Fascicolo 89 - Peccato, sacrificio ed espiazone

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Fascicolo 89 - Peccato, sacrificio ed espiazone
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IL LIBRO DI URANTIA
PARTE III - LA STORIA DI URANTIA
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FASCICOLO 89 - PECCATO, SACRIFICIO ED ESPIAZONE
L’UOMO primitivo si considerava in debito verso gli spiriti, come avente bisogno di
redenzione. Secondo il punto di vista dei selvaggi, gli spiriti avrebbero potuto punirli, per
giustizia, con molta più malasorte. Con il passare del tempo questo concetto si trasformò
nella dottrina del peccato e della salvezza. Si riteneva che l’anima venisse al mondo con
una penalità—il peccato originale. L’anima doveva essere redenta; si doveva fornire un
capro espiatorio. Il cacciatore di teste, oltre a praticare il culto dell’adorazione del cranio,
poteva fornire un sostituto per la sua stessa vita, un uomo che fungesse da capro
espiatorio.
Il selvaggio fu ben presto ossessionato dalla nozione che gli spiriti provassero una
soddisfazione suprema alla vista della miseria, della sofferenza e dell’umiliazione umane.
All’inizio l’uomo si occupò solo dei peccati di commissione, ma in seguito si preoccupò
dei peccati di omissione. E tutto il sistema successivo dei sacrifici si sviluppò attorno a
queste due idee. Questo nuovo rituale riguardava l’osservanza delle cerimonie di
propiziazione dei sacrifici. L’uomo primitivo credeva che si dovesse fare qualcosa di
speciale per conquistare il favore degli dei; solo una civiltà evoluta riconosce un Dio
costantemente sereno e benevolo. La propiziazione era un’assicurazione contro la cattiva
sorte immediata piuttosto che un investimento per una felicità futura. I riti di evitazione,
di esorcismo, di coercizione e di propiziazione si fondono tutti gli uni negli altri.
1. IL TABÙ
L’osservanza di un tabù era lo sforzo dell’uomo di schivare la cattiva sorte, di non
offendere gli spiriti fantasma astenendosi da qualcosa. All’inizio i tabù non erano
religiosi, ma acquisirono presto l’approvazione dei fantasmi e degli spiriti, e quando
furono rafforzati in tal modo, divennero dei legislatori e dei costruttori d’istituzioni. Il
tabù è la fonte delle norme cerimoniali e l’antenato dell’autocontrollo primitivo. Esso fu
la primissima forma di regolamentazione sociale e per lungo tempo la sola; ed è ancora
un fattore fondamentale della struttura sociale regolatrice.
Il rispetto che queste proibizioni ispiravano alla mente del selvaggio eguagliava
esattamente la sua paura dei poteri che si riteneva imponessero tali proibizioni. I tabù
sorsero inizialmente a causa dell’esperienza casuale con la cattiva sorte; in seguito furono
proposti dai capi e dagli sciamani—uomini feticcio che si riteneva fossero guidati da uno
spirito fantasma, o addirittura da un dio. La paura della punizione degli spiriti è così
grande nella mente di un primitivo che talvolta muore di spavento quando ha violato un
tabù, e questo episodio drammatico rafforza enormemente la presa del tabù sulla mente
dei sopravviventi.
Tra le primissime proibizioni c’erano le restrizioni sull’appropriazione delle donne
e di altri beni. A mano a mano che la religione cominciò a svolgere un
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ruolo più ampio nell’evoluzione del tabù, l’articolo messo al bando fu considerato impuro,
successivamente empio. Gli annali degli Ebrei sono pieni di menzioni concernenti cose
pure ed impure, sante ed empie, ma le loro credenze in tal senso erano molto meno
ingombranti ed estese di quelle di molti altri popoli.
I sette comandamenti di Dalamatia e di Eden, così come le dieci leggi degli Ebrei,
erano dei tabù definiti, tutti espressi nella stessa forma negativa delle più antiche
proibizioni. Ma questi ultimi codici erano veramente emancipatori per il fatto che
prendevano il posto di migliaia di tabù preesistenti. Inoltre questi comandamenti più
tardivi promettevano in modo preciso qualcosa come ricompensa per l’obbedienza.
I tabù primitivi sul cibo ebbero origine dal feticismo e dal totemismo. Il maiale era
sacro per i Fenici, la vacca per gli Indù. Il tabù egiziano sulla carne di porco è stato
perpetuato dalle fedi ebraica ed islamica. Una variante del tabù sul cibo era la credenza
che una donna incinta potesse pensare talmente ad un certo alimento che il bambino, alla
nascita, sarebbe stato il riflesso di questo alimento. Tali cibi sarebbero stati tabù per il
bambino.
I modi di mangiare divennero presto dei tabù, e così ebbe origine l’etichetta per la
tavola antica e moderna. I sistemi di casta ed i livelli sociali sono vestigia residue di
antiche proibizioni. I tabù furono molto efficaci per organizzare la società, ma erano
terribilmente opprimenti; il sistema di proibizione negativa conteneva non solo regole
utili e costruttive ma anche tabù obsoleti, triti ed inutili.
Nessuna società civilizzata, tuttavia, può permettersi di criticare l’uomo primitivo,
eccetto che per questi svariati e diffusi tabù, ed il tabù non sarebbe mai persistito se non
fosse stato appoggiato dall’approvazione della religione primitiva. Molti dei fattori
essenziali dell’evoluzione dell’uomo sono stati estremamente onerosi, sono costati
immensi tesori di sforzi, di sacrifici e di rinunce; ma questi successi nell’autocontrollo
sono stati i gradini stessi sui quali l’uomo ha salito la scala ascendente della civiltà.
