Testimoni nella fragilità umana di Gesù Risorto

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Testimoni nella fragilità umana di Gesù Risorto
DIOCESI DI BRESCIA
III
Testimoni nella fragilità umana
di Gesù Risorto,
speranza del mondo
Catechesi quaresimale
in preparazione al Convegno Ecclesiale
Verona 16-20 ottobre 2006
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Catechesi quaresimale
Preghiera iniziale
Salmo 139
1
Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu sai quando seggo e quando mi alzo.
Penetri da lontano i miei pensieri,
3
mi scruti quando cammino e quando
riposo.
Ti sono note tutte le mie vie;
2
4
la mia parola non è ancora sulla lingua
e tu, Signore, già la conosci tutta.
5
Alle spalle e di fronte mi circondi
e poni su di me la tua mano.
6
Stupenda per me la tua saggezza,
troppo alta, e io non la comprendo.
7
Dove andare lontano dal tuo spirito,
dove fuggire dalla tua presenza?
15
Non ti erano nascoste le mie ossa
quando venivo formato nel segreto,
intessuto nelle profondità della terra.
16
Ancora informe mi hanno visto i tuoi
occhi
e tutto era scritto nel tuo libro;
i miei giorni erano fissati,
quando ancora non ne esisteva uno.
17
Quanto profondi per me i tuoi
pensieri,
quanto grande il loro numero, o Dio;
18
se li conto sono più della sabbia,
se li credo finiti, con te sono ancora.
19
Se Dio sopprimesse i peccatori!
Allontanatevi da me, uomini
sanguinari.
20
Essi parlano contro di te con
inganno:
contro di te insorgono con frode.
8
Se salgo in cielo, là tu sei,
se scendo negli inferi, eccoti.
9
Se prendo le ali dell’aurora
per abitare all’estremità del mare,
10
anche là mi guida la tua mano
e mi afferra la tua destra.
21
11
Se dico: «Almeno l’oscurità mi copra
e intorno a me sia la notte»;
12
nemmeno le tenebre per te sono
oscure,
e la notte è chiara come il giorno;
per te le tenebre sono come luce.
13
Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre.
14
Ti lodo, perché mi hai fatto come un
prodigio;
sono stupende le tue opere, tu mi
conosci fino in fondo.
Non odio, forse, Signore, quelli che ti
odiano
e non detesto i tuoi nemici?
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Li detesto con odio implacabile
come se fossero miei nemici.
23
Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore,
provami e conosci i miei pensieri:
24
vedi se percorro una via di menzogna
e guidami sulla via della vita.
in preparazione del Convegno Ecclesiale - Verona 2006
3
LETTURA BIBLICA
Dagli Atti degli Apostoli (3,1-16)
1
Un giorno Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso
le tre del pomeriggio. 2Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla
nascita e lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta ‘Bella’ a chiedere
l’elemosina a coloro che entravano nel tempio. 3Questi, vedendo Pietro e Giovanni
che stavano per entrare nel tempio, domandò loro l’elemosina. 4Allora Pietro fissò
lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse: «Guarda verso di noi». 5Ed egli
si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualche cosa. 6Ma Pietro gli disse:
«Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù
Cristo, il Nazareno, cammina!». 7E, presolo per la mano destra, lo sollevò. Di colpo
i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono 8e balzato in piedi camminava; ed entrò
con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio. 9Tutto il popolo lo
vide camminare e lodare Dio10e riconoscevano che era quello che sedeva a chiedere
l’elemosina alla porta Bella del tempio ed erano meravigliati e stupiti per quello
che gli era accaduto.11Mentr’egli si teneva accanto a Pietro e Giovanni, tutto il
popolo fuor di sé per lo stupore accorse verso di loro al portico detto di Salomone.
12
Vedendo ciò, Pietro disse al popolo: «Uomini d’Israele, perché vi meravigliate di
questo e continuate a fissarci come se per nostro potere e nostra pietà avessimo fatto
camminare quest’uomo? 13Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei
nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato
di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; 14voi invece avete rinnegato
il Santo e il Giusto, avete chiesto che vi fosse graziato un assassino 15e avete ucciso
l’autore della vita. Ma Dio l’ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni.
