La rassegna di oggi

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La rassegna di oggi
RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – giovedì 24 novembre 2016
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
A4, aperto il cantiere più grande del Nord (M. Veneto, 3 articoli)
Addio alle Province, bufera in Consiglio (M. Veneto, 2 articoli)
Chiusure festive, il Tar scioglie le riserve su tre ricorsi (Piccolo)
Generali, 1 miliardo per nuove acquisizioni (Piccolo)
Vaccini obbligatori, l’assessore Telesca dice no (M. Veneto)
CRONACHE LOCALI (pag. 7)
Valzer delle cattedre. Cambiano 250 maestri (M. Veneto Pordenone, 3 articoli)
Donne, nel lavoro rimane una forte discriminazione (M. Veneto Pordenone)
Fusione consorzi Zipr-Csi, c’è il documento d’intesa (M. Veneto Pordenone)
Crocefisso nelle classi, un plebiscito a favore (M. Veneto Pordenone)
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ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
A4, aperto il cantiere più grande del Nord (M. Veneto)
di Maurizio Cescon - Sarà il più grande cantiere del Nord Italia, quello del terzo lotto della terza
corsia sull’A4, tra Portogruaro e Gonars. Darà lavoro a 300 addetti, costerà 442 milioni di euro, lo
realizzerà entro la fine del 2019 (o al massimo nel 2020) il consorzio Tiliaventum, una joint-venture
tra l’emiliana Pizzarotti e la friulana Rizzani-de Eccher. Nella tensostruttura che ospita la cerimonia
per la posa della prima pietra (in realtà il cantiere, a ridosso dell’argine sul Tagliamento è già
operativo) c’è tutto il gotha della politica e dell’imprenditoria di Friuli Venezia Giulia e Veneto. A
benedire (laicamente) l’avvio del cantiere il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, con
accanto i governatori Debora Serracchiani e Luca Zaia, il presidente di Autovie Venete Maurizio
Castagna e il costruttore Marco de Eccher. E’ proprio il presidente della concessionaria Castagna
che snocciola dati e cifre per testimoniare come sia indispensabile fare la terza corsia. «Il traffico,
soprattutto quello pesante, sta tornando ai livelli pre crisi - spiega il presidente -. In tutta la rete
abbiamo 45 milioni di veicoli all’anno di cui 38 milioni sull’A4, e un terzo sono mezzi pesanti». E
la si vede a occhio nudo quell’immensa mole di veicoli, perchè l’autostrada passa a poche centinaia
di metri dal vecchio casello di Ronchis, sede della cerimonia. Una teoria ininterrotta di Tir, in un
senso e nell’altro di marcia. Ecco che la terza corsia diventa un obbligo, un dovere. «Le nostre
priorità sono quelle di fare le cose che avevamo deciso, e di farle davvero - dice compiaciuto il
ministro Delrio - . Lo sblocco di questo cantiere che vale 500 milioni vuol dire lavoro, migliore
logistica per le aziende che abitano il territorio. Ovviamente sappiamo che oltre al potenziamento
autostradale dobbiamo agire sul ferro, e quindi gli investimenti sul porto di Trieste, per il
collegamento ferroviario gli investimenti sulla velocizzazione della linea Venezia-Trieste. Credo
che il territorio stia vedendo cantieri, e oggi è una buona giornata perché risolviamo problemi che si
trascinavano da tempo. Se siamo seri le cose le facciamo e le facciamo tutte, come nel caso della
terza corsia. Abbiamo preso il toro per le corna perchè i cantieri sono partiti e manterremo basse le
tariffe dei pedaggi. Io non sono innamorato delle grandi opere, sono innamorato delle opere utili».
«E’ una delle opere più grandi e importanti del Nord Italia - osserva la presidente Fvg Serracchiani . Abbiamo portato a termine un lavoro di squadra complesso, ereditando una situazione complicata.
E’ un pezzo d’Italia che si rimette in movimento. Stiamo lavorando per rendere il nostro sistema
Nordest più forte, per investimenti, traffici e prospettive di sviluppo. Entro la fine di quest’anno
firmeremo anche il contratto per il quarto lotto, quello tra Gonars e Palmanova. E tra il 2020, 2021
sistemeremo pure la pratica relativa al secondo lotto, tra San Donà e Portogruaro, che è il più
problematico». Il presidente del Veneto Luca Zaia ha ammesso che sono stati superati momenti
difficili. «Eravamo molto preoccupati - spiega - per come si erano messe le cose. Oggi invece
vediamo l’alba. Questa autostrada è una porta verso l’Est Europa, con le due corsie è tra le reti
viarie più caotiche e pericolose, l’intervento è necessario. Ringrazio i lavoratori, auspico che le
imprese subappaltanti parlino veneto e friulano, perchè qui comunque c’è qualche disoccupato da
sistemare». Quindi gli ospiti, dopo la firma del protocollo di legalità con i prefetti di Udine Vittorio
Zappalorto e di Venezia Carmelo Cuttaja, si sono incamminati verso il cantiere vero e proprio, dove
alcuni mezzi di movimento terra erano già in azione. Sulla rampa di accesso all’autostrada i
presidenti Serracchiani e Zaia, il ministro Delrio e l’imprenditore de Eccher hanno dato il primo,
simbolico, colpo di badile su un cumulo di terra. Appuntamento alla fine del 2019, per il brindisi
inaugurale.
Costo di 442 milioni, 300 gli addetti
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Lavori finiti nel 2019: «Ce la faremo 200 giorni prima»
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2
Addio alle Province, bufera in Consiglio (M. Veneto)
di Maura Delle Case - Cancellate dallo Statuto di autonomia, le Province sono tornate ieri all’esame
del Consiglio regionale per l’ultimo atto. Un passaggio che, incassata la modifica statutaria, poteva
sembrare scontato ma che invece ha surriscaldato l’Aula, complice l’ormai vicinissima scadenza
referendaria. L’appuntamento del 4 dicembre ha spinto maggioranza e opposizione a schierarsi su
posizioni opposte rispetto all’esame e al voto sull’eliminazione delle Province. Dovesse vincere il
No – questa la tesi dell’opposizione – gli enti intermedi resterebbero uno dei cardini
dell’ordinamento istituzionale del Paese. Di tutto il Paese, salvo il Fvg. Un rilievo alla luce del
quale Alessandro Colautti, capogruppo di Ncd, si è spinto ieri a chiedere lo stralcio della legge. «Il
tema è la prevalenza della Costituzione e credo dovrebbe essere portato all’esame della
commissione per un serio e puntuale approfondimento» ha detto Colautti, sposando la tesi avanzata
anche dai relatori di minoranza, Rodolfo Ziberna (Fi) e Barbara Zilli (Ln) che ha puntato il dito
contro la misura etichettandola come «una svendita di fine stagione dell’Autonomia. Dovesse
vincere il No al referendum, saremo l’unica Regione in Italia ad aver eliminato l’ente Provincia, che
invece rimarrà in Costituzione – ha denunciato la leghista –. A confusione si aggiunge confusione.