2. IL CONCETTO DI PECCATO
La paura del caso ed il timore della cattiva sorte spinsero letteralmente l’uomo
all’invenzione della religione primitiva come supposta assicurazione contro queste
calamità. Dalla magia e dai fantasmi la religione si evolvé, attraverso gli spiriti ed i
feticci, fino ai tabù. Ogni tribù primitiva aveva il suo albero dal frutto proibito,
letteralmente il melo, ma figurativamente consistente in un migliaio di rami pendenti
carichi di ogni sorta di tabù. E l’albero proibito diceva sempre: “Tu non farai.”
Quando la mente del selvaggio si evolvé fino al punto d’immaginare buoni e cattivi
spiriti, e quando il tabù ricevette l’approvazione solenne della religione in evoluzione, la
scena fu pronta per l’apparizione del nuovo concetto di peccato. L’idea di peccato era
universalmente stabilita nel mondo prima che la religione rivelata facesse il suo ingresso.
Fu solo attraverso il concetto di peccato che la morte naturale divenne logica per la mente
primitiva. Il peccato era la trasgressione del tabù e la morte era la punizione del peccato.
Il peccato era rituale, non razionale; era un atto, non un pensiero. E l’intero
concetto di peccato era sostenuto dalle vaghe tradizioni di Dilmun e dei tempi di un
piccolo paradiso sulla terra. La tradizione di Adamo e del Giardino di Eden conferiva
anch’essa sostanza al sogno di un’antica “età d’oro” agli albori delle razze. Tutto ciò
confermava le idee espresse più tardi nella credenza che l’uomo avesse avuto la sua
origine in una creazione speciale, che avesse iniziato la sua carriera nella perfezione e che
la trasgressione dei tabù—il peccato—l’avesse abbassato al suo triste destino successivo.
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La violazione abituale di un tabù divenne un vizio; la legge primitiva fece del vizio
un crimine; la religione ne fece un peccato. Presso le tribù primitive la violazione di un
tabù era insieme un crimine ed un peccato. Una calamità che colpiva la comunità era
sempre considerata come punizione di un peccato della tribù. Per coloro che credevano
che la prosperità andasse di pari passo con la rettitudine, l’apparente prosperità del
malvagio causò tale preoccupazione che fu necessario inventare degli inferni per punire i
violatori dei tabù; il numero di questi luoghi di punizione futura è variato da uno a cinque.
L’idea di confessione e di perdono apparve presto nella religione primitiva. Gli
uomini chiedevano perdono in una riunione pubblica per i peccati che intendevano
commettere la settimana seguente. La confessione era semplicemente un rito di
remissione ed anche una denuncia pubblica di contaminazione, un rituale per gridare
“impuro, impuro!” Seguivano poi tutte le forme rituali di purificazione. Tutti i popoli
antichi praticarono queste cerimonie prive di senso. Molte usanze apparentemente
igieniche delle tribù primitive erano prevalentemente cerimoniali.
3. RINUNCIA ED UMILIAZIONE
La rinuncia fu la tappa successiva dell’evoluzione religiosa; il digiuno fu una
pratica comune. Ben presto divenne usanza rinunciare a molte forme di piacere fisico,
specialmente di natura sessuale. Il rituale del digiuno era profondamente radicato in
molte religioni antiche ed è stato trasmesso praticamente a tutti i sistemi teologici
moderni di pensiero.
Giusto nel momento in cui i barbari cominciavano ad abbandonare la pratica
dispendiosa di bruciare e di seppellire i beni con i morti, proprio quando la struttura
economica delle razze cominciava a prendere forma, apparve questa nuova dottrina
religiosa della rinuncia, e decine di migliaia di anime sincere si misero a praticare la
povertà. I beni furono considerati un ostacolo spirituale. Queste nozioni dei pericoli
spirituali connessi con il possesso di beni materiali erano molto diffuse all’epoca di
Filone e di Paolo, e da allora hanno sempre notevolmente influenzato la filosofia europea.
La povertà era semplicemente una parte del rituale di mortificazione della carne
che, sfortunatamente, fu incorporato negli scritti e negli insegnamenti di molte religioni,
in particolare del Cristianesimo. La penitenza è la forma negativa di questo rituale tante
volte insensato della rinuncia. Ma tutto ciò insegnò al selvaggio l’autocontrollo e fu un
valido progresso nell’evoluzione sociale. La negazione di sé e l’autocontrollo furono due
delle più grandi conquiste sociali della religione evoluzionaria primitiva. L’autocontrollo
portò l’uomo ad una nuova filosofia di vita; gli insegnò l’arte di accrescere la sua
frazione di vita diminuendo il denominatore delle esigenze personali invece di tentare
sempre di aumentare il numeratore della gratificazione egoista.
Queste antiche idee di autodisciplina comprendevano la flagellazione ed ogni sorta
di tortura fisica. I sacerdoti del culto della madre erano particolarmente attivi
nell’insegnare la virtù della sofferenza fisica, dando l’esempio col sottoporsi alla
castrazione. Gli Ebrei, gli Indù e i Buddisti erano ardenti seguaci di questa dottrina di
umiliazione fisica.
