Sentenza del Tribunale di Trento del 22 aprile 2010

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Sentenza del Tribunale di Trento del 22 aprile 2010
REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE DI TRENTO
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
il dott. Giorgio Flaim, quale giudice del lavoro, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa per controversia in materia di lavoro promossa con ricorso depositato in
data 5.12.2008
d a
D. H.
rappresentato e difeso dall’avv. R. Z. ed elettivamente domiciliato presso lo studio di
questi in …
ricorrente
c o n t r o
O. P. s.r.l.
rappresentata e difesa dall’avv.ti G. e M. E. d. A. ed elettivamente domiciliata presso
lo studio di questi, in …
convenuto
e
c o n
l a
c h i a m a t a
i n
c a u s a
d i
G. A. s.p.a.
in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv.ti G.
e M. E. d. A. ed elettivamente domiciliata presso lo studio di questi, in …
terzo chiamato
CONCLUSIONI DEL RICORRENTE
“Accertata, in occasione dell’infortunio occorso al ricorrente il 6.4.2004,
l’inosservanza da parte del datore di lavoro O. P. s.r.l. delle norme speciali e
generali vigenti in materia antinfortunistica e accertata la correlazione causale tra
il comportamento negligente della stessa società e l'infortunio, condannare la O. P.
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s.r.l. a risarcire, nella quota concorsuale che verrà accertata, i danni patrimoniali,
morali, biologici, esistenziali subiti e subendi da parte del ricorrente in
conseguenza di detto infortunio, al netto della capitalizzazione attuale delle somme
erogate a tale titolo dall’I.N.A.I.L.;
con rifusione delle spese di causa”
CONCLUSIONI DEL CONVENUTO
“In via principale:
accertare e dichiarare, per le ragioni di cui in narrativa, l'infondatezza delle
domande formulate dal ricorrente e per l’effetto respingerle integralmente.
In via subordinata:
nella denegata ipotesi di accoglimento, anche parziale, delle domande formulate
dal ricorrente,
accertare la prevalente responsabilità del signor H. D. nella
causazione dell'evento dannoso per cui è causa, e per l'effetto ridurre le pretese
avanzate dal predetto secondo giustizia e secondo quanto risulterà provato all'esito
dell'istruttoria assumenda in causa, tenuto altresì conto di quanto erogato e/o
erogando dall’I.N.A.I.L..
In ogni caso:
nella denegata ipotesi in cui O. P. s.r.l. dovesse essere condannata a risarcire
qualsivoglia danno subito dal signor D., condannare la terza chiamata G. A. s.p.a.,
in persona del suo legale rappresentante pro tempore, a manlevare l'odierna
resistente di quanto eventualmente dalla stessa dovuto in favore dell'odierno
ricorrente;
condannare la controparte alla rifusione delle spese processuali, diritti ed onorari
di procuratore, oltre al 12,5% ex art. 14 T.P.F., 2% CNPA e 20% IVA, come per
legge”.
CONCLUSIONI DELLA CHIAMATA IN CAUSA
“Nel merito
In via principale:
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rigettare le domande tutte formulate nei confronti di O. P. s.r.l. perché infondate in
fatto ed in diritto.
In via subordinata:
ridurre a giustizia le pretese del ricorrente D. H., tenendo conto della rendita da
quest'ultimo percepita da parte dell’I.N.A.I.L. e dell’I.N.P.S. e con esclusione di
qualsiasi duplicazione;
mantenere nei limiti tutti di polizza l'eventuale condanna di G. A. s.p.a. per la
rifusione delle spese legali da lui sostenuta e sostenende per la propria difesa con
legale di sua fiducia.
In ogni caso:
spese, diritti, onorari, oltre il 2% CNPA 20% IVA e 12,5% ex art. 14 T.F. rifusi”.
PREMESSA
Il ricorso risulta depositato in data 5.12.2008.
