Ricordando Daniele Calabi. Conversazione con
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Ricordando Daniele Calabi. Conversazione con Donatella Calabi È sempre difficile tracciare la storia di un grande architetto del passato. Rivedendo le opere di Daniele Calabi ritorna viva, oggi più che mai, la figura di un professionista che si adoperò per tutta la vita, nonostante le difficoltà dovute al periodo storico in cui visse, a una sola cosa: fare bene il proprio mestiere, progettando al di fuori delle “luci della ribalta”. Classe 1906, Daniele Calabi si laureò in ingegneria a Padova nel 1929 per poi sostenere gli esami integrativi di architettura a Milano nel 1933. Dal 1932 al 1938 lavorò a Parigi, Venezia, Padova; poi le persecuzioni razziali, dovute al fatto che apparteneva a famiglia ebrea, lo costrinsero a emigrare a San Paolo del Brasile dove svolse l’attività prima con un’impresa di costruzioni e poi come libero professionista. Rientrato in Italia stabilì il proprio studio professionale a Milano, Padova e al Lido di Venezia. Le opere e gli interventi di Daniele Calabi hanno lasciato un segno indelebile nella storia dell’Architettura, ricordiamo: la Casa del Fascio ad Abano Terme con A. Salce, Padova (19341935); la Colonia Principi di Piemonte agli Alberoni, lido di Venezia (1936-1937); l’Osservatorio astrofisico dell’Università di Padova ad Asiago, Vicenza (1936-1938); la Villa Padiglione Medici, Rua Carlos Do Pinhal, San Paolo (1945); la Villa Ascarelli, Rua Suiҫa, San Paolo (1947); Villa Cremisini, Rua Braganҫa, San Paolo (1974); Villa Daniele Calabi, Rua Traipù, San Paolo (1945-1946); Villa Foà, Rua Traipù, San Paolo (1948); l’Istituto di Geologia e di Mineralogia dell’Università di Milano (1949-1955); l’Edifico ad appartamenti, Piazzale Dateo, Milano (1950); la Casa Calabi, via Alicorno, Padova (1951-1952); l’Edificio ad appartamenti e albergo, via ospedale, Padova (1956-1957); la Clinica pediatrica dell’Università di Padova (1952-1956); la Casa di riposo per anziani di Gorizia (1956-64); la Biblioteca Augusta a Perugia (1957-1959); il Restauro dell’ex Convento dei Tolentini e Sistemazione dell’Istituto universitario di Architettura di Venezia (1960-1968); la Clinica pediatrica dell’Università di Catania (1961-1964), la Casa Calabi al Lido di Venezia (1962). Tra i riconoscimenti ricevuti, citiamo: il Premio internazionale di architettura Andrea Palladio, nel 1960, per la Casa di riposo di Gorizia; il Premio regionale IN / ARCH per il Veneto-Friuli, nel 1961, per la Clinica pediatrica di Padova; il Premio regionale IN / ARCH per la Sicilia, nel 1969, per il Reparto pediatrico e i Servizi generali dell’ospedale clinicizzato di Catania; i due Premi nazionali per la Conservazione e valorizzazione del patrimonio architettonico, nel 1969, rispettivamente per la Biblioteca Augusta in palazzo Connestabile a Perugia e per il Restauro del Convento dei Tolentini a Venezia. Tra i ruoli di docenza: fu Assistente volontario di Architettura tecnica alla Facoltà di Ingegneria di Padova; Libero Docente di Igiene edilizia (1957), incaricato di Estimo (biennio 1958-1959) e poi di Elementi costruttivi (19601964) alla Facoltà di Architettura di Venezia; fu Docente di Igiene edilizia alla Scuola di specializzazione di Igiene dell’Università di Perugia (1958-1959). Tra gli scritti di suo pugno: I recenti ospedali svedesi in Tecnica ospedaliera, pp. 4-5 (1953); L’assistenaza e la casa per anziani in Comunità, p.54 (1957); Progetto per un laboratorio di ricerche virologiche in Tecnica ospedaliera, p.28 (1957); La città e l’organizzazione dell’assistenza in Comunità, p.93 (1961); La nuova dimensione degli elementi costruttivi in Annuario dello IUAV per l’a.a. 1961-1962, Venezia (1961); Appunti per le lezioni di elementi costruttivi in Libreria universitaria veneziana di Architettura, Venezia (1964). Daniele Calabi è deceduto nel 1964. Converseremo con la figlia Donatella, Professore ordinario di Storia della Città e del Territorio all’Università IUAV di Venezia, cercando di restituire al lettore l’immagine di questo architetto definito da Bruno Zevi: Uomo brillante e coltissimo, viaggiatore instancabile, d’intelligenza elegante, immerso nel mondo del teatro e della musica, socialista per tradizione familiare, protagonista nei conflitti sugli assetti familiari e urbani dell’intero pae3 se. Professoressa che ricordo ha di suo padre e cosa le ha trasmesso da un punto di vista umano e professionale? Il mio ricordo è contemporaneamente quello di una figlia molto legata affettivamente a un padre severo e molto tenero e quello dell’allieva di un educatore per il quale era della massima importanza un esempio di moralità e di rigore nei comportamenti interpersonali e nella pratica del proprio mestiere. Come per tutti i giovani (mio padre è morto che io avevo solamente 20 anni) ho avuto con lui anche dei momenti di conflitto, nel momento in cui, ancora studentessa di architettura ai primi anni di università, volevo trovare un mio autonomo itinerario di studi. Il rispetto della mia libertà era per lui un fatto assoluto, ma il desiderio di fornirmi strumenti di lettura della realtà (e del panorama dell’architettura) era una sorta di dovere molto sentito. Questo è accaduto fin da quando, alla fine del liceo classico, ho espresso il desiderio di iscrivermi alla Facoltà di Architettura: mio padre mi rispose con il suggerimento di una bibliografia da leggere durante l’estate (tra gli altri, il libro di Bruno Zevi, Saper vedere l’architettura; oppure L’Architecture d’au jour d’hui di Bloc del 1937 su Parigi): solo dopo avrei avuto l’autorizzazione a dar seguito alla mia opzione. Negli anni Trenta il periodo trascorso a Parigi che importanza ebbe su Daniele Calabi come architetto? Credo che il periodo passato da Daniele Calabi a Parigi da giovane neo-laureato in ingegneria abbia avuto un’importanza enorme. La capitale francese era allora un polo di innovazione molto vivace e un centro di passaggio per architetti e artisti singolarmente significativi per l’architettura moderna (da Le Corbusier a Gino Severini, da Marcel Lods a Georges Braque, da Auguste Perret a Jean Hans Arp, da AndrÈ LurÁat a Mallet-Stevens). L’attività svolta come impiegato della Entreprise Générale des Grands Travaux e la lettura de 3 IUAV, Daniele Calabi, Architetture e progetti, Marsilio, Venezia 1992, pp. 2123. L’Architecture d’au jourd’hui dovevano costituire una tappa d’obbligo per un giovane visitatore curioso d’architettura. Alcuni elementi costruttivi e di linguaggio, insieme con l’uso di alcuni materiali (il tetto piano, i pilotis, la tessitura delle superfici, l’alternanza di superfici chiuse e superfici vetrate, i mattoni di vetro) hanno certamente influenzato la sua decisione di sostenere gli esami integrativi come architetto e i suoi primi progetti. Ne sono segnate perfino le tecniche di rappresentazione (disegni prospettici, esecutivi). In che modo visse l’esperienza in Brasile o, meglio, quali difficoltà vi incontrò? Ci citerebbe alcune opere a lui care di quel periodo? Il primo periodo in Brasile fu certamente complicato per mio padre, visto che, come straniero, non poteva firmare i suoi progetti; fondamentale fu per lui in quel periodo, non solo il