siamo più in grado di organizzare un ragionamento. “Se la cassiera - scrive Spitzer - ottiene 400 facendo 2+2 con la calcolatrice e non si accorge che il risultato deve essere sbagliato, se la Nasa lancia un satellite sulla sabbia perché nessuno si è accorto che pollici e miglia non coincidono con centimetri e chilometri, se un funzionario di banca commette un errore che vale decine di miliardi di euro, significa che non siamo più capaci di pensare. È evidente che in questi esempi nessuno ha eseguito mentalmente un calcolo approssimativo ma si è affidato ad uno strumento digitale”. Spitzer è quindi nettamente contrario all’introduzione dei computer nelle scuole, voluta dalle industrie del settore e subita dai genitori (soprattutto quelli dei ceti più deboli): il computer in realtà porta a un peggioramento delle prestazioni scolastiche, e nella scuola materna provoca “disturbi dell’attenzione e successivamente dislessia”. Ma oltre che sulla mente, la dipendenza dai nuovi media si riflette negativamente anche sul corpo: si diventa più sedentari e si ingrassa. Si dorme con maggiore difficoltà e questo favorisce l’insorgenza del diabete. Un complotto occulto per ottenere una massa di zombie semideficienti? Il risultato è lo stesso, ma non c’è nessuna dietrologia: “Intel, Apple, Google, Facebook puntano a guadagnare sempre di più e sono ormai delle vere e proprie lobby. Diffondono abilmente informazioni false, manipolano i fatti, insabbiano, confondono le acque. E finché nessuno si indigna, non succede niente”. E se si cominciasse a spengere i cellulari durante le riunioni? L’uso eccessivo dei social network danneggia il cervello? A guardarsi intorno sembra proprio di sì Pagina Otto ANNO X, n. 103 - in uscita dal 18 aprile 2015 I nuovi padroni del calcio TITO SOMMARTINO H anno iniziato nel 2011 sponsorizzando per primi la maglia fino a quel momento (quasi) immacolata del Barcellona. 150 milioni di euro in 5 anni, questa è la cifra astronomica che la Qatar Foundation ha versato nelle casse del Barça. Il Barcellona Non un marchio commerciale tenne a precisare il club catalano ma un logo istituzionale che appartiene a un’organizzazione internazionale no profit per la difesa dei bambini. Una giustificazione comica quella dei dirigenti blaugrana. Un po’ perché se così fosse realmente stato, quei 150 milioni di euro (la sponsorizzazione più cara della storia calcistica) venivano sottratti a dei bambini bisognosi. Un po’ perché, così come il marchio Unicef sul petto, il primo della storia del club (gratuito ma con un ritorno di immagine inestimabile), servì da apripista ai 150 milioni della fondazione qatariota, altrettanto fece la fondazione stessa con lo sponsor (vero stavolta) che la rimpiazzò appena due anni dopo: la compagnia aerea del… Qatar. Il Psg Non ci vuole la scienza per capire che dietro la Qatar Foundation e la Qatar Airways c’è il Qatar-Stato che ha scelto il calcio per veicolare il proprio nome nel mondo. Già, perché questo califfato senza storia ma con tanto gas naturale e tantissimo petrolio, non si è accontentato di sponsorizzare quella che all’epoca era senza dubbio la squadra più forte al mondo e un club se l’è proprio comprato. E non un club qualsiasi ma il Paris Saint Germain, grazie - sembra - anche alla scesa in campo dell’allora Presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy, accesissimo tifoso dei rossoblù transalpini. Ad acquistarne il 70% nel 2011, ufficialmente, è la Qatar Investment Authority, rappresentata dall’azionista di maggioranza Nasser Al-Khelaïfi, un imprenditore ex tennista ed at- CALCIO E POLITICA - La scalata al mondo attraverso il calcio di un piccolo emirato arabo che finanzia Isis ed Al Qaeda ed è coccolato dall’Occidente. tuale presidente della federazione qatariota di tennis, vicepresidente della sua federazione tennistica continentale ed ex direttore di Al Jazeera Sports. Un quarantenne brillante, belloccio e discretamente ricco che gioca a fare il presidente di una delle cinque squadre più ricche del mondo con soldi non suoi (se non per una piccola parte) bensì dell’emirato che per trasformare il Psg in una delle squadre più forti al mondo non sta badando a spese. I Mondiali del 2022 Questo emirato completamente desertico grande quanto l’Abruzzo, senz’acqua né vegetazione, con un caldo umido e afoso e un vento insopportabile che rendono i due terzi dei giorni dell’anno invivibili, eppure è talmente potente da essere riuscito a vincere (il termine corretto sarebbe “comprare”) i Mondiali di Nei cantieri per i Mondiali si sta consumando una vera strage: ad oggi sarebbero già morti 1.200 operai per incidenti e infarti calcio del 2022. Ce l’ha fatta “ungendo” un po’ tutti. Alcuni voti sarebbero stati comprati perfino con forniture di gas, secondo quanto sostiene il “Sunday Times” che riferisce di un accordo tra Thailandia e Qatar: un milione di tonnellate all’anno di gas a un prezzo di favore che permetterebbe ai thailandesi di risparmiare svariate decine di milioni di dollari. Sempre il “Sunday Times” rivela anche che a fine ottobre 2010, a poco più di un mese