Canto augurale per la nazione eletta

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Canto augurale per la nazione eletta
PARTE UNDICESIMA
CAPITOLO XI
CD109
[Elettra]
Dal liberalismo all’imperialismo: Naturalismo e Simbolismo (1861-1903)
Gabriele d’Annunzio, § 4
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Gabriele d’Annunzio
Canto augurale per la nazione eletta
Questo testo fu pubblicato sulla «Nuova Antologia» il 16 novembre 1899. Fu poi posto a chiusura del libro di Elettra. I temi sono gli stessi delle Odi navali (e della più tarda Merope). L’enfasi retorica è al servizio di un’ideologia nazionalistica e bellicosa, che sarà ampiamente ripresa dal fascismo. L’immagine
di un’Italia contadina e guerriera è espressa per mezzo dei simboli dell’«aratro» e della «prora» (cioè del
lavoro e della potenza militare sui mari). Perfino il vomere qui non è uno strumento di pace: serve a garantire la ricchezza necessaria al dominio del mondo. Anche Pascoli, con La grande Proletaria si è mossa (cfr. CD92) esalterà in modo analogo le virtù militari del popolo contadino.
L’innalzamento retorico è ottenuto attraverso l’uso di un linguaggio che tende irresistibilmente al sublime, con termini arcaici, desunti spesso dal greco antico («Nike», «peltaste», «oplite») e dal latino («peplo», «iugeri», «inclite», ecc.). La tendenza al sublime è inoltre espressa tanto dall’immagine-chiave del
volo, quanto dal punto di vista “alto” da cui le cose vengono rappresentate.
Italia,Italia,
sacra alla nuova Aurora
con l’aratro e la prora!
da G. d’Annunzio, Versi d’amore e
di gloria, vol. I, a cura di A. Andreoli
e N. Lorenzini, Mondadori, Milano
1982.
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Il mattino balzò,come la gioia di mille titani,
agli astri moribondi.
Come una moltitudine dalle innumerevoli mani,
con un fremito solo,nei monti nei colli nei piani
si volsero tutte le frondi.
Italia! Italia!
Un’aquila sublime apparì nella luce,d’ignota
stirpe titania,bianca
le penne. Ed ecco splendere un peplo,ondeggiare una chioma…
Non era la Vittoria,l’amore d’Atene e di Roma,
la Nike,la vergine santa?
Italia! Italia!
La volante passò. Non le spade,non gli archi,non l’aste,
ma le glebe infinite.
Spandeasi nella luce il rombo dell’ali sue vaste
e bianche,come quando l’udìa trascorrendo il peltàste
metrica Undici strofe di sei versi ciascuna, precedute da un ritornello di tre versi, il primo dei quali chiude tutte le
strofe e che si ritrova per intero a conclusione dell’ultima, portata così a otto versi. Assai variate sono
le soluzioni metriche, che presentano, rispetto a uno
schema-base AbAAb, versi lunghi nella sede A (prossimi all’esametro carducciano, reso con un settenario seguito da un novenario), e un verso breve nella
sede b (perlopiù un settenario in seconda posizione
e un novenario in sesta).
1-9 [O] Italia, Italia, consacrata (sacra) alla nuova Aurora [:
alla rinascita] con l’aratro [: il lavoro] e [con] la prua
(prora) [: la potenza militare della marina]! Il mattino
[: della nuova era] nacque di colpo (balzò) [davanti] alle stelle che tramontavano (astri moribondi) [: alla fine
di un’epoca], [impetuoso] come l’entusiasmo (la gioia)
di mille titani. Tutta la vegetazione (tutte le frondi) sui
(nei) monti sui colli [e] nelle pianure (nei piani), con un
unico (solo) fremito, si volse [verso la luce del nuovo
mattino] come una folla (moltitudine) dalle innumerevoli mani [levate]. [O] Italia! [O] Italia! Titani: i mitici
giganti che conquistarono il cielo. Astri moribondi: le
stelle che tramontano prima dell’alba; ma anche, forse,
i Paesi destinati a essere oscurati dal nuovo splendore
dell’Italia. Come una moltitudine...frondi: la vegetazione oscilla (fremito) rivolta al cielo come una folla infinita che agita le mani verso l’alto in segno di esultanza.
10-14 Un’aquila altissima (sublime) [: che vola molto in alto], con le penne bianche (bianca le penne; *acc. alla
greca), [proveniente] da [un’]ignota stirpe di Titani (titania), apparve nella luce [del mattino]. Ed ecco splen-
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dere una veste [bianca] (peplo), ondeggiare una capigliatura (chioma)... Non era la Vittoria, [oggetto] d’amore di Atene e di Roma, la Nike, la vergine santa? L’aquila, simbolo dell’Impero romano, e cioè della gloria
italica, si avvicina e mostra all’improvviso (ed ecco) i
segni della Nike, la dea greca della vittoria (venerata in
Grecia e a Roma), rappresentata come una vergine alata dalla veste bianca e dai folti capelli. L’immagine della Vittoria e quella dell’aquila tendono in seguito a fondersi.