Trova quindi applicazione la novella dell’art. 429 co.1 cod.proc.civ. introdotta
dall’art. 53 co.2 D.L. 25.6.2008, n. 112, conv. con L. 6.8.2008, secondo cui
“nell'udienza il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle
parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e
della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”, mentre solo “in
caso di particolare complessità della controversia” (certamente non ricorrente nella
fattispecie in esame) “il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a
sessanta giorni, per il deposito della sentenza”;
infatti l’art. 56 D.L. 112/2008 prescrive che il novellato 429 cod. proc. Civ. “si
applica ai giudizi instaurati dalla data della sua entrata in vigore” ossia, alla luce del
disposto ex art. 86 D.L. cit., a decorrere dal 25 giugno 2008.
Secondi i primi commenti dottrinali il modello di sentenza delineato dal nuovo art.
429 co.1 cod.proc.civ. è riconducibile a quello descritto dall’art. 281-sexies
cod.proc.civ., il quale dispone che “il giudice, fatte precisare le conclusioni, può
ordinare la discussione orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte,
in un’udienza successiva e pronunciare sentenza al termine della discussione, dando
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lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto
della decisione.
In tal caso, la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del
giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria”.
Sotto il profilo del contenuto la sentenza ex art. 281-sexies cod.proc.civ. si differenzia
dal paradigma ordinario ex art. 132 c.p.c. per il fatto che il giudice, in luogo della
“concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto
della decisione”, deve procedere alla “concisa esposizione delle ragioni di fatto e di
diritto della decisione”;
ne consegue che la presente sentenza non conterrà alcuna descrizione dello
svolgimento del processo.
Ma vi è di più:
l’obbligo di immediata lettura comporta necessariamente che la motivazione possa (e
debba) contenere unicamente gli elementi indispensabili al fine di non cadere nel
vizio di omessa o insufficiente motivazione, ricorrente, secondo gli insegnamenti
della Suprema Corte (Cass. 3.11.2005, n. 21302; Cass.31.3.2000, n. 3928;), quando le
argomentazioni del giudice non consentano di ripercorrere l'iter logico, che lo ha
indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, o esibiscano al loro
interno un insanabile contrasto ovvero quando nel ragionamento sviluppato nella
sentenza sia mancato l'esame di punti decisivi della controversia e/o di elementi che
potrebbero condurre ad una diversa decisione.
Il perseguimento dell’obiettivo, imposto al giudice del lavoro dalla novella dell’art.
429 co.1 c.p.c. di redigere una sentenza priva di elementi non essenziali ai fini della
decisione, appare agevolato dal principio, consolidato nella giurisprudenza della
Suprema Corte (Cass. 21302/2005 cit.; Cass. 28.10.2003, n. 16162; Cass. 4.6.2003, n.
8898; Cass. 4.1.2002, n. 46; Cass. 29.11.1999, n. 13342;), secondo cui, per poter
considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è
necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o
condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice
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indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere
implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse.
MOTIVAZIONE
A) il dovere di sicurezza
L’ordinamento, se da un lato attribuisce al datore di lavoro il potere di organizzazione
e direzione dell’attività d’impresa (art.2086 cod.civ.), dall’altro gli impone il dovere
di “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del
lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la
personalità morale dei prestatori di lavoro” (art. 2087 cod.civ., ma nel più ampio
quadro costituzionale di cui agli artt. 32 e 35 Cost. alla luce dei quali è stata elaborata
la nozione del “dovere di sicurezza” correlato ad un diritto della personalità
riconosciuto, come garanzia apprestata a favore di chi esplica attività lavorativa,
grazie al rilievo costituzionale attribuito alla salute, da un lato, ed al lavoro,
dall’altro).
Secondo l’opinione dominante (ex plurimis Cass. 8.2.2005, n. 2444; Cass. 30.8.2004,
n. 17314; Cass. 30.7.2003, n. 11704; Cass. 23.5.2003, n. 8204; Cass. 22.3. 2002, n.
4129; Cass. 8.4.2002, n. 5024; Cass. 5.3.2002, n. 3162; Cass. 20.6.2001, n. 8381;
Cass. 2.5.2000, n. 5491; Cass. 20.1.2000, n. 602; Cass. 21.12.1998, n.12763; Cass.
