L`idea della riduzione - Metodo. International Studies in

Transcript

L`idea della riduzione - Metodo. International Studies in
L’idea della riduzione
Le riduzioni di Husserl – e il loro comune senso metodologico
Dieter Lohmar
Universität zu Köln
Husserl Archiv
In questo contributo tenterò di esporre le riduzioni husserliane in modo
tale che rendere chiaro che seguono tutte un determinato modello
metodologico. In tal modo si mostrerà che Husserl non ha soltanto
proposto le riduzioni note, ovvero la riduzione trascendentale di Idee I
e la riduzione primordiale delle Meditazioni cartesiane, bensì che, oltre
a queste, esiste un metodo di riduzione che cronologicamente si trova
prima dell’annuncio della riduzione trascendentale. Inoltre emergerà
che almeno altre tre operazioni metodologiche, rintracciabili nell’opera
tarda di Husserl, hanno lo stesso statuto di una riduzione.
La prima questione metodologica è quella relativa al fine della
riduzione. In generale si può dire che tutte le riduzioni in Husserl servono
all’esame della validità (Rechtsprüfung) di determinate rappresentazioni.
Nel contesto metodologico della fenomenologia, l’esame di validità si
può riassumere nella seguente domanda: con quale diritto derivante
dall’intuizione percepisco ora là un tavolo, un albero o un uomo? 1 Perché
mi credo legittimato a percepire lì un albero, ma non una casa? Si è qui
tentati di dire: la cosa è molto semplice, io vedo infatti che là c’è un albero
e non una casa. Ma per fondare la validità dell’intuizione non bastano
l’affermazione presuntuosa di una pretesa di validità o il rimando
alla fonte di validità (il “vedere”). Bisogna poter chiedere: perché –
di fatto proprio tenendo conto dei minimi singoli dettagli dell’atto di
intuizione, della datità intuitiva e dell’intreccio degli elementi di senso
di quest’ultima – si può vedere qui un albero e non una casa? 2 Si tratta
allora della “validità” che una posizione (Setzung) riceve attraverso la
datità intuitiva di ciò che in essa stessa viene posto. Questa linea di
ricerca si può ancora sviluppare se, con Husserl, si amplia il concetto
di intuizione nel senso di un’intuizione categoriale di stati di cose e di
altre forme categoriali. Non è in gioco qui tuttavia soltanto la validità
1 Il concetto di un esame della validità è noto innanzitutto a partire da Kant e indica la riconduzione di
determinati principi generali a categorie dell’intelletto.
2 Qui desidero menzionare il prof. Klaus Held e il “Phänomenologisches Kolloquium” da lui condotto
per molti anni insieme con il prof. Antonio Aguirre (e successivamente con il prof. H. Hüni) come una
delle fonti più importanti della mia formazione fenomenologica e allo stesso tempo ricordare con personale
gratitudine e riconoscimento scientifico il lavoro di questo Kolloquium dall’atmosfera libera, sperimentale e
ciò nonostante rigorosamente orientata al metodo fenomenologico.
Dieter Lohmar
2
dell’intuizione basata sull’intuizione stessa.
Si può mostrare che Husserl pensa anche all’esibizione della validità di posizioni che per principio si lasciano esibire solo parzialmente
nell’intuizione. Si tratta dell’esibizione della validità nei classici casi
problematici della teoria della conoscenza, vale a dire della validità
di elementi di senso come il “sostrato permanente di determinazioni
(eventualmente mutevoli)”, la rappresentazione di una causalità universale, e ancora dell’infinitezza di tempo e spazio, dell’ipotesi moderna di
una struttura matematica della realtà esperibile, la validità dei principi
logici, la posizione di altri soggetti per il mondo e così via. Tutti questi
elementi di senso non si lasciano esibire, o si lasciano esibire soltanto in
piccola parte, nella sensibilità, ciò nonostante appartengono anch’essi al
nostro conoscere e pensare.
Qui si deve innanzitutto delimitare il concetto fenomenologico
dell’esibizione di validità attraverso il ricorso all’intuizione per contrasto
col concetto di esame di validità in Kant. In Kant l’esame di validità
implica la riconduzione dei concetti utilizzati nella conoscenza ai concetti puri a priori dell’intelletto. Kant orienta il suo concetto di esame
di validità alla contrapposizione, propria della questione giuridica, tra
quid juris e quid facti. La prima chiede quale base legale sussista per
il giudizio giuridico di un determinato caso. La seconda – quid facti –
chiede se il caso presente sia effettivamente un caso che ricade sotto
la regola giuridica individuata (per es. si tratta di chiarire se sia stato
effettivamente un caso di furto). Kant esamina solo la prima questione,
in quanto considera i concetti puri dell’intelletto, per così dire, come
i principi di validità sommi e a priori che devono essere contenuti in
ogni singola regola di validità dedotta. Il quid facti costituisce per Kant
una domanda empirica la cui risposta dipende dalla datità intuitiva, ma
non può essere chiarita attraverso una deduzione da principi di validità
supremi.
Si potrebbe ora così delineare la differenza rispetto al concetto husserliano di esame di validità: Kant sottolinea sì che intuizione e concetto
devono coincidere nella conoscenza, ma esamina la validità di pretese di conoscenza solo rispetto ai concetti dell’intelletto costitutivi
dell’oggettualità e a priori – secondo lui necessariamente contenuti in ogni concetto. Husserl investiga invece prevalentemente il lato
dell’intuizione considerandolo egualmente legittimante e, soprattutto, i
tratti essenziali dello stile di riempimento di determinate classi di intenzioni. Anche i concetti hanno nell’intuizione la propria origine, e con ciò
per principio anche la loro fonte di validità. Tuttavia inizialmente Husserl non affronta ancora in modo particolareggiato la problematica dei
concetti fondamentali ultimi. Solo nella tarda fenomenologia genetica
egli scopre che anche le funzioni concettuali costitutive dell’oggettualità
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
3
L’idea della riduzione
(tipi) si lasciano ricondurre all’intuizione e all’esperienza e si lasciano
esibire in esse.
L’esame della validità di percezioni, conoscenze e rappresentazioni
in un campo intuitivamente dato presenta alcuni problemi metodologici.
Con le sue riduzioni Husserl ha quindi cercato di risolvere un problema
centrale dell’esame di validità. La mia tesi principale è che una riduzione
è di volta in volta un metodo che deve ricondurre a un campo di
esperienza nel quale la posizione di cui si deve esibire la validità non è
(o non è ancora) contenuta.3 L’argomento essenziale per una riduzione
è dunque uguale in tutti i casi: solo su un terreno di esperienza così
“ridotto” l’esibizione della validità della posizione problematica può
procedere senza circolarità. Altrimenti si avrebbe un tipo di petitio
principi teoretico-costitutiva.
Ciò che tutte le riduzioni hanno in comune è dunque qualcosa di
metodologico. Per Husserl si tratta in tutti i casi di stabilire una ricerca
della validità e dei limiti della validità di determinate posizioni sul
terreno di un campo intuitivo di esperienza. Nel corso dell’esposizione
si chiarirà anche perché le riduzioni di Husserl sono così diverse, in
quanto il tipo di riduzione dipende dalle posizioni di volta in volta in
gioco.
