Il tempo libero in rete

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Il tempo libero in rete
Il tempo libero in
rete
di Clay Shirky*
L’avvento del tempo libero
A partire dalla Seconda guerra mondiale, per una serie di fatti positivi quali la crescita del PIL pro capite, del livello di istruzione, delle aspettative di vita e dell’occupazione,
per la prima volta un numero enorme di cittadini si è trovato a gestire qualcosa che non
aveva mai dovuto gestire prima: il tempo libero. E cosa si è fatto di questo tempo libero? La
maggior parte è stato usato per guardare la televisione. Solo ora iniziamo a vedere il tempo
libero come un patrimonio, piuttosto che come un problema da gestire, e si cominciano a
programmare cose mirate a impiegarlo in modi più impegnativi che non stare davanti a un
televisore.
Durante un’intervista con una produttrice televisiva mi fu chiesto: «Cosa vede in giro
di interessante?» Cominciai a parlarle di un articolo su Plutone apparso su Wikipedia. Un
paio di anni fa, Plutone fu escluso dal club dei pianeti e declassato a pianeta nano e l’argomento suscitò molta eccitazione nella comunità di Wikipedia.. Alla fine, dopo molti contrasti, la voce passò da “Plutone è il nono pianeta” a “Plutone è una roccia con una strana
forma e una strana orbita sul confine del sistema solare”. Pensavo che questa storia avrebbe potuto dar luogo ad una discussione. Lei invece, scuotendo la testa, mi disse: «Come fa
la gente a trovare il tempo?» Questa la sua domanda, alla quale replicai: “Nessuno che lavori in TV può fare questa domanda. Lei sa da dove viene questo tempo, nasce dall’eccedenza di tempo, dal surplus cognitivo che voi state mascherando da cinquant’anni”.
Quanto è grande questo surplus? Se prendiamo Wikipedia come unità di misura, l’intero progetto in tutte le sue parti e in tutte le lingue utilizzate rappresenta un accumulo di
circa cento milioni di ore di pensiero. Questo calcolo, fatto all’IBM con Martin Wattenberg,
è approssimativo, ma indica l’ordine di grandezza. E per la televisione? Duecento miliardi di
ore all’anno, solo negli Stati Uniti, cioè 2000 interi progetti Wikipedia spesi a guardare la
televisione. Il punto interessante è che inizialmente la società non sa come impiegare questa eccedenza di tempo rappresentata dal tempo libero: se lo sapesse, non sarebbe più
un’eccedenza. Proprio perché non si sa cosa fare, si deve iniziare a sperimentare qualcosa
per riassorbire questa eccedenza e, così facendo, si può anche trasformare la società.
La fisica della partecipazione è molto più simile alla fisica del tempo atmosferico che
alla fisica della gravità. Sono note tutte le forze che fanno funzionare la questione: lì c’è una
*Clay Shirky è
scrittore e Docente
di New Media alla
New York
University.
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comunità interessante, là c’è un interessante modello di condivisione, qui un gruppo sta collaborando a un software open source. Ma nonostante si conoscano i dati di entrata, non si
riesce a predire il risultato a causa della elevata complessità. Quindi, si continua a provare
una quantità di cose, sperando che ogni fallimento porti ulteriori informazioni e conoscenze
che avvicinino all’obiettivo. Questa è la fase in cui ci troviamo ora.
Solo per fare un esempio, piccolo ma significativo. Qualche tempo fa, uno dei miei
studenti mi ha segnalato il progetto di un professore brasiliano, Vasco Furtado, riguardante
una Wiki Map del crimine in Brasile. Chi sa di un’aggressione, di un furto, di un assassinio
e via dicendo, può andare su Google Map e segnare il luogo e le caratteristiche del crimine.
Si può costruire così una vera e propria mappa di questi fatti, su i quali esiste già una informazione spontanea, del tipo: “Non andare là, è un quartiere pericoloso, stai attento quando
è buio, ecc.”, ma senza alcuna fonte pubblica cui attingere informazioni precise.
Non so se il progetto avrà successo, la maggior parte di questi esperimenti non decollano, ma quelli che riescono sono del tutto eccezionali, e spero che questo riesca. Tuttavia,
anche se non riuscisse, avrebbe già dimostrato il punto, e cioè che qualcuno, pur lavorando
da solo con strumenti semplici, ha una ragionevole speranza di ottenere abbastanza tempo,
desiderio di partecipazione e volontà collettiva dei cittadini per creare una nuova risorsa non
immaginabile solo qualche anno prima.
Meglio far qualcosa che non far niente
Sottostante alla domanda: «Dove trovano il tempo?», vi era anche un altro pensiero.