16.9.1998, n. 9247; Cass.9.5.1998, n.4721; Cass.20.4.1998, n.4012; Cass.19.8.1996,
n.7636; Cass.6.9.1995, n.9401; Cass.29.3.1995, n.3738; Cass.23.2.1995, n.2035;)
l’art. 2087 cod. civ. costituisce la norma di chiusura del sistema normativo
antinfortunistico, della quale le disposizioni che impongono delle cautele
particolareggiate (tra cui quelle, rilevanti nel caso in esame, contenute nel d.P.R.
7.1.1956, n. 164, non essendo applicabile ratione temporis la disciplina ex d.lgs.
9.4.2008, n. 81 invocata dal ricorrente) costituiscono una specificazione.
Si è, quindi, ritenuto integri la violazione dell’obbligo di sicurezza imposto al datore
di lavoro dall’art.2087 cod.civ. la mancata adozione sia delle particolari misure
preventive previste dalle norme speciali in relazione a ciascun tipo di attività
esercitata, sia di tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per la
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tutela dell’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori in base all’esperienza
ed alla tecnica finanche alla comune prudenza.
Secondo orientamenti consolidati (Cass. S.U. 12.3.2001, n.99; Cass. 7.11.2007, n.
23162; Cass. 24.2.2006, n. 4184; Cass. S.U.14.12.1999, n. 900; Cass. 25.5.2006, n.
12445; Cass. 20.2.2006, n. 3650; Cass. 14.11.2005, n. 22929; Cass. 23.4.2004, n.
7730; Cass. 21.4.2004, n. 7629; Cass.25.5.1999, n. 291; Cass.7.11.2000, n.14469;
Cass.10.6.2000,
n.7937;
Cass.
4.3.2000,
n.2455;
Cass.5.2.2000,
n.1307;
Cass.20.1.2000, n.602; Cass.20.12.1998, n.12763; Cass.7.8.1998, n.7792;), inerendo
l’obbligo ex art.2087 cod.civ. al rapporto di lavoro subordinato, la sua violazione
integra un inadempimento contrattuale;
tuttavia ciò non esclude che, qualora siano lesi diritti spettanti alla persona
indipendentemente dal contratto, concorra, in base al precetto generale del neminem
laedere, anche l’azione extracontrattuale di responsabilità ex art.2043 cod.civ. (con
diverso regime in ordine all’onere della prova – nella contrattuale a carico del
danneggiante che deve provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno,
nella extracontrattuale a carico del danneggiato che deve provare la colpa od il dolo
dell’autore della condotta lesiva, oltre all’inadempimento, al danno ed al nesso
causale tra questi due elementi – ed in ordine al termine prescrizionale - decennale
nella contrattuale, quinquennale nella extracontrattuale).
Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte (ex multis Cass. S.U.
4.5.2004, n. 8438; Cass. S.U. 4.11.1996, n. 9522; Cass. S.U. 2.8.1995, n. 8459; Cass.
23.1.2004, n. 1248; Cass. 5.8.2002, n. 11756; Cass. 25.7.2002, n. 10956; Cass.
29.1.2002, n. 1147; Cass. 22.7.2001, n. 9385; Cass. 12.3.2001, n. 99) si deve ritenere
esercitata l’azione extracontrattuale tutte le volte in cui non emerga una precisa scelta
del danneggiato in favore dell’azione contrattuale, avendo egli chiesto genericamente
il risarcimento del danno senza dedurre una specifica obbligazione contrattuale;
di contro va considerata proposta l’azione di responsabilità contrattuale quando la
domanda di risarcimento sia espressamente fondata sull’inosservanza, da parte del
datore di lavoro, di una precisa obbligazione scaturente dal contratto di lavoro;
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si è ulteriormente chiarito (Cass. S.U. 9522/1996 cit.; Cass. 8459/1995;) che la
semplice prospettazione dell’inosservanza del precetto dettato dall’art 2087 cod.civ. o
delle altre norme di prevenzione di fonte legislativa non depone in modo univoco per
la proposizione dell’azione contrattuale.
Nel caso in esame ricorre certamente la seconda ipotesi in quanto il ricorso contiene
specifici riferimenti all’obbligazione scaturente dal contratto di lavoro subordinato
per effetto dell’art. 2087 cod.civ..