Non bastava il pasticcio della legge Renzi-Boschi, si aggiunge la cieca e sorda furia riformatrice
della giunta Serracchiani, che vuole continuare a dimostrare a Roma di essere la prima della classe.
Intanto chi ci rimette sono i cittadini». Accuse respinte al mittente dalla maggioranza. Vittorino
Boem (Pd) ha richiamato l’Aula a compiere scelte a lunga gittata. «Sono d’accordo – gli ha risposto
Riccardo Riccardi (Fi) – ma ricordiamoci che non stiamo parlando di un regolamento di
condominio, ma della Costituzione. Aspettiamo dieci giorni per capire». L’ipotesi non è nemmeno
presa in considerazione dal centrosinistra, intenzionato a non arretrare di un passo rispetto alla
scelta compiuta e avallata dal Parlamento che, votando la modifica dello Statuto di autonomia, ha
ratificato la scomparsa delle Province in Fvg. «Anche dovesse vincere il No – ha dichiarato Franco
Codega (Pd) – noi abbiamo esercitato la nostra Specialità e le scelte compiute devono andare
avanti». Del suo stesso avviso un altro democratico, Mauro Travanut: «Che capiti quel che capiti:
vedremo, intanto lavoriamo secondo i nostri indirizzi». La discussione si concluderà questa mattina,
quando l’Aula passerà al voto. La procedura, come spiegato ieri dal Pd Vincenzo Martines, prevede
la nomina di un commissario liquidatore per Trieste, Gorizia e Pordenone. Norme speciali per la
Provincia di Udine, l’unica che arriverà fino a scadenza naturale, nel 2018.
Graduatorie disponibili per gli enti locali
Gli enti locali potranno pescare dalle graduatorie del Concorsone per posti di categoria C e D non
appena la Regione avrà esaurito le proprie necessità. Così ha risposto ieri l’assessore Paolo
Panontin (Cittadini) a un’interrogazione presentata da Rodolfo Ziberna (Forza Italia) avente a
oggetto il motivo per cui agli enti locali non è oggi consentito attingere dalla graduatoria in essere
per far fronte alle proprie necessità di personale (...segue)
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Chiusure festive, il Tar scioglie le riserve su tre ricorsi (Piccolo)
Oggi il Tar si esprimerà pubblicamente sulla sospensiva richiesta dalle società della grande
distribuzione che hanno fatto ricorso contro il provvedimento regionale sulle chiusure festive
obbligatorie. Lo farà con un’ordinanza che si limita, per il momento, a tre soli punti vendita (Bennet
e Aspiag-Despar), i cui casi sono stati discussi ieri a porte chiuse in Camera di Consiglio. Per gli
altri 23, invece, si deve attendere il prossimo 6 dicembre, visto che soltanto in quella data si
raggiungerà il tempo tecnico necessario, pari a venti giorni, che deve decorrere dalla notifica
all'udienza. Il Consiglio regionale, su proposta del vicepresidente della giunta e assessore al
Commercio Sergio Bolzonello, è già intervenuto nei giorni scorsi votando un emendamento che
consentirebbe alla Regione di congelare provvisoriamente legge. Perché, come aveva spiegato
Bolzonello, se il Tar accogliesse i ricorsi presentati dalle società che contestano gli stop forzati, in
Friuli Venezia Giulia si creerebbe il caos. L'emendamento della giunta Serracchiani, nello specifico,
permette alla Regione di poter sospendere o meno l'articolo 29 della legge sulle chiusure, la numero
4 del 2014, tutte le giornate o parte di esse, fintanto che non si pronuncerà la Corte Costituzionale
(l'11 aprile. «Nessuna marcia indietro su quanto abbiamo con convinzione deliberato alcuni mesi or
sono e che continuiamo a considerare giusto - precisava l'assessore commentando l'iniziativa - la
giunta, con l'emendamento, ha voluto individuare una linea di equità per tutti gli operatori del Friuli
Venezia Giulia. Ovviamente lo faremo solamente se ciò si renderà necessario». L’operazione era
stata contestata soprattutto dalla Lega Nord. «Siamo davanti ad una totale assenza di seria
programmazione politica da parte di una giunta che tradisce le sue stesse ambizioni e che corre ai
ripari in attesa del pronunciamento del Tar - affermava Barbara Zilli -. Questa legge poteva essere
fatta anche dopo il pronunciamento del Tar, invece si ricorre al trucco dell'emendamento, arrivato in
aula al fotofinish». (g.s.)
4
Generali, 1 miliardo per nuove acquisizioni (Piccolo)
di Piercarlo Fiumanò -Philippe Donnet non delude gli investitori della City di Londra. Conferma gli
obiettivi finanziari delle Generali nonostante uno scenario di mercato da brivido: da Brexit ai tassi
sotto zero e sullo sfondo di un rischio politico complicato dall’effetto Trump e dall’incognita
referendum in Italia. Pragmatico, il Ceo francese mantiene i piani molto ambiziosi fissati un anno e
mezzo fa: da una generazione di cassa superiore ai 7 miliardi a dividendi aggregati oltre i 5 miliardi.
