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QUADERNI/4 RICERCA GIURIDICA sugli orientamenti giurisprudenziali in materia d’asilo Nella stessa collana: INDICE 1 - Immigrazione e asilo: una nuova legge a misura di chi? 2 - Diritti umani e volontariato: atti del corso di formazione 2002 3 - Storie di diritti negati: i risultati di un’attività di monitoraggio sulla condizione dei richiedenti asilo a Roma La Ricerca giuridica e la realizzazione di questo volume sono state curate da: Giusy D’Alconzo, Susanna Matonti, Flavia Vianello Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 9 1. Natura giuridica dello status di rifugiato e dell’asilo costituzionale e competenza giurisdizionale . . . . . . . » 11 2. Presupposti dello status di rifugiato e dell’asilo costituzionale e relativi criteri di riconoscimento . . . . . . . » 51 3. Aspetti formali della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato e loro effetti sostanziali . . . . » 111 4. Il diniego dello status di rifugiato: motivazioni ricorrenti o particolarmente rilevanti . . . . . . . . . . . . . . . . . » 149 A. Indice cronologico delle sentenze . . . . . . . . . . . . . . . . » 165 B. Indice delle sentenze per organo di emanazione . . . . » 167 C. Tabella ragionata per argomento . . . . . . . . . . . . . . . . » 169 Appendici Pubblicazione edita da: Associazione Centro Astalli per l’Assistenza agli Immigrati Jesuit Refugee Service - Italia Via degli Astalli, 14/a - 00186 Roma Tel 06.69700306 – Fax 06.6796783 Email: [email protected] Settembre 2003 2 3 LEGENDA Ad. Plen. AG A.g.o. BO C.d.S. Cost. C.p.c. C.p.p. C.t.u. D.L. D.Lgs. D.P.R. Est. GE G.i. G.O. GO L. MI P.Q.M. RGAC RM S.C. Sent. Sez. T.A.R. TO TP Trib. U. 4 Adunanza plenaria Agrigento Autorità giurisdizionale ordinaria Bologna Consiglio di Stato Costituzione Codice di procedura civile Codice di procedura penale Consulenza tecnica d’ufficio Decreto legge Decreto legislativo Decreto del Presidente della Repubblica Estensore Genova Giudice istruttore Giudice ordinario Gorizia Legge Milano Per questi motivi Registro Generale Roma Suprema Corte Sentenza Sezione / Sezioni Tribunale Amministrativo Regionale Torino Trapani Tribunale Unite PREFAZIONE La Ricerca giuridica sugli orientamenti giurisprudenziali in materia di asilo, curata dall’Associazione Centro Astalli e dalla Casa dei Diritti Sociali-Focus, ha innanzitutto i pregi della semplicità e della concretezza; e sono pregi non da poco, se si pensa alla materia trattata ed ai destinatari primi di questo lavoro. La semplicità: quando si affronta il problema di un diritto fondamentale ed elementare, come quello di asilo, il primo aspetto che viene in considerazione è quello dell’accessibilità e della comprensibilità di ciò che si propone all’attenzione del lettore. In materia di diritti fondamentali, la prima difficoltà in cui ci si imbatte è proprio la conoscenza e prima ancora la conoscibilità di essi: un diritto sconosciuto è necessariamente, e già per ciò solo, un diritto negato; conoscere i propri diritti, poter sapere che le talvolta inconsapevoli istanze elementari di chi è più diseredato, trovano in realtà una precisa corrispondenza ed un riconoscimento in situazioni giuridiche disciplinate dall’ordinamento internazionale e da quello interno, è condicio sine qua non per poter lottare al fine di dare forza ed effettività al riconoscimento di quei diritti e all’accoglimento di quelle istanze. A maggior ragione il pregio della semplicità diventa essenziale quando, come nel caso del diritto di asilo, colui che ne è titolare, ne ignora il contenuto e ne chiede il riconoscimento, si trova in condizioni di totale isolamento e inferiorità, di fronte a un ambiente estraneo se non ostile: un contesto in cui è troppo facile opporre, a chi non ha niente (magari e di solito neppure gli strumenti culturali e linguistici per stabilire un dialogo e per esprimere il proprio bisogno e la richiesta di asilo), la rigidità, la complicazione burocratica e astratta, l’incomprensibilità e la pretesa “maestà” della legge. Sotto questo aspetto, la ricerca è importante non solo come strumento di cognizione e di informazione per chi è direttamente interessato e deve esercitare e richiedere quel diritto; ma anche, e prima ancora, come strumento per chi – nella rete del volontariato, e senza dover necessariamente essere un addetto ai lavori – può aiutare un al5 tro a conoscere e ad esercitare quel diritto, proponendosi come intermediario fra la sua solitudine e l’ambiente sociale e istituzionale che lo circonda. La concretezza: in una materia complessa come quella dei diritti fondamentali, e soprattutto di fronte a un diritto come quello di asilo - in cui si riflettono e si intrecciano profili di diritto internazionale, di diritto costituzionale, di diritto interno; e tale è la situazione italiana, caratterizzata dalla coesistenza fra la legge attuativa della Convenzione di Ginevra del 1951 e l’articolo 10 comma 3 della Costituzione, in mancanza tuttavia di una organica legge quadro, della quale da troppo tempo si sente il bisogno – è facile, forse quasi inevitabile cadere nella suggestione e nella tentazione del tecnicismo. Senza nulla levare all’importanza di un’analisi e di una ricostruzione teorica e tecnica, è tuttavia altrettanto importante saper cogliere gli spunti essenziali di questo istituto (la sua natura, i suoi presupposti, i criteri per il suo riconoscimento, gli aspetti formali delle relative procedure), quali essi emergono dall’elaborazione giurisprudenziale che si è formata in materia, e cioè dal c.d. “diritto vivente” e prima ancora dalla prassi amministrativa; così come fa la ricerca, nei quattro capitoli in cui si articola la presentazione della giurisprudenza in tema di diritto di asilo. Se la semplicità della presentazione è essenziale per la conoscibilità di un diritto, la sua concretezza lo è altrettanto, per assicurare l’effettività di quel diritto: sapere come esso vive nella realtà concreta del quotidiano, soprattutto per chi si propone di aiutare ad esercitarlo chi di quell’aiuto ha un particolare bisogno, è una condicio sine qua non pari almeno alla consapevolezza che quel diritto esiste ed è previsto dall’ordinamento. E, d’altronde, tutti ben sappiamo come non sono sufficienti la proclamazione ed il riconoscimento formale di un diritto fondamentale, da parte delle Costituzioni e delle leggi, se essi non sono accompagnati dalla concretezza della sua effettività, della sua promozione e della sua garanzia. A me sembra però che la ricerca – nel presentare i risultati dell’elaborazione giurisprudenziale sullo status di rifugiato e sull’asilo costituzionale – proponga anche un’altra riflessione, di fondo e più generale, particolarmente attuale: una riflessione che nasce sia dalla constatazione del dualismo fra le situazioni soggettive dei due istituti, e quindi fra i presupposti e gli ambiti di disciplina di essi; sia dalla generale disattenzione ai problemi dell’asilo (testimoniata anche dalla mancanza di una legge organica in materia), in un contesto che è invece di crescente attenzione e sensibilità ai problemi dell’immigrazione; sia, infine, dalla valutazione dei problemi innescati dalla globalizzazione, di cui tanto si parla. Come è noto, vi è una serie di differenze fra le due categorie dei ri6 fugiati politici e degli aventi diritto all’asilo, non ostante la comune origine storica ed il comune carattere umanitario e solidaristico: la prima categoria è meno ampia della seconda, poiché la Convenzione di Ginevra prevede un requisito (il fondato timore di persecuzione), che è assente nell’art. 10 comma 3 della Costituzione; d’altronde, il sistema attuale riconosce un trattamento di maggior favore agli appartenenti alla prima categoria, proprio in base alla Convenzione, mentre il diritto di asilo – in mancanza di una legge di attuazione del precetto costituzionale – si risolve, secondo la giurisprudenza, soltanto nella garanzia all’ingresso nello Stato, a favore di colui cui venga impedito l’esercizio delle libertà democratiche nel suo paese d’origine. Ancora, l’ingresso, nel nostro come negli altri Paesi, è regolato in maniera profondamente diversa, per quanto concerne da un lato la posizione e le aspettative dei c.d. migranti economici, che aspirano a migliori condizioni di vita economica, sociale, civile e democratica, i quali devono essere in possesso di un passaporto od equipollente; e, da un altro lato, la posizione dei rifugiati o dei richiedenti l’asilo politico, il riconoscimento della cui posizione (lo status dei primi e il diritto all’ingresso dei secondi) richiede soltanto un’istanza motivata e documentata nei limiti del possibile. Questa sorta di frammentazione è inevitabile, logica e per certi aspetti allo stato ineliminabile, come conseguenza che discende ovviamente dalle scelte di diritto positivo in un campo che incide profondamente sui valori della solidarietà e della dignità umana. Tuttavia, anche in questo caso - nella prospettiva, oggi generalmente condivisa, della indivisibilità dei diritti fondamentali come connotazione essenziale quanto quelle della loro universalità e della loro effettività – occorre tenere ben presente la difficoltà di tracciare una linea precisa di demarcazione all’interno della sfera dei diritti umani fondamentali, patrimonio essenziale dell’identità e della condizione umana: i diritti civili e politici, da un lato; quelli economici, sociali e culturali, dall’altro lato. Ogni forma di intervento a tutela dei diritti umani fondamentali, nello specifico (ed il riconoscimento dello status di rifugiato o quello del diritto di asilo politico si inquadra certamente in tale intervento e ne è anzi un aspetto prioritario), è espressione del riconoscimento della condizione umana. E non v’è bisogno certo di sottolineare quanto quel riconoscimento sia essenziale, in un contesto di globalizzazione i cui sviluppi deteriori (in tutti i campi e gli aspetti, da quello dell’economia a quello dell’ambiente, della convivenza e della solidarietà, della tolleranza e del rifiuto della violenza individuale e di massa nei confronti dei soggetti deboli) mettono veramente a rischio, come non mai nel passato, il rispetto della condizione umana. Lavorare consapevolmente, nello specifico e nel concreto, all’attua7 zione dei diritti umani (come appunto, nel caso nostro, al riconoscimento dello status di rifugiato o del diritto di asilo politico a chi ne ha titolo e bisogno), vuol dire inserirsi consapevolmente, per la propria parte, in un disegno globale di riconoscimento e di difesa della condizione umana. Ed è, questo, un impegno di cui si sente particolarmente bisogno nel contesto di globalizzazione e di spersonalizzazione attuale: come dimostra, proprio in questi giorni, il conferimento del premio Nobel per la pace per il 2003 all’iraniana Shirin Ebadi per i suoi sforzi per la democrazia e i diritti umani, specialmente quelli delle donne e dei bambini, “nel suo Paese, nel mondo musulmano e in tutti i Paesi in cui la battaglia per i diritti umani richiede ispirazione e sostegno” (così la motivazione del premio); e come dimostra – alla luce della recente guerra in Iraq, e delle più di cinquanta guerre che in questo momento segnano il mondo, contribuendo in modo prevalente a creare le premesse per una crescente serie di richieste di asilo e di rifugio politico – il messaggio di Giovanni Paolo II sulla pace. Quest’ultima non può essere soltanto l’assenza della guerra, ma ha e deve avere un contenuto positivo e un valore in sé; non può essere semplicemente il frutto di compromessi e di trattative, o quello di un equilibrio precario, fondato sul terrore reciproco o sulla sopraffazione e sul dominio del più forte. Riprendendo ed attualizzando l’insegnamento di un altro grandissimo Pontefice – Giovanni XXIII, nella Pacem in Terris – Giovanni Paolo II ci ricorda che, se la guerra in sé è ingiusta, non può comunque esservi pace senza giustizia: cioè senza rispetto dell’altro, e quindi della sua pari dignità e della sua libertà; e senza rispetto della verità, della solidarietà e dell’amore, e dei diritti fondamentali della persona. E, nel momento in cui ci si occupa del tema del diritto fondamentale all’asilo e al rifugio politico, vale forse la pena di ricordare come il rispetto dell’uomo, della sua centralità e del suo valore, è fondamentale nella logica cristiana; ma è altrettanto essenziale in una logica ed in una prospettiva umana, la quale va sempre più acquistando la consapevolezza che – per la sopravvivenza del nostro mondo – deve essere l’uomo, con i suoi valori, a gestire una nuova globalizzazione dal volto umano, perché altrimenti essa finirà per distruggerlo. Giovanni Maria Flick 8 INTRODUZIONE Che cosa vuol dire promuovere i diritti umani, oggi? Quali sono i diritti umani più violati? Quale può essere il ruolo delle Associazioni di volontariato impegnate a promuovere, tutelare e difendere tali diritti? Come possono queste Associazioni mettersi in rete e collaborare tra loro? Qual è la condizione dei richiedenti asilo e rifugiati in Italia? Sono alcune delle domande a cui sta tentando di dare risposte il progetto “Diritti umani e volontariato” promosso da cinque Associazioni di volontariato: Associazione “Centro Astalli”, Associazione “Progetto Casa Verde”, Associazione “Medici contro la Tortura”, “Casa dei Diritti SocialiFocus”, Associazione “La Ronda della Solidarietà” e realizzato con il contributo dei Centri di servizio per il volontariato del Lazio, Cesv e Spes. Diverse le azioni messe in cantiere: un corso di formazione base e uno specializzato per volontari e cittadini interessati; animazione delle Giornate del Rifugiato 2002 e 2003; un monitoraggio sulla condizione dei richiedenti asilo e rifugiati, con particolare riferimento alla realtà di Roma. In aggiunta a tali attività, le Associazioni proponenti hanno ritenuto di dover promuovere una ricerca giuridica sugli orientamenti giurisprudenziali in materia d’asilo, i cui risultati sono presentati in questo volume. Si tratta di un lavoro che non ha alcuna pretesa di essere esaustivo: rappresenta semplicemente un agile strumento di orientamento, offerto a coloro che ogni giorno sono impegnati nell’accompagnamento socio-legale di richiedenti asilo e rifugiati. La selezione di sentenze contenute nel presente volume intende mostrare i principali interventi giurisprudenziali succedutisi nel corso degli ultimi anni, spesso anche divergenti tra loro, a causa soprattutto della cronica mancanza di una legge quadro in materia, capace di dare piena attuazione alla Convenzione di Ginevra del 1951 e all’articolo 10 comma 3 della Costituzione italiana. I materiali sono suddivisi e presentati in tre sezioni. Il primo capitolo è dedicato alla “natura giuridica dello status di rifugiato e dell’asilo costituzionale e competenza giurisdizionale”; il capitolo secondo si sofferma sui “presupposti dello status di rifugiato e dell’asilo costituzionale e relativi cri9 teri di riconoscimento; il terzo infine propone una raccolta di dispositivi sugli “aspetti formali della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato e loro effetti sostanziali”. In ciascun capitolo i materiali sono preceduti da una breve presentazione che ha lo scopo di mettere in evidenza alcuni dei principi emersi dalla giurisprudenza considerata. All’interno dei singoli paragrafi le sentenze maggiormente rilevanti sono in gran parte riprodotte per intero. Alcune di esse compaiono in più di un paragrafo, scelta resa necessaria dai molteplici aspetti del diritto di asilo presi in considerazione dalle stesse. Il quarto capitolo invece propone una breve indagine su una casistica di dinieghi dello status di rifugiato, ossia gli atti di rigetto della domanda di asilo politico emanati dalla Commissione Centrale per il Riconoscimento dello Status di Rifugiato. L’indagine si sofferma, analizzando un significativo numero di casi, sulle motivazioni che più spesso hanno spinto gli organi competenti a rigettare le domande di asilo. L’auspicio è che questo sussidio possa aggiungersi a quei pochi strumenti che oggi sono a disposizione di coloro che devono districarsi in una materia, la tutela del diritto d’asilo, che oggi in Italia non è certamente semplice. Ma la speranza è soprattutto che il lavoro della ricerca ancora una volta testimoni l’assoluta necessità di una legge quadro non solo sul riconoscimento e la tutela del diritto, ma anche sulle misure concrete di accoglienza, orientamento e integrazione di richiedenti asilo e rifugiati. 10 1. NATURA GIURIDICA DELLO STATUS DI RIFUGIATO E DELL’ASILO COSTITUZIONALE E COMPETENZA GIURISDIZIONALE Il diritto d’asilo è un diritto umano fondamentale. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 prevede, all’art. 14, il diritto di ognuno di “cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni”. La Convenzione di Ginevra sullo Status dei Rifugiati del 28 luglio 1951 – ratificata dall’Italia il 24 luglio 1954 – individua una definizione generale e internazionalmente riconosciuta di rifugiato e dell’insieme dei diritti conseguenti al riconoscimento di tale status. Secondo l’art. 1 della Convenzione il “rifugiato” è colui che “avendo un fondato timore di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o di opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese”. La procedura di riconoscimento dello status di rifugiato in Italia è attualmente disciplinata dall’art. 1 della L. 39/90 (c.d. L. Martelli) come integrato dalla L. 189/02 (c.d. L. Bossi-Fini). Il diritto d’asilo è anche uno dei diritti fondamentali riconosciuti dalla nostra Carta Costituzionale, la quale all’art. 10 comma 3 statuisce che “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. La diversa natura delle disposizioni citate e la non perfetta coincidenza dei presupposti della loro applicazione hanno reso necessari dei profondi interventi interpretativi da parte della giurisprudenza; questa si è riferita in particolare alla natura giuridica delle situazioni soggettive individuate dalle due norme, derivandone principi fondamentali in tema di azionabilità delle stesse in giudizio e di individuazione del giudice competente. Tuttavia, nonostante la risalenza di entrambi gli istituti, tale intervento si è avuto in tempi relativamente recenti, probabilmente anche a causa del contesto di generale disattenzione rispetto ai temi dell’esilio e dell’asilo. 11 La selezione di sentenze contenute nel presente paragrafo intende mostrare i principali interventi giurisprudenziali succedutesi nel corso degli ultimi anni e le divergenze emerse riguardo all’interpretazione dei due istituti; tali divergenze si sono progressivamente attenuate, senza però appianarsi del tutto neanche a seguito dei pronunciamenti delle giurisdizioni superiori. L’evoluzione riguarda innanzitutto il tema della natura del disposto dell’art. 10 comma 3 della Costituzione, con particolare riferimento alla sua precettività e conseguentemente all’individuazione del giudice competente e all’individuazione dei presupposti della sua applicazione. La questione dell’individuazione del giudice naturale è stata parallelamente trattata dalla giurisprudenza con riferimento alla competenza in materia di impugnazione delle decisioni di rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato ex Convenzione di Ginevra. In tempi ravvicinati due importanti decisioni della Suprema Corte – rispettivamente la sentenza n. 4674 del 12 dicembre 199626 maggio 1997 e la sentenza per regolamento di giurisdizione del 8 ottobre 1999 – sono intervenute in maniera determinante rispetto ai due temi citati, stabilendo dei principi guida che, se considerati congiuntamente, contribuiscono efficacemente ad illustrare il quadro dell’attuazione del diritto d’asilo nel nostro ordinamento. La prima delle sentenze citate, emanata dalla Cassazione a Sezioni Unite, interviene una volta per tutte sul menzionato tema della “consistenza” giuridica dell’asilo costituzionale, istituto disciplinato da una norma sulla cui natura – programmatica o, al contrario, precettiva – dottrina e giurisprudenza sono state per lungo tempo divise. La Corte definisce la questione dichiarando il “carattere precettivo e la conseguente immediata operatività della disposizione costituzionale” contenuta nell’art. 10 comma 3 Cost., precisando tuttavia che la normativa ordinaria applicabile al relativo iter di riconoscimento non è quella prevista dall’art. 1 della L. 39/90 (già citata Legge Martelli) che disciplina invece l’accertamento dello status di rifugiato ex Convenzione di Ginevra. La S.C. conclude quindi statuendo che, se è vero che l’art. 10 terzo comma della Costituzione prevede un vero e proprio diritto soggettivo con conseguente giurisdizione del giudice ordinario, dal riconoscimento di tale diritto non discendono tuttavia le prerogative connesse allo status di rifugiato come sancite dalla Convenzione di Ginevra. La posizione dell’“asilante costituzionale” rimane così molto meno definita di quella del rifugiato riconosciuto ai sensi della Convenzione. Se quest’ultimo a seguito del riconoscimento diviene titolare di diritti civili e sociali chiaramente individua12 ti dalla Convenzione stessa, a chi gode dell’asilo costituzionale, secondo la Corte, “null’altro viene garantito se non l’ingresso nello Stato”. La questione rimane aperta, anche se alcune sentenze dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria riportate nel paragrafo sono tornate sull’argomento con interessanti spunti per ulteriori riflessioni. Si veda in particolare la Sentenza del Tribunale di Roma Seconda Sezione del 1 ottobre 1999 che, nel riconoscere l’asilo costituzionale ad Abdullah Ocalan approfondisce minuziosamente i diversi aspetti (storici, giuridici, sociali) dell’istituto. La parte in diritto riportata nelle seguenti pagine (la sentenza compare per intero nel cap. 2) merita una lettura attenta per la completezza dei riferimenti e la chiarezza dell’analisi operata. La seconda rilevante sentenza della Suprema Corte è invece relativa alla questione del giudice competente a conoscere le impugnazioni dei dinieghi del riconoscimento dello status di rifugiato ex Convenzione di Ginevra. Essa conclude il procedimento per regolamento di giurisdizione instaurato da un cittadino della Repubblica Democratica del Congo il quale, avendo impugnato innanzi al TAR il diniego del riconoscimento della propria domanda di asilo politico da parte della competente Commissione interministeriale, in pendenza di tale giudizio chiedeva alla S.C. che venisse dichiarata la competenza del giudice ordinario. L’incertezza nella quale tale vicenda si colloca risulta frutto del vuoto legislativo esistente in materia di competenza giurisdizionale sulle impugnazioni dei dinieghi emessi dalla menzionata Commissione ai sensi dell’art. 1 della L. 39/90. Detto vuoto legislativo era stato prodotto dall’abrogazione, ad opera dell’art. 47 del T.U 286/98, degli artt. 2 e seguenti della L. 39/90; quest’ultima, all’art. 5, attribuiva ai Tribunali Amministrativi Regionali la competenza in materia di impugnazioni dei dinieghi di riconoscimento dello status di rifugiato. Nella sentenza la S.C. prende atto di tale abrogazione, considerandola motivo per determinare la giurisdizione in base ai principi generali dell’ordinamento “secondo i quali tutte le controversie concernenti lo status delle persone rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario”. È quindi con riferimento alla natura di diritto soggettivo dello status di rifugiato – analogamente a quanto accaduto per l’asilo Costituzionale – che la Corte riconosce la competenza del Giudice Ordinario, con tutte le conseguenze derivanti in materia di procedimento, forma dell’atto introduttivo, aspetti probatori, effetti della sentenza. In particolare l’azione del giudice ordinario culmina con un atto dichiarativo, il riconoscimento del preesistente status di rifugiato, e non richiede una rei13 terazione della procedura amministrativa retrostante l’atto impugnato. La sentenza citata segna certamente uno dei principali momenti di svolta della riflessione giuridica in materia di asilo politico; essa, tuttavia, sembra non chiudere definitivamente la questione. Alcune successive sentenze dei giudici amministrativi di seguito riportate – si veda, ad esempio, la sent. del Consiglio di Stato n. 6710 del 27 ottobre 2000 – continuano ad affermare la giurisdizione del giudice amministrativo. Secondo l’interpretazione espressa dal Consiglio di Stato nella sentenza citata l’abrogazione del citato art. 5 della L. Martelli “non comporta, in mancanza di un’apposita diversa disposizione normativa l’automatico passaggio di tali controversie al giudice ordinario” ma impone un riferimento ai principi dell’ordinamento, i quali individuerebbero come giudice naturale in subiecta materia il giudice amministrativo. Impostazione, questa, recepita da alcuni TAR, si veda ad esempio la sentenza del TAR Liguria n. 1045 del 28 ottobre 2002, nell’ambito della quale si ribadisce la competenza del giudice amministrativo, affermando che il Collegio “non ignora il diverso indirizzo delle Sezioni Unite della Cassazione Civile (…). Tuttavia tale giurisprudenza non appare condivisibile…”. Consiglio di Stato Sez. IV, sent. n. 133 del 14 febbraio 1994 Massima In sede di distribuzione territoriale di competenza nel giudizio amministrativo, vige una speciale norma di legge nel contenzioso in tema di trattamento degli extracomunitari: infatti, secondo l’art. 5 del D.L. 30 dicembre 1989 n. 416, commi secondo e terzo, nel testo di cui alla legge di conversione 28 febbraio 1990 n. 39, contro i provvedimenti di diniego di riconoscimento della status di rifugiato, di espulsione dal territorio dello Stato e di diniego e revoca del permesso di soggiorno è competente il Tribunale Amministrativo Regionale del luogo di domicilio eletto dall’interessato, anche quando l’autorità che emette il provvedimento abbia competenza generale e pur scontando che i decreti sul soggiorno hanno tendenzialmente effetti su tutto il territorio nazionale. 14 Corte di Cassazione – Sez. Unite civili – Sent. n. 4674 del 12 dicembre 1996-26 maggio 1997 (omissis) Le controversie che riguardano il diritto di asilo, di cui al comma 3 dell’articolo 10 della Costituzione, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di un diritto soggettivo al quale non è applicabile la disciplina sullo status di rifugiato (D.L. 416/1989, convertito dalla legge 39/1990), la quale, invece, espressamente prevede la giurisdizione del giudice amministrativo. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto notificato il 26 marzo 1992 (...), cittadino liberiano, conveniva davanti al Tribunale di Roma il Ministero dell’Interno, chiedendo che venisse accertato che, essendogli stato impedito nel suo paese d’origine l’effettivo esercizio delle libertà democratiche, aveva diritto di asilo in Italia, ai sensi dell’art 10, terzo comma, della Costituzione. Nel corso del giudizio in tal modo instauratosi l’Avvocatura Generale dello Stato eccepiva a difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in relazione alla domanda proposta da (...), in quanto in materia di riconoscimento dello status di rifugiato, l’art. 5, secondo comma, del D.L. 30 dicembre 1989 n. 416, modificato in sede di conversione dalla legge 28 febbraio 1990 n. 39, prevede espressamente la giurisdizione del giudice amministrativo. (...) ha proposto ricorso per regolamento di giurisdizione, chiedendo che venga affermata la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alla domanda proposta, in quanto la stessa ha ad oggetto il riconoscimento del diritto di asilo di cui all’art. 10, terzo comma, Cost., e non il riconoscimento dello status di rifugiato politico ai sensi della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, alla quale fanno riferimento le disposizioni contenute nel D.L 30 dicembre 1989 n. 416, convertito nella legge 28 febbraio 1990 n. 39. L’Avvocatura Generale dello Stato non ha svolto attività difensiva in questa sede. MOTIVI DELLA DECISIONE Nonostante alcune ormai lontane pronunce di segno contrario da parte della giurisprudenza amministrativa, secondo l’opinione attualmente pressoché pacifica l’art. 10, terzo comma, Cost. attribuisce direttamente allo straniero il quale si trovi nella situazione descritta da tale norma un vero e proprio diritto soggettivo all’ottenimento dell’asilo, anche in mancanza di una legge che, del diritto stesso, specifichi le condizioni di esercizio e le modalità di godimento. 15 Come è stato osservato in dottrina, a carattere precettivo e la conseguente immediata operatività della disposizione costituzionale sono da ricondurre al fatto che essa, seppure in una parte necessita di disposizioni legislative di attuazione, delinea con sufficiente chiarezza e precisione la fattispecie che fa sorgere in capo allo straniero il diritto di asilo, individuando nell’impedimento all’esercizio delle libertà democratiche la causa di giustificazione del diritto ed indicando l’effettività quale criterio di accertamento della situazione ipotizzata. Ciò posto, sorge a problema se, in mancanza di una specifica normativa di attuazione del precetto dell’art. 10, terzo comma, Cost., la normativa che disciplina il riconoscimento dello status di rifugiato politico sia applicabile anche in tema di riconoscimento del diritto di asilo. Ad avviso del collegio la risposta deve essere negativa. Il precetto costituzionale e la normativa sui rifugiati politici, infatti, non coincidono dal punto di vista soggettivo, perché la categoria dei rifugiati politici è meno ampia di quella degli aventi diritto all’asilo, in quanto la citata Convenzione di Ginevra prevede quale fattore determinante per la individuazione del rifugiato, se non la persecuzione in concreto, un fondato timore di essere perseguitato, cioè un requisito che non è considerato necessario dall’art. 10, terzo comma, Cost. In secondo luogo, tale Convenzione non prevede un vero e proprio diritto di asilo in favore dei rifugiati politici. Né si potrebbe invocare una incongruenza del sistema, consistente nel riconoscimento di un trattamento di maggior favore nei confronti di coloro ai quali viene semplicemente impedito nel loro paese d’origine l’esercizio delle libertà democratiche rispetto a coloro i quali hanno quantomeno fondato timore di essere perseguitati per le loro idee politiche. L’incongruenza è, infatti, soltanto apparente. In mancanza di una legge di attuazione del precetto di cui al l’art. 10, terzo comma, Cost., infatti, allo straniero il quale chiede il diritto di asilo null’altro viene garantito se non l’ingresso nello Stato, mentre il rifugiato politico, ove riconosciuto tale, viene a godere, in base alla Convenzione di Ginevra, di uno status di particolare favore. Chiarito ciò in linea generale, è da escludere che, in particolare, il D.L. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito nella legge 28 febbraio 1990 n. 39, contenga una normativa di attuazione dell’art. 10, terzo comma, Cost. A nulla varrebbe, innanzitutto, in senso contrario, invocare il fatto che nel “titolo” venga menzionato l’asilo politico, in quanto anche con riferimento ai rifugiati nel preambolo della Convenzione di Ginevra si parla di “droit d’asile”. È significativo, invece, il fatto che nel provvedimento legislativo in questione non venga menzionato l’art. 10, terzo comma, Cost., mentre vi 16 è un esplicito riferimento alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e i destinatari della normativa dettata dall’art. 1 vengono ripetutamente individuati in coloro che intendono ottenere il riconoscimento dello status o qualifica di rifugiato. Alla luce di quanto esposto il collegio non può non ritenere manifestamente infondata ed irrilevante ai fini della giurisdizione la questione, sollevata dal P.M. nella udienza di discussione, di “costituzionalità dell’art. 1 decreto legge 416/89 convertito in legge 39/90 per contrasto con l’art. 10 della Costituzione nella parte in cui, nel determinare le condizioni per le concreta applicazione del diritto di asilo restringe il novero dei soggetti del diritto stesso a coloro che hanno lo status di rifugiato”. Come già detto, infatti, l’art. 1, cit., non disciplina il diritto di asilo di cui all’art. 10, terzo comma, Cost. A ciò va aggiunto che la questione, così come prospettata, parte da una interpretazione dell’art 1, cit., che non sembra corretta. La norma in questione, infatti, non presuppone il godimento dello status di rifugiato ai fini della concessione del diritto di asilo, ma si limita a porre delle limitazioni alla possibilità di chiedere il riconoscimento di tale status (da parte di chi evidentemente non ne sia già in possesso) e disciplina la procedura da seguire per ottenere tale riconoscimento. In definitiva, quindi, poiché, l’art. 10, terzo comma, Cost. prevede un diritto soggettivo al quale non è applicabile la normativa che disciplina lo status di rifugiato, ne consegue che le controversie che riguardano il riconoscimento di tale diritto rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria. Nessun provvedimento va emesso per quanto riguarda le spese, non avendo il Ministero dell’Interno svolto attività difensiva in questa sede. P.Q.M. La Corte dichiara la giurisdizione del giudice ordinario. 17 Corte di Cassazione, Sez. Unite civili, sent. del 08 ottobre 1999 (omissis) SENTENZA sul ricorso proposto da: (...) -ricorrenteCONTRO Ministero dell’Interno, commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato; (omissis) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO omissis, nato il (...) a Kinshasa, capitale dello Zaire, ora Repubblica Democratica del Congo, assumendo che dopo il colpo di Stato che ha deposto Mobuto e insediato Kabila, per sfuggire alle rappresaglie dei nuovi vincitori che gli hanno ucciso i genitori, è stato costretto a rimanere chiuso in una cantina per sei mesi ed a fuggire poi in Italia il (...), ha chiesto il riconoscimento di rifugiato politico, non potendo più vivere nel Congo, perché sostenitore del precedente regime. La Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato, costituita presso il Ministero dell’Interno, con provvedimento del 18.6.1998, ha negato la qualifica richiesta. Il diniego è stato impugnato, con ricorso al T.A.R. del Lazio, notificato in data 3.10.1998. In pendenza del relativo giudizio davanti al giudice amministrativo, lo stesso (...) ha proposto istanza di regolamento di giurisdizione, con atto del 9.4.1999, chiedendo che sia dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario. MOTIVI DELLA DECISIONE L’istanza è fondata. La disposizione dell’art. 5 del d.l. 30.12.1989 n. 416, convertito, con modificazioni, nella legge 28.2.1990, n. 39, che attribuiva al giudice amministrativo la decisione dell’impugnazione del provvedimento di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, è stata espressamente abrogata, ancora prima dell’adozione del provvedimento impugnato e quindi della proposizione del ricorso innanzi al T.A.R. Lazio. Trattasi di abrogazione espressa, contenuta nell’art. 46 della legge 6 marzo 1998, n. 40 e confermata dall’art. 47 del Testo unico di cui al d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286. Ne consegue che la giurisdizione deve essere determinata in base ai principi generali dell’ordinamento, secondo i quali tutte le controver18 sie concernenti lo status delle persone rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario. La qualifica di rifugiato politico, secondo le previsioni della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, che garantisce ad ogni rifugiato il libero e facile accesso ai tribunali nel territorio degli stati contraenti, con conseguente sostanziale parificazione del rifugiato al cittadino ai fini della delibazione relativa alla sussistenza della giurisdizione, costituisce come quella di avente diritto all’asilo — dalla quale si distingue, perché richiede, quale fattore determinante, un fondato timore di essere perseguitato, cioè un requisito che non è considerato necessario dall’art. 10, 3º comma, Cost. — uno status, un diritto soggettivo, con la conseguenza che tutti i provvedimenti, assunti dagli organi competenti in materia, hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva, per cui le controversie riguardanti il riconoscimento del diritto di asilo o la posizione di rifugiato rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria (Cass., sez. un., 26.5.1997, n. 4674). Un’ulteriore conferma si evince dall’art. 11 l. 6.3.1998, n. 40, confluito nell’art. 13 del T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con d.lgs. 25.7.1998, n. 286 che, nel regolare l’espulsione amministrativa dello straniero, ha previsto la cognizione camerale del Pretore sulle impugnazioni avverso le misure di espulsione. A differenza del preesistente regime, contenuto negli artt. 2 e ss. del d.l. 416 del 1989, convertito in legge 28 febbraio 1990 n. 39, abrogati dall’art. 46, lett. e) della legge n. 40/98, che prevedeva la “giustiziabilità” innanzi al T.A.R. di tutti i provvedimenti di espulsione, in modo da delineare un sistema di controlli del tutto interno alla giurisdizione amministrativa, nel nuovo sistema è stato mantenuto il sindacato della giurisdizione amministrativa del T.A.R. del Lazio in relazione alla valutazione della sola legittimità dell’espulsione disposta dal Ministro per ragioni di ordine pubblico o sicurezza (comma primo), mentre il sindacato sulla validità dell’espulsione disposta dal Prefetto nei casi di cui alle lettere a), b), c) del comma secondo è stato affidato in via esclusiva al Pretore (Cass. sez. I, 9.2.1999 n. 1082). Alla stregua delle esposte considerazioni, va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario. Le spese dell’intero processo meritano di essere compensate, attesa la novità della questione. P.Q.M. La Corte dichiara la giurisdizione del giudice ordinario. Compensa le spese dell’intero processo. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle sezioni unite civili della Corte di cassazione, addì 8.10.1999 19 Consiglio di Stato Sez. IV sent. n. 6710 del 27 ottobre 2000 (omissis) DECISIONE sul ricorso in appello iscritto al NRG 4097 dell’anno 2000 proposto dal MINISTERO DELL’INTERNO (COMMISSIONE CENTRALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLO STATUS DI RIFUGIATO), in persona del ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia ope legis in Roma, via dei Portoghesi 12; CONTRO (...), in proprio e quale legale rappresentante dei figli minori […], […], […] e […], non costituito in giudizio; per l’annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, prima sezione, n. 2424 del 28 giugno 1999; (omissis) Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: Lombardia, denunciandone l’illegittimità per carenza di istruttoria, errata valutazione dei presupposti di fatto e carenza di motivazione. L’adito Tribunale, con la sentenza segnata in epigrafe, ha accolto il ricorso ed annullato l’atto impugnato, ritenendo fondate le censure mosse dal ricorrente, in quanto le informazioni acquisite dall’Ambasciata Italiana di Luanda, sulla base delle quali la Commissione aveva respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, erano state acriticamente recepite, senza svolgere gli opportuni e necessari ulteriori riscontri, anche in considerazione della documentazione esibita dall’interessato. Con atto notificato il 13 aprile 2000 il Ministero dell’Interno ha interposto appello avverso tale sentenza, contestando che sussistesse un onere di ulteriore attività istruttoria rispetto a quella già espletata, non essendovi alcun elemento che facesse dubitare della correttezza, completezza e genuinità delle notizie acquisite attraverso l’Ambasciata Italiana. L’appellato non si è costituito in giudizio. All’udienza del 27 ottobre 2000 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO FATTO (...), cittadino angolano entrato in Italia il (...) attraverso la frontiera aerea di Milano Linate insieme ai propri figli […], […], […], e […], chiedeva il riconoscimento dello status di rifugiato politico, adducendo di essere di etnia Bakongo, di far parte del movimento politico clandestino Mako (che persegue l’autodeterminazione del Kongo) e di essere stato anche arrestato dalle autorità governative e detenuto tra il (...) ed il (...), in quanto sospettato di aver organizzato una manifestazione clandestina in occasione della ricorrenza del massacro dei Bakongo avvenuto il 22 gennaio 1992. La Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, all’esito dell’istruttoria svolta, ed in particolare sulla base delle notizie fornite dall’Ambasciata d’Italia a Luanda, con decisione del 5 dicembre 1996, respingeva la domanda ritenendola infondata, sia perché l’etnia Bakongo risultava integrata nella vita politica e sociale dell’Angola, tanto che suoi esponenti rivestivano anche importanti cariche governative; sia perché non aveva trovato conferma l’asserita esistenza del movimento politico Mako e perché non era stata raggiunta la prova delle dedotte persecuzioni; del resto, secondo la Commissione centrale, l’Angola era un paese retto da un governo legittimamente eletto, pluripartitico e multirazziale. Avverso tale diniego (...), in proprio e nella qualità segnata in epigrafe, ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale della 20 I. La questione portata all’esame del Collegio concerne la legittimità della decisione del 5 dicembre 1996 della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato che ha respinto la domanda a tal fine proposta da (...). Il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sezione prima, con la sentenza n. 2424 del 28 giugno 1999, su ricorso dell’interessato, ha annullato il predetto diniego, ritenendolo affetto da carenza di istruttoria, come lamentato dal ricorrente: ciò in quanto l’Amministrazione non avrebbe dovuto limitarsi a prendere atto delle notizie fornite dall’Ambasciata Italiana a Luanda, ma avrebbe dovute vagliarle criticamente, anche alla stregua della documentazione esibita dall’interessato. L’Amministrazione dell’Interno, per contro, con l’appello in esame sostiene di aver correttamente respinto la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato avanzata da (...) proprio sulla base delle notizie acquisite dall’Ambasciata Italiana a Luanda, non essendo emerso alcun motivo per dubitare della affidabilità, correttezza e genuinità delle stesse. II. Al riguardo il Collegio osserva quanto segue. II.1. In via preliminare, la mancata costituzione in giudizio dell’appellato, impone al Collegio la verifica della corretta instaurazione del contraddittorio. Sul punto deve darsi atto della ritualità della notifica dell’atto di 21 appello, fatta – come risulta dagli atti di causa – alla parte appellata presso il suo difensore costituito in primo grado al domicilio eletto, mediante consegna di cinque copie conformi: ciò in quanto (...) ha agito in proprio e quale legale rappresentante di quattro figli minori. Il gravame, inoltre, è tempestivo, non trovando applicazione alla controversia in esame la dimidiazione dei termini processuali, prevista dall’art. 5, commi 2 e 5, del D.L. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990 n. 39, espressamente abrogato dall’art. 46 della legge 6 marzo 1998 n. 40: del resto non vi è alcuna disposizione di legge che rende ultrattiva la disciplina processuale abrogata per i provvedimenti amministrativi relativi al riconoscimento dello status di rifugiato emanati nella vigenza della stessa. II.2. Ad avviso del Collegio, poi, le questioni relative al riconoscimento dello status di rifugiato politico rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo. Infatti, l’abrogazione per effetto dell’art. 46 della legge 6 marzo 1998 n. 40 del già ricordato art. 5, comma 2, del D.L. n. 416 del 1989, che attribuiva espressamente al giudice amministrativo la cognizione dei provvedimenti di diniego dello status di rifugiato, non comporta, in mancanza di un’apposita diversa disposizione normativa, l’automatico passaggio di tali controversie al giudice ordinario, ma impone al contrario di individuare l’autorità giudiziaria competente sulla base dei principi generali circa il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo. È noto al riguardo che la giurisdizione si determina sulla base della domanda e, ai fini del suo riparto tra giudice ordinario e amministrativo, non rileva la prospettazione delle parti, bensì il c.d. petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice stesso con riguardo alla sostanziale protezione accordata in astratto a quest’ultima dal diritto positivo (Cass. SS.UU., 21 dicembre 1999 n. 915; 5 dicembre 1995, n. 12523; C.d.S., sez. V, 5 giugno 1997 n. 592). La decisione della Commissione Centrale di concedere o meno lo status di rifugiato politico non consegue automaticamente al riscontro dell’esistenza o meno di determinati presupposti di fatto, ma implica l’esercizio di un ampio potere discrezionale di valutazione e di apprezzamento dei fatti stessi: infatti è stato precisato (C.d.S., sez. IV, 10 marzo 1998 n. 408) che ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato non è sufficiente la mera generica gravità della situazione politico – sociale ovvero la mancanza dell’esercizio delle libertà democratiche, dovendo per contro valutarsi ed apprezzarsi se le condizioni oggettive in cui versa il paese, puntualmente accertate, in rapporto alla specifica situazione del 22 soggetto richiedente, siano tali da far ritenere ragionevole l’esistenza di un grave pericolo per l’incolumità della persona. La scelta della Commissione Centrale circa la concedibilità o meno dello status di rifugiato, che deve perciò essere puntualmente e adeguatamente motivata, implica l’esercizio di un potere di valutazione della complessiva situazione denunciata dallo straniero al fine di stabilire se, secondo l’id quod plerumque accidit, sussista effettivamente il suo fondato timore di essere perseguitato nel paese di origine con pericolo attuale di vita, e non si sostanzia nel mero accertamento di fatti: rispetto a un siffatto potere la posizione giuridica vantata dall’interessato non può che essere di interesse legittimo. Del resto lo status di rifugiato politico si differenzia ontologicamente dal diritto di asilo, previsto dall’art. 10, 3º comma cost., il quale, oltre a comportare per l’interessato minori benefici, postula proprio il mero accertamento della presenza di una situazione di mancanza di libertà democratiche nel paese di origine (C.d.S., IVª, 10 marzo 1998 n. 405; 12 gennaio 1999 n. 11) e fonda quindi l’esistenza di una posizione di diritto soggettivo perfetto. Per completezza sul punto deve poi sottolinearsi che non è stato giammai messo in dubbio che la previsione contenuta nell’art. 5 del D.L. n. 416 del 1989, convertito con modificazioni dalla legge n. 39 del 1990, non costituiva un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sui provvedimenti di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato. Sussiste quindi la giurisdizione del giudice amministrativo. ……….omissis……… III. In conclusione l’appello va accolto e, in riforma dell’impugnata sentenza, deve essere respinto il ricorso proposto in primo grado da (...). Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta) accoglie l’appello proposto dal Ministero dell’Interno (Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato) e per l’effetto, in riforma della sentenza n. 2424 del 28 giugno 1999 del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sezione prima, respinge il ricorso proposto da (...), in proprio e nella qualità in atti, avverso il provvedimento di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato. Spese compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa. 23 Tribunale di Roma - 2ª sez. Civile sent. 1 ottobre 1999 – est. De Fiore Nel procedimento (omissis) tra Abdullah Ocalan (omissis) e Presidenza del Consiglio dei Ministri (omissis) e Ministero dell’Interno (omissis) Oggetto: riconoscimento del diritto di asilo politico. (omissis) Si costituivano la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’Interno sostenendo: a) l’inammissibilità della domanda per difetto di giurisdizione in difetto di normativa di attuazione; b) l’inammissibilità della domanda per difetto di collegamento territoriale con lo Stato Italiano; c) in subordine, l’infondatezza nel merito della domanda. Nel procedimento interveniva ex art. 70 c.p.c. il P.M. presso il Tribunale chiedendo in via principale la declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice ordinario ed, in via subordinata, il rigetto della domanda attrice per difetto del requisito essenziale della permanenza nel territorio italiano per avere l’Ocalan abbandonato volontariamente il nostro Paese. (omissis) La norma costituzionale – ad avviso del giudicante che aderisce all’orientamento espresso dalla S.C. nella sentenza a Sez. Unite del 12 dicembre 1996 - 26 maggio 1997 n. 4674 nonché alle opinioni espresse dalla migliore dottrina – ha un indubbio nucleo precettivo; infatti essa è di per sé idonea a regolare gli aspetti salienti dell’istituto quanto ai presupposti e al contenuto e, d’altra parte, contiene una precisa delimitazione dei poteri delle leggi ordinarie che, in una prospettiva futura, dovranno disciplinare le condizioni di esercizio del diritto di asilo (la norma costituzionale pone certamente un divieto, ad esempio, alla limitazione del beneficio agli appartenenti di determinati paesi; ovvero alla ottemperanza di condizioni formali da parte dell’esitante ovvero, ancora, alla previsione di requisiti e situazioni soggettive diverse ed ulteriori rispetto a quanto previsto dal dettato costituzionale). Il diritto di asilo si configura, quindi, come un diritto soggettivo perfetto che sorge in capo allo straniero allorché venga accertato l’impedimento nel Paese di origine all’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana (art. 10, 3 co. Costituzione). Né può obiettarsi che tale accertamento “senza il filtro di una normativa di attuazione” esula dai poteri del giudice, perché affidare al giudice la valutazione sulla “democraticità” di un ordinamento straniero si24 gnificherebbe accettare ipotesi di responsabilità internazionale dello Stato Italiano per attività del suo potere giudiziario. Invero, in nessun caso, al di fuori della violazione delle limitazioni risultanti da accordi internazionali, la concessione dell’asilo può concretare di per sé un illecito da parte dello Stato il quale – nell’esercizio della sua sovranità – tale diritto ritenga di riconoscere allo straniero. Inoltre occorre considerare che la legge ordinaria non può modificare il presupposto a cui il dettato costituzionale subordina il sorgere del diritto di asilo né, tantomeno, diversamente condizionarlo. In sostanza al giudice, che sia chiamato a decidere sulla domanda di asilo dello straniero, sarà indefettibilmente sottoposta, anche se intervenuta un’organica disciplina del disposto costituzionale, la valutazione circa la effettiva democraticità dell’ordinamento giuridico della Patria dell’asilante. Del resto una valutazione, analoga quanto a portata politica anche se affatto diversa per il contenuto, è quella demandata al Giudice investito della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi del dl n. 416/1989 (giudice amministrativo quantomeno nel vigore dell’art. 5, 2 co. Legge di conversione, peraltro abrogato dall’art. 46 Legge n. 40/1998 e dall’art. 47 d.lgs. n. 286/96). Tale diritto, infatti, sorge allorché, ai sensi dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951, lo straniero “ritenga a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche”. Si tratta, quindi, di due diritti (quello vantato dal richiedente il rifugio e quello dell’asilante) diversi per presupposti (vedi sent. Cass. Sez. Un. cit.) sicché le due categorie – definite, peraltro, un criterio puramente concettuale dalla Costituzione e con un diverso criterio attinente ad una specifica situazione personale dalla Convenzione – non coincidono (né può oscurare tale distinzione la confusione terminologica in cui spesso le Convenzioni internazionali e le leggi che le rendono esecutive incorrono). Le due situazioni soggettive si diversificano, inoltre sotto il profilo della fonte giuridica da cui scaturiscono: il diritto al rifugio ha origine da una norma convenzionale internazionale, il diritto all’asilo da una previsione costituzionale che, con una scelta politica precisa, ha inteso porre non già una enfatica dichiarazione di principio, bensì un preciso precetto giuridico. Che tale distinzione sia insita ed accettata nel nostro sistema giuridico è, poi, ulteriormente provato dal fatto che nel disegno di legge inteso a disciplinare la materia, attualmente all’esame del Senato, esso è riprodotto. In comune i due istituti hanno senza dubbio l’origine storica ed il carattere umanitario e solidaristico che li ispirano, caratteristica vieppiù accentuata per il diritto di asilo consacrato in una norma costituzionale. (omissis) 25 P.Q.M. pronunciando sulla domanda proposta da Abdullah Ocalan (omissis) cosi provvede: a) dichiara l’ammissibilità dell’intervento dell’Associazione Studi Giuridici sull’immigrazione, dell’Associazione Giuristi Democratici di Torino e del Consiglio Italiano per i Rifugiati; b) dichiara l’inammissibilità dell’intervento dell’Associazione Tutela e Sostegno per le famiglie delle vittime del Pkk; c) dichiara il diritto dell’attore all’asilo politico in Italia ai sensi dell’art. 10, 3 co. della Costituzione; d) condanna la Presidenza del Consiglio ed il Ministero dell’interno in solido al pagamento in favore dell’attore delle spese processuali omissis; e) condanna, inoltre, la Presidenza del Consiglio ed il Ministero dell’interno in solido al pagamento in favore dell’Asgi, dell’Ass. Giuristi Democratici di Torino e del CIR Onlus, delle spese processuali ; (omissis) ◆ Tribunale di Bologna ordinanza del 5.9.2001 - est. Palumbi A scioglimento della riserva di cui al verbale 30.8.2001, osserva quanto segue. L’intera materia dello status di rifugiato politico e dell’asilo politico da intendersi ora appartenente alla giurisdizione del G.O. (“La qualifica di rifugiato politico ai sensi della convenzione di Ginevra del 29 luglio 1951 costituisce, come quella di avente diritto all’asilo (dalla quale si distingue perché richiede quale fattore determinante un fondato timore di essere perseguitato, cioè un requisito non richiesto dall’art. 10, co. 3, cost.), una figura giuridica riconducibile alla categoria degli “status” e dei diritti soggettivi, con la conseguenza che, tutti i provvedimenti assunti dai competenti organi in materia hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva, e le controversie riguardanti il riconoscimento della posizione del rifugiato (così come quelle del riconoscimento del diritto di asilo) rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, una volta espressamente abrogato dall’art. 46 della legge n. 40 del 1998, l’art. 5 del d.l. n. 416 del 1989, convertito con modificazioni dalla legge n. 39 del 1990 (abrogazione confermata dall’art. 47 del d.lgs. n. 286 del 1998 - Testo unico sull’immigrazione e la condizione dello straniero), 26 che attribuiva al giudice amministrativo la competenza per l’impugnazione del provvedimento di diniego dello status di rifugiato”: Cass. S.U. sent. n. 907 del 17.12.1999). Da ciò discende necessariamente la sussistenza del potere dell’A.G.O. di conoscere anche tutte le domande cautelari legate da vincolo di strumentalità delle controversie relative al riconoscimento dello status di rifugiato politico o del diritto di asilo. Certamente è da riconoscere tale vincolo all’istanza volta a conseguire, dopo il diniego del questore, il permesso di soggiorno temporaneo previsto “per richiesta di asilo, per la durata della procedura occorrente, e per asilo” dall’art. 11, comma 1, lett. a) del d.p.r. n. 349/99: la ratio della norma risponde, come è evidente, all’esigenza di assicurare allo straniero il libero ed effettivo esercizio del diritto di promuovere e coltivare dinanzi al G.O. il giudizio per il riconoscimento dello status di rifugiato politico ovvero del diritto d’asilo. Deve, pertanto, disattendersi l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalle parti convenute in merito all’ordine di rilascio del permesso di soggiorno di cui si discute. Quanto all’ammissibilità della istanza cautelare in esame sotto il profilo – rilevabile d’ufficio – di cui all’art. 100 c.p.c. il rigetto dell’istanza presentata al questore di Bologna rende attuale e concreto l’interesse in parola e, quindi, ammissibile il ricorso. Nel merito, ritiene questo giudice che l’oggettiva ed incontrovertibile pendenza di un giudizio di cognizione ordinaria avente ad oggetto la controversia sul diritto all’asilo costituisca il presupposto necessario e sufficiente per il rilascio al sig. [...] di un permesso di soggiorno temporaneo valido fino alla definizione del giudizio di merito, pendente il quale è stato presentato ricorso in esame. P.Q.M. in accoglimento del ricorso, dispone il rilascio da parte della questura di Bologna in favore del ricorrente di un permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 11, co. 1, lett. a) del d.p.r. n. 349/99, valido sino alla definizione del giudizio di merito di cui al procedirnento iscritto al n. [...] al Tribunale civile di Bologna. 27 Tribunale di Torino sentenza n. 8178 del 6 ottobre 2001 - est. Vitrò Nella causa civile iscritta al n. R.G. 6944/2000 promossa da [...] contro Presidenza del Consiglio dei ministri, [...], nonché amministrazione dell’interno. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato in data 23.6.2000 il sig. [...] cittadino camerunense, conveniva in giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri e l’amministrazione dell’interno. L’attore riferiva: – che nel mese di ottobre 1999 egli era stato costretto a fuggire dal suo paese, dove gli era impedito di esercitare i suoi diritti a causa della sua militanza in un partito di opposizione, il Social Democratic Front (SDF); – che le organizzazioni non governative come Amnesty International avevano spesso avuto motivo di censurare gravemente la situazione dei diritti umani nel Camerun, violati dalle autorità governative; – che, in particolare, nel corso del 1997, dette autorità avevano attuato gravissime forme di repressione nei confronti degli oppositori politici, che molti oppositori erano stati arrestati e processati senza rispetto dei diritti di difesa, che anche il sig. [...] era stato arrestato – solo per la partecipazione ad un movimento studentesco per la rivendicazione dei diritti degli studenti e della democrazia nel paese –, che il medesimo era stato tenuto in carcere dall’aprile 1997 all’ottobre 1999, era stato sottoposto a torture fisiche e psichiche ed era stato privato delle possibilità di difesa, che nell’ottobre 1999, egli, tramite l’aiuto di un parente poliziotto, era riuscito a fuggire dal carcere e ad imbarcarsi su di un volo diretto a Parigi e che, poi, si era trasferito in Italia, temendo di poter essere estradato in Camerun dalla Francia, paese particolarmente legato al Camerun. A questo punto l’attore chiedeva: – che fosse accertato il suo diritto all’asilo nel territorio della Repubblica italiana, art. 10, co. 3, della Costituzione – e che, inoltre, fosse conseguentemente dichiarato l’obbligo delle amministrazioni convenute di concedergli un permesso di soggiorno in Italia a tempo indeterminato. E sosteneva: – che l’art. 10, co. 3, della Costituzione era disposizione immediatamente precettiva, immediatamente applicabile dal giudice ordinario, e che l’istituto dell’asilo costituzionale aveva natura di diritto soggettivo; – che vi era diversità tra lo status di rifugiati, previsto dalla legge n. 772 del 24.7.1954 (di ratifica della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951) e dalla legge n. 39 del 28.2.1990, e del diritto di asilo ex art. 10 28 Cost., con esclusione, pertanto, della procedura amministrativa prevista per lo status di rifugiati; – che non vi era dubbio che al sig. [...] non fosse consentito, nel suo paese d’origine, l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana. Le convenute amministrazioni, costituitesi con comparsa del 13.11.2000, contestavano le domande attoree, eccependo: – in via pregiudiziale l’inammissibilità delle domande per difetto di interesse, in particolare per carenza di interesse ad agire, mancando contestazione del diritto vantato per carenza di interesse ad un provvedimento sul merito, per carenza di interesse in relazione al contenuto della domanda (non apparendo potervi essere un miglioramento della situazione del [...] attraverso la proposta azione giudiziale); – in subordine, il difetto assoluto di giurisdizione del tribunale adito (non potendo il giudice applicare direttamente il dettato costituzionale di cui all’art. 10, co. 3, Cost.) ed anche il difetto relativo di giurisdizione in relazione al petitum sostanziale di richiesta di permesso di soggiorno a tempo indeterminato; – in via preliminare, il difetto di legittimazione passiva della amministrazioni convenute; – l’infondatezza, comunque, nel merito, delle domande attoree. Nel corso del giudizio il G.I., con ordinanza del 4.5.2001, respingeva le istanze di prove orali e di c.t.u. avanzate dall’attore, non ritenendole rilevanti ai fini della decisione della causa e, comunque, osservando che le convenute avevano dichiarato di non contestare le circostanze di fatto indicate dall’attore. All’udienza del 30.5.2001 le parti precisavano le conclusioni, richiamando quelle di cui all’atto di citazione e alla comparsa di risposta. Il G.I. tratteneva la causa a decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE L’attore, in primo luogo, chiede l’accertamento del diritto all’asilo nel territorio della Repubblica italiana, ai sensi dell’art. 10, co. 3, Cost.; 1.1. Innanzitutto, va respinta l’eccezione, sollevata dalle parti convenute, di difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito. In particolare, si osserva che, dalla giurisprudenza e dalla dottrina, viene ormai ritenuto che l’art. 10, co. 3, Cost. (lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese, l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”) abbia un contenuto immediatamente precettivo. In tal senso si veda, per es., la motivazione della sentenza Cass. civ., sez. un., 26.5.1997 n. 4674: – “nonostante alcune ormai lontane pronunce di segno contrario 29 da parte della giurisprudenza amministrativa, secondo l’opinione attualmente pressoché pacifica l’art. 10, co. 3, Cost. attribuisce direttamente allo straniero, il quale si trovi nella situazione descritta da tale norma, un vero e proprio diritto soggettivo all’ottenimento dell’asilo, anche in mancanza di una legge che, del diritto stesso, specifichi le condizioni di esercizio e le modalità di godimento. Come è stato osservato in dottrina, il carattere precettivo e la conseguente immediata operatività della disposizione costituzionale sono da ricondurre al fatto che essa, seppure in una parte necessita di disposizioni legislative di attuazione, delinea con sufficiente chiarezza e precisione, la fattispecie che fa sorgere in capo allo straniero il diritto di asilo, individuando nell’impedimento all’esercizio delle libertà democratiche la causa di giustificazione del diritto ed indicando l’effettività quale criterio di accertamento della situazione ipotizzata. Ciò posto, sorge il problema se, in mancanza di una specifica normativa di attuazione del precetto dell’art. 10, co. 3 Cost., la normativa che disciplina il riconoscimento dello status di rifugiato politico sia applicabile anche in tema di riconoscimento del diritto di asilo. Ad avviso del collegio la risposta deve essere negativa. In definitiva, le controversie che riguardano il diritto di asilo, di cui all’art. 10, co. 3, Cost. rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di un diritto soggettivo al quale non è applicabile la disciplina dello status di rifugiato (decreto legge 30.12.1989 n. 416, conv. nella legge 29.2.190 n. 39), la quale invece espressamente prevede la giurisdizione del giudice amministrativo”. Circa il contenuto immediatamente precettivo del citato art. 10, co. 3, Cost. si veda anche: – trib. Roma 1.10.1999 (caso Ocalan): “ai sensi dell’art. 10, co. 3, Cost. il diritto di asilo si configura come un diritto soggettivo perfetto che sorge in capo allo straniero allorché venga accertato l’impedimento nel paese di origine all’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana. Tale situazione soggettiva è diversa, per presupposti e per fonte giuridica, da quella del rifugiato”; – trib. Roma 27.9.1999 (sempre caso Ocalan): “il disposto dell’art. 10, co. 3, Cost. ha carattere immediatamente precettivo e comporta un diritto soggettivo perfetto in capo a chi dimostri di trovarsi nelle condizioni previste, il quale può chiederne l’accertamento al giudice ordinario”. Circa la differenza tra status di rifugiato e diritto di asilo ex art. 10 Cost. si veda anche, per es.: T.A.R. Friuli Venezia Giulia 18.12.1991 n. 531; T.A.R. Friuli Venezia Giulia 23.1.1992 n. 15. Pertanto va sicuramente riconosciuta la sussistenza della giurisdizione dell’a.g.o. in ordine alla richiesta di riconoscimento del diritto di asilo. 1.2.1 In primo luogo si nota che l’interesse ad agire consiste in quella situazione giuridica subiettiva di vantaggio sostanziale, il cui riconoscimento viene posto ad oggetto della pretesa fatta valere in giudizio. Esso si concreta nell’esigenza di colui che propone la domanda di conseguire un risultato di utile e giuridicamente apprezzabile e non altrimenti conseguibile che con l’intervento del giudice (v., per es.: Cass. civ., 23.11.1990 n. 11319; Cass. civ., 20.1.1998 n. 486). L’interesse ad agire sussiste quando l’azione sia intesa ad evitare una lesione anche soltanto potenziale al diritto soggettivo (Cass. civ., 14.11.1975 n. 3850). Per la sussistenza dell’interesse ad agire, previste dall’art. 100 c.p.c. come presupposto della domanda giudiziale, è sufficiente uno stato di incertezza obiettiva circa l’esistenza della situazione giuridica della quale si chiede l’accertamento, positivo o negativo (Cass. civ., 4.5.1983 n. 2798; Cass. civ., 19.5.1987 n. 4599). 1.2. Va, poi, respinta l’eccezione delle convenute di carenza dell’interesse ad agire dell’attore. – “deve ritenersi che la presenza del richiedente il diritto di asilo nel territorio dello Stato non è condizione necessaria per il consegui- 30 1.2.2 Si rileva, poi, quale sia il contenuto del diritto di asilo di cui all’art. 10, come accertato dalla giurisprudenza: – Cass. n. 4674/97: “in mancanza di una legge di attuazione del precetto di cui all’art. 10, co. 3, Cost., allo straniero il quale chiede il diritto di asilo null’altro viene garantito se non l’ingresso nello Stato”; – T.A.R. Friuli Venezia Giulia 23.1.1992 n. 15: L’art. 10, co. 3, Cost. comporta per l’interessato minori benefici (rispetto allo status di rifugiato), “potendo consistere al limite nel solo diritto a non essere espulso dal paese”. 1.2.3 Si osserva, allora, che nel presente caso va senz’altro riconosciuto l’interesse dell’attore ad ottenere un riconoscimento giuridico del suo diritto di asilo, cioè nel suo diritto di ingresso nel territorio italiano e del suo diritto a non essere espulso dal medesimo. È vero che l’attore risulta essere già entrato nel territorio della Repubblica italiana ed essere attualmente presente in Italia. Ma si tratta di una situazione di fatto, senza che vi sia alcun accertamento e riconoscimento giuridico che stabilizzi giuridicamente tale situazione. Sussiste, pertanto, l’interesse del sig. [...] al riconoscimento giuridico del diritto di asilo, allo scopo di evitare una potenziale lesione al suo diritto di ingresso in Italia e a non esserne espulso (lesione che potrebbe verificarsi nel caso in cui egli uscisse dall’Italia e gli fosse poi impedito di rientrarvi o nel caso in cui fosse emesso un provvedimento di espulsione – situazioni, queste, tutte possibili, mancando appunto, allo stato un riconoscimento del diritto di asilo che impedisca di porre in essere divieti di ingresso o espulsioni). A tale proposito si argomenti anche dalla motivazione della sentenza del trib. Roma 27.9.1999 già citata: 31 mento del diritto stesso. La presenza non è, infatti, richiesta nella previsione costituzionale che prevede e regolamenta nei suoi aspetti essenziali il diritto di asilo... Il volontario allontanamento dal territorio italiano dello straniero, il quale, al tempo dell’istanza di asilo ex art. 10, co. 3, Cost., si trovava in Italia, non comporta automaticamente il venir meno delle condizioni per l’accoglimento dell’istanza; deve infatti distinguersi l’interesse ad agire dall’utilità pratica della sentenza favorevole, e la permanenza dell’interesse inteso come condizione per l’accoglimento della domanda di asilo deve escludersi soltanto quando l’interesse dell’attore sia (divenuto) puramente teorico e accademico”. Dunque, la sussistenza o meno dell’interesse ad agire non può essere ricollegata alla mera situazione di fatto consistente nella contingente presenza o meno dell’attore sul territorio dello Stato. Né è rilevante l’assenza di provvedimenti amministrativi contenenti contestazione o negazione del diritto di asilo dell’attore. Infatti, non sussiste, comunque, alcun attuale riconoscimento giuridico di un diritto di ingresso e non espulsione dell’attore dall’Italia, il che già di per sé crea una situazione di incertezza riguardo a tale diritto, trattandosi di soggetto straniero, presente sul territorio italiano senza essere in possesso di alcun permesso di soggiorno. Né è rilevante il fatto che le convenute non abbiano contestato le circostanze di fatto dedotte dall’attore. Infatti, “un comportamento del convenuto che evidenzi una disponibilità a concedere all’attore quanto richiesto con la domanda, può spiegare rilievo quale riconoscimento della fondatezza della pretesa fatta valere giudizialmente, ma non implica il venir meno dell’interesse ad agire, persistendo per l’attore stesso l’utilità di conseguire una pronuncia di accoglimento della domanda” (Cass. civ., 7.1.1984 n. 97). 1.3. Va anche respinta, in ordine alla domanda di riconoscimento del diritto di asilo, l’eccezione delle convenute di difetto di legittimazione passiva. È evidente, infatti, che l’accertamento del suddetto diritto debba essere compiuto nei confronti delle amministrazioni deputate al controllo degli stranieri in Italia. Il che trova conferma nelle sentenze della Cassazione e del tribunale di Roma, sopra citate, nelle quali non viene mai in alcun modo messa in discussione la legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministro degli interni, ivi sempre convenute. …….Omissis……… 3. Per quanto riguarda le spese processuali, le difficoltà giuridiche inerenti alla presente causa e la parziale soccombenza reciproca delle parti inducono a ritenere sussistenti giusti motivi per addivenire alla compensazione delle spese processuali fra le parti nella misura della metà. 32 P.Q.M. definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa o respinta, in accoglimento della domanda attorea, dichiara il diritto dell’attore sig. [...] all’asilo nel territorio della Repubblica italiana, ai sensi di cui all’art. 10, co. 3, Cost.; dichiara la carenza di giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla domanda attorea di dichiarazione dell’obbligo della P.A. di concessione di un permesso di soggiorno a tempo determinato. ◆ Corte di appello di Catania, Decreto 1/22.3.2002 - est. Morgia Letti gli atti relativi all’affare civile n. 8/2002 R.g. avente per oggetto il reclamo proposto da [...] nato in [...] Sri-Lanka il [...] avverso il decreto del tribunale di Catania in data 7.1.2002 che ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale il predetto aveva impugnato, ex art. 1 del d.l. 30. 12. 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, nella legge 28.2.1990, n. 39, il provvedimento della Commissione centrale per il riconoscimento dello stato di rifugiato emesso in data 14.3.2001 con il quale la suddetta Commissione aveva deciso di non riconoscere lo stato di rifugiato all’odierno reclamante; letta la memoria difensiva depositata dalla Presidenza del consiglio dei ministri, in persona del Presidente del consiglio pro-tempore, organicamente rappresentata dall’avvocatura distrettuale dello Stato di Catania; sentite le parti all’udienza camerale del 22.2.2002 (alla quale è comparso solo il difensore del reclamante) e sciogliendo la riserva in quella sede formulata, osserva quanto segue. 1. Per motivi di ordine logico-processuale occorre, in primo luogo, esaminare la doglianza relativa alla declaratoria di inammissibilità pronunciata dal primo giudice sulla scorta della considerazione che “nessuna norma consente di proporre la domanda di cui sopra con ricorso di volontaria giurisdizione, dovendo, invece, essa essere proposta con atto introduttivo di un giudizio contenzioso ordinario”. La doglianza è fondata. Invero, l’art. 1.6 dei d.l. 30.12.1989, n. 416, convertito, con modificazioni, nella legge 28.2.1990, n. 39, testualmente prevede che “attraverso la decisione di respingimento (dell’istanza volta ad ottenere lo status di rifugiato) presa in base ai commi 4 e 5 è ammesso ricorso giurisdizionale”. Al riguardo la Suprema corte ha avuto, di re33 cente, modo di statuire che “la qualifica di rifugiato politico ai sensi della Convenzione di Ginevra del 29.7.1951 costituisce, come quella di avente diritto all’asilo (dalla quale si distingue perché richiede quale fattore determinante un fondato timore di essere perseguitato, cioè un requisito non richiesto dall’art. 10, co. 3, Cost.), una figura giuridica riconducibile alla categoria degli “status” e dei diritti soggettivi, con la conseguenza che tutti i provvedimenti assunti dai competenti organi in materia hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva, e le controversie riguardanti il riconoscimento della posizione di rifugiato (così come quelle sul riconoscimento dei diritto d’asilo) rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, una volta espressamente abrogato dall’art. 46 legge n. 40 del 1998, art. 5, d.l. n. 416 del 1989, convertito con modificazioni della legge n. 39 del 1990 (abrogazione confermata dall’art. 47 dei testo unico d.lgs. n. 286 del 1998), che attribuiva al giudice amministrativo la competenza per l’impugnazione del provvedimento di diniego dello status di rifugiato” (Cass. S.U. 17.12.1999, n. 907). Ora, poiché proprio con, riferimento ai procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone (titolo Il del libro IV del c.p.c.) – ma non soltanto in relazione ad essi – il capo VI del medesimo libro detta la disciplina generale dei procedimenti di camera di consiglio (artt. 737-742 bis), e poiché proprio l’art. 737 pone la regola che tali procedimenti – come molti altri previsti da leggi speciali – vadano proposti con ricorso (diversamente dai giudizi contenziosi ordinari che vanno, di regola, proposti con citazione), non par dubbio che il ricorso avanzato al tribunale civile di Catania da [...] avverso il provvedimento negativo della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato sia stato correttamente proposto, in rito, anche perché i predetti articoli (737 e segg. c.p.c.) sono, comunque, definiti come disposizioni comuni di procedimenti in camera di consiglio, senza distinzione tra procedimenti volontari o contenziosi, ed anzi il legislatore ha soppresso ogni riferimento alla volontaria giurisdizione, di cui faceva, invece, parola l’art. 778 del codice di rito del 1865. A conferma di ciò basti considerare che, concordemente, dottrina e giurisprudenza prevalenti attribuiscono natura di volontaria giurisdizione ai procedimenti di separazione consensuale tra coniugi e divorzio su ricorso congiunto nonché, almeno in parte, ai procedimenti di interdizione e inabilitazione. Non è, pertanto, vietato al legislatore ordinario di disporre, in base ad una valutazione anche politica della vicenda, l’applicazione dei procedimento camerale che si concluda con l’emanazione di un provvedimento avente contenuto decisorio, quando ritenga che l’impiego di tali forme sia più rispondente all’esigenza di una sollecita ed equa applicazione delle norme di diritto sostanziale nel caso concreto. Ciò che il legislatore ordinario non può, invece, fare è di precludere, con tale mezzo, il ricorso per cassazione, che realizza la più completa tutela del diritto, ed 34 a ciò provvede il precetto dell’art. 111, comma secondo, della Costituzione, che si sostituisce anche ad una (eventuale) espressa disposizione contraria del legislatore comune. Peraltro, proprio i provvedimenti riguardanti lo status della persona sono normalmente emessi, anche in considerazione dell’evidente interesse pubblico ad essi connesso, in esito ai procedimenti aventi la natura di volontaria giurisdizione i quali, tra le altre caratteristiche, presentano quella dell’impulso sostanzialmente ufficioso, con una prevalenza dei poteri del giudice che accentua il carattere inquisitorio del procedimento di camera di consiglio e la parziale inapplicabilità del principio iuxta alligata et probata, risultando così non certo esclusa ma almeno attenuata la sfera di applicabilità delle regole generali concernenti l’onere della prova. Se ancora ve ne fosse bisogno, a conferma della natura di volontaria giurisdizione del presente procedimento, sia la pregnante considerazione – ritenuta uno dei principali discrimini tra procedimento contenzioso e procedimento di volontaria giurisdizione – che l’interesse fatto valere dall’odierno reclamante volto ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato non assurge al grado di diritto soggettivo e, comunque non da luogo a posizioni subiettive contrapposte in relazione all’emanazione del provvedimento richiesto, in quanto manca il conflitto di diversi e contrapposti interessi correlativi ad una pretesa e ad una soggezione scaturenti da un diritto e da un obbligo che, com’è noto, caratterizza ogni procedimento contenzioso. (omissis) P.Q.M. In accoglimento del reclamo proposto da [...] avverso il decreto del tribunale di Catania in data 7.1.2002 che ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale il predetto aveva impugnato il provvedimento della Commissione centrale per il riconoscimento dello stato di rifugiato emesso in data 14.3.2001 con il quale la suddetta Commissione aveva deciso di non riconoscere all’odierno reclamante tale stato, la Corte riconosce a [...] lo stato di rifugiato. Nulla sulle spese. 35 Consiglio di Stato Sez. IV sent. n. 4669 del 12 marzo 2002 DECISIONE sul ricorso n. 4766/93 proposto da Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, e la Questura di Roma, in persona del Questore pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la stessa legalmente domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; contro […], non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, Sez. I, n. 692, pubblicata in data 13 maggio 1992, resa tra le parti, con cui è stato accolto il ricorso proposto da […], concernente procedimento per il riconoscimento dello status di rifugiata. ….omissis….. Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue. FATTO La cittadina etiope […] ha impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio il provvedimento con il quale il Questore di Roma le ha negato in data 10 novembre 1990, in base alle disposizioni dell’art. 1, n. 5, della legge 28 febbraio 1990, n. 39, il riconoscimento dello status di rifugiata politica. Parte ricorrente esponeva di essere stata costretta a lasciare l’Etiopia e di essere giunta in Italia in data 24 novembre 1990 attraverso la frontiera di Fiumicino. Costretta a letto da una forma influenzale, non ha presentato istanza di riconoscimento di rifugiata alla frontiera di Fiumicino, ma direttamente alla Questura di Roma il successivo 10 dicembre. In data 18 dello stesso mese l’istanza è stata rigettata, in quanto non presentata alla Polizia di frontiera, con ingiunzione a lasciare il territorio dello Stato. Nel ricorso proposto ha dedotto violazione dell’art. 10, comma 3, della Costituzione, in quanto il diritto di asilo sarebbe riconosciuto direttamente dalla Costituzione; violazione dell’art. 1 della legge 28 febbraio 1990, n. 39 e degli artt. 1, 2 e 3 del D.P.R. 15 maggio 1990, n. 136, per illegittima dichiarazione di decadenza del diritto al riconoscimento dello status di rifugiata a causa della mancata presentazione dell’istanza all’Ufficio di polizia di frontiera; incompetenza, in quanto la legge consentirebbe alla polizia di frontiera e alla Questura solo funzioni amministrative di riscontro di fatto; violazione delle norme in tema di notificazione dei provvedimenti allo straniero. Il Tribunale amministrativo – ritenuta estranea alla controversia la questione della immediata precettività o meno della disposizione di cui 36 al comma terzo dell’art. 10 della Costituzione – ha accolto il ricorso, ritenendo illegittimo il provvedimento impugnato, avendo il Questore negato l’ammissione al procedimento di riconoscimento dello status di rifugiata per il solo fatto che l’istanza era stata presentata alla polizia di frontiera, mentre all’Autorità di polizia compete solo il compito di verificare che non ricorrano cause ostative all’ingresso nello Stato, ma non poteri decisori sulle condizioni del riconoscimento dello status richiesto. L’Amministrazione dell’Interno ha ritenuto errata tale decisione e l’ha impugnata con appello notificato in data 19 giugno 1993 e depositato il 5 del mese successivo. Nel gravame ha sollevato i seguenti motivi. L’art. 10 della Costituzione è norma programmatica e non attribuisce allo straniero alcuna posizione giuridica soggettiva di asilo nel nostro Paese. Le condizioni all’uopo richieste sono state stabilite con legge 28 febbraio 1990, n. 39, secondo cui lo straniero – come si evince anche dalla Convenzione di Ginevra – ha solo un interesse giuridicamente protetto all’asilo, subordinato al discrezionale apprezzamento dell’Autorità amministrativa. Lo straniero che intende entrare nel territorio dello Stato per essere riconosciuto rifugiato deve rivolgere istanza motivata e, per quanto possibile, documentata, all’Ufficio di polizia di frontiera. È tale Ufficio che, ove non esistano motivi ostativi, provvede a inviare l’istanza presso il Questore competente per territorio. Successivamente il Questore invia la documentazione alla competente Commissione presso il Ministero dell’Interno, rilasciando all’interessato un permesso di soggiorno temporaneo fino alla definizione della procedura. Nel presente caso la straniera ha avanzato richiesta di asilo direttamente presso la Questura, la quale non poteva fare altro che respingerla, non avendo l’interessata osservato la prescritta procedura, né dato alcuna plausibile indicazione sulla mancata osservanza della prescrizione normativa. Non va trascurato peraltro – continua l’appellante – che il dovere di presentare l’istanza in parola direttamente alla polizia di frontiera risponde a serie ragioni di ordine pubblico ed è posto per evitare che entrino nel territorio nazionale soggetti ai quali l’accesso sia vietato, mentre è chiaro che alla Commissione prevista dall’art. 2 del D.P.R. 15 maggio 1990, n. 136 è riservato il potere di conoscere le sole istanze ritualmente presentate. L’appellata non si è costituita in giudizio. DIRITTO 1 - Come esposto in narrativa, il Ministero dell’Interno ha impugnato la decisione del Tribunale amministrativo del Lazio che ha annullato il provvedimento con il quale il Questore di Roma aveva negato a […] – con riferimento alle previsioni di cui all’art. 1, comma 5º, della legge 28 febbraio 1990, n. 39 – il riconoscimento dello status di rifugiata po37 litica. Il Tribunale, considerata inconsistente la dedotta violazione dell’art. 10, comma 3, della Costituzione, ha ritenuto fondate le censure secondo cui il provvedimento impugnato poneva a fondamento del diniego il solo fatto che la straniera non avesse presentato l’istanza di riconoscimento alla polizia di frontiera. L’Amministrazione – dopo aver ribadito che l’art. 10 della Costituzione è norma programmatica e non attribuisce allo straniero alcuna situazione di diritto soggettivo all’asilo – contesta la decisione del Tribunale e sostiene che l’[…] , chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiata direttamente alla Questura, e non, com’era suo dovere, all’Ufficio di frontiera, non ha rispettato le norme dettate dall’art. 1 della legge n. 39 del 1990. L’inosservanza costituirebbe presupposto valido a sostenere la pronuncia di diniego non solo sotto il profilo formale, ma anche perché concretizzerebbe la violazione di una disposizione posta a garanzia dell’ordinato espletamento dei compiti dell’Amministrazione e a tutela dell’ordine pubblico. 2 - Con riferimento alle osservazioni svolte sulla natura giuridica della situazione soggettiva che lo straniero può vantare nel nostro ordinamento, il Collegio concorda pienamente con la tesi dell’Amministrazione. In effetti, il comma 3 dell’art. 10 della Costituzione, nel prevedere il diritto di asilo per lo straniero al quale sia impedito, nel suo paese, l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione, ha fatto esplicito rinvio alle condizioni stabilite dalla legge. È quindi attraverso le norme della legge ordinaria che vanno considerate le situazioni soggettive degli interessati, disciplinate nell’ordinamento italiano con legge 28 febbraio 1990, n. 39. Questa, nell’accordare l’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato, lo ha esplicitamente subordinato a precise condizioni, la cui ricorrenza va di volta in volta accertata attraverso indagini che implicano indubbiamente valutazioni di natura discrezionale. Deve perciò escludersi che la straniera possa vantare, nel nostro ordinamento, situazioni soggettive di diritto che le derivino direttamente dalla Costituzione. …..omissis…….. Nessuna pronuncia per le spese, atteso che l’appellata non si è costituita in giudizio. P. Q. M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quarta, definitivamente pronunziando sull’appello meglio indicato in epigrafe, lo respinge. Nulla per le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. (omissis) 38 Consiglio di Stato Sez. IV sent. n. 5943 del 30 aprile 2002 DECISIONE sul ricorso in appello iscritto al NRG 4557 dell’anno 1993 proposto dal MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro in carica, e dalla QUESTURA DI ROMA, in persona del Questore in carica, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano ope legis, in Roma, via dei Portoghesi n. 12; contro [….], non costituito in giudizio; per l’annullamento della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione I ter, n. 622 del 29 aprile 1992; ……omissis….. Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. FATTO Con sentenza n. 622 del 29 aprile 1992 il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I ter, accoglieva il ricorso proposto dal cittadino sudanese […] ed annullava il provvedimento della Questura di Roma in data 30 ottobre 1990, con il quale era stato negato a quest’ultimo l’ammissione al procedimento per il riconoscimento dello status di rifugiato (con conseguente ordine di lasciare il territorio italiano). Ad avviso dei primi giudici, infatti, la circostanza sulla quale era stato fondato il provvedimento impugnato, e cioè la presentazione dell’istanza di riconoscimento dello status di rifugiato alla Questura di Roma invece che all’ufficio di polizia di frontiera al momento dell’ingresso in Italia, come stabilito dall’articolo 1, quinto comma, del decreto – legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito con modificazioni nella legge 28 febbraio 1990, n. 39, non poteva comportare per lo straniero, in mancanza di un’esplicita sanzione in tal senso, la decadenza dal diritto ad ottenere il predetto riconoscimento regolamentato dalla citata normativa. Avverso tale statuizione proponeva appello il Ministero dell’Interno, deducendo, per un verso, il carattere meramente programmatico della disposizione contenuta nell’articolo 10, comma 3, della Costituzione, e rivendicando, per altro verso, la piena legittimità del provvedimento impugnato in primo grado, perfettamente conforme al dettato legislativo e coerente con le finalità di tutela dell’ordine pubblico e di un ordinato afflusso degli stranieri sottese anche al procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato politico. L’appellato non si è costituito in giudizio. Alla pubblica udienza del 30 aprile 2002 la causa è stata assunta in decisione. 39 DIRITTO I. È controversa la legittimità del provvedimento della Questura di Roma, Ufficio Stranieri, in data 30 ottobre 1990 con il quale è stato negato al cittadino sudanese […] l’ammissione al procedimento per il riconoscimento dello status di rifugiato (con conseguente ordine di lasciare il territorio italiano) per aver presentato la relativa istanza direttamente alla Questura di Roma invece che all’ufficio di Polizia di frontiera all’atto stesso del suo ingresso in Italia, come disposto dall’art. 1, comma 5, del decreto – legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39. Il Ministero dell’Interno chiede la riforma della sentenza n. 622 del 29 aprile 1992 del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. Iª ter, che lo ha annullato, rivendicandone la piena conformità al dettato legislativo e coerenza con le finalità di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica sottese anche al procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato politico. L’appellato non si è costituito in giudizio. II. Al riguardo la Sezione osserva quanto segue. II.1. Occorre precisare, in via preliminare, che sussiste nella controversia de qua la giurisdizione del giudice amministrativo. L’appello di cui si tratta infatti è stato notificato e depositato nella vigenza dell’articolo 5, comma 2, del decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, che attribuiva espressamente al giudice amministrativo la cognizione dei provvedimenti di diniego di riconoscimento dello status di rifugiato politico: l’intervenuta abrogazione di tale norma da parte dell’articolo 46 della legge 6 marzo 1998, n. 40 non incide sulla giurisdizione, in virtù del principio della perpetuatio jurisdictionis sancito dall’articolo 5 del codice di procedura civile (Cass. SS.UU., 1º luglio 1997 n. 5899). Peraltro la Sezione, con decisione n. 6716 del 15 dicembre 2000, ha affermato che anche dopo l’abrogazione dell’articolo 5, comma 2, del decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo nella materia di cui si tratta, sulla base dei principi generali che regolano il riparto di giurisdizione, non essendo la norma sopra ricordata attributiva al giudice amministrativo di una giurisdizione esclusiva e non potendosi negare l’esistenza di un ampio potere discrezionale da parte dell’amministrazione in ordine all’apprezzamento dei fatti e della loro rilevanza per il riconoscimento dello status di rifugiato. II.2. Passando all’esame del merito, si osserva che la questione controversa si incentra esclusivamente sulla rilevanza delle modalità di presentazione della domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato politico, ed in particolare se la sua mancata presentazione all’ufficio di 40 polizia di frontiera all’atto dell’ingresso nel territorio italiano, come stabilito dall’art. 1, comma 5, del decreto – legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, implichi decadenza dalla possibilità di ottenere detto riconoscimento (il che esclude ai fini della decisione ogni rilievo circa la valenza programmatica o precettiva del terzo comma dell’articolo 10 della Costituzione in materia di esercizio del diritto di asilo, ampiamente illustrata dall’amministrazione appellante). Detta questione risulta già affrontata e risolta da questa Sezione con le decisioni n. 149 del 6 marzo 1995 e n. 5497 del 16 ottobre 2000, dalle cui conclusioni non vi è ragione di discostarsi. Invero nel sistema normativo delineato dal ricordato articolo 1 del decreto legge n. 416 del 1989, convertito dalla legge n. 39 del 1990, dal relativo regolamento di attuazione, emanato con D.P.R. 15 maggio 1990, n. 136, è previsto che sulla domanda di riconoscimento dello stato di rifugiato politico si pronunci un’apposita commissione, denominata Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, alla quale tutte le predette istanze devono essere trasmesse. Solo alla predetta Commissione spetta, dunque, di valutare le domande di riconoscimento dello status di rifugiato, non solo per quanto attiene alla sussistenza dei relativi presupposti sostanziali, ma anche per quanto attiene alle questioni procedurali di ritualità della loro presentazione. …..Omissis….. Ciò implica, infatti, per l’Amministrazione soltanto l’obbligo di attivare il normale procedimento previsto dalla legge per l’esame delle domande di riconoscimento dello status di rifugiato politico. III. In conclusione l’appello deve essere respinto. Non vi è luogo alla pronuncia sullo spese, stante la mancata costituzione in giudizio dell’appellato. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso in appello meglio in epigrafe indicato, respinge l’appello. Nulla sulle spese. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa. (omissis) Massima In materia di riconoscimento dello status di rifugiato politico sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo anche dopo l’abrogazione dell’articolo 41 5, comma 2, del D.L. