Beatrice come Anima - Universidad Complutense de Madrid

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Beatrice come Anima - Universidad Complutense de Madrid
Beatrice come Anima
ROSARIO SCRIMIERI
Universidad Complutense
Asociación Complutense de Dantología
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Nella mia ricerca sulla Vita Nuova condotta secondo i parametri
della psicologia del profondo di Jung, l´immagine di Beatrice è stata
interpretata come simbolo dell´archetipo dell´anima1. Grazie
all´esistenza di una donna concreta che, per le sue qualità fisiche e
morali, ha potuto suscitare la proiezione dell´inconscio del protagonista,
e grazie, per quanto ciò possa sembrare paradossale, alla decisione della
donna di non corrispondere all´amante e alla sua morte susseguente,
costui ha potuto entrare in rapporto con "l´amata interna", l´anima, un
entità stranamente ibrida, fatta di interiorità e di esteriorità. Di
esteriorità perché il riconoscimento dell´anima dipende, agli inizi
dell´individuazione, dall´esistenza di una donna concreta che vive nel
mondo e che è aliena al soggetto. L´inconscio sceglie lei e non un´altra
donna come supporto della proiezione. E un entità fatta di interiorità
perché l´inconscio non attua in un modo gratuito; la sceglie in funzione
di una serie di valori da lei posseduti e che la sua figura esterna suscita2.
Nei confronti dell´amante questi valori giaciono come un tesoro
nascosto nel suo inconscio, indisponibili per la coscienza; fra di essi
sono inclusi quelli legati al principio femminile, valori che fino a quel
momento il protagonista non ha esperimentato come propri, ma
proiettati sulle persone del sesso opposto.
Dopo la ricerca, in un primo approccio interpretativo, potrebbe
sembrare che Dante si adegui in modo conservatore ai parametri
collettivi dell´autorità religiosa, in opposizione ai movimenti laici che
favorivano l´emergenza della soggettività inaugurata dalla lirica
amorosa provenzale. Tuttavia se osserviamo più accuratamente, alla
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luce della psicologia del profondo di Jung, si vede che, dopo la seconda
fase della Vita Nuova, Dante non propone la via della trasformazione
interiore secondo i simboli collettivi che il credente ha a sua
disposizione, ma narra il processo della propria trasformazione
sfruttando le immagini che nascono e si elaborano nel suo inconscio;
queste immagini hanno l´energia di destare la vita dello spirito e il
potere di svolgere una funzione "trascendente", nel senso che portano il
soggetto a un nuovo atteggiamento e stato di coscienza.
Il processo che narra Dante non implica dunque la rinuncia alla
propia singolarità in favore dei simboli esterni proposti dal sistema
collettivo; in lui l´approdo nella nuova vita dello spirito si verifica
attraverso i simboli offerti dalla propria individualità. Infatti, la lode a
Beatrice della prima canzone della Vita Nuova, dal punto di vista
dell´individuazione, implica l´esultazione del poeta di fronte al
riconoscimento del potere e del valore di una nuova manifestazione
dell´archetipo dell´anima, promotore della vita dello spirito e di una
nuova poesia. L´ortodossia avrebbe obbligato invece a svincolare dalla
soggettività individuale l´impulso di crescita spirituale e a proiettare
quest´ultimo nei simboli religiosi collettivi, colla conseguente perdita di
coscienza nella maggioranza dei credenti di una forza e di una richezza
di loro appartenenza e che non dipendono solo dai simboli esterni e dal
loro referente religioso.
L´atto di ritirare la proiezione dell´anima dall´amata terrena,
rappresentata dal noto pentimento dei trovatori, significava in modo
implicito la susseguente e quasi obbligata proiezione dell´anima nel
simbolo religioso collettivo. Così il valore e il contenuto di questo
archetipo si riconoscevano al di fuori di sé, nel seno della Chiesa, nei
suoi simboli e riti sacri e derivati in definitiva da un Dio situato al di
fuori dell´uomo e non nella sua interiorità. In questo modo anche
l´energia dell´ anima -non riconosciuta come propria- cessava di essere
disponibile alla coscienza o per lo meno non era disponibile nel grado
in cui lo era quando l´immagine destinata a rappresentarla proveniva da
una scelta dell´inconscio, come recita uno dei principi basilari della
psicologia profonda: "Cuando un contenido inconsciente es sustituido
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por una imagen proyectada, tal contenido no puede participar de la vida
de la conciencia e influir en ella" (Psicología y alquimia: 21).