Durante tutta l’antichità gli uomini cercarono con questi metodi d’inscrivere crediti
addizionali sui registri di autonegazione dei loro dei. Un tempo fu usanza, quando si era
sotto certe tensioni emotive, di fare voto di autonegazione e di autotortura. Con il tempo
questi voti assunsero la forma di contratti con gli dei, ed in tal senso rappresentarono un
vero progresso evoluzionario per il fatto che gli dei furono ritenuti fare qualcosa di
preciso come ricompensa di questa autotortura e di questa mortificazione della carne. I
voti erano sia negativi che
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positivi. Promesse di questo genere dannoso ed estremo si osservano meglio oggi tra certi
gruppi dell’India.
Fu naturale che il culto della rinuncia e dell’umiliazione avesse rivolto l’attenzione
alla soddisfazione sessuale. Il culto della continenza ebbe origine come rituale tra i
soldati prima d’iniziare una battaglia; in tempi successivi divenne la pratica dei “santi”.
Questo culto tollerava il matrimonio solo come male minore rispetto alla fornicazione.
Molte delle grandi religioni del mondo sono state sfavorevolmente influenzate da questo
antico culto, ma nessuna più marcatamente del Cristianesimo. L’apostolo Paolo fu un
devoto di questo culto, ed i suoi punti di vista personali sono riflessi negli insegnamenti
che fissò nella teologia cristiana: “È bene per un uomo non toccare una donna.” “Vorrei
che tutti gli uomini fossero come me.” “Io dico dunque ai celibi e alle vedove, è bene per
loro mantenersi come me.” Paolo sapeva bene che questi insegnamenti non facevano
parte del vangelo di Gesù, ed il suo riconoscimento di ciò è illustrato dalla sua
affermazione: “Dico questo per licenza e non per comandamento.” Ma questo culto portò
Paolo a disprezzare le donne. Il fatto spiacevole di tutto ciò è che le sue opinioni
personali hanno influenzato a lungo gli insegnamenti di una grande religione del mondo.
Se il consiglio del maestro costruttore di tende fosse stato seguito alla lettera ed
universalmente, allora la razza umana sarebbe pervenuta ad una fine immediata ed
ingloriosa. Inoltre, il coinvolgimento di una religione nell’antico culto della continenza
portò direttamente ad una guerra contro il matrimonio e la famiglia, vere basi della
società ed istituzioni fondamentali del progresso umano. E non c’è da stupirsi del fatto
che queste credenze abbiano favorito la formazione di sacerdozi praticanti il celibato
nelle numerose religioni dei vari popoli.
Un giorno l’uomo dovrà apprendere come godere della libertà senza licenza, del
nutrirsi senza ingordigia e del piacere senza depravazione. L’autocontrollo è una politica
umana migliore per regolare la propria condotta rispetto all’estrema negazione di sé.
Gesù non ha mai insegnato questi punti di vista irragionevoli ai suoi discepoli.
4. LE ORIGINI DEL SACRIFICIO
Il sacrificio come parte delle devozioni religiose, similmente a molti altri rituali di
adorazione, non ebbe un’origine semplice ed unica. La tendenza ad inchinarsi davanti al
potere ed a prostrarsi in adorazione in presenza di un mistero è prefigurata
dall’accucciarsi del cane davanti al suo padrone. Non c’è che un passo tra l’impulso
dell’adorazione e l’atto del sacrificio. L’uomo primitivo misurava il valore del suo
sacrificio dal dolore di cui soffriva. Quando l’idea del sacrificio si accompagnò per la
prima volta al cerimoniale religioso, non fu prevista alcuna offerta che non producesse
sofferenza. I primi sacrifici furono degli atti quali strapparsi i capelli, incidere la carne,
mutilarsi, rompersi i denti e tagliarsi le dita. Con il progredire della civiltà questi rozzi
concetti del sacrificio furono elevati al livello dei rituali di autoabnegazione, di ascetismo,
di digiuno, di privazione e più tardi della dottrina cristiana di santificazione attraverso
afflizioni, sofferenze e la mortificazione della carne.
Nell’evoluzione della religione si formarono ben presto due concetti del sacrificio:
l’idea di sacrificare delle offerte, che implicava l’atteggiamento di rendere grazie, ed il
sacrificio come debito, che inglobava l’idea di redenzione. Più tardi si sviluppò la
nozione di sostituzione.
Più tardi ancora l’uomo concepì che il suo sacrificio, di qualunque natura fosse,
poteva servire come portatore di messaggi agli dei; poteva essere come un
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aroma gradevole nelle narici della deità. Ciò portò all’uso dell’incenso e di altre forme
estetiche nei rituali del sacrificio, che si trasformarono in feste sacrificali, divenendo col
tempo sempre più elaborati e adorni.
A mano a mano che la religione si evolvé, i riti sacrificali di conciliazione e di
propiziazione rimpiazzarono gli antichi metodi di elusione, di placamento e di esorcismo.
L’idea iniziale del sacrificio era quella di un’imposta di neutralità percepita dagli
spiriti ancestrali; solo più tardi si sviluppò l’idea di espiazione. Via via che l’uomo si
allontanò dalla nozione dell’origine evoluzionaria della razza, e che le tradizioni dei
tempi del Principe Planetario e del soggiorno di Adamo furono filtrate dal tempo, si
diffuse il concetto di peccato e di peccato originale, cosicché il sacrificio per un peccato
accidentale e personale si evolvé nella dottrina del sacrificio per l’espiazione del peccato
razziale. L’espiazione del sacrificio era un meccanismo di assicurazione globale che
copriva anche il risentimento e la gelosia di un dio sconosciuto.
