La depressione oggi - Rivista di Psichiatria

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La depressione oggi - Rivista di Psichiatria
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La depressione oggi
Depression today
MICHELA CARMIGNANI, MAURIZIO DE VANNA, EUGENIO AGUGLIA
Unità Operativa di Clinica Psichiatrica, Dipartimento di Scienze Cliniche Morfologiche e Tecnologiche, Università di Trieste
RIASSUNTO. Con il presente lavoro gli Autori propongono una riflessione sull’evoluzione del concetto di depressione, a partire dalla nosografia classica, passando per il modello categoriale ed infine per quello dimensionale, secondo il quale le varie
forme depressive costituirebbero un continuum. Mentre i quadri depressivi che classicamente si presentavano all’osservazione dello psichiatra erano costituiti soprattutto dalla depressione maggiore con o senza melanconia, il cui nucleo centrale è costituito dalla tristezza vitale, la clinica tende attualmente a prestare particolare attenzione a quelle forme attenuate dette “sottosoglia”, che non soddisfano per gravità e quantità i criteri diagnostici del DSM-IV TR e dell’ICD-10, ma compromettono
comunque la qualità della vita. Secondo una certa lettura, nella società attuale la melanconia avrebbe perso quella sorta di
supremazia tale da conferire solo ad essa dignità di malattia, relegando assolutamente in secondo piano le psicoastenie, le depressioni “nevrotiche”, reattive, etc. Anche la comorbilità rappresenta un aspetto importante: i quadri depressivi “puri” sono
sempre più rari, sia per una sovrapposizione di sintomi ansiosi e depressivi, sia per la coesistenza di sintomi e sindromi somatiche in comorbidità con la depressione. In un’epoca in cui il corpo sembra acquisire un’importanza sempre maggiore rispetto ad altre sfere della persona, è importante che anche medici non psichiatri imparino a cogliere i diversi volti della depressione, in particolare quando essa si esprime, come accade sempre più spesso, con il “linguaggio del corpo”.
PAROLE CHIAVE: depressione, quadri sottosoglia, comorbidità.
SUMMARY. With the present article the Authors intend to focus on the evolution of the concept of depression, starting from
the classical nosography, through the categorical model, until the dimensional one, that considers the different forms of depression as belonging to a continuum. If the depressive classical disorders were generally major depressive disorders, whose
core is vital sadness, nowaday clinics pay more attention to the mild kinds of depression (subthreshold), that do not fullfill the
diagnostic criteria of DSM–IV TR and of the ICD-10, but impair anyway the quality of life. From a certain point of view, in
our society the melancholia has lost the supremacy that gave only to it dignity of “disorder”, whereas other kinds of depression (neurothic depression, reactive depression, etc…) had not this worth. Also comorbidity represents an important matter:
pure depressive forms are always more unusual, both because of overlapping of anxious and depressive symptoms and because coexistence with depression of somatic symptoms and syndromes. In our age it seems that the somatic side of the person is always more important, therefore it is necessary that even not psychiatrist physicians (e.g. general practitioners) learn
to focus on the different aspects of depression, in particular those connected with the “body language”.
KEY WORDS: depression, subthreshold disorders, comorbidity.
CENNI STORICI
La parola “Depressione” costituisce un termine
quanto mai generico ed omnincomprensivo che, nel-
l’accezione di cui noi ci occupiamo, si riferisce ad un
sintomo e ad una sindrome psichiatrica vera e propria.
Ripercorrendo la storia della depressione ci si rende
conto che da sempre l’uomo si trova a dovervi fare i
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conti, in particolare con la “malinconia”, o meglio con
la “melanconia”, termine con cui si indicavano nell’antica Grecia i disturbi causati dalla bile nera. Per Ippocrate la malattia è causata da un’alterazione qualitativa e qualitativa dell’atrabile, uno dei quattro umori
corporali. Tale concezione rientra in un inquadramento di tipo biologico naturalistico che prosegue con
Areteo di Cappadocia (I sec. D. C.), il quale descrive
tre forme di melanconia: una semplice, una delirante,
causata da una alto livello di bile nera nel cervello, ed
una ipocondriaca, da attribuire ad una disfunzione dei
centri neurovegetativi. Nel Medioevo invece prende
piede una visione spiritualistica, secondo la quale ansia, tristezza, disperazione sono segno di turbamenti
dell’animo, generati dal rifiuto del divino (secondo
Plotino). L’Umanesimo ripropone la teoria dell’atrabile, mentre nel 1600 Harvey utilizza la tecnica del salasso come metodo efficace per guarire la malinconia.