In questo senso l´intuizione di Dante è liberatoria perché quando
le difficoltà esterne cominciano a imporgli la necessità di ritirare la
proiezione dell´anima, egli non abbandona l´immagine della donna
concreta che l´inconscio ha scelto per proiettare su di lei questo
archetipo. Beatrice comincia cosí a essere sentita come l´amata terrena
e nel contempo come qualcosa di diverso dall´amata terrena; comincia
a avere dei tratti e a compiere una funzione che non possono più essere
attribuiti alla sua persona concreta. Diventa un simbolo che tuttavia è
emerso e è cresciuto nella coscienza partendo da un´esperienza
personale e quindi è in grado di sprigionare l´energia che procede
dall´inconscio. Dante dunque prima di percorrere il processo trascritto
nella simbologia della coscienza collettiva della sua epoca, come
accade di tanti simboli della Commedia -ma non dobbiamo dimenticare
che in questo poema Dante continua a proporre le proprie immagini
simboliche, e a usare con estrema libertà quelle collettive- ha subito un
processo interiore che lo ha collegato col simbolo personale che induce
la sua individuazione.
"Demasiado pocos son los hombres que experimentaron que la
figura divina constituye la más íntima propiedad de su alma"
(Psicología y alquimia: 21). Questo enunciato si potrebbe anche
applicare, oltre che all´esperienza di Dio, a quella dell´ archetipo
dell´anima. E se il riconoscimento di questo archetipo è volto a destare
la vita dello spirito e a offrire una mediazione colla divinità, Dante osa
chiaramente proporre come simbolo dell´ anima l´immagine generata
dalla sua immaginazione.
In questo senso Dante è stato considerato come l´attore dell´
ultimo grande sforzo nel Medioevo per tentare di salvare una visione
del mondo e una concezione dell´uomo ferite a morte dalla venuta
dell´umanesimo. Visto nella nostra propettiva lo sforzo di Dante
sarebbe consistito nel tentativo di sollevare ad un riconoscimento
cosciente ed individuale, una visione del mondo e una concezione
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dell´uomo che fino a quel momento erano fondate e realizzate secondo
istanze collettive e esterne; questo fatto aveva provocato che nella
maggior parte dei credenti e per quanto concerneva la loro crescita
interiore3, le spinte più profonde e vivificanti della vita dello spirito
erano rimaste inconsce, essendo prive della ricchezza e dell´energia
indotta dai simboli individuali. In questo senso Dante, a mio avviso,
cerca di rappresentare l´anima come un fatto esperibile
individualmente, riuscendo a evitare che l´energia soggiacente a questo
archetipo andasse persa nella proiezione in un simbolo collettivo e
rifluisse così, in maggiore o minore misura, nell´inconscio.
Prima che si producesse colla venuta dell´umanesimo la chiara
scissione fra le esigenze della vita dello spirito e quelle della
dimensione naturale dell´uomo, Dante propone una soluzione la cui
portata solo oggi la scienza della psicologia del profondo comincia a
capire e a spiegare, indipendentemente dalla attrazione che questa
soluzione, cristallizzata in poesia e percepita come poesia, ha potuto
suscitare nell´immaginazione dei lettori. La soluzione intuita da Dante
consiste nella possibilità che l´energia psichica scorra in modo
ininterrotto dalla dimensione naturale a quella spirituale, grazie a un
simbolo capace di saldare la fenditura fra i due piani. Per raggiungere lo
scopo, nella storia narrata nella Vita Nuova (e anche nella Commedia),
Dante cerca di mantenere viva l´immagine dell´amata terrena, e il
potere di attrazione e la ricchezza del simbolo che lei incarna al
margine delle peripezie vissute colla donna in carne o ossa. Dopo il
rifiuto di quest´ultima e più tardi dopo la sua morte, l´energia racchiusa
nella sua immagine continua ad attuare sul processo di trasformazione
interiore senza che il soggetto assuma un simbolo collettivo mediatore;
un simbolo che, se non si riusciva a sperimentare nella coscienza come
una realizzazione propria4, poco o nulla poteva suggerire
all´immaginazione, essendo svincolato dalla vita, quella realmente
sentita, goduta e sofferta.