lavoro garantitogli dall’impresa edilizia (la Costrutora Moderna) di suo cugino, l’ingegnere Silvio Segre (che era emigrato prima), ma anche l’accoglienza offertagli da Rino Levi con il quale ebbe occasione di lavorare nei primi anni e di cui divenne amico. Solo qualche anno dopo il suo arrivo (giovani ricercatori di San Paolo stanno ora facendo ricerca negli archivi professionali per stabilire con precisione in che anno fu riconosciuto il suo titolo di architetto) ebbe la possibilità di firmare i suoi progetti in modo autonomo. Tra le opere principali di quel periodo, accanto a pochi edifici di uso collettivo (come la Tipografia Scheliga, il Predio Autogeral, la Fabbrica del Rayon Seda) restano tuttavia le Ville del Pacaembu, realizzate per alcuni parenti (il fratello Fabio Calabi, il suocero Carlo Foà) e amici (Medici, Ascarelli, Cremisini): insomma quella che allora in famiglia chiamavano la “comunità italiana”, da intendere come il gruppo degli ebrei italiani emigrati nel ‘38. In queste case unifamiliari, la divisione funzionale tra parte giorno, notte, servizi intorno a una parte centrale (il patio interno) consentono la realizzazione di una continuità tra interno ed esterno che è poi uno dei temi prevalenti nella sua architettura. Ci descriverebbe il rientro in Italia e alcuni interventi significativi, o esperienze, che lo coinvolsero maggiormente? Al rientro in Italia, l’esperienza più importante fu quella della Clinica pediatrica di Padova, non solo perché fu la prima, quella che gli aveva garantito il rientro, data la possibilità di reintegro per gli architetti ebrei vincitori di concorso, che avevano perso il loro incarico prima della guerra, ma anche perché finì per determinarne una sorta di futura specializzazione nel campo dell’edilizia ospedaliera e universitaria. Fu anche un lavoro che gli consentì di “entrare” nel non facile ambiente padovano, in cui certamente lasciò una traccia negli anni Cinquanta (Case di Via Vescovado, Case di Via Alicorno, Case di Via Ospedale). Ci fu qualcuno che influenzò particolarmente la sua formazione? Oltre all’ambiente parigino già menzionato, negli anni del ritorno in Italia, Daniele Calabi fu influenzato da un lato dagli architetti milanesi Ignazio Gardella, Franco Albini, i BBPR, dall’altro dall’urbanista Luigi Piccinato (che ebbe modo di conoscere bene all’epoca del Piano regolatore di Padova e di cui divenne amico): si trattava delle personalità che poco a poco gli permisero di fare riferimento all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Altro riferimento culturale e politico importante fu per lui il Movimento di Comunità e Adriano Olivetti (per il quale progettò, fra il 1958 e il 1962 la Casa per anziani e l’Albergo Monte Ferrando a Ivrea). Che tipo di rapporto ebbe con il mondo accademico? Daniele Calabi non fu mai un accademico in senso stretto; chiamato allo IUAV da Giuseppe Samonà (allora direttore della Scuola), su suggerimento di Luigi Piccinato, accolse l’incarico con entusiasmo e straordinario “spirito di corpo”, identificandosi in quella che, pur nelle sue sfaccettature, riteneva “la” Scuola di Venezia: quasi un bisogno di appartenenza che, nelle peripezie di una vita a volte difficile, aveva a lungo sentito come problema di identità. Al suo interno, poi, i principali riferimenti erano Luigi Piccinato (che aveva conosciuto a Padova), Mario Coppa (collaboratore Olivettiano), la Trincanato (con la quale si era trovato a collaborare per il Villaggio San Marco a San Giuliano) e Bruno Zevi (al quale lo legavano anche ragioni di solidarietà etnica e di comune esperienza d’emigrazione, oltre che