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito con modificazioni nella legge 28 febbraio 1990 n. 39 (che non era attributiva di una giurisdizione esclusiva), sulla base degli ordinari principi circa il riparto di giurisdizionale tra giudice ordinario e giudice amministrativo, sussistendo in materia un ampio potere discrezionale da parte dell’amministrazione in ordine all’apprezzamento dei fatti e della loro rilevanza per il riconoscimento dello status di rifugiato. Spetta solo alla Commissione di cui all’articolo 2 del D.P.R. n. 136 del 1990 di valutare le domande di riconoscimento dello stato di rifugiato, non solo per quanto attiene alla sussistenza dei relativi presupposti sostanziali, ma anche per quanto attiene alle questioni procedurali di ritualità della loro presentazioni, con riguardo all’eventuale tardività o irritualità della domanda stessa. l’utile esperimento dell’azione promossa, che rischierebbe di terminare in una pronuncia inutiliter data qualora costui fosse costretto a fare ritorno nel Paese di origine: va infatti osservato, in relazione al periculum, che nella presente fase di sommaria cognizione possono apprezzarsi le circostanze di fatto esposte da costui in atto di citazione, che saranno oggetto di futura istruttoria, nonché, non ultimo, i dolorosi accadimenti, le persecuzioni e le torture che, a livello internazionale, sono oggetto di cronaca; ritenuto, infine, quanto alla tipologia del permesso da rilasciarsi, che può essere accolta l’istanza svolta dal ricorrente in via principale, in quanto costui si trova nelle condizioni di cui all’art. 19, comma 1, del d. lgs. n. 286/98. ◆ Tribunale di Bologna, Decreto 29 maggio 2002 - est. Arceri Il giudice istruttore, letto il ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso da [...] al fine di ottenere, in seno alla causa civile da costui promossa e rubricata sub R.G. n. 1238/02, l’emissione, da parte di questo giudice, di ordine diretto alla questura di Bologna di rilascio, in favore dello stesso, di “permesso di soggiorno per protezione umanitaria”, o, in subordine, ai sensi dell’art. 1, comma 5, dei d.l. n. 416/89, convertito nella L. 39/90; del d.l. n. 416/89, nella L. n. 39/90; rilevato, in via preliminare, che la domanda cautelare in questione rientra senza dubbio nella giurisdizione del giudice adito che, in virtù di quanto statuito dalla Cassazione con sentenza a Sezioni Unite in data 18.12.1999, n. 907, è stato riconosciuto – nel caso di domanda di accertamento dello status di rifugiato – giudice deputato a pronunciarsi; ritenuto, in particolare, che l’individuazione, pur sempre contenuta nell’art. 1, comma 5, dei d.l. n. 416/90, convertito nella L. n. 39/90, del questore quale organo competente al rilascio del permesso di soggiorno strumentale alla definizione dei procedimento di riconoscimento del predetto status non corrobora la tesi del difetto di giurisdizione, così come sostenuto, in analoghi procedimenti, dal Ministero dell’interno, in quanto tale disposizione, letta alla luce di quanto affermato dalla citata sentenza, rende sostanzialmente “dovuto”, da parte dell’autorità predetta, il rilascio del permesso di soggiorno qualora sia promosso, davanti al giudice competente, giudizio per il riconoscimento dello status di rifugiato, senza alcuna possibilità, da parte dell’autorità amministrativa, di esercizio di discrezionalità alcuna; ritenuto, in sostanza, che nel caso di specie il rilascio del permesso di soggiorno in favore dei richiedente appare senz’altro strumentale al42 P.Q.M. dispone che, in favore del ricorrente [... ] nato a [... ] Turchia, da parte della questura di Modena ai sensi e per gli effetti degli artt. 19 d. lgs. n. 286/98 e 28, lett. d) del d.p.r. n. 394/99, un permesso di soggiorno per motivi umanitari valido quantomeno fino alla definizione del presente procedimento. Spese al definitivo. ◆ TAR Liguria sent. n. 1045 del 28 ottobre 2002 SENTENZA (omissis) FATTO Con ricorso notificato il 19.04.2000 al Ministero dell’Interno, alla Questura di Genova ed alla Commissione Centrale per il Riconoscimento Status di Rifugiato, il ricorrente ha impugnato, chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, il provvedimento della Commissione Centrale per il Riconoscimento dello status di rifugiato, n. 53202/2000.dec, Sez. 2, adottato il 17.02.2000 e notificato il 03.04.2000, con il quale gli è stato negato lo status di rifugiato ai sensi della convenzione di Ginevra del 28.07.1951, ratificata con L. 24.07.1954 n. 722, nonché ogni altro atto presupposto e/o preparatorio, connesso e/o conseguente, e in particolare il decreto di revoca dell’autorizzazione al sog43 giorno cat.A12/2000/STR.-AA.GG./rifugio del 27.03.2000 (notificato in data 03.04.2000). Il ricorrente, cittadino irakeno di etnia curda fa presente: – di essere stato incarcerato due volte in Irak per avere partecipato a manifestazioni contro Saddam Hussein; – di essere iscritto al PUK (Unione Patriottica del Kurdistan); – di avere combattuto per sette anni contro il Governo irakeno; – di essersi sottratto all’obbligo di leva; – di avere chiesto in Italia nel febbraio del 1999 il riconoscimento dello status di rifugiato politico. A seguito di tale richiesta la Questura di Genova gli ha rilasciato autorizzazione al soggiorno per richiesta di asilo, valida sino al 17 maggio 2000. Con provvedimento in data 17 febbraio 2000 la Commissione Centrale per il Riconoscimento Status di Rifugiato, gli ha negato il riconoscimento dello status di rifugiato politico. Avverso i due provvedimenti impugnati il ricorrente deduce i seguenti motivi: 1) Violazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra, dell’art. 10 Cost. e dell’art. 1 L. n. 39/90. In primo luogo si è ignorato che il solo fatto dell’appartenenza all’etnia curda costituirebbe in Irak motivo per essere perseguitato e, quindi, per rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra. In secondo luogo si è ignorato il fatto che il ricorrente, iscritto al PUK (Unione Patriottica del Kurdistan) avrebbe combattuto per sette anni contro il Governo irakeno e sarebbe stato incarcerato due volte in Irak. In terzo luogo si sarebbe ignorato il fatto che il ricorrente, che per ragioni politiche si è sottratto all’obbligo di leva, rischierebbe al suo ritorno la pena di morte. 2. Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria. Eccesso di potere per travisamento dei fatti. Il diniego di riconoscimento dello “status” di rifugiato richiederebbe una rigorosa motivazione sull’insussistenza della condizione di pericolo per l’incolumità personale dello straniero, che mancherebbe nel caso di specie, così come sarebbe mancata un’adeguata istruttoria. Si è costituita in giudizio l’amministrazione dell’interno chiedendo la reiezione del ricorso e dell’istanza di sospensiva. Con ordinanza di questo Tribunale in data 18 maggio 2000 n. 530 è stata accolta l’istanza di sospensiva. Alla pubblica udienza del 24 ottobre 2002 la causa è passata in decisione. 44 DIRITTO 1. Il ricorso in esame è rivolto avverso il provvedimento della Commissione Centrale per il Riconoscimento dello status di rifugiato, n. 53202/2000.dec, Sez. 2, adottato il 17.02.2000 e notificato il 03.04.2000, con il quale gli è stato negato lo status di rifugiato ai sensi della convenzione di Ginevra del 28.07.1951, ratificata con L. 24.07.1954 n. 722, Viene impugnato, inoltre, ogni altro atto presupposto e/o preparatorio, connesso e/o conseguente, e in particolare il decreto di revoca dell’autorizzazione al soggiorno cat.A12/2000/STR.-AA.GG./rifugio del 27.03.2000 (notificato in data 03.04.2000). 2. In via preliminare deve essere affrontata la questione attinente alla sussistenza o meno della giurisdizione del giudice amministrativo in tema di riconoscimento dello status di rifugiato politico. Il Collegio ritiene che la questione debba avere una risposta positiva. Come è stato affermato dalla giurisprudenza amministrativa, “la decisione della commissione centrale di concedere o meno lo “status” di rifugiato politico non consegue automaticamente al riscontro dell’esistenza o meno di determinati presupposti di fatto, ma implica l’esercizio di un ampio potere discrezionale di valutazione e di apprezzamento dei fatti stessi; ne consegue, pertanto, che sussiste in materia la giurisdizione del giudice amministrativo” (Cons. St., sez. IV, 15 dicembre 2000, n. 6710 e n. 6716). Il Collegio non ignora il diverso indirizzo delle Sezioni Unite della Cassazione civile, secondo cui “la qualifica di rifugiato politico ai sensi della convenzione di Ginevra del 29 luglio 1951 costituisce, come quella di avente diritto all’asilo (dalla quale si distingue perché richiede quale fattore determinante un fondato timore di essere perseguitato, cioé un requisito non richiesto dall’art. 10, comma 3, cost.), una figura giuridica riconducibile alla categoria degli ‘status’ e dei diritti soggettivi, con la conseguenza che tutti i provvedimenti assunti dai competenti organi in materia hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva, e le controversie riguardanti il riconoscimento della posizione di rifugiato (così come quelle sul riconoscimento del diritto di asilo) rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, una volta espressamente abrogato dall’art. 46, l. n. 40 del 1998, l’art. 5, d.l. n. 416 del 1989, conv. Con modificazioni dalla l. n. 39 del 1990 (abrogazione confermata dall’art. 47 del testo unico d.lg. n. 286 del 1998), che attribuiva al giudice amministrativo la competenza per l’impugnazione del provvedimento di diniego dello ‘status’ di rifugiato” (Cass. Civ. sez. un., 17 dicembre 1999, n. 907). Tuttavia detta giurisprudenza non appare condivisibile proprio laddove ritiene che tutti i provvedimenti di diniego dello “status” di ri45 fugiato abbiano natura meramente dichiarativa e non costitutiva, al pari di quelli sul riconoscimento del diritto di asilo. In realtà, come è stato osservato, il provvedimento sullo “status” di rifugiato implica l’esercizio di un potere di valutazione della complessiva situazione denunciata dallo straniero al fine di stabilire se, sulla base dell’id quod plerumque accidit, sussista il fondato timore che questi possa essere perseguitato nel paese di origine con pericolo attuale di vita con riferimento alle condizioni politico istituzionali, di sicurezza pubblica e di vivibilità democratica di tale paese. A detto potere corrisponde una posizione giuridica di interesse legittimo (Cons. St., sez. IV, 15 dicembre 2000, n. 6710 e n. 6716; id., 12 gennaio 1999, n. 11; nonché da ultimo id. 27 maggio 2002 n. 2937). Al contrario il diritto di asilo previsto dall’art. 10 comma 3 Cost., il quale (oltre a comportare minori benefici per lo straniero) presuppone il mero accertamento della mancanza di libertà democratiche nel paese di origine, dà luogo ad una posizione giuridica di diritto soggettivo (Cons. St., sez. IV, 15 dicembre 2000, n. 6710; Cons. St. sez. IV, 10 marzo 1998, n. 405). Ne consegue che sulla base della vigente normativa nazionale ed internazionale sussiste un’ontologica differenza fra diritto di asilo e “status” di rifugiato politico, tale da giustificare il diverso riparto di giurisdizione. 3. Passando al merito del ricorso, lo stesso risulta fondato. In particolare il provvedimento impugnato appare inadeguato sotto il profilo della motivazione sull’insussistenza della condizione di pericolo dell’incolumità personale del richiedente che deve essere assai rigorosa, concernendo una materia così delicata e importante (cfr. T.A.R. Friuli V.G. 26 ottobre 1998, n. 1176). Con riferimento alla fattispecie in esame si può osservare che il provvedimento impugnato si limita ad esaminare (senza neppure approfondirne tutte le implicazioni) il solo aspetto della diserzione dal servizio militare. Nulla è detto nel provvedimento di diniego in merito al fatto che il ricorrente, cittadino irakeno di etnia curda: – sia stato incarcerato due volte in Irak per avere partecipato a manifestazioni contro Saddam Hussein; – sia iscritto al PUK (Unione Patriottica del Kurdistan); – abbia combattuto per sette anni contro il Governo irakeno. Il Collegio ritiene che tali circostanze dovevano formare oggetto di approfondita istruttoria per verificarne l’effettiva fondatezza. Parimenti indubitabile è che di tale verifica doveva essere dato conto nel testo del provvedimento così da consentire l’esame, in sede giurisdizionale della congruità dell’iter logico seguito. 46 Il provvedimento impugnato dovrà, quindi, essere annullato al fine di consentire alla Commissione Centrale di valutare tutti gli aspetti presenti nella vicenda in esame e di pronunciarsi in merito ad essi motivatamente. In conclusione il ricorso in esame deve essere accolto. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate così come indicato nel dispositivo. P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe. Condanna il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica al pagamento a favore del ricorrente delle spese di giudizio, comprensive di onorari, che si liquidano in complessive € 1.500 (millecinquecento euro). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. (omissis) ◆ Tribunale di Bologna, Decreto 10 febbraio 2003 - est. Arceri Il Giudice istruttore, letto il ricorso ex art. 669 duodecies c.p.c. promosso da [...] al fine di ottenere, in esecuzione del provvedimento cautelare emesso da questo giudice in seno alla causa civile n. 1238/2002, la nomina di un “commissario ad acta” per l’esecuzione del provvedimento, o, comunque, l’emissione di tutte le misure necessarie ed opportune al fine di assicurare la pronta e piena esecuzione del provvedimento in questione; richiamate, in diritto, tutte le motivazioni del precedente provvedimento cautelare in data 29.5.2002; rilevato che, effettivamente, il comportamento dell’Amministrazione convenuta non rappresenta corretto adempimento dell’ordine contenuto nel provvedimento di cui sopra, il quale era volto a garantire la possibilità, per il ricorrente, di ottenere un titolo di soggiorno sul territorio nazionale in attesa delle determinazioni del giudice ordinario in merito alla domanda svolta in via principale (riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951 o, in via subordinata, dei diritto di asilo ex art. 10 Cost.): infatti, tale esigenza appare di fatto essere stata frustrata giacché il permesso in concreto rilasciato è di durata assai limitata, sicuramente inferiore alla presumibile durata 47 del processo (vedasi, a tale proposito, il testuale disposto dell’art. 11 del d.p.r. 31.8.1999 n. 394), e pone al ricorrente, in modo dei tutto immotivato e non conforme a legge, divieto di lavoro (tale divieto non è espressamente imposto dall’art. 28 della legge sopra citata); ritenuta dunque la necessità, in applicazione dell’art. 669 duodecies c.p.c., e preso atto dell’impossibilità, autorevolmente affermata, di proporre giudizio di ottemperanza davanti all’autorità amministrativa per l’attuazione di provvedimenti privi di contenuto decisorio (Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 1999, n. 778, in Cons. Stato, 1999, 1, 792), di emettere un provvedimento strumentale all’attuazione corretta dei precetto cautelare, di libera determinazione quanto a contenuto, nei limiti dell’idoneità al raggiungimento dello scopo; ritenuto, a tale ultimo proposito, che appare allo stato sovrabbondante la nomina di un “commissario ad acta” (pur ammessa da taluna isolata giurisprudenza: Trib. Bari, 12 febbraio 1997, in Giur. It. 1998, 276) o la delega dell’attuazione del provvedimento ad ufficiale giudiziario (Trib. Catania, 13 ottobre 2000, in Foro It. 2000, 1, 3620), provvedimento cui si potrà eventualmente dar corso qualora l’Amministrazione non si adeguasse alle ulteriori specificazioni contenute nel sotto esteso ordine giudiziale di carattere attuativo. P.Q.M. Dispone che la questura di Modena rilasci in favore del ricorrente [...] un permesso di soggiorno per motivi umanitari della durata di almeno due anni, senza divieto di lavoro. Spese di lite al definitivo. ◆ Corte d’appello di Firenze, decreto 7 marzo 2003 - est. De Simone Nella causa civile iscritta al n. 353/2002 del Ruolo generale della volontaria giurisdizione di questa Corte e vertente tra Ministero degli Interni [...], reclamante, e [...], resistente non costituito, nonché con l’intervento del P.G. Oggetto: riconoscimento della qualifica di rifugiato politico. La Corte, sciogliendo la riserva formulata in udienza, OSSERVA Il reclamante Ministero degli interni deduce il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in ordine all’impugnazione di provvedimento della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifu48 giato. Si controverte intorno ad un provvedimento emesso da un’autorità amministrativa (la Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato) avente sede in Roma, onde non banale appare il rilievo che la competenza per territorio, ormai sottratta a rilievi in quanto non eccepita nei termini di cui all’art. 39 cod. proc. civ., sarebbe spettata ad altra sede giudiziaria. La questione di giurisdizione, per la materia di cui si tratta, ha già formato oggetto di contrastanti decisioni, ad opera delle Sezioni unite della Corte di Cassazione (17 dicembre 1999, n. 907) e del Consiglio di Stato (Sez. IV, 15 dicembre 2000, n. 6710). Il primo Consesso ha osservato che l’art. 5 della legge 39/1990, che prevedeva espressamente la giurisdizione del T.A.R. in ordine a tutti i provvedimenti di espulsione, era stato abrogato dall’art. 47 del d. lgs. 286/1998 e che la qualifica di rifugiato politico costituisce, come quella di avente diritto all’asilo, un diritto soggettivo, con la conseguenza che tutti i provvedimenti, assunti dagli organi competenti in materia, hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva, per cui le controversie riguardanti il riconoscimento del diritto di asilo o la posizione di rifugiato rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria. Il secondo ha invece ritenuto, per giungere all’affermazione della giurisdizione amministrativa, che la decisione della Commissione Centrale non consegue automaticamente al riscontro dell’esistenza di determinati presupposti di fatto, ma implica l’esercizio di un ampio potere discrezionale di valutazione ed apprezzamento dei fatti stessi, attività di valutazione che è differente da quella preposta al riconoscimento del diritto d’asilo, che invece fonda l’esistenza di un diritto soggettivo perfetto. Ritiene questo Collegio di pervenire alla stessa conclusione della cennata decisione del Consiglio di Stato, non senza aver rilevato quanto segue. L’art. 1 del d.l. 416/1989, dopo aver stabilito norme in materia di riconoscimento dello status di rifugiato, prevede che “Avverso la decisione di respingimento presa in base ai commi 4 e 5 è ammesso ricorso giurisdizionale”. Nella terminologia corrente ed in presenza di un sistema di giustizia amministrativa che comprende la tutela giurisdizionale e quella costituita dai ricorsi amministrativi (gerarchico, gerarchico improprio, straordinario al Capo dello Stato), con la locuzione ricorso amministrativo si usa designare la facoltà di adire l’organo giurisdizionale come appunto previsto dallo stesso decreto legge 416/1990 al successivo art. 5 comma 3, in relazione ai provvedimenti di espulsione. La norma dell’art. 1, appena riportata, non risulta abrogata, né espressamente, per effetto dell’art. 46 della legge 40/1998 (art. 47 del d. lgs 286/998) che ha soppresso 1e seguenti disposizioni: “... e) gli articoli 2 e seguenti del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39”, né tacitamente, dalla legge 189/2002 (il cui art. 32 introduce nel sistema del d.l. 416/1989 un 49 art. 1 ter che al comma 6 prevede la cognizione del tribunale ordinario in ordine alla decisioni delle Commissioni territoriali, ma nulla innova in relazione alle giustiziabilità delle decisioni della Commissione centrale, istituita dal d.p.r. 136/1990). La legislazione nazionale, sovrapponendo i concetti di asilo e di rifugio politico (è sufficiente considerare che l’art. 1 del d.l. 416/1989 reca l’intitolazione asilo politico laddove espressamente si riferisce alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con legge 24 luglio 1954, n. 722, riguardante i rifugiati e che i due termini continuano ad essere sovrapposti nella modifica alle norme di quel d.l. introdotta con l’art. 32 della legge 189/2002), ha inteso trattarli alla stessa maniera. Tutte le norme, dall’art. 1 del d.l. 16/1989 all’art. 32 della legge 189/2002, che sanciscono diritti in favore dei rifugiati e di coloro che richiedono l’asilo, prevedono che in ordine ai diritti stessi debba esservi riconoscimento ad opera delle autorità dello Stato italiano. Quest’attività di accertamento è demandata ad organi amministrativi, evidentemente (e non illogicamente) ritenuti come i più idonei all’espletamento delle necessarie procedure d’indagine e valutazione. Finché non intervenga il provvedimento con cui la Commissione centrale riconosce la sussistenza delle condizioni per lo status di rifugiato politico, allo straniero richiedente compete una posizione di interesse legittimo, che diverrà di diritto soggettivo soltanto allorché quell’atto venga adottato. Le incertezze che dominano l’interpretazione delle norme regolanti l’intera materia legittimano la compensazione delle spese. In difformità dal parere del P.G. DICHIARA il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla presente controversia e compensa le spese. 50 2. PRESUPPOSTI DELLO STATUS DI RIFUGIATO E DELL’ASILO COSTITUZIONALE E RELATIVI CRITERI DI RICONOSCIMENTO Le definizioni dello status di rifugiato e dell’asilo costituzionale, contenute rispettivamente nell’art. 1 della Convenzione di Ginevra sullo Status di Rifugiato del 1951, e nell’art. 10 comma 3 della Costituzione Italiana del 1948, sono frutto entrambe della temperie del secondo dopoguerra, epoca in cui una nuova consapevolezza rispetto agli effetti atroci della guerra e delle persecuzioni sulle popolazioni civili rese evidente la necessità di garantire agli esuli uno status giuridico definito e stabile, quale forma di riconoscimento e di protezione internazionale. Tuttavia, per cause probabilmente dovute alla diversa collocazione e natura delle due norme – contenuta la prima in uno strumento internazionale pattizio e la seconda nella carta fondamentale di una nascente repubblica – e dunque al diverso contesto e relativo grado di “contrattazione” caratterizzante i lavori preparatori, le due definizioni appaiono avere ampiezza e contenuto diversi. Secondo la Convenzione di Ginevra il rifugiato è colui che “avendo un fondato timore di persecuzione per motivo di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o di opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese”. Diversamente l’art. 10 comma 3 della Cost. attribuisce il diritto d’asilo allo straniero “al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”. La diversa formulazione delle norme riportate fa sì che la prima di esse sembri ricomprendere una cerchia di persone più ristretta rispetto a quella individuata dalla seconda. I rifugiati della Convenzione di Ginevra sono infatti individui perseguitati o per lo meno a rischio di persecuzione, un rischio percepito come fondato timore; rilevano, nell’accertamento della sussistenza di tale fondatezza, le caratteristiche oggettive del background di provenienza nonché quelle soggettive dell’interessato, come prescritto dal Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status 51 di rifugiato edito dall’ACNUR nel 1979. I titolari del diritto all’asilo costituzionale sono invece individui deprivati nel proprio paese del godimento di quei diritti civili che i Costituenti hanno individuato come pilastri del nostro stato democratico, senza necessità che tale deprivazione si concreti in una persecuzione. Una categoria evidentemente più ampia e più vicina a considerazioni di carattere generale sul trattamento dei cittadini da parte dello stato di origine, a fronte dell’altra, ancorata a valutazioni più attente alla vicenda individuale dell’interessato. La giurisprudenza ha dedicato attenzione ai due tipi di protezione degli asilanti soprattutto dal punto di vista della loro natura giuridica e azionabilità in giudizio (v. cap. 1); tuttavia essa si è riferita in alcune decisioni anche ad alcuni elementi sostanziali, inerenti ai presupposti del riconoscimento e al loro relativo accertamento. Tale analisi ha avuto ad oggetto in modo particolare lo status di rifugiato ex Convenzione di Ginevra, a causa del solo recente riconoscimento della natura immediatamente precettiva del dettato costituzionale. Si tratta inizialmente di giurisprudenza amministrativa (solo negli anni tra il 1997 e il 1999 la Suprema Corte dichiara la competenza dell’A.G.O. in merito all’impugnativa dei dinieghi di status di rifugiato e di riconoscimetno dell’asilo costituzionale) che insiste, tra l’altro, su questioni quali : il possesso di un passaporto rilasciato dall’autorità nazionale del paese di origine quale elemento a sfavore della sussistenza di una persecuzione (TAR Lazio n. 652 del 1 aprile 1994, TAR Lazio n. 979 del 20 giugno 1994) ; il riconoscimento della persecuzione proveniente da un entità diversa dal governo – c.d. “agente di persecuzione non statale” – quale possibile presupposto dello status (TAR Friuli del 22 ottobre 1998); la necessità, ai fini del riconoscimento, di una specifica situazione soggettiva di persecuzione e l’insufficienza di una generica condizione di carenza di libertà democratiche (Consiglio di Stato - Sez. IV, n. 405 del 10 marzo 1998); la provenienza da uno Stato “terzo” – ossia diverso dallo stato di origine – firmatario della Convenzione di Ginevra, ove il soggetto ha trascorso un periodo sufficientemente lungo per non potersi parlare di mero transito, quale causa ostativa al riconoscimento (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3605 del 2 luglio 2002). Dal 1999 in poi appaiono sentenze del Giudice ordinario contenenti una disamina dei presupposti dei due status, con precipuo riferimento al tema della prova. Rimane esemplare, riguardo all’analisi dei presupposti del riconoscimento dell’asilo costituzionale, la già citata sentenza del Tribunale di Roma del 1 otto52 bre 1999, la quale dichiara il diritto all’asilo politico di Abdullah Ocalan, leader del movimento Curdo PKK, applicando per la prima volta ad un caso concreto l’art. 10 comma 3 della Costituzione. Il Tribunale si sofferma sul fondamentale presupposto della “carenza di godimento delle libertà democratiche” passando in rassegna i principi contenuti nel Capo I della nostra Costituzione e la non analoga ed effettiva esistenza di tali libertà in Turchia. A tal fine il Tribunale considera mezzi di prova rilevanti anche fatti notori (la detenzione per motivi esclusivamente politici di Leyla Zana, parlamentare europea di etnia Curda con cittadinanza Turca) e atti di fonte istituzionale relativi a violazioni dei diritti umani in Turchia (risoluzioni del Parlamento Europeo, sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo), nonché rapporti provenienti da fonti non governative autorevoli (quale ad es. Amnesty International). E proprio in reazione al tema della prova delle persecuzioni, questione di grande rilevanza in un procedimento promosso da un individuo fuggito spesso repentinamente e in clandestinità dal proprio paese, la giurisprudenza sembra attestarsi sul concetto di prova “di carattere indiziario” (TAR Friuli, sent. 22 ottobre 1998), ovvero di “alleggerimento dell’onere probatorio”, ammettendo l’utilizzo di “presunzioni logiche ovvero giudizi di verosimiglianza” (Corte di Appelo di Catania, decreto 1/22 marzo 2002), dando così rilevanza alla “presumibile difficoltà”, per un richiedente asilo, “di procurarsi idonei mezzi di prova” (Tribunale di Genova, ordinanza 5 luglio 2001). Ulteriore argomento di forte rilevanza “sostanziale” è la protezione urgente da garantire in via immediata al richiedente asilo che ha impugnato il diniego di riconoscimento dello status di rifugiato e che corre un rischio attuale di espulsione verso il paese in cui è stato perseguitato; si segnala a tale proposito l’utilizzo del procedimento previsto dall’art. 700 del codice di procedura civile, il quale dispone che “chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti di urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli affetti della decisione sul merito”. Il procedimento in parola si sta rivelando idoneo ad ottenere, in caso di pronuncia favorevole del Giudice adìto, il rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo finalizzato a mettere l’appellante al riparo dal rimpatrio fino alla definizione del giudizio d’impugnazione del diniego (si veda ad es. Tribunale di Roma, decreto 12 giugno 2000). 53 TAR Lazio sent. n. 152 del 12 febbraio 1992 Massima Ai sensi dell’art. 1 comma 4 Legge 28 febbraio 1990 nº39, i casi di diniego dello status di rifugiato devono basarsi non su situazioni formalmente o astrattamente ritenute, ma su situazioni accertate. La mera provenienza da uno Stato firmatario della Convenzione di Ginevra non legittima di per sé il diniego dello status di rifugiato, essendo comunque necessario che sia in concreto valutato se sopravvenute situazioni non consentano di fatto nello Stato di provenienza la effettiva protezione dell’interessato. ◆ TAR Friuli sent. n. 90 del 19 febbraio 1992 Massima Risulta illegittimo per difetto di istruttoria e motivazione, il diniego di riconoscimento dello status di rifugiato politico, fondato sull’assenza di credibili elementi di persecuzione, quando, al contrario, delle dichiarazioni dei richiedenti e dagli elementi di fatto da essi prodotti, emergono episodi che, se non sono di per se stessi idonei a dare piena prova dell’esistenza di un disegno persecutorio da parte delle autorità del paese d’origine, forniscano concordanti indizi in tal senso ed essi siano stati ignorati o non adeguatamente considerati, sia pure ai soli fini di confutarne la sussistenza o il carattere determinante, nella motivazione del provvedimento di rigetto, emesso dall’organo competente a pronunziarsi sull’istanza. ◆ TAR Friuli, sent. n. 15 del 23 gennaio 1992 TAR - Lazio (Latina), sent. n. 652 del 1 aprile 1993 Pres. Camozzi Est. Aureli. […] - Min. Int. ed altri. - (parziale) Massima Al di là dei generici riferimenti alle violazioni dei propri diritti subite in patria dallo straniero richiedente asilo, a causa dell’attività di opposizione politica svolta, la circostanza di aver fatto ingresso in Italia con regolare passaporto è indicativa che il ricorrente non rappresentava un soggetto pericoloso e che non erano in corso azioni repressive nei suoi confronti. ◆ TAR - Lazio, sez. I ter, sent. n. 979 del 20 giugno 1994 Pres. Mastrocola, Est. Gasperini. […] - Min. Int. ed altri. - (parziale) Spetta allo straniero richiedente asilo politico fornire elementi tali da giustificare la presenza di un ragionevole e fondato timore di subire persecuzioni dirette e personali in caso di rientro in patria per motivi di razza, di religione, di nazionalità, di appartenenza a un certo gruppo razziale, e/o di opinioni politiche, così come previsto dalla Convenzione di Ginevra 28/7/1951 resa esecutiva con la L. 24.7.1954 n. 722. Lo status di rifugiato, rispetto a quello degli altri immigrati, è uno status privilegiato e – come tale – può essere concesso solo a chi è stato costretto a lasciare il proprio paese perché personalmente perseguitato per motivi di razza, di religione, di nazionalità, di appartenenza a un determinato gruppo sociale o politico. Invece, quando risulta dalle stesse dichiarazioni rilasciate dal richiedente asilo che egli ha lasciato volontariamente il proprio paese, anzi regolarmente munito di passaporto rilasciato dalle Autorità albanesi, essenzialmente per trovare, sì, migliori condizioni di vita civile e democratica, ma soprattutto alla ricerca di maggiori possibilità di lavoro, è da ritenersi come uno dei tanti immigrati provenienti da paesi disagiati. Massima Mentre il riconoscimento dello status di rifugiato politico richiede come presupposto l’accertamento dei pericoli, per l’interessato, in caso di ritorno al paese d’origine, di persecuzioni personali, il diritto d’asilo, previsto dall’art. 10, terzo comma, della costituzione può venir concesso a chiunque sia impedito, nello Stato di provenienza, l’effettivo esercizio delle libertà democratiche, come garantire delle norme costituzionali italiane. Tale diritto, qualora riconosciuto, comporta peraltro minori benefici, coesistenti, al limite nel divieto di espellere chi ne sia titolare. 54 ◆ TAR del Lazio - Sez. I ter sent. n. 1456 del 5 ottobre 1994 Pres. Mastrocola, Est. Pugliese. […]- Min. Int. - (estratto) – Riconoscimento dello status di rifugiato e concessione dell’asilo politico sono istituti aventi proprie peculiarità, dovendosi per lo status di rifugiato (ex art. 1, par. 2, della Convenzione di Ginevra) far riferimento 55 al serio e fondato timore di subire persecuzioni personali, nel proprio paese di origine, per ragioni politiche o affini, mentre, per l’asilo politico (ex art. 10 Cost., 3º comma) far riferimento all’impedimento all’esercizio delle libertà democratiche, sempre nel proprio paese di origine. In tale contesto, la Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, neppure competente ex D.P.R. 136/90 a concedere l’asilo politico, non può che far esclusivo riferimento ai parametri di cui alla Convenzione di Ginevra e cioè alla concreta possibilità che l’interessato potesse essere, o meno, oggetto di persecuzioni per ragioni politiche, razziali o religiose nel proprio paese di origine. – La mancata traduzione dell’atto e delle modalità di impugnazione dall’italiano in una lingua conosciuta dall’interessato non è – per costante giurisprudenza formatasi sul punto – elemento che ridondi in vizio di legittimità del provvedimento, ma, eventualmente, della sua notificazione: vizio sanato, come tale dal conseguimento dello scopo e cioè dall’aver l’interessato stesso proposto tempestiva e rituale impugnativa. ◆ TAR - Lazio Sez. I ter sent. n. 597 del 7 aprile 1995; Pres. Mastrocola Est. Gasparini. - Min. Int. ed altri. Quando alla luce di tutta una serie di elementi, peraltro documentati in atti appare evidente che i ricorrenti non sono dei semplici sbandati, approdati in Italia in cerca di un qualsiasi lavoro o comunque di mezzi di sussistenza che non erano riusciti a trovare nel loro paese di origine ma, al contrario, avendo perso per motivi di odio politico, una situazione di benessere economico già raggiunto nel loro paese, sono espatriati per trovare altrove una civile base di vita, tanto che Autorità di altri paesi hanno riconosciuto agli altri membri della stessa famiglia perseguitata lo “status” di rifugiato senza opporre difficoltà, è da ritenere illegittima la decisione di non riconoscimento dello “status” di rifugiato in quanto la Commissione non ha espletato una sufficiente istruttoria sul caso in questione e non ha quindi tenuto conto della situazione come sopra rappresentata, che ha in se tutti i presupposti per il rilascio del richiesto “status” di rifugiato politico. TAR Lazio - Sez. I ter sent. n. 578 del 10 aprile 1996 Pres. Mastrocola, Est. Mele, […]- Min. int. - (parziale) La Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato ha ritenuto di rigettare l’istanza presentata dal ricorrente, in quanto lo stesso non è stato in grado di individuare motivi di persecuzione a lui riferibili in via diretta e personale e per ritenersi sproporzionata la reazione dell’espatrio in relazione al timore di subire repressioni. L’istruttoria non appare, però, completa. E ciò perché la Commissione non ha mostrato di fare alcun riferimento ad alcune condizioni obiettive nelle quali versa il ricorrente, e cioè: la sua appartenenza etnica (“amhara”) in un paese dove tale fatto è sicuramente rilevante (l’Etiopia), il suo “status” di impiegato pubblico nel precedente regime, la sua posizione di segretario della commissione di controllo dell’Associazione dei giovani rivoluzionari etiopici, strettamente legata al partito unico marxista al potere nel precedente regime, il suo invio in Bulgaria per ragioni di studio e di approfondimento ideologico. Tutte queste evenienze sono state assolutamente pretermesse nell’istruttoria della Commissione o, quantomeno, non appaiono nella trasposizione dei motivi che hanno determinato il diniego di concessione dello “status” di rifugiato. Ritiene, pertanto, il Collegio che l’atto sia privo di una adeguata motivazione, in ragione peraltro di una carente e frettolosa istruttoria, per cui appare la necessità che l’istruttoria medesima venga rinnovata e più approfonditamente condotta, al fine di verificare se realmente sussistono, nella comparazione tra lo stato del ricorrente e la situazione politica in Etiopia, le condizioni per considerare o meno il ricorrente rifugiato politico. Il ricorso va, pertanto, accolto e il provvedimento impugnato annullato, facendo salvi in ogni caso i provvedimenti dell’Amministrazione in esito alla rinnovazione dell’istruttoria. ◆ Consiglio di Stato Sez. IV, sent. n. 405 del 10 marzo 1998 Massima La generica gravità della situazione politico-economica e la stessa mancanza dell’esercizio delle libertà democratiche, se sono sufficienti per l’ottenimento dell’asilo politico, non sono di per sé sufficienti a costituire i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi dell’articolo 5 della legge 28 febbraio 1990 n. 39, essendo necessario, a que- 56 57 st’ultimo fine, che la specifica situazione soggettiva del richiedente, in rapporto alle caratteristiche oggettive sussistenti nel suo paese, siano tali da far ritenere l’esistenza di un grave pericolo per l’incolumità della persona. done l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere, sia in via derivata che per vizi propri. (omissis) DIRITTO ◆ TAR Friuli, sent. del 22 ottobre 1998 - est. Savoia SENTENZA omissis FATTO 1. Il ricorrente […] cittadino ruandese, giungeva a Pordenone all’età di 17 anni in data 30 dicembre 1995, in stato di abbandono, privo di ogni mezzo di sostentamento. Lo stesso veniva, inizialmente, affidato al Centro Diocesano di solidarietà di Pordenone e, da questo, in data 17 gennaio 1996, con decreto del Tribunale per i Minorenni di Trieste al Comune di Pordenone affinché provvedesse a “idoneo collocamento”. 1.1 In data 28 febbraio 1996 la “Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato”, pur negando lo status richiesto, tuttavia, riconosceva l’esistenza di una situazione in Ruanda tale da giustificare la circostanza che il giovane non venisse rimpatriato e, quindi, che lo stesso venisse accolto nel nostro territorio, almeno fino a quando in Ruanda fosse cessato il conflitto interno. 1.2 Contro il surriferito provvedimento di diniego dello status di rifugiato veniva proposto il primo dei ricorsi in epigrafe, deducendone l’illegittimità per eccesso di potere per inadeguatezza istruttoria, difetto e contraddittorietà della motivazione. Nel frattempo il giovane […] riusciva a superare molte difficoltà e iniziava a frequentare l’Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato; in data 30.08.1997, all’odierno ricorrente, veniva notificato il provvedimento emesso dal Prefetto di Pordenone di espulsione dal territorio dello Stato per avere violato le norme che disciplinano l’ingresso in Italia e il soggiorno degli stranieri. Conseguentemente, il Questore di Pordenone gli intimava di abbandonare il territorio dello Stato entro quindici giorni dalla notifica dello stesso. Il provvedimento di espulsione e l’intimazione ad abbandonare il territorio dello stato vengono impugnati con il secondo ricorso deducen58 Prima di esaminare in dettaglio i ricorsi, riuniti per connessione oggettiva e soggettiva, appare opportuno illustrare brevemente la normativa che in Italia regola il riconoscimento dello status di rifugiato. Viene innanzi tutto in rilievo il dettato della costituzione: l’articolo 10 comma 3 Cost. esprime un principio in favore del rifugiato politico, che deve essere di guida non solo per il legislatore, ma anche per la pubblica amministrazione. Detta norma riconosce invero la qualità di rifugiato politico avente diritto ad asilo allo straniero perseguitato dalle autorità del Paese d’origine, per aver preteso di esercitare libertà democratiche non dissimili da quelle riconosciute nell’ordinamento italiano e che si trovi nell’impossibilità di rientrare in patria, senza esporsi al rischio delle sanzioni gravissime previste dal regime in carica per i dissenzienti. Viene poi in rilievo la nozione di rifugiato contenuta nella Convenzione di Ginevra del 1951 e resa esecutiva in Italia con L. 722 del 24.7.54, secondo cui è rifugiato colui che, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un particolare gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal paese di cui è cittadino e non può o non vuole avvalersi della protezione di questo paese. Secondo un noto orientamento giurisprudenziale internazionale, lo status di rifugiato deve essere accordato qualora l’interessato abbia subito la violazione di quei diritti umani fondamentali sanciti da documenti internazionali che indichino inconfutabilmente l’assenza di protezione da parte del paese d’origine. A tale riguardo rileva il paragrafo 65 del manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato, pubblicato a cura dell’alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, rubricato sotto la dicitura g) gli “Agenti della persecuzione” che così afferma: La persecuzione è normalmente riferita alla condotta dell’autorità di un Paese; essa può essere però svolta da gruppi della popolazione che non si adegua alle norme delle leggi del Paese. A titolo esemplificativo, si può citare l’intolleranza religiosa, spinta fino alla persecuzione, che può aversi in un paese laico ove più ampi settori della popolazione non rispettano le convinzioni religiose altrui. Pertanto la persecuzione va intesa anche nella mancanza ed incapacità di un governo di proteggere i diritti umani della sua popolazione, incapacità intesa quindi anche come assenza di volontà di proteggere. 59 L’ingresso del rifugiato nel territorio nazionale è regolamentato in maniera differente da quello del migrante economico. La differenza è rilevante in quanto mentre l’ingresso del migrante economico è subordinato al possesso di una serie di requisiti formali, tra cui un passaporto valido o un documento equipollente, nonché, se necessario, il visto, titolo per ottenere l’ingresso del rifugiato è la semplice presentazione di un’istanza motivata e se possibile documentata. L’esecutorietà del provvedimento espulsivo di uno straniero che richieda lo status di rifugiato, violerebbe peraltro anche l’art. 3 della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti (ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 498 del 3.11.88), che è stata interpretata come tendente a proibire anche le forme di allontanamento che comportino di fatto tale trattamento. Infatti, secondo il parere della Commissione europea, l’espulsione può in certe condizioni rappresentare un trattamento inumano e degradante ai sensi dell’art. 3. Sulla base della normativa applicabile e di quanto fin qui illustrato, risulta palese che lo status di rifugiato va rapportato ad una vasta tipologia di situazioni, mutevoli nel tempo e riferite alle più varie realtà locali, anche se la soglia sotto la quale scatta la persecuzione tutelata dalla Convenzione è usualmente inferiore a quella garantita dal nostro ordinamento costituzionale. La prima questione è il carattere della persecuzione, in atto o temuta, che deve (secondo una costante giurisprudenza) risultare personale e diretta, mentre non sarebbe sufficiente un semplice riferimento alla situazione politica ed economica del Paese di provenienza, ovvero un generico e non meglio precisato dissenso verso la politica perseguita dal Governo. Altrettanto insufficiente per ottenere lo status di rifugiato appare l’aspirazione, indubbiamente legittima e commendevole, a migliori condizioni di vita civile e democratica. Se in astratto i limiti suindicati appaiono chiari, la realtà del mondo di oggi, con persecuzioni attuate da governi legittimi, con gruppi di ribelli armati, con innumerevoli guerre a sfondo tribale, etnico o addirittura religioso, rende complesso l’esame delle singole fattispecie. Sicuramente si può affermare che, anche nell’attuale situazione di alcune aree, certo non caratterizzate dal rispetto ai diritti umani, non risulta sufficiente l’appartenenza ad una etnia, sia pure in posizione di difficoltà, per ottenere lo status di rifugiato: ad esempio non può bastare la semplice appartenenza all’etnia albanese del Kosovo, ovvero a quella curda dell’Iraq per rendere – perciò solo eleggibile un soggetto al riconoscimento dello status di rifugiato. 60 È comunque necessario un quid pluris, dato da una persecuzione specificamente rivolta al richiedente, sia pure eventualmente collegata a ragioni razziali o etniche. Quanto detto, porta inevitabilmente a considerare l’altra questione, quella cioè dei mezzi di prova. Evidentemente le notizie di stampa, ovvero i comunicati dei vari Governi, non possono risultare sufficienti a fondare la convinzione della Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato prima e quella del giudice poi. Altrettanto insufficienti appaiono poi le semplici dichiarazioni dell’interessato, soprattutto ove non risultino corroborate da prove. Su tale aspetto va peraltro rilevato che, paradossalmente, tanto più grave risulta la persecuzione, tanto minore è la possibilità per l’interessato di fornire prove certe. Pertanto, si tratta quasi sempre di prove di carattere indiziario collegate a fatti notori, come la persecuzione degli appartenenti ad una determinata etnia o religione. Questi due elementi, la varietà delle situazioni persecutorie tutelate dalla Convenzione di Ginevra e la oggettiva difficoltà di provare la persecuzione, richiedono un esame particolarmente attento delle domande da parte della Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato ed una motivazione delle sue decisioni particolarmente incisiva, specie in caso di diniego. Ciò premesso, il presente ricorso va ora esaminato in dettaglio. Il primo gravame censura il diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, deducendone l’illegittimità per violazione di legge e carenza e contraddittorietà della motivazione. Il rilievo è fondato. Secondo quanto detto in linea di principio, spetta all’amministrazione la rigorosa motivazione, in caso di diniego, sull’insussistenza della condizione di pericolo dell’incolumità personale del richiedente, per motivi, nella specie, di appartenenza all’etnia “perdente” nel conflitto civile in corso nel Paese di origine del ricorrente. Orbene, mentre da un lato è notoria la situazione di pericolo ivi esistente per la popolazione – tanto che, per esempio, è stata considerata legittima la fuga da campi ONU perché ritenuti inidonei alla protezione degli appartenenti all’etnia “Hutu” –, l’atto impugnato omette totalmente di spiegare le ragioni della ricordata insussistenza, ponendosi poi in contrasto con tale assunto laddove invece riconosce il particolare contesto che consiglia di non rimpatriare il ricorrente fin quando perduri tale critica situazione. All’accoglimento del primo ricorso consegue quello del secondo, risultando tutti i provvedimenti con questo impugnati atti consequenziali e necessitati dal diniego di riconoscimento dello status di rifugiato di cui si è accertata l’illegittimità. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. 61 P.Q.M. il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, definitivamente pronunziando sui ricorsi in è premessa, riuniti per connessione, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, li accoglie, con conseguente annullamento degli atti impugnati. ◆ Consiglio di Stato Sez. IV, sent. n. 291 del 18 marzo 1999 Massima La generica gravità della situazione politico-economica (al pari della stessa mancanza dell’esercizio della libertà democratica), se sono sufficienti per l’ottenimento dell’asilo politico, previsto dall’articolo 10, comma terzo, della Costituzione, anche solo in presenza di una situazione di mancanza di libertà democratiche nel paese di origine, non sono di per sé sufficienti a costituire i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della legge 28 febbraio 1990 n. 39 essendo necessario, a questo fine, che la specifica situazione soggettiva del richiedente, in rapporto alle caratteristiche oggettive sussistenti nel suo paese, siano tali da far ritenere – come rilevato in precedenza – l’esistenza di un grave pericolo per l’incolumità della persona. ◆ Si costituivano la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’Interno sostenendo: a) l’inammissibilità della domanda per difetto di giurisdizione in difetto di normativa di attuazione; b) l’inammissibilità della domanda per difetto di collegamento territoriale con lo Stato Italiano; c) in subordine, l’infondatezza nel merito della domanda. Nel procedimento interveniva ex art. 70 c.p.c. il P.M. presso il Tribunale chiedendo in via principale la declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice ordinario ed, in via subordinata, il rigetto della domanda attrice per difetto del requisito essenziale della permanenza nel territorio italiano per avere l’Ocalan abbandonato volontariamente il nostro Paese. Interveniva volontariamente anche la Repubblica di Turchia che contestava il fondamento della domanda; con successivo atto depositato il 23 febbraio 1999 la Repubblica turca dichiarava, tramite il proprio rappresentante diplomatico, di non voler ulteriormente prendere parte al procedimento. Intervenivano inoltre l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), il CIR, Consiglio Italiano per i rifugiati Onlus, L’Associazione Giuristi democratici di Torino che chiedevano l’accoglimento della domanda attrice. Nel corso dell’istruttoria, concessi alle parti i termini ex art. 180 CPC, era respinta una richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 213 CPC. All’udienza del 6 maggio 1999 la difesa dell’attore depositava ulteriore documentazione. Ammessa ed espletata prova testimoniale, sulle conclusioni riportate in epigrafe e previa discussione orale ex art. 190 bis c.p.c., la causa è passata in decisione all’udienza del 20 settembre 1999. Tribunale di Roma - 2ª sez. Civile sent. 1 ottobre 1999 - est. De Fiore Nel procedimento (omissis) tra Abdullah Ocalan (omissis) e Presidenza del Consiglio dei Ministri (omissis) e Ministero dell’Interno (omissis) (omissis); oggetto: riconoscimento del diritto di asilo politico. (omissis) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 21 dicembre 1998 Abdullah Ocalan esponeva: (omissis) 62 MOTIVI DELLA DECISIONE Deve preliminarmente dichiararsi l’ammissibilità dell’intervento della Associazione per gli Studi Giuridici sull’immigrazione, dell’Associazione Giuristi Democratici di Torino e del Consiglio Italiano per i Rifugiati - Onlus. Infatti l’art. 6 dello Statuto dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione annovera fra le finalità dell’Associazione quella di “fornire assistenza legale e costituirsi in giudizio ovvero, se necessario, promuoverlo o resistere, per l’affermazione e tutela dei diritti e interessi dello straniero.” Con formulazione più generale, ma parimenti pregnante ai fini che ci occupano, l’art. 2 dello Statuto dell’Associazione Giuristi Democratici 63 elenca tra i propri fini quello di “sostenere ogni azione in difesa dei diritti dell’uomo, della libertà dei popoli...”