LE PROSPETTIVE DELL`ITALIA SETTENTRIONALE NEL DUEMILA
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LE PROSPETTIVE DELL`ITALIA SETTENTRIONALE NEL DUEMILA
LE PROSPETTIVE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE NEL DUEMILA: LE RAGIONI E I FONDAMENTI DELLA RICERCA Egidio Dansero* INTRODUZIONE – LA STRUTTURA DELL’INDAGINE – I TEMI ANALIZZATI – LO SFONDO – L’ITALIA SETTENTRIONALE: LA COSTRUZIONE DI UN PROBLEMA – L’ITALIA SETTENTRIONALE IN ALCUNE RECENTI RICERCHE – LA PROSPETTIVA D’INDAGINE – LA POSIZIONE GEOECONOMICA DELL’ITALIA SETTENTRIONALE – ALLA RICERCA DI UN RUOLO EUROPEO: QUESTIONI APERTE – BIBLIOGRAFIA PROBLEMATICO DELLA RICERCA INTRODUZIONE** L’ITALIA SETTENTRIONALE IN UNA PROSPETTIVA EUROPEA Questa ricerca muove dalla considerazione che il processo di integrazione dei paesi dell’Unione Europea sarà sempre più caratterizzato dal protagonismo delle città e delle regioni europee nel contesto di una ridefinizione profonda del ruolo degli Stati e in una prospettiva di governance policentrica. Con sempre minore mediazione da parte dei rispettivi Stati nazionali e con sempre maggiore esposizione ad una globalizzazione potenzialmente destrutturante se non si è in grado di interpretarla positivamente, ciascun territorio è chiamato a ridefinire o ricercare un proprio ruolo all’interno del più ampio spazio unificato europeo. In particolare, è opinione consolidata che le regioni dell’Italia settentrionale1, per prossimità geografica ed economica, possano e debbano svolgere un ruolo cruciale sia nel completamento dell’integrazione territoriale europea, sia nei rapporti con i territori a Sud e a Est dell’Europa comunitaria. L’Italia settentrionale2 nel suo complesso, e il livello alto della sua rete urbana, appaiono rivestire un’importante funzione di mediazione o di cerniera tra il Mediterraneo in ritardo, l’Est in transizione e il nucleo avanzato dell’Europa. Questo ruolo appare giustificato dalla collocazione geografica dell’Italia settentrionale nel contesto europeo, dalle sue caratteristiche economiche e sociali, dalla sua apertura internazionale, ed è altresì confortato, come vedremo, da alcune immagini consolidate del territorio europeo che orientano le politiche comunitarie trasversali e settoriali. Occorre però interrogarsi sui presupposti e sui caratteri di questo ruolo di snodo, di intermediazione che l’Italia settentrionale potrebbe più esplicitamente assumere in una prospettiva europea. * Dipartimento Interateneo Territorio, Politecnico e Università di Torino Questo scritto è debitore di diversi riconoscimenti e ringraziamenti: in primo luogo a Giuseppe Russo del Centro Einaudi, per il suo fondamentale contributo sia nella fase di impostazione della ricerca sia nel suo divenire; a Giuseppina De Santis, Giampiero Bordino, Giovanni Bressi, Piero Bonavero e Paolo Giaccaria per i preziosi suggerimenti. Un grazie particolare va poi a Sabrina Cavallo, che si è occupata della raccolta della documentazione e dell’editing della ricerca e a Piergiorgio Cipriano, che ha curato la parte cartografica. 1 Nel corso della ricerca useremo indifferentemente, per ragioni espositive, le locuzioni “Italia settentrionale”, “Italia del Nord”, “Nord Italia” ecc. 2 Nella ricerca si è fatto riferimento ad una definizione “statistica” ufficiale dell’Italia settentrionale (le otto regioni), lasciando ad ogni singola scheda la possibilità di riferirsi ad altre articolazioni territoriali più pertinenti rispetto al tema indagato. ** 1 LE PROSPETTIVE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE NEL DUEMILA Si tratta in primo luogo di soffermarsi sulla fondatezza di queste ipotesi, peraltro abbastanza diffuse e condivise, ma non abbastanza scandagliate nei loro presupposti teorici ed empirici. In secondo luogo, occorre esplorare la capacità dei territori dell’Italia settentrionale di svolgere tale ruolo: quali i punti di forza su cui puntare, quali quelli di debolezza e i vincoli strutturali da superare. I VINCOLI STRUTTURALI DELL’ITALIA DEL NORD In questa prospettiva, la ricerca intende in particolare verificare la gravità di alcuni vincoli strutturali dell’Italia settentrionale che sembrano minacciare sia la sua continuità di crescita, sia la sua capacità di svolgere i nuovi impegnativi compiti che deriveranno dall’integrazione nell’Europa e da una localizzazione geoeconomica e geopolitica strategica. Le ipotesi di partenza della ricerca possono essere così schematizzate: • non si può dare per scontato o valutare tout-court soddisfacente il livello di sviluppo delle regioni dell’Italia settentrionale che hanno costituito e tuttora rappresentano, in una molteplicità di percorsi, il cuore propulsivo della crescita industriale dell’Italia; • negli ultimi dieci anni, il tasso di crescita delle regioni settentrionali non è stato uniformemente adeguato alle ambizioni di proseguire lo sviluppo e a imprimergli una qualità diversa, per esempio in termini di composizione settoriale della produzione di reddito, in termini assoluti e per addetto; • le prospettive di crescita dell’economia italiana del Nord non saranno incondizionatamente prospere, a causa di alcuni fattori strutturali oggettivamente critici e di alcune minacce incombenti, sulla base dei processi di integrazione economica europea, di internazionalizzazione delle imprese e di globalizzazione dei fenomeni economici; • il ritardo nel rimuovere tali fattori critici strutturali rischia di isolare l’Italia del Nord dai principali flussi ed assi di sviluppo e di impedire che l’area si garantisca quote di mercato in settori innovativi e strategici. Sulla base di tali premesse, la ricerca si propone di: • individuare i settori funzionali e istituzionali in cui l’Italia settentrionale e il suo sistema metropolitano dovranno sostenere il maggiore impegno per unire all’Europa centrale il sistema economico del Mezzogiorno d’Italia, del Mezzogiorno d’Europa e dei Paesi mediterranei non comunitari; • confrontare le principali dimensioni dell’economia e delle istituzioni economiche dell’Italia settentrionale con quelle di altre regioni europee; • individuare i fattori di minaccia sia al processo di sviluppo, sia alla capacità di svolgimento effettivo del ruolo di cerniera. LA STRUTTURA DELL’INDAGINE L’ITALIA DEL NORD ATTRAVERSO ALCUNE LETTURE TRASVERSALI La ricerca è organizzata in tredici schede tematiche, che affrontano alcuni nodi fondamentali della struttura dell’Italia settentrionale, evidenziandone prospettive, punti di forza e di debolezza, e fornendo alcune indicazioni di policies. Accanto ad un primo gruppo di schede di carattere strutturale (demografia, sistemi formativi, reti urbane, neoimprenditorialità, ricerca e sviluppo, risparmio e finanza d’impresa, trasporti e infrastrutture), un secondo gruppo di schede seleziona alcuni temi più specifici (la struttura manifatturie- 2 LE RAGIONI E I FONDAMENTI DELLA RICERCA ra, i servizi alle imprese e la distribuzione commerciale, il commercio estero e gli investimenti diretti all’estero). I temi approfonditi sono stati scelti in base alla criticità che rivestono per le prospettive di sviluppo dell’area. Il profilo dell’Italia settentrionale che emerge dalle schede tematiche non è certamente esaustivo, sia per il taglio fortemente selettivo delle singole schede, volto ad enucleare alcune istanze chiave, sia per i tanti temi che non vengono affrontati: dall’agricoltura, al turismo, all’ambiente – forse il tema che più conferisce unitarietà all’area oggetto di analisi, in particolare per la gestione delle risorse idriche a livello di bacino idrografico3 – agli aspetti istituzionali ecc. All’interno di linee generali comuni, ciascuna scheda interpreta l’Italia del Nord da una particolare angolazione in ragione sia della tematica specifica e della relativa disponibilità di dati e studi alle diverse scale territoriali, sia del diverso punto di vista e approccio disciplinare dei singoli esperti tematici. Anziché elemento di debolezza, questa eterogeneità di approcci ci è parsa la maniera migliore di interpretare in modo polifonico una realtà, quale quella dell’Italia settentrionale, multiforme e complessa, che richiede continui cambiamenti di scala e di prospettiva per essere colta nella sua diversità. LA RETE DEI COLLABORATORI IL PERCORSO Si è dunque costituita, sotto il coordinamento del Cesdi srl e del Centro “Luigi Einaudi”, una rete di collaborazioni specialistiche e pluridisciplinari (demografi, economisti, geografi, politologi e sociologi), appartenenti ad enti e istituzioni di ricerca pubblici e privati Ogni esperto ha fornito il proprio contributo sia attraverso l’elaborazione della scheda tematica nell’ambito delle proprie competenze, sia partecipando ad alcuni momenti di confronto sulle linee generali della ricerca. In particolare, il lavoro di indagine e riflessione si è così articolato: • raccolta e analisi della letteratura esistente sui diversi temi di ricerca, dei lavori empirici realizzati negli ultimi anni e, più in generale, della “letteratura grigia” disponibile. Ciò è avvenuto sia attraverso i tradizionali canali istituzionali e personali (fonti presso biblioteche, università, centri di ricerca pubblici e privati, ecc.) sia attraverso “navigazioni” telematiche su molteplici siti Internet pertinenti e significativi; • raccolte statistiche sistematiche, inerenti ai diversi temi, di provenienza sia nazionale sia internazionale (Istat, InfoCamere, Eurostat, Ocse ecc.); • colloqui e interviste, anche con la raccolta di contributi scritti, di esperti e testimoni privilegiati delle diverse aree tematiche indagate, sia interni alle reti di collaborazione Cesdi srl e Centro Einaudi, sia esterni a queste; • confronto, attraverso seminari interni al gruppo di ricerca, sulle ipotesi, sulle metodologie di lavoro e sulle fonti relative a ciascuna scheda tematica, definendo gli elementi di interconnessione tra le diverse schede (ad esempio, fra i temi della finanza innovativa e dell’innovazione tecnologica; 3 L’unico vero organismo sovraregionale padano è infatti l’Autorità di bacino del Po, che ha competenze dirette in materia di pianificazione e scelta delle priorità di intervento. Tuttavia, è interessante notare come proprio dal punto di vista della gestione delle risorse idriche (a livello di bacino) dal bacino del Po sia escluso il Nord Est, compreso nei bacini dell’Adige e del Piave-Tagliamento-Isonzo. 