Abbiamo chiesto a Padre Abdo Raad

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Abbiamo chiesto a Padre Abdo Raad
Abbiamo chiesto a Padre Abdo Raad, responsabile del progetto Foyer de L’Amitiè e dell’Associazione Annas Linnas in Libano, di aggiornarci sulla loro situazione e le ripercussioni del dramma dei profughi siriani nella società libanese. Carissimi Don Mario, Claudia e tutti gli amici del CMD, pace e bene, grazie per il vostro interessamento, vi mando questo testo che ho scritto giorni fa sulla situazione dei profughi siriani in Libano. Giorni fa abbiamo cominciato a registrare i bambini a scuola per l’anno 2013-­‐2014. Oggi entra nel mio ufficio piangendo la signora H. J.: “-­‐ che cosa hai? Dico, prima di salutare. non posso pagare la scolarità. allora metti i tuoi figli nella scuola pubblica. non posso pagare il trasporto, la scuola è lontana, neanche posso pagare i libri… e credo che non ci sono più posti per noi siriani. E tu sai cosa vuol dire scuola pubblica… ma… lavora tuo marito? Piangendo ancora di più dice: dopo essere scappato dalla Siria, ha cercato di lavorare nei terreni, a salario bassissimo… ma purtroppo… è caduto sotto una macchina agricola, ha rotto il piede… e da quattro mesi che sta a letto. Siamo siriani, non abbiamo nessuna assicurazione. Mia figlia ha bisogno di essere operata nel dito del piede… è una cosa costosa in Libano almeno 900$ dopo tutte le riduzioni. In Siria non possiamo più tornare. hai parlato con le ONG di aiuto? non serve parlare con le associazioni perche questi hanno solo domande e parole che non riempiono la pancia, né calmano il dolore. Lei rimane in silenzio. Anch’io. Pur sapendo che non possiamo fare tante cose per aiutare questa gente, già tantissimi libanesi hanno bisogno di aiuto e non possiamo fare granché per loro… ho detto: va bene signora, calmati. Non preoccuparti per la scolarità dei tuoi figli, nemmeno per il trasporto a scuola. Speriamo di potere aiutarvi….” Ecco uno dei casi che riscontriamo ogni giorno. Ci sono anche casi più difficili. Questa famiglia ha un domicilio, tanti non hanno il domicilio. Altri hanno perduto famigliari nelle guerre… Si parla di un milione di rifugiati in Libano, di cui 800 mila registrati all’UNHCR. Già i lavoratori siriani che sono in Libano arrivano fino a 600 mila durante l’estate. Questi, quasi tutti, hanno fatto arrivare le loro famiglie. Questi rifugiati profughi, in particolare donne e bambini, sono esposti a fenomeni di violenza, abuso sessuale e sfruttamento minorile (l’UNICEF parla di tantissimi casi di lavoro minorile e matrimoni precoci e del 70% di bambini che non frequentano la scuola) Quelli che dall’inizio della guerra in Siria, hanno affittato case non riescono più a pagare l’affitto. Questi non pensavano che la guerra durasse tanto e non sanno quando e se finirà. Gli accampamenti illegali su terreni dei libanesi crescono ogni giorno senza nessuna organizzazione e non hanno né docce né bagni.... anche questi costano perche il terreno viene affittato. Non pagare l’affitto comincia a creare problemi in cui non manca l’uso delle armi. Più del 20% dei rifugiati vivono ora senza casa. I fortunati tra di loro hanno avuto dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) lenzuola di plastica per costruire alloggi, e un piccolo aiuto in denaro dopo tante ispezioni. La maggior parte vive però nei villaggi e nelle città, dove sorgono innumerevoli problemi e sono l’aspetto grave ed invisibile della crisi. Tutto questo senza parlare dei problemi dei disabili che nessuna tocca. Questi vivono la miseria peggiore. Ultimamente e dopo l’annuncio di un attacco americano contro la Siria, la strada tra Damasco e la Valle della Bekaa che era ogni giorno quasi vuota, diventa affollata da nuovi profughi. Questa volta non da profughi che hanno perso le loro case, ma da profughi che hanno paura di perdere la loro vita sotto i missili americani, come quelli caduti anni fa in Iraq. Questi profughi sono alla ricerca di un domicilio prima di tutto. L’ONU e alcune ONG hanno offerto delle tende. Tende sparse in campi non ufficiali, soprattutto nella valle della Bekaa e nel Nord. Tutti i loro abitanti raccontano le catastrofi ma hanno paura di dire il loro nome o di dare la loro foto. Tanti profughi sono sparsi su tutto il territorio libanese a Beirut, nel Sud e nei monti del Libano sarebbe più sicuro per loro. Perche il Nord e la Bekaa sono vicini alla frontiera con la Siria e le possibilità dei conflitti sono più alte. In alcuni villaggi ci sono più profughi che abitanti. Giorni fa, un’esplosione a Tripoli ha prodotto trenta vittime e un centinaio di feriti tra cui siriani. Nella Bekaa, come in tutto il Libano, i sunniti libanesi in maggioranza sono contro il governo siriano. Per loro questo governo avrebbe ucciso il loro capo Hariri nel 2005. La maggioranza degli sciiti è con il governo siriano. Per loro il governo siriano aiuta il partito di Dio contro Israele e contro i musulmani sunniti fondamentalisti. I drusi a maggioranza sono contro il governo che avrebbe ucciso nel 1976 il loro capo Jumblat. I cristiani sono divisi in due parti quasi uguali. In questo mosaico la guerra scoppia a volte sul territorio libanese sulla base della politica di ogni parte. Il governo libanese che non c’è più da mesi, cerca di mantenere la sicurezza, ma non c’è niente da fare in un paese pieno di armi e diviso politicamente. La questione è molto delicata. I libanesi hanno vissuto una guerra civile tra 1975 e 1990, che non è finita ancora a causa della presenza di profughi palestinesi che è stato un fattore di divisione. La maggioranza dei profughi sono poveri. A questi poveri si aggiungono tanti poveri libanesi, e tutti sono pronti a fare la guerra se saranno pagati. La guerra che semina la morte sembra per loro un mezzo per vivere, come se fosse un lavoro. I datori di questo lavoro non mancano. Sono sia i paesi ricchi del Golfo che sembrano usare i loro soldi in una politica americo-­‐
