CALCIO - LA STORIA DEL CALCIO Aspetti legislativi di Marco Brunelli

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CALCIO - LA STORIA DEL CALCIO Aspetti legislativi di Marco Brunelli
CALCIO - LA STORIA DEL CALCIO
Enciclopedia dello Sport
di Adalberto Bortolotti, Gianni Leali, Mario Valitutti, Angelo Pesciaroli, Fino Fini, Marco Brunelli, Salvatore Lo Presti,
Leonardo Vecchiet, Luca Gatteschi, Maria Grazia Rubenni, Franco Ordine, Ruggiero Palombo, Gigi Garanzini
Aspetti legislativi di Marco Brunelli
Tutti i passaggi fondamentali in oltre cento anni di storia del calcio mondiale sono stati accompagnati da
importanti innovazioni regolamentari introdotte dalle istituzioni sportive. È questo il caso, per limitarsi al
calcio italiano del secondo dopoguerra, delle decisioni riguardanti: la struttura dei Campionati (che hanno
assunto la forma attuale nel 1988); la creazione delle diverse Leghe (la Lega di serie A e B nel 1946, quella di
serie C e la Lega dilettanti nel 1959); la possibilità di tesserare calciatori stranieri (introdotta con varie
limitazioni dal 1946 al 1966 e reintrodotta a partire dal 1980); l'adozione di misure volte a risanare i conti
dei club (tetto massimo per la rosa calciatori; blocco degli ingaggi e obbligo di regolare la campagna
trasferimenti attraverso la FIGC nel 1953; norme di controllo dei costi e dell'indebitamento nel 1967;
limitazione degli acquisti dei calciatori secondo le reali possibilità economiche dei club nel 1976; istituzione,
all'interno della FIGC, della CoViSoC ‒ Commissione di vigilanza sulle società di calcio professionistiche ‒ nel
1987; obbligo di certificazione dei bilanci nel 1988); l'istituzione dello status ufficiale di calciatore
professionista nel 1957; la trasformazione delle associazioni calcistiche di serie A e B in società per azioni
nel 1967; l'introduzione dell'obbligo della 'firma contestuale' del calciatore in caso di trasferimento nel
1978.
In Inghilterra, la Federazione impose il primo tetto salariale (salary cap) nel 1900 (mantenuto con
aggiustamenti fino al 1961) e il primo limite agli importi dei trasferimenti nel 1908. L'introduzione del
professionismo risale al 1885. La regola che fissava un limite massimo al pagamento di dividendi è stata
imposta nel 1896 e successivamente, nel 1920, 1974 e 1983, il limite è stato alzato. L'abolizione del vincolo,
anticipata da una decisione dell'Alta Corte di Giustizia, è del 1978.
Solo in epoca più recente, tuttavia, a riprova della crescente complessità dei problemi e della rilevanza degli
interessi in gioco, il funzionamento dei mercati calcistici è divenuto oggetto sistematico di attenzione da
parte del legislatore e ha ispirato innovative sentenze giurisprudenziali. Nessuna legge nazionale ha avuto
sull'organizzazione calcistica, il mercato del lavoro sportivo e i bilanci dei club l'impatto della 'sentenza
Bosman' (sentenza della Corte di Giustizia europea del 15 dicembre 1995, caso C-415/93), preceduta da
una sentenza della Corte di giustizia europea del 1976 (sentenza della Corte di Giustizia europea del 14
luglio 1976, caso 13/76), che ha, di fatto, avviato il processo di liberalizzazione del mercato dei calciatori.
Nella stessa direzione è indirizzato il nuovo Regolamen-to dei trasferimenti, imposto nel 2001 dalla
Commissione Europea alla FIFA.