Ma il difficile viene ora: il coefficiente di difficoltà nel frattempo è aumentato. Donnet insiste così
sulla “forza” delle Generali e presenta un nuovo pacchetto di misure che paiono togliere forza alla
grandeur del gruppo ma in realtà sono necessarie, nella visione del management, per rendere i target
realizzabili. Il piano ridisegna la mappa della presenza internazionale del gruppo, presente in una
sessantina di Paesi, che uscirà dai mercati ritenuti «non redditizi» come già avvenuto con Messico,
Guatemala e Lichtenstein. Operazione che frutterà un miliardo di liquidità pronto uso per sfruttare
nuove occasioni d’acquisto «più redditizie», rafforzata da un piano per aumentare del 15% la
produttività e con ulteriore snellimento dei marchi. La road map per uscire dai mercati
“cenerentola” che il Leone vuole dismettere è in mano a Frederic De Courtois, capo del Business
globale. Nella «lista Frederic» (così Donnet) ci sono i 13-15 Paesi «poco dinamici» da cui il Leone
potrebbe uscire. Top secret i nomi. Unico indizio la frase di De Courties sull’Asia «non
intoccabile». «Vogliamo essere i primi nei Paesi dove siamo presenti. Vogliamo fare dell’eccellenza
la nostra ossessione. Manterremo una presenza globale e diversificata ma soltanto nei mercati più
dinamici», ha detto il Ceo. Un riferimento alla Cina, dove il gruppo è il terzo operatore straniero,
alla «dinamica Asia», all’Est Europa, roccaforte tradizionale, e soprattutto a Italia e Germania al
centro di un vasto piano di digitalizzazione e integrazione delle piattaforme anche con
concentrazione dei marchi. Una vera sfida per Donnet che dice di avvertire la stessa urgenza di
quando fu spedito da Axa a risollevare la sorte della controllata giapponese dopo l’11 settembre. Il
mercato ha accolto il piano con un tonfo del titolo, che alla fine lascerà sul terreno il 3%,
probabilmente deluso dalla smentita secca del Ceo ai rumors che parlavano di 8mila esuberi e
pesanti piani di ristrutturazione in vista: «Non ci sono piani di ristrutturazione del personale e
peraltro l’Italia ha già fatto la sua parte», scandisce. Di fatto ci sarà una accelerazione del
programma di risparmi per altri 200 milioni «inclusi i costi del personale», ha spiegato il Ceo. Ma
questo scenario lacrime e sangue non ci sarà. Piuttosto verrà avviato sui mercati “maturi” un
processo di semplificazione che porterà a una riduzione dei costi di 200 milioni di euro. Nell’era di
Generali 2.0 il gruppo conferma la spinta sulla digitalizzazione che sta coinvolgendo tutte le risorse
del gruppo. Piani di rafforzamento per Generali Italia, guidata da Marco Sesana, in pole per
diventare il nuovo country manager. «Generali non ha alcun progetto di riduzione della
partecipazione nella controllata Banca Generali», è stato precisato. In crescita anche la Germania,
guidata da Giovanni Liverani, a 18 mesi dall’avvio del piano di riassetto. Donnet non si sottrae a
domande sull’Italia e sul referendum non si sbilancia: «Non so chi vincerà. Ma in tutti i Paesi
europei le riforme strutturali vanno fatte». Sulla conversione dei bond Mps, passaggio cruciale per il
successo dell’aumento di capitale di Siena, le Generali faranno la loro parte e «valuteranno».
Donnet di fatto ha detto di preferire un ruolo in Mps, dove non ha specificato l’esposizione del
Leone, rispetto a un nuovo intervento in Atlante 2.
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Vaccini obbligatori, l’assessore Telesca dice no (M. Veneto)
di Elena Del Giudice - L’obiettivo è lo stesso, aumentare il numero di bambini che vengono
vaccinati, la strada per raggiungerlo è diversa. Il Comune di Trieste istituisce l’obbligo
dell’autocertificazione vaccinale per l’ingresso dei bimbi all’asilo, la Regione prosegue nel
cammino dell’informazione alle famiglie, lasciando l’arma della “legge” che impone come ultima
ratio. «Vogliamo vincere questa guerra - dichiara l’assessore regionale alla Salute, Maria Sandra
Telesca -, che è la scarsa adesione alla vaccinazione in età pediatrica, ma lo vogliamo fare insieme
ai cittadini». E se questi sono obiettivo e modalità per raggiungerlo, è intuibile che il varo di norme
coercitive non sarebbe coerente. Da qui il percorso delineato dall’assessore e che prevede il
coinvolgimento di medici di medicina generale, pediatri, reparti di neonatologia e maternità,
ostetriche, puericultrici. «Si tratta di una scelta - spiega Telesca - che abbiamo compiuto dopo un
confronto con i professionisti e anche con il dipartimento di prevenzione, che ha messo in evidenza
i pro e i contro delle diverse ipotesi». Non dimenticando che esistono anche questioni tecniche che,
banalmente, debbono essere risolte. Una fra tutte l’esistenza di vaccini polivalenti che contengono
sia quelli “obbligatori” che quelli raccomandati. Accade quindi alle famiglie che desiderano
sottoporre i propri figli alle vaccinazioni, limitatamente a quelle obbligatorie (antitetanica,
antidifterica, antipolio e antiepatite B, complessivamente la proposta vaccinale sale a 13 con quelle
raccomandate per pertosse, Hemophilus influenzae, morbillo, rosolia, parotite, meningococco C,
pneumococco, influenza e papillomavirus), si trovino di fronte all’alternativa dell’unica dose ma
polivalente (solitamente sei), oppure a quattro dosi singole, una per ciascun vaccino. In attesa di
risolvere, dunque, anche questioni prettamente tecniche, «come Regione Fvg abbiamo scelto di
scendere in campo con l’informazione e la volontà di coinvolgere i cittadini. Un percorso riconosce l’assessore Telesca - sicuramente più faticoso e oneroso dell’istituzione di un obbligo».
Anche perché «sul tema della vaccinazione, uno dei problemi forti è la disinformazione. Occorre
quindi agire informando, a partire dai percorsi nascita, sin da prima del parto, fornendo indicazioni
corrette, dissipando i dubbi, affiancando ai futuri genitori persone competenti che spieghino i
vantaggi indiscutibili dei vaccini», ancora Telesca. «Puntiamo in sostanza al coinvolgimento
informato che ci consenta di raggiungere l’obiettivo che ci siamo prefissi. L’obbligo - rimarca - è
una misura estrema che, se servirà, anche noi metteremo in campo». «A me non piace - aggiunge
Telesca - risolvere problemi di salute davanti al magistrato, preferisco l’affermazione della scienza.
Al termine di questa campagna che abbiamo avviato e che sarà ancora più intensa il prossimo anno.