B) l’infortunio occorso al ricorrente in data 6.4.2004:
insussistenza della responsabilità della società datrice per essere il sinistro
imputabile in via esclusiva ad una condotta colposa del lavoratore avente i caratteri
dell’inopinabilità, dell’eccezionalità e, quindi, dell’abnormità
Il ricorrente (che all’epoca lavorava alle dipendenze di C. s.r.l., la quale è stata
successivamente incorporata nella società convenuta) ha allegato:
“Il giorno 6.4.2004… durante l'attività di sfaldatura di un blocco di porfido, subì un
grave infortunio a causa di una scheggia di pietra, che si staccò dal blocco di porfido
ed andò a colpire l'occhio sinistro dello stesso. Il signor D. in seguito all'infortunio
riportò una ferita perforante all'occhio sinistro per l'asportazione del corpo estraneo
endobulbare con perdita completa della funzione visiva. Al signor D. veniva
riconosciuta dall’I.N.A.I.L. un'invalidità permanente del 28%”.
Attribuisce alla responsabilità, quantomeno concorrente, della società datrice
convenuta nella causazione del sinistro sia per colpa generica (negligenza), sia per
violazione di norme di prevenzione;
in particolare imputa alla società convenuta:
1)
la mancata adozione di un adeguato piano di sicurezza in violazione dell’art. 4 d.lgs.
626/1994;
2)
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la presenza nelle vicinanze di due addetti della sicurezza che non avevano preteso, in
violazione dell’art. 4 co.5 lett. f) d.lgs. 626/1994 e dell’art. 43 co.4 lett. b) d.lgs.
626/1994, che il lavoratore indossasse gli occhiali;
3)
la “totale inadeguatezza” degli occhiali di plastica in dotazione, in violazione dell’art.
43 d.lgs. 626/1994;
4)
la mancanza, in violazione dell’art. 22 d.lgs. 626/1994, di una specifica formazione
antinfortunistica nell'uso delle attrezzature di lavoro “tanto che era normale tra i
dipendenti il non uso degli occhiali di protezione durante il lavoro di sfaldatura”.
- -La società convenuta ha così replicato:
ad 1)
“Progetto Salute s.r.l. ha… curato e predisposto l’apposito e dettagliato piano di
sicurezza in attuazione del d.lgs. 626/1994”;
a 2)
“Anche il giorno 6.4.2004 il signor D., mentre era impegnato nell'attività di
sfaldatura di un blocco di porfido, indossava regolarmente i guanti, la tuta e gli
occhiali protettivi… Ad un certo punto il signor D. ha interrotto l'attività al fine di
togliersi il maglione e dissetarsi, bevendo un sorso d'acqua; quindi l'odierno
ricorrente ha ripreso l'attività di saldatura dimenticandosi di indossare nuovamente
gli occhiali protettivi, che si era tolto per sfilarsi il maglione. Ripresa l'attività di
sfaldatura, il signor D., a seguito di un colpo inferto al masso di porfido con la
mazza in dotazione, è stato accidentalmente colpito all'occhio sinistro da una
scheggia di porfido… Il perito minerario D. O. C. del Servizio Minerario della
Provincia Autonoma di Trento… a seguito degli accertamenti nonché sulla scorta
delle dichiarazioni rese dallo stesso signor D., ha elevato nei confronti dell'odierna
ricorrente la contravvenzione di cui all’art. 5, comma 2, punto a) del d.lgs.
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626/1994… nessuna contravvenzione state invece elevata nei confronti del legale
rappresentante di C. s.r.l. (società poi incorporata da O. P. s.r.l… ”.
a 3)
“Gli occhiali protettivi in dotazione al signor D. erano perfettamente idonei… a
prevenire l'infortunio in corso al predetto ricorrente; a tale riguardo va evidenziato
che il suddetto dispositivo di protezione individuale è stato collaudato e certificato
conforme e rispondente ai requisiti di sicurezza richiesti dalla normativa vigente ed
in particolare dalla direttiva CEE n. 686/1989”.
a 4)
“Il signor D. H., nel corso degli anni 2001-2003, prima di essere assunto presso la
C. s.r.l., lavorava alle dipendenze di D. P. s.r.l…, svolgendo le medesime mansioni di
manovale di cava…quindi vantava già una specifica esperienza in ordine ai rischi
connessi all'attività lavorativa ed alle misure antinfortunistiche da adottare per
l'esecuzione in sicurezza delle varie attività lavorative cui era adibito….