16-20 La volante [: l’aquila] passò. Non [vide dall’alto] le spade, né (non) gli archi, né le lance (l’aste), ma le infinite zolle di terra (glebe). Nella luce si diffondeva (spandeasi = si
spandeva) il rombo delle sue ali ampie (vaste) e bianche,
come quando il guerriero armato alla leggera (il peltàste)
lo sentiva (l’udìa = l’udiva) passando di corsa sul campo
[G. B. PALUMBO EDITORE]
PARTE UNDICESIMA
CAPITOLO XI
Dal liberalismo all’imperialismo: Naturalismo e Simbolismo (1861-1903)
Gabriele d’Annunzio, § 4
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su ’l sangue ed immoto l’oplite
Italia! Italia!
Lungo il paterno fiume arava un uom libero i suoi
pingui iugeri,in pace.
Sotto il pungolo dura anelava la forza dei buoi.
Grande era l’uomo all’opra,fratello degli incliti eroi,
col piede nel solco ferace.
Italia! Italia!
La Vittoria piegò verso le glebe fendute il suo volo,
sfiorò con le sue palme
la nuda fronte umana,la stiva inflessibile,il giogo
ondante. E risalìa. Il vomere attrito nel suolo
balenò come un’arme.
Italia! Italia!
Parvero l’uomo,il rude stromento,i giovenchi indefessi
nel bronzo trionfale
eternati dal cenno divino. Dei beni inespressi
gonfia esultò la terra saturnia nutrice di messi.
O madre di tutte le biade,
Italia! Italia!
La Vittoria disparve tra nuvole meravigliose
aquila nell’altezza
dei cieli. Vide i borghi selvaggi,le bianche certose,
presso l’ampie fiumane le antiche città,gloriose
ancóra di antica bellezza.
Italia! Italia!
E giunse al Mare,a un porto munito. Era il vespro.
Tra la fumèa rossastra
alberi antenne sàrtie negreggiavano in un gigantesco
insanguinato (trascorrendo ’l sangue; ’l = il) scorrendo e immobile (immoto) [lo sentiva] il fante armato pesantemente (l’oplite).
22-26 Lungo il fiume [già] caro agli avi (paterno) un uomo libero arava i suoi campi (iugeri) fecondi (pingui),
in pace. I forti buoi (la forza dei buoi; *metonimia)
ansimavano (anelava) resistenti (dura) sotto il pungolo. Era nobile (grande) l’uomo al lavoro (all’opra) ,
fratello dei gloriosi (incliti) eroi, con il piede [affondato] nel solco fertile (ferace) [tracciato dall’aratro].
Il contadino che ara i campi, già coltivati dai suoi avi
(paterno) è fratello degli eroi in quanto contribuisce
con la propria opera alla ricchezza della patria, consentendone l’espansione militare. Uomo libero: il duro lavoro nei campi non rende l’uomo schiavo ma libero, grande ed eroico (v. 25). Pungolo: bastone con
la punta di ferro , usato per stimolare gli animali da
tiro.
28-32 La [aquila, simbolo della] Vittoria diresse (piegò) il
suo volo verso le zolle di terra (glebe) solcate (fendu-
te) [: dall’aratro], sfiorò con le sue ali (palme) la nuda
fronte umana [: del contadino], l’inflessibile manico dell’aratro (stiva), il giogo ondeggiante (ondante) [al collo dei buoi]. E risalì (risalìa) [in alto]. Il vomere consumato (attrito) nella terra (nel suolo) scintillò (balenò)
come un’arma. Stiva: in accezione letter. indica il braccio di guida dell’aratro a mano. Giogo: strumento di legno per attaccare gli animali da tiro al carro o all’aratro. Il vomere...arme: il metallo del vomere (la parte
dell’aratro che solca la terra) brilla come un’arma: il lavoro del contadino è importante e necessario alla patria come quello d chi impugna le armi. Attrito: agg. antico e letter. che significa “logoro, consunto dall’uso”.
34-39 L’uomo, il rozzo (rude) arnese (stromento = strumento) [: l’aratro], i buoi (giovenchi) instancabili (indefessi) sembrarono (parvero) eternati dal gesto (cenno) divino [: della dea Vittoria, che li aveva sfiorati, vv.