16
Proprio per la fede riposta in lui il nome di Gesù ha dato vigore a quest’uomo che
voi vedete e conoscete; la fede in lui ha dato a quest’uomo la perfetta guarigione alla
presenza di tutti voi».
La malattia e la sofferenza nella vita umana
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Sono curvo e accasciato, triste mi aggiro tutto il giorno. 8Sono torturati i miei
fianchi, in me non c’è nulla di sano. 9Afflitto e sfinito all’estremo, ruggisco
per il fremito del mio cuore. 10Signore, davanti a te ogni mio desiderio e il
mio gemito a te non è nascosto. 11Palpita il mio cuore, la forza mi abbandona,
si spegne la luce dei miei occhi. 12Amici e compagni si scostano dalle mie
piaghe, i miei vicini stanno a distanza. (Sal 38, 7-12)
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Catechesi quaresimale
L’esperienza della malattia rende consapevoli di quanto sia fragile
la vita umana; il corpo è facile preda di vari malanni, sconvolgendo così i
progetti che la persona si è fatta. Tutto ciò collide con il desiderio di felicità
e di aspirazione a una vita senza fine e senza dolori che ognuno coltiva nel
segreto del proprio animo. La malattia si presenta quindi come un compito
non facile per l’uomo, che debba affrontare la propria o quella degli altri:
egli è sempre stato tentato di eliminare la malattia eliminando colui che ne
è portatore.
«La malattia e la sofferenza sono sempre state tra i problemi più
gravi che mettono alla prova la vita umana. Nella malattia l’uomo fa
l’esperienza della propria impotenza, dei propri limiti e della propria
finitezza. Ogni malattia può farci intravedere la morte. La malattia
può condurre all’angoscia, al ripiegamento su di sé, talvolta persino
alla disperazione e alla ribellione contro Dio». (Catechismo della Chiesa
Cattolica, 1500-1501)
Non basta l’approccio tecnico-scientifico alla malattia
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Si dissolvono in fumo i miei giorni e come brace ardono le mie ossa. 5Il mio
cuore abbattuto come erba inaridisce, dimentico di mangiare il mio pane.
6
Per il lungo mio gemere aderisce la mia pelle alle mie ossa. 7Sono simile al
pellicano del deserto, sono come un gufo tra le rovine. 8Veglio e gemo come
uccello solitario sopra un tetto. 9Tutto il giorno mi insultano i miei nemici,
furenti imprecano contro il mio nome. 10Di cenere mi nutro come di pane,
alla mia bevanda mescolo il pianto (Sal 102, 4).
La società tecnologica non elimina la fragilità umana, tende a destare
attese molto ampie di guarigione, non sempre riesce a soddisfarle. Anche
quando, grazie a Dio, la tecnologia medica fosse in grado di guarire la
malattia fisica, manca di risposte di significato nei confronti della costitutiva
fragilità umana e della sofferenza che essa comporta.
«Talvolta la mette ancor più alla prova, soprattutto tende a emarginarla
o al più a risolverla come un problema cui applicare una tecnica
appropriata. In tal modo viene nascosta la profondità di significato
della debolezza e della vulnerabilità umane e se ne ignora sia il peso di
sofferenza sia il valore e la dignità.
in preparazione del Convegno Ecclesiale - Verona 2006
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La speranza cristiana mostra in modo particolare la sua verità proprio
nei casi della fragilità: non ha bisogno di nasconderla, ma la sa
accogliere con discrezione e tenerezza, restituendola, arricchita di
senso, al cammino della vita» (Traccia per il Convegno di Verona, n.
15).
È necessario superare una mentalità materialista nei confronti della
vita, la quale porta a perderne il valore e la dignità:
«La mentalità materialista celebra la vita solo nella misura in cui
raggiunge il successo, l’efficienza, la ricchezza, il piacere. Non
le riconosce un valore in sé e per sé. Perciò finisce per alimentare
una cultura di morte, che trova le sue manifestazioni nel disprezzo
e nell’emarginazione dei più deboli, nell’aborto, nell’eutanasia,
nell’omicidio anche per futili motivi.