Circondato da così tanti spiriti suscettibili e da dei avidi, l’uomo primitivo doveva
fronteggiare una tale schiera di deità creditrici che ci volevano tutti i sacerdoti, i rituali ed
i sacrifici di un’intera vita per trarlo fuori dai suoi debiti spirituali. La dottrina del peccato
originale, o colpa razziale, dotava inizialmente ogni persona di un grosso debito verso i
poteri spirituali.
Agli uomini vengono dati doni e regalie; ma quando sono offerti agli dei sono
descritti come consacrati, resi sacri, o sono chiamati sacrifici. La rinuncia era la forma
negativa della propiziazione; il sacrificio divenne la forma positiva. L’atto di
propiziazione includeva la lode, la glorificazione, l’adulazione ed anche il divertimento.
Sono i residui di queste pratiche positive dell’antico culto di propiziazione che
costituiscono le forme moderne di adorazione divina. Le forme odierne di adorazione
sono semplicemente la ritualizzazione di queste antiche tecniche sacrificali di
propiziazione positiva.
Il sacrificio di animali significava per l’uomo primitivo molto di più di quanto
potrebbe mai significare per le razze moderne. Questi barbari consideravano gli animali
come loro effettivi parenti prossimi. Con il passare del tempo l’uomo divenne accorto nei
suoi sacrifici, cessando di offrire i suoi animali da lavoro. All’inizio egli sacrificava il
meglio di ogni cosa, inclusi i suoi animali domestici.
Non era una sciocca vanteria quella di un certo sovrano egiziano quando affermò
di aver sacrificato: 113.433 schiavi, 493.386 capi di bestiame, 88 battelli, 2.756 statuette
d’oro, 331.702 giare di miele e d’olio, 228.380 giare di vino, 680.714 oche, 6.744.428
pani e 5.740.352 sacchi di monete. E per fare questo aveva dovuto tassare pesantemente i
suoi provati sudditi.
Una reale necessità spinse alla fine questi semiselvaggi a mangiare la parte
materiale dei loro sacrifici, avendo gli dei beneficiato della loro anima. Questa usanza
trovò giustificazione sotto il pretesto dell’antico pasto sacro, un rito di comunione
conforme alle usanze moderne.
5. SACRIFICI E CANNIBALISMO
Le idee moderne sul cannibalismo primitivo sono del tutto sbagliate; esso faceva
parte dei costumi della società primitiva. Mentre il cannibalismo è tradizionalmente
orribile per la civiltà moderna, era un elemento della struttura sociale e religiosa della
società primitiva. Gli interessi collettivi imposero la pratica del cannibalismo. Esso si
sviluppò sotto la spinta della necessità e persisté a causa della schiavitù della
superstizione e dell’ignoranza. Era un’usanza sociale, economica, religiosa e militare.
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L’uomo primitivo era cannibale; gradiva molto la carne umana e perciò la offriva
come dono alimentare agli spiriti ed ai suoi dei primitivi. Poiché gli spiriti fantasma erano
semplicemente degli uomini modificati, e poiché il cibo era il bisogno principale degli
uomini, allora il cibo doveva essere similmente il bisogno più grande di uno spirito.
Il cannibalismo fu un tempo quasi universale tra le razze in evoluzione. I Sangik
erano tutti cannibali, ma in origine gli Andoniti non lo erano, e nemmeno i Noditi e gli
Adamiti; né lo furono gli Anditi fino a quando non si furono notevolmente mescolati con
le razze evoluzionarie.
Il gusto per la carne umana cresce. Preso avvio attraverso la fame, l’amicizia, la
vendetta o il rituale religioso, l’assunzione di carne umana prosegue fino al cannibalismo
abituale. Il mangiare carne umana prese origine dalla scarsità di cibo, benché questa fosse
stata raramente la ragione soggiacente. Gli Eschimesi e i primi Anditi, tuttavia, furono
raramente cannibali, salvo che in tempi di carestia. Gli uomini rossi, specialmente
nell’America Centrale, erano cannibali. Una volta era pratica generale per le madri
primitive uccidere e mangiare i loro stessi figli per recuperare le forze perse durante il
parto, e nel Queensland il primo figlio è ancora spesso ucciso in tal modo e divorato. In
tempi recenti molte tribù africane hanno fatto deliberatamente ricorso al cannibalismo
come misura di guerra, una sorta di atrocità con cui terrorizzare i loro vicini.
Un certo cannibalismo risultò dalla degenerazione di stirpi un tempo superiori, ma
fu perlopiù prevalente tra le razze evoluzionarie. Il cibarsi di carne umana ebbe inizio in
un’epoca in cui gli uomini provavano emozioni intense ed aspre nei confronti dei loro
nemici. Mangiare carne umana divenne parte di una cerimonia solenne di vendetta; si
credeva che il fantasma di un nemico potesse in questo modo essere distrutto o
incorporato in quello del mangiatore. Un tempo fu credenza molto diffusa che gli stregoni
ottenessero i loro poteri mangiando carne umana.
