L`opera è una rappresentazione interamente cantata.

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L`opera è una rappresentazione interamente cantata.
In estrema sintesi: in cosa consiste la riforma o, addirittura, rivoluzione wagneriana? Per capirlo dobbiamo innanzitutto comprendere i meccanismi
di un’opera
(com’era prima dello ‘scardinamento’ wagneriano)
Definizione (generica ma sufficiente): L’opera è una rappresentazione interamente cantata. Ma…….. cantata come? In realtà nell’opera all’italiana (quella che Wagner ha totalmente rivoluzionato) i personaggi non cantano sempre ‘nello stesso modo’. L’opera, infatti, consiste in un susseguirsi di brani (detti numeri) differenti. L’introduzione è data da un brano sinfonico (ossia non cantato e suonato dall’orchestra): ouverture (apertura). Ascoltiamo una celebre ouverture: quella del Tannhäuser di Wagner. Una volta eseguita l’ouverture si apre il sipario ed ha inizio l’opera vera e propria. Ai personaggi più importanti è riservata un’uscita in scena (si chiama così la loro comparsa al pubblico) con un brano particolare che si chiama cavatina (da cavare, ossia uscire). Celeberrima è la cavatina con cui Figaro si presenta nel Barbiere di Siviglia (anch’essa di Rossini). La cavatina è un particolare tipo di aria: brano melodico cantato da un solo personaggio. In genere le arie (insieme ai cori e ai duetti) sono i numeri più famosi (ed orecchiabili) di un’opera. Il duetto invece è un brano cantato da due personaggi. Ascoltiamo il celebre Là ci darem la mano dal Don Giovanni di Mozart in cui il protagonista fa la corte alla contadinella Zerlina. E terminiamo con il recitativo. Come sentirete nell’esempio che segue, si tratta di una via di mezzo tra il parlato ed il cantato. Mi spiego meglio! Nel recitativo i cantanti non si esprimono con un canto vero e proprio (come l’aria, o il coro o il duetto) ma si limitano a poche note; un declamato più che di un vero e proprio canto. Il brano proposto è un recitativo tratto da Le nozze di Figaro di Mozart. Figaro incontra Barbarina che cerca una spilla e le chiede cosa stia facendo. Ma allora – forse vi chiederete – perché non c’è un vero duetto (ossia, veramente cantato)? In fin dei conti sono due personaggi che dialogano. E proprio qui sta il nocciolo della questione! Il recitativo si usa per dialoghi non particolarmente elevati in cui i vari personaggi dicono ‘i fatti’ e, in un certo senso, la storia va avanti! Ad un certo punto, però, i cantanti si fermano a meditare o, comunque, ad esprimere delle sensazioni, emozioni, pareri personali. Ed è qui che entrano in gioco le arie, cori e duetti (ed anche terzetti, quartetti, ecc.). Nell’opera all’italiana si usava terminare gli atti con un concertato; un numero in cui tutti i protagonisti (e possibilmente anche il coro) sono presenti sul palcoscenico. Il concertato al termine del primo atto dell’Italiana in Algeri di Rossini è un vero capolavoro; una summa di genialità e follia che Stendhal definì: «Un delirio organizzato». Arie, duetti, terzetti e concertati...... numeri che si avvicendavano intercalati dal recitativo. Numeri che, inoltre avevano una struttura abbastanza rigorosa e ripetitiva tanto da essere definita “la solita forma”. Vediamola ancora più nel dettaglio ricorrendo ad un’aria di Giuseppe Verdi dal primo atto dell’opera La Traviata. Suggerisco questo link: http://www.youtube.com/watch?v=kwaOrpuo84Y Si tratta di una versione dal taglio registico moderno. Violetta (la protagonista) resta da sola durante una festa e ripensa all’incontro con Alfredo, un giovane abbastanza ingenuo che le ha appena dichiarato il proprio amore. Lei, però, è abituata ad una vita fatta di mondanità e di rapporti intrisi di cinismo e false amicizie e inizia a barcamenarsi tra il desiderio di essere finalmente amata con sincerità e il proprio istinto verso la vita dorata che fino ad allora aveva condotto. L’aria è così organizzata: 1) RECITATIVO (si chiarisce cosa sta per accadere) [0.00‐1.19] È strano! è strano! in core. / Scolpiti ho quegli accenti! / Sarìa per me sventura un serio amore? / Che risolvi, o turbata anima mia? / Nullʹuomo ancora tʹaccendeva O gioia / Chʹio non conobbi, / essere amata amando!