Da questo punto di vista si possono elencare una serie di posizioni e
mostrare e motivare le relative riduzioni, per così dire tarate su di esse. Si
trovano tra di esse anche alcune che finora non sono state comprese come
“riduzioni”. Se la nostra tesi si dimostra fondata, allora la riduzione si
mostra come un metodo universale utilizzato in tutta la fenomenologia
husserliana a partire dalle Ricerche Logiche fino a Esperienza e giudizio
secondo un senso metodologico unitario. Husserl esamina almeno le
seguenti posizioni:
1. La validità dell’apprensione del contenuto di datità sensibili “in
quanto qualcosa di determinato”, per es. in quanto albero. La
riduzione relativa è la “riduzione alla componente reale”, che si
trova nella Quinta Ricerca Logica (1 ed.).
2. La validità della posizione di qualcosa come “reale”. La riduzione
relativa è la riduzione trascendentale delle Idee I.
3. Le idealità della logica e della matematica, in particolare i principi
logici. Il metodo di esibizione è qui la riconduzione di questi giudizi
3 Più precisamente si dovrebbe qui dire che ciò che si cerca è un campo di esperienza nel quale la
posizione la cui validità è da esaminare deve essere certo contenuta nominalmente, ovvero secondo il nome,
in cui però essa non può essere “valida”, ossia non funge in esso normalmente. Essa deve essere piuttosto
riconosciuta nella sua pretesa ma non riconosciuta come valida. Questa precisazione è tarata particolarmente
sul caso della esibizione di validità della posizione di realtà per mezzo della riduzione trascendentale, nella
quale la pretesa di validità della posizione viene riconosciuta come pretesa, ma questa stessa validità non
funge in modo normale bensì unicamente come filo conduttore della ricerca dell’esibizione intuitiva di
validità.
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Dieter Lohmar
4
all’esperienza di oggetti individuali concreti, così come essa viene
proposta nella seconda sezione di Logica formale e trascendentale.
4. La posizione di un’altra soggettività. La riduzione relativa è la
riduzione primordiale delle Meditazioni cartesiane.
5. Le ipotesi idealizzanti delle scienze della natura. Il metodo di
esibizione relativo consiste nel ritorno al mondo della vita prescientifico esposto nella Crisi.
6. Le categorie “logiche” elementari del giudizio come per es. “è”
predicativo, “e”, “non” ecc. Il metodo di esibizione è qui la riconduzione di queste categorie logiche alla esperienza ante-predicativa
esposta in Esperienza e giudizio.
Tra le riduzioni menzionate ci sono tre metodi di ricerca (3, 5, 6) che
Husserl non chiama riduzione, bensì “ritorno” o talvolta anche “riconduzione”. Per queste si dovrà mostrare esplicitamente che esse hanno
lo stesso senso metodologico delle altre, tre le quali vengono anche così
esplicitamente annoverate. Non basta qui riferirsi al senso letterale del
latino reducere come “ricondurre”. Naturalmente si dovranno anche
addurre ulteriori ragioni del perché Husserl non le chiami riduzioni.
Ciò che di metodologico hanno in comune queste sei riduzioni si
potrebbe descrivere con una massima generale argomentativo-teoretica:
quando argomenti a favore di un’asserzione non puoi utilizzare tale
asserzione né esplicitamente né implicitamente, altrimenti si ha un
circolo argomentativo. Ora, è chiaro che, anche nel quadro della questione dell’esibizione di validità, una teoria della costituzione non è
un’argomentazione, bensì un metodo che deve esibire il tipo corrispondente di datità intuitiva. Tuttavia per l’analisi della costituzione si
può formulare a sua volta una massima simile, la quale dice: quando
vuoi chiarire l’originaria costituzione intuitiva di un oggetto nel campo
d’esperienza intuitivo che poni a fondamento di questa analisi della
costituzione non può essere già contenuta (“come valida” o “fungente”)
la posizione indagata. Il compimento della riduzione deve servire a evitare un circolo dell’argomentazione, ossia dell’analisi della costituzione.
In questo senso Husserl scrive: «ciò che una scienza mette in dubbio
non può utilizzarlo come fondamento pre-dato» (Hua II, 33).
Si potrebbe a questo punto ovviamente chiedere perché Husserl non
abbia formulato lui stesso espressamente questo argomento unitario a
favore delle sue riduzioni. Una ragione potrebbe consistere nel fatto che
evitare circolarità era per il matematico Husserl una tale ovvietà da non
aver bisogno di essere neppure menzionata. Un’altra ragione potrebbe
esser che egli stesso non avesse propriamente chiaro questo argomento e
che in questo punto centrale in realtà egli abbia agito correttamente nella
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
L’idea della riduzione
5
prassi, senza che la sua auto-comprensione fosse abbastanza matura per
nominarne le ragioni.
Vorrei comunque anche far presente i “costi” della mia interpretazione: sebbene Husserl stesso abbia a più riprese chiamato il suo metodo
eidetico “riduzione eidetica” (cfr. Hua IX, 284 f., 321 f.), pure essa non
è, nell’ottica della mia interpretazione, una riduzione nel senso delle
altre riduzioni. Essa non si propone alcuna purificazione astrattiva di un
campo di esperienza al fine di esaminare la validità di una posizione su
questa base di esperienza. La riduzione eidetica è, nell’interpretazione
che qui si propone, senz’altro un metodo irrinunciabile della fenomenologia, ma non una riduzione nel senso più strettamente metodologico.
Rimane inoltre da chiarire perché tre varianti della riduzione (n. 3, 5, 6)
non vengano da Husserl chiamate riduzione.
Ai costi corrispondono tuttavia consistenti guadagni. Il vantaggio
della mia interpretazione è una motivazione semplice e intuitiva della
riduzione trascendentale e degli altri metodi riduttivi. La motivazione
dell’epoché è un enigma discusso sempre di nuovo e che apparentemente non offre una soluzione facile, soprattutto qualora si cerchi
un motivo nell’atteggiamento naturale per superare l’atteggiamento
naturale stesso.
1
La riduzione alla componente reale
La prima delle riduzioni husserliane è poco conosciuta poiché viene
presentata nella prima edizione delle Ricerche Logiche e la maggior parte
dei passaggi nei quali ciò avviene fu espulsa dalla seconda edizione del
1913.4 Alcuni passaggi nei quali la “riduzione alla componente reale”
viene esposta furono addirittura letteralmente “sovrascritti” da rinvii
alla riduzione trascendentale (sebbene per lo più con titubanza).5 Risulta
chiaro che Husserl fa un passo indietro rispetto alla “riduzione alla
componente reale”. L’aver estromesso e “sovrascritto” i passaggi relativi
a questa riduzione mostra che la concezione deve essere dichiarata
in certa misura non valida. È interessante, però, che Husserl, proprio
nella seconda edizione, definisca questo mero ritorno alle componenti
reali più volte come una riduzione.6 In tal modo ci si pone il compito
di stabilire in cosa consistesse il problema di quella “riduzione alla
4 Su questo tema vedi anche il mio contributo Lohmar, D. (2011): Zur Vorgeschichte der transzendentalen
Reduktion in den Logischen Untersuchungen. Die unbekannte ,Reduktion auf den reellen Bestand‘, “Husserl
Studies”, 28/1, pp. 1-24.
5 Ad esempio laddove nella prima edizione veniva richiesta la “analisi descrittiva dei vissuti secondo la
loro componente reale”, nella seconda edizione si richiede che la fenomenologia “sin dall’inizio e in tutti i
passi successivi non [possa fare] la minima asserzione sull’esistenza reale”(Hua XIX/1, 27s.).