L’odierno ricorrente a dicembre 2002 ha partecipato assieme ai colleghi ad uno
specifico corso di formazione di prevenzione dei rischi ed antinfortunistica a Trento,
presso la sede di P. S. s.r.l…
Inoltre, in data 8.3.2004, il dott. M. M., direttore responsabile della C. s.r.l., ha
tenuto un apposito corso di formazione e di prevenzione antinfortunistica ai
dipendenti di C. s.r.l. ed allo stesso signor D. in occasione della consegna ai predetti
lavoratori dei nuovi dispositivi di protezione individuale (DPI - guanti, tuta, elmetto,
scarpe antinfortunistiche ed occhiali protettivi), in sostituzione dei precedenti…”.
--Secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte (ex multis, anche di
recente, Cass. 17.2.2009, n. 3786; Cass. 1.2.2008, n. 2491; Cass. 24.7.2006, n. 16881;
Cass. 24.2,2006, n. 4184; Cass. 20.2.2006, n. 3650; Cass. 14.1.2005, n. 644; Cass.
23.7.2004, n. 13887;Cass. 25.8.2003, n.12467; Cass. 20.6.2003, n. 9909; Cass.
6.7.2002, n. 9856;) l’art. 2087 cod.civ., di cui il ricorrente invoca l’applicazione nel
caso di specie, non configura un caso di responsabilità oggettiva (ossia fondata sul
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mero riscontro del danno biologico quale evento legato con nesso di causalità
all'espletamento della prestazione lavorativa), ma richiede pur sempre l'elemento
della colpa ossia la violazione di una disposizione di legge o di un contratto o di una
regola di esperienza.
Ne consegue che incombe sul lavoratore – che lamenti di aver subito, a causa
dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute – l'onere di provare l'esistenza di
tale danno come pure la nocività dell'ambiente di lavoro (da intendersi, alla luce della
più recente giurisprudenza in tema di oneri probatori in materia di inadempimento
delle obbligazioni contrattuali – Cass. S.U. 11.1.2008, n. 577; Cass. S.U. 30.10.2001,
n. 13533; – come mera allegazione dell’inadempimento del debitore astrattamente
idoneo a provocare il danno lamentato) nonché il nesso di causalità tra il danno e
l’espletamento dell’attività lavorativa, mentre spetta al datore di lavoro dimostrare di
aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.
Le allegazioni di parte convenuta hanno trovato pieno riscontro nella documentazione
dalla stessa tempestivamente offerta in produzione nonché nei risultati emergenti
dall’istruttoria svolta:
ad 1)
Vi è prova documentale (doc. 3) che la società all’epoca datrice C. s.r.l. aveva
predisposto già in epoca precedente l'infortunio del 6.4.2004 (ottobre 2003) il
“documento di sicurezza e salute coordinato” ex art. 6 e 9 d.lgs. 626/1994;
ciò a prescindere dalla mancanza di qualsiasi allegazione in ordine al nesso causale
tra la violazione antinfortunistica lamentata (peraltro insussistente) ed il sinistro di cui
è rimasto vittima il ricorrente.
a 2)
In sede di interrogatorio libero il ricorrente ha confermato le dichiarazioni rese in data
1.6.2007 avanti ai C.C. di Albiano (“Solitamente indosso gli occhiali protettivi
mentre con una mazzetta lavoro il materiale. Quel giorno avevo caldo e mi sono tolto
la maglia e di conseguenza gli occhiali. Dopo aver bevuto dell'acqua riprendevo il
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lavoro, dimenticandomi di indossarli nuovamente. Davo un colpo ad una lastra dalla
quale partiva una scheggia che mi ha colpito violentemente l'occhio sinistro…”);
ha, inoltre, precisato: “Dal momento in cui ho ripreso a lavorare a quello in cui ho
subito l'infortunio sono trascorsi in circa dieci minuti”;
infine ha riferito di aver provveduto a pagare la somma oggetto della contravvenzione
contestatagli dal Servizio Minerario della Provincia Autonoma di Trento perché
“nella circostanza dell'infortunio, non indossando gli occhiali protettivi alla ripresa
dell'attività di saldatura del porfido, non ha osservato le disposizioni e le istruzioni
impartite dal datore di lavoro, mediante Documento di Sicurezza e Salute (D.S.S.), ai
fini della protezione individuale”.