Valuteremo l’efficacia di tutti i sistemi e verificheremo i risultati». Nella programmazione sanitaria
per il 2017 c’è un capitolo riservato ai vaccini e misure finalizzate a sostenere questo sforzo
informativo e formativo. Ma secondo l’assessore Telesca qualche segnale positivo è già iniziato
quest’anno, con l’incremento registrato nell’adesione alla vaccinazione. «A fine dicembre vedremo
se quel miglioramento si è consolidato così come monitoreremo il trend il prossimo anno».
Sull’efficacia dei provvedimenti che reintroducono l’obbligo, molti sono i dubbi sulla loro validità.
Se è lecito chiedere l’esibizione del cartellino vaccinale o l’autocertificazione alle famiglie che si
accingono a iscrivere i propri figli all’asilo, potrebbe non esserlo il non ammetterli perché non
vaccinati. Il decreto del Presidente della Repubblica del ’99 è ancora in vigore e stabilisce che la
mancata certificazione «non comporta il rifiuto di ammissione».
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CRONACHE LOCALI
Valzer delle cattedre. Cambiano 250 maestri (M. Veneto Pordenone)
di Chiara Benotti Assunzioni in ruolo e 250 supplenze annuali per i maestri precari nelle scuole
primarie e dell’infanzia. Il valzer dei supplenti in cattedra è annunciato e, allo sportello Flc Cgil a
Pordenone, il sindacalista Giuseppe Mancaniello fa gli scongiuri sui tempi tecnici e sul conseguente
caos. Ci saranno alunni che dovranno cambiare insegnante dopo poco più di due mesi di lezioni e
alla vigilia delle vacanze natalizie: non certo l’ideale dal punto di vista didattico e anche dei rapporti
umani in aula. Questa mattina saranno firmati 11 o 12 contratti a tempo indeterminato (liberi sette
posti comuni per maestri e altri cinque in lingua straniera, secondo fonti sindacali), nell’ex
Provveditorato in via Concordia, per coprire altrettante cattedre nelle primarie provinciali. Il caso
più vistoso, poi, è quello degli insegnanti di sostegno all’handicap: mancano 100 specializzati. Posti
in palio. Cento posti vacanti per l’area handicap e un paio di specializzati per l’integrazione dei
disabili in una ventina di istituti comprensivi: è il punto critico per le fasce deboli della scuola. Al
posto degli insegnanti specializzati chi andrà? L’aspetto positivo tra i ritardi dopo 70 giorni di
lezione è uno: il lavoro c’è. «La legge 107 – i sindacalisti fanno pollice verso – non ha assorbito il
precariato, ma per contro ha creato posti vacanti e disastri in organico». I casi clamorosi sono quelli
degli insegnanti che sono arrivati nelle scuole provinciali con le valigie e dopo pochi giorni le
hanno rifatte e non si sono più visti. Sarà accantonata a Pordenone una cattedra per il ruolo nelle
primarie? Oppure verrà assegnata al ruolo? E’ rimasta libera dopo la revoca della nomina a un
maestro che è tornato precario perché non aveva le carte e i punteggi in regola. «Esaurite le
graduatorie dei docenti specializzati, che sono poche unità nel Pordenonese – ha anticipato
Mancaniello –, per coprire i posti di sostegno si dovranno arrangiare le scuole. Le nomine saranno
fatte utilizzando altre graduatorie». C’è chi ha cambiato più cattedre dall’avvio dell’anno scolastico,
a metà settembre. Pollice verso. «Gli organici scolastici non sono ancora al completo – ha
continuato il sindacalista della Flc Cgil –. Se le regole rimarranno quelle imposte dalla legge 107,
nel 2017 ci troveremo ancora alle prese con gli stessi problemi dell’estate scorsa: centinaia di
docenti forzosamente trasferiti al Nord e pronti ad andarsene per ragioni di famiglia». Si tratta di
problemi irrisolti. «Il ministero dell’Istruzione ha pensato alla pentola, non al coperchio, e gli
insegnanti sono una categoria che è stata trattata molto male – continua la sua analisi Mancaniello –
. Senza contratto da sette anni, dovrebbero sorbirsi 120 ore di aggiornamento per dare ossigeno alle
agenzie di formazione? I docenti si aggiornano tutto l’anno: la verità va detta. Le scuole soffrono
troppe incognite di un sistema da bocciare». Per esempio? «L’organico potenziato con docenti
senza ruoli definiti e i presidi-sceriffi che decidono i più bravi in cattedra – è la critica sindacale –.
Poi gli alunni disabili con disturbi nell’apprendimento, autismo o ritardi rischiano di avere a fianco
docenti alle prime armi». Un problema sono anche i salari non pagati ai supplenti in aula da
settembre.
Istituti superiori nel limbo, Sos del Comune
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Nuovo sciopero, stavolta a proclamarlo sono i Cobas
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Donne, nel lavoro rimane una forte discriminazione (M. Veneto Pordenone)
di Laura Venerus - Il mondo lavorativo visto dalle donne: è stato questo l’argomento trattato nel
convegno di ieri all’interno di “Pordenone una città contro la violenza sulle donne”, promosso da
Comune e Fidapa. Quella che vive l’universo femminile nel mondo del lavoro è una situazione di
discrimine rispetto agli uomini. Lo rileva Annamaria Poggioli, presidente della commissione
regionale pari opportunità, la quale ha messo in evidenza come esista ancora il gender gap: in
regione la differenza salariale tra uomo e donna è del 17 per cento, che sale al 20 a livello
dirigenziale. Inoltre, le donne dopo il primo figlio si arrendono nel proseguire la carriera. Una
situazione sottolineata anche da Daniela Quattrone, psicologa nell’ambito della formazione e delle
risorse umane. «La discriminazione esiste – ha sottolineato –. Sebbene le offerte di lavoro vengano
formulate per entrambi i sessi, si predilige l’assunzione dell’uomo, anche per mansioni che possono
essere svolte allo stesso modo dalle donne». E ha ricordato due esempi positivi: Chiara Mio, alla
guida di FriulAdria, e Serenella Antoniazzi, imprenditrice protagonista di “Io non voglio fallire”.