6 Husserl la chiama ad esempio una “riduzione all’immanenza reale del vissuto” (Hua XIX, 413 n.*,
2 ed.). Letteralmente si trova poi nella Quinta Ricerca una “riduzione [dell’io] al contenuto afferrabile in
modo puramente fenomenologico” (Hua XIX/1, 368:12-14, 2 ed.), la “riduzione al dato in modo puramente
fenomenologico” (Hua XIX/368, n.*, 2 ed.) e una “riduzione al fenomenologico” (369: 26-28, 2 ed.).
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Dieter Lohmar
6
componente reale”. Il fatto che questa “sovrascrittura” sia avvenuta
talvolta anche con rinvii alla riduzione trascendentale sta a indicare
una grande vicinanza di fatto tra i due metodi che ancora non è stata
indagata in modo sistematico. Inoltre si deve rilevare che la riduzione
alla componente reale non venne resa completamente irriconoscibile:
essa c’è ancora nella seconda edizione delle Ricerche Logiche! 7
Il metodo del ritorno alle componenti reali è dapprima stato esposto
in modo esauriente nella Quinta Ricerca Logica. Le componenti essenziali
dell’atto intenzionale (secondo le definizioni delle Ricerche Logiche)
sono la materia dell’atto che determina contenutisticamente che tipo
di oggetto è inteso e in che modo viene inteso; il secondo momento è
la qualità posizionale (reale possibile, dubbio, e così via) e il terzo la
pienezza.
Il modello fondamentale della costituzione d’oggetto nelle Ricerche
Logiche è l’apprensione intenzionale di componenti reali. Ciò che nella
sensibilità mi arriva attraverso le sensazioni viene per così dire interpretato come una rappresentazione dell’oggetto. Naturalmente questa è
solo una descrizione semplice e iniziale del processo dell’apprensione.
Husserl tiene ferma una serie di particolarità del processo dell’apprensione:
la possibilità del mutamento d’apprensione, ossia gli stessi componenti
reali possono essere appresi una volta come questo oggetto, un’altra
volta come un altro oggetto. Egli chiarisce ciò con il noto esempio della
marionetta mobile nel panottico che una volta appare come una marionetta mobile e un’altra come persona reale che mi fa l’occhiolino. La
seconda caratteristica fondamentale dell’apprensione è la possibilità che
diverse componenti reali vengano interpretate come lo stesso oggetto.
Questa seconda possibilità si lascia chiarire con un qualunque caso di
percezione di cosa, poiché qui abbiamo la stessa cosa, data secondo
diverse prospettive – dunque secondo componenti reali completamente
diverse –, ma siamo in grado di percepire e di identificare questa cosa
come la stessa.
Le componenti reali hanno un’importanza decisiva per la validità della determinazione contenutistica dell’apprensione intenzionale. Ma sono anche decisive per il tipo di apprensione che Husserl
chiama modo d’apprensione. Quando le componenti reali non permettono un’apprensione intuitiva, allora si può trattare per es. solo
di un’apprensione simbolico-signitiva, ovvero di un’apprensione in
quanto immagine della cosa intesa, ma non come questa stessa cosa.
Inoltre la qualità posizionale dipende a sua volta indirettamente dalle
7 Cfr. in particolare Hua XIX, 413 n.*, che nella seconda edizione rimanda alla “riduzione all’immanenza
reale del vissuto”. Illuminante è anche Hua XIX, 368 dove nella seconda edizione viene inserita l’espressione
“riduzione dell’io empirico fenomenale al suo contenuto coglibile in modo puramente fenomenologico”
dove il “contenuto fenomenologico” è da intendersi nel senso della n.*, Hua XIX, 411 come componente
reale del vissuto.
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
7
L’idea della riduzione
componenti reali, in quanto la validità della posizione “reale” si fonda
sulla possibilità dell’apprensione intuitiva. Ma in ultima istanza sono
anche le componenti reali che possono rendere legittima o illegittima la
determinazione contenutistica di una apprensione. Il che, molto trivialmente, significa: che io possa percepire qualcosa come una betulla o come
una persona dipende dalle datità sensibili che mi danno questo oggetto.
Le componenti reali sono dunque nella prospettiva metodologica delle
Ricerche Logiche il terreno d’esperienza decisivo su cui si può mostrare
la validità della determinazione contenutistica dell’apprensione, ossia
della materia, la validità della qualità posizionale e la legittimazione
di un determinato modo dell’apprensione. La componente reale è il
“terreno d’esperienza legittimante” delle posizioni intenzionali.
Vediamo pertanto cosa ha portato Husserl nella prima edizione
delle Ricerche Logiche a definire la fenomenologia come una “analisi
descrittiva dei vissuti secondo la loro componente reale” (Hua XIX, 28).
Egli persegue l’idea di un esame della validità dell’apprensione “in
quanto qualcosa” sul terreno delle componenti reali della coscienza.
Nell’apprensione sono però contenuti i tre elementi materia, qualità e pienezza. Il progetto di un esame della validità dell’apprensione si riferisce
primariamente alla materia, ossia “all’in quanto cosa” dell’apprensione
e naturalmente anche alla qualità posizionale dell’atto. La pienezza
dell’atto intenzionale si fonda più o meno sulle componenti reali e si
trova pertanto nelle Ricerche Logiche dalla parte del campo d’esperienza
legittimante.
Dal punto di vista delle Ricerche Logiche una ricerca sulla validità
della materia e della qualità di un atto è limitata tuttavia solo ad un
unico singolo atto. L’intuizione dell’intreccio di tutte le posizioni viene
elaborata soltanto in Idee I. Nella prima edizione delle Ricerche Logiche
domina ancora la rappresentazione statica secondo la quale le posizioni
di senso e le pretese ontologiche che queste qualità posizionali sono,
possano essere indagate relativamente a un singolo atto. Solo Idee I offre
la visione della non-particolarizzabilità di una tale indagine, in quanto
l’intenzionalità d’orizzonte mostra che la posizione ontologica “reale”
è connessa, nella modalità della intenzione d’orizzonte, a tutte le altre
posizioni di realtà.
L’esame critico della validità della materia e della qualità posizionale
si lascia chiarire al meglio attraverso un esempio che Husserl ha preso
in prestito da Locke, ossia quello della “sfera rossa” (cfr. Hua XIX, 82,
197 ff., 359 ff.). Si può pensare semplicemente a una palla da biliardo.
Si mostrano così subito le modalità procedurali essenziali del progetto
husserliano relativamente all’esame di validità (della “critica”) delle
apprensioni intenzionali. Vediamo una sfera rossa, questo significa però
anche che vediamo una sfera uniformemente colorata di rosso. Il senso
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Dieter Lohmar
8
della percezione contiene dunque l’elemento di senso della colorazione
“uniforme”.
Ciò che la sensibilità ci offre come intuitivamente riempito non
è affatto questa uniformità della colorazione. La sfera che vediamo,
infatti, è in un certo punto molto chiara a causa dell’illuminazione.
In determinate circostanze nel punto del riflesso il colore rosso non
è più riconoscibile. Lo stesso vale per quella zona in ombra dove la
sfera poggia sulla base e appare oscurata dalla sua stessa ombra. Se si
prendono le componenti reali in un modo così ristretto come “criterio
letterale” della validità di una posizione d’oggetto (materia) allora,
secondo questo criterio, non potrebbe sussistere alcun oggetto.
