Occupazione di spazi esterni e responsabilità civile
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Occupazione di spazi esterni e responsabilità civile
Occupazione di spazi esterni e responsabilità civile A cura dell’avv. Filippo Cafiero A voler ragionare di responsabilità civile da occupazione di spazi esterni non si va tanto al di là delle più comuni questioni di responsabilità civile da occupazione di spazi pubblici, sia per definizione stessa (per quanto si dirà oltre), sia perché nella casistica tipica del comparto in esame il più delle volte questi spazi esterni insistono su suolo pubblico. Ma anche perché ai fini della responsabilità civile non è che la questione cambi nel caso di spazi esterni di tipo privato. Ciò che rileva, infatti, è il ricorrere o meno del fondamento e dei presupposti di una qualsivoglia responsabilità civile, più che la natura di pubblico o privato di uno spazio esterno occupato, da cui trae origine la responsabilità. D’altra parte, è pur vero che di occupazione di spazi esterni privati non ha molto senso parlare, già solo in linea di puro principio. A meno che non si tratti di occupazione abusiva, ovvero ottenuta con forza o con violenza, contro la volontà del proprietario o di chi ne ha la disponibilità. Così come è altrettanto vero che, anche nelle ipotesi di spazi esterni privati ma aperti al pubblico (e per i quali comunque non è corretto parlare di occupazione, ma di libera accessibilità), vengono applicati gli stessi principi qui di seguito trattati, ferme restando le necessarie cautele per quanto da modularsi sulla specificità delle circostanze del caso concreto. Non escluso per l’eventuale subentrare, nel processo causale, di un fattore esterno, quale può essere l’intervento di altro utilizzatore o avventore. Inoltre, è proprio nei casi di occupazione di spazi esterni, come suolo pubblico, che, probabilmente per il sacrificio del diritto spettante alla collettività su quel suolo pubblico, si scatenano maggiormente le possibili rivendicazioni per responsabilità civile, ovviamente in primo luogo avverso chi ha dato corso a quel motivo di sacrificio e avverso chi per questo ne ha tratto beneficio. Ragione per cui, prima di ogni altra considerazione, può tornare utile assumere a premessa le precedenti note in tema di occupazione di suolo pubblico (secondo quanto trattato nel precedente numero 2/2012), così come può tornare utile fare un po’ di chiarezza di base sul concetto di responsabilità civile, anche per dare più concreto senso ad una espressione acquisita, sì, al linguaggio corrente, ma non sempre adeguatamente recepita. Per responsabilità civile, infatti, deve intendersi la responsabilità cui si va incontro come conseguenza della violazione di un dovere giuridico nei rapporti interprivati, generalmente esternata in una obbligazione risarcitoria volta alla riparazione economica del pregiudizio subito dal danneggiato. Sicché, in termini più generali, la responsabilità civile costituisce vero e proprio strumento di protezione degli interessi dei privati, sia come singoli, in quanto tali, per i pregiudizi subiti dal comportamento altrui in violazione di legge, sia come collettività, al fine della ordinata e civile convivenza. Ciò posto, va altresì preliminarmente detto che la responsabilità civile da occupazione di spazi esterni ha qui (ovvero per gli operatori del settore) concretamente senso se ipotizzata come legata all’occupazione di spazi esterni in ragione di ciò che, proprio da quell’occupazione, può costituire motivo di responsabilità. Il che significa che per il settore in questione ha senso parlare di una simile responsabilità civile quando questa occupazione si traduca in quei fatti materiali e concreti (propri del comparto), dai quali può originare, appunto, responsabilità civile. E, certamente, i più significativi fatti materiali che possiamo rappresentarci con incidenza di responsabilità civile tale da determinare motivo di attenzione in queste pagine sono sia quelli relativi ai casi di occupazione con 1 manufatti di qualsiasi tipo, fissi e non, sia quelli relativi a cose, arredi esterni e/o suppellettili di qualsiasi tipo. Ebbene, in questi casi, la responsabilità civile discende “innanzitutto” da quanto previsto con gli artt. 2051 e 2053 del Codice Civile, in modo particolare relativamente alle ipotesi in cui, in ragione di una più intensa tutela del danneggiato, dei danni sia chiamato a rispondere chi riveste una data qualità o utilizza la cosa che ne è stata causa. Responsabilità civile, dunque, da considerarsi “innanzitutto”, perché responsabilità che, come eccezione alla regola generale, assume rilievo prima ancora ed a prescindere da una colpa. Vediamone allora quegli aspetti particolari che possono coinvolgere gli operatori del settore. Per l’art. 2051 del Codice Civile (“ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”) gli aspetti da considerare sono almeno tre: 1) il concetto di cosa; 2) il concetto di custodia; 3) l’avere questa cosa prodotto un danno, ovvero il rapporto di causa tra cosa e danno. 