La vita dello spirito proposta da Dante nella Vita Nuova continua
ad essere la vita collegata all´energia che irradiano i simboli della sua
immaginazione, senza che ciò implichi che quest´ energia tenda sempre
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di più verso obiettivi estranei alle esigenze dell´io e della persona5, e si
impegni nella ricerca della totalità, del centro regolatore della psiche, il
Sé6. Quest´ arduo cammino di trasformazione dell´energia istintiva in
un´ attività simbolica si verifica in Dante grazie alla conservazione dei
propri simboli. Nell´universo individuale del poeta è l´immagine di
Beatrice che è deputata a svolgere il ruolo di forza simbolica
impellente, immagine interiorizzata della donna che nella storia terrena
ha suscitato la proiezione dell´anima. Invece i simboli collettivi in linea
di massima dovrebbero attrarre con maggiore difficoltà l´energia
dell´inconscio. Questa situazione in pratica può produrre ciò che Jung
definisce come "ausencia del símbolo sobre la esfera instintiva",
qualcosa che equivale al ristagno dell´energia nell´inconscio, mentre
"poseyendo el símbolo, fácil es el tránsito" ("in habentibus symbolum
facilis est transitus") (La psicología de la transferencia: 116).
Qui radica, a mio avviso, una delle differenze che dividono
Dante da Petrarca e Laura da Beatrice. Quest´ultima, dopo la
dissoluzione della proiezione e dopo il lento riconoscimento interiore
dei valori che su di lei erano stati proiettati, diventa il simbolo capace di
svolgere la funzione trascendente, capace di spingere la trasformazione
verso la totalità e di preparare le condizioni per l´esperienza del divino.
Petrarca invece è privo di un simbolo per muovere quel passo. Laura
dopo la caduta della proiezione e dopo il pentimento del poeta per il
"primo giovenile errore", rimane solo un ricordo della pienezza che la
sua immagine suscitava, mentre l´energia e la capacità trascendente
dell´archetipo scivolano, sottomettendosi al simbolo collettivo, verso la
vergine Maria. Così Laura non si stacca dalla seconda forma di
manifestazione simbolica dell´anima: quella che Jung denomina
"Elena" e che si riferisce "a un eros todavía predominantemente sexual,
pero en un nivel estético y romántico, en el que ya la mujer posee
algunos valores individuales (La psicología de la transferencia: 36)7.
Petrarca si rivolge alla vergine Maria sul finire del Canzoniere
(Canzone CCCLXVI), senza cessare di piangere sugli errori del
passato. Le sue parole oppongono l´amata alla vergine Maria: Laura è
una creatura terrena e mortale; la Vergine è regina del cielo incoronata
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da Dio; Laura non conosce i mali che soffre il poeta (vv. 92-97); la
Vergine li conosce tutti; anche se Laura avesse conosciuto quei mali,
non avrebbe potuto porvi rimedio senza cadere nell´infamia e senza
provocare la morte spirituale del poeta; la Vergine invece può guarirlo
(vv. 101-104). Insomma, tutto quanto Laura non è e non può fare,
Beatrice lo è e lo può per Dante. Così dicono i versi-preghiera che
Dante rivolge a Beatrice nel paradiso celeste, quando la donna si separa
da lui per ritornare al posto che occupava fra i beati nell´empireo:
"O donna in cui la mia speranza vige,
e che soffristi per la mia salute
in inferno lasciar le tue vestige,
di tante cose quant´i´ho vedute,
dal tuo podere e da la tua bontate
riconosco la grazia e la virtute.
Tu m´hai di servo tratto a libertate
per tutte quelle vie, per tutt´i modi
che di ciò fare avei la potestate.
La tua magnificenza in me custodi,
sì che l´anima mia, che fatt´ hai sana
piacente a te dal corpo si disnodi" (Paradiso, XXXI, 79-90).
Petrarca chiama la vergine Maria "vera beatrice" ("Prego
ch´appaghe il cor, vera beatrice" (v. 52); queste parole, senza uscire dal
contesto della canzone, implicano che Laura sia stata per lui una falsa
"beatrice" (ma questo tratto che Petrarca attribuisce alla Vergine no
solo si potrebbe leggere in rapporto e in contrasto con Laura ma anche
con Beatrice, considerando i non infrequenti contesti in cui Petrarca
parla indirettamente e con reticenza di Dante). Per Dante invece
Beatrice è stata la "vera beatrice"; senza cessare di essere una creatura
mortale è stata anche, come amata interiore, un aspetto dell´anima nella
terza e quarta forma di manifestazione, quello beatificante e dotato di
potere: ella conosce i mali dell´ amante ed è capace di muovere la sua
energia per sanarli e trasformarli.