Ciò si lascia meglio spiegare attraverso il caso elementare di una
cosa reale. Quando poniamo una cosa come “reale”, questa posizione
di senso non include soltanto che questa cosa sia data “proprio ora”,
ma che essa sia data “già prima” e “subito dopo” o eventualmente
possa essere data. Entrambi i primi elementi di senso si lasciano ancora
comprovare attraverso il criterio dei componenti reali, sebbene per
quanto riguarda il “già prima” si debba chiamare in causa la teoria della
riduzione. Ma il “subito dopo” della datità di cosa che è co-intesa con la
posizione di realtà non si lascia legittimare con i contenuti ora presenti
nella coscienza. L’interrogazione giunge qui alla nota domanda gnoseologica sulla legittimazione della posizione di un sostrato permanente di
determinazioni (eventualmente mutevoli).
Siccome noi, tuttavia, non vogliamo inscrivere né l’elemento di senso
della colorazione uniforme né la realtà di questa sfera rossa nell’ambito
di mere finzioni ingiustificate, non ci resta palesemente altro che “indebolire” il nostro criterio. Questo non è in alcun modo un ripiegamento
pragmatico, bensì un sensato adeguamento a ciò che noi facciamo effettivamente quando percepiamo. Coerentemente con questi criteri moderati
e allo stesso tempo di fatto più adeguati per la valutazione della validità
degli elementi di una posizione percettiva, le analisi di Idee I stabiliscono
dunque che la “motivazione razionale” di posizioni dipende dalla modalità di riempimento che appartiene essenzialmente a una determinata
posizione. Questo stile di riempimento (stile d’evidenza) è per es. nel
caso delle cose reali una intuizione prospettica sempre nuova che allo
stesso tempo sottostà a determinate, ma a loro volta regolate, anomalie,
come nel caso di variazioni di illuminazione.
È chiaro che la “riduzione alla componente reale” presenta alcuni
problemi. I due più importanti si possono riassumere facilmente. Il
primo problema consiste nella difficoltà dell’accessibilità dei dati reali.
Questa non sembra da principio essere una difficoltà seria in quanto
questi sono pur sempre presenti realmente nella coscienza. I dati reali
sono accessibili, tuttavia sempre soltanto nel modo di un oggetto già
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
9
L’idea della riduzione
sempre appreso come “questo” o “quello”. Come abbiamo già visto nel
caso della sfera rossa, noi interpretiamo da sempre i “dati” (come ombra,
come riflesso). Si potrebbe persino dire che non possiamo averli come
dati non appresi, bensì come già sempre interpretati. Husserl scrive:
«non vedo sensazioni di colore, ma cose colorate, non odo sensazioni di
suono, ma la canzone della cantante e così via.» (Hua XIX, 387).
Si deve tuttavia essere in chiaro rispetto al fatto che l’obiezione qui
abbozzata contro la “riduzione alla componente reale” secondo la quale
le componenti reali in quanto tali non sono accessibili, ovvero non possono essere resi tematici, non rendono impossibile l’idea della “critica”
delle posizioni intenzionali sul terreno di ciò che è dato effettivamente.
Come abbiamo già visto chiaramente nell’esempio della sfera rossa
certamente ci sono appigli utili per ricondurre la posizione intenzionale
al suo terreno legittimante nelle intuizioni. Ciò che si mostra in tal modo
è che noi operiamo spesso posizioni che non si lasciano “semplicemente”
ricondurre a un’impressione nel senso dell’empirismo, ma che esigono
metodi d’analisi più raffinati e hanno un moderato stile di riempimento.
Gran parte delle nostre posizioni si basa su ragioni essenzialmente più
deboli dell’intuizione sensibile. Questa è l’evidenza a cui ci conduce già
la sfera rossa. In Idee I, poi, la cosalità reale è un’idea in senso kantiano
a cui posso sempre di nuovo tendere, ma che non si può riempire
pienamente.
Un’ulteriore perplessità riguarda l’assolutezza della limitazione al
terreno dell’esperienza delle componenti reali. In generale una tale
limitazione è certo realizzabile, e il risultato o residuo della riduzione è
un flusso di componenti reali in tutti i campi sensibili. Si potrebbe dire
che nel caso ideale non c’è alcuna traccia di un’apprensione sensata in
questo flusso. Le sensazioni “turbinano” senza che io da ciò interpreti
(apprenda) oggetti.
Il problema emerge solo quando sulla base di questo componente del
vissuto si vuole intraprendere una critica dell’apprensione intenzionale,
ossia quando io voglio mettere alla prova la validità delle mie apprensioni come albero, tavolo, sfera uniformemente rossa e così via. Potrei
per es. avere un leggero mal di denti mentre esamino la questione se il
dato sensibile che mi si offre permetta la posizione della sfera rossa. Se
io – come esige la rigorosa riduzione al componente reale – ho messo
tra parentesi ogni rappresentazione dell’oggetto, cioè ogni materia,
come posso poi ancora sapere quali componenti reali appartengono alla
rappresentazione dell’oggetto che in questo caso è “questa sfera rossa” e
quali no? Questa perplessità si può concretizzare nel momento in cui si
stabilisce che la “riduzione alla componente reale” è una riduzione così
radicale che io non so neppure più che cosa mi aspetto di vedere, vale a
dire non ho più nessun punto d’appiglio per decidere se il mal di denti
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Dieter Lohmar
10
appartiene ai componenti reali che hanno una funzione rappresentativa
per la sfera oppure no.
La perplessità verso questa prima riduzione husserliana non è dunque
che la “riduzione alla componente reale” sia ineseguibile, bensì che io
quando l’ho realizzata non possa più fare ciò per cui e a causa di cui
l’ho allestita: la critica della validità delle apprensioni. 8
Il passo più prossimo sarebbe pertanto che non si impoverisse più in
modo così radicale il terreno d’esperienza così come nella “riduzione
alla componente reale”. Ciò significa che si deve cercare un campo
d’esperienza che è “appena” adatto a compiere questa critica alla
validità dell’apprensione e della qualità posizionale (o che si cerchi un
criterio moderato per la datità piena). L’agognato campo d’esperienza
legittimante non può tuttavia “ancora” contenere esplicitamente o
implicitamente ciò la cui validità è innanzitutto da esaminare. Da
entrambe queste riflessioni si deve trarre che l’approccio esclusivo
alle componenti reali è troppo radicale, vale a dire che dopo la messa
tra parentesi della materia non è più possibile un’analisi comparativa
della validità della posizione contenutistica d’oggetto. La limitazione
esclusiva alle componenti reali mette sostanzialmente tra parentesi la
materia e la qualità. La messa tra parentesi della materia sarebbe però, in
base alle ragioni suddette, insensata. L’unica cosa che in una tale ricerca
di un terreno d’esperienza legittimante posso mettere tra parentesi
è la qualità posizionale. Questo limitato impoverimento del campo
d’esperienza è proprio ciò che le Idee I propongono con la riduzione
trascendentale. 9
2
La riduzione trascendentale di Idee I
In Idee I l’esposizione dell’esame di validità delle apprensioni intenzionali subisce una particolare focalizzazione rispetto alla domanda
sulla validità della posizione di realtà che costituisce il modo originario
immodificato del carattere d’atto tetico.