. Parimenti la lettera f) dell’art. 2 dello Statuto del CIR, Consiglio Italiano per i Rifugiati, annovera specificamente tra gli scopi associativi quello di “monitorare le iniziative, le fasi e le modalità di corretta attuazione ed efficace applicazione sul territorio delle normative sul diritto d’asilo.... adoperandosi affinché la legislazione sia rispettata ed applicata dalle autorità competenti”. Pertanto deve ritenersi che sussiste con riguardo agli interventi suddetti un collegamento diretto tra l’interesse degli intervenienti in relazione ai fini istituzionali statutoriamente previsti e quello posto a fondamento della domanda attrice diretta al conseguimento del diritto d’asilo, che richiede – ai fini del riconoscimento della sua fondatezza – una valutazione complessa tale da attingere anche i diritti fondamentali dell’individuo e la libertà dei popoli. Di conseguenza, gli interventi spiegati dall’ASGI, dall’Associazione Giuristi Democratici di Torino e dal Cir devono dichiararsi ammissibili ai sensi dell’art. 105, 2º co. CPC, configurandosi come interventi adesivi dipendenti. Né può obiettarsi che le associazioni de quibus non possono vantare un diritto soggettivo nei confronti delle parti originarie dal processo: infatti l’intervento adesivo dipendente ex art. 105, 2 co. cpc non è caratterizzato dall’esistenza di un diritto soggettivo nei confronti delle parti originarie del processo, ma dall’esistenza di un interesse giuridico ad un determinato esito della controversia in favore della parte adiuvata perché, in caso contrario, la soccombenza in giudizio per l’efficacia riflessa del giudicato si ripercuoterebbe anche nei confronti delle parti intervenute (Cass. Sez. I 11 luglio 1988 n. 4570). Ciò è tanto più vero in una vicenda come questa oggetto del presente giudizio la quale – per la portata emblematica che riveste – assume un risalto che travalica l’ambito giudiziario. Le medesime considerazioni non sembrano valere per l’Associazione Tutela e Sostegno della quale non è dato conoscere i fini istituzionali, non essendo stato depositato lo Statuto dell’Associazione e non essendo stati specificati neanche i compiti statutari (il fascicolo di parte non è allegato agli atti, né risulta depositata la comparsa conclusionale). Pertanto il detto intervento deve essere dichiarato inammissibile. Nel merito la domanda attrice si fonda sul disposto dell’art. 10, 3 co. della Costituzione il quale stabilisce: “Lo straniero al quale sia impedito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana ha diritto di asilo nel territorio della repubblica secondo le condizioni della legge”. La norma costituzionale – ad avviso del giudicante che aderisce all’orientamento espresso dalla S.C. nella sentenza a Sez. Unite del 12 di64 cembre 1996 - 26 maggio 1997 n. 4674 nonché alle opinioni espresse dalla migliore dottrina – ha un indubbio nucleo precettivo; infatti essa è di per sé idonea a regolare gli aspetti salienti dell’istituto quanto ai presupposti e al contenuto e, d’altra parte, contiene una precisa delimitazione dei poteri delle leggi ordinarie che, in una prospettiva futura, dovranno disciplinare le condizioni di esercizio del diritto di asilo (la norma costituzionale pone certamente un divieto, ad esempio, alla limitazione del beneficio agli appartenenti di determinati paesi; ovvero alla ottemperanza di condizioni formali da parte dell’esitante ovvero, ancora, alla previsione di requisiti e situazioni soggettive diverse ed ulteriori rispetto a quanto previsto dal dettato costituzionale). Il diritto di asilo si configura, quindi, come un diritto soggettivo perfetto che sorge in capo allo straniero allorché venga accertato l’impedimento nel Paese di origine all’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana (art. 10, 3 co. Costituzione). Né può obiettarsi che tale accertamento “senza il filtro di una normativa di attuazione” esula dai poteri del giudice, perché affidare al giudice la valutazione sulla “democraticità” di un ordinamento straniero significherebbe accettare ipotesi di responsabilità internazionale dello Stato Italiano per attività del suo potere giudiziario. Invero, in nessun caso, al di fuori della violazione delle limitazioni risultanti da accordi internazionali, la concessione dell’asilo può concretare di per sé un illecito da parte dello Stato il quale – nell’esercizio della sua sovranità – tale diritto ritenga di riconoscere allo straniero. Inoltre occorre considerare che la legge ordinaria non può modificare il presupposto a cui il dettato costituzionale subordina il sorgere del diritto di asilo né, tantomeno, diversamente condizionarlo. In sostanza al giudice, che sia chiamato a decidere sulla domanda di asilo dello straniero, sarà indefettibilmente sottoposta, anche se intervenuta un’organica disciplina del disposto costituzionale, la valutazione circa la effettiva democraticità dell’ordinamento giuridico della Patria dell’asilante. Del resto una valutazione, analoga quanto a portata politica anche se affatto diversa per il contenuto, è quella demandata al Giudice investito della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi del d.l. n. 416/1989 (giudice amministrativo quantomeno nel vigore dell’art. 5, 2 co. Legge di conversione, peraltro abrogato dall’art. 46 Legge n. 40/1998 e dall’art. 47 d.lgs. n. 286/96). Tale diritto, infatti, sorge allorché, ai sensi dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951, lo straniero “ritenga a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche”. Si tratta, quindi, di due diritti (quello vantato dal richiedente il rifugio e quello dell’asilante) diversi per presupposti (vedi sent. Cass. Sez. Un. cit.) sicché le due categorie – definite, peraltro, un criterio puramen65 te concettuale dalla Costituzione e con un diverso criterio attinente ad una specifica situazione personale dalla Convenzione – non coincidono (né può oscurare tale distinzione la confusione terminologica in cui spesso le Convenzioni internazionali e le leggi che le rendono esecutive incorrono). Le due situazioni soggettive si diversificano, inoltre sotto il profilo della fonte giuridica da cui scaturiscono: il diritto al rifugio ha origine da una norma convenzionale internazionale, il diritto all’asilo da una previsione costituzionale che, con una scelta politica precisa, ha inteso porre non già una enfatica dichiarazione di principio, bensì un preciso precetto giuridico. Che tale distinzione sia insita ed accettata nel nostro sistema giuridico è, poi, ulteriormente provato dal fatto che nel disegno di legge inteso a disciplinare la materia, attualmente all’esame del Senato, esso è riprodotto. In comune i due istituti hanno senza dubbio l’origine storica ed il carattere umanitario e solidaristico che li ispirano, caratteristica vieppiù accentuata per il diritto di asilo consacrato in una norma costituzionale. Sotto questo profilo deve essere ricordato l’art. 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo, sottoscritta anche dalla Repubblica Turca, che sancisce il diritto assoluto di ciascun individuo ad ottenere e godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni. La Dichiarazione sull’Asilo territoriale adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 15 dicembre 1967 soggiunge poi: a) la concessione da parte di uno stato dell’asilo a persone che possano invocare l’art. 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo costituisce un atto pacifico e umanitario che, in quanto tale, non deve essere considerato un atto ostile nei confronti di un altro Stato; b) l’asilo accordato da uno Stato, nell’esercizio della sua sovranità, a persone che possono invocare l’art. 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo deve essere rispettato da tutti gli altri Stati. In questa ottica, da cui esula ogni profilo di conflitto tra Stati, deve essere collocata e valutata la richiesta di concessione di diritto di asilo che l’attore ha introdotto con il presente giudizio. Occorre, quindi, passare all’esame in ordine all’esistenza della condizione fondamentale alla quale la Costituzione subordina il riconoscimento del diritto di asilo: l’impedimento nel Paese di origine dell’attore all’effettivo svolgimento delle libertà democratiche, garantite ed assicurate, invece, dalla nostra Costituzione. Dall’amplissima documentazione prodotta e dalle risultanze delle prove testimoniali può ritenersi accertato: A) Rispetto dell’integrità della persona (artt. 2, 13, 14, 16, 24 e 27 della Costituzione Italiana) con particolare riferimento: 66 A1) Omicidi politici, stragi, sparizioni Si legge testualmente nel rapporto del Dipartimento di Stato degli USA sui diritti umani in Turchia emesso dallo speciale ufficio dello stesso Dipartimento il 26 febbraio 1999 (doc. n. 19 nuova produzione): “Nonostante il Primo Ministro Yilmar abbia dichiarato che i diritti umani sarebbero stati la priorità del Governo nel 1998, gravi abusi dei diritti umani sono continuati... Omicidi extragiudiziali comprese le morti sotto detenzione a causa dell’uso eccessivo della forza, ‘omicidi misteriosi’ e scomparse continuano...”. Sul piano giurisdizionale sono intervenute la sentenza della Corte Europea di Strasburgo del 19/02/98 in merito al caso Kaya nonché la successiva sentenza della stessa Corte del 25 maggio 1998 in merito al caso Kurt (doc. nn. 5 e 6 produzione originaria) che hanno riconosciuto la responsabilità del Governo Turco nell’aver condotto un’inchiesta inadeguata sulla scomparsa dei due cittadini in seguito ad un’operazione delle forze di sicurezza governative. Il rapporto annuale di Amnesty International del 1997 e quello del 1998 (doc. n. 11 e 12 della produzione originaria) indicano rispettivamente in 23 ed in 9 il numero delle persone sparite misteriosamente durante la prigionia. In questo quadro assume drammatica veridicità quanto riferito dal teste (omissis) circa il rinvenimento in una discarica presso la cittadina di Siirt di 73 corpi (quelli da lui identificati) e le persecuzioni (compreso il carcere) da lui subite per aver pubblicato la notizia (l’inchiesta sul fatto venne messa a tacere dall’Autorità). Omissis. A2) Tortura e trattamenti inumani e degradanti Risale a data non lontana (24 dicembre 1997) il rapporto del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti e delle pene disumane e degradanti (doc. n. 7 nuova produzione) che segnala l’uso diffuso della tortura in Turchia “anche su un significativo numero di bambini”. Ancora più recentemente (26 febbraio 1999) il Dipartimento di Stato, nel già citato rapporto, informa che la tortura rimane una pratica diffusa sia da parte della Polizia che delle squadre antiterrorismo. Numerose sono, poi, le risoluzioni del Parlamento Europeo che stigmatizzano e censurano l’uso della tortura e la prassi dei maltrattamenti nei confronti dei prigionieri (cfr. per tutte: Risoluzione del 20 giugno 1996: n. 29 originaria produzione). In questo quadro assume verosimiglianza la deposizione del teste Frisullo il quale, nel raccontare la sua esperienza carceraria in Turchia, ha riferito che la pratica della tortura non risparmia né i detenuti politici né quelli comuni. Sul piano giurisdizionale è intervenuta la sentenza della Corte di 67 Strasburgo del 18 dicembre 1996 (doc. nº 3 produzione originaria) che ha accertato come Zeki Aksey, cittadino turco, sospettato di essere simpatizzante del PKK, fu crudelmente torturato nel corso del lungo periodo di fermo di polizia a cui venne sottoposto (Aksey fu assassinato in circostanze misteriose nell’aprile del 1994). A3) Arresti e detenzioni arbitrari Vi sono agli atti le decisioni n. 37/1994 e n. 38/1994 (doc. n. 8 nuova produzione) da parte del gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria della Commissione dei diritti umani che hanno accertato e dichiarato l’illegalità della detenzione di (...) cittadini turchi entrambi di etnia curda, arrestati e detenuti per reati di opinione ai quali venne arbitrariamente applicata la legge antiterrorismo. Con la già citata sentenza del 18 dicembre 1996 (caso Aksey) la Corte di Strasburgo ha condannato, tra l’altro, la Turchia per la violazione dell’art. 5 della Convenzione dei diritti dell’uomo; la Corte – dopo aver sottolineato nella motivazione – che il controllo di interferenze con i diritti di libertà dell’individuo da parte dell’esecutivo è un aspetto essenziale della garanzia rappresentata dall’art. 5 paragrafo 3 della citata convenzione che sancisce l’obbligo di pronta presentazione al giudice dell’arrestato o del fermato, ha confutato l’obiezione del Governo Turco che si appellava alle esigenze particolari delle indagini di polizia in un’area minacciata da un’organizzazione terroristica, affermando testualmente che “la Corte non può accettare che sia necessario trattenere un sospetto per 14 giorni senza controlli giudiziari. Tale periodo era eccezionalmente lungo ed aveva lasciato il ricorrente vulnerabile non solo alle interferenze arbitrarie con il suo diritto alla libertà, ma anche alla tortura... Inoltre il governo non ha addotto alcun motivo dettagliato sul perché la lotta al terrorismo nella Turchia sudorientale non rendesse attuabili gli interventi giudiziali”. A4) Uso eccessivo della forza e violazioni delle leggi umanitarie nei conflitti interni La sentenza della Corte Europea di Strasburgo del 16 dicembre 1996 (caso Huseyin Akdivar e Ahmet Cicek; doc. n. 4 originaria produzione) ha accertato che le forze di polizia incendiarono arbitrariamente le abitazioni dei richiedenti e che nessuna giustificazione è stata presentata dal Governo Turco il quale “ha limitato la sua reazione al negato coinvolgimento delle forze di sicurezza nell’incidente”. Si legge, poi, nel più volte citato rapporto del Dipartimento di Stato che “la maggior parte delle stime concorda circa il numero di 2600/3000 tra paesi e villaggi che sono stati spopolati. Alcune organizzazioni non governative indicano il numero delle persone forzatamente trasferite in due milioni”. Ad uno di questi episodi si è riferito il teste (...) il quale ha ricordato come aveva assistito all’incendio di due piccoli villaggi (in uno di 68 essi vi era la sua abitazione), aggiungendo che nei luoghi dove viveva (egli è di etnia curda) vi era stata una sistematica distruzione delle foreste e dei boschi al fine di costringere la popolazione ad una forzata emigrazione. A5) Diniego di un processo pubblico e giusto Il teste (...) ha riferito, con precisione convincente, in ordine all’effettiva conduzione delle istruttorie e dei procedimenti dibattimentali che sono ben lontani dal rispettare la garanzia del diritto di difesa così come previsto dalla Costituzione Italiana e realizzato nel diritto vivente. Nel rapporto dell’Ufficio per la democrazia ed i diritti umani del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti si evidenziano le numerose anomalie, fonte di soprusi che derivano dalla costituzione e dalla gestione dei Tribunali per la Sicurezza dello Stato (SSC) le cui decisioni, tra l’altro, possono essere impugnate solamente presso un dipartimento speciale dell’Alta Corte di Appello. B) Rispetto delle libertà civili (artt. 18, 21 e 49 della Costituzione) con particolare riferimento: B 1) Libertà di parola e di stampa La risoluzione del Parlamento Europeo del 12 dicembre 1996 (doc. n. 31 nuova produzione) descrive una situazione complessiva che impedisce di fatto ai giornalisti di operare liberamente, attuata attraverso intimidazioni di ogni genere (arresti, sparizioni, distinzioni delle sedi). Omissis In questo contesto si colloca l’esperienza del teste (...) (già ricordato) il quale venne costretto alla fuga ed all’esilio per aver tentato di far chiarezza sul retroscena della strage di Siirt. B2) Libertà di associazione L’associazione per la tutela dei diritti umani di Ankara (doc. n. 10 originaria produzione) segnala che dal gennaio al novembre 1997 i “raid” nei confronti di sindacati, associazioni e partiti sono stati ben 189, mentre 147 sono stati i sindacati, le associazioni ed i partiti che sono stati soppressi per ordine delle Autorità. In atti vi è la circostanziata deposizione del teste (...) il quale ha riferito tutta la serie di persecuzioni sofferte (che lo costrinsero ad abbandonare la Turchia) sia quale difensore di imputati di separatismo sia quale promotore di un’associazione alla quale aderivano in prevalenza studenti di etnia curda, sorta per affermare e tutelare i diritti di libertà di tutti gli studenti. B3) Partiti politici L’appello del 29/03/1999 di Lord Avenbury (vedi doc. n. 4 nuova produzione), presidente della Commissione dei diritti umani della Camera dei Lord, denuncia con forza la antidemocraticità del procedimento elettorale che ha portato alle recenti elezioni, mettendo in evidenza, in particolare, la repressione nei confronti dell’Hadep (Partito della 69 Democrazia del Popolo) il quale “è determinato ad offrire alla popolazione Kurda la possibilità di rafforzare un’alternativa reale ai partiti Kemalisti ed islamici”. Sul piano giurisdizionale, è estremamente significativa la sentenza della Corte Europea di Strasburgo in data 30 gennaio 1998 (doc. n. 13 nuova produzione) che, con verdetto unanime, ha ritenuto illegittimo ed ha annullato lo scioglimento del TBRP (Partito Comunista Unificato della Turchia) disposto dalla Corte Costituzionale Turca prima che il partito iniziasse a svolgere la propria attività, sulla base dell’atto costitutivo e dello Statuto che si proponevano come obiettivo il tentativo “di trovare una soluzione del problema curdo attraverso il libero dibattito e nel rispetto delle leggi democratiche affinché i popoli turco e curdo possano convivere di loro spontanea volontà entro i confini della Repubblica sulla base dell’eguaglianza dei diritti... (vedi paragrafo 56 della parte motivata). Gli stessi argomenti sono posti a fondamento della successiva sentenza della Corte di Strasburgo in data 25 maggio 1998 (doc. n. 14 nuova produzione) che ha sancito l’illegittimità dello scioglimento del Partito Socialista Turco, disposto anch’esso sulla base delle affermazioni di principio contenute nello Statuto che auspicavano la soluzione del problema curdo su basi democratiche e con metodo pluralista. B4) Discriminazione in relazione alla razza (art. 3 della Costituzione) È questo un passaggio fondamentale al fine della valutazione della situazione della democrazia in Turchia. La previsione dell’art. 3 della Costituzione Turca: “ Lo Stato Turco costituirà con il suo territorio e nazione, un’entità indivisibile”, dell’art. 4: “ Nessun emendamento potrà essere presentato o proposto... da quanto previsto dall’art. 3” dell’art. 14: “Nessuno dei diritti e delle libertà cui si riferisce la Costituzione potrà essere esercitato allo scopo di mettere in pericolo l’integrità dello Stato e l’unità della Nazione”, sono assunti dal Governo Turco come valori assoluti ed intangibili, insuscettibili di essere verificati e controllati nella realtà concreta e nel mutare della storia. I gravi eccessi e le cospicue limitazioni alle libertà fondamentali di cui si è fatto cenno nell’esposizione precedente diretti a discriminare la popolazione curda della quale si arriva a negare l’identità (i curdi sono chiamati turchi delle montagne; non è lecito esprimersi in lingua curda) trovano giustificazione in questo atteggiamento monistico che determina l’assoluta chiusura al dialogo ed al confronto con le minoranze nazionali ed etnico-linguistiche. La vicenda di Leyla Zana, Hatip Dicle, Selin Sadak e Orhan Dagan, tutti di etnia curda ed eletti al Parlamento nel 1991, appare esemplare. Essi, privati dell’immunità parlamentare, vennero condannati a 15 anni di reclusione per aver indossato sui loro abiti, all’atto dell’insediamento 70 nel Parlamento, i colori tradizionali curdi ed enunciato (esprimendosi in lingua curda) il loro programma politico che si proponeva l’obiettivo “che il popolo curdo e quello turco possano vivere pacificamente in un ambiente democratico” (vedi rapporto dicembre 1997 di Amnesty International: doc. n. 45 originaria produzione). Ancora oggi Layla Zana, premio Sacharov per la pace, ed i suoi compagni di lotta sono detenuti nella prigione centrale chiusa di Ankara. Conclusivamente, alla stregua degli accertamenti e delle considerazioni in precedenza formulate, deve ritenersi che in Turchia – malgrado alcuni passi avanti recentemente effettuati – sussista una diffusa compressione delle libertà fondamentali dell’individuo e, più specificatamente, per gli appartenenti all’etnia curda, un impedimento all’effettivo esercizio delle libertà democratiche che la nostra Costituzione garantisce. Sussiste, pertanto, la essenziale condizione perché sia accertato e dichiarato il diritto di Abdullah Ocalan all’asilo politico in Italia ai sensi dell’art. 10, 3 co. della Costituzione. È pur vero che, tra le libertà fondamentali riconosciute dalla Costituzione Italiana, non vi è quella di agire e operare contro di essa (alla quale, al contrario, si ètenuti ad obbedire ed essere fedeli), cosi che può sostenersi che l’art. 10, 3º co. non si estende a coloro che, come l’attore, abbiano compiuti atti contrari alla Costituzione del loro Paese e siano, in conseguenza perseguiti nelle forme legali. Tuttavia occorre considerare che l’art. 10 ult. co. (“non è ammessa l’estradizione dello straniero per motivi politici”) integra e completa la previsione dell’art. 10, 3 co. Tale norma, in sostanza, estende l’asilo politico a tutti coloro che siano legalmente perseguiti nel loro Paese per l’attività politica posta in essere. Sul piano internazionale la Convenzione Europea di estradizione di Parigi del 19 dicembre 1957, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 30 gennaio 1963 n. 300 (alla quale ha aderito anche la Turchia) – regolamentando il regime delle “infractions politiques” – prevede che l’estradizione non sia concessa dallo Stato richiesto qualora questo ritenga che il reato sulla base del quale si chiede l’estradizione sia di natura politica o costituisca un fatto connesso ad un reato di tale natura (art. 3 comma 1); l’art. 3 comma 2 stabilisce, ad ulteriore garanzia dell’estradando, che l’estradizione non verrà concessa nel caso che lo Stato richiesto “abbia dei seri motivi di credere che la domanda di estradizione, per motivata da un reato di diritto comune, sia stata presentata per perseguire o punire un individuo per considerazioni di razza, religione, nazionalità ed opinioni politiche oppure che la situazione di detto individuo rischi di essere aggravata da una qualsiasi di queste ragioni”. La stessa natura delle imputazioni (quale risulta dalla richiesta di estradizione da parte della procura Generale presso la Corte di Appello allegata agli ahi) e la figura dell’Ocalan, oppositore del Governo Turco e 71 leader di una formazione politica che ha intrapreso la lotta armata per il riconoscimento dei diritti di un popolo, rendono indubbio che quelle situazioni – ritenute dalla norma internazionale rischiose per l’obiettività del giudizio che il Paese richiedente intende celebrare nei confronti dell’estradando – siano effettivamente ricorrenti nella specie. Pertanto l’attività criminosa contestata ad Ocalan non può determinare – in forza del preciso obbligo assunto dall’Italia con la detta Convenzione – la sua estradizione con la ulteriore conseguenza che tale attività non può essere considerata di impedimento al riconoscimento del diritto di asilo. Sul piano del diritto interno, può richiamarsi l’orientamento giurisprudenziale, prevalente quantomeno tendenzialmente, che in tema di delitto politico – integra il criterio soggettivo su cui si fondava l’interpretazione dell’art. 8 c.p. con gli aspetti di oggettiva gravità dei fatti. A tale orientamento è sottesa l’esigenza di contemperare la rilevanza del delitto politico ai fini estradizionali con la tutela dei valori umani di carattere universale (Cass. I Sez. Pen. 27 febbraio 1989 Gomez; Cass. I Sez. Pen. 17 febbraio 1992 Khaled). L’elemento di novità introdotto da questa interpretazione degli artt. 10 e 26 della Costituzione consiste nella necessità – ai fini della qualificazione del delitto politico nelle singole fattispecie – di un bilanciamento del rilievo del delitto politico con “i valori umani primari e irrinunciabili consacrati nella nostra Costituzione” che il delitto abbia offeso o posto in pericolo. Orbene in questo bilanciamento – se da una parte viene in gioco il peso dell’offesa – non si possono ignorare, ad avviso del Giudicante, il valore della finalità e la dignità della causa che hanno ispirato l’azione delittuosa. Pertanto, ai fini della qualificazione di un delitto come “delitto politico” ai sensi della previsione costituzionale è necessario: a) l’individuazione da compiersi sul piano dell’assolutezza dei valori di un obiettivo politico quale movente dell’azione; b) la comparazione tra tale obiettivo, inquadrato nella realtà storica al fine di saggiarne la validità e l’irrinunciabilità, con la gravità dell’offesa. Dal rapporto di questi due termini si deve trarre il giudizio conclusivo, per cui l’azione delittuosa anche se abbia reso offesa a valori primari previsti dalla Costituzione, ha pur sempre un valore politico. Nella specie la spinta ideale dell’attività di Ocalan (che ha dato luogo a delitti obiettivamente gravi) è stata costantemente il riconoscimento dei diritti del popolo curdo, diritti fino ad ora contestati e conculcati. Tale motivazione – politica sul piano dei valori assoluti e certamente degna di considerazione sia nell’attuale contesto che in una prospettiva storica – funge da contrappeso all’entità delle offese arrecate. 72 Pertanto, anche sul piano del diritto interno, per effetto del divieto di estradizione posto costituzionalmente per i diritti politici, sussiste il diritto dell’attore a non vedersi estradato così che, sotto questo profilo, l’attività delittuosa a lui contestata non può condizionare negativamente il riconoscimento del diritto di asilo. La difesa delle Amministrazioni convenute obietta ulteriormente che, in seguito ai noti eventi (Ocalan si è allontanato volontariamente dall’Italia e si trova attualmente ristretto nella prigione di Imrali; nei suoi confronti è stata pronunciata una condanna a morte da parte di un Tribunale Turco) manca la relazione con il territorio dello Stato (che sarebbe condizione necessaria per il conseguimento del diritto di asilo) e fa difetto nell’attore lo stesso interesse ad agire “essendo attualmente impossibile quel concreto riconoscimento o disconoscimento di un bene della vita che costituisce funzione della giurisdizione”. Deve, al contrario, ritenersi che la presenza del richiedente il diritto di asilo nel territorio dello Stato non è condizione necessaria per il conseguimento del diritto stesso. La presenza non è, infatti, richiesta nella previsione costituzionale che prevede e regolamenta nei suoi aspetti essenziali il diritto di asilo. Inoltre, benché non siano state emanate nell’ordinamento giuridico italiano vere e proprie norme di attuazione del disposto costituzionale, non può negarsi che le convenzioni sui rifugiati quali la Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 resa esecutiva in Italia con legge 24 luglio 1954 n. 722 e la Convenzione di Dublino del 15 luglio 1990 resa esecutiva in Italia con legge 23 dicembre 1992 n. 253, pur essendo gli istituti del tutto diversi quanto ai presupposti, possono tuttavia essere considerate, sul piano sistematico, come un insieme di disposizioni corrispondenti al disposto dell’art. 10, 3 co. Costituzionale che, in virtù dell’analogia, concorrono a disciplinare il diritto di asilo (tali disposizione si applicano direttamente, malgrado alcuni refusi che si riferiscono al diritto di asilo, soltanto ai rifugiati). In nessuna di tali disposizioni è inserita la condizione che subordina il diritto al conseguimento del relativo status alla presenza nel territorio dello Stato, anzi l’art. 10 della legge n. 253/92 che ratifica e rende esecutiva in Italia la convenzione di Dublino prevede alcune situazioni di concedibilità del diritto di asilo (rectius: rifugio) anche allo straniero che non sia presente nel territorio dello Stato, precisando che gli obblighi suddetti “...si estinguono se lo straniero ha lasciato il territorio degli stati membri per un periodo non inferiore ai tre mesi”. Nella specie l’attore ha, è vero, lasciato il territorio dello Stato, ma, al momento della cattura che ha determinato (ovviamente) l’impossibilità del ritorno in Italia, non si erano compiuti i tre mesi di cui alla previsione normativa. Né può collegarsi la necessità di questo presupposto (la presenza 73 nel territorio dello Stato) alla struttura stessa del diritto di asilo che è detto “territoriale” soltanto per contrapposizione alla protezione accordata da parte di uno Stato al di fuori della propria sfera territoriale a individui che tale protezione richiedono (c.d. asilo “extraterritoriale”: asilo nelle sedi diplomatiche, a bordo di aeromobili). In realtà la questione della mancata presenza nel territorio dello Stato è questione che si collega all’ulteriore obiezione per cui manca nell’attore l’interesse ad agire, non potendo avere, così si argomenta, l’eventuale sentenza favorevole alcun effetto pratico. L’impossibilità pratica di Ocalan di poter usufruire concretamente, nelle condizioni in cui si trova, della concessione del diritto di asilo farebbe sì che il suo interesse a questo riconoscimento abbia una “valenza puramente ed inammissibilmente astratta”. Si deve, innanzitutto, richiamare in contrario la distinzione tra l’interesse ad agire (nella specie: il permanere dell’interesse ad agire in quanto Ocalan, al momento della proposizione della domanda, si trovava in stato di libertà in Italia) e la eseguibilità concreta della sentenza una volta intervenuta: l’obiezione della difesa delle Amministrazioni convenute sembra, infatti, attenere a questo momento che è successivo e che non riguarda la verifica della sussistenza dell’interesse ad agire come condizione dell’azione. Tuttavia, anche a voler considerare connessi i due momenti, deve osservarsi che l’elaborazione giurisprudenziale in tema di attualità e concretezza dell’interesse ad agire sembra essere arrivata ad un approdo sicuro che costituisce il limite negativo al riconoscimento di un interesse concreto ed attuale: non risponde a tali requisiti l’interesse di colui che, se non intervenisse la pronuncia giudiziale, subirebbe un pregiudizio soltanto potenziale ed astratto così che è inibito al giudice di risolvere questioni meramente teoriche al fine di una pronuncia dal contenuto astratto e congetturale (Cass. 9/10/1998 n. 10062; Cass. 23/05/1982 n. 3198). Nella specie l’attore il quale ha indirizzato al Tribunale due appelli, rispettivamente in data 16 gennaio 1999 (tramite i suoi legali) ed in data 14 febbraio 1999 nei quali ha ribadito l’importanza del procedimento per lui stesso e per la sua causa, non ha prospettato un interesse accademico, ma un interesse che riveste un’oggettiva consistenza anche se assume, nel quadro attuale, una valenza ridotta (ma non meramente teorica) rispetto alla pienezza del diritto di asilo e, nel contempo, una pregnanza più forte per effetto del preciso riferimento ideale che contiene. Infatti il riconoscimento del diritto di asilo rappresenta un elemento che può valere senza dubbio a mitigare o, comunque ad influire sulla situazione attuale dell’attore; tale riconoscimento implica, poi, l’accertamento – in una sede giudiziaria neutra ed imparziale – dell’esistenza del problema del popolo curdo e del suo diritto all’autodeterminazione o, co74 munque, a spazi di libertà e democrazia, obiettivi dell’azione politica di Ocalan. Si tratta, come già accennato, di aspetti che, sotto un certo punto di vista, rappresentano un “minus” rispetto al contenuto pieno del diritto di asilo, ma che sono, comunque, strettamente legati all’oggetto del giudizio ed alle ragioni della decisione. Tali considerazioni devono indurre a ritenere che l’interesse dell’attore ad una pronuncia favorevole non sia meramente teorico ed accademico, ma conservi concretezza ed attualità. Pertanto deve essere dichiarato il diritto di Ocalan ad ottenere l’asilo politico in Italia ai sensi dell’art. 10, 3 co. della Costituzione (in esso è compreso il diritto ad ottenere un permesso di soggiorno a tempo indeterminato). Le amministrazioni convenute devono essere condannate in solido al pagamento in favore dell’attore nonché dell’Associazione per gli Studi sull’immigrazione (ASGI), dell’Associazione Giuristi Democratici di Torino e del Consiglio Italiano per i Rifugiati delle spese processuali che, in assenza di nota spese, si liquidano come in dispositivo. Sussistono giusti motivi per compensare le spese processuali nei confronti dell’Associazione Tutela e Sostegno. P.Q.M. pronunciando sulla domanda proposta da Abdullah Ocalan (omissis) così provvede: a) dichiara l’ammissibilità dell’intervento dell’Associazione Studi Giuridici sull’immigrazione, dell’Associazione Giuristi Democratici di Torino e del Consiglio Italiano per i Rifugiati; b) dichiara l’inammissibilità dell’intervento dell’Associazione Tutela e Sostegno per le famiglie delle vittime del Pkk; c) dichiara il diritto dell’attore all’asilo politico in Italia ai sensi dell’art. 10, 3 co. della Costituzione; d) condanna la Presidenza del Consiglio ed il Ministero dell’interno in solido al pagamento in favore dell’attore delle spese processuali omissis; e) condanna, inoltre, la Presidenza del Consiglio ed il Ministero dell’interno in solido al pagamento in favore dell’Asgi, dell’Ass. Giuristi Democratici di Torino e del CIR Onlus, delle spese processuali omissis; omissis. 75 Tribunale di Roma Decreto 12 giugno 2000 - est. Lenzi Letto il ricorso presentato da […] ex art. 700 c.p.c. diretto ad ottenere la concessione di un permesso di soggiorno per asilo o in subordine per motivi di giustizia; disposta la comparizione delle parti; osserva IN FATTO con ricorso ex art. 700 c.p.c. premesso che: – è cittadino turco di etnia curda e appartiene ad una famiglia che per avere difeso e protetto militanti ed esponenti di movimenti indipendentisti curdi, ha subito in diverse occasioni incarcerazioni e torture; – è stato anche lui molte volte arrestato e torturato; in data 11.11.94 a Colonia ha inoltrato la propria domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, rigettata dalle autorità competenti; – il provvedimento di diniego è stato confermato dal Tribunale Amministrativo della città di Colonia di fronte al quale aveva impugnato lo stesso, e successivamente gli è stato notificato un decreto di espulsione; – dopo alcune settimane il ricorrente è fuggito in Francia per sottrarsi al forzato rimpatrio in Turchia ed ai gravissimi rischi che in tal caso avrebbe corso; – in data 20.04.98 ha presentato alle autorità amministrative francesi una nuova istanza di riconoscimento dello status di rifugiato che gli è stata respinta in quanto ai sensi della Convenzione di Dublino competente all’esame della domanda sarebbe la sola Germania; – dopo pochi giorni, sottraendosi nuovamente all’esecuzione dell’espulsione, si è recato a Milano dove, in un primo momento era stata accolta la sua domanda di rifugio; – solo successivamente, in data 10.01.00, dopo essersi recato all’ufficio stranieri della Questura di Milano per il rinnovo del permesso di soggiorno gli è stato comunicato il rigetto, per carenza di competenza ai sensi della Convenzione di Dublino, della propria domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, ed è stato anche informato che sarebbe stato rimpatriato in Turchia; – ha chiesto, in via cautelare, il rilascio di un permesso di soggiorno che gli consenta una legittima permanenza in Italia fino al riconoscimento del proprio diritto di asilo come sancito dall’art. 10 Cost. Disposta la comparizione delle parti la Presidenza del Consiglio 76 dei Ministri ed il Ministero degli Interni, nonostante rituale notifica, non si sono costituiti. Sentito il ricorrente, e modificata in parte la domanda originaria nel senso di chiedere, in via subordinata, la sospensione del decreto di espulsione, il G.D. ha riservato la decisione. IN DIRITTO Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 4674 del 1997, si sono pronunciate sull’applicabilità diretta dell’art. 10 della Cost., oltre a configurare “un vero e proprio diritto soggettivo all’ottenimento dell’asilo” a favore dello straniero che versi nelle situazioni contemplate dalla norma con conseguente competenza del giudice ordinario a decidere della domanda relativa, avrebbe portata precettiva relativamente alla possibilità di accoglienza dello stesso nel territorio, “anche in mancanza di una legge che, del diritto stesso, specifichi le condizioni di esercizio e le modalità di godimento”. Il carattere precettivo e la conseguente immediata operatività della disposizione costituzionale sono da ricondurre al fatto che essa, seppure in una parte necessita di disposizioni legislative di attuazione, delinea con sufficiente chiarezza e precisione la fattispecie che fa sorgere in capo allo straniero il diritto di asilo, individuando nell’impedimento all’esercizio delle libertà democratiche la causa di giustificazione del diritto ed indicando l’effettività quale criterio di accertamento della situazione ipotizzata”. Come precisato dalla pronuncia della Corte di cassazione indicata, il diritto di asilo è dunque nozione più ampia a quella di rifugiato politico. Infatti la Convenzione di Ginevra del 28.07.51 (che disciplina lo status di rifugiato politico) “prevede quale fattore determinante per la individuazione del rifugiato, se non la persecuzione in concreto, un fondato timore di essere perseguitato, cioè un requisito che non è considerato necessario dall’art. 10, 3 comma della Costituzione” in base al quale l’accertamento in concreto dell’impedimento nel Paese di origine dello straniero all’esercizio delle libertà democratiche dalla Costituzione italiana. Del resto il diritto di asilo comporta per l’interessato minori benefici, “potendo consistere al limite nel solo diritto a non essere espulso dal Paese” (TAR Friuli Venezia Giulia 23.01.92 n. 15; Cons. St. Sez. IV 10.03.98 n. 405), mentre lo status di rifugiato assicura particolari benefici a chi lo ottenga. Ciò premesso, venendo al caso di specie, al fine di accertare l’esistenza del fumus boni iuris occorre verificare in concreto se al ricorrente sia impedito in Turchia, suo Paese di provenienza, del godimento effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana. A tal fine, seppure sommariamente, in quanto ciò sarà oggetto di un più approfondito esame nel corso del giudizio di merito finalizzato all’otteni77 mento del diritto di asilo, è necessario non solo raffrontare le disposizioni contenute nella Costituzione italiana che regolano le libertà democratiche con quelle previste in Turchia, ma occorre verificare se le libertà anche tutelate nel testo della Costituzione risultino effettivamente vigenti in Turchia, ovvero concretamente esistenti sulla base di una indagine che tenga conto non solo della legislazione di attuazione, ma anche di prassi, di precedenti, di testimonianze. A questo proposito l’esistenza del fumus si ricava dalla documentazione prodotta, la quale attesta che la repressione antidemocratica in Turchia, in particolare nei confronti dei curdi, continua in modo massiccio, nonostante l’intervento di denuncia delle organizzazioni indipendenti ed internazionali e che in Turchia vengono negati i più elementari diritti, quali il diritto alla libera associazione ed alla manifestazione del pensiero. In particolare dai rapporti annuali del 1997, 98, 99 di Amnesty International emerge che: centinaia di persone sono state detenute come prigionieri di coscienza per loro attività politica non violenta; la tortura continua ad essere sistematica; i gruppi di opposizione armata hanno ucciso deliberatamente e arbitrariamente sia prigionieri che civili; ci sono state una serie di denunce per decessi avvenuti in detenzione e per sparizioni durante la prigionia. Inoltre il rapporto dell’associazione turca per i diritti umani evidenzia le morti, le torture, le violazioni della libertà di stampa e di associazione, le detenzioni per i reati di opinione nei confronti della popolazione curda. A maggiore conferma, la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 18.12.96 relativa al caso Alsoy contro Turchia, attesta l’esistenza di maltrattamenti e di torture a seguito di un arresto con l’accusa di appartenere al PKK. Quanto al periculum in mora, dalla documentazione prodotta risulta che nei confronti del ricorrente è pendente un provvedimento di espulsione emesso in Germania, ed operante anche in Italia a seguito del rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato politico. Inoltre emerge che lo stesso, sia in Turchia che in Germania che in Italia, è stato particolarmente attivo nella partecipazione a manifestazioni ed iniziative a sostegno della causa del popolo curdo, in contrapposizione con il governo turco. È pertanto altamente probabile, anche sulla base della conoscenza di casi analoghi, che, qualora fosse forzatamente rimpatriato, venga immediatamente arrestato e processato senza il rispetto delle garanzie in precedenza evidenziate. Sussistono pertanto i presupposti per la concessione del provvedimento richiesto. Tuttavia ritiene questo Giudice che non possa ordinarsi alle Amministrazioni convenute di concedere un permesso di soggiorno. Tale 78 provvedimento infatti non consegue necessariamente al riconoscimento del diritto di asilo, che, come in precedenza evidenziato, comporta solo il diritto a permanere nel Paese e cioè di non esserne espulso. Diversamente si ordinerebbe alla P.A. il compimento di un’attività discrezionale, e ciò in palese violazione della legge 20.03.1865 n. 2248 allegato E. Misura idonea ad assicurare provvisoriamente gli effetti della domanda di merito appare essere invece quella della sospensione dell’esecuzione del decreto di espulsione, come richiesto in via subordinata dal ricorrente. Data la contumacia dei resistenti nulla deve essere disposto in relazione alle spese. P.Q.M. Sospende l’esecuzione del provvedimento di espulsione nei confronti di […]. Fissa entro giorni 30 il termine per l’inizio del giudizio di merito. ◆ TAR Veneto, sent. n. 270 del 31 gennaio 2001 SENTENZA sul ricorso n. 2536/91, proposto da (...) CONTRO la Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria ex lege; per l’annullamento della deliberazione n. 0214 datata 29 luglio 1991 di diniego dello status di rifugiato politico; …….Omissis……… Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: FATTO Il ricorrente, studente di Kiev, dichiara di essere stato anticomunista e come tale inviso al regime. 79 Ritiene il diniego di status di rifugiato illegittimo per le seguenti ragioni: 1 - Insufficiente e incongrua motivazione. Il provvedimento risulta motivato in modo apodittico, né le dichiarazioni del ricorrente sono state prese in considerazione. 2 - Violazione art. 1 comma quinto della legge 39 del 1990. Il legislatore consente di provare la situazione di persecuzione politica solo ove possibile. Si è costituita in giudizio l’amministrazione, che puntualmente controdeduce nel merito del ricorso, concludendo per la sua reiezione, siccome infondato. DIRITTO Prima di esaminare in dettaglio il presente ricorso, appare opportuno illustrare brevemente la normativa che in Italia regola il riconoscimento dello status di rifugiato. Viene innanzi tutto in rilievo il dettato della Costituzione: l’articolo 10 comma 3 Cost. esprime un principio in favore del rifugiato politico, che deve essere di guida non solo per il legislatore, ma anche per la pubblica amministrazione. Detta norma riconosce invero la qualità di rifugiato politico avente diritto ad asilo allo straniero perseguitato dalle autorità del Paese di origine, per aver preteso di esercitare libertà democratiche non dissimili da quelle riconosciute nell’ordinamento italiano e che si trovi nell’impossibilità di rientrare in patria, senza esporsi al rischio delle sanzioni gravissime previste dal regime in carica per i dissenzienti. Viene poi in rilievo la nozione di rifugiato contenuta nella Convenzione di Ginevra del 1951 e resa esecutiva in Italia con L. 722 del 24.7.54, secondo cui “è rifugiato colui che, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal paese di cui è cittadino e non può o non vuole avvalersi della protezione di questo paese”. Secondo un noto orientamento giurisprudenziale internazionale, lo status di rifugiato deve essere accordato qualora l’interessato abbia subito la violazione di quei diritti umani fondamentali sanciti da documenti internazionali che indichino inconfutabilmente l’assenza di protezione da parte del paese di origine. A tale riguardo rileva altresì il paragrafo 65 del manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato, pubblicato a cura dell’alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, rubricato sotto la dicitura g) “Agenti della persecuzione”, 80 che così afferma: “La persecuzione è normalmente riferita alla condotta dell’autorità di un paese; essa può essere però svolta dai gruppi della popolazione che non si adeguano alle norme delle leggi del Paese. A titolo esemplificativo, si può citare l’intolleranza religiosa, spinta fino alla persecuzione, che può aversi in un paese laico ove più ampi settori della popolazione non rispettano le convinzioni religiose altrui.”