israeliana, sia l’Iran in una visione politica contro di quella americana. A livello economico la cosa è ancora più dura. Il commercio tra la Siria e il Libano è quasi rovinato. Niente turismo, niente scambi. La Siria è la via del Libano verso il Golfo. Il commercio per via aerea è molto costoso dal Libano. La strade sono chiuse. Il commercio è bloccato. Gli aiuti sono pochissimi. Nella Bekaa e nel Nord sono migliori di quelli nei villaggi lontani sui monti del Libano e nel Sud, (sono stato a Wadi Khaled sulla frontiera nord con la Siria, con due amici italiani mesi fa, e abbiamo potuto scoprire questo) forse perche le associazioni lavorano di più nella zona vicina alla frontiera e anche i governi, sia per dare aiuti, sia per dare armi!. La maggior parte dei nove centri di Medici senza Frontiere si trova nella valle della Bekaa, alcuni sono nella zona più calda, tra Hermel e Aarsal. Le parole più usate dai profughi sono: “Nessuno ci aiuta. Non ci sono medicine. Il latte per i bambini manca. I nostri bambini sono per strada senza scuola. (tra i rifugiati i bambini sono tanti, le famiglie musulmane siriane fanno tanti figli) Non abbiamo l’elettricità. (dovete sapere che in Libano l’elettricità manca spesso anche per gli stessi libanesi, dove viviamo noi per esempio, abbiamo solo dieci ore di elettricità al giorno). Nel mondo del lavoro i profughi, e proprio per vivere, accettano paghe basse facendo crollare il mercato locale della manodopera. I libanesi non sopportano più questo stato di cose e si mettono contro gli aiuti dati ai siriani richiamando i loro diritti ad essere aiutati. Il governo libanese non organizza nulla e non fa nulla. Quasi la metà della popolazione in Libano sono stranieri. Tanti vivono in modo illegale. A tutto questo si aggiungono problemi psicologici. Alcuni vengono in Libano nella speranza di trovare la terra promessa, forse fu un sogno per loro venire in Libano, come il sogno dei libanesi di partire per l’Europa. In realtà hanno trovato le cose peggiori. Il Libano è pieno di problemi, di povertà e d’ingiustizia. I conflitti, le paure e le esplosioni non mancano. La loro psicologia e distrutta, quella dei bambini è più distrutta ancora. La comunità internazionale più che cibo e medicine sembra distribuire soltanto armi. Che strano che le armi non finiscono!! Invece l’acqua, l’olio, il latte, il pane… finiscono subito. I capi e i governatori libanesi non vogliono saper nulla per non fare nulla. Non sanno che questa miseria esiste perche non la vedono, vivono nei loro palazzi e per loro non manca nulla. Continuano a litigare sulla formazione del governo e sui loro interessi privati, e non fanno nulla né per i cittadini né per i rifugiati. La società civile ha tanta paura che il libano diventi la vittima della presenza dei profughi. Molti entrano in modo illegale. Non perche è proibito entrare ma perchè non vogliono essere identificati. Il fatto che la vita continua sembra un miracolo. Ma questo miracolo per quanto tempo durerà? E noi, come ONG sul terreno, non possiamo fare quasi nulla davanti a bisogni infiniti: uomini senza lavoro, donne che hanno bisogno di partorire, bambini per strada… Un po’ di vestiti usati, un po’ di cibo che distribuiamo non è niente di fronte a questa tragedia. La nostra solidarietà si scontra con condizioni economiche molto difficili. C’è ancora tanto da dire e da raccontare… ma servono a qualche cosa questi racconti? Ecco cosa potremmo fare in concreto noi, l’aiuto che dobbiamo dare ai rifugiati deve in qualche modo anche appoggiare i poveri libanesi per limitare le tensioni tra comunità ospitante e rifugiata. Per esempio: -­‐comprare olio e altri prodotti da agricoltori libanesi e distribuirlo ai rifugiati. -­‐pagare l’affitto ai poveri libanesi che hanno dato case o terreni per ospitare i rifugiati. -­‐pagare un conducente libanese per trasportare bambini siriani a scuola. -­‐pagare una parte della scolarità a scuole private. -­‐chiedere ai libanesi ospitanti un’assistenza psicologica per le vittime di violenza. -­‐chiedere ai giovani libanesi che sono senza lavoro di fare delle attività educative per bambini siriani, dando loro un salario minimo. -­‐ formare le donne, (soprattutto madri) libanesi e siriane insieme, a vivere in pace e nel rispetto reciproco. In questo modo possiamo ridurre la tensione e realizzare lo slogan dall’associazione Annas Linnas adottato dall’inizio della guerra siriana: “sei siriano sei il mio fratello”.