L’Illuminismo vede le affezioni del tono dell’umore in
un’ottica morale, anche da un punto di vista terapeutico, per cui respinge la terapia farmacologica e sottolinea la necessità di un “trattamento morale”.
L’attuale inquadramento dei disturbi dell’umore è
da attribuire agli Autori del XIX secolo, in particolare
a Kraepelin il quale, nel suo “Trattato di Psichiatria”
del 1907 (1) individuò le due grandi categorie diagnostiche della demenza precoce e della psicosi maniacodepressiva. In quest’ultima egli raggruppò numerose
forme precedentemente considerate autonome, ossia
la mania, la depressione, la follia circolare e periodica,
aggiungendo poi gli stati misti e nel 1913 la melanconia involutiva. Successivamente Kretschmer (2) ricondusse le psicosi ad una esacerbazione dei tratti premorbosi e Schneider (3) descrisse i temperamenti depressivo, ipertimico e ciclotimico, mantenendoli separati dalle forme maggiori dei disturbi dell’umore a facendoli rientrare nel capitolo delle personalità psicopatiche.
Tabella 1. I Disturbi dell’Umore nel DSM-IV-TR (2000)
Polarità dell’episodio
Episodio Depressivo
Episodio Maniacale
Episodio Misto
Episodio Ipomaniacale
Disturbi Depressivi
Disturbo Depressivo Maggiore
(Episodio Singolo, Ricorrente)
Disturbo Distimico
Disturbo Depressivo non Altrimenti
Specificato
Disturbi Bipolari
Disturbo Bipolare I
Disturbo Bipolare II
Disturbi Ciclotimico
Disturbo Bipolare Non Altrimenti
Specificato
Altri Disturbi dell’Umore
Disturbo dell’Umore Dovuto ad
una Condizione Medica Generale
Disturbo dell’Umore Indotto da
Sostanze
Disturbo dell’Umore non Altrimenti
Specificato
Tabella 2. Le sindromi affettive nell’ICD-10
Episodio maniacale
Ipomania
Mania
Episodio Depressivo
Sindrome Affettiva
Bipolare
Sindrome Depressiva
Ricorrente
Sindromi Affettive
Persistenti
Ciclotimia
Distimia
Altre Sindromi affettive persistenti
Altre Sindromi affettive
Episodio affettivo misto
Sindrome depressiva breve ricorrente
Sindrome Affettiva
non Specificata
APPROCCIO CATEGORIALE E APPROCCIO
DIMENSIONALE
Giungendo ai giorni nostri va precisato che gli attuali sistemi classificatori in psichiatria si basano su un
modello categoriale che identifica gruppi omogenei di
pazienti a scopi di ricerca, è immediatamente comprensibile in un’ottica medico-clinica, consente di valutare l’efficacia del trattamento in rapporto alla diagnosi, è alla base di previsioni prognostiche ed infine
permette la classificazione di un grande numero di disturbi teoreticamente dissimili (sono infatti sistemi
classificatori “ateoretici”) (4, 5) (Tabelle 1-2).
Già da tempo però la comunità psichiatrica ha ricominciato a prestare attenzione all’approccio dimensionale, caratterizzato dalla variabilità del fenomeno osservato secondo un continuum trasversale rispetto ad
entità diagnostiche differenti, il quale tiene conto della personalità, del significato causale, del percorso storico individuale, valorizza l’importanza della reazione
agli stress, non “reifica” la diagnosi, consente una correlazione tra variabili di tipo psicologico, sociale o biologico. Per quel che riguarda la depressione, esistono
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varie dimensioni che noi consideriamo nell’ambito di
un inquadramento clinico-diagnostico e che comunque
rientrano in parte anche nei vari punti dei criteri diagnostici del DSM IV TR (4). Ricordiamo: l’umore,
l’ansia, lo slancio vitale (abulia, apatia), la temporalità,
la tollerabilità del dolore, la psicomotricità, l’ossessività-compulsività, i parametri vitali (sonno, appetito,
sessualità, etc.), la qualità della vita ed il funzionamento sociale.
Il DSM IV, secondo l’ottica categoriale classica, supera la distinzione della depressione in endogena e
reattiva: esistono dei criteri diagnostici che, in ultima
analisi differenziano quantitativamente i diversi disturbi depressivi. La depressione con melanconia sarebbe avvertita dal soggetto come “qualitativamente
differente” dalla tristezza provata durante il lutto o nel
corso di un episodio depressivo senza melanconia,
mentre l’episodio depressivo senza melanconia si differenzierebbe dalla tristezza solo sul piano quantitativo (Tabella 3).