3 LE PROSPETTIVE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE NEL DUEMILA della trasformazione demografica e della formazione del capitale umano; della struttura manifatturiera e del commercio estero e dell’internazionalizzazione; delle reti urbane e dell’apertura internazionale delle città e del sistema dei trasporti); • impostazione e individuazione – attraverso una specifica riflessione comune – delle linee generali del saggio introduttivo e discussione delle principali tesi emergenti dalle singole schede e poi riprese nel saggio conclusivo, cui è affidato il compito di incrociare i differenti tagli trasversali offerti da ciascuna scheda. I TEMI ANALIZZATI LA DEMOGRAFIA Il primo aspetto preso in considerazione è quello demografico, dato che qualsiasi ipotesi di sviluppo dell’Italia settentrionale deve fare necessariamente i conti con questa variabile di fondo. Il parametro della compatibilità/incompatibilità con le proiezioni demografiche attese deve essere assunto come criterio di riferimento per la valutazione di qualsiasi progetto per il futuro dell’Italia settentrionale. Viene segnalata la prevedibilità di alcune fondamentali proiezioni demografiche nei prossimi 10-20 anni e, in particolare, viene evidenziata la rapidità e l’intensità dei mutamenti strutturali in corso, caratterizzati da una eccezionale caduta demografica. I SISTEMI Accanto ai caratteri demografici, i sistemi formativi si presentano come una delle variabili cruciali per valutare le prospettive di sviluppo dell’Italia settentrionale. La scheda delinea un quadro generale del sistema formativo dell’Italia settentrionale e delle sue tendenze evolutive, dei suoi punti di forza e di debolezza, e analizza i diversi “segmenti” di questo articolato sistema. Sono esplorati i fondamentali nodi critici del sistema formativo: il grado di innovazione, gli eventuali poli di eccellenza, i rapporti fra formazione e inserimento lavorativo, i rapporti di cooperazione/competizione tra le sedi del sistema formativo settentrionale. FORMATIVI IL SISTEMA DELLA RICERCA E SVILUPPO LA NEOIMPRENDITORIALITÀ Un’attenzione particolare viene dedicata alla ricerca e sviluppo, quale fattore strutturale di crescita. La scheda esplora le potenzialità scientifico-tecnologiche e innovative localizzate nell’Italia settentrionale, attraverso la sistematizzazione e interpretazione dei dati ufficiali e dei contributi della letteratura economica più recente. Si individua e analizza la posizione innovativa dell’Italia settentrionale nel quadro comparativo europeo, utilizzando alcuni indicatori di input (spese R&S, distribuzione dei centri di ricerca, ecc.) e output (attività brevettuale, dinamica delle esportazioni high tech) tecnologico. Si analizzano inoltre le strategie innovative delle imprese sia grandi sia medio-piccole diffuse nei distretti. Si esplora, nella misura del possibile per la scarsità dei dati disponibili, il ruolo (attuale e potenziale) di “mediatore tecnologico” dell’Italia settentrionale sia verso il Sud della penisola sia verso i paesi mediterranei sia infine rispetto alle aree europee centro-orientali. Un altro aspetto cruciale su CUI si è concentrata la ricerca è quello della neoimprenditorialità, della quale viene preso in considerazione uno spettro allargato di forme: da quella originaria agli spin off, al passaggio generazionale, 4 LE RAGIONI E I FONDAMENTI DELLA RICERCA alle forme di neoimprenditorialità “incentivata” dall’intervento pubblico. Viene anche considerato l’universo in espansione del lavoro autonomo e dell’autoimprenditorialità, ai confini tra le forme di lavoro tradizionali, quelle indipendenti e il vero e proprio “fare impresa”. LE SPECIALIZZAZIONI MANIFATTURIERE I SERVIZI ALLE IMPRESE Viene esaminata la struttura industriale dell’Italia settentrionale nei suoi comparti tradizionali e in quelli più avanzati, analizzandone la competitività rispetto ai competitori europei e internazionali. La scheda si sofferma in particolare sulle possibilità che l’economia dei distretti, del made in Italy e dei macchinari industriali, cardini dello sviluppo settentrionale, possa continuare a sorreggere l’Italia del Nord a fronte del recupero di competitività della grande dimensione d’impresa e di un ruolo sempre più marginale nei settori in crescita dell’alta tecnologia. Vengono presi in considerazione i servizi alle imprese ed in particolare quelli dell’information technology, considerati strategici per lo sviluppo delle capacità competitive dell’area in oggetto, analizzando il peso dell’Italia del Nord attraverso alcuni indici di densità. Viene altresì considerata la collocazione dell’area nel contesto internazionale, evidenziando il ritardo, che l’Italia nel suo complesso – ed anche il Nord Italia, seppur in misursa più contenuta – registra nei confronti degli altri paesi ad economia avanzata, sia per quanto riguarda l’offerta e la domanda interna, sia l’interscambio. Altra variabile strutturale è costituita dal risparmio delle famiglie e dalla finanza d’impresa, temi che vengono affrontati in due schede separate. IL RISPARMIO La scheda sul risparmio evidenzia la tradizionale grande intensità e capacità di risparmio dell’Italia settentrionale e, nello stesso tempo, le nuove prospettive che si aprono con l’euro e la progressiva internazionalizzazione del sistema bancario e finanziario. Viene altresì evidenziato il ruolo che l’Italia settentrionale potrebbe avere rispetto alla sua “frontiera” meridionale e mediterranea per quanto riguarda gli aspetti finanziari. Questo ruolo di “cerniera” sarà però sostenibile solo se l’Italia settentrionale riuscirà a “catturare” in misura crescente risorse finanziarie europee e internazionali, nel quadro dell’internazionalizzazione ed europeizzazione in atto nel mercato dei capitali. IL FINANZIAMENTO La scheda sulla finanza d’impresa fornisce un rapido excursus sul passato e le prospettive delle dinamiche di finanziamento del sistema imprenditoriale del Nord Italia. Si evidenzia come il sistema finanziario dell’Italia settentrionale si trovi ad un punto cruciale di svolta. Il processo di integrazione monetaria – con il venir meno di alcuni vantaggi comparati iniziali, quali la centralità geografica, la moneta utilizzata, le barriere normative e tecniche – pone infatti in maggior evidenza la contendibilità del mercato finanziario europeo, aumentando la competizione tra i diversi centri finanziari. DELLE IMPRESE LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE La modernizzazione delle reti distributive, con uno spazio di crescente autonomia rispetto all’industria, ha un ruolo sempre più rilevante nella trasformazione del sistema economico e territoriale. La scheda analizza il processo di adeguamento del Nord Italia nel colmare il ritardo che lo separa dai sistemi distributivi moderni in Europa. Particolare attenzione viene riservata al delicato rapporto tra il sistema distributivo sem- 5 LE PROSPETTIVE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE NEL DUEMILA pre più internazionalizzato e con un crescente controllo estero della grande distribuzione, e il sistema produttivo settentrionale, soprattutto nel comparto delle Pmi manifatturiere. IL SISTEMA DEI TRASPORTI LE RETI URBANE E L’APERTURA INTERNAZIONALE DELLE CITTÀ IL COMMERCIO CON L’ESTERO GLI INVESTIMENTI DIRETTI ALL’ESTERO Tra i nodi più critici nelle prospettive di sviluppo dell’Italia settentrionale emerge lo stato delle infrastrutture e dei trasporti in particolare. La scheda ne evidenzia la condizione di arretratezza, resa ancor più pesante dalla mancanza di una chiara consapevolezza della gravità di queste carenze tanto nell’opinione pubblica quanto nelle classi dirigenti. Vengono analizzate le diverse forme e modalità di trasporto e le loro interconnessioni, nella prospettiva non solo nazionale, ma soprattutto internazionale, lungo i due assi strategici continentali Nord-Sud e Ovest-Est, considerando che le potenzialità dell’Italia settentrionale di essere “ponte” e “cerniera” verso Sud e verso Est sono evidentemente subordinate allo sviluppo di questi assi. Nella convinzione che saranno soprattutto le città a giocare un ruolo decisivo nella connessione dei territori dell’Italia settentrionale alle reti globali e continentali, la scheda intende delineare un quadro generale delle reti urbane dell’Italia settentrionale anche rispetto ad altre aree geografiche europee, evidenziando le specificità italiane. Emergono punti di forza rappresentati dalla elevata densità urbana e dalla forte coesione economica e sociale della rete urbana in alcune aree e, nello stesso tempo, fattori di debolezza quali le carenze del sistema infrastrutturale di trasporti e comunicazione. La scheda esplora la collocazione dell’Italia settentrionale nel quadro degli scambi commerciali italiani ed internazionali (peso del commercio estero, grado di apertura, specializzazioni, contenuto delle esportazioni ecc.). All’interno di un andamento piuttosto differenziato tra Nord Est, il cui commercio estero è in continua crescita, e Nord Ovest, che sembra privilegiare la via degli investimenti diretti all’estero, emergono sia il rilievo dell’interscambio settentrionale nel contesto nazionale ed europeo sia, d’altra parte, i segnali di una perdita di competitività negli ultimi anni (in particolare nei settori ad alta tecnologia). La scheda prende in considerazione la collocazione della macro-regione settentrionale nel quadro degli investimenti diretti da e verso l’estero. Utilizza i dati più recenti e le serie storiche ricavabili dalle fonti ufficiali (Istat, Eurostat, Ocse ecc.). Si fonda anche sul patrimonio informativo più aggiornato contenuto nella banca dati Reprint R&P per gli investimenti diretti in entrata e in uscita dall’Italia. Sul piano del processo di internazionalizzazione, è evidenziata la crescente diffusione e rilevanza delle alleanze e degli accordi non equity, che rappresentano spesso un ponte verso forme di investimento diretto all’estero. Sono del pari analizzati i processi di investimento estero in entrata, nei loro diversi possibili aspetti e significati. LO SFONDO PROBLEMATICO DELLA RICERCA Tre temi fondamentali definiscono il quadro problematico della ricerca: il cammino dell’integrazione europea, dagli esiti tuttora incerti; i processi di globalizzazione – che iperconnettendo i singoli territori mettono in discussio- 6 LE RAGIONI E I FONDAMENTI DELLA RICERCA ne e richiedono una ridefinizione dei rapporti geopolitici e geoeconomici tra le diverse scale territoriali – la riforma dello Stato, con un ripensamento dell’articolazione territoriale italiana verso una qualche forma di federalismo che consenta alla forma Stato di tenere pur faticosamente il passo all’interno di processi che, dall’alto e dal basso, ne minano ruolo e senso. Si tratta di tre sfide principali che attraversano, a scale diverse (globale, europea e nazionale), il multiforme territorio oggetto di questo studio, intrecciandosi in un groviglio problematico che speriamo di poter contribuire a dipanare. LO SPAZIO UNIFICATO EUROPEO COME ORIZZONTE DI RIFERIMENTO In primo luogo, il processo d’integrazione europea si pone come una prospettiva di lungo periodo su cui articolare la riflessione. Lo spazio comunitario definisce sempre più l’ambito di riferimento a cui le diverse parti del territorio europeo si devono rapportare. È a scala europea che si ridefiniscono le gerarchie territoriali e i ruoli delle singole regioni e ciò è tanto più vero quanto più si afferma la funzione guida delle politiche europee nei diversi campi (infrastrutturale, economico, sociale, ambientale ecc.). I vecchi confini politici perdono progressivamente di importanza al cospetto di nuovi, anche se più sfumati, confini geoeconomici interni allo spazio europeo. Infatti, a fronte di una ormai avvenuta integrazione sul piano monetario e finanziario, si presenta ancora lungo il cammino dell’integrazione sul piano territoriale (cfr. ad esempio Bonavero e Dansero, 1997; Dematteis e Bonavero, 1998; Leonardi, 1995; Storti, 1998; Zani e Cerioli, 1997). Il “Sesto rapporto periodico sulla situazione economica e sociale e sullo sviluppo delle regioni della Ue” (EC, 1999) – pur all’interno di un trend di convergenza del Pil procapite delle regioni più povere verso la media europea – evidenzia differenze di sviluppo regionale tuttora oltremodo marcate. In nove dei dodici paesi che hanno delle regioni a livello Nuts 2, il Pil regionale procapite medio nel periodo 1994-96 delle regioni più ricche si aggira attorno al doppio di quelle più povere: è il caso, ad esempio, del Belgio (Bruxelles 172% rispetto alla media Ue, Hainaut 81%), della Spagna (Madrid 100%, Extremadura 55%), dell’Italia (Lombardia 132%, Calabria 59%) così come dell’Austria (Vienna 165%, Burgenland 71%). Vale la pena notare come, sulla base di alcuni indicatori statistici della disuguaglianza interregionale, l’Italia risulti al 1994 il paese in cui le disparità regionali appaiono più marcate, seppur con una leggera tendenza alla riduzione della disuguaglianza nel periodo 