La posizione cristiana è decisamente diversa. Gesù, con la sua
attenzione preferenziale per i peccatori, i malati e gli emarginati, ha
rivelato che il Padre considera importanti tutti gli uomini, quale che
sia la loro condizione. Ha affermato che la persona vale più del cibo e
del vestito, anzi più di qualsiasi conquista, fosse pure estesa quanto il
mondo intero, e non può essere scambiato con nessuna cosa (cfr. Mt
16,26; Lc 12,23)» (CEI, Catechismo degli adulti, n. 1015).
Malattia e sofferenza nella visione cristiana
«Malattia e sofferenza sono fenomeni che, se scrutati a fondo, pongono
sempre interrogativi che vanno al di là della stessa medicina per
toccare l’essenza della condizione umana in questo mondo (GS 10). Si
comprende perciò facilmente quale importanza rivesta, nei servizi sociosanitari, la presenza non solo di pastori di anime, ma anche di operatori,
i quali siano guidati da una visione integralmente umana della malattia
e sappiano attuare, di conseguenza, un approccio compiutamente
umano al malato che soffre. Per il cristiano, la redenzione di Cristo e
la sua grazia salvifica raggiungono tutto l’uomo nella sua condizione
umana e quindi anche la malattia, la sofferenza e la morte» (Giovanni
Paolo II, Dolentium Hominum, motu proprio, n. 2).
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Catechesi quaresimale
Il cristiano rifugge da qualsiasi approccio che tenda a banalizzare la
malattia e la sofferenza.
Come Gesù, si mette in ascolto dell’uomo sofferente per le molte
fragilità che toccano la sua vita. Sa che nella fragilità si affacciano alla
coscienza le domande antropologiche più vere e più profonde e che esse
sono via verso la possibile scoperta della verità sulla vita umana e sulla sua
vocazione.
«Nel suo approccio agli infermi e al mistero della sofferenza, la
Chiesa è guidata da una precisa concezione della persona umana e del
suo destino nel piano di Dio. Essa ritiene che la medicina e le cure
terapeutiche abbiano di mira non solo il bene e la salute del corpo,
ma la persona come tale che, nel corpo, è colpita dal male. La malattia
e la sofferenza, infatti, non sono esperienze che riguardano soltanto
il sostrato fisico dell’uomo, ma l’uomo nella sua interezza e nella sua
unità somatico-spirituale. È noto del resto come talora la malattia
che si manifesta nel corpo abbia la sua origine e la sua vera causa nei
recessi della psiche umana» (Giovanni Paolo II, Dolentium Hominum,
motu proprio, n. 2).
Uno stile di accoglienza delle fragilità umane
«L’accoglienza della fragilità non riguarda solo le situazioni estreme.
Occorre far crescere uno stile di vita verso il proprio essere creatura e
nei rapporti con ogni creatura: la propria esistenza è fragile e in ogni
relazione umana si viene in contatto con altra fragilità, così come ogni
ambiente umano o naturale è frutto di un fragile equilibrio» (Traccia
per il Convegno di Verona, n. 15).
La vita umana ha bisogno della solidarietà della comunità e si dispiega
al meglio solo all’interno di una comunità. Occorre, quindi, superare una
concezione individualistica della vita umana. Essa nella solitudine non trova
la sua pienezza (‘non è bene che l’uomo sia solo’: Gn 2,18): ha bisogno di
essere accolta e curata da altri perché possa affrontare al meglio i momenti di
fragilità e di dipendenza che la caratterizzano. Difficilmente oggi si prendono
in considerazione tutti gli aspetti della dimensione comunitaria dell’esistere
umano.
in preparazione del Convegno Ecclesiale - Verona 2006
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Anche per questo la vita umana, segnata dal limite, trova oggi maggiori
difficoltà ad essere accolta e la Chiesa stessa fa più fatica ad annunciare il suo
pieno valore in ogni condizione del suo esistere.