COME CAMBIA LA DEPRESSIONE:
I QUADRI SOTTOSOGLIA
Nell’epoca attuale, la depressione maggiore, per
quanto sempre presente nelle classificazioni nosografiche, sembra aver perso il primato in termini di prevalenza ed incidenza: i quadri clinici che giungono più
frequentemente all’osservazione dei medici di medicina generale e degli psichiatri sono spesso costituiti soprattutto da quelle che possiamo in generale definire
“depressioni sottosoglia”.
Cassano et al. (6) infatti fanno giustamente notare
come la realtà clinica rispecchi raramente le classifica-
Tabella 3. Episodio depressivo maggiore con melanconia
(Criteri diagnostici sec. DSM- IV-TR)
a. Uno dei seguenti sintomi è presente durante la fase più grave
dell’episodio attuale:
1) perdita di interesse o piacere in tutte o quasi le attività
2) mancanza di reattività agli stimolo solitamente piacevoli (il
soggetto non si sente meglio neanche temporaneamente,
quando accade qualcosa di positivo)
b. Sono presenti tre (o più) dei seguenti sintomi:
1) specifica qualità dell’umore depresso (per esempio, l’umore
depresso è avvertito come distintamente diverso dalla sensazione provata dopo la morte di una persona cara)
2) la depressione regolarmente peggiora al mattino
3) risveglio mattutino precoce
4) marcato rallentamento psicomotorio o agitazione
5) significativa anoressia o perdita di peso
6) eccessivo o inappropriato senso di colpa
zioni teoriche e proponga invece molto più frequentemente stati depressivi sotto soglia che comunque provocano una sofferenza soggettiva e dunque richiedono
un adeguato trattamento. Secondo Pincus et al. (7), le
depressioni “sottosoglia” sarebbero comprese sia nel
DSM IV che nell’ICD 10. Si indicano con questo termine dei quadri clinici che, pur non pienamente corrispondenti ai criteri descrittivi di uno specifico disturbo, per la durata, la gravità o il numero dei sintomi,
hanno come conseguenza uno scarso o mancato funzionamento lavorativo o sociale. Essi sarebbero compresi nella categoria “non altrimenti specificati” (depressione minore e depressione breve ricorrente), che
costituiscono la principale innovazione del DSM IV rispetto al DSM III-R. Depressioni sottosoglia vengono
considerate anche il disturbo disforico premestruale, il
disturbo di personalità depressivo, il disturbo dell’adattamento con umore depresso, il disturbo depressivo
non altrimenti specificato, il disturbo misto ansiosodepressivo. Secondo alcuni autori (8) in genere i pazienti che rientrano in questi quadri non presentano nè
riferiscono la presenza di “anedonia” o “umore depresso”, per cui i ricercatori hanno tentato di riclassificare i cluster sintomatici della depressione coniando il
termine di “depressione sintomatica subsindromica”
(SSD), definita come una condizione depressiva con
due o più sintomi tra quelli presenti nella diagnosi di
depressione maggiore (MD), esclusi l’umore depresso
e l’anedonia, i quali devono essere presenti per più di
due settimane ed associati ad una compromissione del
funzionamento sociale.
Un’ulteriore importante distinzione è quella tra depressioni sottosoglia e “subcliniche”: in queste ultime i
sintomi di un disturbo mentale non determinano una
compromissione funzionale o un deterioramento clinicamente significativo, al contrario di quanto avviene
nei disturbi sottosoglia (7). Una vasta mole di lavori ha
infatti evidenziato come i quadri depressivi sottosoglia
siano accomunati ai quadri depressivi che rispondono
ai criteri diagnostici dagli stessi indicatori di “cattivo
funzionamento” (9-11). Ad esempio Wells et al. (11)
hanno confrontato vasti campioni di pazienti affetti da
depressione sottosoglia, da depressione rispondente a
precisi criteri diagnostici e da depressione cronica. È
emerso che la depressione sottosoglia era associata
con un cattivo funzionamento sociale e lavorativo, similmente a quanto riscontrato nei pazienti affetti da
quadri clinici che rispondono a criteri diagnostici.