Con la 'sentenza Bosman' è comparso sulla scena dello sport un nuovo regolatore sopranazionale, l'Unione
Europea, che è ripetutamente intervenuto a dettare le regole di funzionamento dei mercati calcistici o a
verificare quelle che i suoi membri si erano dati autonomamente. La Direzione Generale responsabile per la
concorrenza si è occupata di oltre 60 casi che interessano lo sport, dalla libertà di circolazione dei calciatori
sotto contratto, alla titolarità dei diritti televisivi, alla durata dei contratti di esclusiva, all'acquisto di club
sportivi da parte di gruppi dell'entertainment, alla natura monopolistica delle Federazioni, alla negoziazione
centralizzata dei contratti di sponsorizzazione, alla libertà di movimento delle società sportive nello spazio
europeo, all'ammissibilità degli aiuti di Stato allo sport, alla multiproprietà dei club, alla vendita dei biglietti
degli eventi, ai criteri di selezione degli atleti per le squadre nazionali.
A livello nazionale, nel 1984 in Francia (l. 16 luglio 1984, nr. 610, e successive modifiche), nel 1990 in
Spagna (l. 15 ottobre 1990, nr. 10) e nel 1998 in Brasile (l. 24 marzo 1998, nr. 9615) sono state approvate
importanti leggi-quadro sullo sport che hanno disciplinato i ruoli e le funzioni delle Federazioni e delle
Leghe professionistiche.
I rapporti tra società sportive e atleti professionisti (diritti e doveri di entrambe le parti; abolizione del
vincolo) sono stati regolati nel 1981 in Italia (l. 23 marzo 1981, nr. 91), nel 1978 in Belgio (l. 24 febbraio
1978), nel 1985 in Spagna (r.d. 26 giugno 1985, nr. 1006), nel 1991 in Grecia (l. 5 agosto 1991, nr. 1958) e
nel 1998 in Brasile (l. 24 marzo 1998, nr. 9615). Nell'estate del 1963 una decisione dell'Alta Corte britannica
aveva già dichiarato illegittimo il vincolo, presente nel regolamento della Football League sin dal 1888,
stabilendo che un calciatore è libero a scadenza di contratto se il club non esercita l'opzione di rinnovo. Un
documento di emanazione governativa, il 'rapporto Taylor' del 1990, ha cambiato la storia del calcio
inglese. Le misure suggerite dal giudice Taylor per garantire la sicurezza negli stadi dopo la tragedia di
Hillsborough, infatti, hanno portato alla trasformazione degli stadi inglesi in moderne strutture
polifunzionali, alla nascita della Premier League e all'impennata dei fatturati dei club inglesi.
Oltre che in Inghilterra (Public order act 1986, Football spectators act 1989,Football offences and disorder
act 1999, Football disorder act 2000), anche in Francia (l. 16 luglio 1984, nr. 610, e successive modifiche) e
in Spagna (l. 15 ottobre 1990, nr. 10, e R.D. 21 maggio 1993, nr. 769) lo sviluppo recente del calcio sarebbe
stato impensabile senza precise leggi a tutela dell'incolumità degli spettatori e del miglioramento delle
condizioni degli stadi. La stessa logica ha ispirato, in Italia, la recente approvazione di nuove misure antiviolenza (l. 19 ottobre 2001, nr. 377).
Dal 1996 in Italia (l. 18 novembre 1996, nr. 586) e dal 1998 in Spagna (l. 30 dicembre 1998, nr. 50), le
società di calcio possono quotarsi in Borsa, così come avveniva già da tempo in Inghilterra. In Francia, il legislatore ha ugualmente inteso aprire il capitale delle società professionistiche agli investitori esterni, ma ha
ritenuto la specificità dell'attività sportiva incompatibile con l'ammissione dei club al listino (l. 28 dicembre
1999, nr. 1124).