Nel mondo, il livello occupazionale è del 46 per cento per le donne e del 72 per gli uomini: una
situazione che, negli ultimi dieci anni, si è modificata soltanto dello 0,6 per cento. Lo ha affermato
Lisa Daniele, manager di una società di ricerca di lavoro. Ha inoltre sottolineato che le donne
guadagnano il 77 per cento di quanto guadagnano gli uomini. E questo perché il lavoro femminile
viene sottovalutato e c’è la necessità di interrompere la carriera a favore di famiglia e figli. «Ma alle
volte – ha sottolineato – è anche una nostra scelta quella di non ricoprire certi ruoli, prediligendo i
propri affetti». E attenzione anche ai segnali che portano a vivere in un mondo lavorativo non
adeguato, che provoca disagio e angoscia: non sempre gli atteggiamenti negativi sono diretti e
visibili, ma ci sono anche comportamenti subdoli che causano uno stato di prostrazione psicologica.
E’ l’avvertimento dell’avvocato Teresa Dennetta, consulente del punto di ascolto antimobbing a
Pordenone e Udine. «Prima di stare male, mettete dei paletti e condividete le vostre
preoccupazioni», è stato il consiglio dell’avvocato. «Riuscire a superare pregiudizi e ostacoli per
l’occupazione femminile non riguarda soltanto le politiche del lavoro, ma anche quelle sociali e
delle pari opportunità – ha affermato l’assessore Guglielmina Cucci –. Il Comune di Pordenone può
incidere realizzando azioni positive, declinando i tempi e i servizi della città in ottica femminile».
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Fusione consorzi Zipr-Csi, c’è il documento d’intesa (M. Veneto Pordenone)
di Andrea Sartori - Torna l’intesa per la fusione tra i consorzi di sviluppo industriale Zipr di San
Vito e Csi di Spilimbergo: nella città del mosaico è stato sottoscritto un documento con i punti
proposti da parte sanvitese. Fusione più vicina, dunque: il percorso per formare il nuovo consorzio
di sviluppo economico locale (questa la dicitura indicata dalla legge regionale Rilancimpresa)
potrebbe essere affrontato il prossimo anno. Condizionale ancora d’obbligo, in quanto è la Regione
a decidere, anche se la strada per una fusione, che eviterebbe il commissariamento, pare ora in
discesa. L’altra sera, il presidente del consorzio Zipr, Renato Mascherin, ne ha parlato davanti ai
consiglieri comunali della terza commissione. Audizione chiesta dal sindaco Antonio Di Bisceglie e
accolta dal presidente Valerio Delle Fratte (Amo San Vito). Tra i punti del consiglio comunale di
domani, infatti, era stato inserito l’ordine del giorno dei Cittadini sul rischio commissariamento
dello Zipr. L’approfondimento in commissione ne cambia, dunque, le premesse: ora c’è più fiducia
sulla fusione. «Le trattative sono ripartite dopo il 2 novembre, quando i vertici di Zipr e Csi sono
stati convocati dalla Regione – ha detto Mascherin –. Il 14 novembre è stato spedito a Spilimbergo
il documento con la nuova impostazione della fusione. Martedì è tornato con tutti i punti sottoscritti.
Regista è la Regione: valuterà l’ipotesi, sulla quale c’è accordo». Da quanto si è potuto apprendere,
si propone che il nuovo consorzio unico per i primi quattro anni contempli cinque consiglieri di
amministrazione anziché tre, trovando così spazi di rappresentanza anche per Spilimbergo. Inoltre,
tre revisori dei conti, uno dei quali spilimberghese. Corte Europa non farebbe parte del consorzio:
verrebbe affidata a Spilimbergo. Ancora, nella zona industriale spilimberghese potrebbe essere
mantenuto un ufficio operativo, da stabilire quanti giorni alla settimana e con che personale. Nuovo
anche il nome: via Zipr e Csi, resterebbe “San Vito e Tagliamento” o soltanto “Tagliamento”.
Ipotesi sulle quali si esprimerà, come pure sulla tempistica della fusione, la giunta regionale. «Il
presidente – ha commentato Delle Fratte – ha illustrato i progressi verso la possibile e per certi versi
imposta fusione con il Csi. Auspico che la Regione sia disposta a derogare sui componenti del cda e
altri aspetti: la scelta non sia dettata da compromessi al ribasso e i costi restino contenuti. Gli sforzi
pare abbiano dato risultati incoraggianti: ora è necessario che la Regione supporti il lavoro con
nuovi finanziamenti».
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Crocefisso nelle classi, un plebiscito a favore (M. Veneto Pordenone)
Latifa ha 31 anni, porta un hijab (il velo che copre solo i capelli) coloratissimo e aspetta il suo
bambino fuori dalla scuola elementare del centro storico. Come tanti altri cordenonesi ha saputo da
poco dell'iniziativa che l'amministrazione sta portando avanti sulla presenza del crocifisso
all'interno degli edifici pubblici. Risponde sicura: «Sono d'accordo anch'io, il crocifisso non mi ha
mai dato fastidio. La mia religione non permette la raffigurazione della divinità, ma non per questo
vorrei che il simbolo cristiano fosse tolto da una scuola italiana». Intervento paradigmatico, perché
espresso da chi si pensa possa essere offeso dalla presenza del crocifisso. Ma è il resto delle persone
che ieri mattina passeggiavano in piazza della Vittoria a fare massa. E la stragrande maggioranza di
esse dà ragione al sindaco Delle Vedove. È quasi un plebiscito: «L'amministrazione fa bene a
controllare la presenza del crocifisso - spiega Ada, 70 anni -. Non ho votato questo sindaco, ma in
questo caso lo appoggio. Si tratta di un simbolo della nostra storia». Le fa eco Nicholas, un
diciottenne: «Nella mia classe non ha mai dato fastidio, non vedo perché non ci dovrebbe essere.
Poi ognuno è libero di credere a ciò che vuole». Tra le tante persone interpellate, e sono cinquanta e
più, solo una voce fuori dal coro. È quella di Denis, che discutendo del tema con alcuni conoscenti
la pensa così: «Io credo alla Costituzione, che parla di uno Stato laico. Nei luoghi pubblici il
crocifisso non ci deve essere». Il caso ieri mattina è finito al centro della trasmissione di Raitre
Agorà. Alle 9.30 è andato in onda il filmato girato martedì pomeriggio a Cordenons. E in studio si è
discusso della proposta avanzata da Lanfranco Lincetto e Andrea Delle Vedove. Ha preso la parola
anche don Alessandro Moro, parroco di Santa Maria Maggiore: «Il crocifisso - ha detto - serve a
farsi rispettare, a creare un rapporto alla pari con le minoranze, altrimenti ci si chiude nel
fondamentalismo». Ma a dividersi è stata la politica. L'ideatore dell'iniziativa, Lanfranco Lincetto, è
stato attaccato dal fronte dei contrari, anche con epiteti che hanno sfiorato l'insulto. Quanto alle
prese di posizione ufficiali, è arrivata quella di Sinistra in Comune, con Natale Sorrentino.