Prendendo in considerazione le condizioni depressive sottosoglia già previste dal DSM IV, ossia quelle
Non Altrimenti Specificate, ricordiamo che la depressione minore è definita dalla presenza di almeno due
sintomi depressivi, ma meno di cinque, inclusi umore
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depresso e perdita di interessi, durante un periodo di
due settimane, in assenza di una storia di depressione
maggiore o distimia (Tabella 4), mentre la depressione breve ricorrente è definita dalla presenza di umore
depresso e perdita di interessi, con almeno quattro su
otto sintomi depressivi e scarso funzionamento lavorativo, della durata di meno di due settimane. Ricordiamo inoltre che sia nel DSM IV che nell’ICD10 sono
state eliminate le categorie di “depressione nevrotica”
e di “disturbi affettivi di personalità”. Le forme atte-
nuate a decorso protratto sono state collocate nel capitolo dei disturbi persistenti ed indicate con la denominazione di “Disturbo Distimico” e “Disturbo Ciclotimico”. Le sindromi depressive sottosoglia sono state
definite in vari modi da diversi Autori (Tabella 5) (1217). Tali definizioni, utilizzate nella ricerca epidemiologica, raramente concordano. È importante ricordare
che negli studi che menzioniamo qui di seguito per distinguere quadri depressivi che rispondono a criteri
diagnostici da quadri depressivi sottosoglia sono state
Tabella 4. Criteri diagnostici proposti dal DSM-IV-TR per la depressione minore
A. Un’alterazione dell’umore definita come segue:
1. almeno due (ma meno di cinque) dei seguenti sintomi sono stati presenti in uno stesso periodo di due settimane e rappresentano
un cambiamento rispetto al funzionamento prevedente; almeno uno dei sintomi è a) o b)
a) umore depresso la maggior parte della giornata quasi ogni giorno
b) marcata diminuzione dell’interesse o del piacere in tutte, o quasi tutte le attività per la maggior parte del giorno
c) significativa perdita di peso, in assenza di una dieta, o significativo aumento di peso oppure aumento o diminuzione
dell’appetito quasi ogni giorno
d) insonnia o ipersonnia
e) agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno
f) faticabilità o mancanza di energie quasi ogni giorno
g) sentimenti di autosvalutazione oppure sentimenti eccessivi o inappropriati di colpa quasi ogni giorno
h) diminuzione della capacità di concentrarsi o prendere decisioni quasi ogni giorno
i) ricorrenti pensieri di morte ricorrente ideazione suicidaria senza elaborazione di piani specifici
2. i sintomi causano disagio clinicamente significativo o una compromissione del funzionamento sociale,
lavorativo o di altre importanti aree
3. i sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza o di una condizione medica generale
4. i sintomi non sono meglio giustificati da lutto
B. Non è mai stato presente un episodio depressivo maggiore e non risultano soddisfatti i criteri per il disturbo distimico
C. Non è mai stato presente un episodio maniacale, misto o ipomaniacale e non risultano soddisfatti i criteri per il disturbo ciclotimico
D. L’alterazione dell’umore non si manifesta esclusivamente in corso di schizofrenia, disturbo schizofreniforme,
disturbo schizoaffettivo, disturbo delirante o disturbo psicotico NAS.
Tabella 5. Varie definizioni delle sindromi depressive sottosoglia
Autori
Quadro clinico
Criteri diagnostici di riferimento
Depressioni subsindromiche
Judd et al. 1994 (12)
Due o più sintomi depressivi, che non
soddisfano i criteri del DSM IV per
Disturbo Depressivo Maggiore (MDD)
Episodio Depressivo Maggiore
del DSM IV, Disturbo Distimico,
Depressione Minore
Depressione minore
Hance et al. 1996 (13)
Due o più sintomi, oltre all’umore depresso
e all’anedonia
Episodio Depressivo Maggiore
del DSM IV
Depressione subsindromica
Williams et al. 1995 (14)
Umore depresso o anedonia più uno fino
a tre altri sintomi
Episodio Depressivo Maggiore
del DSM IV
Depressione breve riscorrente
Weiller et al. 1994 (15)
Episodi depressivi
Depressione breve ricorrente
secondo ICD 10
Kendler e Gardner 1998 (16)
Sintomi di gravità insufficienti per fare
la diagnosi
Episodio Depressivo Maggiore
secondo DSM IV
Lewinsohn et al. 2000 (17)
Conta dei sintomi depressivi
Episodio Depressivo Maggiore
secondo DSM IV
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Durata
2 settimane
< 2 settimane
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utilizzate interviste cliniche standardizzate e non ci si è
basati soltanto su punteggi elevati alle scale di autovalutazione, quali ad esempio la Beck Depression Inventory (BDI) (18) (Solomon et al.), Judd et al. (12) definiscono le depressioni subsindromiche (SSD) come
dei quadri clinici con due o più sintomi depressivi, che
non soddisfano i criteri del DSM IV per il Disturbo
Depressivo Maggiore (MDD), il Disturbo Distimico,
per cui tra l’altro esistono scarse evidenze di differenze qualitative con il MDD (19) o la Depressione Minore. Lewinsohn et al. (17) definiscono la depressione
sottosoglia come una semplice conta dei sintomi depressivi del Disturbo Depressivo Maggiore (MDD),
mentre Kendler e Gardner (16) la definiscono come
un quadro consistente in sintomi persistenti di MDD,
di gravità non sufficiente per poter fare la diagnosi.