Certi gruppi di mangiatori di uomini volevano consumare soltanto membri della
loro tribù, una consanguineità pseudospirituale che era ritenuta accentuare la solidarietà
tribale. Ma essi mangiavano anche dei nemici per vendetta, con l’idea di appropriarsi
della loro forza. Era considerato un onore per l’anima di un amico o di un compagno di
tribù se il suo corpo veniva mangiato, mentre non era niente più che una giusta punizione
per un nemico divorarlo in tal modo. La mente dei selvaggi non aveva alcuna pretesa di
essere coerente.
Presso certe tribù i genitori anziani cercavano di essere mangiati dai loro figli;
presso altre era consuetudine astenersi dal mangiare i parenti prossimi, i cui corpi erano
venduti o scambiati con quelli di stranieri. C’era un commercio considerevole di donne e
di bambini che erano stati ingrassati per essere macellati. Quando le malattie o la guerra
non riuscivano a limitare la popolazione, l’eccedenza veniva mangiata senza tante
cerimonie.
Il cannibalismo è andato gradualmente scomparendo a causa delle seguenti
influenze:
1. Esso divenne talvolta una cerimonia comunitaria, l’assunzione di una
responsabilità collettiva per infliggere la pena di morte ad un membro della tribù.
Macchiarsi del sangue altrui cessa di essere un crimine quando vi partecipano tutti, la
società. L’ultima pratica di cannibalismo in Asia fu di mangiare i criminali giustiziati.
2. Esso divenne molto presto un rito religioso, ma la crescita della paura dei
fantasmi non contribuì sempre a ridurre l’assunzione di carne umana.
3. Alla fine esso progredì al punto che venivano mangiate solo certe parti od organi
del corpo, quelle parti che si supponeva contenessero l’anima o porPagina 980
zioni dello spirito. Bere sangue divenne cosa comune, ed era usanza mescolare le parti
“commestibili” del corpo con medicamenti.
4. Esso venne limitato agli uomini; si proibì alle donne di mangiare carne umana.
5. Esso fu successivamente limitato ai capi, ai sacerdoti e agli sciamani.
6. Esso divenne in seguito tabù tra le tribù superiori. Il tabù sul cannibalismo ebbe
origine a Dalamatia e si diffuse lentamente nel mondo. I Noditi incoraggiarono la
cremazione come mezzo per combattere il cannibalismo, poiché un tempo era pratica
corrente dissotterrare i corpi sepolti e mangiarli.
7. Il sacrificio umano suonò gli ultimi rintocchi per il cannibalismo. La carne
umana essendo divenuta il cibo di uomini superiori, dei capi, fu alla fine riservata agli
spiriti ancora superiori; e così le offerte di sacrifici umani posero efficacemente fine al
cannibalismo, salvo che tra le tribù più arretrate. Quando la pratica dei sacrifici umani fu
pienamente stabilita, il cannibalismo divenne tabù; la carne umana era cibo solo per gli
dei; l’uomo poteva mangiare soltanto un piccolo boccone cerimoniale, un sacramento.
Alla fine la sostituzione con animali divenne di uso generale per gli scopi
sacrificali, ed anche tra le tribù più arretrate il mangiare cani ridusse grandemente il
cannibalismo. Il cane era il principale animale domestico ed era tenuto in alta
considerazione sia come tale che come cibo.
6. L’EVOLUZIONE DEI SACRIFICI UMANI
I sacrifici umani furono un risultato indiretto del cannibalismo come pure la sua
cura. Fornire delle scorte spirituali per il mondo degli spiriti portò anch’esso alla
diminuzione della pratica di mangiare carne umana in quanto non fu mai usanza
mangiare questi sacrifici morti. Nessuna razza è stata completamente esente dalla pratica
dei sacrifici umani sotto una qualche forma ed in una qualche epoca, anche se gli
Andoniti, i Noditi e gli Adamiti furono i meno dediti al cannibalismo.
Il sacrificio umano è stato praticamente universale; esso persisté nelle usanze
religiose dei Cinesi, degli Indù, degli Egiziani, degli Ebrei, dei Mesopotamici, dei Greci,
dei Romani e di molti altri popoli, anche fino a tempi recenti tra le tribù arretrate
dell’Africa e dell’Australia. Gli Indiani d’America più tardivi avevano una civiltà
emergente dal cannibalismo e perciò impregnata di sacrifici umani, specialmente
nell’America Centrale e nell’America del Sud. I Caldei furono i primi ad abbandonare i
sacrifici umani nelle occasioni ordinarie, sostituendovi degli animali. Circa duemila anni
fa un imperatore giapponese dal cuore tenero introdusse delle statuette d’argilla per
rimpiazzare i sacrifici umani, ma fu meno di un migliaio di anni fa che questi sacrifici si
estinsero nell’Europa settentrionale. Tra certe tribù arretrate il sacrificio umano è ancora
praticato da volontari, una sorta di suicidio religioso o rituale. Uno sciamano ordinò una
volta il sacrificio di un uomo anziano molto rispettato di una certa tribù. La popolazione
si rivoltò, si rifiutò di obbedire. Ed allora l’uomo anziano si fece uccidere dal proprio
figlio; gli antichi credevano realmente in questa usanza.