28-31] nel [monumento di] bronzo della vittoria (trionfale). La terra italica (saturnia) che alimenta (nutrice
di) le messi esultò carica (gonfia) di frutti (beni) non
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ancora maturi (inespressi). O madre di tutte le messi
(biade), [O] Italia, [O] Italia! Parvero...divino: il lavoro
nei campi viene eternato dal gesto della dea Vittoria come fosse inciso nel bronzo dei monumenti eretti dai vincitori. Saturnia: Virgilio nelle Georgiche chiama l’Italia
«saturnia» in quanto il dio che vi aveva introdotto la civiltà era Saturno. O madre…biade: anche l’immagine
dell’Italia produttrice di messi è tratta dalla Georgiche
virgiliane.
40-44 La Vittoria sparì (disparve) tra nuvole meravigliose
[come un’] aquila nei cieli più alti (nell’altezza dei cieli). Vide i borghi selvaggi, i bianchi monasteri (certose),
le antiche città [situate] presso gli ampi fiumi (l’ampie
fiumane), ancora splendenti (gloriose) di antica bellezza.
46-50 E [la Vittoria] giunse al Mare, a un porto fortificato
(munito). Era il tramonto (vespro). Tra i vapori (fumèa)
rossastri [del tramonto gli] alberi, [le] antenne [e le] sàrtie [delle navi] sembrano un gigantesco groviglio nero
(negreggiavano in un gigantesco intrico), e si sentiva
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(s’udìa = s’udiva) nel chiuso [del cantiere navale] il martello che lavora alla guerra (guerresco) ritornare minaccioso (cupo) sulla piastra [d’acciaio della nave]. Alberi antenne sàrtie: sono le parti che svettano della
nave: gli alberi sostengono le antenne che a loro volta
sostengono le vele; le sàrtie sono il cordame che sorregge gli alberi.
52-56 Una nave [già] costruita (costrutta) ingombrava il
bacino profondo [della darsena], drizzate (irta) le attrezzature (opere) [montate per] ultime [:alberi, antenne
e sàrtie]. Tutta la grande carena sfavillava alla luce rossa (rossor) del tramonto; e la prua aggressiva (prora
terribile), rivolta alla conquista (al dominio) del mon-
intrico,e s’udìa cupo nel chiuso il martello guerresco
ritronar su la piastra.
Italia! Italia!
Una nave construtta ingombrava il bacino profondo,
irta de l’ultime opere.
Tutta la gran carena sfavillava al rossor del tramonto;
e la prora terribile,rivolta al dominio del mondo,
aveva la forma del vomere.
Italia! Italia!
Sopra quella discese precìpite l’aquila ardente,
la segnò con la palma.
Una speranza eroica vibrò nella mole possente.
Gli uomini dell’acciaio sentirono subitamente
levarsi nei cuori una fiamma.
Italia! Italia!
Così veda tu un giorno il mare latino coprirsi
di strage alla tua guerra
e per le tue corone piegarsi i tuoi lauri e i tuoi mirti,
o Semprerinascente,o fiore di tutte le stirpi,
aroma di tutta la terra,
Italia,Italia,
sacra alla nuova Aurora
con l’aratro e la prora!
do, aveva la [stessa] forma del vomere. Una nave da
guerra è pronta per essere varata: la sua prua minacciosa, simile per forma alla parte dell’aratro che solca
la terra, solcherà i mari alla conquista del mondo. L’aratro e la prora del v. 3 mostrano qui la loro analogia.
Ultime opere: “opere” sono dette in una nave le attrezzature per la navigazione. Carena: la parte dello scafo
al di sotto della linea di galleggiamento.
58-62 Sopra quella [: la nave] discese rapidissima (precìpite) un’aquila fiammante (ardente), le diede il segno
della (la segnò con la) palma [: la vittoria]. Un’eroica
speranza [: vincere] si trasmise (vibrò) nella mole possente [della nave]. I marinai della corazzata (gli uomi-
ni dell’acciaio) sentirono di colpo (subitamente) nascere (levarsi) nei [loro] cuori una fiamma [: la speranza e il desiderio di vittoria].
64-68 Allo stesso modo (così) [: in cui hai visto l’aquila] possa tu vedere (veda tu) un giorno il mare italiano (latino) coprirsi di morti (strage) per effetto della (alla) tua
guerra e, per [intrecciare] le tue corone [di vittoria, possa tu vedere] piegarsi i tuoi lauri e i tuoi mirti, o [Italia]
che rinasci ogni volta (Semprerinascente), o migliore
(fiore) di tutte le razze (stirpi), sale (aroma) della terra. Il testo si conclude con un inquietante presagio di
guerra, nella quale l’Italia risulterebbe ovviamente vincitrice.
esercizi
Analizzare e interpretare
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L’accostamento del «vomere» alla «prora», cioè della terra e
del lavoro contadino alla guerra, ha lo stesso significato che
in Pascoli? (cfr. CD92)
2
Sottolinea l’importanza che assume, sotto il travestimento retorico, il mito moderno del volo.
3
Evidenzia l’uso dei simboli mitologici e classici in funzione
della propaganda nazionalista.
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