L'intensificarsi dei rapporti tra sport e televisione ha prodotto leggi e sentenze che hanno fortemente inciso
sull'operato delle organizzazioni calcistiche. In Francia (l. 16 luglio 1984, nr. 610, e successive modifiche),
Inghilterra (sentenza della Restrictive practice court del 28 luglio 1999), Germania (art. 31 della legge
antitrust nr. 1081 del 1957, così come emendato nel maggio 1998), Danimarca (sentenza antitrust del
novembre 1997) e Spagna (disposizione transitoria della l. 15 ottobre 1990, nr. 10, contestata e disattesa
dai club a partire dal 1996) è stata autorizzata la vendita collettiva dei diritti da parte delle Leghe o delle
Federazioni. La stessa prerogativa è stata riconosciuta alle Leghe professionistiche americane sin dal 1961
(Sports broadcasting act 1961). Viceversa, in Italia (l. 29 marzo 1999, nr. 78, e provvedimento dell'Autorità
garante della concorrenza e del mercato del 1° luglio 1999, nr. 7340), Grecia (l. 17 giugno 1999, nr. 2527),
Olanda (sentenza del Tribunale di Rotterdam del 9 settembre 1999) e Germania (per le Coppe europee:
sentenza della Suprema Corte Federale dell'11 dicembre 1997) si è stabilito che i diritti appartengono ai
club. Altri casi sono tuttora pendenti: i più importanti riguardano la vendita collettiva dei diritti televisivi
della Champions League e del Campionato tedesco e i diritti per la telefonia mobile del Campionato
francese.
Molti paesi, come Francia (l. 16 luglio 1984, nr. 610, e successive modifiche), Belgio (Decreto Ministeriale
della Comunità fiamminga 17 marzo 1998), Spagna (l. 3 luglio 1997, nr. 21), Germania
(Rundfunkstaatsvertrag 31 agosto 1991, art. 5), Grecia (l. 5 agosto 1991, nr. 1958), Portogallo (l. 14 luglio
1998, nr. 31/A) hanno regolamentato per legge il cosiddetto 'diritto di cronaca', definendo con precisione le
condizioni alle quali è consentito l'accesso agli stadi delle emittenti che non hanno acquistato i diritti, ma
svolgono ugualmente una funzione informativa.
Un'innovativa direttiva dell'Unione Europea (direttiva 552/89, Televisione senza frontiere) ha imposto ai
paesi membri di predisporre l'elenco dei programmi che, per il loro rilevante interesse sociale, non possono
essere trasmessi a pagamento. In Italia (decisione dell'Autorità per le comunicazioni del 28 luglio 1999, nr.
172) gli eventi sportivi da diffondere in chiaro sono, oltre al Giro d'Italia di ciclismo, al Gran Premio d'Italia
di Formula 1 e alle Olimpiadi, le partite ufficiali della nazionale, le finali dei Mondiali e degli Europei, la
finale e le semifinali della Champions League e della Coppa UEFA se coinvolgono una squadra italiana.
Caso pressoché unico al mondo, il governo francese ha fatto inserire nella legge finanziaria del 1999 una
tassa del 5% sui ricavi televisivi di tutte le organizzazioni sportive, da destinare alla promozione dello sport
di base. Più spesso, però, la valenza sociale del calcio ha giustificato interventi di sostegno da parte del
legislatore, come nel caso delle risorse destinate al piano di risanamento economico dei club dalla 'legge
dello sport' spagnola del 1990, o le agevolazioni fiscali concesse alle società di calcio in molti paesi .
Doping di
Leonardo Vecchiet, Luca Gatteschi, Maria Grazia Rubenni
L'atleta ha spesso cercato di aumentare le proprie prestazioni in maniera artificiale. Nei tempi antichi,
secondo le notizie che abbiamo a disposizione, in Cina si utilizzavano estratti di efedra, pianta che contiene
l'alcaloide efedrina. In Europa i racconti della mitologia nordica narrano che i guerrieri -accrescevano le loro
forze bevendo pozioni di amanita muscaria, che contiene l'alcaloide bufoteina. In Grecia venivano
somministrate miscele di piante e di funghi per aumentare la capacità nelle corse di fondo. In America del
Sud si utilizzavano foglie di coca per sostenere delle corse che potevano durare tre giorni e tre notti con
scarsissimi periodi di riposo. Allo stesso modo in America del Nord veniva assunto il peyotl, contenente
l'alcaloide mescalina, che permetteva di correre fino a 72 ore consecutive.