Inoltre si evince dall’istruttoria svolta (deposizioni di M. M., B. G. e R. A.) che il
ricorrente lavorava in una squadra composta da una decina di manovali, alla quale era
preposto un sorvegliante (R. A.) che svolgeva anche mansioni di palista e che
nell’occasione non si accorse che il ricorrente stava lavorando senza occhiali.
Solo il teste Taulant ha dichiarato di conoscere R. A. solo quale palista, ma nel
contempo ha ammesso che quest’ultimo gli portava il materiale che avrebbe dovuto
lavorare, circostanza questa idonea a configurare una posizione di subordinazione
gerarchica.
Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte (ex multis Cass. 2.10.2009,
n. 21113; Cass. 23.4.2009, n. 9689;Cass. 13.9.2006, n. 19559; Cass. 11.6.2004, n..
11140;) le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad
impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore
subordinato non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da
quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la
conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al
lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non
accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del
dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore,
all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare, invece,
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l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando
presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente
riferiti al procedimento lavorativo “tipico” ed alle direttive ricevute, così da porsi
come causa esclusiva dell'evento.
Indossare nuovamente gli occhiali protettivi alla ripresa della breve pausa, fruita dal
ricorrente su sua iniziativa per dissetarsi, appare una cautela antinfortunistica
talmente intuitiva nella sua finalità e semplice nella concreta attuazione che la
violazione di essa appare una condotta che, stante la sua imprevedibilità ed
eccezionalità, specie considerando la pluriennale esperienza specifica del ricorrente
(come da lui stesso ammesso nel corso dell’interrogatorio libero), può ben essere
qualificata abnorme ed esorbitante rispetto all’ordinario procedimento lavorativo.
D’altra parte, risultando assai arduo presagire che il ricorrente avrebbe omesso di
rimettere gli occhiali dopo la breve pausa, non può essere rimproverato al capo
squadra (e quindi in via indiretta ex art. 2049 cod.civ. alla società datrice) di non
essersi accorto della gravissima negligenza del ricorrente, tenuto conto che, come ha
riferito lo stesso ricorrente, trascorsero solo dieci minuti dal momento della ripresa
del lavoro al verificarsi dell’infortunio e non è certo esigibile che il capo squadra
vigilasse ad intervalli così brevi il corretto utilizzo, da parte dei subordinati (tanto più
se in possesso di notevole esperienza), dei dispositivi di protezione.
Il teste T. ha dichiarato che “pur avendo a disposizione gli occhiali, io non li usavo
mai dato che non li trovavo comodi”, senza che ciò costituisse motivo di rimprovero
da parte del datore (“A me non è mai stato detto di indossare gli occhiali messi a
disposizione. Per quanto so non ho sentito che sia stato detto ad altri”); tuttavia ha
precisato di non saper riferire se li usasse il ricorrente;
a questo proposito occorre ricordare che lo stesso ricorrente ha ammesso che nel
giorno dell’infortunio aveva lavorato indossando gli occhiali e solo per disattenzione
non li aveva rimessi dopo la breve pausa che, di propria iniziativa, si era preso per
dissetarsi;
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quindi la circostanza riferita dal teste T. oltre che di per sé irrilevante riguardando la
sua persona, non è verosimile sia perché altri colleghi di lavoro (precisamente il
ricorrente) utilizzavano gli occhiali, sia perché sarebbe assai singolare che il datore,
dopo aver messo a disposizione gli occhiali, si sia del tutto disinteressato se i
lavoratori ne facessero effettivamente uso.
a 3)
Il teste M. ha riferito che il paio di occhiali consegnato al ricorrente in data 8.3.2004
era corredato di certificazione identica a quella apparente nel doc. 6 fasc. ric. e quindi
era conforme alla direttiva 89/686/ CEE;
perciò la valutazione di inidoneità espressa dal ricorrente appare infondata (oltre che
del tutto apodittica).
a 4)
Come si è già visto, il ricorrente ha ammesso in sede di interrogatorio libero che già
all'epoca dell'assunzione alle dipendenze della dante causa della convenuta era in
possesso di esperienza specifica, avendo già lavorato con mansioni di manovale di
cava presso altre ditte del settore.