Petrarca chiede alla Vergine il dono delle lacrime "sante", di un
pianto libero dal "terrestre limo" e dall´ "insania" (vv. 116-117), come
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quello da lui versato per Laura, mostrando così la scissione fra il
simbolo dell´anima che quest´ultima rapppresenta -"Elena", analoga al
piano terrestre a cui appartiene- e l´aspetto celeste, curativo e
trasformatore della terza manifestazione di questo archetipo, che in
Petrarca è incarnato dalla vergine Maria. Abbiamo visto invece come in
Dante a partire dalla "lode", Beatrice rappresenta la terza forma di
manifestazione dell´anima e come in seguito è proprio il pianto per la
sua morte, un pianto poco a poco purificato dal "terrestre limo", che fa
emergere, incarnato nella sua figura, l´aspetto curativo e trasformatore
di questo archetipo. Petrarca invoca la vergine, sentendo la morte già
vicina, perché faccia per lui ciò che Beatrice ha fatto per Dante: la
guarigione interna, la conversione etica e la trasformazione della
scrittura poetica:
Se dal mio stato assai misero et vile
per la tua man´resurgo,
Vergine, i´sacro e purgo,
al tuo nome et penseri e ´ngegno et stile,
la lingua e il cor
le lagrime e i sospiri (vv. 124-130).
E la domanda che in modo spontaneo si pone è se quel simbolo
religioso collettivo riuscirà effettivamente a muovere in Petrarca
l´energia psichica nello stesso modo in cui con Dante ha attuato il
simbolo individuale di Beatrice, forza potente dell´immaginazione
radicata in origine nella dimensione naturale e istintiva dell´eros.
Questa stessa forza sarà capace di condurlo ma come "Sophia" -quarta
manifestazione dell´anima, "que ilustra y excede aun a la etapa tercera,
que se diría insuperable" (La psicología de la transferencia: 36)attraverso il paradiso celeste fino allo spazio dove si trova San
Bernardo, l´ultima guida del viaggio8, il monaco mistico che
significativamente ha promosso il culto cristiano alla vergine Maria
regina dei cieli9.
Quando Dante conclude la Commedia riserva alla vergine Maria
la simbolizzazione di due aspetti della quarta manifestazione
dell´anima, la verginità e l´umiltà, supreme condizioni perché possa
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nascere nell´anima la divinità10. La verginità implica la potenzialità
assoluta dell´anima; l´umiltà, l´accettazione e l´abbandono all´azione
divina11. Grazie all´interiorizzazione di queste qualità, alla fine Dante
può raggiungere la contemplazione dell´immagine di Dio, l´esperienza
del Sé12 (12). Ma in precedenza, è Beatrice che ha rappresentato per
Dante la sapientia, "Sophia", l´ aspetto contemplativo ed intuitivo
dell´anima in rapporto colle verità soprannaturali, rivelate a Dante
grazie al suo intervento durante il viaggio celeste (non por niente
Beatrice nell´empireo è seduta accanto a Rachele, simbolo della vita
contemplativa). Inoltre e prima di quest´aspetto contemplativo ella
simbolizza la vertù curativa e trasformatrice, eticamente impegnata;
così Dante ce la presenta nelle sequenze del paradiso terrestre. Quindi
Dante proietta in un simbolo privato, foggiato dalla sua immaginazione
non solo i tratti della terza manifestazione dell´anima -mediante la
quale l´eros si solleva "a la más alta estimación y a la devoción
religiosa, y con ello se espiritualiza" (La psicología de la transferencia:
36)- ma anche la sapienza, la quarta manifestazione, "Sophia". Petrarca
invece attua queste proiezioni nella vergine Maria, nel simbolo
religioso collettivo.
In questo senso l´atteggiamento di Dante, giudicato in certi
ambienti retrogrado e conservatore nei confronti di Petrarca umanista e
progressista, solo comincia a essere valutato in rapporto allo sviluppo
religioso dell´uomo contemporaneo e alla possibilità di fare
l´esperienza del divino attraverso i simboli elaborati dalla propria
immaginazione e radicati nel divenire della propria storia individuale. È
importante ricordare che la Commedia -dopo immediatamente accettata
dall´autorità religiosa, poiché fu riconosciuta come libro di Autorità
nello Studium dei dominicani e dei francescani- fu poi condannata dalla
Chiesa, ripristinata alla fine dell´Ottocento e ufficialmente riconosciuta
nel 1921. Penso che questa condanna non sia dovuta solo al trattamento
spesso senza riguardi di Dante verso la Chiesa e la condotta dei suoi
rappresentanti, ma anche all´importanza essenziale che egli accorda al
potere dell´immaginazione individuale nell´itinerario dell´anima verso
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Dio e all´estrema libertà con cui fa uso tanto della capacità simbolica
immaginaria quanto dei simboli collettivi13.