Sintetizzando, ha stigmatizzato l'iniziativa riportando le mancanze della giunta Delle Vedove: «In
tutto ciò - ha detto - non c'è il crocifisso. Non c'è nel loro cuore».
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I rebus del Parco del mare (Piccolo Trieste)
di Gianpaolo Sarti - «Come lo ciameremo? No so...i triestini sicuro che lo ciamerà “Acquario de
Trieste”...vederemo». Quando Antonio Paoletti discetta di Parco del mare perde un po’ l’aplomb
che si conviene nelle eleganti stanze della Camera di commercio. Il tema lo appassiona e lo agita
insieme. «Sono dieci anni che ci penso, dieci anni che ci sto dietro...». I have a dream, gli verrebbe
da dire. Tra un’intervista con una tv austriaca e la prima riunione del neocostituito ente camerale
della Venezia Giulia, di cui è ovviamente il numero uno, il presidente scava qualche minuto per
scoprire un paio di carte in più sul futuro progetto. La chiacchierata è condita di voglia, desiderio e
coraggio di scommettere su qualcosa che «cambierà la città». Non fosse per quei «non so, vedremo,
chissà...» che di tanto in tanto spezzano la conversazione. Paoletti è guardingo. Sul chi va là. Teme
un clamoroso patatrac, il presidente? L’ennesimo sogno infranto? Ma perché, visto che ha dalla sua
quattrini e politica? Preferisce muoversi con cautela, non sbottonarsi. Ma il 2020, l’anno in cui si
prevede l’inaugurazione, non è poi così lontano. Quel che si sa è che il Parco del mare dovrebbe
sorgere in molo Fratelli Bandiera, tra il Pedocin e la Lanterna, nell’area abbandonata dell’ex Cartubi
destinata un tempo a Portolido. Quanto sarà grande il parco? «Non lo sappiamo esattamente - mette
le mani avanti Paoletti - c’è un concept, ma tutto va definito». Cioè? «Beh - riflette - credo che avrà
più o meno una superficie di 17mila metri quadrati di base, a terra, e altri 24mila a mare. È l’area
della concessione». Niente da interrare, o forse qualcosina. Si vedrà. L’altezza? Quanti piani? «È da
stabilire, ma non più alto dei palazzi attorno». È sui parcheggi che fioccano gli interrogativi. Come
si possono portare da quelle parti 900mila visitatori l’anno? Ce lo immaginiamo, il presidente,
nell’impresa (titanica) di spostare le automobili e i motorini di chi va al Pedocin? «Macchè,
maddai!», sorride. «Non tocchiamo i posti auto della gente, lì arriveranno solo i pullman che
scaricano i turisti». Ma le corriere transiteranno lungo le Rive, con il rischio di ingorghi come
domenica scorsa quando Trieste si è vista piombare in centro inaspettatamente centinaia di turisti
della Costa Crociere? «Sono tematiche che andranno affrontate dalla Conferenza dei servizi, cioè
dagli enti pubblici, quando si entrerà nei dettagli», osserva. «Comunque credo che questa sarà
un’occasione per impiegare finalmente i parcheggi della città, molti dei quali inutilizzati. Però
attenzione - avverte Paoletti - non è che i visitatori devono venire in macchina fino all’entrata del
Parco del mare. L’obiettivo è che chi proviene da fuori viva la città, analogamente a quanto avviene
altrove. Puoi parcheggiare fuori dal centro, o nei paraggi, fai una passeggiata e arrivi. Due passi a
piedi sulle Rive, o in navetta. Non so, magari rafforziamo gli autobus. Ad esempio la 9 potrebbe
essere più frequente, perché no? Però, scusate, mica a Roma vai con l’auto davanti ai musei. Anche
perché, se ci pensiamo - puntualizza - la nostra struttura alla fine sarà in centro città, non in
periferia. Comunque guardiamo a Genova: per il loro acquario, dove hanno un flusso di 1 milione e
mezzo di persone, hanno messo a disposizione appena 150 parcheggi». Non sarà questo a fermare
Paoletti, ora che l’iter è avviato. Ma la vera partita scatterà con la fase progettuale e la costruzione.
«Si va verso un project financing - anticipa - noi non gestiremo nulla, ma ci affideremo a un esperto
di acquari. Faremo un bando...ci sono già due pretendenti». Pure l’Ursus troverà un posticino,
attaccato alla banchina. «Farà da ascensore - anticipa il presidente - ecco, l’Ursus e il Parco del
mare insieme saranno un nuovo simbolo di Trieste. Sarà un’attrazione importante, come a Valencia
e a Barcellona. Anche perché ormai negli acquari si fanno sposalizi, convegni. Si dorme dentro col
sacco a pelo!».