1) Il concetto di cosa: come già può aver lasciato intendere il richiamo ai manufatti fissi e non, la “cosa” in custodia dalla quale viene cagionato il danno può essere sia mobile sia immobile e non è necessario che si tratti di una cosa in sé inerte o, come si suol dire, priva di un proprio dinamismo interno. Simile responsabilità, infatti, sussiste non solo per i danni che la cosa è suscettibile per sua natura di produrre, ma anche per quelli che dipendono dall’insorgere, nella cosa stessa, del fatto dannoso. Conseguentemente, tutte le cose possono diventare dannose a prescindere dalla loro natura. Ciò che è necessario ai fini della responsabilità dell’art. 2051 non è pertanto la qualità o struttura della cosa, quanto l’avere essa svolto un ruolo attivo nella produzione del danno. Se, diversamente, essa ne è stata strumento o motivo, magari per averlo agevolato, non è che non si vada incontro a responsabilità civile, ma i principi da applicarsi saranno altri: quelli più generali della responsabilità per colpa. Allo stesso modo, nel caso in cui il danno sia stato determinato dall’azione dell’uomo per mezzo della cosa, non si ricade nel principio in esame, ma in altro diverso principio, ove il tutto ruoterà intorno alla responsabilità diretta e personale dell’uomo. 2) Il concetto di custodia: con riguardo al concetto di “custodia”, va detto che questa non deve intendersi in senso strettamente giuridico, ovvero in termini di custodia contrattuale, ma in senso molto ampio. In sostanza, per la responsabilità civile in questione è custode non chi ha un incarico o una veste formale di custode, ma chi ha un effettivo e non occasionale potere fisico su una cosa, sia che abbia titolo per fondare questo potere, sia che non lo abbia, essendo sufficiente un potere di fatto. Lo stesso può dirsi, poi, anche per il caso di un potere fisico sulla cosa ricevuto da altri: ritenendolo la legge un potere di fatto, non è necessario che tra le due parti sia intervenuto un accordo, essendo sufficiente che chi esercita quel potere abbia una propria sfera di influenza e di controllo sulla cosa. Ciò basta per far rientrare in tale concetto tutte le occasioni e circostanze di fatto per le quali un soggetto abbia un potere su una cosa, come già detto, in termini di influenza e controllo: custodia, dunque, come condizione di disponibilità di fatto e di diritto sulla cosa e tale da consentire al custode di poter escludere chiunque altro da controllo e utilizzo della stessa. Nel rapporto di custodia con la cosa, occasioni e circostanze prescindono pertanto da qualsiasi distinzione per formalità di proprietario, possessore o detentore, sicché, in concreto, non va distinto formalmente neanche tra proprietario, possessore e detentore abusivo o non. 3) Il rapporto di causa tra cosa e danno: al riguardo si torna, in realtà, a quanto già detto prima sul ruolo attivo della cosa nella causazione del danno: il danno deve essere cagionato dalla cosa e non dall’azione od omissione dell’uomo con la cosa. In tale ultimo caso, come già detto, non si esclude una responsabilità, 2 ma si verte in ambiti e norme diverse, posto che è evidente il ruolo dell’azione dell’uomo e non della cosa. Per la stessa ragione, nel caso di danno cui abbia concorso il comportamento del danneggiato, pur restando la responsabilità del custode della cosa, sarà inevitabile una ripartizione di colpe e dunque una incidenza colposa proporzionale del danneggiato. Per il solo fatto del ricorrere di questi presupposti il custode (nel senso precisato) va dunque incontro a responsabilità civile, a meno che non riesca a provare il caso fortuito. L’art. 2051 prevede infatti espressamente la possibilità di liberarsi da responsabilità provando il caso fortuito, ovvero provando che ciò che ha determinato l’evento dannoso è stato un caso fortuito, un avvenimento inevitabile ed eccezionale, estraneo alla sfera del custode e alla sua diligenza. In due battute, un avvenimento al di fuori della sua sfera di azione e spazio e potere di controllo, ovvero tale da escludere qualsivoglia incidenza di questo potere. Il caso fortuito va letto però in senso oggettivo, come avvenimento comprendente sia un fatto naturale sia un fatto del terzo, purché comunque sia tale da escludere sul piano causale la riferibilità dell’evento alla cosa in custodia e dunque alla sfera di azione e al potere di controllo del custode. In ogni caso, deve trattarsi di avvenimento che da solo, in via esclusiva, costituisca la causa del fatto dannoso. Non costituisce invece ipotesi di caso fortuito la causa ignota, per cui il custode risponde dei danni provocati da eventi di cui non si è riusciti ad identificare la provenienza e, dunque, anche quando vi siano incertezze sulla natura della causa stessa. Anche per l’art. 2053 del Codice Civile (“il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione”) sono almeno tre gli aspetti peculiari sui quali gli operatori del settore devono rivolgere particolare attenzione per il rischio di incorrere in responsabilità civile. Si tratta 1) del concetto di proprietario; 2) del concetto di edificio o costruzione; 3) del concetto di rovina di edificio. 