1982-94 (Storti, 1998). TRA GLOBALIZZAZIONE E LOCALISMO: TERRITORI IN COMPETIZIONE Il processo d’integrazione europea, nel porre il problema dei rapporti tra istituzioni comunitarie, Stati e i livelli macroregionali, regionali e locali, si connette al secondo tema fondamentale che fa da sfondo alla ricerca. Si tratta dei rapporti tra i processi apparentemente sempre più pervasivi e omologanti di globalizzazione economica, finanziaria, culturale ecc. e la frammentazione e la rimodellazione dei territori in unità funzionali autonome, di dimensione variabile (la regione, la città o singole parti di essa), alcune delle quali esplicitamente guardano all’autonomia politico-amministrativa (Ohmae, 1996). Assistiamo cioè a processi di articolazione e disarticolazione regionale dei territori: “ogni parte di essi, in quanto sede di attori locali che si collegano in qualche modo a reti globali (per esportare e importare merci, per attrarre investimenti, per scambi culturali ecc.), tende a rendersi funzionalmente indipendente dalle entità territoriali di cui fa formalmente parte” (Dematteis, 1997, p. 38). Città e regioni forti tendono a muoversi come attori sulla scena 7 LE PROSPETTIVE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE NEL DUEMILA internazionale, senza ricorrere al ruolo di mediazione dei governi nazionali se non in netto contrasto, con essi estendendo una sorta di paradiplomazia europea e internazionale, giuridicamente inconsistente (si veda, ad esempio, Pizzetti, 1999), ma sempre più attiva e alimentata in vari modi dalle istituzioni comunitarie. Su tutti, valga l’esempio delle “regioni forti” europee, che mantengono delegazioni permanenti a Bruxelles per trattare direttamente con la Commissione europea. Tra globalizzazione e localismo, sotto i riflettori si presenta ormai da diversi anni il ruolo dello Stato-nazione e con esso una nuova prospettiva regionalistica (Coppola, 1998; Sabel, 1998). In crisi irreversibile secondo alcuni (Badie, 1996; Ohmae, 1996), si tratterebbe secondo altri di una profonda ridefinizione di un ruolo comunque insostituibile (Le Gales, 1998; Veltz, 1996). Il dibattito relativo alla crisi dello Stato-nazione (Rusconi, 1993) parla, a questo riguardo, di “fine dei territori” (Badie, 1995), mettendo anche in evidenza l’emersione e il crescente protagonismo di entità territoriali intermedie e una maggiore attenzione per le differenze e le specificità locali (Pichierri, 1998; Dematteis, 1997). . La rivalutazione del locale non è solo il risultato della reazione difensiva di identità territoriali minacciate, ma è anche, in positivo, fonte di “vantaggi” che giocano un ruolo centrale nella competizione globale (Porter, 1991) o base di un modello di globalizzazione dal basso, in cui la valorizzazione dei diversi contesti locali è rivolta a costruire relazioni non gerarchiche e cooperative fra città e regioni. CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI E RIFORMA DELLO STATO Questo dibattito apre la strada al terzo tema che fa da sfondo alla ricerca, e cioè i cambiamenti istituzionali e la riforma dello Stato – da alcuni anni al centro della riflessione scientifica e sempre rinviati nell’agenda politica – e con essi il ruolo delle istituzioni intermedie, delle autonomie funzionali e di altri soggetti economici. Nel contesto attuale dell’integrazione europea e della ristrutturazione del sistema economico internazionale, la scarsa efficienza e l’alto costo di un sistema amministrativo centralizzato e debole come quello italiano pongono l’urgenza di pensare ad una diversa organizzazione dello Stato che favorisca la trasparenza dei processi decisionali e la responsabilizzazione degli amministratori pubblici (Mainardi, 1998). Possedere una forte articolazione regionale si presenta come un vantaggio competitivo per lo Stato stesso. Sono i forti Länder tedeschi, piuttosto che le deboli regioni francesi, a saper sviluppare meglio le infrastrutture dello sviluppo economico (Perulli, 1998). La questione delle istituzioni intermedie e delle interpretazioni dell’Italia settentrionale diviene estremamente delicata per governare l’interconnessione dell’Italia settentrionale con il Centro Europa, con un ventaglio di prospettive quanto mai ampio, che si estende dalla piena integrazione in una macroregione, a prospettive federaliste differentemente “scalate” (macroregione padana, municipalismo, regionalismo ecc.). È proprio a partire dalla riflessione sull’Italia settentrionale, sulla scorta della preoccupazione delle derive secessioniste, che si è aperto un confronto sulle ipotesi di revisione dell’organizzazione territoriale dello Stato, tra regionalismi e federalismi forti e deboli (Deaglio, 1996; Bagnasco, 1996; Diamanti, 1996; Pacini, 1996; Bassetti, 1996, Piperno, 1997). 8 LE RAGIONI E I FONDAMENTI DELLA RICERCA L’ITALIA SETTENTRIONALE: LA COSTRUZIONE DI UN PROBLEMA Questi tre temi, cui si è fatto un superficiale accenno, si presentano saldamente intrecciati nell’esaminare le prospettive dell’Italia settentrionale. Rilevava, ad esempio, Bassetti (1996, p. 17) come, pur non essendo la “questione settentrionale” (da lui intesa come l’attrazione dell’Europa sul Nord Italia) e la “questione istituzionale” problemi recenti, siano tuttavia diventati esplosivi nell’attuale contesto storico. D’altra parte, non è un problema solamente italiano in quanto in tutta l’Europa “si ode sempre più la voce delle regioni ricche che, diversamente dal passato, non hanno più veramente bisogno delle periferie meno prospere (in particolare come fonte di manodopera) e che protestano contro il carico eccessivo rappresentato ai loro occhi dalle perequazioni organizzate su scala nazionale” (Veltz, 1998, p. 147). L’EMERGERE DELLA “QUESTIONE SETTENTRIONALE” Come sottolinea Diamanti in un suo intervento sul Sole 24 ore (8/2/97) è difficile non vedere dietro al cambiamento politico di questi anni una mappa precisa, sottolineata dal riferimento esplicito al territorio, che ha caratterizzato il confronto e al tempo stesso lo scontro politico. Fino agli anni Settanta l’unica “questione territoriale” che avesse senso e riconoscimento, nella percezione comune, era quella “meridionale”. Ecco allora che sembra imporsi una “Questione settentrionale”, ben diversa da come si presentava negli anni Sessanta, quando il problema era la diffusione territoriale dello sviluppo dal Nord Ovest alla periferia del Nord Est (Muscarà, 1967). Per Diamanti (1996) si fa ricorso a questo concetto per riassumere “Il Male del Nord”, e cioè l’insieme di tensioni e di trasformazioni che attraversano le principali aree settentrionali, non solo quelle ad economia diffusa, ma anche le aree metropolitane, le concentrazioni della grande industria, le città del terziario. Si tratta di un contesto unificato di insoddisfazione nei confronti dello Stato centrale e, in parte, della crescente integrazione con i mercati europei, ma al suo interno profondamente differenziato: per struttura sociale, tipo di regolazione, cultura politica. E quindi difficilmente rappresentabile in modo unitario. Per De Rita e Bonomi la questione settentrionale sintetizza un insieme complesso di gravi tensioni che caratterizzano le regioni settentrionali del Paese: “c’è stress imprenditoriale da competizione europea e mondiale; c’è paura di non farcela e quindi di esser destinati a regredire; c’è rabbia per la debolezza dei fattori competitivi non garantiti dai poteri pubblici (dalle infrastrutture ai servizi); c’è insopportazione per una pressione fiscale alta cui non corrispondono adeguate contropartite di efficiente azione pubblica; c’è bisogno di esaltare il localismo, lo spirito comunitario, il radicamento identitario come fattori di forza anche nella competizione internazionale; c’è il rancore verso lo Stato nazionale, visto come sede dell’inefficienza e come negazione delle identità e degli interessi locali. Le tensioni “nordiste” hanno quindi espressioni molteplici e forti; e vanno considerate come serie e sostanziali, mai etichettandole (quale che ne sia stata o ne sia la strumentalizzazione) come espressioni folcloristiche di orgoglio etnico (…) la questione setten- 9 LE PROSPETTIVE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE NEL DUEMILA trionale resta una dimensione strutturale del futuro del Paese” (De Rita e Bonomi, 1998, p. 106). UNA QUESTIONE PER TANTI NORD? Parlando di “questione settentrionale” si tende sempre più spesso a distinguere tra il Nord Est – caratterizzato, per usare le parole di Diamanti, da un “dinamismo un po’ anarchico, per definizione policentrico e privo di una capitale” sempre più insofferente verso le lentezze e i ritardi dello Stato nazionale – e il Nord Ovest. Come rileva il Censis (1997), soprattutto quest’ultimo appare caratterizzato, da più di un decennio, da una profonda trasformazione che lo porta a configurarsi più come porzione sud-orientale dell’ampia unione continentale che come Nord Ovest nazionale. La crisi del modello fordista della grande impresa ed i processi di globalizzazione e di integrazione europea si presentano come i due principali fattori causali di questa transizione. Rileva tuttavia Bagnasco (1997) come queste generiche macrodefinizioni di area (Nord Est e Nord Ovest) appaiano decisamente insoddisfacenti, sia per gli aspetti che lasciano in ombra, sia perché introducono l’idea che si possa facilmente immaginare il Nord Ovest come un modello unitario, quando i percorsi dei vertici del triangolo industriale appaiono irreversibilmente differenziati e quando gli stessi vertici non bastano più, se mai lo hanno fatto, a rappresentare le rispettive economie regionali. Secondo Bagnasco (1996, 1997) la “questione settentrionale” è piuttosto un insieme di “questioni settentrionali” appartenenti ai diversi Nord e si manifesta sostanzialmente in una mancanza di rappresentanza politica che dia voce al malessere della società, ribadendo con ciò la necessità di rifuggire da etichette accattivanti quanto semplicistiche, e di scandagliare più a fondo le differenze che caratterizzano l’Italia del Nord. L’ITALIA SETTENTRIONALE IN ALCUNE RECENTI RICERCHE A partire dai primi anni Novanta sono numerose e significative le ricerche che si sono concentrate sull’Italia del Nord, o più spesso su sue singole parti (il Nord Ovest, il Nord Est, il modello veneto, la specificità emiliana ecc.): dalle ricerche della Fondazione Agnelli sia su tutta la Padania (Bramanti e Senn, 1992) sia su parti di essa (Diamanti, 1998; Bonora, 1998; Janin, 1998), alle numerose indagini del Cnel sulla “questione settentrionale” (Cnel, 1996a,b, 1997a,b, 1998; Bonomi, 1997; Bonomi e De Rita, 1998) agli studi di Diamanti (1996) e di Magatti (1998), al convegno di Parma (1997) sulla “molteplicità dei modelli di sviluppo dell’Italia del Nord”, solo per citare i più noti4. 4 L’elenco delle ricerche sull’Italia del Nord nel corso degli anni Novanta sarebbe ancora lungo. Vi sono, ad esempio, ricerche come quella della Ccia di Torino (Detragiache e Rossetto, 1993) che, pur meno note, hanno esaminato a fondo da un punto di vista socio-territoriale “la Padania” come progetto possibile di un “marchio territoriale”, con l’intento di contribuire a “sostenere e rafforzare il ruolo di regione di scambio nei processi di sviluppo dell’Europa, le sue interdipendenze nello spazio economico globale, il suo apporto ai processi di integrazione europea”. È inoltre degno di nota il pregevole tentativo di sintesi compiuto dal geografo Roberto Mainardi nel suo saggio su “L’Italia delle regioni. Il Nord e la Padania” (1998). 