Un aspetto interessante è costituito dalle relazione
esistente tra la depressione maggiore ed i quadri sottosoglia: secondo alcuni Autori (7) la depressione maggiore costituirebbe un evento che precede o segue una
condizione sottosoglia, il che avvalorerebbe la tesi della depressione come spettro, con possibilità di evoluzione da un quadro all’altro. È in corso infatti un vivace dibattito che ha lo scopo di definire se esista un continuum tra le forme depressive che rispondono a criteri diagnostici precisi e quelle sottosoglia, oppure se si
tratti di due categorie distinte. Secondo Lewinsohn et
al. (17) che hanno condotto uno studio su 3003 soggetti depressi valutando alcune variabili (le difficoltà psicosociali, la storia delle terapie psichiatriche prescritte,
l’incidenza della depressione maggiore e la dipendenza da droghe), la significatività clinica di un quadro depressivo non dipende dal fatto che i sintomi permettano di fare diagnosi di depressione maggiore ed il modello migliore per inquadrare il problema della depressione sembrerebbe essere proprio quello del continuum. In quest’ambito, le depressioni sottosoglia
sembrerebbero possedere alcune caratteristiche proprie della depressione maggiore, quali l’elevato rischio
di sviluppare in futuro episodi depressivi maggiori
(20), una storia famigliare di Disturbo Depressivo
Maggiore (16), una diminuzione della latenza REM
(21), una comorbidità medica e psichiatrica (22-23).
Nell’ottica del continuum, è inoltre importante considerare che molti dei quadri depressivi sottosoglia che
tanto frequentemente si presentano all’osservazione
sia degli psichiatri che dei medici di medicina generale, possono costituire periodi di sintomatologia sottosoglia compresi tra diversi episodi depressivi rispondenti a criteri diagnostici (Disturbo Depressivo Maggiore, Disturbo Distimico) (20). Tali fasi a nostro parere incidono comunque in modo pesantemente negativo sulla qualità della vita del paziente, con l’aggravan-
te, a volte, di essere sottovalutate o non riconosciute e
dunque non trattate, così come tutte le forme attenuate protratte.
Tra queste ultime, sempre nello spettro depressivo,
rientrerebbe anche il Temperamento Depressivo. Cassano et al. (6) hanno elaborato un questionario (SCID
-MOOD) consistente in un’intervista clinica strutturata
per i disturbi dell’umore, la quale consente di rilevare
sintomi nucleari atipici e subclinici, pattern comportamentali precursori di una sindrome psicopatologica
piena, sintomi residui, caratteristiche personologiche.
Temperamento e carattere costituiscono inoltre spesso
un fattore predisponente allo sviluppo di un disturbo
depressivo. Richter et al. (24), prendendo le mosse dalla teoria psicosociale di Cloninger (25), concernente la
relazione tra le sindromi psicopatologiche e la personalità, hanno effettuato uno studio su 126 pazienti e 126
soggetti sani, da cui emerge che nei pazienti depressi è
presente un maggior livello di “evitamento del pericolo” rispetto ai controlli, il che permane anche dopo il
trattamento della depressione. Inoltre è emersa una
correlazione tra immaturità del carattere, ricorrenza
del disturbo e comorbidità con un disturbo d’ansia.
COMORBIDITÀ DELLA PATOLOGIA DEPRESSIVA
Affinandosi sempre di più la nosografia e venendo
gradualmente a modificarsi la fenomenologia della
malattia depressiva, è sempre più frequente che un
quadro depressivo si presenti in comorbidità con altri
quadri psichiatrici.
Secondo Goodwin (26) una diagnosi multipla può
essere posta nel 30% delle Depressioni Maggiori, nel
16% dei pazienti con Disturbi Bipolari, nel 65% dei
pazienti affetti da distimia.
I disturbi d’ansia in particolare vengono spesso a sovrapporsi ad un quadro depressivo, riproponendo
quella classica sindrome detta “ansioso-depressiva”
che così spesso possiamo osservare sia nei nostri ambulatori che in quelli dei medici di medicina generale.
La prevalenza dei Disturbi d’Ansia nel corso della vita è del 25% circa e sembra esservi un’aggregazione
familiare di questi e dei Disturbi dell’Umore. Il Disturbo d’Ansia Generalizzata (GAD) in particolare,
date le sue caratteristiche di cronicità, causa notevoli
limitazioni alla qualità della vita. Dal 35 al 91% dei
pazienti affetti da Disturbo di Panico (DP) soffre anche di depressione maggiore nel corso della propria
vita (27), ma vi sono pochi argomenti a favore dell’ipotesi che la depressione in comorbidità sia secondaria all’evitamento agorafobico cronico. Anche in questo disturbo d’ansia sembra esistere un’aggregazione
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famigliare, il che costituisce l’unico dato certo, in
quanto non siamo in grado per ora di concludere se
una condizione predisponga all’altra o se vi sia un’eziologia comune (28).