«Solo una cultura che sa dar conto di tutti gli aspetti dell’esistenza è una
cultura davvero a misura d’uomo. Insegnando e praticando l’accoglienza
del nascituro e del bambino, la cura del malato, il soccorso al povero,
l’ospitalità dell’abbandonato, dell’emarginato, dell’immigrato, la
visita al carcerato, l’assistenza all’incurabile, la protezione dell’anziano,
la Chiesa è davvero “maestra d’umanità”»(Traccia per il Convegno di
Verona, n. 15).
La contrapposizione tra ‘santità/sacralità della vita’ e ‘qualità della vita’
«Non è sempre facile capire e interpretare l’atteggiamento che
comunemente viene oggi assunto nei confronti della vita. Anche nel
nostro Paese, nel quale il rispetto e l’amore verso la vita sono stati alla
base di una cultura millenaria, la mentalità e il costume dominanti
sono complessi, notevolmente diversificati e talvolta persino
contraddittori.
Sembrano contrapporsi una cultura della vita e una cultura della
morte o, più in profondità, una vera cultura della vita e una presunta
cultura della qualità della vita. In larga parte dell’opinione pubblica
viene oscurandosi o dissolvendosi quella ‘verità’ sulla vita umana che
Dio ha impresso fin ‘dal principio’ nel cuore dell’uomo e della donna.
Tra gli esseri credenti e praticanti si sviluppa la tendenza a dissociare
la fede cristiana dalle sue esigenze etiche nell’ambito della vita umana.
Ne derivano non solo sottolineature unilaterali e riduttive di alcuni
aspetti della vita umana, che prescindono da una concezione integrale
dell’uomo e della sua dignità personale» (Conferenza Episcopale
Italiana, Evangelizzazione e cultura della vita umana, Documento
pastorale, 8 dicembre 1989, n. 4).
L’etica cosiddetta ‘laica’ sostiene una cultura della ‘qualità della vita’
secondo la quale la vita umana non avrebbe valore intangibile e indisponibile
in sé, neppure per il suo riferimento a Dio, ma avrebbe valore solo per le
qualità fisiche o psichiche possedute e per la loro corrispondenza ai desideri
soggettivi. La sofferenza toglierebbe dignità alla vita fino a renderla meritevole
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Catechesi quaresimale
di non essere vissuta: sarebbe, quindi, lecito dare o chiedere l’eutanasia, non
far nascere un bambino perché non avrebbe una buona qualità della vita,
ecc.
L’‘etica cattolica’ sostiene che, per quanto possibile, sia doveroso
cercare, per sé e per gli altri, una buona qualità anche psico-fisica della vita
umana, ma che qualora, a causa di malattie particolari, non fosse possibile
evitare dolore e sofferenza, non per questo la vita umana perde il suo valore
fino a dover essere rifiutata o soppressa. È la qualità spirituale che dà senso
compiuto alla vita.
La qualità della vita umana non è data solo dalle qualità delle
condizioni fisiche o psichiche in cui si trova ad essere vissuta, ma dalla
speranza che la sostiene.
Malattia tempo di prova della fede
«Vengono meno la mia carne e il mio cuore, ma la roccia del mio cuore è
Dio; è Dio la mia sorte per sempre» (Sal 73, 26).
Il tempo della malattia è una prova della fede, nel senso che essa
mette alla prova ciò su cui fondiamo ultimamente le nostre speranze.
«Sperimentando nella malattia la propria impotenza, l’uomo di fede
riconosce di essere radicalmente bisognoso di salvezza. Si accetta
come creatura povera e limitata. Si affida totalmente a Dio. Imita
Gesù Cristo e lo sente personalmente vicino. Abbracciando la croce,
sa di abbracciare il Crocifisso. Unito a lui, diventa segno efficace della
sua presenza e strumento di salvezza per gli altri: “Ogni uomo, nella
sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva del
Cristo”(Giovanni Paolo II, Salvifici Doloris, n. 19) » (CEI, Catechismo
degli adulti, n. 1021).