Non c’è più tragica e patetica esperienza registrata, illustrativa dei laceranti
contrasti tra le antiche usanze religiose onorate nel tempo e le esigenze opposte della
civiltà in progresso, del racconto ebreo di Jefte e della sua unica figlia. Secondo l’usanza
corrente quest’uomo bene intenzionato aveva fatto un voto sciocco, aveva fatto un
contratto con il “dio delle battaglie” accettando di pagare un certo prezzo per la vittoria
sui suoi nemici. E questo prezzo consisteva nel
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sacrificare chi fosse uscito per primo dalla sua casa per andargli incontro quando fosse
ritornato. Jefte pensava che uno dei suoi fedeli schiavi sarebbe stato pronto a venirgli
incontro in tal modo, ma capitò che sua figlia, la sua unica figlia, uscì per dargli il
bentornato a casa. E così, anche in quella data più tarda e tra un popolo ritenuto
civilizzato, questa bella giovane, dopo due mesi di pianto per la sua sorte, fu
effettivamente offerta come sacrificio umano da suo padre e con l’approvazione dei
membri della sua tribù. E tutto questo fu fatto a dispetto delle rigorose ordinanze di Mosè
contro le offerte di sacrifici umani. Ma gli uomini e le donne sono invogliati a fare dei
voti sciocchi ed inutili, e gli uomini dell’antichità consideravano questi impegni
altamente sacri.
Nei tempi antichi, quando s’iniziava una nuova costruzione di qualche importanza,
era consuetudine uccidere un essere umano come “sacrificio per le fondamenta”. Ciò
forniva uno spirito fantasma per vegliare e proteggere l’edificio. Quando i Cinesi si
apprestavano a fondere una campana, l’usanza esigeva il sacrificio di almeno una giovane
allo scopo di migliorare il timbro della campana; la giovane scelta veniva gettata viva nel
metallo fuso.
Fu a lungo pratica di molti gruppi murare degli schiavi vivi dentro muri importanti.
In tempi successivi le tribù del nord dell’Europa sostituirono il murare l’ombra di un
passante a questa usanza di seppellire persone vive nelle pareti delle nuove costruzioni. I
Cinesi seppellivano in un muro gli operai che erano morti mentre lo costruivano.
Un piccolo re di Palestina, nel costruire le mura di Gerico, “ne posò le fondamenta
su Abiram, suo primogenito, e ne eresse le porte su suo figlio più giovane, Segub”. In
quella data tardiva, non solo questo padre mise due dei suoi figli vivi negli scavi di
fondazione delle porte della città, ma il suo atto è anche trascritto come compiuto “in
conformità alla parola del Signore”. Mosè aveva proibito questi sacrifici per le
fondamenta, ma gli Israeliti vi ritornarono ben presto dopo la sua morte. La cerimonia del
ventesimo secolo di depositare dei ninnoli e dei ricordi nella prima pietra di una nuova
costruzione è una reminiscenza dei sacrifici primitivi per le fondamenta.
Fu a lungo usanza di molti popoli dedicare i primi frutti agli spiriti. E queste
osservanze, ora più o meno simboliche, sono tutte sopravvivenze delle cerimonie
primitive implicanti dei sacrifici umani. L’idea di offrire il primogenito come sacrificio
era assai diffusa tra gli antichi, specialmente tra i Fenici, i quali furono gli ultimi ad
abbandonarla. All’atto del sacrificio si usava dire “una vita per la vita”. Ora al momento
della morte voi dite “polvere alla polvere”.
Lo spettacolo di Abramo costretto a sacrificare suo figlio Isacco, benché
sconvolgente per le suscettibilità civilizzate, non era un’idea nuova o strana per le
persone di quell’epoca. Fu a lungo una pratica molto diffusa per i padri, nei momenti di
grande tensione emotiva, sacrificare i loro primogeniti. Molti popoli hanno una tradizione
analoga a questa storia, perché ci fu un tempo una credenza universale e profonda che
fosse necessario offrire un sacrificio umano quando accadeva qualcosa di straordinario o
d’insolito.
7. LE MODIFICAZIONI DEL SACRIFICIO UMANO
Mosè tentò di porre fine ai sacrifici umani introducendo il riscatto come sostituto.
Egli stabilì una tabella sistematica che permetteva al suo popolo di evitare le conseguenze
peggiori delle proprie scelte avventate e sciocche. Terre, beni e figli potevano essere
riscattati sulla base delle quote stabilite, che si dovevano
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pagare ai sacerdoti. I gruppi che cessarono di sacrificare i loro primogeniti ebbero
ben presto grandi vantaggi sui loro vicini meno evoluti che continuarono questi atti atroci.
Molte di queste tribù arretrate non solo s’indebolirono moltissimo per questa perdita di
figli, ma la stessa successione del comando fu spesso interrotta.
Una derivazione del passato sacrificio dei figli fu l’usanza d’imbrattare di sangue
gli stipiti delle porte della casa per la protezione dei primogeniti. Ciò veniva fatto spesso
in occasione di una delle feste sacre dell’anno, e questa cerimonia prevalse un tempo
nella maggior parte del mondo, dal Messico all’Egitto.
Anche dopo che la maggior parte dei gruppi aveva cessato il rituale di uccidere i
figli, rimase l’usanza di abbandonare un figlio in mezzo al deserto o in una piccola
imbarcazione sull’acqua. Se il figlio sopravviveva si credeva che gli dei fossero
intervenuti per proteggerlo, come nelle tradizioni di Sargon, Mosè, Ciro e Romolo. Poi
venne la pratica di consacrare i figli primogeniti come sacri o sacrificali, permettendo
loro di crescere e poi esiliandoli invece di farli morire; questa fu l’origine della
colonizzazione. I Romani aderirono a questa usanza nel loro piano di colonizzazione.