. Pertanto la persecuzione va intesa anche nella mancanza ed incapacità di un governo di proteggere i diritti umani della sua popolazione, incapacità intesa quindi anche come assenza di volontà di proteggere. L’ingresso del rifugiato nel territorio nazionale è regolamentato in maniera differente da quello del migrante economico. La differenza è rilevante, in quanto mentre l’ingresso del migrante economico è subordinato al possesso di una serie di requisiti formali, tra cui un passaporto valido o un documento equipollente, nonché, se necessario, il visto, titolo per ottenere l’ingresso del rifugiato è la semplice presentazione di un’istanza motivata e se possibile documentata. L’esecutorietà del provvedimento espulsivo di uno straniero che richieda lo status di rifugiato, violerebbe peraltro anche l’articolo 3 della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti (ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 498 del 3.11.88), che è stata interpretata come tendente a proibire anche le forme di allontanamento che comportino di fatto tale trattamento. Infatti secondo il parere della Commissione europea, l’espulsione può in certe condizioni rappresentare un trattamento inumano e degradante ai sensi dell’articolo 3. Sulla base della normativa applicabile e di quanto fin qui illustrato, risulta palese che lo status di rifugiato va rapportato ad una vasta tipologia di situazioni, mutevoli nel tempo e riferite alle più varie realtà locali, anche se la soglia sotto la quale scatta la persecuzione tutelata dalla Convenzione è usualmente inferiore a quella garantita dal nostro ordinamento costituzionale. La prima questione è il carattere della persecuzione, in atto o temuta, che deve (secondo una costante giurisprudenza) risultare personale e diretta, mentre non sarebbe sufficiente un semplice riferimento alla situazione politica ed economica del Paese di provenienza, ovvero un generico e non meglio precisato dissenso verso la politica perseguita dal Governo. Altrettanto insufficiente per ottenere lo status di rifugiato appare l’aspirazione, indubbiamente legittima e commendevole, a migliori condizioni di vita civile e democratica. Se in astratto i limiti suindicati appaiono chiari, la realtà del mondo di oggi, con persecuzioni attuate da governi legittimi, con gruppi di 81 ribelli armati, con innumerevoli guerre a sfondo tribale, etnico o addirittura religioso, rende complesso l’esame delle singole fattispecie. Sicuramente si può affermare che, anche nella attuale situazione di alcune aree, certo non caratterizzate dal rispetto dei diritti umani, non risulta sufficiente l’appartenenza ad una etnia, sia pure in posizione di difficoltà, per ottenere lo status di rifugiato: ad esempio non può bastare la semplice appartenenza alla etnia albanese del Kossovo, ovvero a quella curda dell’Iraq per rendere – per ciò solo – eleggibile un soggetto al riconoscimento dello status di rifugiato. È comunque necessario un quid pluris, dato da una persecuzione specificamente rivolta al richiedente, sia pure eventualmente collegata a ragioni razziali o etniche. Quanto detto porta inevitabilmente a considerare l’altra questione, quella cioè dei mezzi di prova. Evidentemente le notizie di stampa, ovvero i comunicati dei vari Governi, non possono risultare sufficienti a fondare la convinzione della Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato prima e quella del giudice poi. Altrettanto insufficienti appaiono poi le semplici dichiarazioni dell’interessato, soprattutto ove non risultino corroborate da prove. Su tale aspetto va peraltro rilevato che, paradossalmente, tanto più grave risulta la persecuzione, tanto minore è la possibilità per l’interessato di fornire prove certe. Pertanto, si tratta quasi sempre di prove di carattere indiziario collegate a fatti notori, come la persecuzione degli appartenenti a una determinata etnia o religione. Questi due elementi, la varietà delle situazioni persecutorie tutelate dalla Convenzione di Ginevra e la oggettiva difficoltà di provare la persecuzione, richiedono un esame particolarmente attento delle domande da parte della Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato e una motivazione delle sue decisioni particolarmente incisiva, specie in caso di diniego. Ciò premesso, il presente ricorso va ora esaminato in dettaglio. Orbene, dalla documentazione versata in atti e dalle dichiarazioni rese a verbale alla commissione, non risulta che il ricorrente sia stato mai sottoposto ad alcuna persecuzione specificatamente diretta nei suoi confronti, né che la sua situazione si possa distinguere da quella dei restanti cittadini del proprio Paese. In sostanza, non solo manca ogni principio di prova di persecuzione politica ma nulla di specifico viene affermato sul punto in ricorso. Quanto fin qui esposto appare sufficiente per rigettare il ricorso medesimo. Vi sono tuttavia ragioni per compensare le spese di giudizio tra le parti. 82 P.Q.M. il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione terza, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Venezia, nella camera di consiglio del 31 gennaio 2001. ◆ TAR Veneto, sent. n. 2328 del 4 luglio 2001 SENTENZA sul ricorso n. 3392/95, proposto da (...) CONTRO il Ministero degli interni, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria ex lege; per l’annullamento del provvedimento della commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato datato 15 dicembre 1994 che rigetta la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato; ….Omissis…… Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: FATTO Il ricorrente, cittadino togolese, illustra la sua situazione di oppositore politico del regime operante nel suo Paese. Ritiene il diniego di riconoscimento dello status di rifugiato illegittimo per eccesso di potere, carenza e contraddittorietà della motivazione, contrasto con altri provvedimenti, vizi logici ed errata applicazione della legge. Le argomentazioni della Commissione, il non aver presentato subito la domanda di status di rifugiato ed essere transitato in altro Paese – 83 non precisato – firmatario della Convenzione di Ginevra, non appaiono argomenti sufficienti per negare lo status, anche in presenza di un’evidente persecuzione subita dal ricorrente. La famiglia dell’istante è stata costretta ad emigrare e suo fratello era stato ucciso in quanto oppositore del regime. Altro motivo di illegittimità è il fatto che gli atti gravati non sono stati notificati in lingua conosciuta. Si è costituita in giudizio l’amministrazione, che puntualmente controdeduce nel merito del ricorso, concludendo per la sua reiezione, siccome infondato. DIRITTO Prima di esaminare il dettaglio il presente ricorso, appare opportuno illustrare brevemente la normativa che in Italia regola il riconoscimento dello status di rifugiato. ….Omissis…... Ciò premesso, il presente ricorso va ora esaminato in dettaglio. La motivazione del diniego si fonda su una circostanza, non smentita in ricorso, relativa all’intervenuto ritorno del ricorrente nel suo Paese senza subire persecuzioni o restrizioni di sorta. Il ricorso stesso appare poi fondato su elementi del tutto generici che non riguardano direttamente l’interessato, oltre che sfornito della minima prova. Per le suindicate ragioni il ricorso risulta privo di giuridico pregio e va rigettato. Sussistono tuttavia valide ragioni per compensare le spese di giudizio tra le parti. P. Q. M. il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sezione terza, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, lo rigetta. ◆ Tribunale di Genova - ordinanza 5 luglio 2001 - est. Maganza Il g.i., sciogliendo la riserva che precede; ritenuta anzitutto, la competenza dell’a.g.o. in ordine al ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto, giacché come più volte affermato dalla giuri84 sprudenza della Cassazione le controversie relative al riconoscimento della qualifica di rifugiato politico, o di avente diritto all’asilo, sono riconducibili a status, ovvero a diritti soggettivi, direttamente ed immediatamente protetti dall’art. 10 Cost. e perciò i relativi provvedimenti hanno natura dichiarativa, e non costitutiva; ritenuto che va, in particolare, disattesa la eccezione della avvocatura dello Stato, secondo cui sussisterebbe comunque un difetto di giurisdizione in ordine alla istanza cautelare che “di fatto contesta il decreto del questore di Genova 14.11.2000” (e cioè la intimazione al ricorrente di lasciare il territorio nazionale); che infatti, il [...], il quale si è rivolto al tribunale per far accertare nel merito il suo diritto allo status di rifugiato politico, o almeno il suo diritto di asilo, di tale diritto chiede al tribunale anche la tutela in via urgente, risultando la posizione soggettiva da lui fatta valere esposta a grave ed irreparabile pregiudizio – all’evidenza – anche dalla esecuzione del citato decreto di espulsione; ritenuto quanto al fumus boni iuris, che la necessità per il ricorrente di un provvedimento che gli consenta, seppure in via provvisoria ed urgente, di rimanere in Italia e di non fare rientro nel suo paese, dove egli sarebbe esposto al rischio di subire altre violenze ed altri trattamenti, anche detentivi, arbitrari, trova riscontro nelle sue produzioni, nonostante la esiguità degli elementi finora a disposizione, ma tenuto conto, d’altra parte, della presumibile difficoltà, per lo stesso ricorrente, di procurarsi idonei mezzi di prova, documentali o di altro tipo, a sostegno delle sue deduzioni; considerato che la sopra descritta necessità va individuata, ad una indagine seppur limitata e sommaria, nelle dichiarazioni rese dallo stesso cittadino camerunense, fin dal suo ingresso in Italia, nella sua militanza in una organizzazione politica (Social democratic front del Camerun S.D.F.) che continua a subire minacce e persecuzioni nello Stato camerunense, secondo quanto si evince dalle relazioni prodotte dal ricorrente, ed altresì nelle personali vicissitudini del giovane, avendo egli subito dopo il suo arresto, a Donala, un anno di detenzione, senza che sia stato svolto nessun processo, e senza aver potuto difendersi in alcun modo; ritenuto, infine, che quanto fin qui esposto induce a ravvisare la concreta sussistenza anche del cd. periculum in mora, giacché se [...] non trovasse più ospitalità nel nostro paese, nelle more del giudizio da lui già introdotto, la sua libertà e la sua stessa incolumità potrebbero trovarsi a rischio di pregiudizio grave ed irreparabile. P.Q.M. visto l’art. 700 c.p.c. dichiara che il cittadino camerunese [...] nato a Donala (Camerun) [...] , ha diritto di rimanere nel territorio dello Stato italiano fino all’esito del giudizio da lui introdotto [...]. 85 Tribunale di Torino sent. n. 8178 del 6 ottobre 2001 - est. Vitrò Nella causa civile iscritta al n. R.G. 6944/2000 promossa da [...] contro Presidenza del Consiglio dei ministri, [...], nonché amministrazione dell’interno. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato in data 23.6.2000 il sig. [...] cittadino camerunense, conveniva in giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri e l’amministrazione dell’interno. L’attore riferiva: – che nel mese di ottobre 1999 egli era stato costretto a fuggire dal suo paese, dove gli era impedito di esercitare i suoi diritti a causa della sua militanza in un partito di opposizione, il Social Democratic Front (SDF); – che le organizzazioni non governative come Amnesty International avevano spesso avuto motivo di censurare gravemente la situazione dei diritti umani nel Camerun, violati dalle autorità governative; – che, in particolare, nel corso del 1997, dette autorità avevano attuato gravissime forme di repressione nei confronti degli oppositori politici, che molti oppositori erano stati arrestati e processati senza rispetto dei diritti di difesa, che anche il sig. [...] era stato arrestato – solo per la partecipazione ad un movimento studentesco per la rivendicazione dei diritti degli studenti e della democrazia nel paese –, che il medesimo era stato tenuto in carcere dall’aprile 1997 all’ottobre 1999, era stato sottoposto a torture fisiche e psichiche ed era stato privato delle possibilità di difesa, che nell’ottobre 1999, egli, tramite l’aiuto di un parente poliziotto, era riuscito a fuggire dal carcere e ad imbarcarsi su di un volo diretto a Parigi e che, poi, si era trasferito in Italia, temendo di poter essere estradato in Camerun dalla Francia, paese particolarmente legato Camerun. A questo punto l’attore chiedeva: – che fosse accertato il suo diritto all’asilo nel territorio della Repubblica italiana, art. 10, co. 3, della Costituzione – e che, inoltre, fosse conseguentemente dichiarato l’obbligo delle amministrazioni convenute di concedergli un permesso di soggiorno in Italia a tempo indeterminato. E sosteneva: – che l’art. 10, co. 3, della Costituzione era disposizione immediatamente precettiva, immediatamente applicabile dal giudice ordinario, e che l’istituto dell’asilo costituzionale aveva natura di diritto soggettivo; – che vi era diversità tra lo status di rifugiati, previsto dalla legge n. 772 del 24.7.1954 (di ratifica della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951) e dalla legge n. 39 del 28.2.1990, e del diritto di asilo ex art. 10 86 Cost., con esclusione, pertanto, della procedura amministrativa prevista per lo status di rifugiati; – che non vi era dubbio che al sig. [...] non fosse consentito, nel suo paese d’origine, l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana. Le convenute amministrazioni, costituitesi con comparsa del 13.11.2000, contestavano le domande attoree, eccependo: – in via pregiudiziale l’inammissibilità delle domande per difetto di interesse, in particolare per carenza di interesse ad agire (mancando contestazione del diritto vantato per carenza di interesse ad un provvedimento sul merito, per carenza di interesse in relazione al contenuto della domanda (non apparendo potervi essere un miglioramento della situazione del [...] attraverso la proposta azione giudiziale); – in subordine, il difetto assoluto di giurisdizione del tribunale adito (non potendo il giudice applicare direttamente il dettato costituzionale di cui all’art. 10, co. 3, Cost.) ed anche il difetto relativo di giurisdizione in relazione al petitum sostanziale di richiesta di permesso di soggiorno a tempo indeterminato; – in via preliminare, il difetto di legittimazione passiva della amministrazioni convenute; – l’infondatezza, comunque, nel merito, delle domande attoree. Nel corso del giudizio il G.I., con ordinanza del 4.5.2001, respingeva le istanze di prove orali e di c.t.u. avanzate dall’attore, non ritenendole rilevanti ai fini della decisione della causa e, comunque, osservando che le convenute avevano dichiarato di non contestare le circostanze di fatto indicate dall’attore. All’udienza del 30.5.2001 le parti precisavano le conclusioni, richiamando quelle di cui all’atto di citazione e alla comparsa di risposta. Il G.I. tratteneva la causa a decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE L’attore, in primo luogo, chiede l’accertamento del diritto all’asilo nel territorio della Repubblica italiana, ai sensi dell’art. 10, co. 3, Cost.; 1.1. Innanzitutto, va respinta l’eccezione, sollevata dalle parti convenute, di difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito. In particolare, si osserva che, dalla giurisprudenza e dalla dottrina, viene ormai ritenuto che l’art. 10, co. 3, Cost. (lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese, l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”) abbia un contenuto immediatamente precettivo. In tal senso si veda, per es., la motivazione della sentenza Cass. civ., sez. un., 26.5.1997 n. 4674: 87 – “nonostante alcune ormai lontane pronunce di segno contrario da parte della giurisprudenza amministrativa, secondo l’opinione attualmente pressoché pacifica l’art. 10, co. 3, Cost. attribuisce direttamente allo straniero, il quale si trovi nella situazione descritta da tale norma, un vero e proprio diritto soggettivo all’ottenimento dell’asilo, anche in mancanza di una legge che, del diritto stesso, specifichi le condizioni di esercizio e le modalità di godimento. Come è stato osservato in dottrina, il carattere precettivo e la conseguente immediata operatività della disposizione costituzionale sono da ricondurre al fatto che essa, seppure in una parte necessita di disposizioni legislative di attuazione, delinea con sufficiente chiarezza e precisione, la fattispecie che fa sorgere in capo allo straniero il diritto di asilo, individuando nell’impedimento all’esercizio delle libertà democratiche la causa di giustificazione del diritto ed indicando l’effettività quale criterio di accertamento della situazione ipotizzata. Ciò posto, sorge il problema se, in mancanza di una specifica normativa di attuazione del precetto dell’art. 10, co. 3 Cost., la normativa che disciplina il riconoscimento dello status di rifugiato politico sia applicabile anche in tema di riconoscimento del diritto di asilo. Ad avviso del collegio la risposta deve essere negativa. In definitiva, le controversie che riguardano il diritto di asilo, di cui all’art. 10, co. 3, Cost. rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di un diritto soggettivo al quale non è applicabile la disciplina dello status di rifugiato (decreto legge 30.12.1989 n. 416, conv. nella legge 29.2.190 n. 39), la quale invece espressamente prevede la giurisdizione del giudice amministrativo”. Circa il contenuto immediatamente precettivo del citato art. 10, co. 3, Cost. si veda anche: – trib. Roma 1.10.1999 (caso Ocalan): “ai sensi dell’art. 10, co. 3, Cost. il diritto di asilo si configura come un diritto soggettivo perfetto che sorge in capo allo straniero allorché venga accertato l’impedimento nel paese di origine all’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana. Tale situazione soggettiva è diversa, per presupposti e per fonte giuridica, da quella del rifugiato”; – trib. Roma 27.9.1999 (sempre caso Ocalan): “il disposto dell’art. 10, co. 3, Cost. ha carattere immediatamente precettivo e comporta un diritto soggettivo perfetto in capo a chi dimostri di trovarsi nelle condizioni previste, il quale può chiederne l’accertamento al giudice ordinario”. Circa la differenza tra status di rifugiato e diritto di asilo ex art. 10 Cost. si veda anche, per es.: T.A.R. Friuli Venezia Giulia 18.12.1991 n. 531; T.A.R. Friuli Venezia Giulia 23.1.1992 n. 15. Pertanto va sicuramente riconosciuta la sussistenza della giurisdizione dell’a.g.o. in ordine alla richiesta di riconoscimento del diritto di asilo. 1.2. Va, poi, respinta l’eccezione delle convenute di carenza dell’interesse ad agire dell’attore. 88 1.2.1 In primo luogo si nota che l’interesse ad agire consiste in quella situazione giuridica subiettiva di vantaggio sostanziale, il cui riconoscimento viene posto ad oggetto della pretesa fatta valere in giudizio. Esso si concreta nell’esigenza di colui che propone la domanda di conseguire un risultato di utile e giuridicamente apprezzabile e non altrimenti conseguibile che con l’intervento del giudice (v., per es.: Cass. civ., 23.11.1990 n. 11319; Cass. civ., 20.1.1998 n. 486). L’interesse ad agire sussiste quando l’azione sia intesa ad evitare una lesione anche soltanto potenziale al diritto soggettivo (Cass. civ., 14.11.1975 n. 3850). Per la sussistenza dell’interesse ad agire, previste dall’art. 100 c.p.c. come presupposto della domanda giudiziale, è sufficiente uno stato di incertezza obiettiva circa l’esistenza della situazione giuridica della quale si chiede l’accertamento, positivo o negativo (Cass. civ., 4.5.1983 n. 2798; Cass. civ., 19.5.1987 n. 4599). 1.2.2 Si rileva, poi, quale sia il contenuto del diritto di asilo di cui all’art. 10, come accertato dalla giurisprudenza: – Cass. n. 4674/97: “in mancanza di una legge di attuazione del precetto di cui all’art. 10, co. 3, Cost., allo straniero il quale chiede il diritto di asilo null’altro viene garantito se non l’ingresso nello Stato”; – T.A.R. Friuli Venezia Giulia 23.1.1992 n. 15: L’art. 10, co. 3, Cost. comporta per l’interessato minori benefici (rispetto allo status di rifugiato), “potendo consistere al limite nel solo diritto a non essere espulso dal paese”. 1.2.3 Si osserva, allora, che nel presente caso va senz’altro riconosciuto l’interesse dell’attore ad ottenere un riconoscimento giuridico del suo diritto di asilo, cioè nel suo diritto di ingresso nel territorio italiano e del suo diritto a non essere espulso dal medesimo. È vero che l’attore risulta essere già entrato nel territorio della Repubblica italiana ed essere attualmente presente in Italia. Ma si tratta di una situazione di fatto, senza che vi sia alcun accertamento e riconoscimento giuridico che stabilizzi giuridicamente tale situazione. Sussiste, pertanto, l’interesse del sig. [...] al riconoscimento giuridico del diritto di asilo, allo scopo di evitare una potenziale lesione al suo diritto di ingresso in Italia e a non esserne espulso (lesione che potrebbe verificarsi nel caso in cui egli uscisse dall’Italia e gli fosse poi impedito di rientrarvi o nel caso in cui fosse emesso un provvedimento di espulsione – situazioni, queste, tutte possibili, mancando appunto, allo stato un riconoscimento del diritto di asilo che impedisca di porre in essere divieti di ingresso o espulsioni). A tale proposito si argomenti anche dalla motivazione della sentenza del trib. Roma 27.9.1999 già citata: – “deve ritenersi che la presenza del richiedente il diritto di asilo nel territorio dello Stato non è condizione necessaria per il conseguimento del diritto stesso. La presenza non è, infatti, richiesta nella previsione costituzionale che prevede e regolamenta nei suoi aspetti essenzia89 li il diritto di asilo... Il volontario allontanamento dal territorio italiano dello straniero, il quale, al tempo dell’istanza di asilo ex art. 10, co. 3, Cost., si trovava in Italia, non comporta automaticamente il venir meno delle condizioni per l’accoglimento dell’istanza; deve infatti distinguersi l’interesse ad agire dall’utilità pratica della sentenza favorevole, e la permanenza dell’interesse inteso come condizione per l’accoglimento della domanda di asilo deve escludersi soltanto quando l’interesse dell’attore sia (divenuto) puramente teorico e accademico”. Dunque, la sussistenza o meno dell’interesse ad agire non può essere ricollegata alla mera situazione di fatto consistente nella contingente presenza o meno dell’attore sul territorio dello Stato. Né è rilevante l’assenza di provvedimenti amministrativi contenenti contestazione o negazione del diritto di asilo dell’attore. Infatti, non sussiste, comunque, alcun attuale riconoscimento giuridico di un diritto di ingresso e non espulsione dell’attore dall’Italia, il che già di per sé crea una situazione di incertezza riguardo a tale diritto, trattandosi di soggetto straniero, presente sul territorio italiano senza essere in possesso di alcun permesso di soggiorno. Né è rilevante il fatto che le convenute non abbiano contestato le circostanze di fatto dedotte dall’attore. Infatti, “un comportamento del convenuto che evidenzi una disponibilità a concedere all’attore quanto richiesto con la domanda, può spiegare rilievo quale riconoscimento della fondatezza della pretesa fatta valere giudizialmente, ma non implica il venir meno dell’interesse ad agire, persistendo per l’attore stesso l’utilità di conseguire una pronuncia di accoglimento della domanda” (Cass. civ., 7.1.1984 n. 97). 1.3. Va anche respinta, in ordine alla domanda di riconoscimento del diritto di asilo, l’eccezione delle convenute di difetto di legittimazione passiva. È evidente, infatti, che l’accertamento del suddetto diritto debba essere compiuto nei confronti delle amministrazioni deputate al controllo degli stranieri in Italia. Il che trova conferma nelle sentenze della Cassazione e del tribunale di Roma, sopra citate, nelle quali non viene mai in alcun modo messa in discussione la legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministro degli interni, ivi sempre convenute. 1.4. Ed allora, nel merito, va ritenuta fondata la domanda attorea di richiesta di accertamento del suo diritto di asilo nel territorio della Repubblica italiana. Infatti, dai rapporti di Amnesty International del 1999 e dai fatti narrati dall’attore (che le convenute hanno dichiarato, più volte, espressamente, nei loro atti, di non contestare) risulta chiaramente la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 10, co. 3, Cost. In particolare, gli arresti, da parte del governo camerunense, di centinaia di oppositori e persone che avevano criticato il governo, molti dei quali erano pri90 gionieri di coscienza, il mantenimento in detenzione di molti di tali arrestati, la diffusione di torture e maltrattamenti nelle carceri camerunesi (che hanno in più occasioni provocato la morte dei prigionieri), il trattenimento in carcere degli arrestati senza la proposizione di formali accuse e la celebrazione di regolari processi, l’attuazione di esecuzioni extragiudiziali da parte delle forze dell’ordine (tutte situazioni emergenti dai citati rapporti di Amnesty international) e (relativamente alla posizione particolare dell’attore) l’arresto del medesimo per mera partecipazione ad un movimento studentesco rivendicante i diritti degli studenti e la democrazia nel paese, le torture fisiche e psichiche alle quali il [...] è stato sottoposto in carcere e la mancata concessione al medesimo di esercitare il proprio diritto di difesa (così come descritto dall’attore nell’atto di citazione ed espressamente non contestato dalle convenute nei loro atti), dimostrano inequivocabilmente la sussistenza, in Camerun, di una diffusa compressione delle libertà fondamentali dell’individuo. Ne deriva sicuramente l’esistenza della condizione fondamentale alla quale la Costituzione subordina il riconoscimento del diritto di asilo: l’impedimento nel paese di origine dell’attore all’effettivo svolgimento delle libertà democratiche, garantite ed assicurate, invece, dalla nostra Costituzione. Va, pertanto, dichiarato il diritto di asilo dell’attore nel territorio della Repubblica italiana, ai sensi dell’art. 10, co 3, Cost. 2. Va, invece, respinta la domanda attorea di dichiarazione, in conseguenza del suddetto accertamento del diritto di asilo, dell’obbligo delle amministrazioni convenute di concedere all’attore un permesso di soggiorno in Italia a tempo indeterminato. Si osserva, infatti, che manca una legge di attuazione dell’art. 10, co. 3, Cost., che specificamente descriva il contenuto del diritto di asilo (individuando modalità di godimento del medesimo più specifiche rispetto alla facoltà, ovvia, di fare ingresso nel territorio italiano) e delinei il medesimo quale diretto presupposto giuridico per la concessione di un formale atto di permesso di soggiorno o per il godimento di altri benefici. Per tale motivo il giudice ordinario non può dichiarare la P.A. tenuta a rilasciare un formale atto di permesso di soggiorno (oltretutto le leggi attuali prevedono solo permessi di soggiorno a tempo determinato). Impossibilità che deriva, appunto, dal fatto che nessuna legge prevede che il giudice ordinario abbia il potere di effettuare un tale ordine, a seguito dell’accertamento del diritto di asilo ex art. 10 Cost. E che deriva, dunque, dal fatto che, in assenza di leggi specifiche, il giudice ordinario non può ordinare alla P.A. alcuno specifico facere. Né una tale legge di attuazione della disposizione costituzionale di cui all’art. 10 può essere individuata nel d.p.r. n. 394/99. Infatti, il permesso di soggiorno per asilo previsto dall’art. 11 di tale d.p.r. risulta collegato ai presupposti previsti da tale legge e non è direttamente ricolle91 gabile all’accertamento del diritto di asilo di cui all’art. 10 Cost. Ed allora, va dichiarata la carenza di giurisdizione del giudice ordinario riguardo al richiesto ordine diretto alle amministrazioni convenute. 3. Per quanto riguarda le spese processuali, le difficoltà giuridiche inerenti alla presente causa e la parziale soccombenza reciproca delle parti inducono a ritenere sussistenti giusti motivi per addivenire alla compensazione delle spese processuali fra le parti nella misura della metà. P.Q.M. definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa o respinta, in accoglimento della domanda attorea, dichiara il diritto dell’attore sig. [...] all’asilo nel territorio della Repubblica italiana, ai sensi di cui all’art. 10, co. 3, Cost.; dichiara la carenza di giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla domanda attorea di dichiarazione dell’obbligo della P.A. di concessione di un permesso di soggiorno a tempo determinato. ◆ Corte di appello di Catania, Decreto 1/22.3.2002 - est. Morgia Letti gli atti relativi all’affare civile n. 8/2002 R.g. avente per oggetto il reclamo proposto da [...] nato in [...] Sri-Lanka il [...] avverso il decreto del tribunale di Catania in data 7.1.2002 che ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale il predetto aveva impugnato, ex art. 1 del d.l. 30. 12. 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, nella legge 28.2.1990, n. 39, il provvedimento della Commissione centrale per il riconoscimento dello stato di rifugiato emesso in data 14.3.2001 con il quale la suddetta Commissione aveva deciso di non riconoscere lo stato di rifugiato all’odierno reclamante; letta la memoria difensiva depositata dalla Presidenza del consiglio dei ministri, in persona del Presidente del consiglio pro-tempore, organicamente rappresentata dall’avvocatura distrettuale dello Stato di Catania; sentite le parti all’udienza camerale del 22.2.2002 (alla quale è comparso solo il difensore del reclamante) e sciogliendo la riserva in quella sede formulata, osserva quanto segue. 1. Per motivi di ordine logico-processuale occorre, in primo luogo, esaminare la doglianza relativa alla declaratoria di inammissibilità pro92 nunciata dal primo giudice sulla scorta della considerazione che “nessuna norma consente di proporre la domanda di cui sopra con ricorso di volontaria giurisdizione, dovendo, invece, essa essere proposta con atto introduttivo di un giudizio contenzioso ordinario”. La doglianza è fondata. Invero, l’art. 1.6 del d.l. 30.12.1989, n. 416, convertito, con modificazioni, nella legge 28.2.1990, n. 39, testualmente prevede che “attraverso la decisione di respingimento (dell’istanza volta ad ottenere lo status di rifugiato) presa in base ai commi 4 e 5 è ammesso ricorso giurisdizionale”. Al riguardo la Suprema corte ha avuto, di recente, modo di statuire che “la qualifica di rifugiato politico ai sensi della Convenzione di Ginevra del 29.7.1951 costituisce, come quella di avente diritto all’asilo (dalla quale si distingue perché richiede quale fattore determinante un fondato timore di essere perseguitato, cioè un requisito non richiesto dall’art. 10, co. 3, Cost.), una figura giuridica riconducibile alla categoria degli “status” e dei diritti soggettivi, con la conseguenza che tutti i provvedimenti assunti dai competenti organi in materia hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva, e le controversie riguardanti il riconoscimento della posizione di rifugiato (così come quelle sul riconoscimento dei diritto d’asilo) rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, una volta espressamente abrogato dall’art. 46 legge n. 40 del 1998, art. 5, d.l. n. 416 del 1989, convertito con modificazioni della legge n. 39 del 1990 (abrogazione confermata dall’art. 47 dei testo unico d.lgs. n. 286 del 1998), che attribuiva al giudice amministrativo la competenza per l’impugnazione del provvedimento di diniego dello status di rifugiato” (Cass. S.U. 17.12.1999, n. 907). Ora, poiché proprio con, riferimento ai procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone (titolo Il del libro IV del c.p.c.) – ma non soltanto in relazione ad essi – il capo VI del medesimo libro detta la disciplina generale dei procedimenti di camera di consiglio (artt. 737-742 bis), e poiché proprio l’art. 737 pone la regola che tali procedimenti – come molti altri previsti da leggi speciali – vadano proposti con ricorso (diversamente dai giudizi contenziosi ordinari che vanno, di regola, proposti con citazione), non par dubbio che il ricorso avanzato al tribunale civile di Catania da [...] avverso il provvedimento negativo della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato sia stato correttamente proposto, in rito, anche perché i predetti articoli (737 e segg. c.p.c.) sono, comunque, definiti come disposizioni comuni di procedimenti in camera di consiglio, senza distinzione tra procedimenti volontari o contenziosi, ed anzi il legislatore ha soppresso ogni riferimento alla volontaria giurisdizione, di cui faceva, invece, parola l’art. 778 del codice di rito del 1865. A conferma di ciò basti considerare che, concordemente, dottrina e giurisprudenza prevalenti attribuiscono natura di volontaria giurisdizione ai procedimenti di separazione consensuale tra 93 coniugi e divorzio su ricorso congiunto nonché, almeno in parte, ai procedimenti di interdizione e inabilitazione. Non è, pertanto, vietato al legislatore ordinario di disporre, in base ad una valutazione anche politica della vicenda, l’applicazione del procedimento camerale che si concluda con l’emanazione di un provvedimento avente contenuto decisorio, quando ritenga che l’impiego di tali forme sia più rispondente all’esigenza di una sollecita ed equa applicazione delle norme di diritto sostanziale nel caso concreto. Ciò che il legislatore ordinario non può, invece, fare è di precludere, con tale mezzo, il ricorso per cassazione, che realizza la più completa tutela del diritto, ed a ciò provvede il precetto dell’art. 111, comma secondo, della Costituzione, che si sostituisce anche ad una (eventuale) espressa disposizione contraria del legislatore comune. Peraltro, proprio i provvedimenti riguardanti lo status della persona sono normalmente emessi, anche in considerazione dell’evidente interesse pubblico ad essi connesso, in esito ai procedimenti aventi la natura di volontaria giurisdizione i quali, tra le altre caratteristiche, presentano quella dell’impulso sostanzialmente ufficioso, con una prevalenza dei poteri del giudice che accentua il carattere inquisitorio del procedimento di camera di consiglio e la parziale inapplicabilità del principio iuxta alligata et probata, risultando così non certo esclusa ma almeno attenuata la sfera di applicabilità delle regole generali concernenti l’onere della prova. Se ancora ve ne fosse bisogno, a conferma della natura di volontaria giurisdizione del presente procedimento, sia la pregnante considerazione – ritenuta uno dei principali discrimini tra procedimento contenzioso e procedimento di volontaria giurisdizione – che l’interesse fatto valere dall’odierno reclamante volto ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato non assurge al grado di diritto soggettivo e, comunque non da luogo a posizioni subiettive contrapposte in relazione all’emanazione del provvedimento richiesto, in quanto manca il conflitto di diversi e contrapposti interessi correlativi ad una pretesa e ad una soggezione scaturenti da un diritto e da un obbligo che, com’è noto, caratterizza ogni procedimento contenzioso. A ben vedere, anzi, la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato (che ha, peraltro, natura dichiarativa e non costitutiva) non consente neppure di individuare un qualsiasi vero contro-interessato in quanto non configura neppure un interesse autonomo e tutelato in modo diretto dalla legge ma, in qualche modo, pur sempre (anche indirettamente) collegato alla posizione giuridica di un altro soggetto (il c.d. controinteressato, appunto) che potrebbe risentire, direttamente o indirettamente, degli effetti del provvedimento chiesto da altri e che, perciò, potrebbe avere valide ragioni contrarie alla sua emanazione anche se il provvedimento stesso è, per sua natura, diretto a regolare un unico inte94 resse. E, ad esempio, sono, in tal senso, controinteressati (in vario grado e sotto vari profili) l’interdicendo e l’inabilitando, l’amministratore condominiale di cui si chiede la revoca, il conservatore dei registri immobiliari che si è rifiutato di eseguire la cancellazione di un’iscrizione ovvero gli amministratori ed i sindaci di una società quando siano denunciate gravi irregolarità ai sensi dell’articolo 2409 c.c. in quanto ciascuno di tali soggetti ha comunque da temere, nei sui confronti, ripercussioni di vario genere da provvedimenti che pure sono in linea di principio, volti a soddisfare altri interessi: dei condomini, della società e dei soci o l’interesse generale. 2. Così affermata l’ammissibilità del ricorso presentato dallo […] e venendo all’esame del merito, rileva la Corte che la normativa nella specie applicabile è quella, sopra richiamata, di cui all’art. 1 del d.l. 30.12.1989, n. 416, convertito, con modificazioni, nella legge 28.2.1990, n. 39 il quale, al fine del riconoscimento dello status di rifugiato fa espresso riferimento alla Convenzione di Ginevra del 28.7.1951, ratificata dall’Italia con la legge 24.7.1954, n. 722 il cui art. 1.2 definisce “rifugiato”: “colui che, a seguito di avvenimenti verificatisi anteriormente al primo gennaio 1951, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo paese...”. La procedura per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato è, poi, enunciata nel regolamento di cui al d.p.r. 15.5.1990, n. 136. Deve, infine, rammentarsi che la definizione di “rifugiato”, originariamente soggetta alla duplice limitazione di ordine temporale (sopra menzionata) e di ordine spaziale di cui al co. 1 della Convenzione (rifugiati di provenienza europea), ha oramai carattere generale essendo stata la prima limitazione rimossa dal Protocollo di New York del 31.1.1967, reso esecutivo in Italia con la legge 14.2.1970, n. 95, e la seconda dal citato art. 1, primo comma del d.l. 30.12.1989, n. 416, convertito, con modificazioni, nella legge 28.2.1990, n. 39, il quale ha sancito che “dalla data di entrata in vigore del presente decreto cessano nell’ordinamento interno gli effetti della dichiarazione di limitazione geografica e delle riserve di cui agli articoli 17 e 18 della Convenzione di Ginevra dei 28.7.1951, ratificata con legge 24.7.1954, n. 722, poste dall’Italia all’atto della sottoscrizione della convenzione stessa”. Il quarto comma del medesimo art. 1 stabilisce, inoltre, che “non è consentito l’ingresso nel territorio dello Stato dello straniero che intende chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato quando, da riscontri obiettivi da parte della polizia di frontiera, risulti che il richiedente: a) sia stato già riconosciuto rifugiato in altro Stato. In ogni caso non è consentito il respingimento verso uno degli Stati di cui all’art. 7, co. 10; b) provenga da uno Stato, diverso da quello 95 di appartenenza, che non abbia aderito alla Convenzione di Ginevra, nel quale abbia trascorso un periodo di soggiorno, non considerandosi tale il tempo necessario per il transito sul relativo territorio sino alla frontiera italiana. In ogni caso non è consentito il respingimento verso uno degli Stati di cui all’art. 7, co. 10; c) si trovi nelle condizioni previste dall’art. 1, par. F, della Convenzione di Ginevra; d) sia stato condannato in Italia per uno dei delitti previsti dall’art. 380, co. 1 e 2, del c.p.p. o risulti pericoloso per la sicurezza dello Stato, ovvero risulti appartenere ad associazioni di tipo mafioso o dedite al traffico degli stupefacenti o ad organizzazioni terroristiche.” 3. Esaurita, così, una brevissima sintesi dei dati normativi, occorre adesso delineare, se pure ai limitati fini che qui giovano, almeno le essenziali linee guida in tema di individuazione del concetto di rifugiato delineato dalla norma sopra riferita (di cui meglio si dirà nell’esaminare il caso di specie) e, soprattutto, in tema di onere probatorio. 3.1. A questo ultimo riguardo non è, forse, superfluo rammentare, in primo luogo, che il riconoscimento dello status di “rifugiato” ha natura meramente dichiarativa e non certo costitutiva (cfr. anche la sentenza della Suprema corte sopra citata). Infatti, una persona è “rifugiato” ai sensi della Convenzione di Ginevra suddetta quando soddisfa i criteri enunciati nella definizione sopra riportata. Questa condizione si realizza necessariamente prima che lo status di rifugiato sia formalmente riconosciuto. Di conseguenza, la determinazione dello status di rifugiato noti ha l’effetto di conferire la qualità di rifugiato ma constata solamente l’esistenza di detta qualità. Una persona non diventa, pertanto, un rifugiato perché è stata riconosciuta tale, ma è riconosciuta come tale proprio perché è un rifugiato. L’affermazione, oltre che rilevante in sé, non sembra priva di significato anche sotto il profilo dell’individuazione dell’onere probatorio che caratterizza questa peculiare materia. A tale riguardo né la Convenzione, né la legge n. 39 del 1990, né il relativo regolamento (d.p.r. n. 136 del 1990) stabiliscono regole precise. Soccorrono, in parte, per un verso la stessa definizione del termine “rifugiato” data dal citato art. 1 della Convenzione (“colui che teme a ragione di essere perseguitato per motivi di razza... etc.”), nonché il citato comma 5 dell’art. 1 dei d.l. 30.12.1989, n. 416, convertito, con modificazioni, nella legge 28.2.1990, n. 39 che, testualmente, recita: “salvo quanto previsto dal comma 3, lo straniero che intende entrare nel territorio dello Stato per essere riconosciuto rifugiato deve rivolgere istanza motivata e, in quanto possibile, documentata dell’ufficio di polizia di frontiera.” La prima considerazione desumibile da tali norme è che il criterio basilare sancito dall’art. 1 della Convenzione (il timore, a ragione, di essere perseguitato) ha, per un verso, una dubbia connotazione soggettiva (il timore di essere perseguitato) ma richiede, per altro verso, una 96 imprescindibile, seppure non stringente, almeno sotto il profilo probatorio, connotazione oggettiva (costituita dall’inciso, a ragione). In favore della non assoluta categoricità di tale connotazione oggettiva (e, quindi, del conseguente “alleggerimento” dell’onere probatorio gravante sull’istante) milita anche il disposto dell’ora ricordato comma 5 dell’art 1 della legge n. 39/1990 il quale, mentre pone l’accento sulla necessità di un’adeguata allegazione (istanza motivata), stempera, invece, l’onere strettamente probatorio posto a carico del richiedente affermando che se la suddetta istanza deve essere motivata, essa deve, però, essere solo “in quanto possibile documentata”, ciò che, oltretutto, sembra lasciare aperta, come in tutti i procedimenti officiosi, quanto meno la possibilità di accertamenti disposti dalla competente Commissione e, per gli stessi motivi, anche da parte della autorità giudiziaria in sede di ricorso. Può dirsi, in conclusione, che se, secondo un principio generale di diritto, l’onere della prova spetta al richiedente, tuttavia, in subiecta materia, accade spesso che il richiedente non sia in grado si sostenere le proprie dichiarazioni con prove documentali o di altro genere: anzi i casi in cui il richiedente può fornire delle prove a sostegno di tutte le sue dichiarazioni costituiscono l’eccezione e non la regola. Nella maggioranza dei casi, infatti, una persona che fugge da persecuzioni arriva sprovvista di tutto e spesso anche senza documenti personali. Pertanto, quantunque l’onere della prova spetti in linea di principio al richiedente, l’accertamento della valutazione di tutti i fatti rilevanti fanno carico congiuntamente al richiedente e all’esaminatore. In alcuni casi, invero, sarà compito dell’esaminatore utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione per raccogliere le prove necessarie a sostegno della domanda. Tuttavia, anche questa ricerca indipendente e officiosa potrebbe non essere coronata da successo, come pure talune dichiarazioni potrebbero essere non suscettibili di prova. In tali casi, se il racconto del richiedente appare credibile, anche in base alla notorietà di fatti ed avvenimenti non strettamente personali, a questi bisognerà concedere il beneficio del dubbio a meno di valide ragioni in contrario. Giova, infine, notare, che i principi ora esposti hanno non soltanto il conforto di autorevole dottrina ma hanno trovato, in buona sostanza, conferma nelle, sia pure poco numerose, pronunce rese, in materia, da parte dei giudici amministrativi prima che l’art. 46, legge n. 40 del 1998 abrogasse l’art. 5, d.l. n. 416 del 1989, convertito con modificazioni dalla legge n. 39 del 1990, abrogazione poi confermata dell’art. 47 del testo unico d.lgs. n. 286 del 1998, così attribuendo al giudice ordinario la giurisdizione in materia. Invero, quanto all’onere della prova facente carico al richiedente, alcuni tribunali amministrativi regionali hanno avuto modo di precisare che è necessario che il richiedente fornisca elementi tali 97 da giustificare la presenza di un ragionevole fondato timore di subire persecuzioni dirette e personali per motivi di cui all’art. 1 della Convenzione in caso di rientro in patria (T.A.R. Lazio, 1 sez., 20.6.1994, n. 990, T.A.R., 1994, 1 p. 2364). È stato anche precisato che l’onere probatorio dovrà essere assolto compatibilmente con la pochezza di documentazione che un espatrio affrettato e magari clandestino può giustificare”, precisandosi, altresì, che la prova, anche indiziaria, potrà essere data “a mezzo di elementi seri, precisi e concordanti, desumibili da documenti testimonianze, dichiarazioni anche dello stesso interessato che consentono di ritenere, in base al comune buon senso e alle circostanze di tempo e di luogo addotte, l’effettiva sussistenza delle suddette persecuzioni politiche” (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 19.5.1993, n. 244, in T.A.R. 1993, 1, p. 2538; T.A.R. Veneto, 6.3.1995, n. 417, in T.A.R., 1995, 1, p. 2307). In altra pronuncia ancora si è riconosciuto come il giudizio sull’esistenza dei requisiti per il riconoscimento dello status “possa raramente basarsi accurate indagini in ordine di affermazioni fatte dallo straniero richiedente, essendo per lo più forzatamente basato su presunzioni logiche ovvero giudizi di verosimiglianza, fondati sulle stesse dichiarazioni dell’interessato” (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 22.12.1993, n. 633, T.A.R., 1994, 1, p. 669). 4. Ciò posto in linea di principio, rileva, in concreto, il collegio che il provvedimento della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato avverso il quale l’odierno reclamante ha proposto il ricorso e che tale riconoscimento gli ha negato si fonda su due considerazioni: 1) che lo [...] ha, comunque, affermato che “dopo l’ingresso del suo partito in Parlamento la sua posizione personale è più sicura”; 2) che “il (suo) desiderio di ottenere un permesso di soggiorno per motivi di lavoro è assorbente”. Entrambi gli argomenti motivazionali sono, invero, contraddittori, illogici e, comunque, infondati. 4.1. Il secondo per l’evidente motivo che il “desiderio di ottenere un permesso di soggiorno “per motivi di lavoro”, non esprime altro che il legittimo ed anzi doveroso intento dell’odierno reclamante di procurarsi un lavoro che gli consenta di mantenere se medesimo qui in Italia e, ove possibile, di contribuire al mantenimento della sua famiglia (una moglie ed un figlio) nel suo paese d’origine. Tale legittimo desiderio non costituisce, infatti, il motivo della stia richiesta di avere riconosciuto lo status di rifugiato ma solo una necessaria conseguenza, quale mezzo – una volta ottenuto il riconoscimento – per la sua sopravvivenza in Italia anche a prescindere da ogni assistenza che fosse prevista per i rifugiati e di cui si fa cenno nel comma 7 del citato art. 1 del d.l. 30.12.1989, n. 416, convertito, con modificazioni, nella legge 28.2.1990, n. 39. È, comunque, superfluo ricordare che il diritto al lavoro è uno dei diritti fondamentali dell’individuo e non può certo essere motivo di esclusione dello status di rifugiato ed, anzi, vi confluisce non potendo 98 dubitarsi che al rifugiato debba riconoscersi il diritto al lavoro nel paese che lo ospita. 