La poesia di Petrarca diventerà invece il modello della lirica
occidentale che inaugura l´umanesimo: poesia dell´anima e della
perdita dell´ "anima", senza possibilità di riscatto e di trasformazione
per raggiungere i livelli superiori della vita dello spirito, senza che
"Elena" possa trasformarsi in "Maria"14, e meno ancora in "Sophia".
Petrarca inaugura dunque la poesia dell´ assenza, del lutto, della
scissione fra livello terrestre e celeste; una poesia annegata nel pianto
per la perdita dell´ "anima", ancorata all´atteggiamento della
malinconia e del lutto nell´impossibilità di saldare la frattura fra la terra
e il cielo15.
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NOTE
1
Questo archetipo "rappresenta la parte della psiche che ha attinenza col sesso opposto e
indica sia la conformazione del nostro rapporto con esso sia il deposito dell´esperienza
collettiva al riguardo. È dunque l´immagine dell´altro sesso che portiamo in noi, come
esseri singolari e come appartenenti alla nostra specie" (Jacobi 1973: 143). "Siccome
l'immagine dell'anima coincide con la funzione meno salita in luce e ancora
sonnecchiante nell'inconscio, il suo carattere si dimostrerà opposto alla funzione
principale e sarà simboleggiato da una corrispondente figura specifica" (Jacobi 1973:
151). Quest´ultima caratteristica fa che l´anima sia in rapporto con gli aspetti sconosciuti
della coscienza e, per questa ragione, che costituisca anche il simbolo che rappresenta il
potenziale inconscio della psiche, legato ai contenuti dell´inconscio collettivo proiettati
sulle questioni più candenti del momento come, nel caso di Dante, il riconoscimento della
dimensione corporale dell´uomo, delle sensazioni e dell´eros, e del principio femminile e
di realtà.
2
Non tutti possono essere il supporto di una proiezione né per il bene, né per il male. Il
fatto di essere oggetto di una proiezione è, fino ad un certo punto, qualcosa che si
merita; in questo senso sappiamo che Beatrice, come afferma Dante stesso, non era una
donna qualunque, non era come il resto delle donne ("non è come l´altre donne" (XIII,
5).
3
Non mi riferisco all´esperienza dei mistici e santi -delle rarità fra i credenti- che sono
riusciti a fare della fede e dei simboli religiosi esterni un´esperienza personale. D´altra
parte si conoscono le difficoltà e persino i rischi che essi correvano quando la loro
esperienza religiosa non si adeguava alle norme simboliche stabilite dalla Chiesa.
4
"Sólo encontraron a Cristo en el exterior, pero nunca le vieron surgir de su propia
alma" (Psicología y alquimia: 22). Così parla Jung del modo in cui la maggioranza dei
credenti ha vissuto il cristianesimo; ciò non è dovuto solo alle loro carenze ma anche al
proposito dell´autorità della Chiesa, determinata a mantenere sotto il controllo le anime.
Per Jung "la cultura cristiana se ha mostrado vacía en un grado que espanta: es puro
barniz exterior; en cambio el hombre interior quedó intacto y sin experimentar cambio
alguno" (Psicología y alquimia: 22).
5
"Io o Ego: il complesso centrale nell´ambito della coscienza. Un Ego forte può
collegarsi oggettivamente a contenuti inconsci attivati /.../ invece di identificarsi con
essi. Persona: (latino persona-ae: maschera dell´attore): il proprio ruolo sociale, derivato
dalle aspettative della società e dell´educazione. Un Ego forte si pone in relazione con il
mondo esterno attraverso una Persona adattabile. L´identificazione con una persona
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specifica (medico, studente, artista e così via) ostacola lo sviluppo psicologico" (Daryl
Sharp in M.L. von Franz 1992: 335).
6
"L´archetipo della totalità e il centro regolatore della personalità. È sperimentato come
un potere soprannaturale, che trascende l´Ego (per esempio: Dio)" (Daryl Sharp in M.L.
von Franz 1992: 336).