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Aboliti i menù etnici a scuola. Stop al cinese e pure ai “civa” (Piccolo Trieste)
di Piero Rauber Un involtino, almeno sui tavoli delle scuole triestine, non fa più primavera. Dopo la
cancellazione del Gioco del rispetto, piomba ora sui servizi educativi comunali un secondo taglio
netto con il passato incarnato dal centrosinistra: l’autarchia gastronomica. L’orientamento politico
impresso dal nuovo corso del centrodestra, in effetti, è di continuare a valorizzare nelle mense
scolastiche una delle due parti dei cosiddetti menù alternativi (concepiti in origine per far conoscere
ai nostri figli gusti differenti figli di tradizioni altrettanto differenti) scartandone l’altra. Restano
così - anzi si rafforzano leggermente - i menù regionali d’Italia, mentre vengono eliminati i menù
etnici identificabili con culture non tipicamente, per così dire, nazionali. Proposte che l’ex
amministrazione aveva battezzato con l’allora assessore all’Educazione Antonella Grim “Sapori
diversi” e che venivano servite nelle sale da pranzo degli istituti circa tre volte l’anno, a rotazione
(altre tre invece erano riservate ai menù regionali, che da quest’anno diventano quattro). Sparisce
pertanto il pranzo cinese a base di riso alla cantonese e pollo alle mandorle, come pure quello arabo
fatto di cous cous e pollo speziato, piatti che comunque non erano presi per asporto ma venivano
cucinati con i soliti ingredienti bio, dop, igp e quant’altro imposti dai principi del nutrizionismo
negli appalti alimentari pubblici. Per lo stesso motivo non può decollare il menù americano, già ai
margini del progetto per la presenza delle patatine fritte, lontane dai parametri della dieta perfetta. Il
fatto è che con cinesi, arabi e americani perdono il diritto... d’asilo (in realtà le mense scolastiche
comprendono pure elementari e medie) pure due menù stranieri che ai bimbi, ma mica solo a loro,
generalmente fanno gola: quello balcanico, con i mitici cevapcici e le patate al forno, e quello
austriaco con wurstel, patate al tegame e Sacher. La torta di quello che fu anche il nostro
imperatore. Il cambio di rotta, fanno sapere dagli uffici del Municipio, non è messo nero su bianco
in delibera, piuttosto che in una determina dirigenziale. Non ce n’è bisogno. Basta la parola. Quella
che - come precisa lo stesso assessore all’Educazione Angela Brandi, da cui tale parola è
evidentemente partita - si sono scambiati in tempi recenti i funzionari del Municipio e quelli della
Dussmann, la multiservizi lombarda che gestisce il superlotto delle mense comprensivo di cucine
dentro le scuole. La notizia della decisione presa dall’amministrazione in carica è iniziata a
circolare in questi giorni dopo le prime riunioni delle commissioni mensa nei vari consigli
d’istituto, alla presenza dei nutrizionisti che fanno da trait d’union di garanzia tra Comune e
Azienda sanitaria. «I nostri alunni non potranno più godere del menù austriaco, con le salsicce
“Vienna”e la Sacher Torte e neanche di quello balcanico con i “cevapcici”: stanno erigendo muri
anche verso quelle comunità con le quali confiniamo e delle quali condividiamo vari cibi, entrati
ormai nella tradizione triestina», è l’accusa lanciata dopo una di queste commissioni mensa
dall’insegnante Maria Luisa Paglia, che è pure componente della segreteria provinciale di un Pd che
oggi non fa sconti e ricorda come i menù etnici tra riso alla cantonese e cevapcici fossero stati
introdotti come sperimentazione non da Cosolini bensì, pure prima, dal secondo Dipiazza, quando
l’assessore all’Educazione era Giorgio Rossi. In realtà una traccia scritta c’è. E non accenna
minimamente, appunto, ai menù d’oltreconfine. È una circolare che gli uffici comunali hanno
spedito nelle ore scorse a presidi e coordinatori pedagogici con il calendario dei quattro pranzi
regionali concordati con la Dussmann e destinati a essere serviti in una trentina di scuole. Si parte
oggi con il menu triestino a base di calandraca e misticanza e la carsolina come dolce. Seguiranno il
9 febbraio il menù sardo a base di gnocchetti sardi con ragù di maiale e ceci, insalata mista e torta di
ricotta e mandorle, il 27 marzo il menù piemontese con polenta, funghi e formaggio, misticanza e
baci di dama, e il 4 maggio il menù lombardo con riso al latte, cotoletta, carote in agrodolce e torta
sbrisolona. E proprio ieri, nel nome della tradizione culinaria italiana, è arrivata pure la notizia che
in alcune scuole di Trieste (otto per la precisione, per intanto) sbarca il progetto di educazione
alimentare “Cosa c’è di buono?” firmato nientemeno che da Giovanni Rana per spiegare ai più
piccoli come vengono prodotti i cibi. Per le classi vincitrici sono in palio dotazioni sportive e una
visita al Pastificio Rana. «Inoltre - si legge in un comunicato - per ogni bambino che partecipa Rana
donerà attraverso il Banco Alimentare un piatto di pasta alle persone più bisognose».
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Aia della Ferriera, M5S invoca la revisione (Piccolo Trieste)
di Ugo Salvini - «Incalzeremo i responsabili dell’inquinamento in città finché non saranno posti di
fronte alle proprie responsabilità». È una presa di posizione molto dura quella assunta ieri dai
rappresentanti locali del Movimento 5 Stelle, i consiglieri regionali Eleonora Frattolin e Andrea
Ussai e il portavoce del Movimento in consiglio comunale, Gianrossano Giannini. Lanciando severe
critiche sia nei confronti della Regione sia del sindaco Roberto Dipiazza, i tre hanno parlato di
«tempo scaduto, perché oramai i dati sono certi, perciò bisogna rivedere subito l’Aia, imponendo
limiti più stringenti». «La giunta Serracchiani - ha osservato Ussai - continua a prendere tempo e a
prendere in giro i cittadini di Trieste. Dati ne abbiamo tantissimi sull’inquinamento a Servola e
nell’intera città - ha aggiunto - ora è giunto il momento che la politica prenda le necessarie
decisioni». «Basta trincerarsi dietro gli atti amministrativi - ha insistito Frattolin - servono iniziative
concrete per cercare di ridurre l’esposizione di tutti i cittadini agli agenti inquinanti». «A Trieste ha ripreso Ussai, che ha presentato un’interrogazione urgente sul tema - siamo in presenza di un
diffuso inquinamento industriale. La Serracchiani - ha attaccato - è brava a snocciolare quello che
ha fatto, ma è altrettanto brava a omettere quello che l’amministrazione e Siderurgica Triestina non
hanno fatto o hanno fatto solo parzialmente. L’accordo di programma che doveva attuare entro il
2015 un riutilizzo dell’area della Ferriera in condizioni di sicurezza sanitaria e ambientale, rendendo
compatibile lo stabilimento con l’abitato di Servola e con tutta la città - ha concluso - è fallito e la
cosa è resa evidente dal fatto che, in concomitanza con l’aumento della produzione, crescono i
valori del benzoApirene, sostanze di cui è accertata la cancerogenicità». «Alla luce degli ultimi
risultati riguardanti lo stress ossidativo cellulare dei residenti di Servola, anticamera di patologie
molto serie - ha ripreso Frattolin - la Regione, l’Azienda sanitaria e il Comune di Trieste devono
spiegare quali decisioni intendano prendere per il bene della cittadinanza. Per quanto concerne i
giardini contaminati - ha concluso - è urgente spiegare a tutti quale sia la principale sorgente di
inquinamento e quale l’impatto degli inquinanti via via ci si allontani dalle realtà industriali che
rilasciano nell’aria diossine e furani». «Noi del Movimento 5 Stelle - ha ribadito Giannini incalzeremo i responsabili finché non saranno posti di fronte alle proprie responsabilità». Immediata
la risposta dell’assessore all’Ambiente Sara Vito. «L’Arpa sta effettuando controlli costanti dalla
data di rilascio dell’Aia: l’obiettivo è proprio quello di garantire un presidio ambientale per un
costante miglioramento del processo produttivo per evitare il più possibile il ripetersi di eventi
anomali come quelli accaduti nello scorso luglio».