4.2. Ma anche il primo degli argomenti adottati dalla Commissione ministeriale di cui sopra è meritevole di censura in quanto illogico ed infondato. Infatti, la Commissione, pur senza contestare la gravità e la veridicità dei fatti addotti dal richiedente, ha tuttavia negato allo [...] il riconoscimento dello status di rifugiato sulla base della semplice (e semplicistica) considerazione che il predetto ha – da ultimo – affermato che, “dopo l’ingresso del suo partito in Parlamento, la sua posizione personale è più sicura, considerazione questa che non appare condivisibile per almeno tre ordini di motivi. 4.2.1. Il primo discende dal fatto che il concetto di “persecuzione” di una persona a motivo della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad un certo gruppo sociale o delle sue opinioni politiche delineato dall’art. 1, secondo comma, della Convenzione di Ginevra non può, ovviamente, essere limitato alla sola minaccia alla vita ovvero nello stretto ambito dell’incolumità personale del perseguitato e/o dei propri familiari ma si estende ad ogni forma di lotta radicale e spietata che, per i suddetti motivi, incida in maniera penetrante sui diritti fondamentali dell’individuo. Pertanto il riconoscimento dello stesso [...] in ordine ad un diminuito pericolo circa la sua incolumità personale, oltre che esprimere un concetto relativo che non fa cessare, di per sé, lo stato di persecuzione, non significa, comunque, il venir meno di altre forme di violazione dei diritti fondamentali che – esemplificativamente – vanno dalla interdizione a manifestare e praticare il proprio credo religioso, a gravi atti discriminatori derivanti dall’appartenenza ad una razza o gruppo etnico (nella specie il gruppo etnico tamil), a tutte le forme di limitazione delle libertà individuali e collettive da parte del gruppo di potere dominante verso coloro che appartengono, appunto, a gruppi etnici o linguistici diversi e non necessariamente illimitati, a tutte le discriminazioni poste in essere verso gli appartenenti ad un determinato gruppo sociale, a tutte le forme di repressione nei confronti di coloro che hanno opinioni politiche contrarie o di critica alla politica dell’autorità al potere (nella specie lo [...] ha asserito di far parte del partito di opposizione dello J.V.P. – partito liberazione del popolo –), alle restrizioni del diritto di guadagnarsi la vita. 4.2.2. Il secondo motivo discende dalla pregnante considerazione che, per un verso, lo [...], adempiendo al suo onere di allegazione, ha sicuramente fornito ampia ed adeguata motivazione in ordine di fatti e dettagliate circostanze che hanno indotto in lui non soltanto il fondato timore ma la certezza di essere perseguitato (la sua militanza come attivista nel partito di opposizione dello J.V.P. – partito di liberazione del popolo –, le minacce e le violenze a lui ed alla sua famiglia, l’incendio della sua casa, l’uccisione di uno stretto parente militante nel suo stesso par99 tito, la impossibilità di procurare a sé ed alla sua famiglia adeguato sostentamento e, per suo figlio, adeguata istruzione etc.). Per contro, la Commissione ha rigettato la richiesta pur senza nulla eccepire in ordine alla completezza ed adeguatezza della, invero, esauriente allegazione dei fatti posti dallo [...] a sostegno della propria istanza e pur senza mettere in dubbio la veridicità di tali sue affermazioni, tanto da non aver ritenuto necessario o utile esperire alcun accertamento d’ufficio (tramite gli organi istituzionali tra cui, ad esempio, l’Ambasciata italiana a Colombo) in ordine alla veridicità di quanto dedotto dall’odierno reclamante. Se a ciò si aggiunge la considerazione che i fatti attendibilmente rappresentati dallo [...] trovano indiretto ed esterno riscontro nella obbiettiva e ben nota situazione politica e sociale dei paese di origine di costui (Sri Lanka), è evidente che, in base ai principi sopra esposti e specie in mancanza di ogni contestazione da parte della Commissione, il limitato onere probatorio posto a carico del richiedente deve ritenersi, anche presuntivamente, assolto. Invero, è noto dalla recente storia e dalle cronache che, oramai da molti anni lo Sri Lanka è in preda a spietate e sanguinose lotte e dissidi interni il più grave dei quali (ma non l’unico) è quello che oppone alla maggioranza singalese (74%) la minoranza indù dei tamil (18%), antichi immigrati dall’India che vivono prevalentemente nel nord del paese e che reclamano l’indipendenza con atti di terrorismo e con un esercito irregolare annidato nella penisola di Jaffna. In ogni caso, apparendo il racconto del richiedente credibile anche in base alla notorietà dei fatti ed avvenimenti non strettamente personali ora succintamente esposti, a questi bisognerà concedere il beneficio del dubbio, a meno di valide ragioni in contrario. 4.2.3. Il terzo motivo che induce a ritenere illogico ed infondato il diniego dello status di rifugiato da parte della Commissione consiste nel fatto di avere recepito acriticamente e senza effettuare alcuna verifica il fatto oggettivo costituito dall’ingresso nel Parlamento dello Sri Lanka anche del partito di cui fa parte lo [...]. Invero, recentissime notizie desunte dal sito web ufficiale dell’Ambasciata d’Italia a Colombo (www.italianembassy.lk), scheda informativa per visitatori temporanei, voce: sicurezza) consentono di affermare che la situazione politica e di sicurezza (anche per turisti ed operatori commerciali stranieri) in quel paese non è affatto normalizzata, né sono prevedibili i tempi di un ritorno ad accettabili condizioni di legalità e sicurezza. Si legge, infatti, in tale sito dell’autorità italiana che “le recenti elezioni, tenutesi (in quel paese) il 5 dicembre ultimo scorso hanno visto l’affermazione dell’opposizione. La formazione di un nuovo Governo e l’avvio di un processo di pacificazione con la guerriglia tamil hanno portato un clima di moderato ottimismo nel paese. Dal periodo natalizio è in vigore un “cessate il fuoco” proclamato prima unilateralmente e dal 23 febbraio concordato in un apposito memorandum d’intesa dalle due parti in causa. Sono quindi di100 minuiti i posti di blocco sia nella capitale che nel resto del paese e sono state riaperte varie strade di collegamento con le zone del nord-est”. Ma si aggiunge, però: “è da verificare se e quando le trattative dirette, che inizieranno entro due-tre mesi con l’ausilio della intermediazione del Governo norvegese, porteranno ad una effettiva pacificazione, anche perché iniziative del genere in passato sono fallite dopo qualche tempo”. Precedono e seguono pressanti inviti a non entrare nel Paese salvo che per motivi di lavoro o altra necessità e, comunque, inviti alla massima prudenza, evitando, in ogni caso, alcune zone del paese, ed “evitando di fare uso di autobus locali, di guidare fuori Colombo non accompagnati, di viaggiare nelle ore notturne. A coloro che per motivi di lavoro o per necessità devono recarsi nel paese, si consiglia di contattare anticipatamente e comunque all’arrivo a Colombo l’Ambasciata d’Italia, segnalando la propria presenza ed attenendosi ai suggerimenti indicati o a quelli che di volta in volta potranno essere aggiornati”. Viene, infine, elencata una lunga serie di sanguinosi attentati, anche recenti, che hanno fatto, solo negli ultimi due anni, centinaia di morti e feriti anche tra stranieri. Come si vede, dunque, l’oggettiva situazione di instabilità politica di cui il reclamante si dice vittima non è stata ancora affatto superata. 5. In base a tutte le superiori considerazioni ritiene, pertanto, questa Corte di dovere censurare la impugnata decisione della Commissione centrale per il riconoscimento dello stato di rifugiato in capo a [...] e, conseguentemente, riconoscere a quest’ultimo il suddetto stato di rifugiato. 6. Trattandosi di procedimento di volontaria giurisdizione non avente, dunque, natura contenziosa in quanto non postula la composizione di contrapposte posizioni di diritto soggettivo, non può legittimamente configurarsi per posizione di “parte soccombente tenuta al rimborso delle spese a favore di “altra parte” (vittoriosa) a norma dell’art. 91 c.p.c. (cfr., tra le tante, Cass. 8.5.2001; Cass. 30.3.2001, n. 4706; Cass. 2.10.1997, n. 9636). P.Q.M. In accoglimento del reclamo proposto da [...] avverso il decreto del tribunale di Catania in data 7.1.2002 che ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale il predetto aveva impugnato il provvedimento della Commissione centrale per il riconoscimento dello stato di rifugiato emesso in data 14.3.2001 con il quale la suddetta Commissione aveva deciso di non riconoscere all’odierno reclamante tale stato, la Corte riconosce a [...] lo stato di rifugiato. Nulla sulle spese. 101 MOTIVI DELLA DECISIONE Trib. Civ. di Roma sent. n. 31411 del 5 luglio 2002 (omissis) SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 78496 del R.G. per gli affari contenziosi dell’ anno 2001 e vertente TRA (omissis) nato in Etiopia (omissis) ATTORE E MINISTERO DEGLI INTERNI, (omissis) CONTUMACE. CONVENUTO Con l’intervento del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma OGGETTO: Dichiarazione stato di rifugiato politico e/o asilo politico. CONCLUSIONI All’udienza di precisazione delle conclusioni del 30 aprile 2002 il procuratore dell’attore concludeva come in atti SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato (omissis), premesso che era cittadino etiope di etnia Oromo; che, essendo tale etnia affine a quella eritrea ed essendo gli Oromo solidali con gli Eritrei nella loro lotta per l’indipendenza, del proprio Stato da quello etiope, come ben noto anche a causa della lunga guerra di aggressione da parte dell’Etiopia nei confronti dell’Eritrea,la propria etnia era soggetta a dure persecuzioni da parte dell’autorità etiope, con diniego di esercizio di ogni diritto democratico; che,a causa di tale situazione uno zio era stato ucciso dai militari etiopi, mentre due suoi fratelli erano stati incarcerati; che, nel 1999 era riuscito a giungere quindi in Italia; ciò premesso chiedeva che il Tribunale di Roma dichiarasse il proprio stato di rifugiato politico o gli concedesse asilo politico, con le conseguenze di legge. Il Ministero convenuto rimaneva contumace. Quindi, sentito il ricorrente ed acquisita documentazione, la causa passava in decisione sulle conclusioni in epigrafe trascritte. 102 La domanda di asilo politico è fondata e deve pertanto essere accolta. Va premesso che le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza nº 4674/1997, relativamente al diritto di asilo, hanno affermato la portata precettiva, e l’applicabilità diretta dell’art. 10 della Costituzione, avendo precisato che la norma costituzionale configura un vero e proprio diritto soggettivo all’ottenimento dell’asilo anche in mancanza di una legge che, del diritto stesso specifichi le condizioni di esercizio e la modalità di godimento, individuando nell’impedimento all’esercizio delle libertà democratiche la causa di giustificazione del diritto ed indicando l’effettività quale criterio di accertamento della situazione ipotizzata. Non costituisce inoltre ostacolo dalla domanda di asilo, il diniego dello stato di rifugiato operato dalla Commissione Centrale per il riconoscimento dello stato di rifugiato politico, data la diversa configurazione, delle due fattispecie come ipotizzate dalla Convenzione di Ginevra 28 luglio 1951 e dall’art. 10 Cost.. Ciò premesso, dalla documentazione prodotta risultano le seguenti circostanze: la repressione antidemocratica della popolazione di etnia etiope-oromo da parte delle autorità governative etiopi. Dalla documentazione proveniente dall’Oromo Liberation Front e specificamente dai rapporti di Amnesty International, risulta evidente la repressione operata dalle autorità etiopi nei confronti degli appartenenti all’etnia Oromo, con arresti ingiustificati per motivi politici, senza accuse né processi di centinaia appartenenti alla detta etnia. Di tali persone le autorità etiopi non hanno dato informazioni, né hanno permesso alle organizzazioni umanitarie di conoscere dove si trovassero i detenuti. Tra gli arrestati vi erano anche numerose persone prigioniere solo per motivi di coscienza ed altre accusate solo per la loro attività politica non violenta. Inoltre tra il mese di aprile e di maggio del 2002 risulta che si sono verificati arresti di circa 3.000 persone di etnia Oromo, appartenente al fronte di liberazione Oromo, tra cui studenti, membri del partito di opposizione, attivisti dei diritti umani, organizzazione alla quale appartiene appunto l’attore. (omissis) Deve pertanto concludersi che in Etiopia sussiste una diffusa compromissione delle libertà fondamentali dell’individuo riconosciute e tutelate dalla Costituzione italiana ed in particolare agli appartenenti all’etnia etiope Oromo; quale appunto quella dell’attore, sia impedito l’effettivo esercizio delle comuni libertà democratiche. Ricorre, pertanto, la condizione essenziale perché sia dichiarato il diritto dell’attore all’asilo politico in Italia ai sensi dell’art. 10 comma 3 della Costituzione. Data la natura del procedimento, le spese relative vanno dichiarate irripetibili. 103 P.Q.M. Pronunciando sulla domanda proposta da (omissis) così provvede: – dichiara il diritto dell’attore all’asilo politico in Italia ai sensi dell’art. 10 comma 3 della Costituzione; – dichiara irripetibili le spese del procedimento. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 luglio 2002. ◆ Tribunale di Roma Sez. I civile 6 dicembre 2002 SENTENZA nella causa civile – in primo grado iscritta ai n 18326/2002 RGAC, posta in deliberazione nella camera di consiglio del 6.12.2002, vertente TRA (...) – attore – E COMMISSIONE CENTRALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLO STATUS DI RIFUGIATO, in persona del l. rapp.te, MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro, dom. in Roma, presso l’Avv. Gen. dello Stato, che li rappr. e dif. per legge; PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente, tutti dom. in Roma, presso l’Avv. Gen. dello Stato, che li rappr. e dif. per legge; – convenuti – PUBBLICO MINISTERO intervenuto OGGETTO: Domanda di rifugio politico. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con citazioni del 4 e 5 marzo 2002 (...) ed (...), coniugi di nazionalità colombiana, premesso che avevano vissuto fino al 28 aprile 2001 in Colombia, che l’attore era dipendente del Governo Colombiano con la qualifica di tecnico fiscale, essendo le sue mansioni quelle di perito tecnico nei procedimenti riguardanti il narcotraffico ed i gruppi paramilita104 ri, che le condizioni di vita e di lavoro di (...), militante nel partito liberale, erano divenute nel corso degli anni sempre più pericolose, e che anche la moglie era soggetta a minacce per l’attività del marito: nel 1999 era stato assassinato in Colombia (...), con cui l’attore aveva stretti rapporti di amicizia e lavoro, poco dopo veniva assassinato (...), cugino dell’attore; che l’(...) era stato oggetto di intimidazioni e di un attentato, denunciati alla Polizia locale il (...), che in Colombia erano riconosciuti solo il partito conservatore ai governo e quello liberale all’opposizione, ma che in realtà il potere reale era detenuto da gruppi politici clandestini, che si erano divisi il territorio in zone di controllo, ovvero il FARC (Gruppo armato comunista), l’ERN (esercito di liberazione nazionale) ed i gruppi paramilitari che controllavano il narcotraffico; che per tutti i motivi indicati nell’aprile 2001 gli attori erano partiti per l’Italia, che la domanda alla Commissione Centrale per il riconoscimento dello Stato di Rifugiato Politico era stata respinta, che a seguito di ciò la Questura di Roma aveva ordinato l’allontanamento dal territorio nazionale degli attori, provvedimento avverso il quale pendeva ricorso al TAR; ciò premesso chiedevano che fosse loro riconosciuto lo status di rifugiati politici. Si costituivano tutti i convenuti, eccependo il difetto di giurisdizione dell’AGO, essendo stato impugnato un provvedimento negativo emesso da un organo della Pubblica Amministrazione; nel merito contestavano la fondatezza della domanda. Acquisita documentazione ed espletato interrogatorio libero dell’attrice, la causa era rimessa al collegio per la decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE In ordine alla giurisdizione, si osserva che l’art. 5 del d.l. 30.12.1989, n. 416, conv. con modificazioni nella L. 28.2.1990, n. 39, che attribuiva al giudice amministrativo la decisione dell’impugnazione del provvedimento di diniego del riconoscìmento dello status di rifugiato, è stato abrogato dall’art. 46 della L. 6.3.1998, n. 40, disposizione quest’ultima confermata dall’art. 47 T.U. D. Lgs. Ne consegue che la giurisdizione va determinata in base ai principi generali dell’ordinamento, per cui tutte le controversie concernenti lo status delle persone appartengono alla giurisidizione del giudice ordinario. In applicazione di detti principi, la Corte di cassazione aveva già statuito che le controversie che riguardano il riconoscimento del diritto di asilo – art. 10, 3º cm. Costituzione – rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario (Cass. sez. un. 26.5.1997, n. 4674, riv. dir. intern. 1997, 843). È stato successivamente riconosciuto che la qualifica di rifugiato politico costituisce, come quella dell’avente diritto all’asilo, uno status, con la conseguenza che le controversie riguardanti il riconoscimento del 105 diritto di asilo o la posizione di rifugiato rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria (Cass. sez. Un. 17.12.1999, n 907). Nel merito, in base alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con L. 24.7.1954, n 722, al Protocollo di New York del 31.1.1967, ratificato con L. 14.2.1970, n 95, che ha eliminato il riferimento temporale agli avvenimenti verificatisi anteriormente al 1º gennaio 1951, ed al D.L. 30.12.1989, n 416, conv. nella L. 28.2.1990, n 39, è considerato rifugiato politico colui il quale, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore avvalersi della protezione di questo paese; oppure il quale, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del paese in cui aveva la residenza abituale, non può e non vuole tornarvi per il timore di cui sopra. La qualifica di rifugiato politico si distingue pertanto da quella del richiedente asilo, oltre che per la fonte da cui scaturisce – norma convenzionale internazionale piuttosto che previsione costituzionale – anche perché è meno ampia della seconda, prevedendo quale fattore determinante, un fondato timore del richiedente di essere perseguitato per i motivi indicati dalla norma. Dall’istruttoria svolta, mediante acquisizioni documentali ed interrogatorio libero dell’attrice, risulta che le affermazioni degli attori hanno trovato ampi riscontri. Ed al riguardo, in primo luogo non si ha motivo di dubitare della conformità della documentazione prodotta in fotocopia agli originali, questione del resto neanche sollevata dai convenuti; ne risulta pertanto accertata l’identità degli attori e l’attività lavorativa dell’(...), così come sono attendibili i rapporti dall’attore con le persone, il cui omicidio viene documentato in atti; del pari attendibile è la denuncia di un tentativo di attentato e di minacce subiti dall’attore e dalla moglie, così come credibile e drammatica è giunta in corso di causa, la notizia dell’omicidio del fratello dell’attrice, (...), con arma da fuoco. Da quanto sopra, emerge con certezza che gli attori, nel proprio paese, sono a rischio di persecuzione con grave pericolo per la loro vita; né può dubitarsi che le ragioni della persecuzione, siano inerenti a motivi sociali e politici, facendo parte l’(...) di un gruppo politico di opposizione – partito liberale – ed essendo fino alla sua partenza dalla Colombia dipendente pubblico, addotto al controllo sul narcotraffico, mentre il pericolo per la moglie deriva dalla condizione del marito, ma è stato constatato che esso è drammaticamente reale. Non ci si sofferma, in questa sede sulle condizioni di vita in Colombia, ampiamente documentate sulla base delle notizie informative prodotte agli atti, costituenti del resto fatti notori, in base ai quali le organizzazioni clandestine e paramilitari dedite al narcotraffico hanno nel 106 Paese, nel quale si verificano annualmente migliaia di sequestri e di morti violente, ampi spazi. Ciò conferma ulteriormente l’attendibilità e fondatezza del pericolo di persecuzione cui gli attori sarebbero esposti nella loro terra di origine. Ciò premesso, sulla base di quanto sopra, la domanda di riconoscimento dello stato di rifugiato politico degli attori va accolta ed i convenuti, in base alla soccombenza, vanno condannati alla rifusione delle spese di lite. P.Q.M. Il tribunale, definitivamente pronunciando nella causa n. 18326/2002, così provvede: – Dichiara che (...) ed (...) hanno lo status di rifugiati politici, a far data dal loro ingresso in Italia, il (...); – Condanna i convenuti in solido a rifondere agli attori le spese giudiziali, liquidate in € 2.500,00 di cui € 200,00 per esborsi, € 900,00 per diritti ed € 1.400,00 per onorari. Così deciso dal tribunale di Roma, prima sez. civile, nella camera di consiglio. ◆ Tribunale di Roma Sez. I civile 20 dicembre 2002 SENTENZA nella causa civile – in primo grado iscritta al n. 7982/2001 RGAC, posta in deliberazione nella camera di consiglio del 20.12.2002, vertente TRA (...) – attore – E MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro, dom. in Roma, presso l’Avv. Gen. dello Stato, che lo rappr. e dif. per legge; – convenuto – PUBBLICO MINISTERO – intervenuto – OGGETTO: Domanda di rifugio politico. 107 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con citazione del 29.1.2001 (...), di nazionalità colombiana, premesso di essere giunto in Italia nel novembre 1999, di avere rivolto istanza di riconoscimento dello status di rifugiato alla – Commissione Centrale presso il Ministero dell’Interno, che l’aveva respinta con provvedimento notificato il 27.10.2000, negandosi in detto provvedimento il motivo politico della fuga dal Paese, affermandosi che l’impegno politico di (omissis) era dettato da motivi di interesse, e che la Polizia locale poteva offrire tutta la protezione adeguata; che l’attore era militante nel Partito Liberale Colombiano, che In tale veste aveva ricevuto aggressioni e minacce documentate a partire dal maggio 1999, denunciate alla Polizia locale, che in Colombia egli era impiegato di una impresa municipale della città di Tulua, addetto alla lettura dei contatori, che rivoltosi alla Polizia con richiesta di protezione per sé e per un cugino, detto parente (...) era stato poi assassinato, che la sezione cittadina del Partito in cui egli militava il (...) aveva tenuto una riunione, in cui erano state discusse le vicende accadute all’attore ed era stato votato l’invito a lasciare il Paese per avere salva la vita, che in Colombia erano riconosciuti solo il partito conservatore al governo e quello liberale all’opposizione, ma che in realtà il potere reale era detenuto da gruppi politici clandestini, che si erano divisi il territorio in zone di controllo, ovvero il FARC (Gruppo armato comunista), l’ELN (esercito di liberazione nazionale) ed i gruppi paramilitari che controllavano il narcotraffico; che per tutti i motivi indicati nel novembre 1999 l’attore era partito per l’Italia; ciò premesso chiedeva che gli fosse riconosciuto lo status di rifugiato politico, od in subordine il diritto all’asilo, oltre al permesso di soggiorno in attesa della conclusione del procedimento. Si costituiva l’Amministrazione convenuta, eccependo il difetto di giurisdizione dell’AGO, essendo stato impugnato un provvedimento emesso da un organo della Pubblica Amministrazione; nel merito contestava la fondatezza della domanda e l’inammissibilità della domanda di asilo. Acquisita documentazione ed espletata prova testimoniale, la causa era rimessa al collegio per la decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE In ordine alla giurisdizione, si osserva che l’art. 5 del d.l. 30.12.1989, n. 416, conv. con modificazioni nella L. 28.2.1990, n. 39, che, attribuiva al giudice amministrativo la decisione dell’impugnazione del provvedimento di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, è stato abrogato dall’art. 46 della L. 6.3.1998, n. 40, disposizione quest’ultima confermata dall’art. 47. TU. D. lgs. 25.7.1998, n. 286. Ne consegue che la giurisdizione va determinata in base ai princi108 pi generali dell’ordinamento, per cui tutte le controversie concernenti lo status delle persone appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario. In applicazione di detti principi, la Corte di cassazione aveva già statuito che le controversie che riguardano il riconoscimento del diritto di asilo – art. 10, 3º co. Costituzione – rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario (Cass. sez. un. 26.5.1997, n. 4674, riv. dir. intern. 1997, 84). È stato successivamente riconosciuto che la qualifica di rifugiato politico costituisce come quella dell’avente diritto all’asilo, uno status, con la conseguenza che le controversie riguardanti il riconoscimento del diritto di asilo o la posizione di rifugiato rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria (Cass. sez. Un. 17.12.1999, n. 907). Nel merito, in base alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con L. 24.7.1954, n. 722, al Protocollo di New York del 31.1.1967 ratificato con L. 14.2.1970, n. 95, che ha eliminato il riferimento, temporale agli avvenimenti verificatisi anteriormente al lo gennaio 1951, ed al D.L. 30.12.1989, n 416, conv. nella L. 28.2.1990, n. 39 , è considerato rifugiato politico colui il quale, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dei paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore avvalersi della protezione di questo paese; oppure il quale, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori paese in cui aveva la residenza abituale, non può e non vuole tornarvi per il timore di cui sopra. La qualifica di rifugiato politico si distingue pertanto da quella del richiedente asilo, oltre che per la fonte da cui scaturisce – norma convenzionale internazionale piuttosto che previsione costituzionale – anche perché è meno ampia della seconda, prevedendo quale fattore determinante, un fondato timore del richiedente di essere perseguitato per i motivi indicati dalla norma. Dall’istruttoria svolta, mediante acquisizioni documentali e prove testimoniali, risulta che le affermazioni dell’attore hanno trovato ampi riscontri. Ed al riguardo, in primo luogo non si ha motivo di dubitare della conformità della documentazione prodotta in fotocopia agli originali, questione del neanche sollevata dall’Amministrazione convenuta; ne risulta pertanto accertata l’identità dell’attore e la sua attività lavorativa nel Paese d’origine, così come sono attendibili le denunce alla Procura della Repubblica ed alla Polizia locale, nonché il verbale della sezione locale del Partito liberale, in cui risultano gli attentati e le minacce subite dall’attore; infine, non può non rilevarsi che, prima della scadenza del termine per il deposito delle comparse, è stato depositato un certificato che attesta l’avvenuto omicidio del fratello dell’attore, (...), con arma da fuoco. 109 Da quanto sopra, emerge che l’attore, nel suo Paese, è perseguitato con grave pericolo per la sua vita e che la persecuzione dipende da motivi sociali e politici, ovvero dalla sua appartenenza ad un gruppo politico di opposizione Partito liberale – mentre egli, finché aveva in Colombia, non aveva particolari problemi economici, avendo un regolare lavoro retribuito. Non ci si sofferma, in questa sede sulle condizioni di vita in Colombia, ampiamente documentate sulla base delle notizie informative prodotte agli atti, costituenti del resto fatti notori in base ai quali le organizzazioni clandestine e paramilitari dedite al narcotraffico hanno nel Paese, nel quale si verificano annualmente migliaia di sequestri e di morti violente, ampi spazi. Ciò conferma ulteriormente l’attendibilità e fondatezza del pericolo di persecuzione cui l’attore era esposto nella terra di origine. Né può accogliersi la tesi dell’Amministrazione convenuta per cui, a fondamento della domanda di rifugio politico, vi è la sola persecuzione che provenga dall’autorità costituita, e non da gruppi fuori legge; in primo luogo perché detto limite non è implicito nella Convenzione di Ginevra, nel caso specifico non essendovi prova da quale parte provengano le persecuzioni, ma in particolare non potendosi non tenere nel debito conto, la capacità politica dell’autorità costituita, di proteggere da attacchi e persecuzioni anche di gruppi illegali. Ciò premesso, sulla base di quanto sopra, la domanda di riconoscimento dello stato di rifugiato politico dell’attore è fondata e va accolta e la convenuta Amministrazione, in base alla soccombenza, va condannata alla rifusione delle spese di lite. P.Q.M. Il tribunale, definitivamente pronunciando nella causa n. RGAC. 7982/2001, così provvede: – Dichiara che (...) ha lo status di rifugiato politico, a far data dal suo ingresso in Italia, nel novembre 1999; – Condanna il Ministero convenuto a rifondere all’attore le spese giudiziali, liquidate in € 2.500,00 di cui € 200,00 per esborsi, € 900,00 per diritti ed € 1.400,00 per onorari. Così deciso dal tribunale di Roma, prima sez. civile, nella camera di consiglio del 20.12.2002. 110 3. ASPETTI FORMALI DELLA PROCEDURA DI RICONOSCIMENTO DELLO STATUS DI RIFUGIATO E LORO EFFETTI SOSTANZIALI La procedura di riconoscimento dello status di rifugiato risulta tuttora interamente disciplinata da un solo articolo (il n. 1 della L. Martelli, integrato dalla L. 189/2002, c.d. Bossi-Fini) e da un sintetico regolamento di attuazione (DPR n. 136 del 15 maggio 1990). La mancanza di una normativa organica sull’asilo atta a regolare in maniera esaustiva e coerente il riconoscimento dello status di rifugiato e i diritti ad esso connessi, ha generato negli anni delle inevitabili questioni di interpretazione intorno ai diversi aspetti formali della procedura stessa e alla loro ricaduta sul piano sostanziale. La giurisprudenza che segue rappresenta una selezione di sentenze intervenute a seguito di impugnazioni di dinieghi motivati sulla base di elementi di natura formale e di atti emessi dalla Polizia nel contesto della fase “burocratica” (presentazione della domanda, rilascio del permesso di soggiorno temporaneo, etc.) della procedura di asilo. Sembra innanzitutto interessante rilevare il fatto che la giurisprudenza si sia soffermata su tali questioni con un’insistenza maggiore di quella riservata alla nozione e agli elementi costitutivi dello status di rifugiato. Non ininfluente su tale aspetto è l’assetto della competenza a conoscere le impugnazioni dei dinieghi; tale competenza (v. cap. 1) è stata infatti attribuita per anni ai Tribunali Amministrativi Regionali, organi giurisdizionali incaricati di un controllo di legittimità sulla procedura e sull’atto amministrativo, e dotati di limitati poteri rispetto all’assunzione di prove inerenti alla situazione individuale oggettiva alla base della richiesta, come ad esempio l’interrogatorio libero del richiedente o l’audizione di testimoni. Non può tuttavia negarsi che nell’affrontare questioni procedurali il Giudice amministrativo ha fissato degli importanti principi in materia di procedura di asilo, relativi in particolare a: tempo e momento di presentazione della domanda di asilo; organo competente a valutare l’incidenza degli 111 elementi formali sull’esito della domanda; motivazione e notifica del provvedimento. L’annosa questione del luogo di presentazione della domanda è emersa soprattutto in relazione ai numerosi provvedimenti delle Questure che rifiutavano di ammettere alla procedura di asilo i richiedenti che non avessero presentato relativa richiesta in frontiera al momento di arrivo sul territorio Italiano. L’illegittimità di tali atti è stata sin da tempi risalenti dichiarata da alcuni Tribunali Amministrativi (v. per tutti TAR Lazio, sent. n. 103 del 27 gennaio 1992) sulla base della non rinvenibilità nell’ordinamento di “alcuna ipotesi di decadenza o inammissibilità connessa alla presentazione dell’istanza di riconoscimento alla Questura (che è comunque competente allo svolgimento dell’istruttoria preliminare) anziché all’ufficio di polizia di frontiera” (TAR Emilia Romagna, sent. n. 776 del 12 ottobre 1994). Orientamento, questo, confermato dal Consiglio di Stato anche in tempi recenti : nella sentenza n. 5735 del 7 maggio 2002 il Consiglio, argomentando a partire dalla competenza attribuita in via esclusiva alla Commissione Centrale a valutare le domande d’asilo e l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, afferma che spetta a tale organo “valutare, con riferimento alla fattispecie in esame, se l’art. 1, comma 5, della legge n. 39 del 1990, nel prescrivere che la domanda sia presentata all’ufficio di polizia di frontiera, delinei implicitamente un onere da osservare a pena di decadenza della possibilità stessa di proporre la domanda in un altro termine; e considerare, nella attività di interpretazione della norma insita nell’esercizio della funzione amministrativa, la compatibilità delle soluzioni interpretative possibili con il canone costituzionale della ragionevolezza della legge e della sua conformità all’ordinamento internazionale”. Analoga questione è quella relativa al momento della presentazione della domanda di asilo, ossia al lasso di tempo intercorso tra l’ingresso del potenziale richiedente sul territorio e l’inoltro della relativa domanda presso l’ufficio di P.S. e alla eventuale incidenza di tale intervallo sulla credibilità della domanda e dunque sul riconoscimento. Si veda, in proposito, la già citata sent. TAR Emilia Romagna n. 776/1994 la quale a tale proposito afferma che, in particolare nei casi in cui la domanda non venga inoltrata alla Polizia di frontiera ma presso la Questura, essa debba essere “presentata in tempi ragionevolmente brevi rispetto alla data di ingresso in Italia, (…) al fine di non risolversi in un facile espediente per evitare le sanzioni conseguenti alla violazione delle norme in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri in Italia.” Va tuttavia rilevato che tale sentenza fa coincidere detti “tempi brevi (…) col termine di “ot112 to giorni dalla data di ingresso” previsto dall’art. 4, III co, L. n. 39/90”, disposizione vigente all’epoca, ma in seguito abrogata. Frequente motivo di censura da parte dei TAR nei confronti della P.A. è infine l’inadeguatezza, l’insufficienza, la stereotipicità della motivazione del diniego. Molteplici le sentenze che negli anni hanno annullato gli atti di rigetto della domanda di asilo politico sulla base del difetto di motivazione, ne abbiamo riportato una selezione: v. inter alia TAR Lazio, sent. n. 903 del 6 giugno 1996 e TAR Veneto, sent. n. 2495 del 15 ottobre 1998. Il trasferimento di competenza dal Giudice amministrativo al Giudice ordinario (v. cap. 2) produrrà probabilmente uno spostamento di attenzione sugli aspetti sostanziali della richiesta di asilo, stando a quanto sembra emergere dalle prime sentenze emanate dai Tribunali all’esito di procedimenti di impugnazione dei dinieghi; ci è parso tuttavia necessario dare conto dei principi fissati dalla giustizia amministrativa rispetto agli aspetti formali menzionati, principi che tuttora – basti pensare alla problematica attualissima del momento di presentazione della domanda – ispirano gli organi competenti nella valutazione delle domande di asilo. TAR Lazio sent. n. 103 del 27 gennaio 1992 Massima È illegittimo il provvedimento con cui il Questore nega allo straniero che non abbia presentato istanza di asilo alla frontiera, l’ammissione al procedimento per il riconoscimento dello status di rifugiato politico, con conseguente e contestuale invito a lasciare il territorio nazionale. ◆ TAR - Lazio sez. 1ª ter sent. n. 1467 del 9 ottobre 1993 ; Pres. Mastrocola, Est. Landi, […] - Min. Int. ed altri (parziale) – Una istanza di riconoscimento dello status di rifugiato presentata in epoca di molto posteriore all’ingresso nel nostro Paese, non può di 113 certo sanare la violazione per la mancata presentazione nel termine prescritto dalla legge della richiesta del permesso di soggiorno. Se così non fosse, si arriverebbe a consentire che la semplice presentazione di una istanza di asilo politico, ancorché tardiva, impedirebbe di fatto la espulsione dal territorio nazionale dello straniero, il quale ha violato le disposizioni in materia di ingresso e soggiorno nel nostro paese, e ciò in contrasto con lo spirito e la lettera della legge n. 39/90. La mancata indicazione della possibilità della automatica sospensione del decreto di espulsione nel caso di impugnativa nel più breve termine di quindici giorni non può ritenersi causa di illegittimità del decreto stesso. ◆ TAR Lazio - Sezione I ter sent. n. 1504 del 11 ottobre 1994; Pres. Mastrocola, Est. Gasperini. […] - Min. Int. ed altri. (estratto) Lo straniero che intende essere riconosciuto come “rifugiato politico”, deve rivolgere istanza motivata e, in quanto possibile, documentata all’ufficio di polizia di frontiera (art. 1 comma 5 della L. 39/1990) e quest’ultimo, solo qualora non ricorra alcuna delle cause ostative di cui all’art. 1 comma 4 della stessa L. n. 39/1990, invita il richiedente ad eleggere domicilio ed a recarsi presso la Questura competente per territorio e trasmette alla stessa l’istanza ricevuta (art. 1 comma 1 del DPR 15/5/1990 n. 136). Non può ritenersi che una domanda di asilo politico presentata dopo la scadenza dei termini previsti dalla legge per la sua presentazione ad organo incompetente (Questura anziché Ufficio di Polizia di frontiera) possa essere considerata come domanda ex art. 1 comma 5 n. 39/1990 e idonea ad ingenerare nell’Amministrazione un obbligo di provvedere al riguardo. ◆ TAR - Emilia Romagna - Sezione I sent. n. 776 del 12 ottobre 1994; Pres. f. f. Fiorentino Est. Rovis. […] - Min. Int. ed altri. (parziale) Nell’ordinamento non è rinvenibile alcuna ipotesi di decadenza o di inammissibilità connessa alla presentazione dell’istanza di riconoscimento alla Questura (che è comunque competente allo svolgimento dell’istruttoria preliminare), anziché all’ufficio di polizia di frontiera: tuttavia in tal caso l’istanza deve essere presentata in tempi ragionevolmente 114 brevi rispetto alla data di ingresso in Italia (cfr. TAR Lazio, I, 24.3.92), al fine di non risolversi in un facile espediente per evitare le sanzioni conseguenti alla violazione delle norme in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri in Italia. Tempi brevi che, in mancanza di espressa indicazione, possono farsi coincidere col termine di “otto giorni dalla data di ingresso” previsto dall’art. 4, III co, L. n. 39/90, in considerazione sia della previsione contenuta nell’art. 33 della Conv. Ginevra che obbliga lo straniero entrato clandestinamente a presentarsi “senza indugi” alla autorità di polizia statale, sia del ristretto termine (7 gg.) concesso alla Questura per svolgere l’istruttoria preliminare dell’istanza prima di inviare la documentazione alla competente Commissione centrale (art. 1, II co., D.P.R. n. 136/90). Nel caso di specie, invece, l’interessato ha atteso ben tre mesi e mezzo prima di presentarsi alla Questura per proporre l’istanza di cui trattasi. Ragione per la quale l’autorità, nel bilanciare gli opposti interessi, ha giudicato prevalente quello pubblico alla tutela della violazione delle norme in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri, implicitamente ritenendo che l’istanza avanzata dalla ricorrente non fosse sopportata da un concreto ed oggettivo interesse. ◆ TAR Lazio - Sez. I ter sent. n. 165 del 1 febbraio 1995 - Pres. Mastrocola - Est. Mele Costantin […] e […] - Min. Int. ed altri. (parziale) In presenza di una coppia di coniugi (quanto meno il marito, che svolgeva la professione di giornalista) che ha abbandonato una specifica attività di natura intellettuale per adattarsi nel nostro paese a lavori più umili e precari e che sicuramente svolgeva nel proprio paese attività di natura politica, la Commissione Centrale (alla quale sono stati presentati anche referti medici che certificano comunque l’esistenza di lesioni da percosse) avrebbe dovuto meglio e più attentamente indagare circa la reale situazione dei due richiedenti lo status di rifugiato in relazione alla situazione politica come complessivamente esistente e come evolutasi realmente nel tempo in Romania. A tale proposito, sarebbe stato oltremodo opportuno che i ricorrenti fossero stati personalmente sentiti. È vero, sì, che gli stessi, sebbene avvertiti, non si sono presentati, ma la particolarità della situazione avrebbe consigliato una seconda convocazione, attesa la necessità di verificare la situazione reale, altrimenti non trasparente. I ricorsi riuniti vanno, pertanto, accolti, relativamente alla insufficiente motivazione. 115 Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. n. 149 del 06 marzo 1995 Massima Spetta alla Commissione centrale per il riconoscimento dello “status” di rifugiato, prevista dalla legge 28 febbraio 1990 n. 39, e dal regolamento di attuazione emanato con D.P.R. 15 maggio 1990 n. 136, la competenza esclusiva a valutare le domande di riconoscimento dello “status” di rifugiato, anche quanto alla sussistenza o alla eventuale insussistenza dei relativi presupposti, pertanto, è illegittimo per incompetenza, il provvedimento con il quale il Prefetto espelle dal territorio nazionale lo straniero che abbia presentato domanda di asilo politico in un momento diverso dal suo ingresso. ◆ Consiglio di Stato Sez. Ad. Plen. , ord. n. 2 del 19 aprile 1996 Massima Tra i termini di cui l’articolo 5, comma quinto, del D.L. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito nella legge 28 febbraio 1990 n. 39, dispone, per i giudizi aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti in materia di diniego di riconoscimento dello status di rifugiato, di espulsione e di diniego e revoca del permesso di soggiorno, la riduzione a metà, sono compresi anche quelli relativi al giudizio d’appello previsti dall’articolo 29 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, da essa richiamato; pertanto, il ricorso proposto per l’appello cautelare deve essere depositato nel termine abbreviato di quindici giorni. ◆ TAR Lazio, Sez. I ter sent. n. 903 del 6 giugno 1996; Pres. Mastrocola, Est. Pugliese. […] - Min. Int. ed altri. Senza tenere in debito conto i gravi ed oggettivi pericoli con cui in caso di forzato rimpatrio andrebbe incontro il Sig. […] ingegnere elettronico capo della società nazionale di energia elettrica dello Zaire (Snel), cofondatore di un’associazione culturale cui aderivano molti appartenenti al partito di opposizione (“Unione per la democrazia ed il progresso sociale”) parte dei quali sono stati arrestati, torturati ed uccisi dalla polizia, lui stesso arrestato, tradotto nel carcere di Makala ove è rimasto per tre mesi ed ivi ripetutamente torturato per non aver inteso adempiere all’ordine, impartito dal comandante della guardia presidenziale, di 116 interrompere l’erogazione della corrente elettrica in una zona della città, riuscito a fuggire, quindi, appena ottenuta la libertà provvisoria in Angola e da qui in Italia dove il 22.12.1992 ha chiesto asilo politico) la Commissione centrale in argomento ha denegato al ricorrente, con argomentazioni che si appalesano generiche, stereotipe e acritiche (mancata individuazione di “motivi di persecuzione riferibili in via diretta e personale” “critica situazione di insicurezza esistente nel suo Paese”; “restrizioni, genericamente indicate” nonché “difficoltà che devono comunque essere ritenute non più riferibili specificamente in via diretta e immediata”) il riconoscimento dello status di rifugiato senza che all’uopo si sia curata di indicare, con congrua ed adeguata motivazione “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria” (art. 3 legge 7/8/1990 n. 241) al fine di consentire all’interessato di avere contezza dell’iter logico-giuridico seguito dall’Autorità emanante, motivazione ancor più necessaria laddove si incida in senso sfavorevole, su posizioni soggettive di terzi o si neghi la richiesta espansione delle posizioni medesime. D’altronde la giurisprudenza del giudice amministrativo ha più volte ritenuto e ribadito (vedi tra le tante: TAR Friuli Venezia Giulia n. 531-532-533/91-92-93 - 410/92) che il provvedimento di concessione o di mancata concessione dello status di rifugiato è un provvedimento amministrativo, la cui motivazione, secondo le regole usuali, deve essere congrua (e quindi non generica), logica e deve tener conto delle risultanze dell’istruttoria esperita, con la conseguenza che nei confronti di tale tipo di provvedimento (particolarmente delicato per le sue implicazioni) trova applicazione – come già accennato – il disposto di cui all’art. 3 della citata legge n. 241/90 in ordine alla necessità di una motivazione esaustiva della ragioni giuridiche di fatto che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria. ◆ TAR Lazio, Sez. I ter, sent. n. 1621 del 11 ottobre 1997; Pres. Mastrocola, Est. Pugliese. […] - Min. Int. ed altri (estratto) Come evidenziato soprattutto in memoria da parte ricorrente, va sottolineata l’evidente discrasia rinvenibile nell’operato della Commissione: per un verso la stessa prende atto delle persecuzioni subite dalla ricorrente con conseguente sussistenza, quanto meno, di un fumus di fondato timore di subire persecuzioni in caso di ritorno in patria e, per l’altro verso, la medesima asserisce che “non emergono elementi che giusti117 fichino la presenza di un ragionevole e fondato timore di subire persecuzioni dirette e personali in caso di eventuale rientro in Patria”. Asserzione quest’ultima, che mal si concilia con la “segnalazione” del disposto di cui all’art. 7 commi 6 e 10 della legge 39/90 in relazione “all’attuale contesto in cui versa il Paese di origine”, “fintantoché, almeno, perduri tale critica situazione”. I succitati commi, “segnalati” dalla Commissione, prevedono, com’è noto, che “lo straniero espulso è rinviato allo stato di appartenenza ovvero, quando ciò non sia possibile, allo stato di provenienza, salvo che, a sua richiesta e per giustificati motivi, l’autorità di pubblica sicurezza ritenga di accordagli una diversa destinazione, qualora possano essere in pericolo la sua vita o la sua libertà personale per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali” (comma 6) e che “in ogni caso non è consentita l’espulsione né il respingimento alla frontiera dello straniero verso uno stato ove possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione” (comma 10): tale essendo il disposto normativo di riferimento, ne discende, da una parte, la contraddittorietà tra quanto dalla Commissione ritenuto e/o comunque paventato, e quanto in definitiva ha poi deciso (reiezione dell’istanza di riconoscimento dello status di rifugiato) e, d’altra parte, come sottolineato da parte ricorrente, il palese travisamento dei fatti ed errore sui presupposti in cui è incorsa la Questura di Roma che, stravolgendo il chiaro senso del provvedimento assunto dalla Commissione, pur se in termini riduttivi (invito a tener conto dell’attuale contesto in cui versa lo Zaire, almeno fino a quando “perduri tale critica situazione”) rispetto alla richiesta formulata dalla ricorrente, ha adottato nei suoi confronti un provvedimento espulsivo a brevissimo termine, privo tra l’altro di qualsiasi garanzia per la salvaguardia del diritto fondamentale alla vita e all’integrità morale e fisica della ricorrente stessa. L’impugnato provvedimento denegativo del riconoscimento dello status di rifugiato appare altresì viziato dei menzionati profili di eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione, ove si osservi, per un verso che la Commissione non ha fornito alcun riferimento ricognitivo dell’eventuale istruttoria compiuta, limitandosi ad affermare con dizione quanto mai vaga e generica (soprattutto se rapportata con la situazione documentale in esame) la formale insussistenza dei requisiti per ottenere il chiesto riconoscimento e, per altro verso – come pure ricordato in memoria dalla difesa di parte ricorrente – la giurisprudenza del giudice amministrativo ha più volte ritenuto e ribadito (cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia n. 531/91, 410/92; TAR Lazio I Ter n. 903/96) che il 118 provvedimento di concessione o di mancata concessione dello status di rifugiato è un provvedimento amministrativo, la cui motivazione, secondo le regole usuali, deve essere congrua (e quindi non generica), logica e deve tener conto delle risultanze dell’istruttoria esperita, con la conseguenza che nei confronti di tale tipo di provvedimento (particolarmente delicato per le sue implicazioni) trova applicazione il disposto di cui all’art. 3 L. n. 241/90 in ordine alla necessità di una motivazione esaustiva delle ragioni giuridiche di fatto che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria. ◆ TAR Lazio, Sez. I ter, sent. n. 1100 del 11 luglio 1997; Pres. Mastrocola, Est. D’Ottavi. […] - Min. Int. ed altri. (estratto) Dalla lettura del provvedimento e dal riferimento ivi contenuto agli atti procedimentali – e in particolare al contenuto delle dichiarazioni rese in sede di audizione personale dall’interessato – si evince che il convincimento raggiunto dalla Commissione, su cui si è fondata l’impugnata decisione, è congruamente motivato, perché sono indicate con sufficienti richiami le ragioni ritenute ostative al rilascio del richiesto riconoscimento. Del resto la stessa situazione di fatto rappresentata dal ricorrente (che ha richiesto lo status di rifugiato dapprima perché in contrasto con il passato regime e attualmente perché timoroso anche del nuovo sistema di governo) contiene secondo quanto puntualmente indicato dalla Commissione elementi di genericità e di irrilevanza ai fini dell’applicazione delle disposizioni previste dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Circa l’uso nell’impugnato provvedimento di frasi stereotipe lamentato dal ricorrente, il Tribunale rileva che a parte l’inconsistenza della censura perché nel preambolo si fa preciso riferimento ad elementi specifici (status di militare del ricorrente, successiva diserzione, contenuto dell’audizione personale ecc.) della fattispecie, va ribadito quanto più volte affermato in casi analoghi, perché l’uso di una fraseologia tipicizzata non è per sé illegittimo se, come avviene nel caso in esame – e nei limiti estrinseci di sindacabilità da parte del Giudice amministrativo – non sia smentita dall’obiettiva realtà dei fatti, che anzi la ripetitività delle situazioni delle ragioni poste a fondamento dell’inapplicabilità della Convenzione di Ginevra, trova la sua migliore rappresentazione espressiva proprio nella proposizione di consuete fraseologie di riferimento. Da ultimo, circa la pretesa contraddittorietà tra la ritenuta irrile119 vanza del riferimento allo status di militare-disertore e la segnalazione di tale elemento, effettuata ex art. 7, commi 6 e 10 della L. n. 39/1990 all’Autorità di P.S., la censura è palesemente infondata perché le finalità garantistiche (rapportate a particolari elementi di fatto) previste da tale normativa (per cui in sede di espulsione potrà essere evitato, nell’interesse esclusivo del ricorrente, il rinvio allo Stato di appartenenza) non possono essere ritenute di per sé indizio sufficiente alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione della Convenzione di Ginevra, mentre possono esserlo per le menzionate cautele da osservarsi in sede di espulsione. ◆ Consiglio di Stato Sez. IV, sent. n. 404 del 10 marzo 1998 Massima Il dimezzamento dei termini processuali previsti dall’articolo 5 del D.L. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito dalla legge 28 febbraio 1990 n. 39, in materia di giudizi aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti di diniego dello status di rifugiato politico, di espulsione e di diniego e revoca del permesso di soggiorno a cittadini extracomunitari, si applica anche in relazione al deposito dell’appello quand’anche cautelare. ◆ TAR Veneto Sent. n. 2495 del 15 ottobre 1998 SENTENZA sul ricorso n. 1147/97, proposto da […], rappresentato e difeso dagli avv. Aldo Campesan e Nicola Zampieri; con elezione di domicilio presso l’Ufficio Vertenze Sindacali della CISL, in Venezia - Mestre, via Ca’ Marcello n. 10; CONTRO il Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia, presso cui ha domicilio legale in san Marco n. 63; 120 per l’annullamento del provv. n. 13 del 1º.3.97 del Questore di Vicenza di diniego di rilascio del permesso di soggiorno, nonché del parere negativo della Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di “rifugiato”; ….....…. ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: FATTO Il ricorrente rappresenta di provenire dalla Bosnia e di essere entrato in Italia il 30. l 1.96. In data 4.12.96 presentava istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in uno con la propria moglie e coi tre figli minori, i quali – al contrario del ricorrente – lo ottenevano. In data 12.3.97, infatti, gli veniva personalmente notificato l’opposto provvedimento di diniego, motivato con riferimento al parere negativo (non allegato) della Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato. Avverso il diniego agisce l’istante deducendone l’illegittimità sotto i seguenti profili: 1) violazione dell’art. 3 Legge 7.8.90 n. 241 e dell’art. 3, comma m. del D.P.R. 136/90. Difetto di motivazione. Il provvedimento opposto si limita a richiamare per relationem il parere negativo espresso dal Comitato Centrale, senza allegarlo o renderlo disponibile, e senza dar conto delle ragioni di fatto e di diritto che osterebbero al rilascio del permesso di soggiorno; di qui il palese difetto di motivazione. Inoltre risulta violata la disposizione che impone espressamente di notificare per iscritto all’interessato la decisione della Commissione. 2) Violazione dell’art. 5 Legge 39/90. Nullità dell’atto per mancanza di sottoscrizione. L’atto opposto non è stato notificato al ricorrente unitamente alla traduzione in una lingua a lui conosciuta Inoltre, il provvedimento risulta privo di sottoscrizione da parte di alcuno, il che integra la sua assoluta nullità. 3) Violazione degli artt. l e 4 della Legge 39/90. Poiché il parere negativo in ordine al riconoscimento dello status di rifugiato non è stato dimesso, né si sono indicati specifici motivi ostativi alla concessione del permesso di soggiorno, non è dato comprendere quale sia stato l’iter logico seguito per addivenire al diniego opposto, possedendo il ricorrente tutti i requisiti prescritti e non avendo pendenze o precedenti penali. 121 4) Violazione degli artt. 5, 6, 7 e 8 della Legge 7.8.90 n. 241 e dell’ art. 3, comma 1, del D.P.R 136/90. Sono state violate le disposizioni relative alla partecipazione al procedimento, non essendo stato nominato il responsabile, né dato avviso dell’avvio del procedimento stesso. Sono state inoltre violate anche le norme relative al riconoscimento dello status di rifugiato, che prevedono che l’interessato, ove lo richieda, ha la facoltà di essere sentito personalmente. 5) Violazione dell’art. 1, comma 2, del D.P.R 136/90. Incompetenza. Nel provvedimento non è indicato il termine di allontanamento. Il Questore, poi, non ha competenza in materia di asilo politico, poiché ove si faccia questione di “rifugiati” la Commissione Centrale, non solo emette il necessario parere, ma rilascia (o denega) il permesso di soggiorno. 6) Violazione dei principi di correttezza e buona amministrazione. illogicità e contraddittorietà. Non si è tenuto conto che tutti i familiari del ricorrente hanno ottenuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari. L’Amministrazione, costituita, chiede la reiezione del ricorso, siccome infondato. DIRITTO Oggetto del ricorso è la richiesta di annullamento del provvedimento del Questore di Vicenza di diniego del permesso di soggiorno, nonché del presupposto parere negativo della Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato. Il ricorso è fondato e va conseguentemente accolto. In particolare risultano sussistenti sia il vizio di difetto assoluto di motivazione, sia quello di “nullità” del provvedimento per mancata sottoscrizione dello stesso. Quanto al primo aspetto, va osservato che l’atto opposto è motivato ob relationem al parere negativo espresso dalla Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, il che è perfettamente corretto, anche a tenore dell’art. 3 della Legge 7.8.90 n. 241. Tuttavia, perché tale indiretta motivazione sia legittima è necessario che “se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima sia (deve essere) indicato e reso disponibile...anche l’atto cui essa si richiamino (art. 3, comma 3). All’evidenza, “indicato” significa identificato nei suoi estremi, e “reso disponibile” significa allegato in copia, o, quanto meno, posto a disposizione dell’interessato il quale possa prenderne diretta visione. 122 Laddove queste minimali formalità siano omesse, va da se che la motivazione dell’atto non può ritenersi adeguata e sufficiente. Nel caso di specie, il ricorrente non è stato posto nelle condizione di conoscere le reali ragioni del diniego (che ben possono sussistere) e, conseguentemente, di poter approntare un’adeguata difesa. Ciò appare ancora più significativo se si consideri, da un lato, che il provvedimento negativo della Commissione Centrale gli doveva essere personalmente notificato, a tenore dell’ art. 3, comma 3, del D.P.R. n. 136 del 15.3.90, e dall’altro che la moglie ed i figli del ricorrente hanno viceversa ottenuto lo status di rifugiato. Ciò è già sufficiente per addivenire all’annullamento del provvedimento opposto, tuttavia il Collegio non può tralasciare di prendere in considerazione anche il problema della mancata sottoscrizione del provvedimento di diniego (quanto meno nella copia notificata al ricorrente) da parte del Questore; prassi a quanto consta, assai diffusa. Il Collegio non ignora che esiste giurisprudenza (formatasi proprio nella particolare materia dei permessi di soggiorno) nel senso che la mancanza di firma in calce all’ atto amministrativo monocratico è irrilevante allorché sia possibile procedere (comunque) all’individuazione del soggetto emanante” (T.A.R. Liguria, sez. II, n. 328 del 28.10.97 e Cass. civ, n. 7234 del 7.8.96 “l’autografia della sottoscrizione non è configurabile come requisito di esistenza giuridica degli atti amministrativi, quanto meno quando i dati esplicitati nello stesso contesto documentativo dell’atto consentano di accertare la sicura attribuibilità dello stesso a chi deve esserne l’autore secondo le norme positive”; quest’ultima però si riferisce ad un caso di facsimile a stampa della firma). A questa giurisprudenza se ne contrappone altra, cui il Collegio ritiene di aderire, secondo cui “il provvedimento amministrativo, nei casi in cui debba essere redatto per iscritto, rientra nel novero degli atti giuridici formali, sì che il documento stesso è costitutivo del contenuto giuridico; pertanto la sottoscrizione deve provenire inequivocabilmente dalla persona fisica che, secondo le norme della fattispecie, sia titolare dell’organo competente alla statuizione amministrativa, verificandosi in difetto la nullità (o inesistenza giuridica) del provvedimento”. Soggiunge ancora la pronuncia che “la sottoscrizione di un atto amministrativo rappresenta anche un elemento essenziale dell’attestazione di conformità all’originale di una copia dell’atto stesso, in mancanza della quale il provvedimento non può essere ricondotto al suo autore e deve considerarsi inesistente” ( T.A.R. Sicilia - Catania, n. 703 del 30.4.96 e C.S., sez. VI, n. 885 del 26.11.91). Nella specie, la copia del provvedimento notificata al ricorrente e dimessa in atti, è del tutto priva di sottoscrizione. Contiene invece – e ciò non può non costituire, se possibile, un’ul123 teriore aggravante – l’attestazione resa dal funzionario (dirigente dell’Ufficio Stranieri) di conformità all’originale, che, quindi, deve presumersi parimenti non sottoscritto o, quanto meno, sottoscritto a posteriori. L’atto impugnato, quindi, appare anche affetto da insanabile nullità per vizio di forma. Il ricorso, in conclusione, va accolto. Come di regola, le spese seguono la soccombenza, pertanto la soccombente Amministrazione viene condannata alla rifusione, in favore della parte istante, delle spese e competenze di causa, che pare equo quantificare in complessive £ 3.000.000 (tre milioni). P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima Sezione, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, lo accoglie. Né, peraltro, può pensarsi che la richiesta del ricorrente dovesse essere intesa come richiesta di accesso procedimentale, in quanto quest’ultimo è direttamente discendente dalla qualità di partecipazione al procedimento, qualità che nella specie è escluso in capo al ricorrente, trattandosi invero di valutazioni latamente discrezionali della P.A. che, in quanto tali, non ammettono contradditorio. Ciò posto, rileva inoltre il Collegio che l’istanza dal Sig. […], sia pure intempestivamente proposta deve comunque considerarsi acquisita dalla Questura di Roma, la quale, una volta che il procedimento sarà concluso, dovrà invitare l’interessato a dar luogo all’accesso richiesto, senza che lo stesso debba nuovamente attivarsi per esperire la procedura che trattasi. Consegue da quanto sopra che, allo stato degli atti, il ricorso non può essere accolto. ◆ ◆ Consiglio di Stato Sez. IV, sent. n. 1409 del 15 marzo 2000 TAR Lazio, Sez. I Ter, sent. n. 2154 del 8 luglio 1998; Pres. Mastrocola, Est. Pugliese. […] - Min. Int. ed altri. Richiamandosi alla sua ormai costante giurisprudenza, ritiene la Sezione che nell’ambito della legge n. 241 del 90 sono rinvenibili due distinte tipologie di accesso agli atti amministrativi: una, disciplinata dagli artt. 22 e segg. della citata legge, che mira a consentire la conoscenza di provvedimenti amministrativi (con tutti gli atti ad essi strumentali), al fine di individuare eventuali lesioni di situazioni soggettive da parte degli interessati, la quale, quindi non può che riguardare atti conclusivi del procedimento; un’altra, che può denominarsi di “accesso procedimentale”, disciplinata dagli artt. 7 e segg. della legge n. 241 del 1990, che mira a far conoscere ai soggetti partecipanti al procedimento ogni atto che renda significativa tale partecipazione, al fine di evitare possibili, future lesioni di situazioni soggettive: in tale secondo corso, l’accesso è uno strumento operativo collegato con la qualità di partecipante al procedimento. Ora, è evidente che nella specie la richiesta di accesso è intervenuta prima che il relativo procedimento (riferito nella specie a domanda di rilascio di permesso di soggiorno per asilo politico) si concludesse: non essendovi ancora alcun provvedimento finale, corretto si appalesa l’implicito diniego di accesso operato nel caso in esame dalla Questura di Roma. 124 Massima La riduzione dei termini prevista dall’articolo 5 del Decreto legge 30 dicembre 1989 n. 416, convertito dalla legge 28 febbraio 1990 n. 39 in ordine alle impugnative dei provvedimenti di diniego dello status di rifugiato; della revoca o del diniego del permesso di soggiorno del provvedimento di espulsione, comprende anche quello per il deposito dell’appello e quello cautelare. ◆ Tribunale di Trapani Ordinanza 6 giugno 2000 - est. Piscitello Il Giudice letto il ricorso depositato il 27 maggio 2000 da […] nato a Kinshasa (Zaire) il […] avverso il decreto di espulsione emesso dal Prefetto della Provincia di Trapani il 22.05.2000; sciogliendo la riserva che precede; rilevata la tempestività del ricorso e la regolarità della notifica dell’atto introduttivo e del decreto di fissazione dell’udienza alla Prefettura, che non si è costituita; letti gli atti e i documenti prodotti; ritenuto che appare fondata, ai sensi dell’art. 13 comma 7 del D.Lgs. 125 286/1998, l’eccezione di illegittimità del decreto impugnato in quanto tradotto in lingua francese e non in quella inglese, la sola conosciuta dall’interessato (oltre la propria lingua madre africana), secondo quanto dichiarato in ricorso e non smentito da elementi di segno contrario; considerato che […] ha avanzato espressa richiesta di asilo politico con il ricorso introduttivo, adducendo il rischio di persecuzione politica derivante dalla situazione di guerra civile in atto esistente nello Zaire; ritenuto che, conformemente all’indirizzo giurisprudenziale richiamato dall’istante (vedi ordinanze prodotte in atti), ritiene questo giudicante che la richiesta di asilo politico fatta dallo straniero irregolare debba comunque essere presa in considerazione, qualunque sia il momento in cui venga avanzata, al fine di valutare la legittimità dell’espulsione amministrativa; ritenuto, pertanto, che, per quel che ci occupa, è sufficiente che tale volontà sia stata espressa nel ricorso avverso il provvedimento di espulsione, essendo poi rimessa all’autorità competente la delibazione sulla ritualità e fondatezza della stessa; ritenuto che il D.Lgs. 286/1998 (T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e delle norme sulla condizione dello straniero) prevede il divieto sia di respingimento alla frontiera sia di espulsione dello straniero irregolare che “possa” subire persecuzioni per motivi politici, religiosi etc. nel paese di provenienza (art. 19); considerato che il divieto di cui sopra presuppone la semplice “possibilità” della persecuzione e che, nel caso di specie, tale presupposto, dichiarato dal ricorrente nel contesto del ricorso, può desumersi dalla situazione di notoria belligeranza presente nel Paese di provenienza dello stesso, non smentita da elementi di segno contrario; ritenuto che, in ogni caso, l’art. 10 comma 3 Cost., con immediata forza precettiva, prevede nel nostro ordinamento, il diriTto di asilo politico dello straniero sulla base della mancanza di libertà democratiche nel Paese di provenienza; ritenuto che la situazione di irregolare di […] non può pregiudicare la possibilità, per lo stesso, di accedere alla procedura per il riconoscimento del diritto di asilo, in ottemperanza al principio del non refoulement espresso dalla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 (artt. 31 e 33), che esclude l’applicazione delle sanzioni per ingresso irregolare nei confronti dello straniero richiedente asilo, con il conseguente divieto di respingimento alla frontiera; ritenuta, pertanto, che l’eccezione di illegittimità del decreto di espulsione appare fondata anche nel merito per quanto fin qui argomentato; ritenuto, infine, che il ricorso è inammissibile relativamente alla richiesta di revoca del provvedimento di trattenimento del ricorrente presso il CPT Serraino Vulpitta, atteso che avverso lo stesso è proponibile solo ricorso per Cassazione. 126 P.Q.M. Annulla il decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Trapani il 22.5.2000 nei confronti di [… ], in atti compiutamente generalizzato; dichiara inammissibile la domanda di revoca del provvedimento di trattenimento del ricorrente presso il CPR Serraino Vulpitta; manda alla cancelleria per gli adempimenti. ◆ TAR Calabria sent. n. 363 del 26 gennaio 2001 SENTENZA sul ricorso n. 172/92 proposto da […], elettivamente domiciliato in Catanzaro, via Carlo V n. 72, presso lo studio dell’avv. Sergio Tarantino, dal quale è rappresentato e difeso; CONTRO Commissione Centrale per il Riconoscimento dello Status di Rifugiato Politico, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catanzaro, domiciliataria; per l’annullamento del provvedimento n. 1602 del 14 novembre 1991 della Commissione Centrale per il Riconoscimento dello Status di Rifugiato Politico, nonché di ogni atto presupposto, connesso o conseguente; …….omissis…… Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: FATTO L’ing. […], cittadino della Repubblica Popolare Cinese, espone di essere giunto in Italia su invito dell’Università della Calabria e di avere presentato istanza per il riconoscimento dello status di rifugiato politico. Il riconoscimento di tale status, tuttavia, gli è stato negato con il provvedimento oggetto di impugnazione. Il ricorrente deduce la violazione dell’art. 10, 3º comma. della Costituzione, della legge 24 luglio 1954 n. 722, di ratifica della Convenzione di Ginevra, nonché della legge 7 agosto 1990 n. 241. Deduce, inoltre, illogicità, insufficienza di motivazione, carenza istruttoria. 127 In particolare, il ricorrente rimarca l’esistenza di tutti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e lamenta il mancato rispetto di un principio di favore per il rifugiato, desumibile dalla richiamata norma costituzionale. Sottolinea, poi, che i provvedimenti che negano detto riconoscimento devono essere sorretti da congrua motivazione, mentre l’atto impugnato nega genericamente l’esistenza dei fatti affermati nell’istanza. Il ricorrente chiede, quindi, l’annullamento dell’atto stesso, con ogni conseguenza anche in ordine alle spese di giudizio. Si è costituita l’Amministrazione intimata, con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile, irricevibile o, in subordine , rigettato, con vittoria di spese. Con ordinanza n. 576 del 4.6.1992, a seguito di istruttoria, è stata accolta la domanda incidentale di sospensione dell’atto impugnato. Alla pubblica udienza del 26 gennaio 2001 il ricorso è stato ritenuto per la decisione. DIRITTO L’istanza per il riconoscimento dello status di rifugiato politico, a suo tempo presentata dal ricorrente, fa ampio riferimento alla partecipazione dello stesso alle dimostrazioni studentesche svoltesi a Pechino nel periodo aprile-giugno 1989, note come moti di Piazza Tienanmen. Essa riferisce, inoltre, dell’effettuazione di collette a sostegno dei dimostranti e di altre circostanze quali l’esistenza di indagini in corso all’epoca da parte delle Autorità cinesi riguardo a tale partecipazione. Vi si sottolinea anche il timore di persecuzioni. Nella stessa istanza l’odierno ricorrente ha precisato di avere avuto l’opportunità di venire in Italia solo grazie al fatto che le Autorità non disponevano ancora di prove precise contro lo stesso. Il ricorrente osserva che l’atto impugnato non è sorretto da congrua motivazione, limitandosi esso ha negare genericamente la sussistenza dei fatti indicati nell’istanza. La doglianza è fondata. Nel provvedimento impugnato si rileva che nel corso dell’audizione l’interessato è stato invitato a chiarire i motivi dell’espatrio, in quanto esso, nelle dichiarazioni in precedenza succintamente rese a verbale (il riferimento, a quanto pare, è al verbale del 5 dicembre 1990), era stato motivato con un generico dissenso verso la politica perseguita dal proprio Governo. Si rileva, inoltre, che non sono stati forniti elementi che giustifichino la presenza di un ragionevole e fondato timore di subire persecuzioni dirette e personali in casi di rientro in Patria. Tale affermazione appare affatto generica e priva di supporto argomentativo. 128 Si è detto che nell’istanza per il riconoscimento dello status di rifugiato politico il ricorrente ha esposto dei fatti determinati, quali la partecipazione ai moti di Piazza Tienanmen e l’effettuazione di collette per la raccolta di fondi in favore dei dimostranti, che, a giudizio dello stesso, lo esponevano al rischio di persecuzioni. La Commissione si è limitata a dare conto delle risultanze di un verbale, dai contenuti, peraltro, estremamente succinti, ed ad affermare apoditticamente che non sussistono gli elementi sopra indicati. Essa, invece, avrebbe dovuto dare specifico conto delle valutazioni fatte riguardo alla sussistenza delle circostanze riferite ed all’incidenza delle stesse riguardo ad un eventuale rischio di persecuzioni. D’altra parte, nello stesso provvedimento si rileva che la motivazione costituita dalla possibilità di trovare migliori condizioni di vita civile e democratica e più propizie possibilità di lavoro risulta assorbente e prevalente rispetto agli altri moventi che lo hanno indotto all’espatrio. Anche riguardo a questo aspetto il provvedimento risulta carente sotto il profilo della motivazione. Da un lato, infatti, non è chiaro, considerato anche il provvedimento nega che sussistano ragioni di timore di persecuzioni, quali siano gli altri moventi tenuti presenti dalla Commissione. Dall’altro, non viene specificato sulla base di quali elementi sia stato formulato tale giudizio di prevalenza, espresso, peraltro, con riferimento a motivazioni interiori del soggetto. Il ricorso, pertanto, risulta fondato e deve essere accolto, con conseguente annullamento dell’atto impugnato, restando assorbiti i motivi non esaminati. Si ravvisano giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di giudizio. P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, Sede di Catanzaro, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Catanzaro nella Camera di Consiglio del 26 gennaio 2001. 129 TAR Lombardia sent. n. 404 del 9 febbraio 2001 SENTENZA sul ricorso n. 110 del 2001, proposto da […], rappresentata e difesa dall’avv.to Bruno Mazzi ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. R. Frau, in Brescia, via Armando Diaz n. 9; CONTRO il QUESTORE di ROMA, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso, ex lege, dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso i cui ufficii, in Brescia, Via S. Caterina n. 6, è ope legis domiciliato, PER L’ANNULLAMENTO, previa sospensione, “del provvedimento emesso e notificato in data 07.11.2000 con il quale il Questore di Roma … Decreta il rifiuto del permesso di soggiorno per asilo politico ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951” (così, testualmente, l’epigrafe del ricorso). …....… PREMESSO che, in sede di decisione collegiale sulla istanza cautelare, la Sezione, accertata la completezza del contraddittòrio e dell’istruttòria e ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 21, comma 10, della legge n. 1034 del 1971, ha deciso, sentite sul punto le parti costituite, di definire il giudizio nel mérito, a norma dell’art. 26 della stessa legge; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO – Il ricorso in esame è rivolto all’annullamento, previa sospensione, del decreto di “rifiuto del permesso di soggiorno per asilo politico ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951” (così il provvedimento impugnato). Con il rifiuto impugnato il Questore, una volta preso atto della “decisione della Commissione Centrale per il Riconoscimento dello Status di rifugiato di non riconoscere al predetto straniero lo status di rifugiato”, fa applicazione degli articoli 4 e 5 del D.P.R. 15 maggio 1990, n. 136 (più che dell’art. 12, commi 1 e 2, del D. Lgs. n. 286/98, che, espressamente indicato nel provvedimento stesso, reca invece norme incriminatrici in materia di immigrazione). Avverso tale provvedimento la ricorrente deduce i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere, ritenendo necessario che le sia consentito “di accedere all’udienza di comparizione avanti la Commissione 130 Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato” (pag. 5 ric.); fa altresì presente di aver impugnato il provvedimento della Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato avanti il Tribunale Ordinario di Mantova. Si è costituita, per l’Amministrazione intimata, l’Avvocatura Distrettuale dello Stato, la quale, con formule di mero stile, chiede il rigetto del ricorso. – Il gravame risulta fondato, in quanto: il provvedimento impugnato trova il suo unico, relativo, presupposto nel mancato riconoscimento, da parte della Commissione centrale di cui all’art. 2 del D.P.R. 15 maggio 1990, n. 136, dello status di rifugiato; ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. 15 maggio 1990, n. 136, colui il quale richieda il riconoscimento dello status di rifugiato vanta un diritto ad essere ascoltato dall’Amministrazione (v. Cons. St., IV, 10 marzo 1998, n. 400); la stessa Amministrazione ha espressamente previsto, nel provvedimento di non riconoscimento, “il riesame … in espletamento della sua facoltà di autotutela” della richiesta di riconoscimento, all’esito dell’esercizio del citato diritto di audizione, “in caso di successivo reperimento del richiedente asilo”; la ricorrente ha fornito all’Amministrazione medesima, tanto in sede di ricorso all’autorità giurisdizionale ordinaria (nella cui giurisdizione rientrano oggi le controversie riguardanti il riconoscimento della posizione di rifugiato: Cass. Civ., sez. un., 17 dicembre 1999, n. 907), quanto col ricorso all’esame, elementi più che sufficienti a far ritenere cessato il precedente stato di irreperibilità, sì che l’Amministrazione dovrà nuovamente esercitare tutti i poteri istruttorii, che le competono in ordine alla domanda di riconoscimento dello status predetto; il conseguente obbligo di riapertura di tale procedimento fa venir meno i presupposti, sui quali si fonda l’impugnato provvedimento del Questore di Roma. 2. - Alla luce delle considerazioni esposte, il Collegio ritiene che il ricorso sia da accogliere. Ne consegue l’obbligo, per il Questore di Roma, di rilasciare alla richiedente un permesso di soggiorno valido sino alla definizione della nuova procedura (ex art. 1, comma 2, del D.P.R. 15 maggio 1990, n. 136). 3. - Le spese processuali possono essere integralmente compensate tra le parti, sussistendone giusti motivi. P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia – definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe – lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato. 131 Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla Autorità Amministrativa. Così deciso in Brescia, il 9 febbraio 2001, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, in Camera di Consiglio. ◆ considerando che l’amministrazione ha adottato i provvedimenti di trasferimento il 3 novembre 2000 senza menzionare l’art. 9 cit. e la condizione ivi prevista, richiamando in entrambi gli atti l’art. 5.4 della Convenzione di Dublino e nel convincimento che non fossero di ostacolo ragioni di unità familiare; ritenuto che il ricorso sia fondato e che sussistano, tuttavia, giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese del giudizio; P.Q.M. TAR Lombardia - sez. I sent. n. 2166 del 7/14.3.2001 Su ricorso n. 156/2001 proposto da [...] contro la questura di Milano, il Ministero dell’interno, costituitisi in giudizio, [...] per l’annullamento dei provvedirnenti n. 37198 e 37201 del 3.11.2000 con i quali è stato disposto il trasferimento dei ricorrenti in Francia per l’esame della domanda di asilo; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, accoglie il ricorso e annulla i provvedimenti impugnati. Spese compensate. ◆ TAR Lazio del 31 maggio 2001 FATTO E DIRITTO SENTENZA Considerato che i ricorrenti hanno impugnato i provvedimenti con i quali è stato disposto il loro trasferimento in Francia per l’esame della domanda di asilo; considerato che, per quanto concerne la posizione del ricorrente, la domanda d’asilo, presentata in Italia il 6 marzo 2000 allorché il visto rilasciato dalle autorità francesi era scaduto a meno di sei mesi, rientrerebbe nella competenza dello Stato francese ai sensi dell’art. 5.4 della Convenzione di Dublino, ratificata con legge 23 dicembre 1992, n. 523 e in tal senso si è pronunciato il Ministero dell’interno francese con nota del 1º agosto 2000; considerato che, per quanto concerne le posizioni della moglie del ricorrente e del figlio minorenne, la domanda d’asilo risulta presentata in Italia il 6 marzo 2000 allorché il visto rilasciato dalle autorità francesi e valido fino al 24 agosto 1999 era scaduto da più di sei mesi, onde non trova applicazione il criterio sopra indicato, sicché il Ministero dell’interno francese, tenuto conto della precedente accettazione e della giovanissima età del figlio, ha accettato con nota del 20 ottobre 2000 di prendere in carico la domanda a titolo umanitario, richiamando l’art. 9 della Convenzione, secondo cui “ogni Stato membro, anche se non competente per l’esame in base ai criteri previsti nella presente Convenzione, può esaminare per motivi umanitari, in particolare di carattere familiare o culturale, una domanda di asilo a richiesta di un altro Stato membro, a condizione tuttavia che il richiedente l’asilo lo desideri”; sui ricorsi n. 5557/2001 e 5556/2001 proposti dai sigg. […] e […] , rappresentati e difesi dall’avv. […] ed elettivamente domiciliati presso lo studio dello stesso in […]; 132 CONTRO la Questura di Roma, in persona del Questore p.t., rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliata presso gli Uffici della stessa in Roma, via dei Portoghesi n. 12; per l’annullamento del silenzio rifiuto formatosi sulle istanze di rilascio di permesso di soggiorno avanzate il 14 e 17 novembre 2000 alla Questura di Roma, Ufficio Stranieri, a seguito di diffida e messa in mora notificata il 16 febbraio 2001; …omissis… Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue: FATTO E DIRITTO I due ricorsi devono essere riuniti per evidente connessione. I ricorrenti coniugi provenienti dalla Repubblica del Congo, dopo alterne e dolorose vicende, sono giunti in Italia ed hanno presentato domanda di riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28/7/1951. 133 Con provvedimento del 24/2/2000 la Commissione centrale ha loro negato il riconoscimento ed, a seguito del diniego, la Questura di Roma ha rifiutato loro il permesso di soggiorno “per motivi di asilo politico”. Avverso tali provvedimenti sono stati presentati ricorsi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, che con separate, ma conformi ordinanze n. 6635 e 6636 in data 27 luglio 2000 ha accolto le istanze di sospensione dei provvedimenti, ai fini di un riesame “ tenuto conto che l’atto presupposto era ancora impugnabile al momento di adozione del provvedimento e che i ricorrenti avevano provveduto a notificare atto di citazione al competente tribunale di Roma avverso il diniego di status”. In effetti con atto di citazione notificato il 23/6/2000 gli interessati hanno convenuto in giudizio davanti al tribunale Civile di Roma il Ministero dell’interno e la Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato al fine di veder riconosciuto il loro diritto di asilo politico. Contestualmente gli interessati, richiamando tra l’altro le ordinanze cautelari, hanno chiesto alla Questura il rilascio del permesso di soggiorno valido anche per motivi di lavoro. Formalizzato il rifiuto a provvedere con la procedura del silenzio, previa regolare diffida, trascorsi trenta giorni, i ricorrenti, attraverso l’impugnazione chiedono che il Tribunale accerti l’illegittimità del comportamento omissivo e deducono il motivo di violazione dell’art. 5 comma 9 del D.Lgs. 286/98, nonché la mancanza di motivazione. L’amministrazione si è costituita nei giudizi con formula di rito. Osserva il collegio che la pretesa volta ad ottenere una decisione sull’istanza di permesso di soggiorno per ragioni di lavoro è fondata. Deve infatti essere precisato che i ricorrenti non sono entrati in Italia clandestinamente, avendo tempestivamente attivato la procedura volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, né allo stato vi soggiornano illegalmente, sia perché è tuttora sub iudice il provvedimento di diniego di tale status, il cui accertamento, stante il mutamento della giurisdizione non è più sottoposto a termine di decadenza ma alla normale prescrizione, sia perché, seppure interinalmente, è sospesa l’efficacia del provvedimento di rifiuto di permesso di soggiorno per asilo politico. Ne deriva che, a parte ogni considerazione sulla facoltà degli interessati di chiedere l’esecuzione delle ordinanze, l’amministrazione era tenuta ad esaminare le istanze per le seguenti considerazioni. È pacifico che il particolare tipo di permesso di soggiorno temporaneo previsto dall’art. 1, comma 5 della legge n. 39/90 e dall’art. 1 del regolamento di cui al DPR 15 maggio 1990, n. 136 è valido fino alla definizione della procedura e che per “definizione della procedura” deve intendersi la conclusione del procedimento amministrativo. È altrettanto pacifico, tuttavia, che il richiedente, al quale non sia ri134 conosciuto dalla Commissione centrale lo status di rifugiato, deve lasciare il territorio dello Stato solo se non gli possa essere concesso “un permesso di soggiorno ad altro titolo” (art. 5 del regolamento cit.). L’art. 5 del D.Lgs. n. 286/98, al quinto comma prevede, d’altro canto, che il permesso di soggiorno, ed il suo rinnovo, sono rifiutati quando mancano, o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio, o che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili. Ne deriva che l’amministrazione aveva il dovere di esaminare l’istanza dei ricorrenti, di valutare la serietà della loro richiesta di permesso di soggiorno per lavoro, in relazione alle proposte ed alle offerte ricevute dagli stessi, documentate o documentabili, nonché di rilasciare, in presenza dei presupposti, il documento abilitativo, al di fuori dei flussi annuali, posto che nella specie si verte in ipotesi di rinnovo, stante la preesistenza di un titolo di soggiorno, seppure rilasciato in base a diversi presupposti e tuttora sub iudice. Il dovere di provvedere è rafforzato dalla considerazione che, in base all’art. 13, comma 2 lett. b) dello stesso decreto legislativo, la pendenza della domanda di rinnovo preclude l’espulsione. La norma, infatti, impone tra l’altro l’espulsione allo straniero che si sia trattenuto nel territorio dello Stato, solo quando il permesso di soggiorno sia scaduto da più di sessanta giorni e non ne sia stato richiesto il rinnovo. Tale termine nella specie decorre dalla data dell’ordinanza di sospensione degli effetti del diniego di permesso per asilo (27/7/2000), sicché la richiesta di rinnovo è stata presentata nei termini (atto notificato il 17/11/2000). L’interpretazione coordinata delle norme ha una sua logica, ove si consideri che i ricorrenti, se hanno ottenuto la sospensione dell’espulsione in sede civile, possono non lasciare il territorio italiano fino alla conclusione del processo, ma ove non si accedesse all’interpretazione fatta propria dal Collegio, non avrebbero alcuna possibilità di provvedere lecitamente ai propri bisogni, attraverso lo svolgimento di un regolare lavoro, a causa della mancanza del relativo permesso di soggiorno, con violazione dei principi costituzionali vigenti in materia. Nulla vieta dunque ai ricorrenti, ove ne abbiano i requisiti, di richiedere un permesso di soggiorno per lavoro, a prescindere dalla diversa vicenda relativa al riconoscimento dello status di rifugiato, documentando però l’esistenza dei presupposti richiesti a regime per il rilascio del provvedimento ( cfr. art. 5 D.P.R. 15 maggio 1990, n. 136). Il ricorso deve essere dunque accolto. Le spese di giustizia possono, peraltro, essere compensate per ragioni di equità. 135 P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio Iª sezione ter, accoglie il ricorso in epigrafe e per l’effetto ordina all’Amministrazione convenuta di provvedere entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza o dalla notificazione a cura delle parti se anteriore, riservandosi il potere di nominare un commissario in caso di inadempienza ai sensi dell’art. 21bis comma 2 della legge 1034/1971, inserito dall’art. 2 legge 205/2000. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. ◆ TAR Emilia Romagna, sent. n. 403 del 1 marzo 2002 n. 403 - rel. Calderoni Sul ricorso n. 1024/2001. proposto da[...], rappresentato e difeso dall’avv. [...], contro la questura di Bologna ed il Ministero dell’interno, [...] per l’annullamento del decreto del questore di Bologna 7.4.2001, di rigetto della domanda di rilascio dei permesso di soggiorno per richiesta asilo; [...]; ritenuto e considerato quanto segue: FATTO I. Il ricorrente, cittadino eritreo e domiciliato in Bologna, espone di aver richiesto, nell’aprile 2001, al questore di Bologna il rilascio del permesso di soggiorno temporaneo per richiesta asilo. Impugnando il diniego in epigrafe, egli deduce che, ai sensi dell’art. 1 co. 5 legge n. 39/1990, il rilascio del permesso di soggiorno temporaneo, ivi previsto, sarebbe “questione materialmente e sistematicamente collegata rispetto al luogo di elezione del domicilio” e che, comunque, la questione della competenza territoriale a ricevere la domanda di asilo sarebbe da tempo superata dalla giurisprudenza del Consiglio di stato, “nel senso che questa non dovrebbe necessariamente essere presentata al posto di frontiera da cui lo straniero richiedente fa ingresso”. 2. Con ordinanza 26.7.2001, n. 633, questa sezione ha rigettato – non ravvisando il necessario presupposto del danno grave ed irreparabile – la domanda incidentale di sospensione proposta dal ricorrente. 3. L’amministrazione intimata si è successivamente costituita in giudizio con atto formale. 136 4. In vista del passaggio in decisione della causa, il ricorrente ha dimesso memoria conclusiva, in cui, per una parte, si rubricano, sotto apposito vizio di violazione di legge, le deduzioni svolte nel ricorso introduttivo; e per la restante parte si allegano nuove argomentazioni in ordine al difetto di motivazione che affliggerebbe il provvedimento impugnato. A sua volta, la difesa erariale ha prodotto copia della relazione illustrativa d’ufficio, redatta il 9.8.2001 dalla questura di Bologna. 5. All’odierna udienza di discussione, i difensori delle parti hanno esposto oralmente le rispettive tesi. DIRITTO l. L’impugnato diniego è motivato con richiamo all’art. 1, co. 3 e 5 legge n. 30/1990 e nell’assunto dell’incompetenza territoriale dell’ufficio procedente: lo stesso questore di Bologna esplicita, poi, nella menzionata relazione illustrativa 9.8.2001, che “l’eccezione di incompetenza sollevata dallo scrivente è evidentemente una questione preliminare, di rito e non di merito”. 2. Il Collegio osserva che su queste stesse tematiche si è recentemente pronunciata la IV sezione del Consiglio di Stato (17/7/2000, n. 3965), ribadendo l’avviso espresso in precedenza (n. 149 del 6.3.1995). Anche nella controversia decisa con la sentenza n. 3965/2000, l’amministrazione assumeva che la disposizione di cui all’art. 1 co. 5 della legge n. 39 del 1990 imporrebbe, a pena di decadenza, che la domanda di riconoscimento dello stato di rifugiato sia presentata direttamente all’ufficio di polizia di frontiera. Ma il giudice amministrativo di appello non ha condiviso tale interpretazione ed ha, viceversa, enunciato i seguenti principi: a) la presentazione, da parte dello straniero, della domanda di asilo politico conferisce al richiedente, ai sensi dell’art. 1 co. 5 della legge n. 39 del 1990, il titolo a ottenere un permesso di soggiorno temporaneo, fino alla definizione della procedura di riconoscimento dello stato di rifugiato; b) la disposizione dell’art. 1, concernente il procedimento per lo stato di rifugiato, assume carattere particolare rispetto alla disciplina generale dell’art. 4, che regola il rilascio del permesso di soggiorno dei cittadini extracomunitari; c) le due discipline sono, pertanto, alternative e non è ipotizzabile riferire la normativa, posta dall’art. 4, ai casi in cui si controversa dell’espulsione di stranieri che, abbiano chiesto il riconoscimento dello stato di rifugiato; d) la legge n. 39 e il regolamento di attuazione emanato con d.p.r. 15.5.1990 n. 136 stabiliscono che, sulla domanda di riconoscimento dello stato di rifugiato, si pronunci un’apposita Commissione, denomi137 nata Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, alla quale le istanze vanno trasmesse; e) tale Commissione ha, dunque, la competenza esclusiva a valutare le domande di riconoscimento dello stato di rifugiato, anche quanto alla sussistenza o alla eventuale insussistenza dei relativi presupposti; f) spetta, pertanto, esclusivamente alla predetta Commissione valutare se l’art. 1 co. 3 della legge n. 39 del 1990, nel prescrivere che la domanda sia presentata all’ufficio di polizia di frontiera, delinei implicitamente un onere da osservare a pena di decadenza dalla possibilità stessa di proporre la domanda in un altro termine; e considerare, nella attività di interpretazione della norma insita nell’esercizio della funzione amministrativa, la compatibilità delle soluzioni interpretative possibili con il canone costituzionale della ragionevolezza della legge e della sua conformità all’ordinamento internazionale; g) non può, invece, ritenersi che le connesse questioni di rito (come, in quella fattispecie, la supposta tardività della domanda; in questa: l’eccepita incompetenza territoriale dell’autorità ricevente) possano, implicitamente, essere valutate dal prefetto o dal questore, il quale in tanto può emanare un decreto di espulsione (ovvero, soggiunge questo Collegio, di diniego di permesso di soggiorno), in quanto non vi sia affatto presentazione della domanda di riconoscimento dello stato di rifugiato e sussista la violazione degli altri obblighi in materia di ingresso e soggiorno posti agli stranieri. 4. il ricorso va, pertanto, accolto ed il provvedimento in epigrafe va annullato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in complessivi € 2.000 (duemila euro). 3. Il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall’orientamento che la citata decisione n. 3965/2000 ha contribuito a consolidare in seno al Consiglio di Stato, per cui deve, anche nella specie, disattendere l’opzione interpretativa sostenuta dalla amministrazione e ritenere, viceversa, preferibile la prospettazione difensiva del ricorrente che, nel ricorso introduttivo, si richiama proprio alla giurisprudenza del giudice amministrativo d’appello, per mettere in luce come la domanda di asilo non debba essere necessariamente presentata al posto di frontiera da cui lo straniero fa ingresso e come appaia più razionale che sia il questore del luogo, ove lo straniero dimora, ad occuparsi delle questioni attinenti al suo permesso di soggiorno. In definitiva ed in applicazione dei suesposti principi elaborati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, deve concludersi che il questore di Bologna non poteva legittimamente negare il rilascio del permesso temporaneo di soggiorno “per richiesta asilo”, adducendo esclusive ragioni di propria incompetenza territoriale, poiché, per un verso, la valutazione delle stesse spetta all’apposita Commissione centrale (cfr. lett. “e” del precedente punto 2) e, per l’altro, la semplice presentazione della domanda di asilo politico conferisce allo straniero il titolo per ottenere l’anzidetto speciale permesso (cfr. lett. “a” del medesimo punto). MINISTERO DELL’INTERNO - ROMA QUESTORE DI LECCE 138 P.Q.M. il tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, sez. I, accoglie il ricorso in premessa ed annulla il decreto impugnato. Condanna il Ministero dell’interno a rifondere al ricorrente le spese di lite, nella misura indicata in motivazione. ◆ TAR Puglia sent. n. 722 del 20 marzo 2002 ORDINANZA nella Camera di Consiglio del 20 Marzo 2002 visto il ricorso 722/2002 proposto da: […] ED ALTRI 51 CONTRO per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, dei quattro decreti cumulativi di respingimento con accompagnamento alla frontiera emanati nei confronti dei ricorrenti, con i quali è stato disposto l’accompagnamento forzato dei medesimi in Turchia, attraverso la frontiera di Roma-Fiumicino, emessi nei loro confronti dalla Questura di Lecce in data 16.2.02 e di tutti gli atti connessi presupposti e consequenziali; …....