7
"Ya los antiguos conocían la cuádruple escala erótica Jawwa (Eva), Elena (de Troya),
María y Sofía /.../. Como se infiere de la denominación, se trata de cuatro etapas del eros
heterosexual, o sea de la figura del ánima, y con ello también de las cuatro etapas de la
cultura del eros. La primera etapa de Jawwa, Eva, Tierra, es meramente biológica, en la
que la esposa-madre sólo representa la mujer que debe ser preñada. La segunda se
refiere a un eros todavía predominantemente sexual, pero en un nivel estético y
romántico, en el que la mujer ya posee algunos valores individuales. La tercera etapa
eleva el eros a la más alta estimación y a la devoción religiosa, y con ello lo
espiritualiza. En contraste con Jawwa se trata aquí de una maternidad espiritual. La
cuarta etapa, por fin, ilustra algo que excede sorpresivamente aun a la etapa tercera, que
se diría insuperable: es la sapientia. Pero, )cómo puede aventajar la sabiduría a lo más
puro y sagrado? Es de suponer que solamente por la circunstancia de que algo menos
significa no pocas veces algo más. Esta etapa representa una espiritualización de Elena,
es decir, del eros. Por ello, la sapientia es paragonada con la Sulamita del Cantar de los
Cantares" (La psicología de la transferencia: 36).
8
Infatti è San Bernardo, come proiezione di un aspetto dell´ombra di Dante, che nella
Commedia si rivolge alla Vergine, e non Dante; il santo simboleggia la tappa della
contemplazione, l´ultima dell´itinerario della mente verso Dio: "In perfetto accordo con
le leggi della psiche descrittecci da Jung, la funzione guida passa dall´Anima al Vecchio
Saggio. Anche Virgilio era una personificazione dell´Archetipo del Vecchio Saggio, ma
ancora al livello di una funzione dell´io, che di solito dà l´avvio al processo prima che
subentri l´Anima guida" (Mazzarella 1991: 487).
9
Nella Vita Nuova ci sono due momenti in cui si menziona il simbolo collettivo della
suprema manifestazione dell´anima, incarnato dalla vergine Maria, situata al di sopra di
Beatrice: così all´inizio del capitolo quinto, quando Dante si riferisce alle parole dedicate
alla "regina de la gloria"; e all´inizio del capitolo XXVIII, quando Dante annuncia la
morte dell´amata: " /.../ quando lo segnore de la giustizia chiamoe questa gentilissima a
gloriare sotto la insegna di quella regina benedetta virgo Maria, lo cui nome fue in
grandissima reverenzia ne le parole di questa Beatrice beata" (XXVIII, 1).
10
In quest´ultimo contesto e in quelli immediatamente susseguenti si usa il termine
`anima´ in senso lato e non in quello ristretto dell´archetipo junghiano.
11
I tratti di umiltà e di abbandono alla volontà divina, inerenti al "fiat" della Vergine
Maria, possono far capire le parole di Jung quando si riferisce a quest´ultima
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manifestazione dell´anima come qualcosa di meno che significa invece qualcosa di più
(La psicología de la transferencia: 36).
12
"Solo con l´atteggiamento simboleggiato da Maria, aspetto elevatissimo dell´ Anima
che comprende tutti gli altri, potrà nascere nell´anima dell´uomo la visione del Sé. /.../ Il
poeta ci sta dicendo che nella via della ricerca spirituale, ogni uomo e donna devono
passare attraverso Maria [si tratta della Vergine Maria del culto cristiano e non della
terza forma di manifestazione dell´anima, considerata da Jung in La psicología della
trasferencia (p. 36), anche essa Maria. La vergine Maria in Dante corrisponderebbe a un
aspetto della quarta forma di manifestazione dell´anima], cioè sviluppare, per diventare
completi, le qualità di cui Maria è simbolo" (Mazzarella 1992: 490).
13
In questo senso, A. Coomaraswamy /.../ ritiene "che l´ Occidente, per rinnovarsi,
dovrebbe leggere Dante non solo como poeta, ma per riscoprire in esso il cristianesimo"
(in Mazzarella 1992: 522).
14
Cfr. supra nota 7.
15
In questo senso la tensione della poesia lirica, lungo un processo che trova in Petrarca
e in Mallarmé i suoi punti emblematici di riferimento, sposterà il suo centro, "dal
desiderio, al lutto e Eros cederà a Thanatos il suo impossibile oggetto d´amore per
recuperarlo, attraverso una funebre e sottile strategia, come oggetto perduto, mentre il
poema diventa il luogo dell´assenza che trae però da questa assenza la sua specifica
autorità" (Agamben 1993: 154).
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