Ninan et al. (29, 30) sottolineano il concetto di “sovrapposizione sintomatica”, presente in particolare
nelle sindromi ansiose e depressive: infatti la presenza
del sintomo “ansia”, considerata nelle sue varie accezioni (emotiva, cognitiva, somatica, comportamentale),
è quasi costante nel Disturbo Depressivo Maggiore e,
d’altra parte, i pazienti affetti da Disturbi d’Ansia presentano spesso una deflessione del tono dell’umore.
Queste considerazioni possono condurci al seguente
interrogativo: quando un insieme di sintomi diventa
una diagnosi? Questo riguarda in particolare le sindromi sottosoglia, nell’ambito delle quali sintomi ansiosi e depressivi coesistono e richiedono comunque,
anche se non rispondono a precisi criteri diagnostici,
un trattamento.
lI riconoscimento di un disturbo d’ansia in comorbidità con un quadro depressivo è fondamentale dunque
soprattutto da un punto di vista terapeutico: in questi
casi siamo orientati verso farmaci efficaci in entrambi i
disturbi (es. nel caso della coesistenza di un disturbo
depressivo e di un DOC la scelta cadrà su farmaci quali fluvoxamina o clomipramina; così si dovrà tener conto di un certo tipo di temperamento; ad esempio, la coesistenza di un temperamento ciclotimico e di un DOC
renderà opportuno prescrivere sia un antiossessivo che
uno stabilizzante dell’umore). Parliamo in questi casi di
comorbidità di spettro, la quale comporta una maggior
gravità sul piano clinico, un alto grado di cronicità, una
ridotta compliance ed un più alto rischio di abuso di sostanze e di suicidio. I due quadri clinici possono coesistere con varie combinazioni di sintomi e diverse gravità: entrambi possono essere sotto/sovrasoglia (31).
Sarebbe soprattutto la presenza di un quadro ansioso
soprasoglia a far propendere per una approccio terapeutico farmacologico (32). Questo pone il problema
della scelta delle classi farmacologiche da privilegiare:
la somministrazione di ansiolitici, BDZ in particolare,
tende a migliorare o a risolvere il problema dei sintomi
ansiosi, ma non di quelli depressivi: per quanto esistano
vari dati che evidenziano una possibile correlazione tra
il GABA e la regolazione del tono dell’umore, nella valutazione dell’efficacia antidepressiva della BDZ il diazepam, pur risultando più attivo del placebo, è comunque inferiore all’imipramina ed anche ad un’altra
BDZ, l’alprazolam (33). L’utilizzo delle BDZ ripropone, inoltre, il problema della dipendenza, perciò, sia dalla pratica clinica che da varie metanalisi, l’orientamento più consigliabile sembra essere quello della somministrazione di farmaci antidepressivi.
Già a partire dal 1975, in concomitanza con l’uscita
sul mercato di una seconda generazione di antidepressivi, fu documentato un minor utilizzo delle benzodiazepine (34). Questo avveniva in quanto molte di queste molecole (amitriptilina, maprotilina, dosulepina)
dimostrarono di possedere, accanto all’azione antidepressiva, uno spiccato effetto ansiolitico, essendo inoltre caratterizzate da scarsi effetti anticolinergici. Più
recentemente vari autori hanno dimostrato che alcuni
SSRI sono equivalenti, se non superiori, agli antidepressivi triciclici per quel che riguarda l’azione sull’ansia. In una scelta di questo tipo giocano un ruolo non
secondario anche gli aspetti legati alla scarsità degli effetti collaterali e la buona tollerabilità (35). Secondo
Boerner et al. (31), il citalopram, la venlafaxina ed il
nefazodone, caratterizzato da proprietà sedative ampiamente dimostrate, costituirebbero un valido presidio terapeutico alternativo ai TCA in questi pazienti.
Nella fobia sociale alcuni SSRI quali la paroxetina, la
sertralina e la fluvoxamina hanno dimostrato una documentata efficacia, mentre i triciclici non sembrano
essere molto efficaci (36). Nel Disturbo di Panico, nonostante sia stata documentata un’efficacia dei TCA
superiore a quella del placebo, è stata evidenziata da
alcuni AA (37) la superiorità degli SSRI rispetto ai
TCA. L’efficacia degli SSRI nel GAD è meno documentata, mentre è stata ben dimostrata quella della
venlafaxina (38).