Allo stesso tempo ha luogo un avanzamento nell’auto-comprensione
di Husserl. Egli riconosce ciò che effettivamente fa e in tal modo anche
ciò che ha già fatto nelle Ricerche Logiche: un esame della validità e
dei limiti della validità delle posizioni di realtà su un determinato
terreno d’esperienza. In tal modo egli nota però di star tematizzando
l’enigma fondamentale dell’oggettività, ovvero con che diritto qualcosa
8 Nei termini che introdurrò solo nel quinto paragrafo si potrebbe dire che la “riduzione alla componente
reale” è sì “possibile”, ma non è “efficace”.
9 Naturalmente questo non significa che il progetto di esaminare una “apprensione come” nel suo
contenuto vale a dire secondo la sua materia, non sia sensata. Bisogna soltanto tener conto delle difficoltà
già esposte, ovvero si deve in particolare accettare che noi apprendiamo anche le componenti reali che
apparentemente “divergono” dal senso dell’oggetto già sempre “in quanto qualcosa” ossia con una materia.
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
11
L’idea della riduzione
deve esser posto come qualcosa di reale che sia pur sempre accessibile
per me e allo stesso tempo anche per gli altri. Egli nota dunque di
aver posto la domanda trascendentale sulle condizioni di possibilità
e di validità dell’oggettività. Per questo motivo chiama la sua epoché
riduzione trascendentale. La ragione consiste nel fatto che la domanda
cui egli vuole dar risposta con l’aiuto di questo metodo è una domanda
trascendentale – di fatto anche in senso kantiano.
Allo stesso tempo Husserl si rende conto che il ricercato terreno
legittimante d’esperienza non può essere semplicemente un costrutto
teoretico di dati reali non interpretati e non appresi. Dei tre elementi
costitutivi dell’intenzione (materia, qualità e pienezza) la materia e
le componenti reali non si lasciano separare nell’esame di validità.
Rimane dunque solo una “sospensione” della qualità posizionale. La
qualità posizionale è però, con il modo originario “reale” e tutte le sue
modificazioni, proprio il problema centrale della filosofia trascendentale.
Il campo d’esperienza che rimane dopo l’epoché, e che è per così dire il
“residuo” di questa riduzione, dovrebbe pertanto essere primariamente
adeguato a determinare la validità della qualità posizionale.
Sul senso della riduzione trascendentale è stato scritto molto. Mi
limiterò qui a un paio di osservazioni che mirano esclusivamente
a renderne chiara la funzione. Una “messa tra parentesi” non è da
equipararsi a un rifiuto, bensì consiste in una tematizzazione della
pretesa di validità. Il problema di quando sia possibile e legittimo porre
qualcosa “in quanto reale” viene posto al centro dell’attenzione. D’altra
parte la messa tra parentesi delle pretese di validità significa un metterefuori-funzione, una sospensione. Se si resta alla metafora della messa
tra paerentesi, allora essa indica innanzitutto che la parte che viene
messa tra parentesi non svolge la sua normale funzione. Una parola
tra parentesi in un contesto proposizionale non svolge alcuna funzione
grammaticale nella proposizione. Il campo di esperienza che costituisce
il residuo della riduzione trascendentale non contiene dunque alcuna
posizione di realtà, possibilità, dubitabilità e così via, bensì contiene
tale posizione per così dire “solo nominalmente”, ossia solo come una
pretesa di valere.
Una domanda che ora urge riguarda l’universalità della riduzione: perché la riduzione deve essere universale? L’idea che non debba
necessariamente essere così sorge spontaneamente. Se la riduzione trascendentale si è sviluppata a partire dal tentativo della prima edizione
delle Ricerche logiche di ridurre le parti costitutive di un atto alla componente reale al fine di poter giudicare della validità o della non-validità
della posizione intenzionale, allora a un primo sguardo sembra sensato
intraprendere anche la riduzione trascendentale di un singolo atto o un
unico oggetto.
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Dieter Lohmar
12
Una tale riduzione puntuale non è possibile per la seguente ragione
sistematica: gli oggetti intenzionali hanno intenzioni d’orizzonte che li
accompagnano. Queste intenzioni connesse si lasciano illustrare meglio
con la possibilità di compimenti intuitivi: percepisco una casa e so che
posso anche girare attorno ad essa, che vi posso entrare, che potrei
vederne il retro qualora lo volessi e così via. Posso percepire la casa
sempre di nuovo e con sempre più dettagli. Sono consapevole delle
possibilità delle mie azioni corporee rispetto a questa cosa. In ogni
istante posso andare avanti, posso girarmi, volgere il capo. Tutto ciò
che degli oggetti diviene visibile grazie al fatto che mi muovo o compio
altre intuizioni rinvia ad ulteriori operazioni d’intuizione.
Così la casa è intesa insieme a pavimento, scale, finestre, giardino,
fiori profumati, pareti ruvide e così via e tutto ciò appartiene alla casa.
È però co-intesa anche la strada che vi conduce a partire da un altro
luogo e sulla quale io posso andare. Si può proseguire a piacere questa
descrizione, ossia il mondo è l’orizzonte universale di ogni cosa.
In questo modo ogni oggetto apparentemente singolare è sotterraneamente connesso con il mondo in toto, e allo stesso tempo è radicato
in esso. Questa connessione sotterranea non concerne però solo i sensi
oggettuali, bensì anche le qualità posizionali: questa cosa “reale” rinvia alla strada “reale” e questa a sua volta alla città “reale”, questa al
mondo “reale” nella sua totalità. In tal modo si dimostra l’intreccio e
radicamento sotterraneo, pressoché micotico, di ogni singolo oggetto
con la posizione di “realtà” del mondo nella sua totalità. Una chiara
conseguenza di questo intreccio di tutte le posizioni di realtà è che una
riduzione limitata a singoli oggetti, per così dire “puntuale” riguardo
alla qualità posizionale non è possibile. O si riduce universalmente o la
riduzione non funziona.
In Idee I si trova inoltre un’altra importante intuizione: alcune posizioni non possono essere ricondotte nella loro piena estensione alla sola
sensibilità e ciò non vale solo per rappresentazioni di livello superiore,
bensì già per rappresentazioni del tutto quotidiane, come quella di una
cosa fisica. La posizione di “realtà” è di fatto straordinariamente fondamentale per la nostra intera visione del mondo e tuttavia si basa sulla
rappresentazione che una cosa può essere sempre di nuovo resa visibile
da me e anche da altri. Questa anticipazione rispetto all’esperienza
ulteriore, e dunque al futuro, è quindi contenuta in qualunque posizione
d’oggetto, anche estremamente semplice. Ma anche questa anticipazione
può essere “più o meno” legittima. Si può ad esempio svelare come
un’intenzione d’orizzonte che può riempirsi interamente nell’ambito
della mia mobilità corporea: “io posso” “sempre di nuovo” girare attorno a una casa, “sempre di nuovo” volgere lo sguardo a un albero
e così via. Questo “io posso” è motivato dalle mie esperienze passate
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
L’idea della riduzione
13
e dal mio potermi muovere corporeo. Pertanto si tratta di aspettative
fondate (motivate) che si fondano su esperienze passate relative a me
stesso e agli oggetti. Non si tratta di formule relative a possibilità vuote,
puramente logiche che non sono motivate nell’esperienza come per
esempio: domani potrei essere qualcun altro, magari potrei anche volare
o leggere i pensieri di un altro uomo. 10
3
La riduzione primordiale
Nelle Meditazioni cartesiane Husserl introduce una nuova riduzione, la
cosiddetta riduzione primordiale. Vorrei qui sorvolare sulla discussione
relativa alla particolare problematicità di questa riduzione, o meglio
inoltrarmici solo per quanto è significativa rispetto alla nostra indagine.