Molte delle associazioni peculiari tra il lassismo sessuale ed il culto primitivo
ebbero origine in connessione con i sacrifici umani. Nei tempi antichi, se una donna
incontrava dei cacciatori di teste, poteva riscattare la propria vita con una concessione
sessuale. Più tardi una giovane consacrata in sacrificio agli dei poteva scegliere di
riscattare la sua vita dedicando per sempre il suo corpo al servizio sessuale sacro del
tempio; in questo modo poteva procurarsi il denaro per il suo riscatto. Gli antichi
consideravano molto nobilitante avere rapporti sessuali con una donna impegnata in tal
modo a riscattare la sua vita. Congiungersi con queste giovani sacre era una cerimonia
religiosa, ed inoltre questo rituale forniva un pretesto accettabile per soddisfazioni
sessuali ordinarie. Questo era un modo sottile d’ingannare se stessi, e sia le giovani che i
loro partner provavano piacere a praticarlo. I costumi sono sempre in ritardo rispetto al
progresso evoluzionario della civiltà, sanzionando in tal modo le pratiche sessuali più
primitive e più barbare delle razze in evoluzione.
La prostituzione nei templi si estese alla fine in tutta l’Europa meridionale e
nell’Asia. Il denaro guadagnato dalle prostitute nei templi fu considerato sacro da tutti i
popoli—un dono di grande valore da offrire agli dei. Le donne del tipo più evoluto
affollavano i mercati sessuali del tempio e devolvevano i loro guadagni ad ogni sorta di
servizi sacri e di opere d’interesse pubblico. Molte donne delle classi migliori
accumulavano la loro dote mediante un servizio sessuale temporaneo nei templi, e la
maggior parte degli uomini preferiva avere tali donne per mogli.
8. REDENZIONE E PATTI
La redenzione sacrificale e la prostituzione nei templi erano in realtà modificazioni
del sacrificio umano. Venne poi la simulazione del sacrificio delle figlie. Questa
cerimonia consisteva in un salasso, con la consacrazione alla verginità per tutta la vita, e
questa fu una reazione morale all’antica prostituzione nel tempio. In tempi più recenti le
vergini si consacrarono al servizio di custodire i fuochi sacri dei templi.
Gli uomini concepirono infine l’idea che l’offerta di una parte del corpo poteva
sostituire il vecchio sacrificio umano completo. Anche la mutilazione fisica fu
considerata un sostituto accettabile. Furono sacrificati capelli, unghie, sangue ed anche
dita delle mani e dei piedi. L’antico rito successivo e pressoché universale della
circoncisione derivò dal culto del sacrificio parziale; esso era
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semplicemente un sacrificio; nessuna idea d’igiene gli era collegata. Gli uomini furono
circoncisi; alle donne furono forate le orecchie.
Successivamente divenne usanza legare delle dita insieme invece di tagliarle. La
rasatura della testa ed il taglio dei capelli furono anch’essi forme di devozione religiosa.
L’eunuco derivò inizialmente da una modificazione dell’idea del sacrificio umano. La
foratura del naso e delle labbra è ancora praticata in Africa, ed il tatuaggio è
un’evoluzione artistica della precedenti grossolane incisioni sulla pelle.
L’usanza del sacrificio fu infine associata, a seguito d’insegnamenti più elevati,
all’idea del patto. Infine si concepì che gli dei facessero dei reali accordi con gli uomini;
e questa fu una tappa importante nella stabilizzazione della religione. La legge, un patto,
prese il posto della fortuna, della paura e della superstizione.
L’uomo non si sarebbe neppure sognato di stipulare un contratto con la Deità
prima che il suo concetto di Dio non fosse progredito al livello in cui i controllori
dell’universo fossero ritenuti degni di fiducia. L’idea primitiva dell’uomo su Dio era
talmente antropomorfica che egli non fu capace di concepire una Deità affidabile prima
di essere divenuto lui stesso relativamente affidabile, morale ed etico.
Ma l’idea di fare un patto con gli dei finì per farsi strada. L’uomo evoluzionario
acquisì finalmente una tale dignità morale da osare contrattare con i suoi dei. E così
l’attività di offrire sacrifici si trasformò gradualmente nel gioco di mercanteggiamento
filosofico dell’uomo con Dio. Tutto ciò rappresentava un nuovo espediente per
assicurarsi contro la cattiva sorte, o piuttosto una tecnica migliore per l’acquisizione più
certa della prosperità. Non nutrite l’idea errata che questi sacrifici primitivi fossero dei
doni gratuiti agli dei, un’offerta spontanea di gratitudine o di ringraziamento; essi non
erano espressioni di vera adorazione.
Le forme primitive di preghiera non erano né più né meno che mercanteggiamenti
con gli spiriti, una trattativa con gli dei. Erano una specie di baratto nel quale la
perorazione e la persuasione erano sostituite a qualcosa di più tangibile e costoso. Lo
sviluppo del commercio tra le razze aveva inculcato lo spirito dello scambio ed aveva
sviluppato la scaltrezza del baratto; ed ora queste caratteristiche cominciarono ad apparire
nei metodi di culto dell’uomo. Come certi uomini erano commercianti migliori di altri,
così certi furono considerati pregatori migliori di altri. La preghiera di un uomo giusto era
tenuta in alta considerazione. Un uomo giusto era colui che aveva pagato tutti i suoi
debiti agli spiriti, che aveva pienamente adempiuto tutti i suoi obblighi rituali verso gli
dei.
