QUESTA LUNGA STORIA D`AMORE1 Pensiamo ad una

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QUESTA LUNGA STORIA D`AMORE1 Pensiamo ad una
QUESTA LUNGA STORIA D’AMORE1
Pensiamo ad una storia d’amore. Tormentata, a volte deprimente, che sfinisce, ma che non riesci ad
abbandonare, perché nonostante tutto ti fa sentire viva.
L’Europa è questo. Sembra assurdo, fuori luogo e sconveniente scrivere una cosa del genere ma
credo sia la verità. Vi spiego il perché.
Mi capita molto di frequente sentire queste parole: “Perché non usciamo dall’Europa? Perché
siamo qui ancora ad ascoltare cosa ci impongono?”
Sentire queste cose, mi fa rabbia. Mi fa rabbia perché il Sogno Europeo non è il frutto di un pranzo
domenicale con tanto di dessert, e pertanto, va analizzato e trattato con il giusto riguardo.
L’Europa nasce dalla volontà di unire e facilitare gli scambi economici tra i paesi del continente
europeo, cercando di risollevare un’economia straziata e dilaniata da cinque anni di guerra.
L’Europa nasce dalla volontà di qualche lungimirante e acuto uomo politico che desiderava lasciare
ai suoi figli e ai figli dei suoi figli, qualcosa di più che una casa in Costa azzurra. Qualcosa di cui
andare fieri, qualcosa da celebrare, come si fa con gli anniversari importanti. Qualcosa che
sembrava impossibile, qualcosa che, invece, è accaduto.
“Unita nella diversità”: questo è il nostro motto. Non poteva essere diversamente. Non ne poteva
esistere uno più adeguato. L’Europa non è un continente saldo, sicuro, dai confini definiti.
Pensiamo all’America, un blocco squadrato, uniforme, omogeneo di terra che si staglia nel mare.
Anche i confini interni sono così: netti, precisi, che quasi fanno paura. Fanno paura a noi, che di
confini ne sappiamo qualcosa.
In Europa non esiste nemmeno uno dei confini come quello. In Europa ogni centimetro di terra è
stato conteso, conquistato, sporcato, tirato in ballo, concesso con matrimoni, usurpato dagli
invasori e, cacciati gli invasori, è tornato ad essere nostro.
E’ così anche per la cultura. Oggi noi giovani europei possiamo viaggiare liberamente in Europa,
condividendo esperienze, creando nuove amicizie, cercando nuove opportunità. Sapete quando
abbiamo iniziato? Nel XVII secolo: Il Gran Tour. Giovani europei (aristocratici, s’intende)
viaggiavano per l’Europa alla scoperta di arte, politica, cultura. Pensare che Goethe è passato per
casa mia!
Quello che oggi chiamiamo Erasmus, e crediamo esista da una cinquantina d’anni, ha già trecento
anni di storia.
Noi europei ci siamo inventati tutto dal niente, uniti quando ancora non sapevamo di esserlo,
cercando conforto in un altro paese che non era casa nostra, ma era come se lo fosse.
Di tutto questo non ce ne accorgiamo mai. Oggi, siamo soltanto capaci di piangerci addosso, siamo
abilissimi nell’incolpare qualcuno di nostre disattenzioni, siamo brutali nel puntare il dito
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Si fa riferimento al verso contenuto nella canzone di Gino Paoli “Una lunga storia d’amore”, pubblicata nel 1988.
sull’anello più debole, siamo esperti nell’individuare il marcio, perché crediamo ingenuamente che,
se qualcosa non funziona più, vada buttata.
Sbagliamo nel credere che la colpa sia di uno e uno soltanto. Sbagliamo perché piangendoci
addosso non faremo nient’altro che ingrossare quel Mediterraneo che ci salva d’estate con le sue
ricchezze e col suo turismo, e che d’inverno rifiutiamo, perché ci ha già dato ciò che chiedevamo.
Sbagliamo perché invece di incolpare, basta porre più attenzione durante il percorso, educare gli
abitanti di ogni singolo paese alla legalità, al rispetto e alla convivenza. Cosa mai ci aspettiamo dai
bambini che crescono sentendo dire: “Lo stato mi soffoca, devo evadere le tasse”? Io non molto,
non so voi.
Sbagliamo perché l’anello più debole della catena è quello che, più e più volte ci ha aiutato, a cui
dobbiamo molte cose. Crediamo di essere così indispensabili, quando in realtà siamo sempre più
ciechi e ottusi.
Sbagliamo, infine, perché è una presunzione poco rispettosa nei confronti della frutta marcia,
credere che esiste un frutto da incolpare e da eliminare. L’acino d’uva marcio, ha già contagiato, in
maniera meno o più evidente, tutti gli altri acini del cestino. Tutti sono stati contagiati. E la colpa
non è sua ma va divisa equamente, perché se la buccia dell’acino vicino fosse stata così dura, così
resistente e così intelligente da individuare il marcio, lo avrebbe protetto, e salvato. Invece no, la
colpa è a metà, come sempre. Come in ogni buon matrimonio.
Ecco l’Europa che vorrei. Ho scritto all’inizio che l’Europa è una storia d’amore che rinneghiamo,
che ci distrugge, che ci svuota dall’interno, ma che a sera ci manca, e che cerchiamo nei letti vuoti o
nelle canzoni piene di ricordi condivisi.
Per il futuro vorrei un’Europa più consapevole della sua fortuna, un’Europa più rispettosa delle sue
tradizioni, delle sue certezze. Un’Europa che non aspetta il momento giusto per parlare male del
vicino, un’Europa orgogliosa delle conquiste comuni, un’Europa che sa di essere diversa da tutti
gli altri, e per questo cammina a testa alta, vantandosi delle sue abilità senza mai essere eccessiva e
vanitosa. Un’ Europa che è visione d’insieme, altrimenti non esisterebbe nulla. Un’Europa piena di
persone che devono smetterla di dire di volerne uscire, prima di tutto perché, in termini economici,
sarebbe una catastrofe e soprattutto perché non è possibile, perché non saremo mai più gli stessi,
perché ci siamo così dentro che appena fuori ci mancherebbe qualcosa.
Le più belle storie d’amore racchiudono incomprensioni, litigi, accettazioni, dissensi, condivisioni,
crisi e difficoltà da affrontare. Ma, soprattutto, la capacità di risolvere ognuno di questi
inconvenienti e di ristabilire un equilibrio.
Ci hanno insegnato che le storie d’amore più belle seguono la favola: l’innamoramento, il lieto fine.
Noi insegniamo loro, ogni giorno da almeno sessant’anni che, una storia d’amore che non ci abbia
fatto dubitare, dannare, rinnegare, lottare e fare pace, non vale la pena di essere vissuta.
Laura Mucciolo