10 LE RAGIONI E I FONDAMENTI DELLA RICERCA LA SCOPERTA DEI PLURALISMI TERRITORIALI LA RICERCA DELLA FONDAZIONE AGNELLI: LA PADANIA UNA REGIONE ITALIANA IN EUROPA A partire da punti di vista diversi, quanto a storie disciplinari, approcci ed obiettivi, questi studi hanno scandagliato in profondità l’Italia del Nord, restituendone un’immagine composita. Dal coro, spesso disarmonico e fuori tempo, delle indagini sociologiche, economiche e territoriali, la geografia politica, la geografia economica e quella sociale devono registrare non una, ma tante Italie del Nord: la sempre più consolidata contrapposizione tra il Nord Est e il Nord Ovest, che si sovrappone solo in parte alla distinzione tra Grande Nord (delle grandi concentrazioni urbane, industriali e terziarie) e Piccolo Nord (il popolo dei distretti); la scomposizione del vecchio “triangolo industriale” (che peraltro è dubbio sia mai esistito) (cfr. ad esempio Malfi, 1997); i “Sette Nord” proposti da Bonomi (1997) per definire la territorializzazione del capitalismo molecolare (la frontiera, l’asse pedemontano, le aree tristi, il sistema urbano industriale, la Padania, le aree cerniera, il Nord Est); i tre Nord di Bagnasco (1996) (le aree di piccola impresa, il Nord della grande concentrazione industriale, il Nord della metropoli, della finanza e del terziario diffuso) ecc. Nella bibliografia dei primi anni Novanta sulle regioni del Nord Italia ha una notevole rilevanza la ricerca della fondazione Agnelli del 1992 “La Padania, una regione italiana in Europa” (Bramanti e Senn, 1992). Essa spianava in qualche modo la strada a numerose altre successive ricerche che si sarebbero concentrate sull’Italia settentrionale, pur con obiettivi e approcci diversi, ed introduceva esplicitamente nel dibattito sulle trasformazioni economicoterritoriali il termine geografico “Padania”, divenuto ben presto troppo ingombrante e connotato politicamente per poter continuare ad avere un’accezione “neutra”. L’idea guida consisteva nella considerazione che, per poter procedere verso un riordino della vita nazionale, fosse indispensabile chiarire innanzitutto quali vie dovesse percorrere la riforma, ed in secondo luogo quali fossero i fondamenti su cui impostare il nuovo Stato. In merito al primo punto, la posizione della Fondazione Agnelli sembrava chiara già dal 1992, e verrà ribadita in un libro del 1996 (Pacini, 1996) atto a ricostruire il percorso di ricerca seguito dalla Fondazione in merito ai temi della riforma: “la Fondazione Giovanni Agnelli sostiene da tempo la necessità di una riorganizzazione dello Stato italiano in senso federale. Riteniamo infatti che né forme di decentramento amministrativo, sia pur estese, né un rafforzamento del regionalismo siano riforme sufficienti ad affrontare i problemi del paese. Pertanto (…) l’obiettivo che noi indichiamo come auspicabile svolta per la vita politica, per le istituzioni e per la società italiane è una revisione della Costituzione repubblicana come fondamento di un federalismo politico, amministrativo e fiscale.”. Per ciò che riguardava il secondo punto, la ricerca del 1992 aveva come scopo non tanto quello di verificare l’idoneità dell’attuale disegno regionale a realizzare obiettivi di crescita economica, progettualità, competitività internazionale, quanto quello di individuare criteri di razionalità economica attraverso cui procedere ad un nuovo ritaglio regionale non ancora definito. Ecco allora il perché di una ricerca sulle regioni del Nord Italia (seguita poi da una ricerca sul Centro e una sul Mezzogiorno): analizzare la situazione delle strutture economiche dei vari sistemi territoriali appare forse come l’unica via per la definizione delle caratteristiche dell’azione economica italiana. La scelta federalista comporta fondamentalmente due ordini di conseguenze: l’abbandono del centralismo e il conseguente spostamento dei poteri pubblici 11 LE PROSPETTIVE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE NEL DUEMILA verso nuove istituzioni. Si capisce però come ampi margini di discrezionalità vengano lasciati ai contenuti dei poteri di queste nuove istituzioni e ai relativi ambiti territoriali cui queste fanno riferimento. Tra l’ipotesi della Lega Nord che vede il nuovo assetto regionale basato su tre sole macro-regioni, e l’ipotesi che vede nelle venti regioni attuali le istituzioni capaci di attuare il disegno di uno Stato meno centralista, la proposta cui infine approda la Fondazione Agnelli è quella della costituzione di “12 regioni da realizzarsi con gradualità, attraverso il consenso dei cittadini che scopriranno progressivamente la convenienza di una più razionale dimensione del territorio regionale” (Pacini, 1996). In tale disegno, che riecheggia la proposta di Francesco Compagna (1964), la Padania sarebbe composta, anziché dalle otto regioni attuali, da quattro mesoregioni: la regione nord-occidentale (costituita da Piemonte, Liguria, Valle D’Aosta), la Lombardia, l’Emilia Romagna e la regione nord-orientale (Friuli, Trentino e Veneto). Le conclusioni della ricerca della Fondazione Agnelli possono così essere sinteticamente richiamate: • “la posizione della Padania continua ad essere potenzialmente felice. (…) essa può costituire un elemento di riequilibrio in Europa, impedendo che lo spostamento verso il Nord crei differenziali di sviluppo e quindi nuove patologie economiche. Si può quindi parlare di ruolo europeo della Padania perché certamente anche la Francia meridionale e la Spagna, per non parlare delle nuove Repubbliche slave, possono trarre giovamento da una Padania che sappia assumere un ruolo di leadership nell’Europa mediterranea (…); • la Padania può adempiere a questo ruolo europeo soltanto se conserva una sua centralità. Tale centralità si percepisce compiutamente ove si collochi la Padania nel sistema Italia, che continua a trovare nelle regioni padane il suo più efficace punto di forza e di penetrazione in Europa. Nello stesso tempo la Padania ha bisogno delle altre aree italiane perché costituiscono un elemento di sinergia e di potenziamento indispensabile per evitare di diventare area marginale in Europa. La Padania non sarà periferia europea finchè continuerà ad essere il principale “motore” del sistema economico italiano (…); • le regioni padane non sono però una realtà omogenea, bensì una realtà pluralista. Le strategie padane devono pertanto tenere presenti entrambi gli aspetti (…). L’interdipendenza padana è quella di realtà diverse ma collegate in modo funzionale che si trovano ad essere esposte a sfide, e soggette a vincoli comuni” (Bramanti e Senn, 1992). LA RICERCA DEL CNEL: LA QUESTIONE SETTENTRIONALE A metà degli anni Novanta, anche il Cnel (1996a,b; 1997a,b; 1998) si confronta con la “questione settentrionale”, e lo fa con un’ampia ricerca triennale che prende avvio dalla considerazione della gravità costante delle tensioni che caratterizzano le regioni settentrionali del Paese in precedenza richiamate: stress imprenditoriale da competizione europea e mondiale, con il timore di non farcela e quindi esser destinati a regredire; rabbia per la debolezza dei fattori competitivi non garantiti dai poteri pubblici (dalle infrastrutture ai servizi); difficoltà a sopportare una pressione fiscale alta cui non corrispondono adeguate contropartite di efficiente azione pubblica; bisogno di esaltare il localismo, lo spirito comunitario, il radicamento identitario come fattori di forza anche nella competizione internazionale; rancore verso lo Stato nazionale, 12 LE RAGIONI E I FONDAMENTI DELLA RICERCA visto come sede dell’inefficienza e come negazione delle identità e degli interessi locali (De Rita e Bonomi, 1998, p. 106). L’idea guida della ricerca è che qualsiasi disegno di nuovi assetti istituzionali debba essere ricondotto alle logiche di poliarchia che faticosamente, e a tratti contraddittoriamente, gli attori più dinamici ed avvertiti mettono in gioco. Questo deve essere un criterio d’azione metodologico che informi qualunque percorso si voglia intraprendere per riavvicinare dinamica socio-economica e livelli istituzionali, e la sua validità è testimoniata dalle difficoltà di tutte le esperienze di programmazione che intendano prefigurare le traiettorie evolutive della società indipendentemente dagli attori che ne sono protagonisti. La strada indicata per gli interventi è apparsa differente rispetto ai presupposti da cui era partito il Cnel. Non è cioè apparso possibile nel Nord Italia procedere per gemmazione di tante esperienze territorialmente circoscritte (come nel Mezzogiorno con i Patti territoriali), quanto piuttosto sviluppare “il massimo di potenza” sul piano strategico e istituzionale. La complessità socioeconomica del Nord, la sua compiuta modernizzazione sono infatti troppo elevate per lasciarle all’esclusiva competenza dei poteri locali. Ma è necessario evitare una sorta di protagonismo neocentralista, eludendo una relazione causale tra complessità socioeconomica e intervento sovraordinato di poteri centrali. Gli attori sovralocali possono intervenire ma rafforzando i processi poliarchici e non sostituendo protagonisti locali che sono privi di risorse, competenze e strategie appropriate per affrontare il governo della complessità. L’itinerario di ricerca del Cnel porta alle seguenti conclusioni. In primo luogo sembra di poter affermare che “nel Nord la sostanza socio economica è vitale, ma le forme politiche sono inerti”. Prendendo in considerazione la forte consistenza e la costante dinamica del sistema d’impresa, il peso delle organizzazioni padronali, di lavoro dipendente, sindacali, professionali, l’attivismo delle Amministrazioni provinciali, e l’impegno dei grandi sottosistemi territoriali del Nord Italia (Nord Est, Nord Ovest, modello emiliano, modello veneto…) è naturale che un tale vitalismo necessiti di forme di integrazione fra sistema sociale e forme politiche che tuttora non sussistono. In una tale situazione (perfettamente in linea con le premesse della Fondazione Agnelli), “lo snodo fondamentale diventa la ricerca di un assetto istituzionale nuovo, che sia capace di fare integrazione fra sostanza e forma del destino collettivo del Nord”. Ma mentre la Fondazione Agnelli vede come unica strada percorribile la soluzione federalista, il Cnel passa in rassegna un ventaglio di ipotesi delle quali la prima è, per gli autori, quella più percorribile, e cioè l’ipotesi di un “regionalismo forte” che assume le attuali regioni come forma politica futura della sostanza della società settentrionale. “L’opzione per un regionalismo forte è l’unica opzione che lo Stato nazionale e la dinamica politica attuale possono mettere in campo”. Le altre ipotesi, più sperimentali, sono: di fare istituzione complessiva del Nord (è l’ipotesi della Padania ); di rivisitare dal basso l’identità ed il potere delle regioni più forti; di fare partito sovraregionale; di sperimentare la logica di partenariato sociale; di studiare processi di integrazione anche internazionale fra le regioni. Posto che probabilmente nessuna di queste ipotesi si affermerà mai sulle altre, la via di uscita indicata dagli autori è quella di “un’accettazione esplicita 13 LE PROSPETTIVE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE NEL DUEMILA del policentrismo dei poteri, rendendolo sempre più ordinato e condensato, rendendolo sempre più poliarchia” (Bonomi e De Rita, 1998, p. 118): un policentrismo che è già presente e vitale a livello di unità di base, è in via di condensazione a livello intermedio (rinnovato ruolo delle Province, intercomunalità, Patti territoriali ecc.), ma che appare ancora vago in quanto disegno globale di tale condensazione. TRA DISORDINE E SCISMA. LE BASI SOCIALI DELLA PROTESTA DEL NORD Un’altra importante ricerca è quella, di taglio sociologico, condotta da Magatti (1998). Questo studio prende in considerazione la protesta in atto nel Nord del