Mi concentrerò sul senso metodologico di questa riduzione al fine
di mostrare che essa è da interpretarsi in modo strettamente analogo
alle riduzioni finora esposte. Se vogliamo esaminare la validità della
posizione di un’altra soggettività, e questo esame deve aver luogo
su un terreno di esperienza dato intuitivamente, allora la posizione
“altra soggettività” non può essere contenuta né esplicitamente né
implicitamente nel campo d’esperienza posto alla base. Questo è il senso
della riduzione primordiale: assicurare che nel campo d’esperienza
da cui io parto nell’esame non sia contenuto il senso “altro”, né in
modo esplicito né nascosto. La riduzione primordiale è una riduzione
“tematica”, o comunque Husserl la definisce come tale, e questo significa
innanzitutto una certa contrapposizione rispetto alla “universalità” della
riduzione trascendentale: nella riduzione primordiale non si tratta di
escludere dal campo d’esperienza tutti gli elementi allo stesso modo
(per quanto concerne la loro pretesa di validità), si tratta soltanto
di rintracciare miratamente nelle nostre rappresentazioni del mondo
gli elementi “di psichicità estranee” e momentaneamente prescindere
dalla loro validità e dal loro senso, ossia “ridurli”. Tutte le posizioni
che in qualche modo implicano l’operare di altri soggetti vengono
astrattamente impoverite proprio di questo elemento di senso. In tal
modo si può esaminare se il campo d’esperienza così ottenuto sia
ben strutturato, dunque se fornisca un tipo di strato indipendente
dell’esperienza del mondo; così possiamo esaminare se e come in questo
ridotto campo d’esperienza possiamo costituire qualcosa come “altri”.
Non entrerò nei particolari e nelle questioni aperte di questa analisi
costitutiva, qui si tratta unicamente di evidenziare il carattere uniformemente metodologico delle riduzioni. Nella riduzione primordiale
si tratta di mettere in luce il campo d’esperienza quale fondamento di
10 Sul concetto husserliano di possibilità fondata nell’esperienza contrapposta a possibilità vuote cfr. EU,
§ 21,d e § 77.
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Dieter Lohmar
14
un esame di validità che sia libero dall’elemento la cui validità è da
esaminare. Nel caso della riduzione primordiale una riduzione universale non è tuttavia possibile e neppure sensata, poiché allora sarebbero
esclusi tutti gli oggetti, a prescindere dal fatto che essi siano costituiti
da me o da altri. La riduzione primordiale deve dunque essere eseguita
puntualmente, ossia differenziando di volta in volta il tema.
4
Ulteriori riduzioni: all’evidenza di oggetti individuali, al mondo
della vita prescientifico, all’esperienza ante-predicativa
Ci sono nell’opera di Husserl almeno altri tre contesti sistematici, forse
ancora di più, nei quali viene intrapresa una misura metodologica
paragonabile a quella delle riduzioni fin qui esposte. Si tratta a) della
“critica delle idealità in logica e matematica” nella II sezione di Logica
formale e trascendentale, b) della riconduzione delle categorie “logiche”
del giudizio predicativo all’esperienza ante-predicativa in Esperienza e
giudizio c) della critica delle idealizzazioni della scienza moderna nella
Krisis. Tutte e tre le analisi appartengono tuttavia a un nesso sistematico
che io voglio ora presentare sommariamente.
(Ad a e b). Nella seconda sezione di Logica formale e trascendentale
Husserl espone il progetto di una “critica delle idealità in logica e matematica”. Si tratta innanzitutto di un’indagine delle ragioni di validità
dei principi logici, come ad esempio il principio di contraddizione, il
principio del terzo escluso, il principio di identità ecc. È evidente che i
principi logici vanno al di là dell’ambito di ciò che può essere fondato
attraverso la nostra intuizione sensibile. Husserl infatti non si rivolge
alla sfera della sensibilità alla ricerca di elementi legittimanti, bensì
risale alla sfera delle esperienze motivanti, e in particolare a esperienze omogenee relativamente a oggetti individuali della percezione.
La sua tesi si ritrova radicalizzata nell’idea che “la logica” per quanto
concerne la certificazione della sua validità “ha bisogno di una teoria
dell’esperienza” (FTL, 219) e in particolare di una teoria dell’esperienza
di oggetti individuali concreti.
La “critica delle idealità” nelle scienze formali esposta nella seconda
sezione di Logica formale e trascendentale, critica che riguarda soprattutto
i principi logici, deve a sua volta risalire a un terreno d’esperienza che
ancora non contiene assolutamente queste idealità, altrimenti l’analisi
costitutiva sarebbe circolare. Per questo motivo Husserl propone qui
il ritorno all’esperienza di oggetti individuali concreti che ancora non
possono contenere in sé né totalizzazioni né depositi di senso in generale.
Anche questo ritorno può essere compreso come una riconduzione
(nel senso di reducere) a forme inferiori di evidenza. Tale progetto di
“critica”viene sviluppato estesamente solo in Esperienza e giudizio.
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
15
L’idea della riduzione
I principi logici sono evidentemente rappresentazioni dovute a una
idealizzazione, ossia si fondano sul compimento teorico di un processo
conoscitivo che nella prassi e nella conoscenza reali non può giungere a
compimento. Il principio di contraddizione che afferma che per tutti i
giudizi pensabili il giudizio stesso non può valere insieme al suo opposto
contraddittorio rappresenta un’idealizzazione, in quanto asserisce qualcosa a proposito di tutti i giudizi pensabili. In effetti io posso verificare
tale affermazione solo per una quantità finita di giudizi. Per il “resto”
che rimane infinito non mi resta che un pre-afferramento idealizzante.
Su cosa si basa tale pre-afferramento idealizzante? Ha una validità o
addirittura eventualmente una validità fondata sull’esperienza? Husserl
vuol chiarire tali questioni con la sua critica delle idealizzazioni della
logica. Di nuovo, “critica” non significa qui semplicemente rifiuto, ma
esame della validità e dei limiti della validità di una posizione.
Il terreno d’esperienza a partire dal quale la chiarificazione di una
tale validità è in generale possibile non deve però contenere gli elementi
di senso (Sinnelemente) la cui validità è in questione. Il primo tentativo
husserliano di una determinazione di questo campo di esperienza è
l’ambito degli oggetti individuali concreti assieme alle conoscenze che
acquisiamo nel ripetuto commercio con questi oggetti. In questo progetto
presentato in Logica formale e trascendentale si tratta già di quello che
in Esperienza e giudizio verrà poi chiamato esperienza antepredicativa.
Nell’esperienza antepredicativa non si trova tuttavia solo l’origine
genetica delle categorie logiche della predicazione, bensì anche l’origine
della motivazione di posizioni idealizzanti.
Si può ora – sullo sfondo delle ricerche parallele e delle sospensioni
metodologiche che abbiamo già menzionato – comprendere questo
ritorno alla datità di oggetti individuali come una riduzione. Tale ritorno
è una limitazione di quel campo d’esperienza, per noi primo, costituito
dal mondo quotidiano che in sé non contiene solo oggetti, bensì anche
conoscenze che possediamo rispetto a singoli oggetti e classi di oggetti.