Negli ultimi decenni si è progressivamente ricorso a mezzi proposti dalla moderna farmacologia. Questa ha
messo a punto sostanze che sono estremamente attive per curare malattie importanti, ma che, per quanto
riguarda alcuni composti, hanno anche un effetto positivo sulle prestazioni fisiche dei soggetti sani.
L'elevato grado di specializzazione e di allenamento richiesto oggi in tutte le attività sportive ha portato
molti a credere che l'uso di sostanze farmacologiche o di altre procedure dopanti sia indispensabile per
potere avere successo nelle competizioni. Tuttavia, l'assunzione di farmaci per aumentare la prestazione è
un atto grave contro la morale sportiva, in quanto contravviene al principio che ciascuno deve gareggiare
secondo le proprie capacità, acquisite attraverso i sacrifici imposti da un corretto allenamento e da un
adatto stile di vita. L'inosservanza di tali norme è punita con sanzioni molto severe ma, soprattutto, l'uso
indiscriminato di farmaci può determinare un grave danno alla salute in tempi più o meno brevi.
Il primo caso mortale legato a uso di sostanze dopanti risale al 1886 in Francia, durante una competizione
di ciclismo. In quei tempi si utilizzavano nitroglicerina, cocaina, eroina, trimetilene, ossigeno, stricnina,
come pure zollette di zucchero imbevute di etere o di bevande alcoliche.
Intorno al 1950, la diffusione e la popolarità raggiunte dallo sport agonistico, in particolare calcio e ciclismo,
spingono la medicina dello sport a occuparsi con sempre maggiore interesse dei principali aspetti di tipo
fisiologico e fisiopatologico legati a tali attività, e dell'uso e abuso di farmaci in generale e di sostanze ad
azione ergogenica in particolare.
Nel 1954, in occasione dei Campionati del Mondo disputati in Svizzera, si registra il primo caso di sospetto
intervento farmacologico nel calcio: nei giorni successivi alla finale vinta contro l'Ungheria, infatti, i
giocatori della Germania Occidentale vengono colpiti da un ittero attribuito a un'intossicazione di natura
non determinata. L'ipotesi di doping rimane tuttavia a livello di semplice congettura.
Nel 1955 la Federazione medico sportiva italiana (FMSI), di fronte al dilagare dell'uso di farmaci ad attività
ergogenica, cerca di intervenire con informative alle varie Federazioni e istituisce specifici accordi con
l'Unione velocipedistica italiana per indagini ed eventuali esami clinici e di laboratorio sui corridori. Sempre
nel 1955 iniziano in Francia i primi controlli antidoping nel ciclismo, che portano al riscontro di circa il 20%
di casi di positività. Nello stesso periodo anche la Federazione internazionale di atletica leggera manifesta
analoghe preoccupazioni e la medesima volontà di opporsi al doping emanando un regolamento che
"condanna il drogaggio quando venga attuato con sostanze che non sono di uso comune e che hanno il
potere di aumentare il rendimento fisiologico dell'atleta".
La Federazione italiana giuoco calcio (FIGC), pur non apparendo il calcio in Italia particolarmente colpito dal
problema doping, mostra un costante interessamento e inizia a operare in merito fin dal 1960. Inizialmente
viene svolta un'indagine conoscitiva tesa a raccogliere informazioni sui prodotti farmaceutici usati dagli
atleti al fine di accelerare il recupero della fatica o di potenziare la prestazione e sull'eventuale
somministrazione di farmaci nei periodi antecedenti la partita o durante l'intervallo della stessa. Tali rilievi
vengono eseguiti inviando due medici sui campi di gioco della serie A e della serie B. Nella stagione 1960-61
vengono eseguite 102 ispezioni all'interno delle squadre di serie A (con un minimo di tre e un massimo di
otto per squadra), mentre 88 riguardano quelle di serie B (con un minimo di due e un massimo di sette per
squadra). L'indagine rileva che i medicamenti che ricorrono con maggior frequenza possono essere riuniti
nei seguenti gruppi: amine psicotoniche, glucosio e simili (per via orale o endovena), analettici, ormoni ed
estratti d'organo, farmaci cosiddetti dinamogeni, sedativi-tranquillanti, vitaminici e, episodicamente, a
seconda delle necessità, anche antireumatici, antipiretici, miorilassanti, antibiotici e chemioterapici. Nella
stessa stagione, a scopo sperimentale, vengono effettuati 36 esami delle urine su giocatori della serie A e
20 su giocatori della serie B. Gli esami condotti evidenziano una percentuale di circa il 20% di positività alle
amfetamine e lo stesso per quanto riguarda gli alcaloidi. Tra coloro trovati positivi vi sono giocatori delle
più importanti società del Campionato di serie A.