Paese, alla luce di quella che viene definita come una condizione di “disordine” della società italiana – che si è manifestata, negli anni Ottanta, come anomia politica sfociata in decomposizione dell’ordine precedente, e, negli anni Novanta, come ricerca di nuovi equilibri – per analizzare se esistano o meno i presupposti sociali per un vero e proprio “scisma”. Dopo aver analizzato il processo di trasformazione sociale (allo scopo di individuare i nuovi soggetti sociali che operano nel Nord e che formano il bacino di alimentazione della protesta), la riorganizzazione del sistema produttivo in concomitanza con la crisi del sistema politico-istituzionale nazionale e la dimensione culturale, l’autore arriva a sostenere che “le ragioni sistemiche che rendono plausibile lo scisma, sono le stesse che lo rendono implausibile”. Infatti Nord Est, Nord Ovest ed Emilia, a fronte di una marcata somiglianza nella struttura produttiva, presentano altresì profonde diversità culturali: non c’è sovrapposizione tra condizioni strutturali e livello socio-culturale. Il Nord è ben poco integrato al suo interno: dal punto di vista strutturale appare come un’area accomunata da un unico modello di sviluppo, ma priva di sufficienti interconnessioni interne. Inoltre per usare le stesse parole di Magatti “non c’è un potenziale etnico (o linguistico o religioso) accumulato o latente da evocare per costruire una nuova comunità immaginata (…). L’unica risorsa disponibile alla quale si può fare riferimento è il localismo, che da sempre caratterizza queste regioni italiane”. Tuttavia giocare la partita dell’identità etnica, puntando tutto sul localismo presenta una contraddizione di fondo difficilmente superabile: trasformare il localismo in mobilitazione etnico-territoriale significherebbe infatti scegliere di radicarsi in profondità presso quei gruppi ed in quelle zone dove l’istanza localistica è molto sentita, rischiando però di allontanare tutta quella componente sociale interessata esclusivamente agli aspetti economici ma diffidente nei confronti dei richiami relativi all’identità territoriale; e d’altra parte, rinunciare a muovere questa pedina significherebbe perdere l’unica risorsa a disposizione per compattare interessi differenziati ancorchè territorialmente concentrati. Dunque, i margini effettivi per la realizzazione di uno scisma appaiono, allo stato attuale, alquanto ristretti. Tuttavia l’azione svolta dalla Lega ha già avviato interi gruppi sociali ad abbracciare nuovi criteri di verità: aldilà degli esiti politici ci si domanda quale sarà l’identità culturale delle aree dove la protesta si è più radicata dopo dieci anni di propaganda leghista. In conclusione, l’autore sostiene che “il successo di ogni ipotesi riformatrice dipende prima di tutto dal ruolo che i soggetti sociali radicati nel territorio svolgeranno nei prossimi anni e dal contributo che sapranno dare alla ridefinizione di un diverso e più positivo rapporto tra pluralismo e cittadinanza, in un contesto tradizionalmente particolaristico. Se ciò non avverrà, la marea irrefre- 14 LE RAGIONI E I FONDAMENTI DELLA RICERCA nabile delle crescenti aspirazioni individuali si scontrerà inevitabilmente con l’inflessibilità dei sistemi, provocando anarchia e caos.” LA PROSPETTIVA D’INDAGINE La nostra indagine si colloca dunque in un ampio e variegato insieme di ricerche che ha analizzato nel corso degli anni Novanta l’Italia settentrionale, restituendo, pur con obiettivi, approcci e metodologie differenti, un’immagine composita e articolata dell’area. Anche quel malessere di fondo, che sembra fare da minimo comune denominatore della “questione settentrionale”, stenta a giocare un ruolo unificatore di una latente identità padana, come nelle prime interpretazioni leghiste, proprio perché quei comuni elementi rappresentati, in estrema sintesi, dal rancore verso la centralità statale e dall’ansia da competizione europea e globale, si combinano variamente con le differenze (culturali, sociali, economiche ecc.) che caratterizzano il territorio padano. Rispetto agli obiettivi di questo lavoro, è più interessante notare come le precedenti ricerche abbiano evitato, almeno in parte, di appiattirsi sulla prospettiva dello Stato-nazione nel considerare la sfida dell’integrazione europea e della globalizzazione, per avviare una riflessione a partire dalla misura regionale (Coppola, 1998). PARTIRE DALLA ETEROGENEITÀ ALLA RICERCA DELL’ITALIA SETTENTRIONALE Un dato da cui questa ricerca è quindi dovuta partire è quello della eterogeneità dell’area, una realtà composita, dove non è possibile rintracciare un modello, quanto una molteplicità di modelli di sviluppo. Tuttavia, come rilevava la ricerca della Fondazione Agnelli (Bramanti e Senn, 1992), se l’Italia settentrionale è composta di realtà diverse, esse appaiono collegate in modo funzionale, apparendo come un sistema di sistemi, e sottoposto quindi a sfide e soggetto a vincoli comuni, che ricevono comunque risposte differenziate in ragione dei diversi contesti territoriali. Ed è in questa chiave sintetica che si è tentato di cogliere l’Italia settentrionale, alla ricerca di quegli aspetti che accomunando i singoli territori richiedono capacità di risposta di sistema. La questione che ci si è posta, cioè, non è tanto quella se l’Italia del Nord possa essere considerata come un unicum – domanda che, come si è visto, ha già ricevuto più di una risposta negativa – ma se possa agire come sistema, in date circostanze, a fronte di sfide e vincoli comuni. Che cosa intendiamo per Italia settentrionale? È indifferente parlare di Italia del Nord e di Padania? Quali sono i confini dell’Italia settentrionale? Di fatto l’oggetto di questa ricerca non è affatto definito. Si è scelto, nel nostro caso, di fare generalmente riferimento ad una definizione statistica, che sembra rivestire una sorta di pseudo-ufficialità e soprattutto offre il conforto di confini regionali amministrativi su cui poter basare la ricerca e l’analisi dei dati. Si tratta cioè del classico raggruppamento delle otto regioni che compongono il Nord Italia nelle statistiche Istat e Eurostat (dove il Nord Italia è ad un livello superiore suddiviso in quattro macroregioni Nuts 1): il Piemonte, la Valle d’Aosta, la Liguria (il Nord Ovest secondo le definizioni Eurostat Nuts1), la Lombardia e l’Emilia Romagna, e il Nord Est (Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino). Questa definizione statistica risente, giova sempre ricordarlo, della scarsa aderenza del disegno amministrativo alla realtà socio- 15 LE PROSPETTIVE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE NEL DUEMILA economica del territorio italiano, esito di un ritaglio regionale introdotto nel 1864 per fini statistici5. LE IMMAGINI DELL’ ITALIA SETTENTRIONALE LA PADANIA: UNA METAFORA ALLA RICERCA DI UN TERRITORIO È comunque più interessante soffermarsi sul significato implicito delle espressioni Italia settentrionale (o Nord Italia) e Padania e sul loro operare in quanto metafore geografiche evocatrici di significati più profondi che non limitarsi all’immediato riferimento territoriale. La Padania, letteralmente, dovrebbe corrispondere al bacino del Po, e proprio il suo legame con la dimensione orografica, che la avvicina ad una regione naturale, rafforza in apparenza la capacità di questo termine di esprimere una presunta dimensione etnico-nazionalistica; nel superare il riferimento al Nord, il termine prolunga la sua potenziale “comunità immaginata” verso il Centro (Giordano, 1999), abbracciando parte della Toscana e delle Marche. Come rileva Diamanti (Il Sole 24 ore, 12/3/98), la Lega per sottolineare la sua svolta secessionista ha sostituito il riferimento al “Nord”, carico di specificità economico-sociali, acon un’etichetta, la “Padania” che evocava non un territorio, ma una patria, una comunità di valori, storia, cultura. Ma – lo si è sottolineato da più parti (cfr. ad esempio Bagnasco, 1997; Magatti, 1998) – l’immagine della Padania non trova fondamenti sotto il profilo storico, piuttosto che etnico, culturale, economico o sociale. Essa appare dunque sempre più compromessa con le posizioni leghiste maggiormente rivolte all’ipotesi secessionista (peraltro piuttosto in disarmo), e sempre meno efficace nel trasmettere una qualche sorta di immagine unitaria all’Italia settentrionale, e tantomeno un “marchio” come auspicato in alcune ricerche a ciò finalizzate (Detragiache e Rossetto, 1993). Come emerge da alcuni indagini relativamente recenti, condotte su un campione di 900 persone del Nord Italia (Emilia Romagna esclusa), la Padania sembra scarsamente rappresentare una “etichetta” territoriale in cui i cittadini si possano riconoscere, mentre “identità locale” (la città) e, in subordine, “identità nazionale” prevalgono sugli altri riferimenti territoriali (tab. 1 e 2). Tab. 1 – Da Ovest a Est in crescita la frammentazione territoriale. A quale di queste aree lei sente di appartenere maggiormente? Due sondaggi a confronto Gennaio ‘98 % (1) Dicembre ‘96 % (2) Alla sua città 27,7 32,4 All’Italia 23,4 27,6 Alla sua regione 15,8 14,4 Al mondo intero 12,7 9,2 Al Nord 7,0 5,8 All’Europa 6,6 3,8 Al NO/Lomb./NE 4,7 3,7 Alla Padania 2,1 3,1 Totale 100,0 100,0 N.R. 0,3 1,5 Base (Val. ass.) 900 900 5 Per una efficace sintesi del dibattito sulla regionalizzazione del territorio italiano si vedano, ad esempio, Coppola (1998) e Bonora (1984). 16 LE RAGIONI E I FONDAMENTI DELLA RICERCA (1) Fonte: Sondaggio Poster, gennaio 1998 (2) Fonte: Sondaggio Poster-Limes, dicembre 1996 (tratta da Il Sole 24 ore, 12/3/98) 17 LE PROSPETTIVE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE NEL DUEMILA Tab. 2 – Percentuale fra i simpatizzanti di partito Rc Pds Ppi Fi Città 24,4 28,7 26,5 21,1 Regione 14,1 17,4 8,8 18,2 NO/Lomb./NE 1,3 2,6 5,0 6,0 Nord 4,9 3,4 6,8 9,2 Padania 1,4 1,9 4,0 1,1 Italia 24,5 22,1 26,4 31,4 Europa 9,5 8,5 6,6 7,7 Mondo 19,8 15,5 15,9 5,3 Fonte: Sondaggio Poster, gennaio 1998 (tratta da Il Sole 24 ore, 12/3/98) IL “NORD” COME SINONIMO DI SVILUPPO DALLE LETTURE DUALISTICHE … ALLA SCOPERTA DEL TERRITORIO AL PLURALE An 22,8 12,6 4,7 12,6 1,5 31,4 5,6 8,7 Lega 28,6 18,4 10,4 14,6 6,6 12,6 5,0 3,7 Mentre nel termine Padania c’è un collegamento con una dimensione naturale (da cui si presume, quale assunto non dimostrato, che ne debba derivare un’unitarietà storica, linguistica, culturale, economica ecc.), espressioni come “Italia del Nord” o “Italia settentrionale” hanno un riferimento geografico relativo, e si saldano con i dualismi dello sviluppo italiano e con l’immagine del Nord Europa trainante (in termini economici, ma anche, e forse soprattutto, sociali, politici, civili ecc.). La metafora geografica Nord/Sud opera pienamente come riferimento ad un “Nord” (italiano, europeo, mondiale) che appare sinonimo di sviluppo, rispetto ad un Sud arretrato, in ritardo. Lo schema dualistico, nella sua limpidezza cartesiana, sembra avere tuttora una forte rilevanza implicita, nonostante la scoperta della Terza Italia e, successivamente, dei pluralismi territoriali. Come rileva Coppola (1998, p. 31) “siamo ancora per molti aspetti orfani degli schemi dualistici (Nord/Sud), abbiamo appena fatto a tempo ad assimilare letture “trialistiche” (Nord/Ovest-Nord/Est-Centro/Sud), dobbiamo ora abituarci sempre di più a guardare alla pluralità dei modelli locali di sviluppo; mentre rimaniamo, al fondo, ben convinti che su piani diversi le varie partizioni trovino tutte ancora un proprio senso e vasti fronti di convivenza” accostando […] “visioni fortemente duali (per esempio, sul piano dello Stato sociale) con passaggi impregnati di scansioni trialistiche e con frammentazioni in chiave di localismi (soprattutto sul versante