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Bhutan: cani, yak e molti spiriti Reportage - Un Paese incastonato sul versante sud della catena himalayana tra maestose montagne e torrenti / 10.10.2016 di Nadia Ticozzi Quando cala la notte a Thimphu insieme alla luna si alza nel cielo il latrato dei cani. È la ninna nanna himalayana che ogni sera accompagna bhutanesi e turisti lungo la morbida china del torpore. Oppure lì li trattiene, appena al di sopra della superficie del sonno, con la complicità dell’altitudine, se si tratta dei citati turisti che ancora devono abituarsi alle quote di tali maestose montagne. Questo concerto è la prima accoglienza della grande comunità del Bhutan, che include non solo gli umani con i loro animali domestici, in questo caso anche mucche e yak, ma pure l’infinità di spiriti che hanno influenza sugli umori dei pendii montuosi e delle acque dei torrenti, e che vanno rispettati e consultati se si desidera realizzare delle costruzioni. I cani, dicevamo, a notte si riuniscono nelle vie per onorare con un canto i loro padroni: il cielo e la terra. Durante il giorno nella capitale spesso sonnecchiano acciambellati nel mezzo delle due corsie, incuranti e fiduciosi dello scorrere tranquillo delle automobili. Oppure accompagnano per un tratto chi vuole fargli una carezza, per lasciarlo quando le strade si divideranno, anche solo pochi metri più in là, con l’assoluta certezza che pure del cibo gli verrà dato da qualcuno. I Bhutanesi condividono generosamente ciò che hanno, compresi gli spazi. Le strade non appartengono solamente agli umani. Ai bordi delle carreggiate s’incamminano, oltre a uomini, donne e bambini, intere famiglie di bovini che pascolano senza la necessità di un pastore: semplicemente, a sera torneranno verso casa. Il loro pascolo è il Bhutan. La gestione della convivenza in questo Paese, incastonato sul versante sud della catena himalayana, riguarda tutti gli esseri senzienti, compresi gli spiriti. Al proprio arrivo il turista incapperà in un’immagine del tutto insolita alle nostre latitudini, se escludiamo il luogo in cui potremmo trovarlo rappresentato, ossia i muri dei bagni pubblici. Il pene viene dipinto sulle pareti esterne delle case come elemento di protezione dai demoni, alla vista del quale questi dovrebbero desistere da qualsivoglia pessima intenzione e fuggire spaventati. Ciò che affascina, andando a ritroso nel tempo per conoscere le origini di questa tradizione, è scoprire che il Bhutan nel 14mo secolo ebbe il suo Diogene di Sinope, il suo Socrate pazzo: Drukpa Kuenley, monaco buddista illuminato originario del Tibet, visse tra il 1455 e il 1570 e incarnò il buddismo tantrico. Questa forma di buddismo fu diffusa già dall’ottavo secolo in Bhutan da Guru Rinpoche, conosciuto anche come Padmasambhava e considerato il secondo Buddha. Drukpa Kuenley si recò in Bhutan dopo aver deciso la direzione da prendere scagliando una freccia e seguendo poi la via indicata da essa. I devoti lo chiamano il «pazzo divino» a causa del suo «oltraggioso e non convenzionale modo di insegnare». Così recita il cartellone esplicativo presso il tempio Chime Lhakhang a Punakha, dedicato a questo insolito lama. Egli si «aggirava per la campagna con le parvenze di un vagabondo, indulgendo in canti e danze, in sesso e alcol». Con questi suoi modi egli intendeva criticare l’ipocrisia sottesa a ciò che è considerata la norma e le istituzioni che tali regole emanano, compreso il corpo monastico. Il dipinto del suo fallo, detto «fulmine di fiammeggiante saggezza», simboleggia il disagio che la società prova quando si trova confrontata con la verità. Altresì, il nostro imbarazzo occidentale di fronte a tal simbolo rappresenta la vergognosa verità che senza sesso non c’è futuro. Quest’organo infatti è rappresentato anche come sacro di per sé, in quanto portatore di vita. Nel mese di novembre, nella regione del Bumthang, vi è il festival Jampa Lhakhang Drub, che si svolge sull’arco di tre giorni. Durante il festival, allo scoccare della mezzanotte e alla sola luce di un falò, compaiono i danzatori della danza sacra degli uomini nudi, la «naked dance». Questi uomini ballano senza vestiti, la sola parte del corpo ricoperta è la testa, avvolta in un panno bianco. Gli atteggiamenti osceni dei danzatori, che si esibiscono in onore del «pazzo divino», provocano spesso l’ilarità del pubblico. A causa delle indecenze rappresentate per alcuni anni questo spettacolo fu vietato, ma una serie di catastrofi naturali portò il governo a rivedere la propria decisione: la lettura dell’oroscopo da parte di un lama aveva visto in questi disastri la conseguenza della scelta di vietare la danza sacra degli uomini nudi. Evitare di scatenare l’ira delle entità spiritiche presenti sul territorio, ereditate dalla religione precedente al buddismo, il Bön, è una preoccupazione costante per un abitante del Bhutan e per il governo stesso. La gestione del Paese è demandata a due istituzioni, il governo e il corpo dei monaci, che si occupa esclusivamente delle questioni spirituali e ai cui componenti si fa divieto di candidarsi alle elezioni. Prima di realizzare qualsiasi tipo di costruzione, un lama officerà un rituale di richiesta alle entità che abitano il luogo dove si desidera edificare, per domandare loro di lasciare spazio sufficiente e di non interferire. Il governo stesso deve rispettare queste tradizioni. In progetto vi era la realizzazione di una strada in luoghi remoti e difficilmente raggiungibili, un’opera che sarebbe andata a tutto vantaggio dei cittadini. La popolazione invece si oppose, poiché la costruzione avrebbe disturbato uno spirito abitante in una roccia di grandi dimensioni e che andava lasciato in pace, pena la catastrofe. La strada non fu costruita. Questa sorta di «ingegneria spirituale» si rivela una forma di protezione per la gente comune, che così risulta in buona parte protetta dagli abusi edilizi e da un eccesso di cementificazione che porterebbe a uno squilibrio tra uomo e natura. Questa nazione arroccata sui fianchi della catena montuosa più maestosa del pianeta si è aperta al resto del mondo e alla modernità solamente intorno agli anni 70, grazie alla politica lungimirante del quarto re, sua maestà Jigme Singye Wangchuck. Jigme Khesar Namgyel Wangchuck è invece il nome dell’attuale re del Bhutan, il quinto, figlio del precedente che in età ancora giovane ha abdicato in suo favore. Il quarto re del Bhutan è amatissimo dal suo popolo per molti motivi tranne uno: nel 2006 il quarto re annunciò al parlamento che il potere sarebbe stato trasmesso al popolo e che così sarebbe stata stabilita la democrazia. Per la prima volta dalla sua creazione l’Assemblea Nazionale del Bhutan respinse all’unanimità la proposta del re. Questa fu anche la prima volta nella storia del Paese che il re usò il proprio potere di veto e a sua volta respinse il rifiuto dell’Assemblea Nazionale imponendo la sua decisione. Le prime elezioni nel Paese sono state condotte nel 2008 e a oggi la popolazione ancora deve abituarsi al sistema democratico, nei confronti del quale è tuttora riluttante.