Nelle stagioni successive i controlli diventano progressivamente più approfonditi. Alcuni atleti di ogni
squadra, estratti a sorte, vengono sottoposti a prelievo delle urine nelle quali è ricercata una serie di
sostanze che comprendono in particolare gli stimolanti psicomotori e altri farmaci agenti sul sistema
nervoso centrale. Nella stagione 1962-63 vengono controllati 875 giocatori, con una positività pari
all'1,14%; nella stagione successiva sono effettuati 964 controlli, con nessuna positività. Il crollo delle
positività nei riguardi degli stimolanti psicomotori (prevalentemente amfetamine) viene giudicato come un
successo della campagna intrapresa. Va precisato però che, all'epoca, l'elenco delle sostanze proibite dalla
normativa antidoping della FIGC non risultava adeguato all'enorme sviluppo della farmacopea, che aveva
messo a disposizione successivamente numerosi composti in grado di incrementare la prestazione.
In Italia il primo caso di sanzioni conseguenti a doping riguarda il Napoli, con quattro giocatori squalificati
per un mese in seguito ai risultati dei prelievi effettuati dopo la partita Napoli-Milan del 27 gennaio 1963.
L'episodio più clamoroso avviene però nella stagione 1963-64, quando cinque calciatori del Bologna
vengono accusati di avere fatto uso di amfetamine nella partita Bologna-Torino. I giocatori vengono
inizialmente sospesi, ma la Commissione giudicante con la sentenza del 20 marzo decreta la loro
assoluzione, in quanto li ritiene implicati a loro insaputa; viene invece sanzionata la società, con perdita
della partita e penalizzazione di un punto, e sono squalificati per diciotto mesi l'allenatore e il medico
sociale. In seguito a un'iniziativa personale di tre avvocati bolognesi viene però interessata la magistratura
ordinaria, che con un'operazione a sorpresa procede al sequestro delle provette per le controanalisi. In tali
provette non viene trovata traccia di amfetamine, e ulteriori accertamenti effettuati sui campioni di liquido
organico precedentemente analizzati mostrano che le amfetamine riscontrate non risultano metabolizzate,
quindi mai passate per l'organismo umano. In conseguenza di tali riscontri, nel maggio, la Commissione di
appello federale assolve società, allenatore e medico sociale ritenendo i campioni esaminati manomessi da
personaggi esterni, non identificati.
Nel 1964 il Consiglio federale della FIGC decide una serie di innovazioni, tra cui il sorteggio al termine della
gara, in presenza dell'arbitro, per stabilire l'effettuazione o meno del controllo antidoping, e il deferimento
alle Commissioni disciplinari solo dopo il risultato delle seconde analisi.
Nel 1966 vengono effettuati i primi controlli antidoping in occasione dei Mondiali di calcio. Nel 1967 il
Comitato olimpico internazionale (CIO) pubblica la prima lista di sostanze vietate.
Nel 1971 viene promulgata in Italia la legge nr. 1099 sulla 'Tutela sanitaria delle attività sportive',
comprensiva anche di interventi diretti alla repressione del doping. In realtà il disegno di legge inizialmente
presentato dal governo appariva finalizzato esclusivamente alla repressione del doping, ma alla Camera
viene approvato con emendamenti che lo modificano profondamente, facendolo divenire una legge
organica riguardante l'intero settore della tutela sanitaria delle attività sportive.