economico-industriale)”. Le immagini evocate per rappresentare l’Italia del Nord tendono sempre di meno a rappresentarla come realtà unitaria ed omogenea. Le differenze territoriali tra Nord e Sud sono state interpretate in maniera tale che l’identificazione di una scala di riferimento per comprendere l’Italia settentrionale si è fatta via via più difficoltosa (Conti e Sforzi, 1998). Il modello dualista Nord-Sud riduceva di fatto il Nord Italia al solo “triangolo industriale” Torino-Genova-Milano, impedendo agli osservatori di comprendere le trasformazioni che stavano modificando la struttura dell’Italia centrale e nordorientale. Successivamente le teorizzazioni della Terza Italia hanno portato a identificare un’area più o meno omogenea che comprendeva regioni come il Veneto, il Friuli, l’Emilia Romagna, la Toscana e le Marche, e quindi conducevano a una scala che, nei fatti, rendeva impossibile parlare dell’Italia settentrionale come di un unicum. Le rivendicazioni leghiste, in terza battuta, hanno introdotto una rottura nell’immagine della Terza Italia, evidenziando un’ipotetica Padania socio-economica che vede il cuore produttivo dell’area nel tessuto di imprese medio-piccole e di campagne urbanizzate che si estende dal Piemonte orientale al Veneto (Mainardi, 1998; Diamanti, 1998). Da un’opposta prospettiva, la concettualizzazione della Terza Italia è stata superata dal corpo di studi sullo sviluppo locale, che vede nel sistema locale (sia 18 LE RAGIONI E I FONDAMENTI DELLA RICERCA esso un distretto industriale o un’area di grande industrializzazione, un’area metropolitana o una località turistica) la scala fondamentale alla quale si coagulano identità territoriale e connessione al Sistema-mondo, e alla quale, soprattutto, dovrebbe essere risolto il problema della governabilità (Becattini, 1996; Sforzi, 1995). UNA LETTURA LONGITUDINALE Una chiave di lettura alternativa della geografia dello sviluppo della realtà socio-economica italiana è stata recentemente proposta dal Censis (1997): non più improntata sulla tradizionale contrapposizione Nord-Sud ma tra Est e Ovest, con il passaggio da una modellistica latitudinale al riconoscimento delle nuove fratture longitudinali, che sembra meglio garantire una lettura del possibile futuro del Paese (tab. 3). La frattura tra l’area centro-settentrionale e il Mezzogiorno cresce, ma essa cela in realtà una notevole dinamicità socioeconomica del Mezzogiorno adriatico ed un rallentamento dell’area nordoccidentale del Paese. La parte Est del Paese ha registrato incrementi di Pil superiori alla parte Ovest, così come in termini di apertura internazionale, dove l’Est sopravanza ormai l’Ovest. L’area Est-Sud ha registrato dei maggior incrementi di Pil (1981-95) rispetto all’Ovest-Nord. Tab. 3 – Nuove e vecchie geografie del Paese: la lettura Nord-Sud e la lettura Est-Ovest del Censis Composizione territoriale delle aree considerate Popolazione resi- V.A. servizi Export (mil. non destidente 1996 lire nabili alla migliaia % sul 1995) vendita di abitan- totale % sul (mil. Lire ti 1995) % sul totale totale Ripartizioni tradizionali Nord 25.519 44,4 56,9 75,8 Nord Ovest 15.023 26,1 34,1 45,3 Piemonte, Valle d'Aosta, Lombardia, Liguria Nord Est 10.496 18,3 22,8 30,5 Trentino A.A., Veneto, Friuli V.G., Emilia Romagna Centro 11019 19,2 20,3 14,9 Toscana, Marche, Umbria, Lazio Sud 20923 36,4 22,8 9,3 Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna Italia 57.461 100,0 100,0 100,0 Ripartizioni alternative Est 21094 36,7 40,2 48,3 Est-Nord 14051 24,5 30,9 41,2 Lombardia (prov. Como, Bergamo, Brescia, Cremona, Mantova), Trentino A.A., Veneto, Friuli V.G., Emilia Romagna Est-Centro 1448 2,5 2,6 3,1 Marche Est-Sud 5595 9,7 6,7 4 Abruzzo (esclusa prov. L'Aquila), Molise, Puglia, Basilicata (prov. Matera) Ovest 36367 63,3 59,8 51,7 Ovest-Nord 11467 20,0 26 34,6 Piemonte, Valle d'Aosta, Lombardia (prov. Milano, Lodi, Varese, Pavia, Sondrio), Liguria Ovest-Centro 9572 16,7 17,7 11,8 Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo (prov. L'Aquila) Ovest-Sud 15328 26,7 16,1 5,3 Campania, Calabria, Basilicata (prov. Potenza), Sicilia, Sardegna Fonte: Censis, 1997 19 LE PROSPETTIVE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE NEL DUEMILA LA POSIZIONE GEOECONOMICA DELL’ITALIA SETTENTRIONALE UN’AREA FORTE NEL CONTESTO ITALIANO … Osservando i dati della tabella 3, risulta evidente il peso dell’Italia del Nord, considerando la tripartizione tradizionale dell’Italia: in quasi il 40% della superficie territoriale nazionale (di cui il 45% in territorio montano), occupando quasi il 60% delle zone di pianura a disposizione dell’Italia, troviamo il 44,4% della popolazione italiana. Rinviando alle singole schede della ricerca per dati più specifici e approfonditi, è sufficiente notare come l’Italia del Nord pesi per quasi il 57% del valore aggiunto dei servizi non destinabili alla vendita e per oltre il 75% delle esportazioni nazionali. Un dato strutturale di sintesi emerge dall’osservazione dell’indice di sviluppo economico e sociale elaborato da Confindustria a livello regionale e provinciale (tab. 4, fig. 1 e 2), costruito sulla base di una pluralità di indicatori e non sui soli dati di Pil6. Considerando i dati a livello regionale (fig. 2) emerge ancora forte la separazione Centro-Nord e Sud. Al vertice della graduatoria dell’indice di sviluppo, al 1996, troviamo la Valle d’Aosta (124), al secondo posto l’Emilia Romagna (135) seguita da Lombardia (132), Piemonte (143), Toscana (122), Veneto (120) mentre solo decima risulta la Liguria (102), preceduta dalle Marche (109), probabilmente per il più basso livello di imprese industriali e di esportazioni (Confindustria, 1998). Tab. 4 – Distribuzione delle province e della rispettiva popolazione residente secondo l’indice di sviluppo nel 1996 Ripartizioni terLivello dell’indice di sviluppo ritoriali Alto MedioMedio MedioBasso Totale alto basso NUMERO PROVINCE Nord Ovest Nord Est Centro Sud Isole Italia 8 9 4 21 9 8 3 20 7 5 9 21 5 9 6 20 14 7 21 24 22 21 23 13 103 9.104 3.985 13.089 15.023 10.496 11.019 14.159 6.764 57.461 POPOLAZIONE (migliaia di abitanti) Nord Ovest 5.898 Nord Est 5.307 Centro 1.759 Sud Isole Italia 12.964 Fonte: Confindustria, 1998 6.943 3.066 1.012 11.021 2.181 2.123 6.597 10.901 6 1.652 5.055 2.779 9.486 L’indice sintetico di sviluppo economico e sociale è costruito mediante l’elaborazione statistica delle seguenti serie di dati: forze di lavoro occupate, nuove iscrizioni in anagrafe della popolazione, consistenza imprese industriali, consumo di energia elettrica, autovetture immatricolate, vendita carburanti per auto, depositi bancari, spese per spettacoli e manifestazioni varie, pensioni erogate dall’Inps, esportazioni di merci (Confindustria, 1998). 20 LE RAGIONI E I FONDAMENTI DELLA RICERCA I dati a livello provinciale, se da un lato confermano le gerarchie territoriali, dall’altro svelano una realtà più articolata e vedono, sempre al 1996, ai primi 10 posti, nell’ordine (Prato, Modena, Reggio Emilia, Milano, Aosta, Bologna, Vicenza, Parma, Verona e Como). La tabella 4 (cfr. anche la fig. 2) riporta un quadro sinottico della distribuzione delle province e della popolazione secondo l’indice di sviluppo7 da cui risulta che nessuna delle province settentrionali viene classificata tra le ultime due categorie, dove invece troviamo tutte le province dell’Italia meridionale e insulare. Delle 24 province del Nord Ovest, ben 17 (85,5% della popolazione) si collocano nelle due categorie più alte ed una situazione quasi identica si ritrova per il Nord Est (17 province su 22, il 79,8% della popolazione). … CON PROSPETTIVE DIFFERENZIATE Se il peso del Nord Ovest è ancora prevalente, è ormai consolidato il crescente protagonismo del Nord Est, in particolare del Veneto, del Friuli Venezia Giulia e dell’Emilia Romagna, come risulta dalle tabelle 5 e 6, che riportano anche le proiezioni al 2002 e al 2010 elaborate da Prometeia nel maggio 1999. In particolare traspare, in prospettiva, il minor dinamismo del Nord Ovest, il cui numero indice in termine di Pil procapite scende dal 124,4 del 1988 al 120,0 al 2010 (secondo le stime Prometeia), mentre il Nord Est passa da 119,3 a 127,3, con un ulteriore balzo in avanti del Friuli Venezia Giulia e del Veneto, ma soprattutto dell’Emilia Romagna Tab. 5 – Pil a prezzi costanti 1990 (tassi di variazione medi annui) Regioni 1989-1993 1994-1998 1999-2002 2003-2010 Piemonte Valle d'Aosta Liguria Lombardia Trentino Alto Adige Veneto Friuli Venezia Giulia Emilia Romagna 0,1 1,4 0,9 0,7 1,9 2,0 1,5 1,4 2,1 1,4 0,9 2,1 1,6 2,5 1,7 2,1 2,1 2,5 2,7 2 1,9 2,2 2,3 2,7 2,5 2,5 2,4 2,6 2,6 3,0 3,0 3,2 Nord Ovest Nord Est Centro Sud 0,6 1,7 1,4 1,1 2,0 2,2 1,6 1,1 2,1 2,4 2,7 2,6 2,6 3,0 3,0 2,7 Italia 1,1 1,7 2,4 2,8 Fonte: Prometeia, Scenari regionali, maggio 1999 7 Nella tabella 4 le province sono state attribuite tra i diversi livelli dell’indice di sviluppo (Is) con il metodo dei quintili. 21 LE PROSPETTIVE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE NEL DUEMILA Tab. 6 – Pil per abitante a prezzi costanti 1990 (n. indice Italia = 100) Regioni 1988 1993 1998 Piemonte 116,8 113,1 116,5 Valle d'Aosta 132,4 131,6 128,2 Liguria 111,4 114,2 112,6 Lombardia 130,5 127,8 130,0 Trentino Alto Adige 122,8 126,0 122,9 Veneto 114,0 119,1 122,8 Friuli Venezia Giulia 113,9 118,4 120,2 Emilia Romagna 126,1 128,2 131,1 Nord Ovest 124,4 122,1 124,2 Nord Est 119,3 123,0 125,6 Centro 107,7 109,5 109,0 Sud 68,8 68,2 65,8 Italia 100,0 100,0 100,0 2002 116,2 127,0 116,9 126,8 119,1 121,5 121,0 132,7 122,8 125,4 110,0 66,3 100,0 2010 115,7 122,2 118,9 123,6 115,1 122,3 124,8 136,8 120,9 127,3 110,8 66,2 100,0 Fonte: Prometeia, Scenari regionali, maggio 1999 IL CONTESTO EUROPEO COME SCENARIO DI FONDO Se l’Italia settentrionale, pur con andamenti differenziati nelle sue diverse partizioni, mantiene comunque un peso determinante nell’economia italiana, come si ridefinisce la sua importanza all’interno dello spazio comunitario? Cercheremo di esaminare sinteticamente il tema della collocazione europea dell’Italia del Nord, come macroregione e nelle sue componenti regionali, attraverso il ricorso agli usuali indicatori statistici Eurostat, rinviando alle singole schede tematiche per alcuni approfondimenti (demografia, reti urbane, sistemi formativi, ricerca e sviluppo ecc.). In una prospettiva dell’integrazione europea modellata sul gradiente centroperiferia, l’Italia settentrionale si pone, apparentemente, quale naturale raccordo tra il “cuore” propulsivo dell’Europa comunitaria e le periferie in ritardo dell’Europa dell’Est, del Sud e del Mediterraneo. Questo tipo di lettura si presta logicamente ad assegnare all’Italia settentrionale un ruolo di cerniera fra regioni deboli e regioni forti. Essa ha ricevuto notevoli conferme, nel corso degli anni Ottanta e Novanta, dall’affermazione di alcune rappresentazioni di successo dell’assetto del territorio europeo. Si pensi in primo luogo al famoso studio francese della fine degli anni Ottanta (Brunet, 1989) che attribuisce al sistema urbano dell’Italia settentrionale un ruolo significativo nel quadro del sistema urbano continentale. Esso viene infatti individuato, da un lato, come estremità meridionale della “dorsale centrale europea” di importanza consolidata, dall’altro, come segmento orientale di una nuova direttrice di sviluppo cui viene attribuita la possibilità di controbilanciare (almeno in parte) la dominanza della dorsale centrale: una fascia ispano-franco-padana comprendente la Spagna nord-orientale, la Francia meridionale e, appunto, l’Italia settentrionale (si veda la figura 2 nella scheda sulle reti urbane). In questa prospettiva, viene appunto attribuito alla densa rete urbana padana, e in particolare lombarda, il ruolo di “snodo” fra questi due assi portanti del sistema urbano continentale, e alla conurbazione milanese quello di polo dominante nell’ambito del sistema urbano dell’Europa meridionale. 