Da una parte il cristiano mette in atto tutte le risorse di cui la scienza
dispone per combattere la malattia e la sofferenza, dall’altra sa che anche
nella sofferenza non solo è possibile la vita, ma anche una crescita in umanità
e in sapienza cristiana. Per questo affronta la sofferenza con coraggio, dignità
e serenità, senza perdere la speranza nella vicinanza e nel sostegno di Dio.
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Io ho detto: «Pietà di me, Signore; risanami, contro di te ho
peccato». 6I nemici mi augurano il male: «Quando morirà e perirà il
suo nome?». 7Chi viene a visitarmi dice il falso, il suo cuore accumula
malizia e uscito fuori sparla. 8Contro di me sussurrano insieme i miei
nemici, contro di me pensano il male: 9«Un morbo maligno su di lui
si è abbattuto, da dove si è steso non potrà rialzarsi». 10Anche l’amico
in cui confidavo, anche lui, che mangiava il mio pane, alza contro di
me il suo calcagno. 11Ma tu, Signore, abbi pietà e sollevami (Sal 41,
5-10).
Dalla fede deriva quella pazienza piena di fiducia che è necessaria
per qualsiasi lotta contro la malattia e il male che affliggono l’esistenza
umana. Per questo «la malattia può rendere la persona più matura, aiutarla
a discernere nella propria vita ciò che non è essenziale per volgersi verso ciò
che lo è. Molto spesso la malattia provoca una ricerca di Dio, un ritorno a
lui» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1501).
La testimonianza cristiana
Ascoltiamo ora la sollecitazione alla testimonianza cristiana che la Traccia di
preparazione al Convegno di Verona propone:
«La proclamazione della speranza della risurrezione riveste oggi
particolare significato per dare forza e vigore alla testimonianza. In
un tempo dominato dai beni immediati e ripiegato sul frammento,
i cristiani non possono lasciarsi omologare alla mentalità corrente,
ma devono seriamente interrogarsi sulla forza della loro fede nella
risurrezione di Gesù e sulla speranza viva che portano con sé. Credere
nel Risorto significa sperare che la vita e la morte, la sofferenza e
la tribolazione, la malattia e le catastrofi non sono l’ultima parola
della storia, ma che c’è un compimento trascendente per la vita delle
persone e il futuro del mondo» (Traccia, n. 2).
La testimonianza cristiana in questo ambito richiede di essere vissuta a tutti
i livelli: in famiglia attraverso l’educazione ad affrontare nella fede le fragilità
della vita, in parrocchia attraverso la qualità dell’assistenza cristiana ai malati
sia a domicilio che in ospedale, nella società civile attraverso il sostegno e la
promozione di progetti che umanizzino il tempo della malattia, ecc.
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Catechesi quaresimale
«La testimonianza cristiana in questo ambito richiede di essere
preparata e sostenuta attraverso incontri capillari, soprattutto a
livello locale, per far cogliere alla coscienza cristiana le opportunità
culturali e umane per l’annuncio del Vangelo oggi. I cristiani devono
sentirsi inoltre responsabili di fronte ai mondi della comunicazione,
dell’educazione e delle scienze, per far sentire la presenza della Chiesa
nella società e animare con intelligenza, nel rispetto della loro legittima
autonomia, i diversi linguaggi dell’arena pubblica: quello espressivo e
quello scientifico, quello comunicativo e quello dell’argomentazione.
Per questo occorre anche una preparazione culturalmente avveduta
onde saper rendere ragione della speranza che è in noi» (Traccia, n.
11).
“Guarite gli infermi” (Mt 10,8)
Il cristiano si impegna nella ricerca dei mezzi di cura, si rende premuroso
nella cura delle varie forme di fragilità umana, ma sa che tutto questo non
è mai la risposta definitiva alla fragilità umana. Quando non ci sono più
mezzi di cura, resta ancora la possibilità di accoglienza nella fede e nella
preghiera della persona umana. Mai la risposta alla mancanza di salute è la
soppressione della vita. La guarigione non è mai completa fin quando non
viene guarito anche lo spirito attraverso una piena riconciliazione con Dio,
cosa che solo Cristo medico delle anime e dei corpi può donare. «La tua
grazia vale più della vita» (Sal 63, 4). Anzi, la prima guarigione di cui l’uomo
ha bisogno è quella dello spirito, da cui deriva la possibilità di affrontare con
atteggiamento sano le molte fragilità della vita umana.