Sebbene queste conoscenze vengano anch’esse metodologicamente
messe tra parentesi, ciò non riguarda le conoscenze antepredicative che si
instaurano in noi nel commercio percettivo con le cose reali. Si pone qui la
domanda perché debbano essere messe tra parentesi anche le conoscenze
quotidiane. Si può qui solo ipotizzare, ma con una certa probabilità, che
Husserl fosse cosciente delle interferenze (del “confluire”) di posizioni
idealizzanti in una cultura “formata scientificamente” (mondo della
vita) e volesse evitare che in tal modo idealità o “il patrimonio logico”
venissero assunti in modo implicito e acritico, laddove questi devono
essere propriamente sottoposti alla critica.
Eventualmente si può parlare, nel caso del ritorno all’evidenza di
oggetti individuali qui proposta, anche di una “riduzione tematica”,
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Dieter Lohmar
16
ovvero tale che mette tra parentesi in modo mirato e “singolarmente”
quegli elementi che possono già contenere in sé queste o simili idealizzazioni, mentre conserva la validità di quelli che non sono sotto esame.
In tal modo non si compie il ritorno ai singoli oggetti individuali in
quanto fondamento di validità perché per ognuna delle idealità (ossia
per ognuno dei principi logici) si dovrebbe compiere una propria variante specificamente tematica della riduzione. Il ritorno all’esperienza di
oggetti individuali corrisponde pertanto principalmente a una riduzione “universale” di tutti gli elementi di senso che sorgono in seguito a
un’istituzione di senso predicativa attraverso il giudizio. Si potrebbe dire
che lo scopo o il fine sia una riduzione universale dei giudizi predicativi
e dei loro prodotti. Il fondamento di validità stabilito in tal modo è un
terreno d’esperienza poiché noi abbiamo oggetti anche quando non
esprimiamo giudizi predicativi su di essi.
(Ad c) Sorge qui una perplessità: rispetto agli oggetti individuali ci si
potrebbe infatti pur sempre chiedere se essi non portino nel proprio senso
oggettuale, per così dire “in sé” implicite idealizzazioni che immettono
“surrettiziamente” un senso logico nel fondamento d’esperienza. Husserl
prende in considerazione questa (effettivamente legittima) supposizione
nella prosecuzione della sua “critica delle idealizzazioni” nella Krisis,
diretta in particolare alle idealizzazioni delle scienze naturali. Anche
questa critica esige una riconduzione, un reducere, questa volta un ritorno
al mondo della vita pre-scientifico.
Che senso ha però questa “riduzione”? Il ritorno al mondo della
vita pre-scientifico dirige la nostra attenzione – e in tal modo essa è
paragonabile alla riduzione primordiale a sua volta “tematica” – alle
idealizzazioni storico-fattuali nelle scienze naturali e alle loro modalità
di apparizione, sempre legate a persone e prime scoperte. Il pieno
compimento del progetto della “critica” delle idealità è pertanto possibile
solo attraverso una scrittura della storia delle fondazioni originarie di
queste idealità e un ritorno al mondo della vita “pre-scientifico”. Con
ciò si intende il mondo della vita privato, attraverso l’astrazione, di tutti
gli elementi idealizzanti delle moderne scienze naturali.
5
L’idea della riduzione
In questo breve paragrafo ci si occuperà del tentativo di una caratterizzazione generale di ciò che è propriamente il metodo della riduzione.
Inoltre dobbiamo accennare cosa significa che una riduzione è “possibile”. Si tratta qui più precisamente della domanda su quali pretese
si possono avanzare verso il residuo dell’operazione riduttiva: questo
deve essere un “campo d’esperienza”, cioè deve essere intuitivo, ben
strutturato e relativamente indipendente da altri campi d’esperienza
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
17
L’idea della riduzione
(esperibile per sé). La domanda successiva è poi se una riduzione è
anche “efficace”, ovvero se il campo d’esperienza così rintracciato è in
generale in grado di offrire ciò che si desiderava, ossia la giustificazione
della posizione sottoposta a critica in datità intuitiva.
Voglio qui dapprima richiamare l’attenzione su un importante doppio
senso del discorso sulla riduzione, che comunque dovrebbe esser già
diventato chiaro: riduzione significa da una parte “ritorno” ad un
campo d’esperienza reso consapevolmente e metodicamente più povero
e d’altra parte la concreta “riconduzione” della posizione in esame alle
datità intuitive in questo campo d’esperienza.
Naturalmente si può anche indagare la questione se le riduzioni
husserliane abbiano eventualmente a che fare con il riduzionismo.
Qui sussiste però una fondamentale differenza di senso. Una variante
psicologico-sensualistica del riduzionismo potrebbe per es. identificare
un oggetto con la complessione dei dati sensibili che rappresentano
tale oggetto per un soggetto. L’affermazione sarebbe allora: l’oggetto
è questo complesso di dati – e nient’altro! La coscienza umana è un
complesso stato connettivo (Schaltzustand) di neuroni – e nient’altro!
L’idea husserliana di riduzione muove invece dall’evidenza che in ogni
nostra rappresentazione abbiamo a che fare con complesse operazioni
sintetiche che dobbiamo aver “da sempre già” compiuto per poter
percepire un oggetto. Si potrebbe dire che essa muove dall’evidenza che
la coscienza ha costituzionalmente a che fare con oggetti che nel loro
senso rivelano da sempre un di “più” di operazioni sintetiche che la
coscienza ha quindi “aggiunto” se si confronta l’oggetto pensato con le
direttive del campo d’esperienza sottostante.
È stato Kant a rimandare per primo alla necessità di un ritorno da
un oggetto già “pronto” nelle nostre sintesi soggettive, alle attività
sintetiche che hanno prodotto questa sintesi. La fruttuosa ricezione che
Kant fa dell’empirismo non è caratterizzata dall’assunzione di dati come
materiale dato e facilmente accessibile, ma dal puntuale svelamento
di azioni sintetiche, unificanti e connettenti. Naturalmente lo si può
criticare per aver diretto la sua giustificazione molto unilateralmente
sui concetti necessariamente usati per queste sintesi e sulla loro origine
nell’attrezzatura razionale umana. Husserl – come è noto in larga parte
senza l’influsso di Kant – va con la sua giustificazione nella direzione
delle datità intuitive.
Husserl seguì all’inizio piuttosto le prescrizioni dell’empirismo ed è
secondo me grazie al suo problematico tentativo di una “riduzione alla
componente reale” che egli giunge all’idea che l’economico programma empirista di una riconduzione di tutti i contenuti rappresentativi
alle impressioni corrispondenti, come è formulato per esempio da Hume, non basta alla fenomenologia. Si deve sempre anche risalire alle
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Dieter Lohmar
18
operazioni sintetiche della coscienza, in primo luogo all’operazione
dell’apprensione intenzionale, ma anche più precisamente a forme più
basse (per es. nella coscienza interna del tempo) o più alte (per es.
nell’intuizione categoriale) di operazioni sintetiche, e fare attenzione
ai loro modi di riempimento nei campi d’esperienza di volta in volta
diversi che forniscono l’intuizione. Con unicamente la mera sensibilità
come fondamento esperienziale di giustificazione non si va molto avanti.