22 LE RAGIONI E I FONDAMENTI DELLA RICERCA LE MACROREGIONI PER UN NUOVO ASSETTO DEL TERRITORIO EUROPEO Sempre con riferimento alla scala continentale, si può infine ricordare come, nella suddivisione del territorio dell’Unione europea in dieci “macroregioni transnazionali” proposta nel noto rapporto Europa 2000 della Direzione Generale XVI della Commissione europea (CE DG XVI, 1995), il territorio del nostro paese venga a sua volta suddiviso in tre insiemi territoriali, ognuno dei quali compreso in una delle macroregioni individuate: • • • L’ITALIA SETTENTRIONALE: UNO SPAZIO DI INTEGRAZIONE TRANSFRONTALIERA l’Italia settentrionale (corrispondente alle otto regioni considerate nel nostro studio con l’esclusione della Liguria e con l’aggiunta delle Marche) viene a far parte della macroregione denominata “arco alpino”, comprendente anche le regioni alpine di Francia, Austria e Germania; la Liguria, la Toscana, il Lazio, l’Umbria e la Sardegna sono comprese nella macroregione denominata “arco latino” (o “Mediterraneo occidentale”), costituita dalla fascia costiera mediterranea di Spagna, Francia e Italia; le restanti regioni del Mezzogiorno, insieme alla Grecia, fanno invece parte della macroregione denominata “Mediterraneo centrale”. L’arco alpino, da barriera fisica sembra dunque venire sempre più interpretato come spazio strategico: da un lato, in quanto spazio di attraversamento delle reti lunghe infrastrutturali verso Nord e verso Est, dall’altro, in termini di contiguità territoriale, è il teatro di sempre più intense iniziative di cooperazione interregionale transfrontaliera e di formazione di euroregioni (la Comunità delle Alpi Occidentali, il progetto Alpi del Mare a Sud Ovest, i rapporti Torino-Lione, l’euroregione Insubria, il gruppo di lavoro delle Alpi Centrali, l’euroregione Tirolo Alpina, l’Arge Alpe Adria ecc.). Mentre le iniziative transfrontaliere presentano un notevole dinamismo – anche sulla spinta del timore che la fascia alpina partecipi in modo debole e passivo alle relazione fra la macroregione padana e gli spazi francese, tedesco, danubiano-balcanico – la realizzazione delle reti lunghe infrastrutturali procede a rilento con scenari dagli esiti ancora incerti per quanto riguarda l’Italia settentrionale e il suo assetto interno. Il che costituisce, come si è visto, uno dei temi dominanti di un malessere e di un disagio che attraversa l’Italia settentrionale. IL NORD ITALIA E LE REGIONI FORTI EUROPEE Da alcuni anni a questa parte, sulla scia degli studi a supporto delle politiche regionali della Ue e delle analisi sulla competitività dei territori europei, si sono moltiplicate le proposte di ranking delle regioni europee. All’interno di queste classifiche, generalmente basate sul Pil procapite o su indici sintetici di sviluppo, che in realtà non si discostano granché dal primo, le regioni dell’Italia settentrionale occupano posizioni medio-alte. Occorre sottolineare che un confronto tra l’Italia settentrionale e le regioni forti del territorio Ue non è immediato: ad esempio, quanto a taglia demografica l’Italia del Nord con i suoi 25 milioni di abitanti ha una dimensione pari a quella della somma di Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, superiore alla somma delle ricche regioni della Germania meridionale, Bayern e Baden Württemberg (rispettivamente 12 e 10 milioni di abitanti). La tabella 7 riporta la posizione delle regioni dell’Italia settentrionale in base al Pil procapite (calcolato in termini di parità di potere d’acquisto) con un 23 LE PROSPETTIVE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE NEL DUEMILA confronto tra il 1986 e il 1996 (vedi anche figure 4 e 5). Si può notare come al 1986 tutta l’Italia settentrionale risulti compresa tra le prime 37 regioni europee, situazione che risulta migliorata al 1996, quando l’ultima regione in base al Pil procapite in ppa è il Piemonte che si trova al 32° posto. Lombardia, Valle d’Aosta ed Emilia Romagna si trovano immediatamente a ridosso delle prime 10 regioni, tra cui troviamo le regioni dell’Europa centrosettentrionale. È interessante notare il balzo in avanti nel decennio 1986-96 da parte del Nord Est (qui inteso come regione Nuts 2, cioè senza l’Emilia Romagna), che passa dalla trentaduesima posizione alla ventunesima, mentre il Nord Ovest, ed il Piemonte in particolare, perde diverse posizioni. Dall’osservazione delle figure 4 e 5 emergono piuttosto distintamente tre grandi aree dello sviluppo europeo: una zona centro-settentrionale, compresa all’incirca in un triangolo che ha i suoi vertici in Londra, Parigi e Brema; la Germania meridionale (Baviera e Baden-Württemberg) con la regione viennese e, infine, l’Italia del Nord. UN NUOVO ASSE DI SVILUPPO: LA DIRETTRICE RENO-PO Queste semplici osservazioni risultano avvalorate da più approfondite analisi del processo di convergenza delle regioni europee. Rileva Leonardi (1995, p. 152), analizzando la dinamica delle regioni europee dal 1950 al 1995, come l’epicentro della forza economica europea si sia spostato gradualmente dalle sponde del Canale della Manica verso localizzazioni più a Sud lungo il Reno, e più di recente anche sorpassando le Alpi nell’Italia del Nord. “Ad eccezione della regione di Groningen che produce gas naturale, la lista delle regioni che risultavano le prime dieci nel 1995 sembra sorprendentemente simile all’asse nord-sud del conglomerato di regioni e città-stato che aveva dominato l’attività economica e i commerci in Europa durante il periodo del Rinascimento, cioè prima del consolidamento del sistema degli stati-nazione. Ciò diventa evidente quando si guarda al secondo gruppo di regioni al vertice (quelle classificate dall’undicesima alla ventesima posizione) nel quale troviamo il resto dell’Italia del centro-nord e i rimanenti Länder tedeschi”. La figura 6 ci propone una classificazione delle regioni europee sulla base della specializzazione produttiva (agricoltura, industria o servizi), calcolata sulla base della percentuale di occupati nel comparto. Si può notare come le regioni maggiormente dipendenti dai servizi siano raggruppate alle grandi città capitali del Centro Nord, ma includano anche un’area mediterranea tra Roma e la Costa Azzurra. Tra di esse spiccano Londra, l’Ile de France e i centri commerciali di Amsterdam e l’Aia. Le regioni a specializzazione manifatturiera si possono trovare nella Germania meridionale, nell’Italia del Nord (Piemonte, Lombardia e Veneto) e nella Spagna settentrionale. La specializzazione manifatturiera sembra più associata con città di minore dimensione rispetto alle metropoli specializzate nei servizi e a reti urbane policentriche (come nel Nord Est e nella Spagna settentrionale). 24 LE RAGIONI E I FONDAMENTI DELLA RICERCA Tab. 7 – L’Italia del Nord tra le regioni europee (Pil pro capite in ppa, Eur 15 = 100) Regioni 1986 rank Regioni 1996 rank Hamburg – D Région Bruxelles-cap. – B Île de France – F Darmstadt – D Greater London – Gb Wien – A Bremen – D Stuttgart – D Oberbayern – D Luxembourg – Lu 185 163 162 152 148 148 144 143 141 137 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Hamburg – D Région Bruxelles-cap. – F Darmstadt – D Luxembourg – Lu Wien – A Île de France – F Oberbayern – D Bremen – D Greater London – D Antwerpen – B 192 173 171 169 167 160 156 149 140 137 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Stockholm – Sve Åland – F Lombardia – I Uusimaa – F Valle d'Aosta – I Berlin – D Emilia Romagna – I Antwerpen – B Mittelfranken – D Karlsruhe – D Düsseldorf – D Grampian – Gb 133 132 132 129 129 128 125 124 124 123 122 122 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 Stuttgart – D Groningen – Nl Emilia Romagna – I Lombardia – F Valle d'Aosta – I Uusimaa – F Trentino Alto Adige – I Friuli Venezia Giulia – I Grampian – Gb Karlsruhe – D 135 134 133 132 131 129 128 126 126 126 125 124 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 Noord-Holland – Nl Köln – D Piemonte – I Nord Ovest – I Trentino Alto Adige – I Rheinhessen-Pfalz – D Alsace – F Liguria – I Salzburg – D Nord Est – I 117 117 117 116 115 114 114 114 113 112 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 124 123 123 121 121 120 119 119 118 118 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 Haute-Normandie – F Lazio – I Umbria – I Friuli Venezia Giulia – I Veneto – I 112 112 112 112 112 33 34 35 36 37 Nord Est – I Berkshire, Buckinghamshire, Oxfordshire – Gb Veneto – I Mittelfranken – D Stockholm – I Salzburg – D Noord-Holland – Nl Utrecht – Nl Düsseldorf – D Liguria – I Nord Ovest – I Piemonte – I Fonte: Eurostat, (EC, 1999) 25 LE PROSPETTIVE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE NEL DUEMILA ALLA RICERCA DI UN RUOLO EUROPEO: QUESTIONI APERTE In conclusione, intendiamo esaminare brevemente alcune questioni aperte circa il ruolo che l’Italia del Nord potrebbe (e dovrebbe) giocare in chiave europea. Si tratta di aspetti che vengono sfiorati dagli sguardi tematici che strutturano la ricerca, ma da cui ricevono delle indicazioni conoscitive e degli stimoli interpretativi su cui articolare un futuro approfondimento specifico. L’ITALIA DEL NORD COME PROGETTO … … PER “FARE SISTEMA” NELLA COMPETIZIONE TERRITORIALE Una prospettiva di fondo comune alle diverse analisi e riflessioni che si sono soffermate negli anni recenti sull’Italia settentrionale è la considerazione (quasi un assunto da non dimostrare) che l’Italia settentrionale possa e debba giocare un ruolo strategico per la sua collocazione geoeconomica e geopolitica. Per un certo periodo si è anzi ritenuto che l’evocare un termine, come quello di “Padania”, potesse contribuire in questa direzione, una sorta di marchio che il generico riferimento geografico “Italia del Nord” sembrava troppo debole per affermare (cfr. in particolare Bramanti e Senn, 1992; Detragiache e Rossetto, 1993). Come rilevava Mazza nella già citata indagine della Fondazione Agnelli (Mazza, 1992), la Padania di per sé, intesa come area di studio definita e riconosciuta dalle ricerche territoriali, non esiste. È soprattutto un’immagine progettuale politica che potrebbe diventare (ma non l’ha tuttora fatto, se si eccettuano i piani di bacino) un’immagine progettuale della cultura tecnica. Giustamente, concludeva Mazza (1992, p. 302), “non si tratta tanto di sapere se esista o quale sia la Padania, ma di decidere quale Padania si voglia eventualmente costruire od organizzare…”. Anche senza impiegare un termine, quello di Padania, ormai troppo connotato politicamente, il riferirsi – in modo più soft, come si è fatto in questa ricerca – all’Italia del Nord, il tentare di coglierne alcuni caratteri socioeconomici, significa implicitamente evocarne un significato progettuale. L’aver cioè scelto di articolare la riflessione sull’Italia del Nord è già una sorta di ammissione che questa partizione territoriale possa avere un senso in quanto progetto collettivo, a certe condizioni e per certi obiettivi che vanno esplicitati. Come si è visto, nel dibattito corrente i possibili riferimenti al Nord Italia si collocano tra due estremi opposti. A un estremo, l’Italia settentrionale appare come un aggregato un po’ desueto, una ripartizione statistica che scompare di fronte alle differenti dinamiche delle sue parti, per essere più efficacemente sostituita, ad esempio, da “tagli longitudinali” Est-Ovest come propone il Censis (1997); all’estremo opposto, essa acquista un senso forte in quanto soggetto politico in cerca di un qualche riconoscimento