Nella stessa conversazione, mi misi a parlare dei club World of Warcraft1, ma mi accorsi che
la produttrice stava pensando qualcosa del tipo: “Perdenti. Adulti che stanno nelle loro cantine facendo finta di essere elfi”.
Quando ero ragazzo, ogni ora che passavo a vedere la televisione era un’ora sottratta
al mio blog, o a Wikipedia, o alla mia mailing list. Avevo però una giustificazione a prova di
bomba: semplicemente queste cose non esistevano. Ero costretto a seguire i canali televisivi perché era la sola opzione disponibile, ma ora non lo è più, e questa è la grande novità.
Per quanto miserevole possa essere stare nella propria cantina e immaginare di essere un
elfo, lo è ancor di più stare davanti a un televisore e cercare di decidere se è più carina
Ginger o Mary Ann2.
Vorrei fare di questo punto un principio generale: è meglio far qualcosa che non far
niente. Questa è una cosa che chi lavora nei media continua a non capire. Nello scorso secolo i media sono stati gestiti a senso unico: per il consumo. Quanto possiamo produrre?
Quanto potete consumare? Possiamo produrre di più e voi consumare di più? La risposta a
queste domande è stata il più delle volte affermativa.
I media tuttavia sono un triathlon, composto da tre elementi. Le persone amano consumare, ma anche produrre e partecipare. Non c’è quindi da essere sorpresi, come sembra
sia invece il mondo dei media, se offrendo alle persone la possibilità di produrre e condividere, queste son ben contente di accettare l’offerta. Ciò non significa che non staremo più
sul divano a guardare Scrubs; significa solo che lo faremo di meno.
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La popolazione connessa a Internet guarda la televisione circa mille miliardi di ore
ogni anno, cinque volte circa il consumo statunitense. Il solo 1% di questa cifra rappresenterebbe cento progetti Wikipedia all’anno cui partecipare. Mi sembra una questione di estremo interesse.
Tuttavia, la mia interlocutrice non era di questo parere e la sua ultima domanda fu:
«Ma non sarà soltanto una moda?» La mia replica che non si trattava di una cosa che nasceva dalla società, ma in cui invece la società cresceva, non ebbe molto successo. Anche perché allora non avevo l’esempio giusto da portare, che ora invece ho.
Uno schermo inutile
Durante una cena con un gruppo di amici, uno di questi ha raccontato che stava guardando un DVD con la sua figlioletta di quattro anni, quando questa ad un tratto si è alzata
dal divano ed è corsa dietro al televisore. Si potrebbe pensare che la bambina volesse vedere se i protagonisti del film erano veramente lì dietro, ma non si trattava di questo, perché
ha cominciato invece a trafficare con i cavi. Il padre le ha chiesto: «Cosa stai facendo?».
Sporgendo la testa da sopra il televisore, la bambina ha risposto: «Sto cercando il mouse».
Una bambina di quattro anni sapeva che uno schermo che trasmette senza mouse è inutile;
media che mirano a te, ma che non includono te, forse non meritano di essere seguiti. Credo
che il cambiamento in atto vada in una sola direzione, perché le generazioni cresciute
immerse in questo nuovo ambiente, come la figlia del mio amico, non devono passare attraverso il travaglio dell’abbandono dei vecchi schemi. Esse danno semplicemente per scontato che i media comprendano consumo, produzione e partecipazione.
“Stiamo cercando il mouse” è diventato il mio motto ed è la risposta che do a chi mi
chiede cosa sto facendo. Uso il plurale, perché questo è il compito di tutti quelli che stanno lavorando concretamente alla ricerca della prossima buona idea. Bisognerà andare a guardare in tutti i luoghi in cui un lettore, un ascoltatore, uno spettatore o un utente è stato
escluso, è stato confinato a un’esperienza solo passiva, prefissata, inscatolata. E chiederci:
”Posso prendere un po’ del suo tempo e far sì che qualcosa di buono succeda?” Sono convinto che la risposta sia affermativa.
Tratto da una conferenza tenuta a Web 2.0 Expo, San Francisco, aprile 2008.
Note e indicazioni bibliografiche
1 World of Warcraft è un videogioco fantasy, che si può giocare solo su Internet pagando un canone. Possono giocare
contemporaneamente anche migliaia di persone. Attualmente disponibile in sette lingue, ha circa 11 milioni di iscritti in tutto il mondo.
2 Personaggi di una sitcom molto famosa negli Stati Uniti, Gilligan’s Island (1964-1967) e diventate stereotipi di due
tipi di donne.
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