La preghiera primitiva non era affatto un’adorazione; era una richiesta mediante
mercanteggiamento per la salute, la ricchezza e la vita. E sotto molti aspetti le preghiere
non sono molto cambiate con il trascorrere delle ere. Sono ancora lette ad alta voce dai
libri, recitate ufficialmente e trascritte per essere poste su ruote e per essere appese agli
alberi, dove il soffiare dei venti eviterà agli uomini il fastidio di spendere il loro fiato.
9. SACRIFICI E SACRAMENTI
Il sacrificio umano, nel corso dell’evoluzione dei rituali di Urantia, è progredito dai
sistemi sanguinari del cannibalismo fino ai livelli superiori e più simbolici. I riti primitivi
del sacrificio generarono le cerimonie successive del sacramento. In tempi più recenti
solo il sacerdote mangiava un pezzo del sacrificio cannibalesco o beveva un goccio di
sangue umano, e poi tutti mangiavano l’animale sostitutivo. Queste idee primitive di
riscatto, di redenzione e di alleanza si
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sono evolute negli attuali servizi sacramentali. E tutta questa evoluzione cerimoniale ha
esercitato una potente influenza socializzante.
In connessione con il culto della Madre di Dio, in Messico e altrove fu alla fine
utilizzato un sacramento di focacce e di vino al posto della carne e del sangue degli
antichi sacrifici umani. Gli Ebrei praticarono a lungo questo rituale come parte delle loro
cerimonie pasquali, e fu da questo cerimoniale che trasse la sua origine la successiva
versione cristiana del sacramento.
Le antiche confraternite sociali erano basate sul rito di bere del sangue; la fraternità
ebrea primitiva era una questione di sangue sacrificale. Paolo diede inizio alla formazione
di un nuovo culto cristiano su “il sangue dell’alleanza eterna”. E benché abbia
inutilmente ingombrato il Cristianesimo con insegnamenti sul sangue e sul sacrificio, egli
riuscì a porre fine una volta per tutte alle dottrine di redenzione per mezzo di sacrifici
umani o di animali. I suoi compromessi teologici indicano che anche la rivelazione deve
sottomettersi al controllo graduale dell’evoluzione. Secondo Paolo, Cristo divenne
l’ultimo sacrificio umano e quello bastevole per tutto; il Giudice divino è ora pienamente
e definitivamente soddisfatto.
E così, dopo lunghe ere, il culto del sacrificio si è evoluto nel culto del sacramento.
I sacramenti delle religioni moderne sono dunque i successori legittimi di quelle terribili
cerimonie primitive dei sacrifici umani e degli ancora più primitivi rituali del
cannibalismo. Molte persone contano ancora sul sangue per la salvezza, ma esso è
almeno divenuto figurativo, simbolico e mistico.
10. IL PERDONO DEI PECCATI
L’uomo antico giungeva alla coscienza di essere nel favore di Dio solo tramite il
sacrificio. L’uomo moderno deve sviluppare nuove tecniche per raggiungere
l’autocoscienza della salvezza. La coscienza del peccato persiste nella mente umana, ma i
modelli mentali di liberazione dal peccato sono divenuti superati ed antiquati. La realtà
del bisogno spirituale persiste, ma il progresso intellettuale ha distrutto gli antichi modi di
ottenere la pace e la consolazione per la mente e per l’anima.
Il peccato deve essere ridefinito come una ribellione deliberata alla Deità. Ci sono
dei gradi d’infedeltà: la fedeltà parziale dell’indecisione; la fedeltà divisa del conflitto; la
fedeltà agonizzante dell’indifferenza; e la morte della fedeltà manifestata nella
consacrazione ad empi ideali.
Il senso o sentimento di colpa è la coscienza di aver violato dei costumi; non è
necessariamente un peccato. Non c’è alcun peccato reale in assenza dell’infedeltà
cosciente alla Deità.
La possibilità di riconoscere il senso di colpa è un segno di distinzione
trascendente per l’umanità. Esso non designa l’uomo come meschino, ma lo propone
piuttosto come una creatura di potenziale grandezza e di gloria sempre crescente. Tale
sentimento d’indegnità è lo stimolo iniziale che conduce rapidamente e con certezza a
quelle conquiste di fede che trasferiscono la mente umana sugli splendidi livelli della
nobiltà morale, dell’intuizione cosmica e della vita spirituale. In tal modo tutti i
significati dell’esistenza umana sono cambiati dal temporale all’eterno, e tutti i valori
sono elevati dall’umano al divino.
La confessione dei peccati è un ripudio risoluto dell’infedeltà, ma non attenua in
alcun modo le conseguenze nel tempo-spazio di questa infedeltà. Ma la confessione—il
riconoscimento sincero della natura del peccato—è essenziale per la crescita religiosa e
per il progresso spirituale.
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[Presentato da un PIl perdono dei peccati da parte della Deità è il ripristino delle
relazioni di fedeltà che segue ad un periodo in cui l’uomo ha coscienza dell’interruzione
di tali relazioni come conseguenza di una ribellione cosciente. Il perdono non deve essere
cercato, ma solo ricevuto come coscienza del ristabilimento delle relazioni di fedeltà tra
la creatura ed il Creatore. E tutti i figli leali di Dio sono felici, amanti del servizio ed in
costante progressione nell’ascensione al Paradiso.
[Presentato da un Brillante Astro della Sera di Nebadon.]erfettore di Saggezza
incaricato di questa missione dagli Antichi dei Giorni di Uversa.]
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