istituzionale, pur senza poterla ricondurre ad una qualche forma di omogeneità culturale, storica, economico-funzionale ecc., che, come si è visto, appare priva di fondamento. Questa ricerca – che, è bene ribadirlo, non si occupa direttamente di questioni istituzionali, oggetto di futuri approfondimenti – nel guardare all’Italia del Nord si colloca in una posizione intermedia, ritenendo che alcuni aspetti, in particolare le politiche infrastrutturali e ambientali, richiedano ai soggetti politici ed economici dell’area di comportarsi come un soggetto collettivo, di “fare sistema”, di costituire una “massa critica” su alcuni progetti chiave. La vicenda dell’aeroporto di Malpensa 2000 appare istruttiva al proposito, laddove si è progettato un hub internazionale che avesse come bacino di riferi- 26 LE RAGIONI E I FONDAMENTI DELLA RICERCA mento perlomeno il Settentrione, senza aver pensato ad una politica di rete per il sistema aeroportuale del Nord, ma concependo il progetto più come un gioco a somma zero. La crescente integrazione europea sembra rafforzare l’importanza, e in parte anche le possibilità, per l’Italia del Nord di ritagliarsi un ruolo, che, come rilevava Marcello Pacini, già nel 1992, “… va progettato e organizzato, non può essere frutto di meccanismi automatici ma deve essere voluto e perseguito affinché [la Padania] diventi l’area di eccellenza dell’Europa mediterranea e il raccordo fra questa e l’Europa del centro-nord” (Pacini, 1992, p. 7). A distanza di alcuni anni, è dubbio che si sia effettivamente lavorato in questa direzione con qualche risultato di rilievo (come emerge, ad esempio, dalla scheda sui servizi alle imprese), e sarebbe utile indagare il perché. Resta il fatto che rimane tuttora forte la necessità per l’Italia del Nord di definirsi più esplicitamente un ruolo europeo. Infatti, alcuni processi in corso, quali, in particolare, le prospettive di allargamento ad Est dell’Unione europea e lo spostamento della capitale tedesca a Berlino, sembrano rafforzare ulteriormente il Nord Europa con l’affermazione di un asse Ovest-Est che unisce il “centro delle capitali” con Berlino e con l’Est europeo, “tagliando fuori” l’Italia settentrionale. Appare quindi ancora più importante un disegno di riequilibrio del territorio europeo. Non solo occorre colmare il ritardo delle regioni meridionali della Ue, ma è necessario strutturare con maggiore attenzione una politica euromediterranea che sappia cogliere l’ambiguità del Mediterraneo, allo stesso tempo momento di convergenza e frontiera “calda” che separa grandi differenze economiche, demografiche, culturali e religiose. Rimane dunque del tutto aperta e urgente la possibilità-necessità di un ruolo attivo del Nord Italia in una prospettiva geopolitica e geoeconomica che, nel rivolgersi a Est, non dimentichi la strategicità del margine Sud del territorio comunitario. PERCHÉ E PER CHI UN RUOLO EUROPEO PER L’ITALIA DEL NORD La domanda che si pone è dunque come sia possibile far sì che l’Italia del Nord possa assumere un ruolo più consapevole in chiave europea, a partire dalle diversità interne che, lungi dall’indebolirla, possono essere un punto di forza. L’esigenza di agganciarsi positivamente alla locomotiva europea, sia sul piano territoriale, sia su quello economico e sociale, è sempre più percepita allo stesso tempo come opportunità e come necessità drammatica da parte dei singoli territori. Può essere l’Italia del Nord, nel suo complesso, un progetto territoriale sul quale aggregare interessi e risorse per strategie comuni che si ponga efficacemente come livello intermedio tra l’azione degli enti locali e delle regioni in particolare e l’azione statale e comunitaria? Ciò richiede di indagare sulle forze, sulle ragioni che possono spingere verso questo ruolo di raccordo, sulla capacità dell’Italia del Nord di sopportare le tensioni centrifughe verso Ovest, Nord ed Est che possono indurre a massimizzare la competizione territoriale interna per aumentare la capacità di connessione alle reti globali. Alcune ricerche, come quella del Cnel (1996a,b; 1997b) e in parte quella della Fondazione Agnelli (Bramanti e Senn, 1992; Diamanti, 1998; Bonora, 1998) hanno cercato di rispondere a questa domanda, che rimane tuttora aperta sia nello spazio dei soggetti economici che in quello della politica. La risposta esula evidentemente dall’ambito di questa ricerca, in quanto richiede l’analisi di una serie di fattori geopolitici (aspetti istituzionali, soggetti politi- 27 LE PROSPETTIVE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE NEL DUEMILA ci ed economici ecc.) che vanno al di là degli aspetti su cui ci si è concentrati, e si propone come ulteriore tema di indagine. LE IPOTESI DELLA CERNIERA TRA IL CUORE FORTE E LE PERIFERIE DEBOLI: ALCUNE IMMAGINI CONSOLIDATE “Cucitura”, “snodo”, “cerniera”, “ponte”, gateway, “intermediario” e così via, sono le espressioni più ricorrenti per indicare i possibili ruoli che l’Italia del Nord (o le sue singole parti) può ricoprire sulla scena europea, mediterranea, ecc. (si veda, ad esempio, Bassetti, 1996). Al di là delle immagini retoriche, delle espressioni giornalistiche che giocano comunque un ruolo performativo nella costruzione di immagini territoriali, queste metafore possono avere un senso effettivo sul piano geoeconomico e geopolitico? È interessante notare come le giustificazioni di questo ruolo di “cerniera” (per usare l’espressione più utilizzata) vengano fatte derivare soprattutto dalla storia e dalla geografia (si veda il saggio conclusivo). Si è del resto già evidenziata la rilevanza che i significati impliciti nei riferimenti geografici apparentemente neutri giocano in questa partita: “nord”, “sud”, “ponte” ecc. agiscono liberamente come categorie pure. Nella stessa espressione “il Nord del Sud” con cui l’Italia settentrionale (e in parte l’arco latino) è stata designata, sono efficacemente riassunte la drammaticità e l’ambiguità della posizione dell’area. Vale la pena soffermarsi su alcune questioni sottostanti all’utilizzo di queste metafore territoriali. La funzione di cerniera è evidentemente metaforica di legami materiali (flussi di beni, servizi, persone ecc.) e immateriali (sul piano politico, economico, culturale ecc.) che l’area dovrebbe essere in grado di attivare, in particolare tra il Nord Europa più ricco e il Sud e l’Est in ritardo. Da questo punto di vista è opportuno provare a distinguere tra due diversi tipi di spazi (e in parte anche di scale) in cui questi legami possono operare (Dematteis, 1998). Si tratta di una distinzione che solo in parte può essere ricondotta alla contrapposizione “reti lunghe-reti corte” (si veda ad esempio Bonomi, 1997), la quale non considera che i due tipi di reti operano in realtà in due diverse tipologie di spazi, con proprietà differenti. L’ITALIA DEL NORD TRA RELAZIONI DI PROSSIMITÀ E RELAZIONI DI RETE Un primo spazio è di tipo “areale”, basato su relazioni di prossimità tra sistemi territoriali contigui. Le relazioni “di prossimità” avvengono in uno spazio strutturato sulla distanza fisica, dove le forme fisiche e le eredità storiche giocano condizionamenti rilevanti. Da questo punto di vista l’Italia del Nord sembra ricoprire un ruolo dinamico di raccordo come ad esempio dimostrano, verso Nord, l’effervescenza delle iniziative di cooperazione transfrontaliera lungo tutto l’arco alpino (si veda la figura 7), così come le iniziative di cooperazione interregionale verso Sud (si veda ad esempio il Patto territoriale dell’Appennino tosco-emiliano). Ed è in questo tipo di spazio che si percepisce con più drammaticità il divario nella dotazione infrastrutturale, soprattutto di trasporto, rispetto alle regioni forti europee, anche quando si fa per esempio riferimento alle reti lunghe dell’alta velocità ferroviaria che dovrebbero connettere l’Italia del Nord alle grandi reti transeuropee di trasporto. Un secondo spazio è di tipo “reticolare”, discontinuo e disomogeneo, con relazioni di rete di lunga distanza, dove i sistemi territoriali agiscono come “nodi” di reti di interazioni sovra-regionali. Le relazioni “di rete” risentono scarsamente dell’ “attrito della distanza fisica”, ma riflettono la divisione del lavoro a scala sovra-regionale indicando il grado di globalizzazione dei sistemi urbani a cui fanno capo (Dematteis, 1998, p. 347). Le relazioni 28 LE RAGIONI E I FONDAMENTI DELLA RICERCA dell’Italia del Nord in questo tipo di spazio, e le sue capacità-possibilità di cerniera, sono il riflesso della proiezione internazionale (in entrata e in uscita) dell’area (si vedano in particolare le schede sulle reti urbane, sulla internazionalizzazione e sulla R&S), laddove la crescente apertura agli scambi con le reti globali sembra difficilmente conciliarsi con la coesione interna ai sistemi territoriali che compongono il mosaico dell’Italia settentrionale. A QUALE LIVELLO PUÒ OPERARE LA CERNIERA? PUNTI DI VISTA Una seconda questione riguarda il livello a cui si suppone debba operare questo ruolo di cerniera: a livello di singola città o contesto locale, a livello di regione (istituzionale e non) o a livello di macroarea dell’Italia del Nord? Come è forse connaturato con la dialettica globale-locale e in un’ottica di sempre più spinto “marketing territoriale”, ogni partizione territoriale intermedia al Settentrione tende a ritagliare più o meno legittimamente per sé un ruolo di cerniera: lo fa in particolare Milano in quanto è la città più globale dell’area e l’unica piazza quaternaria e finanziaria; lo fanno, con altre motivazioni, il Piemonte (e Torino in particolare), il Veneto o l’Emilia Romagna. Su questi livelli si registra un certo dinamismo – come le iniziative “Quattro motori per l’Europa” o “Il Diamante Alpino” ecc. – finanche un po’ affannoso. A livello di macroarea, con alcune debite eccezioni (il Club delle Camere di Commercio o su un altro piano il Comitato Promotore Transpadana), si riscontra una notevole difficoltà a “fare sistema” su iniziative comuni nei confronti dell’estero. Quest’ultima questione è infine legata al punto di vista da cui guardare alla cerniera, che può essere interno o esterno all’area. In altre parole si tratta di confrontare le immagini dei ruoli che l’Italia del Nord (o le sue singole parti) si autoattribuisce, con le modalità con cui, eventualmente, il ruolo dell’area viene rappresentato ai livelli nazionali, o al livello comunitario. All’interno dell’area, l’immagine e il ruolo dell’Italia Settentrionale appaiono molto diversi se guardati dal punto di vista di Torino, di Milano, del Nord Est (si veda, ad esempio la figura 8) o delle zone di frontiera, come hanno evidenziato le citate ricerche della Fondazione Agnelli e del Cnel. A loro volta queste immagini si devono confrontare con quanto emerge dalle politiche a livello nazionale e comunitario, o da come, ad esempio le altre regioni, in particolare quelle dell’arco latino mediterraneo, proiettano sé stesse nello spazio europeo. Un possibile e consapevole ruolo dell’Italia del Nord deve dunque partire dalla considerazione che la sua efficacia performativa dipende dalla capacità di considerare punti di vista differenti sia interni che esterni. 29 LE PROSPETTIVE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE NEL DUEMILA BIBLIOGRAFIA Badie B. (1996), La fine dei territori, Trieste, Asterios Editore. Bagnasco A. (1996), L’Italia in tempi di cambiamento politico, Bologna, Il Mulino. Bagnasco A. (1997), “Processi di globalizzazione e paralleli di regionalizzazione: ripartendo dalle ‘Tre Italie’”, Geotema, 9, pp. 33-36. Bassetti P. (1996), L’Italia si è rotta? Un federalismo per l’Europa, Roma-Bari, Laterza. Becattini G. 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