Le BDZ troverebbero invece il loro ruolo nel trattamento dei sintomi ansiosi durante il periodo di latenza
dell’antidepressivo.
Sono poi epidemiologicamente rilevanti le comorbidità dei quadri depressivi con i disturbi correlati a sostanze, l’alcolismo, i disturbi somatoformi.
Le tossicodipendenze, i comportamenti violenti,
l’alcolismo, sono spesso interpretati come sistemi di
difesa contro le cosiddette depressioni “borderline”,
o sottosoglia (39). Ciò riguarda soprattutto gli adolescenti, specie in condizioni di povertà ed emarginazione. In queste situazioni, e questo sembra avvenire
sempre più spesso, ci si trova a dover affrontare soprattutto il disagio psichico e non necessariamente
forme di patologia mentale inquadrabili in quadri nosograficamente definiti. Il problema della comorbidità tra disturbi dell’umore e tossicodipendenza è
estremamente complesso, in quanto esiste un’ampia
sovrapposizione sintomatologia tra disturbi dell’umore e disturbi da uso di sostanze. Comunque nella
maggior parte dei casi i quadri depressivi precedono
la tossicodipendenza, tanto che si è ipotizzato che, data l’azione antidepressiva degli oppiacei, molti tossicodipendenti siano dei depressi che ricorrono a queste sostanze come autoterapia ed è comunque ripor-
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tato che il 7.5 – 19% dei soggetti abusatori di sostanze presentano una familiarità di I grado per disturbi
dell’umore. Considerando comunque la depressione
elemento importante nella tossicodipendenza come
elemento di perpetuazione di un circolo vizioso, si
comprende l’importanza di instaurare in tali soggetti
anche una terapia antidepressiva (40).
Soggetti affetti da alcolismo e depressione in comorbidità sembrano andare più facilmente incontro a
deterioramento cronico delle abilità lavorative e delle
relazioni famigliari e sociali: l’alcolismo non trattato
rappresenta un fattore prognostico negativo per la patologia depressiva, diminuisce la risposta ai farmaci
antidepressivi ed aumenta il rischio di suicidio e di
comportamenti autodistruttivi. Per quel che riguarda
il trattamento, nell’ultima decade vari studi controllati versus placebo hanno evidenziato l’utilità dell’utilizzo dei triciclici e degli SSRI nel trattamento della depressione degli alcolisti. Inoltre ci si è focalizzati su
antidepressivi più recenti e sul trattamento psicoterapico, creando così delle valide alternative e dei presidi complementari a quelli tradizionali (utilizzo del disulfiram, ricorso agli Alcolisti Anonimi). La disponibilità di una gamma sempre più ricca di mezzi terapeutici favorisce anche l’inquadramento clinico ed il trattamento della depressione in comorbidità e migliora
la qualità della vita di questi pazienti (41).
In un’epoca in cui il corpo sembra acquisire un’importanza sempre maggiore rispetto ad altre sfere della persona, i sintomi e le sindromi somatiche in comorbidità con la depressioni sembrano essere sempre più frequenti. È particolarmente difficile allora
tracciare una distinzione, anche in termini puramente nosografici, tra disturbi somatoformi, che possono
comunque causare sintomi depressivi, e quadri depressivi in cui dominano sintomi fisici (depressione
mascherata). È comunque ormai noto che il 30-40%
di pazienti ambulatoriali presenta sintomi fisici non
spiegabili con una malattia organica. In molti di questi casi viene diagnosticata una sindrome conosciuta
(es. sindrome del colon irritabile, fibromialgia), ma fino alla metà dei pazienti affetti da sintomi fisici inspiegabili presenta un disturbo depressivo o d’ansia
sottostante. Si parla allora, per descrivere la presentazione fisica di un disturbo psicologico, di “disturbo
somatoforme” (42). Nella maggior parte di queste situazioni il paziente consulta in primis non lo psichiatra, bensì il medico di medicina generale o un internista. È importante dunque che anche medici non
psichiatri imparino a cogliere i diversi “volti” della
depressione, in particolare quando essa si esprime,
come accade sempre più spesso, con il “linguaggio del
corpo”.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
In che cosa dunque è cambiata la depressione negli
ultimi decenni? Abbiamo visto che la comorbidità rappresenta un aspetto importante, che i quadri depressivi “puri” sono sempre più rari, ma ci preme concludere con un’ulteriore riflessione, offertaci da Galimberti
in una recensione al libro “La fatica di essere se stessi”
di Ehrenberg (39): Galimberti sottolinea il fatto che
dagli anni ‘70 in poi la depressione ha cambiato radicalmente forma. Mentre prima essa costituiva la risultante del conflitto nevrotico tra norma e trasgressione,
dopo il ‘68, con la abolizione di ogni norma, per cui tutto è possibile, la depressione non si presenta più come
una “…perdita della gioia di vivere, bensì come una
patologia dell’azione, il suo asse sintomatologico si
sposta dalla tristezza all’inibizione, alla perdita di iniziativa in un contesto sociale dove realizzare iniziative
è assunto come criterio unico e decisivo per misurare e
sigillare il valore di una persona…”. E aggiunge:
“..Quel che è saltato nella nostra società è il concetto
di limite. E in assenza di un limite, il vissuto soggettivo
non può che essere di inadeguatezza, quando non di
ansia, e infine di inibizione…. La depressione odierna,
insomma, si basa su un vissuto di inefficienza, dove la
tristezza, il dolore morale, il senso di colpa passano in
secondo piano rispetto all’ansia, all’insonnia, all’inibizione…”. Ed infatti tra il quadro clinico conclamato e
le depressioni sottosoglia sono state rilevate delle differenze sintomatologiche riguardanti sia la frequenza
che la tipologia dei sintomi (Tabella 6) (12).