Nel 1975 viene promulgata una Carta europea dello sport per tutti nella quale si prende in considerazione e
si condanna l'abuso di farmaci. Nel 1978, durante la Seconda conferenza europea, il Consiglio dei ministri
adotta una risoluzione su 'Doping e salute' che enfatizza sia i danni impliciti nell'uso di farmaci sia
l'importanza di trovare efficienti strade per evidenziare l'uso illegale delle sostanze dopanti. Nel 1981, in
Italia viene fondata la Libera associazione dei medici italiani del calcio (LAMICA) tra i cui compiti rientra
anche quello della lotta al doping.
Nel 1984 il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa redige una Carta europea contro il doping nello
sport che invia come raccomandazione a tutti i governi degli Stati membri. Nel luglio 1988 il Consiglio
nazionale del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) emana la direttiva alle Federazioni sportive
nazionali di adottare lo stesso elenco di sostanze e metodi doping previsto dal CIO, e le stesse sanzioni
stabilite dalla Commissione medica del CIO per i casi di positività. Da allora tale elenco viene annualmente
aggiornato dal CIO e conseguentemente recepito dal CONI e dalla FIGC. Nel 1989 lo Stato italiano emana la
legge nr. 401 sulla frode sportiva, legge che riguarda solo marginalmente il doping intendendolo come
mezzo che altera il risultato.
Negli anni successivi il dibattito sul doping prosegue, senza provvedimenti significativi, se non il progressivo
ampliamento, da parte del CIO, della lista di sostanze vietate, alla luce dei sempre nuovi composti messi a
disposizione dalla farmacopea. In tutto questo periodo, malgrado i numerosi controlli effettuati, i casi di
positività nel calcio sono del tutto sporadici; gli eventi più eclatanti riguardano l'uso di sostanze
amfetaminiche oppure, più che veri casi di doping sportivo, l'uso di sostanze voluttuarie quali i cannabinoidi
e la cocaina.
Nel novembre 1997, nel continuo sforzo di adottare misure tese alla protezione della salute dell'atleta e
alla luce del diffondersi dell'uso di eritropoietina, non riscontrabile agli esami antidoping, il CONI attiva la
campagna 'Io non rischio la salute'. Tale progetto prevede di sottoporre a controlli ematici e urinari atleti
praticanti specialità sportive a rischio di assunzione di eritropoietina e sostanze simili. Il riscontro di valori di
ematocrito superiori a 50, nell'uomo, e 48, nella donna, comporta la sospensione dall'attività per un
periodo di quindici giorni, al termine dei quali viene effettuata una nuova valutazione ai fini della
riammissione alle gare. A tale progetto aderisce anche la FIGC, a partire dalla stagione 1998-99.
Nel luglio del 1998, l'allenatore della Roma, che allora era Zdenek Zeman, rilascia un'intervista in cui
dichiara che nell'ambiente del calcio circolano troppi farmaci. La dichiarazione suscita grande scalpore e
determina l'apertura sia di una inchiesta conoscitiva da parte del CONI sia di vari procedimenti giudiziari.
Un'indagine in relazione a presunte irregolarità nei test antidoping condotti nel calcio porta fra l'altro alle
dimissioni del presidente del CONI, al commissariamento della FMSI e alla sospensione per tre mesi
dell'attività del laboratorio antidoping dell'Acqua Acetosa a Roma. Le inchieste svolte dalla magistratura
successivamente scagionano da ogni accusa i responsabili della FMSI al riguardo di irregolarità nel
laboratorio antidoping, che viene riaccreditato dal CIO e riprende la sua attività a pieno ritmo.
Parallelamente al procedere delle inchieste della magistratura, le istituzioni sportive mettono in atto
iniziative tese a divulgare la conoscenza del pericolo doping e a combatterne la diffusione. Tra quelle
promosse dalla FIGC figurano l'istituzione di apposite commissioni e inoltre, a opera della Sezione medica
del Settore tecnico di Coverciano, l'organizzazione di convegni e seminari e la pubblicazione di materiale
scientifico e divulgativo in merito ai pericoli del doping.