Il motivo fenomenologico che precede le riduzioni e allo stesso tempo
si esprime in esse è l’idea che tutti gli oggetti del nostro pensiero rappresentano complesse operazioni sintetiche. Quando vogliamo mettere
alla prova il diritto di singole posizioni, dobbiamo revocare in certe
circostanze le operazioni sintetiche per poter contemplare il materiale
iniziale composto da sensibilità, motivazioni, esperienze ecc. che stanno alla base di questa posizione e possono fondare il suo diritto. La
riduzione è in questo senso un metodo de-sintetizzante. Tuttavia ciò
che possiamo ottenere in questo lavoro riflessivo e astrattivo non è
necessariamente già un “materiale grezzo” che potremmo anche avere dato in modo intuitivo senza che fosse avvenuta da parte nostra
un’operazione sintetica. Questo problema si è mostrato già chiaramente
nel progetto dell’esame di validità di apprensioni d’oggetto attraverso
la “riduzione alla componente reale”. Quando vogliamo tematizzare
“l’ombra” o i “riflessi” possiamo sempre afferrarli (in un modo certo
diverso). Questa idea rifiuta per così dire l’allettante e semplice pensiero
dell’empirismo che per esaminare la validità di rappresentazioni come
albero, casa, altra persona, diritto, Dio ecc. ci sia bisogno di guardare
soltanto ai dati sensibili dati attraverso i sensi. Al contrario: il terreno di
validità adeguato si può raggiungere solo attraverso un lavoro analitico,
riflessivo e riduttivo (de-sintetizzante). Inoltre il campo degli elementi
d’esperienza validanti non si deve cogliere in modo troppo ristretto:
si devono considerare anche le aspettative che traggono la loro giustificata motivazione dall’esperienza precedente. Emerge chiaramente
dalla riflessione sul senso della riduzione che si devono seguire tuttavia
determinate massime “ispirate empiristicamente” se si vuole usare
questo metodo nell’esibizione fenomenologica di validità. Si tratta per
lo più di massime di sobrietà epistemologica. Si potrebbe formulare la
seguente massima generale: determina nel modo più preciso possibile la
differenza tra la pretesa di una posizione e il riempimento effettivamente
dato. Una tale differenza c’è quasi sempre e talvolta la parte riempiente è
di una parsimonia addirittura spaventosa, come nel caso della causalità
quotidiana che non è nient’altro che una “abitudine” rilevata nella mia
esperienza delle cose – in contrapposizione alla rappresentazione delle
scienze naturali di una causalità universale esatta. Talvolta la parte
riempiente è di grande complessità ed esige sintesi di riempimento che
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
19
L’idea della riduzione
si estendono lungamente, come nel caso della verifica della posizione di
una certa soggettività nell’ulteriore agire e comportarsi della persona.
Alla fine della chiarificazione di senso di ciò che la riduzione vuole
e può essere stanno ancora alcune ulteriori riflessioni metodologiche.
La domanda più importante riguardo a una riduzione è se essa sia in
generale “possibile”, ovvero: il residuo della riduzione è un campo
d’esperienza ben strutturato, solido e stabile che può essere dato anche
“per sé”, ossia anche senza utilizzare implicitamente gli elementi di
senso astrattivamente ridotti? Mi spiego con alcuni esempi.
La “riduzione alla componente reale” sarebbe possibile qualora si
potessero avere e tematizzare datità reali anche se queste non sono
sottoposte ancora ad apprensione intenzionale. Questo campo di esperienza non può dunque essere dato “per sé”. Tuttavia non è inutile
tentare una “analisi differenziale” di apprensioni diverse che per esempio muove dall’idea che le “stesse” componenti reali restino anche
quando l’apprensione cambia.
Il residuo della riduzione primordiale è uno strato del mondo esperibile che io posso costituire “totalmente da solo”, senza prendere
in considerazione le operazioni costitutive di senso di altre persone.
La “natura primordiale” che io posso costituire col solo aiuto della
mia sensibilità, del mio corpo e della mia esperienza, sembra essere
sufficiente per questa pretesa. Una possibile obiezione consisterebbe nel
rilevare la necessaria partecipazione del linguaggio (il quale è da cima
a fondo intersoggettivo) e di concetti linguistici nella costituzione di
oggetti.
La riduzione di Logica formale e trascendentale e di Esperienza e giudizio
all’esperienza di oggetti individuali e concreti e all’esperienza antepredicativa di queste cose sembra a sua volta eseguibile come riduzione.
Quanto sia tuttavia faticoso giungere qui al successo, ossia essere effettivamente certi che nessuna delle componenti di senso implicite già
contenga idealizzazioni è mostrato dai travagli della Krisis.
Un’ulteriore e non meno importante domanda metodologica concerne
l’efficacia del campo d’esperienza raggiunto di volta in volta dalla
riduzione. A tal proposito considero una riduzione “efficace” quando
la posizione da esaminare può effettivamente essere riportata al suo
fondamento di validità in questo campo d’esperienza. Questo è in
questione in tutte le riduzioni. Si può anche formulare questo criterio in
modo “più morbido” nel momento in cui si ammettono nell’esperienza
validante criteri più ampi. 11
11 Un esempio di questa strategia si trova al testo 14 di Hua XV, p. 196-214 nel quale Husserl tenta di
derivare una motivazione fondata nell’esperienza per la posizione dell’infinità del tempo (e dello spazio)
sul terreno d’esperienza della catena delle generazioni così come sono vissute quotidianamente: intuiamo
essenzialmente che ogni uomo deve aver una madre “e così via”! Husserl trae da ciò una conclusione
positiva: “per la temporalità abbiamo le generazioni” (Hua XV, 206) – quanto meno per l’infinità del tempo
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Dieter Lohmar
20
Nell’insieme di quanto visto, la fenomenologia di Husserl offre un
piano ambizioso di “critica”, ossia di determinazione della validità e
dei limiti della validità delle nostre pretese conoscitive. In tal modo la
fenomenologia con il metodo della riduzione avanza giustamente la
pretesa di essere filosofia trascendentale, sebbene Husserl non si accorga
sin dall’inizio dell’opportunità di questa caratterizzazione. Il metodo
qui fondamentale è il ritorno a un campo di esperienza nel quale la
posizione la cui validità è da provare non è ancora contenuto. Solo
nell’analisi costitutiva su un tale terreno di esperienza non si compie
alcuna petitio principii nell’esibizione della validità.
Literatur
Husserl, E. 1973a, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass,
hrsg. von I. Kern, Bd. Dritter Teil: 1929-1935, Husserliana XV, M. Nijhoff, Den
Haag. Hua XV.
Husserl, E. 1973b, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass;
Dritter Teil: 1929-1935, hrsg. von I. Kern, Bd. Zweiter Teil: 1921-1928, Husserliana
XIV, M. Nijhoff, Den Haag. Hua XIV.
Husserl, E. 1974, Erfahrung und Urteil, Meiner, Hamburg. EU.
Husserl, E. 1984, Logische Untersuchungen, hrsg. von U. Panzer, Bd. Zweiter Band and
Erster Teil, Husserliana XIX/1, M. Nijhoff, Den Haag. Hua XIX/1.
Lohmar, D. 2011, „Zur Vorgeschichte der transzendentalen Reduktion in den Logischen
Untersuchungen. Die unbekannte ,Reduktion auf den reellen Bestand’“, in Husserl
Studies, 28/1, S. 1–24.
passato in quanto per l’estensione delle generazioni nel futuro vengono anche a Husserl alcuni dubbi (cfr.
Hua XV, 210-214).
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)