dalla votazione, l’allora presidente della federazione calcistica asiatica, Mohamed Bin Hammam, sarebbe stato invitato dall’allora premier russo Vladimir Putin per discutere di “rapporti bilaterali” tra i due paesi in ambito sportivo. Due giorni dopo l’incontro anche l’emiro del Qatar sarebbe volato a Mosca per trattare un’intesa sulla produzione comune di gas tra i due stati. Tutto questo con la volontaria cecità dei vari Blatter e Platini che pur di far disputare i mondiali in Qatar hanno fatto spallucce di fronte alla radiazione a vita dal Comitato Esecutivo della Fifa di Bin Hammam, riconosciuto colpevole di aver comprato i voti dei presidenti delle federazioni calcistiche centroamericane. Nemmeno quello che è stato chiamato il Qatargate è servito a togliere l’assegnazione dei Mondiali al piccolo emirato arabo. Anzi, pur di tutelare gli interessi degli sceicchi, per la prima volta nella storia si è deciso di giocare il torneo d’inverno, con finale già in programma per il 18 dicembre. Significa che il Qatar ha messo sul piatto talmente tanti soldi, e per tutti, da dettare legge a campionati nazionali straricchi quali la Premier League, la Liga e la Bundesliga. Uno stato canaglia Un emirato quindi che unge bene ma che non unge tutti. Nei cantieri per i Mondiali si sta infatti consumando una vera strage: ad oggi sarebbero già morti 1.200 operai per incidenti e infarti. Gli operai impiegati, più di un milione, provenienti principalmente da India e Nepal, hanno turni di lavoro di sedici ore, sono ridotti in condizioni di schiavitù e lavorano con temperature che raggiungono anche 50 gradi all’ombra. Ad essere unti, e bene, sono anche alcuni gruppi terroristici islamici quali Al Qaeda e Isis. Un rappor- to pubblicato dal Center on Sanctions & Illicit Finance individua in Doha la regione con la maggior concentrazione di donazioni private (con l’avallo della famiglia reale e del governo) ai gruppi terroristici islamisti. Secondo le informazioni emerse negli ultimi anni, infatti, in Qatar troverebbero dimora almeno otto dei principali finanziatori di gruppi quali il Fronte al-Nusra, alShabaab, al-Qaeda ed Isis. Il Qatar non perseguita a livello giuridico i finanziatori di questi gruppi terroristici semplicemente perché non ha alcuna intenzione né volontà di farlo: la limitata popolazione dello stato, le sue ingenti risorse a disposizione, nonché la sua dimensione ridotta fanno apparire paradossale l’ipotesi che la situazione esistente all’interno del Qatar possa essere meglio conosciuta all’esterno che al suo interno. Intanto, e solo adesso alla scadenza del contratto stipulato cinque anni fa (senza cioè rinunciare a un dollaro), il Barcellona ha comunicato di non voler rinnovare la sponsorizzazione col Qatar per “cambiamenti nella situazione politica e sociale del paese arabo”. Ma come ha fatto il Qatar a sviluppare negli anni un modello politico ed economico tanto influente? Tre sono i fattori di questa rapida ascesa: 1) la straordinaria ricchezza economica dovuta, manco a dirlo, alle risorse naturali; 2) la grande abilità diplomatica dimostrata dalla famiglia Al Thani (alla guida del Qatar dall’indipendenza del 1971); 3) il successo di Al Jazeera, il network televisivo voluto proprio dalla famiglia Al Thani che ha ormai l’egemonia dell’informazione in larghe parti del mondo arabo. Dal punto di vista geopolitico la famiglia Al Thani ha sempre sostenuto la fratellanza musulmana, in particolare in Egitto, ed ha quindi finanziato in- terventi per la ricostruzione nella striscia di Gaza controllata da Hamas. La caduta di Morsi in Egitto li ha però fatti tornare sui propri passi per riavvicinarsi alle strategie dell’Arabia Saudita. Il sistema Qatar Come ha scritto David Conn sul The Guardian il “sistema Qatar” ha esteso di anno in anno la sua influenza. La Aspire Academy è stata sponsor del Congresso della Federazione Africana (2010), la Qsi ha comprato il Paris SaintGermain (2011), la Qatar Airways è oggi sponsor del Barcelona e nel 2022 il Qatar ospiterà nientemeno che i Mondiali. Il tutto mentre, nel 2010, veniva presa la decisione in merito alla sede dei Mondiali di Calcio del 2022. Questo percorso avviene all’interno di un piano strategico denominato “Qatar National Vision 2030” (Qnv 2030) che stabilisce i principi per uno sviluppo sostenibile ed equilibrato del Qatar, sulla base di un’economia vivace e prospera, della giustizia sociale, della stabilità del paese e della parità di opportunità per tutti. La “Sport Sector Strategy”, che avrà fine nel 2016 (Sss) è solo una delle quattordici strategie settoriali del Qnv. Secondo alcuni osservatori, riporta Conn, la strategia adottata dal Qatar ha un doppio obiettivo: 1) costruire una fitta rete di relazioni economiche, in particolare con le nazioni occidentali, come base per un’economia post-petrolifera; 2) difendersi contro il gigante dell’area, l’Arabia Saudita, cercando di uscire dal cono d’ombra che questa proietta sugli altri paesi del Golfo. Quando i soliti pappagalli vi diranno che la politica deve restare fuori dalle curve, raccontategli la favola del Qatar.