La melanconia avrebbe perso quella sorta di supremazia tale da conferire solo ad essa dignità di malattia,
relegando assolutamente in secondo piano le psicoastenie, le “depressioni nevrotiche”, reattive, etc. Sembra quasi che, dagli anni ‘70 in poi, essendo sempre più
Tabella 6. Confronto sui 5 sintomi depressivi più frequenti
riportati nella Depressione Maggiore (n=320) e nella Depressione Subsindromica Sintomatica (n=1213) (modificata
da Judd et al., 1994)
Umore depresso o triste
per due settimane
Insonnia
Pensieri di morte
Sensazione persistente
di stanchezza
Sensazione della propria
mancanza di valore
Difficoltà di concentrazione
Rivista di psichiatria, 2002, 37, 6
281
Depressione
Maggiore
Depressione
Subsindromica
Sintomatica
94%
74.9%
68.2%
30.4%
40.6%
33%
64.1%
37.8%
63.6%
23.2%
Carmignani M, et al
raro che vi siano delle regole da trasgredire, il dolore
morale ed il senso di colpa non costituiscano più il “nucleo” della patologia depressiva, che si presenterebbe
invece con dei quadri di insufficienza: insufficienza alle richieste sempre maggiori cui siamo sottoposti, spesso superiori alle nostre possibilità, con il risultato che
esprimiamo il nostro malessere soprattutto attraverso
l’inibizione psicomotoria, l’astenia o le somatizzazioni.
Così, invece di incontrare uno psichiatra per parlargli
della propria tristezza, è più facile rivolgersi al medico
di base per una cefalea o una gastrite. Inoltre la comparsa dal 1975 di nuovi antidepressivi, con un profilo di
tollerabilità molto favorevole e largamente utilizzati
anche dai medici generici, ha facilitato la diagnosi di
depressione, che viene intesa a più ampio raggio, essendo fondata più sui sintomi che sulla nosologia. La
risposta positiva a tali farmaci anche nei quadri di ansia, insonnia, somatizzazioni, contribuisce a porre una
diagnosi di depressione anche in quadri non classicamente definibili come tali.
È comunque interessante ricordare che, accanto ad
una concezione attuale di depressione che va oltre un
criterio classificatorio di tipo diagnostico ed etiopatogenetico e si basa soprattutto sulla risposta agli antidepressivi, oggi alcuni eminenti Autori tendono, controcorrente rispetto all’ottica categoriale, a recuperare la
distinzione tra depressione endogena e reattiva, ad
esempio Borgna (43), il quale sottolinea la definitiva
importanza dell’individuazione di tre tipi di depressione: quella esistenziale, che egli identifica con la tristezza leopardiana e che non costituisce patologia, bensì è
un’esperienza di vita comune a tutti coloro che riflettono sul senso delle cose, quella reattiva, quella endogena (o psicotica). Queste ultime due costituiscono due
sindromi patologiche tra cui comunque esiste una differenza, non solo in termini nosografici, bensì anche e
soprattutto in termini terapeutici. Mentre infatti quella
reattiva, in cui non si delinea nemmeno il distacco radicale dal mondo e lo sprofondare nella propria soggettività che contrassegna invece ogni depressione psicotica”, si giova soprattutto di una psicoterapia supportata
da una terapia farmacologica con antidepressivi ed ansiolitici in piccola quantità, in quella psicotica, “di cui
l’espressione sintomatologica più straziante ed emblematica si ha quando la tristezza (il - poter - essere - tristi) non può più essere rivissuta”, il trattamento fondamentale è costituito da quello farmacologico.
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