In ambito internazionale, in occasione della Conferenza mondiale sul doping nello sport, tenuta a Losanna
nel febbraio 1999, si definisce l'istituzione di un'Agenzia internazionale antidoping (WADA, World antidoping agency), con lo scopo di promuovere e coordinare la lotta contro il doping nello sport
internazionale. Istituita nel novembre dello stesso anno e costituita da rappresentanti del Movimento
olimpico e dell'Autorità pubblica in parti uguali, l'Agenzia diviene pienamente operativa in occasione delle
Olimpiadi di Sydney del 2000. La WADA, cui spetta il compito di emanare e aggiornare l'elenco delle
sostanze vietate, rilascia la prima lista, in collaborazione con il CIO, il 1° giugno 2001, con validità dal 1°
settembre 2001 al 31 dicembre 2002 (v. tab.).
Lo Stato italiano, oltre alle già citate leggi nr. 1099 del 1971 e nr. 401 del 1989, nel dicembre 2000 promulga
la legge nr. 376 in merito alla 'Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il
doping', che stabilisce principi innovativi nel settore, infatti con questa legge "la somministrazione o
l'assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l'adozione o la
sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le
condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti"
diventa reato penale. Le sanzioni prevedono multe fino a 100 milioni di lire e reclusione da tre mesi a tre
anni per chi fornisca sostanze dopanti ad atleti sia professionisti sia dilettanti; le pene aumentano se il
reato è compiuto da un medico, un farmacista o un dipendente di società sportive e se la somministrazione
riguarda atleti minorenni. Altro punto cardine della riforma è la decisione di sottrarre i controlli antidoping
al CONI e affidarli a un'apposita commissione di vigilanza istituita presso il Ministero della Salute,
commissione a cui viene affidato anche il compito di stilare l'elenco dei farmaci dopanti e determinare i
criteri per i controlli. Il doping diventa così reato punibile anche penalmente come chiesto da numerose
componenti dello sport e della società civile, considerata l'importanza sociale del problema.
Nella stagione 2000-01 il calcio viene interessato da un nuovo caso: l'improvviso aumento delle positività a
un agente anabolizzante, il nandrolone. Risultano coinvolti nove giocatori di serie A e B che sono prima
sospesi e successivamente squalificati. Sul fenomeno vengono aperte numerose indagini, a opera della
Commissione antidoping del CONI, per valutare la possibilità di un'eventuale contaminazione di integratori
assunti dagli atleti.
Alla luce degli ultimi eventi e allo scopo di indicare le linee di comportamento e controllare l'assunzione di
ogni sostanza, integratori compresi, agli inizi della stagione sportiva 2001-02 viene redatto un 'Codice di
comportamento in materia di lotta al doping', sottoscritto da tutte le componenti del mondo del calcio
rappresentate dalla Federazione italiana giuoco calcio, dalla Lega nazionale professionisti, dalla Lega
professionisti di serie C, dalla Lega nazionale dilettanti, dalla Associazione italiana calciatori, dalla
Associazione italiana allenatori di calcio, dalla Libera associazione medici del calcio e dalla Associazione
preparatori atletici del calcio. Tale codice individua nel medico sociale il soggetto responsabile dei
trattamenti prescritti ai calciatori, trattamenti che devono essere documentati utilizzando uno specifico
diario clinico ed effettuati solo con il consenso informato esplicito da parte del giocatore; il medico è tenuto
inoltre a indicare tutti gli integratori che intende utilizzare nell'arco della stagione. Le società appaiono
responsabili delle eventuali violazioni delle norme di tale codice imputabili ai medici sociali. Allo stesso
tempo il calciatore è tenuto a comunicare al medico sociale ogni prescrizione avvenuta da parte di altro
medico, producendo un'idonea liberatoria. Infine, il calciatore è tenuto a sottoporsi a qualsiasi analisi che il
medico sociale ritenga utile ai fini preventivi nella lotta al doping .
SITOGRAFIA: http://www.treccani.it/enciclopedia/calcio-la-storia-del-calcio_(Enciclopedia-dello-Sport)/