1) Il concetto di proprietario: va precisato che per proprietario non deve intendersi unicamente il titolare del diritto di proprietà, ma anche chi si trovi in una certa relazione con la cosa che ha cagionato il danno. Relazione che determina quindi l’irrilevanza e del comportamento commissivo o omissivo del proprietario e dell’eventuale suo essersi disinteressato dell’edificio o della costruzione. In questo senso, infatti, per la responsabilità in esame, si parla anche di cosiddetta responsabilità oggettiva, cioè di una responsabilità che discende per il solo fatto di trovarsi nella qualità di proprietario della cosa (nel senso detto) al momento della rovina. Per questa stessa ragione ben si ritengono irrilevanti i mutamenti di titolarità avvenuti prima o dopo tale momento, mentre non sono irrilevanti, incidendo anche in termini di corresponsabilità, i soggetti il cui ruolo li porta ad obblighi di manutenzione. 2) Il concetto di edificio o costruzione: è bene tener conto che per edificio deve intendersi un tipo particolare di costruzione e che per costruzione, invece, deve intendersi ogni opera umana che sia incorporata al suolo, anche in via transitoria, indipendentemente dal materiale con cui è stata realizzata, e che abbia una sua funzionalità. Costruzione, dunque, come qualsiasi manufatto che sporga dal suolo, compresi persino i cartelli pubblicitari, i lampioni, ecc....., e qualsiasi manufatto anche accessorio dell’edificio, purché incorporato materialmente e stabilmente nella costruzione. 3) Il concetto di rovina di edificio: è da intendersi in senso ampio rispetto all’idea che può dare l’espressione in sé. Conseguentemente devono intendersi ipotesi di rovina non solo il crollo integrale dell’edificio o di altra costruzione, ma anche il crollo parziale o la caduta di pezzi dello stesso. Così come la rottura di un impianto o, anche solo, la caduta dell’imposta di una finestra, di una grata di legno, 3 la caduta di un vetro da una finestra, ecc…. In sostanza, rovina come “qualsiasi disgregazione, sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione, ovvero di quelli accessori in essa stabilmente incorporati”. A differenza della responsabilità civile del custode (e di cui detto sopra), il proprietario (nel senso precisato) potrà liberarsi da responsabilità dimostrando che il crollo non è dovuto a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione. Attenzione, però, a non cadere in equivoco: ciò che libera è l’assenza del difetto di manutenzione o vizio di costruzione, non che il proprietario non fosse tenuto alla manutenzione. Conseguentemente, per le ipotesi in cui altri (diversi dal proprietario) siano chiamati ad un obbligo di manutenzione verso quella costruzione si avrà un coinvolgimento di costoro in corresponsabilità e difficilmente si avrà una liberazione del proprietario. Infatti, se per liberarsi da responsabilità occorre dimostrare che non vi è causa nel difetto di manutenzione, l’omessa manutenzione da parte di chi vi era obbligato costituisce già di per sé prova di una responsabilità e della impossibilità di liberarsene invocando l’esclusione del difetto di manutenzione. In buona sostanza, in questi casi la responsabilità dell’obbligato alla manutenzione trascina con sé la responsabilità del proprietario, dal momento che, a quel punto, sarà difficile per quest’ultimo provare di non avere responsabilità perché non vi era un difetto di manutenzione. Che poi il proprietario possa aver titolo di rivalsa verso l’obbligato alla manutenzione è altra questione. Al ricorrere dei presupposti e dunque delle condizioni della responsabilità per rovina di edificio o costruzione, ovviamente, non si applicherà la responsabilità del custode come sintetizzata sopra con il richiamo all’art. 2051 del Codice Civile. Da ultimo, altra situazione da considerare a proposito della responsabilità civile in esame è poi quella della responsabilità solidale, per cui se il fatto dannoso è imputabile a più persone tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. In ragione di ciò non è necessario che tutte abbiano concorso nella medesima azione o nella medesima omissione, ma che tutte abbiano concorso a cagionare il medesimo danno. Dunque anche nell’ipotesi in cui una abbia agito ad un titolo e l’altra ad altro titolo, purché tra le varie azioni vi sia uno stretto legame o una interdipendenza. È però necessario che l’evento dannoso sia effettivamente imputabile a più persone e che sia un evento di danno unitario. Il danneggiato non è tenuto ad individuare tutti i soggetti responsabili e a rivolgere a tutti le proprie richieste risarcitorie. È sufficiente che egli chiami in causa uno qualsiasi dei responsabili per ottenere il pagamento del suo intero danno, anche se trattasi di danno riferibile a più persone. Sarà poi chi paga a rivalersi sugli altri corresponsabili. La solidarietà apre, infatti, al regresso di chi ha pagato nei confronti degli altri responsabili. Con tale regresso si potranno aprire anche le dispute intorno al grado di responsabilità dei corresponsabili, posto che, nel dubbio di tale grado, esso si riterrà in misura uguale, presupponendo che ciascuno dei corresponsabili abbia avuto una parte di colpa nel verificarsi dell’evento. Si riterrà diversamente, invece, in funzione della possibilità di cogliere e definire la diversa incidenza causale delle rispettive condotte o delle rispettive colpe. Tenda in&out 2/2013 – www.tendain.it 4