«‘Guarite gli infermi!’ (Mt 10,8). Questo compito la Chiesa l’ha
ricevuto dal Signore e cerca di attuarlo sia attraverso le cure che presta
ai malati sia mediante la preghiera di intercessione con la quale li
accompagna. Essa crede nella presenza vivificante di Cristo, medico
delle anime e dei corpi. Questa presenza è particolarmente operante
nei sacramenti e in modo tutto speciale nell’Eucaristia, pane che dà la
vita eterna (cfr Gv 6,54.58) e al cui legame con la salute del corpo san
Paolo allude (cfr 1Cor 11,30)» (Catechismo della Chiesa Cattolica
1509).
in preparazione del Convegno Ecclesiale - Verona 2006
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La guarigione non è compito solo del medico o delle psicologo, c’è
uno spazio imprescindibile riservato alla cura dello spirito. Finché lo spirito
è malato resta la fragilità più grande dell’uomo e la possibilità di “guadagnare
il mondo intero e poi perdere la propria anima” (cfr. Mc 8,36).
Per la riflessione e il confronto
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La fede e la speranza nella resurrezione non devono far dimenticare lo scandalo
della croce: il Risorto è e rimane il Crocifisso, solidale con tutti gli umiliati
della terra. In quali forme e verso quali situazioni la testimonianza cristiana è
chiamata oggi a rendere presente questa solidarietà?
Come l’incontro con le diverse forme della fragilità costituisce luogo di speranza
e di testimonianza cristiane?
Quale occasione di condivisione, di dialogo e di confronto con il non credente
costituiscono le opere di carità e le iniziative di volontariato?
Come collegare identità di ispirazione cristiana e servizio pubblico?
In che senso la coscienza cristiana della fragilità umana diventa dimensione
permanente dei rapporti, modo d’essere significativo per ogni ambiente?
Il Crocifisso ha vissuto la sua morte ignominiosa con una estrema fiducia in
Dio e con una totale disponibilità di amore e verso l’umanità. Per questo Dio lo
ha risuscitato e costituito Signore e autore della vita. Come vivere la malattia,
il dolore, la sconfitta quali esperienze in cui Dio può far rinascere una vita
nuova?
Come riproporre le virtù della pazienza e della perseveranza per dare senso anche
alle situazioni di apparente fallimento?
Che cosa può suggerire alla vita e alla prassi delle comunità cristiane il fatto che
Dio scelga le cose deboli per confondere quelle potenti?
Catechesi quaresimale
Preghiera finale
Padre, creatore di tutte le cose,
nelle tue mani sono le vite degli uomini.
Tu solo ne disponi l’inizio e la fine,
tu solo puoi darci la speranza di una vita
che non tramonta,
tu solo non ci lasci nella morte.
R. Benedetto Dio, che ama la vita.
Signore Gesù, morto e risorto,
che hai guarito i malati e risuscitato i morti,
guarda questa umanità incamminata
per le strade di una cultura di morte,
ridonale il rispetto di ogni vita
che inizia o fiorisce,
perché solo l’uomo vivente è la gloria di Dio.
R. Benedetto Dio, che ama la vita.
Spirito, che doni la vita del Padre e del Figlio,
riscalda i nostri cuori di pietra,
aprici all’amore vero,
per non lasciare nella tristezza
quanti non hanno speranza,
ma in te ritornino a vivere,
o Spirito vivificante.
R. Benedetto Dio, che ama la vita.
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Bibliografia minima
Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, Lettera enciclica, 25 marzo 1995.
Conferenza Episcopale Italiana, Evangelizzazione e cultura della vita umana,
Documento pastorale, 8 dicembre 1989.
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