Inoltre il teste B. ha confermato la circostanza, già desumibile dal doc. 16 fasc. conv.,
che nel dicembre 2002 si tenne a Trento, a cura di P. S. s.r.l. ed a richiesta dell’allora
datore di lavoro del ricorrente, un corso di formazione aziendale in materia di igiene e
sicurezza;
in proposito il teste T., pur dichiarando di non ricordare la circostanza, ha
riconosciuto come propria la firma apposta sul foglio presenze al corso accanto a
quella della ricorrente (di talché il disconoscimento espresso dal ricorrente non appare
credibile).
Infine il teste M. ha confermato che in data 8.3.2004, quando vennero consegnati ai
dipendenti di C. s.r.l., ivi compreso il ricorrente, i nuovi dispositivi di protezione
individuale (tra cui il paio di occhiali), ne illustrò agli stessi il corretto utilizzo.
In definitiva nessuno degli inadempimenti ipotizzati dal ricorrente quale causa
dell’infortunio de quo si rivelato sussistente.
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--E’vero che secondo Cass. 21113/2009, per configurare il rischio elettivo, quale
limite alla responsabilità del datore di lavoro nella causazione degli infortuni sul
lavoro, viene richiesto:
a)
che il lavoratore ponga in essere un atto non solo volontario, ma anche
abnorme, nel senso di arbitrario ed estraneo alle finalità produttive;
b)
che il comportamento del lavoratore sia motivato da impulsi meramente
personali, quali non possono qualificarsi le iniziative, pur incongrue ed anche
contrarie alle direttive del datore di lavoro, ma motivate da finalità produttive;
c)
che l’evento conseguente all’azione del lavoratore non abbia alcun nesso di
derivazione con l’attività lavorativa;
tuttavia così opinando sarebbe configurabile la responsabilità del datore di lavoro
anche in mancanza di una condotta colposa imputabile al datore di lavoro, il che
appare in contraddizione con il consolidato orientamento più sopra ricordato, per cui
dall’obbligo di sicurezza ex art. 2087 cod.civ. non sorge un’ipotesi di responsabilità
oggettiva.
D’altronde, come ha già ricordato la difesa di parte convenuta, in altre pronunce Cass.
10.6.1996, n. 6282; Cass. 23.2.1995, n. 2028;) la Suprema Corte ha statuito che
l’obbligo di vigilare affinché siano impediti atti o manovre rischiose del dipendente
nello svolgimento del suo lavoro e di controllare l'osservanza da parte dello stesso
delle norme di sicurezza e dei mezzi di protezione non comporta una continua
vigilanza dell'esecuzione di ogni attività né il dovere di affiancare un preposto ad
ogni lavoratore impegnato in mansioni richiedenti la prestazione di una sola persona,
o di organizzare il lavoro in modo da moltiplicare verticalmente i controlli fra i
dipendenti, richiedendosi soltanto una diligenza rapportata in concreto al lavoro da
svolgere, e cioè all'ubicazione del medesimo, all’esperienza e specializzazione del
lavoratore, alla sua autonomia, alla prevedibilità della sua condotta, alla normalità
della tecnica di lavorazione.
C) in ordine alle spese
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La natura della controversia e la sua complessità costituiscono giusti motivi per
disporre l’integrale compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.
Il tribunale ordinario di Trento - sezione per le controversie di lavoro, in persona del
giudice istruttore, in funzione di giudice unico, dott. Giorgio Flaim, definitivamente
pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione rigettata, così decide:
1. Rigetta le domande proposte dal ricorrente.
2. Dispone l’integrale compensazione delle spese tra le parti.
Trento, 22 aprile 2010
IL CANCELLIERE
IL GIUDICE
Tiziana Oss Cazzador
dott. Giorgio Flaim
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