/ E sdegnarla possʹio / Per lʹaride follie del viver mio? 2) CANTABILE (inizio vero e proprio dell’aria; prima espansione lirica) [1.19‐4.42] Ah, forsʹè lui che lʹanima / solinga neʹ tumulti / godea sovente pingere / deʹ suoi colori occulti! / Lui che modesto e vigile / allʹegre soglie ascese, / e nuova febbre accese, / destandomi allʹamor. / A quellʹamor chʹè palpito / dellʹuniverso intero, / misterioso, altero, / croce e delizia al cor. 3) TEMPO DI MEZZO (sezione intermedia con cambio di registro stilistico) [4.42‐5.41] Follie! follie delirio vano è questo! / Povera donna, sola / Abbandonata in questo / Popoloso deserto / Che appellano Parigi, / Che spero or più? / Che far deggʹio! / Gioire, / Di voluttà nei vortici perire. 4) CABALETTA (sezione conclusiva: ulteriore cambio di registro stilistico‒espressivo) [5.41‐fine] Sempre libera deggʹio / Folleggiar di gioia in gioia, / Voʹ che scorra il viver mio / Pei sentieri del piacer, / Nasca il giorno, o il giorno muoia, / Sempre lieta neʹ ritrovi / A diletti sempre nuovi / Dee volare il mio pensier. Si tratta di una struttura in effetti un po’ rigida che nella Traviata Verdi ha saputo utilizzare per rappresentare i mutevoli stati d’animo di Violetta ma che in realtà rappresentava un vincolo fortissimo per i librettisti e i compositori. Spesso, infatti, dovettero ‘manipolare’ lo svolgimento della vicenda per collocarla all’interno di questi schemi formali. Per Wagner ciò era assolutamente inaccettabile. Da grande uomo di teatro qual era, egli si rendeva conto, infatti, che l’azione scenica perdeva di mordente nel momento in cui era cristallizzata in scene e schemi formali prestabiliti. E da qui prese il via la grande rivoluzione wagneriana che possiamo sintetizzare con l’espressione Gesamtkunstwerk (opera d’arte totale) e con la Melodia infinita. Opera d’arte totale implica l’unione di Wort‐Ton‐Drama, ossia di parole, musica e teatro così come accadeva nella tragedia greca considerata la più perfetta forma di teatro. Per questo motivo Wagner non ricorse mai a libretti altrui ma redasse sempre in prima persona i testi delle proprie opere. Possiamo dire che nei suoi lavori la musica e le parole vennero create simultaneamente modellandosi l’una sulle altre. Il fine, però rimaneva il Drama ossia la drammaturgia! E un testo perfetto e moderno non poteva più soggiacere alle regole della solita forma (quella che abbiamo visto sopra)! La musica doveva scorrere incessantemente senza interruzioni adeguandosi senza riserve alle esigenze dell’azione teatrale che, in tal modo, non avrebbe subito alcuna forma di mortificazione. Ecco, quindi, perlomeno a partire nelle opere della maturità l’abbandono delle forme chiuse (ossia dei numeri) in favore della melodia infinita. Wagner giunse perfino a deprecare la divisione in atti senza, però, arrivare mai alla loro soppressione. E all’interno di quel magma sonoro che è la melodia infinita wagneriana si stagliano dei motivi (più o meno riconoscibili) che sono i Leitmotive (sing. Leitmotiv) cioè i motivi conduttori. Si tratta di melodie associate a determinati personaggi o a particolari eventi destinati a comparire nel corso dell’opera e a creare un reticolo di allusioni più o meno percepibili che arricchiscono ilo tessuto semantico dell’opera. Per questo motivo il teatro musicale di Wagner venne parecchio contrastato dai suoi detrattori: 1) in primis perché scardinava uno dei punti fermi delle consuetudini teatrali: la successione di numeri lirici; 2) la portata intellettualistica della riforma wagneriana che imponeva un approccio all’opera molto meno immediato e, sicuramente, più meditato; 3) i soggetti non più legati a vicende storiche o romanzesche (quindi di moda), bensì vicende desunte dalla mitologia o dal repertorio di leggende medievali caricati di istanze simboliche; 4) la carica di inedita sensualità avvertibile nella sua musica.