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«Nidec non rispetta gli impegni sul lavoro» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Non sono solo rose e fiori nello stabilimento Nidec-Asi di Monfalcone. Nonostante le maxi
commesse e il “pieno” di lavoro con l’annuncio (per rispettare le consegne) di nuove assunzioni la
situazione secondo le Rsu non è affatto positiva. Per questo martedì mattina ci sono state alcune
assemblee, durante le quali è stato proclamato uno sciopero, delle lavoratrici e dei lavoratori dello
stabilimento monfalconese. L’obiettivo era discutere, rispetto alla situazione locale e decidere come
«impostare le azioni delle prossime settimane» per ottenere dall’azienda il «rispetto degli impegni
assunti con l’accordo dello scorso 8 gennaio». A fronte della richiesta di incremento delle ore di
lavoro attraverso o straordinario, spiega una nota delle Rsu, infatti, «ampiamente ottemperata da
lavoratrici e lavoratori dello stabilimento per oltre 6 mesi», l’azienda ha sottoscritto un accordo
prendendo precisi impegni. Innanzitutto la stabilizzazione del maggior numero possibile delle
maestranze. Poi la realizzazione della “mappatura del personale in appalto» con l’obiettivo di
garantire la completa regolarità e legalità delle prestazioni. C’era l’impegno anche di attuare una
«modularizzazione» dell’orario di lavoro accompagnata anche da gettoni incentivanti sulla presenza
ordinaria «e in particolare modo sui turni notturni». Infine da parte dell’azienda c’era stata una
assicurazione sulla volontà di verificare gli inquadramenti professionali delle maestranze. «Questi
punti dell’accordo ad oggi non risultano ancora attuati» accusano le Rsu che dopo un voto a
maggioranza hanno proclamato lo stato di agitazione. «Per questi motivi le Rsu dello stabilimento
Asi Nidec - spiega la nota in conclusione - consolidando ulteriormente la vertenza nazionale
proclamata unitariamente e già in corso sul rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici,
hanno deciso di rafforzare il blocco del lavoro straordinario e delle flessibilità estendendolo anche
dopo un’ipotetica firma del contratto di lavoro. E questo finchè l’azienda non si adopererà per
rispettare tutti i punti sottoscritti nell’accordo». Si annunciano dunque settimane piuttosto “calde”
per la Nidec-Asi di Monfalcone che dà lavoro a quasi 500 persone.
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Pipistrel, lavori a pieno ritmo. Aeroporto ancora chiuso (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain - Portone sempre chiuso. Nessun movimento. Una pessima sensazione che dà
l’idea dell’immobilismo. Dall’altra parte, grande vivacità. Operai che vanno e vengono. Mezzi in
movimento. Il portone tristemente chiuso è quello dell’aeroporto “Duca d’Aosta” che, nonostante
una marea di annunci, non decolla. Tutt’altro colpo d’occhio poco più, nel cantiere della Pipistrel,
dove c’è movimento e si sta cercando di completare il capannone. Pubblico e privato a confronto. E,
intanto, su Facebook i goriziani si scatenano e chiedono quando, finalmente, si potrà vedere
«concretamente operativo» lo scalo. Ariano Medeot, presidente della consortile, assicura che i passi
avanti sono continui. Le ultime novità riguardano le piste («Sono state ricollaudate e l’incongruenza
non si è rivelata un problema vero») e l’assicurazione («È stata sottoscritta»). Quindi, cosa occorre
ancora per procedere al “passaggio delle chiavi”? «Enac deve verificare i contenuti della copertura
assicurativa. Esaurito questo passaggio, ci chiameranno per la firma del passaggio del sedime.
Riguardo, invece, alla riapertura al volo, confermo che a dicembre gli aeroplani torneranno a
decollare e ad atterrare. È un impegno che ci siamo presi. E vogliamo assolutamente rispettarlo».
Lunedì scorso, c’è stato anche un incontro con la commissione consiliare competente in cui è stato
fatto il punto della situazione ed elencati i prossimi passaggi. «Nei giorni scorsi - fa eco il
presidente della Camera di commercio, Gianluca Madriz - è stato effettuato un rilievo
fotogrammetrico attraverso l’utilizzo di un drone. Sorvegliate speciali le piste. Questa verifica ci ha
permesso di “disegnare” la bretella che collegherà la Pipistrel alla pista. Nei prossimi giorni, invece,
verrà effettuata una prova di portanza sulla pista alianti e non dovrebbero esserci problemi.
Insomma, l’obiettivo è fare la verifica di tutto ciò che c’è all’interno dell’aeroporto. Non vogliamo
aprire tanto per aprire, vogliamo avere la certezza che sia un’apertura definitiva e a dicembre si
volerà». Ma perché tanto tempo? «Enac ci chiede di documentare tutto e stiamo producendo un
mare di carte. Viviamo in un mondo di burocrazia. Ma non siamo assolutamente fermi.
Praticamente, a cadenza giornaliera, ci occupiamo dell’aeroporto, consci della sua importanza in
chiave di sviluppo economico». Anche il sindaco Ettore Romoli ribadisce gli stessi concetti. «Le
piste sono ricollaudate ed è stata siglata l’assicurazione. Insomma, si sta andando avanti». Il portone
chiuso? «È necessario che l’Enac approvi i contenuti dell’assicurazione, dopodiché il cancello potrà
essere aperto», conclude Ariano Medeot.
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