una grande ammirazione per gli scritti). Se oggi fosse presente come crede che giudicherebbe la società di oggi ed il modo di progettare odierno? La storia non si può fare con i “se” e certo anche Daniele Calabi, se avesse continuato a vivere, avrebbe inevitabilmente cambiato il suo modo di vedere le cose e di progettare. Credo tuttavia che avrebbe alcune serie difficoltà ad accettare il mondo dello “star-system” che contraddistingue l’odierno panorama dell’architettura. Per lui, poco interessato alla pubblicità della carta stampata, il suo era un mestiere terribilmente serio, con il quale costruire un’edilizia solida, duratura, fatta per il benessere degli utenti. Era anche un mestiere da bottega artigiana: l’organizzazione di grandi studi professionali fatti da centinaia di persone e da responsabilità molto frammentate, come è quello che caratterizza oggi il mondo degli architetti, forse lo metterebbe a disagio. Figura 17. Colonia Principi di Piemonte agli Alberoni, Daniele Calabi, Lido di Venezia 1936-1937 Figura 18. Villa Foà in Rua Traipù, Daniele Calabi, San Paolo del Brasile 1948 Figura 19. Biblioteca Augusta, Daniele Calabi, Perugia 1957-1959 Figura 20. Restauro dell’ex convento dei Tolentini e sistemazione dell’Istituto universitario di architettura di Venezia, Daniele Calabi con M. Bacci, Venezia 19601968. Note biografiche di Donatella Calabi Donatella Calabi è Professore ordinario di Storia della Città e del Territorio all’Università IUAV di Venezia; dirige il Dottorato in Teorie e Storia delle Arti della Scuola di studi avanzati di Venezia. È Presidente dell’Associazione Italiana di Storia Urbana, lo è stata della European Association of Urban Historians. Ha occupato il ruolo di Visiting Professor a Parigi, Londra, Lovanio, Tokyo e a San Paolo del Brasile. Molte delle sue pubblicazioni riguardano la storia della città in età moderna e contemporanea con particolare interesse agli spazi e agli edifici di mercato e alle aree riservate alle minoranze. Citiamo: La città degli ebrei, con Ennio Concina e Ugo Camerino, Marsilio Editori, Venezia 1991, 1996; Parigi anni venti. Marcel Poëte e le origini della storia urbana, Marsilio Editori, Venezia 1997; L’Harmattan, Paris 1998; Les Ètrangers dans la ville, con Jacques Bottin, Èditions de la Maison des sciences de l’homme, Paris 1999; La città del primo Rinascimento, ed. Laterza, Roma-Bari 2001; Storia della città. Vol. I: Età moderna; vol. II: Età contemporanea, rispettivamente Marsilio editori, Venezia 2001, 2005; The market and the city, ed. Ashgate, London 2004; Cities and Cultural Exchange in Europe, 1400-1700 a cura di, con Stephen Turk Christensen, Cambridge University Press, 2007; il volume monografico La città cosmopolita di Città e storia, Roma, 2007; Musei d’arte e di architettura a cura di F. Varosio, Bruno Mondadori Edizioni, 2004; Storia dell’urbanistica europea, Bruno Mondadori Edizioni, 2004 e 2008; Il mercante patrizio. Palazzi e botteghe nell’Europa del Rinascimento, con la collaborazione di S. Beltramo, Bruno Mondadori Edizioni, 2008; I musei della città, curatela, con Paola Marino e Carlo Travaglino, del numero monografico di Città e storia, n°1-2, 2008, introduzione pp.3-14 e articolo su Per la costruzione di un laboratorio di ricerca su Memoria e rappresentazione della città, pp.341-346; Luoghi, spazi, architetture, curatela, con Elena Svalduz, del VI volume telematico di Il Rinascimento italiano e l’Europa e tre saggi al suo interno, Fondazione Cassamarca e Angelo Colla ed., Treviso 2010; Il borgo delle muneghe a Mestre. Storia di un sito per la città, Marsilio Editori, Venezia 2010.