… Ritenuto che con i decreti di cui in epigrafe, emessi cumulativamente nei confronti dei ricorrenti, sul presupposto del mancato riconoscimento in loro favore dello status di rifugiati da parte della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, è stato disposto dal Questore di Lecce per il respingimento dei medesimi in Turchia, con accompagnamento alla frontiera di Roma-Fiumicino; Ritenuto che dei provvedimenti presupposti, di mancato riconoscimento dello status di rifugiato, emessi dalla Commissione centrale il 139 13-14 febbraio 2002, è stata tentata la notificazione ai ricorrenti, mediante consegna ai medesimi dei relativi decreti, redatti solo in lingua italiana, notifica come tale non accettata; Ritenuto che in forza dell’art. 3 del D.P.R. 136/90 va ritenuto che il provvedimento della Commissione, che riconosce o nega lo status di rifugiato, deve essere tradotto nella lingua madre, o in altra lingua nota al richiedente; Rilevato che dagli atti emerge che si tratta di cittadini turchi di etnia curda, che sono stati oggetto di attività persecutorie e di vere e proprie torture da parte degli organi di polizia del loro paese di origine, come emerge dalle dichiarazioni rese dai medesimi agli operatori del Consiglio Italiano per i Rifugiati, comprovate da certificati medici redatti da sanitari italiani del Centro di Accoglienza e da documentazione fotografica circa i postumi del loro assoggettamento a pratiche di tortura o comunque contrarie al senso di umanità; Rilevato che gli organi della Polizia Italiana, che hanno decretato il respingimento dei ricorrenti nel loro Paese d’origine, non hanno prodotto alcuna documentazione idonea a contrastare gli esiti univoci delle acquisizioni probatorie di cui sopra; Ritenuto pertanto che emerge la necessità della piena tutela dei predetti cittadini stranieri, ai quali deve ritenersi non siano riconosciuti, nella loro patria, i diritti fondamentali della persona umana; Ritenuto che tale necessità emerge, altresì, dal rispetto degli obblighi internazionali, cui l’Italia è tenuta in virtù delle norme costituzionali nonché per effetto della ratifica della Convenzione di Ginevra sui rifugiati; Richiamato l’art. 19 del D.Lgs. 286/98, secondo cui nessun caso può disporsi il respingimento dello straniero verso uno Stato in cui lo stesso possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali; Rilevato che ai sensi dell’art. 1 co. 2º D.P.R. 136/90 la Questura, ricevuta l’istanza volta al riconoscimento dello status di rifugiato ed inviata la documentazione istruttoria alla Commissione centrale per il riconoscimento del relativo status, è tenuta a rilasciare al richiedente un permesso di soggiorno temporaneo valido sino alla definizione della procedura; Ritenuto che la procedura di riconoscimento dello status di rifugiato può considerarsi conclusa solo dopo esaurite, nelle giuste forme, le procedure amministrative ed eventualmente i rimedi giurisdizionali relativi e che, fino a tale conclusione i richiedenti hanno titolo a soggiorno temporaneo nel nostro Paese; Visto che nei confronti dei ricorrenti non è stato avanzato alcun sospetto di essere autori di crimini in Patria o altrove; 140 Visti gli artt. 19 e 21, della Legge 6 Dicembre 1971, n. 1034, e l’art. 36 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642; Ritenuto che sussistono i presupposti previsti dal citato art. 21; P.Q.M. accoglie la suindicata domanda incidentale di sospensione e per l’effetto sospende i provvedimenti impugnati; dispone il rilascio in favore dei ricorrenti dei permessi di soggiorno temporaneo in Italia, da valere sino alla definizione delle procedure amministrative ed eventualmente dei rimedi giurisdizionali concernenti la loro richiesta di riconoscimento dello status di rifugiati. ◆ Corte di Cassazione Sez. I Civile, sent. n. 5055 del 09 aprile 2002 SENTENZA sul ricorso proposto da: […], domiciliato in Roma presso la cancelleria della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. […] – ricorrente – CONTRO PREFETTO di MACERATA - Ministero dell’Intemo – intimati – avverso il decreto in data 5.2.2001 del Tribunale di Macerata. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6.03.2002 dal Relatore […]. Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale […] che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto in data 15.1.2001 il Prefetto di Macerata disponeva l’espulsione dal territorio nazionale del cittadino rumeno (...) ai sensi dell’art. 13 dei D. Leg. 28/98 per essersi introdotto in Italia, il 28.12.2000, con sottrazione ai controlli di frontiera. Impugnato il provvedimento, l’adito Tribunale di Macerata con decreto 5.2.2001 rigettava il ricorso sull’assunto della piena legittimità dell’espulsione anche per 141 inesistenza di alcun divieto di respingimento ai sensi dell’art. 19 dei D.Leg. 286/98 difettando la prova dell’esposizione dell’espulso a persecuzioni di sorta. Per la cassazione di tale decreto il (...) ha proposto ricorso notificando l’atto al Prefetto il 30.3.01. L’Amministrazione intimata non ha espletato difese. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso, infondato, deve essere respinto. Nell’unico motivo il (...) denunzia violazione dell’art. 19 del T.U. approvato con D.Leg. 286/98 perché il Tribunale, anziché limitarsi a constatare l’avvenuta presentazione di domanda di asilo – dalla quale sarebbe derivato il divieto di espulsione – aveva affrontato, con errata valutazione di merito, la questione della esistenza di una persecuzione a suo danno. La doglianza è infondata, avendo il Tribunale di Macerata correttamente respinto l’impugnazione del decreto espulsivo se pur dispiegando motivazione che deve, come appresso, essere corretta. 1. È noto che, in coerenza con il dettato dell’art. 10 comma 3 della Costituzione, il T. U. sulla disciplina dell’immigrazione e sulla condizione giuridica dello straniero approvato con D. Leg. 286/98, interamente recependo le previsioni della L. 40/98, ha inteso escludere l’esercizio dei poteri di respingimento ed espulsione degli stranieri che versino nelle condizioni “... previste dalle disposizioni vigenti che disciplinano l’asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero l’adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari” (art 10 comma 4 T.U.), in nessun caso essendo consentita una misura che importi il rinvio del respinto o dell’espulso verso uno Stato che lo esponga a persecuzione in ragione delle sue condizioni personali e delle sue idee (art. 19 comma 1 T.U.). 2. Venendo alla condizione ostativa alla espulsione, costituita dallo status di rifugiato (che il [...] afferma essere stato richiesto alla competente Commissione), e rammentato che essa differisce, da quella dell’avente diritto all’asilo ex art. 10 comma 3º Cost. in ragione della esigenza di accertare l’ulteriore requisito del pericolo di persecuzione (cfr. S.U. 907/99), va rilevato che il riconoscimento dello status in discorso tuttora si consegue attraverso la procedura di cui all’art. 1 comma 5 del D.L. 416/89 conv. in L. 28.2.90 n. 39 (norma non abrogata dall’art. 47 del D.Leg. 286/98, che, alla lett. E ha invece abrogato gli artt. 2 e seguenti del citato D.L.). Ebbene, in base alla conservata disposizione lo straniero deve presentare all’Ufficio di Polizia istanza motivata e sulla sua base “il Questore... rilascia, dietro, richiesta, un pemesso di soggiorno temporaneo valido fino alla definizione della procedura di riconoscimento.” Il regolamento di attuazione del T.U., approvato con DPR 31.8.99 n. 394, di142 sciplina poi (artt. 27 e 28) le modalità attraverso le quali avviene il rilascio del permesso di soggiorno. 3. Tutti i provvedimenti assunti al proposito, e con particolare riguardo a rifugiato (proprio della vicenda qui in esame), non possono che avere natura dichiarativa-accertativa avendo essi ad oggetto il riconoscimento di un diritto soggettivo, con la conseguenza per la quale – come affermato dalla più volte richiamata pronunzia 907/99 delle S.U. – le controversie relative al diniego di tale riconoscimento ed al permesso di soggiorno ad esso strumentale rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria. 4. In tal quadro è chiaro che il divieto di espulsione, e l’illegittimità del decreto del Prefetto che abbia ad essa provveduto, sono conseguenza, nel caso dello straniero che deduca le condizioni per poter beneficiare dello status di rifugiato, della presentazione della motivata istanza all’Ufficio di Polizia e della correlata richiesta di fruire di permesso di soggiorno temporaneo in pendenza della relativa procedura di riconoscimento, da un canto restando escluso il rilievo delle mere affermazioni dell’interessato di trovarsi nelle condizioni per un esito favorevole della procedura e, dall’altro canto, ben potendo il Giudice ordinario, adito in opposizione al decreto di espulsione, annullarlo in ragione della documentata pendenza della procedura e dell’ingiustificato diniego del (o ritardo nella concessione del) permesso temporaneo da parte del Questore. 5. Altro è, di contro, l’istituto del divieto di respingimento od espulsione (art. 19 D.Leg. 286/98) in base al quale in nessun caso l’espulso può essere inviato in uno Stato nel quale egli può patire persecuzioni: si tratta di una misura di protezione umanitaria ed a carattere negativo che non conferisce, di per sé, al beneficiario alcun titolo di soggiorno in Italia ma solo il diritto a non vedersi reimmesso in un contesto di elevato rischio personale. E sarà il Giudice a valutare in concreto la sussistenza delle allegate condizioni ostative alla espulsione od al respingimento. In base agli esposti principi è dunque evidente che – essendo mancata e tuttora mancando da parte del (...)anche la prova (o tampoco la semplice allegazione) di aver presentato istanza di concessione del permesso di soggiorno in pendenza di domanda di riconoscimento dello status di rifugiato nessun ostacolo alla espulsione sarebbe stato costituito alla sola proposizione della domanda stessa. E di converso, è altrettanto evidente che, a contestare le valutazioni di fatto operate dal primo Giudice sulla insussistenza delle condizioni di persecuzioni ostative al respingimento ex art. 19 cit. non vale in alcun modo addurre il menzionato fatto” della proposizione di domanda di asilo, dovendo soltanto essere espressa dal Giudice di merito. Ed il ricorso di tali censure non fa uso in alcun modo. 143 Corretta la motivazione nei sensi sopra indicati e respinto il ricorso, non è luogo a provvedere sulle spese in difetto di difese dell’intimata Autorità. P.Q.M. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. ◆ Consiglio di Stato Sez. IV sent. n. 5735 del 7 maggio 2002 DECISIONE sul ricorso in appello n. 4768 del 1993 proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, e dalla Questura di Roma, in persona del Questore in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono ex-lege domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; CONTRO il sig. […], non costituito; per l’annullamento e/o la riforma della sentenza n. 831 del 2 giugno 1992 resa inter partes dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione prima sul ricorso iscritto nel registro generale di quel Tribunale al n. 4189 del 1990; …omissis….. Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: FATTO Con la decisione in epigrafe il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha accolto il ricorso proposto in quella sede dal sig. […] avverso il provvedimento con il quale la Questura di Roma aveva respinto l’istanza di riconoscimento dello status di rifugiato dallo stesso avanzata ai sensi dell’art. 1, comma 5, della L. 28 febbraio 1990, n. 39 perché presentata alla Questura invece che all’ufficio di polizia di frontiera. L’Amministrazione dell’Interno, con atto notificato il 25 giugno 1993, appella la detta decisione perché erronea. Dopo aver ricordato che la disposizione di cui all’art. 10 Cost. ha natura programmatica (così che non deriva da essa un diritto soggettivo dello straniero ad ottenere il det144 to riconoscimento) che deve trovare specifica disciplina nella legge ordinaria, la difesa erariale osserva che la previsione del quinto comma della legge n. 39 del 1990, subordina, a pena di decadenza, la presentazione dell’istanza agli uffici della polizia di frontiera, come si evince dall’uso del termine “deve”; sono poi previsti gli adempimenti che quegli uffici devono porre in essere una volta ricevuta l’istanza. D’altra parte la procedura ivi prevista è giustificata da serie di ragioni di ordine pubblico e finalizzata ad un ordinato afflusso degli stranieri nel territorio nazionale anche per consentire l’effettività dell’esercizio delle potestà previste dalla legge del 1990. Le Amministrazioni appellanti concludono chiedendo l’annullamento della decisione impugnata. Non risulta costituito il sig. […]. Alla pubblica udienza del 7 maggio 2002, su richiesta della difesa erariale, la controversia è stata spedita in decisione. DIRITTO 1. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha accolto il ricorso sotto il profilo assorbente dell’incompetenza, sia dell’Ufficio di polizia di frontiera sia della Questura, a decidere sulla domanda ammissione alla procedura di riconoscimento dello status di rifugiato presentata dallo straniero, nonché sul rilievo che la specifica normativa non solo commina decadenza alcuna nell’ipotesi di presentazione dell’istanza di concessione del beneficio in questione direttamente alla Questura. L’appellante Amministrazione si duole della statuizione del T.A.R., assumendo che la disposizione di cui all’art. 1 comma 5 della legge n. 39 del 1990 impone, a pena di decadenza, che la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato (o di asilo politico) sia presentata direttamente all’Ufficio di polizia di frontiera, e aggiungendo che ciò non preclude allo straniero di presentarsi nuovamente nel territorio nazionale, invocando il riconoscimento suddetto. 2. L’appello è infondato. La questione è già stata affrontata dalla Sezione (tra le altre, cfr. Cons. Stato, IV Sez., n. 149 del 6 marzo 1995; n. 3965 del 17 luglio 2000), dalle cui conclusioni il Collegio non ha motivo per discostarsi. La presentazione della domanda da parte dello straniero conferisce al richiedente, ai sensi dell’art. 1 comma 5 della legge n. 39 del 1990, il titolo a ottenere un permesso di soggiorno temporaneo fino alla definizione della procedura di riconoscimento dello stato di rifugiato. La disposizione dell’art. 1, concernente il procedimento per l’ammissione al predetto beneficio, assume carattere particolare rispetto alla disciplina generale dell’art. 4, che regola il rilascio del permesso di soggiorno dei cittadini extracomunitari. 145 Le due discipline sono, pertanto, alternative e non è ipotizzabile riferire la normativa posta dall’art. 4 ai casi in cui si controverta dell’espulsione di stranieri che abbiano chiesto il riconoscimento dello stato di rifugiato. In punto di fatto, l’originario ricorrente, al suo ingresso in Italia, non ha presentato istanza all’ufficio di polizia di frontiera, ma successivamente alla Questura. Ora, come esattamente rilevato dal primo giudice, la legge n. 39 del 1990 ed il regolamento di attuazione emanato con D.P.R. 15 maggio 1990 n. 136 stabiliscono che sulla domanda di riconoscimento dello stato di rifugiato si pronunci un’apposita Commissione, denominata Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, alla quale le istanze vanno trasmesse. Tale Commissione ha, dunque, la competenza esclusiva a valutare le domande di riconoscimento dello stato di rifugiato, anche quanto alla sussistenza o alla eventuale insussistenza dei relativi presupposti. Spettava, pertanto, al predetto organo valutare, con riferimento alla fattispecie in esame, se l’art. 1, comma 5, della legge n. 39 del 1990, nel prescrivere che la domanda sia presentata all’ufficio di polizia di frontiera, delinei implicitamente un onere da osservare a pena di decadenza dalla possibilità stessa di proporre la domanda in un altro termine; e considerare, nella attività di interpretazione della norma insita nell’esercizio della funzione amministrativa, la compatibilità delle soluzioni interpretative possibili con il canone costituzionale della ragionevolezza della legge e della sua conformità all’ordinamento internazionale. Non può, invece, ritenersi che la supposta tardività della domanda possa, implicitamente, essere valutata dal Prefetto o dal Questore, il quale in tanto può emanare un decreto di espulsione in quanto non vi sia semplice presentazione della domanda di riconoscimento dello stato di rifugiato e sussista la violazione degli altri obblighi in materia di ingresso e soggiorno posti agli stranieri. 2. In conclusione, l’appello va respinto, con la conseguente conferma della statuizione impugnata e fatti salvi gli ulteriori provvedimenti della competente Autorità amministrativa. Nessuna pronuncia è adottata in ordine alle spese, non essendosi costituito l’appellato. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quarta, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso indicato in epigrafe, per l’effetto, conferma la decisione impugnata. Nulla per le spese. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa. 146 Cassazione Civile Sez. I, sent. n. 8067 del 04 giugno 2002 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto in data 6 novembre 2000 il Prefetto di Roma disponeva l’espulsione dal territorio nazionale di (…) ai sensi dell’art. 13, comma 2 lett. A) del D.Lgs. n. 286/98 per essersi introdotto in Italia con sottrazione ai controlli di frontiera. Impugnato il provvedimento, l’adìto Tribunale di Roma con decreto 11 gennaio 2001 accoglieva il ricorso sull’assunto che, avendo lo straniero presumibilmente presentato domanda di riconoscimento dello “status” di rifugiato, ed essendo conseguentemente in atto l’istruttoria per l’accertamento di tale qualità ai fini del riconoscimento dell’Asilo, non si sarebbe potuto adottare alcun provvedimento di espulsione. Per la cassazione di tale decreto il Prefetto di Roma, unitamente al Ministro dell’Interno, ha proposto ricorso con atto notificato il 14 giugno 2001. L’intimato non si è costituito né ha svolto attività difensive. MOTIVI DELLA DECISIONE La ricorrente Amministrazione denunzia la violazione dell’art. 13, comma 2 lett. A D.Lgs. n. 286/98, dell’art. 1 L. n. 39/90, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., per avere il Tribunale indebitamente accertato essere pendente procedura di riconoscimento dello “status” di rifugiato politico sulla sola base dell’asserzione dello straniero e nell’assenza dagli atti della necessaria prova documentale della proposizione della istanza. La censura, fondata, deve essere accolta. 1) È noto che, in coerenza con il dettato dell’art. 10, comma 3 della Costituzione, il T.U. sulla disciplina dell’immigrazione e sulla condizione giuridica dello straniero approvato con D.Lgs. n. 286/98, interamente recependo le previsioni della L. n. 40/98, ha inteso escludere l’esercizio dei poteri di respingimento ed espulsione degli stranieri che versino nelle condizioni “... previste dalle disposizioni vigenti che disciplinano l’asilo politico, il riconoscimento dello “status” di rifugiato, ovvero l’adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari” (art. 10, comma 4, T.U.), in nessun caso essendo consentita una misura che importi il rinvio del respinto o dell’espulso verso uno Stato che lo esponga a persecuzione in ragione delle sue condizioni personali e delle sue idee (art. 19, comma 1, T.U.). 2) Venendo alla condizione ostativa alla espulsione, costituita dallo “status” di rifugiato (che il decreto impugnato afferma essere stato invocato espressamente dal (…)), e rammentato che essa differisce da quella dell’avente diritto all’asilo ex art. 10, comma 3, Cost. in ragione della esigenza di accertare l’ulteriore requisito del pericolo di persecuzione (cfr. S.U. 907/99), va rilevato – come esattamente rammentato dalla ricorrente Autorità amministrativa – che il riconoscimento dello “status” in discorso tuttora si consegue attraverso la procedura di cui all’art. 1 comma 147 5 del D.L. n. 416/89 conv. in L. 28 febbraio 1990 n. 39 (norma non abrogata dall’art. 47 del D.Lgs. n. 286/98, che, alla lett. E ha invece abrogato gli artt. 2 e seguenti del citato D.L.). Ebbene, in base alla conservata disposizione lo straniero deve presentare all’Ufficio di Polizia istanza motivata e sulla sua base “Il Questore... rilascia, dietro richiesta, un permesso di soggiorno temporaneo valido fino alla definizione della procedura di riconoscimento”. Il regolamento di attuazione del T.U., approvato con D.P.R. 31 agosto 1999 n. 394, disciplina poi (artt. 27 e 28) le modalità attraverso le quali avviene il rilascio del permesso di soggiorno. 3) Tutti i provvedimenti assunti al proposito, e con particolare riguardo a quelli occorsi nell’ambito della procedura afferente l’invocato “status” di rifugiato (proprio della vicenda qui in esame), non possono che avere natura dichiarativa-accertativa avendo essi ad oggetto il riconoscimento di un diritto soggettivo, con la conseguenza per la quale – come affermato dalla più volte richiamata pronunzia 907/99 delle S.U. – le controversie relative al diniego di tale riconoscimento ed al permesso di soggiorno ad esso strumentale rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria. 4) In tal quadro è chiaro che il divieto di espulsione, e l’illegittimità del decreto del Prefetto che abbia ad essa provveduto, sono conseguenza, nel caso dello straniero che deduca le condizioni per poter beneficiare dello “status” di rifugiato (quale è quello invocato da (…) innanzi al Tribunale di Roma), della presentazione della motivata istanza all’Ufficio di Polizia e della correlata richiesta di fruire di permesso di soggiorno temporaneo in pendenza della relativa procedura di riconoscimento, da un canto restando escluso il rilievo delle mere affermazioni dell’interessato di trovarsi nelle condizioni per un esito favorevole della procedura e, dall’altro canto, ben potendo il Giudice ordinario, adìto in opposizione al decreto di espulsione, annullarlo in ragione della documentata pendenza della procedura e dell’ingiustificato diniego del (o ritardo nella concessione del) permesso temporaneo da parte del Questore. 5) E pertanto l’impugnato decreto – che si è sottratto all’osservanza del principio testé sintetizzato – deve essere cassato, incombendo al Giudice del rinvio, che si designa nel Tribunale di Roma in persona di altro magistrato, effettuare l’accertamento indicato e procedere, all’esito, alla cognizione della domanda di opposizione all’espulsione facendo uso dei poteri propri della giurisdizione piena attribuitagli dalla legge, incomberà al Giudice del rinvio anche l’onere di regolare le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte di Cassazione, accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia – anche per le spese – al Tribunale di Roma in persona di altro magistrato. 148 4. IL DINIEGO DELLO STATUS DI RIFUGIATO: MOTIVAZIONI RICORRENTI O PARTICOLARMENTE RILEVANTI La breve indagine che segue ha ad oggetto una casistica di dinieghi dello status di rifugiato, ossia gli atti di rigetto della domanda di asilo politico emanati dalla Commissione Centrale per il Riconoscimento dello Status di Rifugiato1. L’indagine prende le mosse dall’analisi di 185 casi di domande di asilo rigettate, venute a conoscenza del Centro Astalli e della Casa dei Diritti Sociali - FOCUS tra gennaio 2000 e settembre 2003 a seguito delle richieste di assistenza rivolte a tali associazioni dai diretti interessati. L’indagine non ha carattere statistico, non vengono infatti riportati i dati totali relativi ai casi seguiti né l’incidenza percen1 La competenza sul riconoscimento dello status di rifugiato è attribuita a tale organo interministeriale dall’art. 1 della L. 39 del 28 febbraio 1990 (c.d. L. Martelli) e dal relativo regolamento di attuazione (DPR n. 136 del 15 maggio 1990), il quale stabilisce che “la Commissione Centrale è nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta congiunta dei Ministri dell’Interno e degli Affari Esteri. Essa è presieduta da un prefetto ed è composta da un funzionario dirigente in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, da un funzionario del Ministero degli Affari Esteri con qualifica non inferiore a consigliere di legazione, da due funzionari del Ministero dell’Interno, di cui uno appartenente al Dipartimento della pubblica sicurezza ed uno alla Direzione generale dei servizi civili, con qualifica non inferiore a primo dirigente o equiparata. Alle riunioni della Commissione partecipa, con funzioni consultive, un rappresentante del Delegato in Italia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati”. La L. 189 del 2002 (c.d. Legge Bossi-Fini) contiene alcuni articoli che, oltre a prevedere la possibilità di trattenimento del richiedente asilo, modificano l’assetto della competenza rispetto alla procedura di riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra. Esse, in particolare, attribuiscono tale ruolo a delle Commissioni Territoriali decentrate. Secondo l’articolo 1-quater, aggiunto all’art. 1 della L. Martelli, tali Commissioni, “nominate con decreto del Ministero dell’interno, sono presiedute da un funzionario della carriera prefettizia e composte da un funzionario della polizia di Stato, da un rappresentante dell’ente territoriale designato dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali e da un rappresentante dell’ACNUR”. Al momento della chiusura di tale pubblicazione tale procedura non risulta ancora applicata, mancando il decreto attuativo delle nuove norme. 149 tuale dei dinieghi sul numero complessivo delle domande, in quanto il campione in esame non ci sembrava idoneo a fornire una proiezione attendibile dal punto di vista statistico. L’intero gruppo dei casi esaminati, di cui alla tabella che segue, ci è parso tuttavia sufficientemente ampio per risultare indicativo rispetto alle motivazioni che più spesso hanno spinto gli organi competenti a rigettare le domande di asilo. Nel prosieguo del testo vengono infatti riportate testualmente le motivazioni più ricorrenti, unitamente a quelle che, per i loro contenuti, sono sembrate particolarmente degne di nota. Rispetto ai provvedimenti di riconoscimento non è risultato possibile operare un’indagine sulle motivazioni analoga a quella svolta sui dinieghi, non essendo le stesse riportate sull’atto di riconoscimento notificato al richiedente in caso di esito positivo della domanda. Dinieghi Afghanistan Albania Angola Bangladesh Benin Burkina Faso Camerun Congo Braz. Colombia Costa d’Avorio Ecuador Totale Dinieghi Totale 1 5 1 3 1 1 2 4 4 1 1 Eritrea Etiopia Ghana Iran Iraq Jugoslavia Libia Moldavia Nigeria Pakistan Palestina 14 13 10 5 1 6 2 3 11 1 2 Dinieghi nº 722 e il relativo protocollo adottato a New York il 31 gennaio 1967, reso esecutivo con legge 14 febbraio 1970, nº 95) l’atto contenga la decisione, senza alcun riferimento, come si accennava, alla motivazione a supporto della stessa. Gli altri due tipi di decisione della Commissione Centrale (diniego “secco” e diniego con “raccomandazione” di protezione umanitaria), contengono le medesime premesse ma anche una, seppur succinta, motivazione della decisione. Segue ai modelli di provvedimento la menzionata selezione di motivazioni a supporto dei dinieghi. Per facilitare la lettura, e considerata la stereotipicità della parte dispositiva dell’atto, nel testo che segue vengono riportate (testualmente) soltanto le clausole-motivazioni poste alla base del diniego di riconoscimento di status. Totale RDC Romania Russia Sierra Leone Siria Somalia Sudan Tunisia Turchia 1 5 6 1 1 1 22 1 55 Totale dinieghi 185 Al fine di illustrare nei suoi vari aspetti l’atto che chiude l’iter della procedura di asilo siamo andati preliminarmente ad esaminarne la struttura, riproducendo a scopo esemplificativo nelle pagine che seguono: un atto di riconoscimento dello status di rifugiato, un atto di diniego dell’anno 2000, uno del 2003 (la struttura è lievemente mutata) e un diniego dello status contenente la cosiddetta “raccomandazione” di concedere all’individuo non riconosciuto rifugiato uno status temporaneo di protezione umanitaria ai sensi dell’ art. 5, comma 6 del D. Lgs. n. 286/1998 (Testo Unico sull’Immigrazione). Facendo innanzitutto riferimento al riconoscimento dello status (cfr. p. 152), la cui formula è sempre identica, si noti come dopo aver citato i presupposti giuridici (la Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con legge 24 luglio 1954, 150 151 Decisione di riconoscimento dello status di rifugiato: 152 Decisione di non riconoscimento di status (diniego - Anno 2000): 153 Decisione di non riconoscimento di status (diniego - Anno 2003): 154 Riconoscimento di una protezione temporanea umanitaria: 155 SELEZIONE DI MOTIVAZIONI Afghanistan: 2000 (omissis) “considerato che, malgrado ciò, è stato in grado di muoversi liberamente e ripetutamente tra i due paesi [n.d.r.: Afghanistan e Pakistan] il lavoro di autotrasportatore per circa 3 anni.” (omissis) Albania: 2002 (omissis) – “atteso che richiama repressioni […] per la sua militanza in un movimento politico di opposizione” (omissis) – “il partito politico cui aderisce partecipa alle consultazioni elettorali e ha propri rappresentanti in Parlamento.” Bangladesh: 2000 “malgrado l’interessato si sia impegnato a far pervenire alla Commissione i documenti relativi alla persecuzione del suo partito di appartenenza da parte del partito governativo.” 2001 “ritenuto che, alla luce del mutato contesto politico realizzatosi nel suo Paese, le argomentazioni addotte devono essere considerate, oltre che superate e non più attuali, non riconducibili alle previsioni di cui alla Convenzione di Ginevra.” Benin: 2003 (omissis) “contestato che nel movimento in cui militava non rivestiva un ruolo di particolare rilievo.” Camerun: 2002 – “rilevato che le contraddizioni e i mutamenti di versione riscontrati durante l’intervista personale, comportano perplessità in ordine alla veridicità e alla credibilità di quanto asserito e alla fondatezza della richiesta; – considerato, peraltro che tali contraddizioni e mutamenti di versione ricadono su alcuni aspetti fondamentali legati, in particolare, alle vicende abitative, rapporti familiari, condizioni di fuga e, infine, stato di clandestinità.” 2003 “– atteso che richiama repressioni in cui potrebbe incorrere in caso di ritorno in Patria per la sua militanza in un movimento sindacale; – considerato che tale movimento è legalmente costituito e svolge regolarmente e liberamente le proprie attività; – constatato che nel movimento in cui militava non rivestiva un ruolo di particolare rilievo; – considerato che il partito politico cui aderisce partecipa alle consultazioni elettorali e ha propri rappresentanti in Parlamento; 156 – posto che non fornisce argomentazioni sui motivi per i quali, prima di indursi all’espatrio, non abbia cercato protezione nelle competenti sedi giudiziarie o richiesto l’appoggio del movimento in cui militava; – preso atto che dichiara di aver lasciato il proprio Paese per trovare migliori condizioni di vita civile e democratica e possibilità di lavoro, avendo perduto la propria occupazione per discriminazione, a suo dire, politica; – tenuto conto che si dichiara passibile di subire restrizioni della propria libertà personale in caso di rimpatrio, che, tuttavia, sarebbero comminate dopo regolare processo e con possibilità di assistenza legale, il che esclude aspetti persecutori nei sensi di cui all’art. 1 della Convenzione di Ginevra; – preso atto che afferma di aver partecipato a manifestazioni di protesta e di aver per questo ricevuto successive minacce; – tenuto conto che il partito politico cui aderisce partecipa alle consultazioni elettorali e ha propri rappresentanti in Parlamento; – atteso che non fornisce argomentazioni sui motivi per i quali, prima di indursi all’espatrio, non abbia cercato protezione nelle competenti sedi giudiziarie o richiesto l’appoggio del movimento in cui militava; – preso atto che afferma di aver partecipato a manifestazioni di protesta e di aver per questo ricevuto soprusi illegali; – non fornisce argomentazioni plausibili in ordine alle modalità dell’espatrio e, in particolare, su come abbia potuto, benché oggetto di ricerca da parte della polizia, superare con regolare passaporto intestato a suo nome i controlli di frontiera e imbarcarsi su volo internazionale; – atteso che, alla richiesta di fornire precisazioni su come abbia potuto senza documenti validi per l’espatrio imbarcarsi su un volo intercontinentale eludendo i controlli di frontiera sia alla partenza che all’arrivo in Italia, espone fatti e circostanze di dubbia credibilità e verosimiglianza.” Congo Brazzaville: 2002 (omissis) “stante che dalle stesse autorità alle quali attribuisce intenti persecutori ha ottenuto i documenti necessari per lasciare il paese e che tale circostanza contrasta con la fondatezza della richiesta.” 2003 (omissis) “infine, ritenuto che trattasi in ogni caso di condizioni di pericolo non provenienti dall’Autorità costituita nel suo Paese e che come tali non sono riconducibili alle previsioni di cui alla Convenzione di Ginevra.” 157 Colombia: 2002 “le sue dichiarazioni nel corso dell’intervista comportano perplessità in ordine alla veridicità e alla credibilità di quanto asserito e alla fondatezza della richiesta.” Eritrea: 2002 “– […] Patria, […] dove si registrano le condizioni e i presupposti per il ritorno a sistemi di vita civile e democratica; – […] le repressioni subite e l’espatrio non possono essere messi tra loro in relazione immediata e consequenziale; – atteso che espone fatti e circostanze che attengono alla sfera personale e che, come tali, non sono riconducibili al concetto di persecuzione così intesa ai sensi dell’art. 1 della Citata Conv.” 2002 (omissis) “considerato che, tuttavia, la diserzione militare non è presa, di per sé sola, in considerazione ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato da nessuna delle Nazioni firmatarie della Convenzione di Ginevra 28.7.51.” 2002 (omissis) – “[…] contraddizione e mutamenti di versione […] fanno emergere dubbi […]” (omissis) – “stante che pone a motivo dell’espatrio fatti e circostanze non riconducibili in alcun modo alle previsioni di cui all’art. 1 della Convenzione e, in particolare, non fornisce argomenti che possano far ritenere la possibilità di andare incontro a persecuzioni, nei sensi della predetta Convenzione, in caso di eventuale ritorno in patria.” Etiopia: 158 2003 “tenuto conto che espone fatti e circostanze relative ai suoi familiari attengono alla sfera personale e non sono pertanto riconducibili al concetto di persecuzione” [n.d.r.: gli è stata riconosciuta protezione umanitaria ai sensi dell’art. 5, comma 6 del D.L.vo nr. 286/1998.] 2000 (omissis) “– considerato che nella dichiarazione rilasciata in Questura ha dichiarato che per questo motivo è stato licenziato mentre durante l’audizione ha dichiarato di aver lasciato il lavoro spontaneamente; – considerato che dopo essersi sottratto al richiamo militare non è stato ricercato ed ha ottenuto a suo dire senza problemi il passaporto; – considerato che ha dichiarato di essere venuto in Italia per raggiungere parenti.” 2001 – “preso atto che dichiara di aver lasciato il Paese per trovare migliori condizioni di vita civile e democratica e possibilità di lavoro;” (omissis) – “considerato che la situazione politica o economica ovvero la carenza di libertà democratiche del paese di origine non costituiscono motivo sufficiente per il riconoscimento dello status di rifugiato;” (omissis) – “atteso che le temute persecuzioni consisterebbero in restrizioni legislativamente previste come in tutti gli Stati firmatari della predetta Convenzione, che verrebbero inflitte in sede di giurisdizione militare e che non vengono apportate a base del mancato rispetto dell’obbligo militare, ulteriori particolari motivazioni.” (omissis) 2001 – “atteso che espone la critica situazione di generale insicurezza per il conflitto armato interno che si registra nel suo Paese; – considerato che tale condizione oggettiva, a carattere generalizzato, non rileva, ai sensi della Convenzione di Ginevra 28.7.51 ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato.” 2002 “ritenuto che la ricerca di migliore occupazione lavorativa deve ritenersi prevalente e assorbente rispetto agli altri moventi cui va ricondotto l’espatrio, conferendo a quest’ultimo carattere di emigrazione ad aspetto prettamente economico.” 2002 “– valutato che per le sue precedenti posizioni politiche avrebbe subito un giusto e illegale licenziamento;” (omissis) “– considerato che il riconoscimento dello status di rifugiato deve fondarsi sull’accertamento di situazioni concrete.” 2002 “– considerato che la commissione ha emanato una deliberazione in data […]; – considerato che l’audizione è avvenuta in lingua italiana e […] richiedente ha chiesto di essere risentito nuovamente in lingua oromo;” (omissis) – “ […] pone a motivo del suo espatrio il timore di avere conseguenze perché suo marito non ha risposto per motivi principalmente di ordine familiare, alla chiamata alle armi per andare a combattere al fronte ed è fuggita a Gibuti; 159 – considerato che in tutte le Nazioni dove la prestazione del servizio militare è obbligatoria trattasi di soggezione generale e la renitenza senza altra valida ragione, non è presa in considerazione ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato da nessuno degli Stati firmatari della Convenzione di Ginevra 28.7.51.” (segue Etiopia) Giordania Libia: 2002 2000 2001 “– considerato che ha dichiarato di essere un palestinese, nato a Jenin, e di essere fuggito per timore di essere nuovamente incarcerato dal governo israeliano per le sue attività nel movimento palestinese Fronte popolare; – considerato che il richiedente è in possesso di un passaporto giordano, rilasciato nel maggio 2001, che secondo quanto dichiarato gli consentirebbe la permanenza sul territorio giordano per soli venti giorni e non attesta la nazionalità giordana; – considerato che dalla documentazione in possesso dalla Commissione le dichiarazioni dell’interessato non risultano confermate.” (omissis) “– ritenuto che la carenza di idonee possibilità di lavoro nel Paese di origine non configura ipotesi persecutoria nei sensi della citata Convenzione.” 2002 (omissis) “– posto che non fornisce argomentazioni sui motivi per i quali, prima d’indursi all’espatrio, non abbia cercato protezione nelle competenti sedi giudiziarie.” Nigeria: 2002 “preso atto che dichiara di aver lasciato il proprio Paese per la crisi economica e occupazionale in atto e per trovare migliori possibilità di lavoro.” 160 2003 (omissis) “considerato inoltre che dalla documentazione in possesso della Commissione non risulta quanto dichiarato dal richiedente.” (omissis) “ritenuto che l’obbligo internazionale assunto dallo Stato italiano con la ratifica della Convenzione di Ginevra non comporti anche la facoltà per il richiedente lo status di rifugiato di scegliere quando e dove chiedere protezione, dovendosi piuttosto presumere che gli stranieri soggetti a possibili persecuzioni esercitino tale possibilità con immediatezza e non appena si trovino in uno Stato che possa garantire loro una tale sicurezza.” Pakistan: 2001 “considerato che le dichiarazioni rese appaiono inficiate nella credibilità, poiché il documento prodotto in visione a sostegno della domanda fa emergere dubbi sulla veridicità (è scritto in inglese, apparentemente dall’interessato nonostante la sua scarsa conoscenza di quella lingua, non riporta data, ha un numero di passaporto depennato).” Rep. Dem. del Congo 2003 “atteso che nel periodo in cui asserisce aver incontrato difficoltà con le Autorità del suo Paese ha regolarmente ottenuto dalle stesse i documenti necessari per l’espatrio e che ciò contrasta con la fondatezza della richiesta.” Russia: 2002 “– atteso che le avversità denunciate dallo straniero, di cui peraltro non ha fornito alcun elemento di prova alla Commissione, sono riconducibili a presunta violazione, da parte sua e dei componenti della sua organizzazione culturale giovanile, di norma del codice penale del suo paese, per partecipazione a rissa aggravata; “– considerato che ha presentato domanda di riconoscimento dello status di rifugiato con notevole ritardo rispetto alla data d’ingresso in Italia;” (omissis) “– tenuto conto che nel periodo che era ricercato dalla Polizia è regolarmente uscito dal paese; – considerato che malgrado le asserite persecuzioni temute da parte delle Autorità del suo Paese, si è più volte rivolto presso l’Ambasciata libica.” Moldavia: 2002 Palestina – considerato che l’interessato prima di venire in Italia, ha soggiornato, nei due anni precedenti in altri Paesi Europei, ove veramente in pericolo, avrebbe potuto ottenere lo status di rifugiato; – considerato che le eventuali conseguenze penali del reato di cui dovrebbe disporre al suo Paese non sostanziano alcuna ingiusta persecuzione di quelle autorità nei suoi confronti, come richiesto dalla Convenzione di Ginevra per l’ottenimento della sua tutela, come riconosciuto da un consolidato orientamento giurisprudenziale al riguardo, sanzioni normativamente previste dalla locale legge penale.” Siria: 2002 “– considerato che le avversità denunciate risalgono al […]” (omissis) “– atteso che dal […] è espatriato ed è vissuto in altri Paesi (Libano, Russia e Ucraina) ove avrebbe potuto chiedere asilo se effettivamente in pericolo; 161 – atteso che dei problemi che dichiara di aver incontrato in Ucraina, ove peraltro ha soggiornato per 7 anni, conseguendo anche una laurea, […] limitandosi ad affermare che riteneva di essere spiato dai servizi segreti siriani; – atteso che nel […] ha ottenuto dalle autorità siriane un passaporto ancora valido (scadenza 2005). – atteso che un eventuale suo arresto in caso di rientro in Siria appare poco probabile in quanto né nel […] né in seguito, nessun procedimento è stato avviato a suo carico. – considerato che il nuovo presidente della Siria nel novembre del 2000 ha disposto un’amnistia a favore di centinaia di detenuti politici, allentando nel contempo in qualche misura le limitazioni alla libertà di espressione.” (segue Siria) Sudan: 2002 “– constatato che nel movimento in cui militava non rivestiva un ruolo di particolare rilievo; – ritenuto che la ricerca di migliore occupazione lavorativa deve ritenersi prevalente e assorbente rispetto agli altri moventi cui va ricondotto l’espatrio, conferendo a quest’ultimo il carattere di emigrazione ad aspetto prettamente economico,” (omissis) “– peraltro ritiene che sussiste […] l’esigenza di protezione umanitaria ai sensi dell’art. 5 comma 6 del D. Lvo n. 286/1998.” Tunisia: 2003 “preso atto che il movimento al quale aderisce non è legalmente riconosciuto e che le repressioni delle Autorità verso i componenti di tale gruppo non costituiscono conseguentemente persecuzioni nei senti di cui alla predetta Convenzione.” Turchia: 2000 “atteso che ha potuto reinserirsi regolarmente nella vita quotidiana, pure con i problemi comuni a quelli incontrati dalla generalità degli appartenenti alla sua etnia pur dichiarandosi ‘ricercato’.” 2000 “tenuto conto delle dichiarazioni rese a verbale presso l’ufficio della Polizia di Stato competente per il territorio, ai sensi dell’art. 1 del D.P.R. 15.5.1990, n. 136, sulle quali si basa la presente decisione, in quanto, malgrado l’invito fatto pervenire all’ultimo domicilio eletto, deve constatarsi l’attuale stato di irreperibilità.” (omissis) 2001 162 “– considerato che dichiara di aver lasciato il suo Paese in quanto afferma di essere discriminato in quanto ateo; – considerato che la Turchia è un paese laico; – considerato inoltre che afferma di essere ricercato in quanto renitente alla leva; – considerato che anche se renitente alla leva ma ha vissuto fino all’età di 31 anni senza mai essere arrestato per questo motivo.” (omissis) 2002 (omissis) “considerato che non emergono altri argomenti rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 1, se non difficoltà, che senz’altro caratterizzano la condizione socio-economica tipica nel suo paese, ma che devono comunque essere ritenute non riferibili specificatamente in via diretta e immediata.” 2002 “– considerato che lamenta le difficili condizioni di vita in cui versano le popolazioni della sua etnia in conseguenza dell’atteggiamento che definisce oppressivo e discriminatorio, delle autorità governative; – considerato che tale condizione oggettiva, a carattere generalizzato, non rileva, ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, non potendosi individuare motivi di persecuzione riferibili in via diretta e personale secondo la nozione contenuta nell’art. 1 della predetta Convenzione.” 2002 “– atteso che l’interessato adduce a sostegno della sua istanza di rifugio il timore di subire persecuzioni da parte della polizia militare turca a cui ha rifiutato di collaborare facendo il guardiano del villaggio; – considerato che tale circostanza non comporta particolari sanzioni per gli interessati ma solo controlli più frequenti nella loro condotta;” (omissis) “– considerato che non è iscritto ad alcun partito politico, non ha mai svolto attività ad opera di qualche partito; – atteso che non è mai stato fermato o arrestato dalla polizia, no riscontrando i presupposti della Convenzione di Ginevra del 1951.” 2002 “atteso che espone la critica situazione di generale insicurezza marzo per conflitti armati che si registravano in talune zone del suo Paese;” (omissis) 163 (segue Turchia) 164 2002 sett. “considerato che il nuovo Governo del suo paese ha dato prova di aver intrapreso – sia pure con gradualità per le residue tensioni che ancora possono talora persistere – linee politiche di evoluzione verso una più completa democratizzazione e che tale circostanza rende non fondato il timore di incorrere in persecuzioni nei sensi all’art. 1 della Convenzione di Ginevra 28.7.1951.” (omissis) 2002 “considerato che le motivazioni addotte per la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato sono strettamente legate a quelle esposte dal marito che sono state ritenute non credibili.” 2003 “– atteso che richiama repressioni in cui potrebbe incorrere in caso di ritorno in Patria per il dissenso verso la politica perseguita dal suo Governo; – ritenuto che trattasi in ogni caso di condizioni di pericolo che investono la generalità dei suoi connazionali e che come tali, in assenza di aspetti persecutori diretti e personali, non sono riconducibili alle previsioni di cui alla Convenzione di Ginevra; – tenuto conto che lamenta, quale persecuzione subita, restrizioni della propria libertà subite in passato, che riconduce alle proprie opinioni personali […]; – atteso che, […], conseguentemente, le repressioni subite e l’espatrio non possono essere messi tra loro in relazione immediata e consequenziale; – atteso che ha potuto reinserirsi regolarmente nella vita quotidiana, pur se con i problemi comuni a quelli incontrati dalla generalità dei suoi connazionali, e che, conseguentemente le repressioni subite e l’espatrio non possono essere messi tra loro in relazione immediata e consequenziale.”