Leggi la ricerca - La Finanza Islamica Magazine

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Università degli Studi di Torino
Dipartimento di Storia
Laurea Triennale in Storia
Al-ribā, l'usura.
Moderne obiezioni alla proibizione dell'interesse nell'Islam
Relatore:
Natale Spineto
Correlatori:
Francesca Bellino
Paolo Pietro Biancone
Candidato
Vittorio NIGRELLI
Matricola n° 747983
A Vittorio Nigrelli (1937-2014),
Graziella Rapalino Nigrelli,
Sergio Sartoris, Bruna Sartoris
e l'inossidabile Giovanna Magoga.
Per ogni nipote un solo nonno
è già una buona cosa. Averne
un piccolo plotone è straordinario.
Indice
Introduzione................................................................................................................. p. 1
Cap. I - La ribā: definizione e fonti per la sua proibizione
1. Definire la ribā...................................................................................................... p. 6
1.1 Due (o tre) tipi di ribā............................................................................... p. 7
1.1.1 La ribā al-nasiʻa................................................................... p. 8
1.1.2 La ribā al faḍl....................................................................... p. 9
1.1.3 La ribā al-ǧāhiliyya............................................................ p. 10
2. La ribā nella tradizione islamica......................................................................... p. 11
2.1 La ribā nel Corano................................................................................... p. 11
2.1.1 Sura al-rūm......................................................................... p. 12
2.1.2 Sura al-nisāʼ........................................................................ p. 14
2.1.3 Sura ālʻImrān...................................................................... p. 14
2.1.4 Sura al-baqara.................................................................... p. 16
2.2 La ribā negli ḥadīṯ................................................................................... p. 18
2.2.1 I detti del Profeta................................................................ p. 19
2.2.2 L'ultimo ḥaǧǧ...................................................................... p. 20
2.3 La ribā nella tradizione giuridica islamica.............................................. p. 21
Cap. II - Conseguenze della proibizione della ribā sul piano economico
1. Un cambiamento di prospettiva........................................................................... p. 24
1.1 Una finanza etica, una banca islamica..................................................... p. 25
2. Aggirare il divieto o pensare un nuovo sistema?................................................ p. 27
2.1 Il Profit and Loss Sharing (PLS)............................................................. p. 28
2.1.1 Il mushāraka....................................................................... p. 29
2.1.2 Il muḍāraba........................................................................ p. 30
2.1.3 Il sukuk................................................................................ p. 31
2.2 Espedienti (ḥiyal) e «tecniche di seconda linea»..................................... p. 33
2.2.1 Il murābaha....................................................................... p. 34
3. La nascita della finanza islamica......................................................................... p. 37
3.1 Le ragioni................................................................................................ p. 37
3.2 Lo sviluppo delle istituzioni finanziarie interest-free.............................. p. 38
3.3 A Oriente del Profeta.............................................................................. p. 40
3.3.1 Il Pakistan e una proibizione imposta................................. p. 40
3.3.2 La Malaysia e una proibizione permessa............................ p. 42
3.4 Nessun ostacolo, nessun favoritismo........................................................p. 44
Cap. III - Le moderne obiezioni alla proibizione dell'interesse
1. Riprendere le fonti............................................................................................... p. 47
1.1 La ribā è solo al-ǧāhiliyya...................................................................... p. 50
1.2 Al-Ǧassās: un punto di non ritorno ......................................................... p. 51
1.3 Ḥadīṯ problematici................................................................................... p. 54
2. L'interesse nel sistema bancario moderno............................................................p. 55
2.1 Ricchi che prestano a poveri?...................................................................p. 56
2.2 Interesse nominale e interesse reale........................................................ p. 58
2.3 L'interesse come segnale per gli agenti economici................................. p. 60
2.4 L'interesse all'interno degli strumenti islamici........................................ p. 61
Conclusioni................................................................................................ p. 64
Ringraziamenti........................................................................................ p. 67
Bibliografia............................................................................................... p. 69
Introduzione
Il n'est point de question plus importante
que celle que nous entreprenons d'exposer.
Il n'est pas un théologien qui, en l'abordant,
n'éprouve un sentiment d'inquiétude.
Dictionnaire de théologie morale1
Ribā è un termine arabo che viene solitamente tradotto in italiano come «usura» e «tasso
d'interesse». Alcune considerazioni su questi due termini potrebbero risultare utili. L'usura
è comunemente definita come la pratica di prestare denaro a un dato interesse, il quale
viene giudicato da uno degli agenti economici, o da un'autorità legislativa, come
esagerato. La cosiddetta soglia d'usura è variabile: molti fattori infatti influenzano il
significato di «esagerato», non ultima la condizione economica del debitore al momento
della riscossione. Quand'è che un tasso d'interesse comincia a essere considerato «usura»?
Quando oltrepassa il dodici per cento? Il trenta? Il cinquanta? Le varie legislazioni dei
diversi paesi hanno offerto risposte differenti al problema. Nell'ordinamento italiano, ad
esempio, la legge 7 marzo 1996, N. 108, all'articolo 2 comma 1 e 4, stabilisce qual è la
soglia d'usura:
Il Ministro del tesoro, sentiti la Banca d'Italia e l'Ufficio italiano dei cambi, rileva
trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di
remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad
anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli
elenchi tenuti dall'Ufficio italiano dei cambi e dalla Banca d'Italia ai sensi degli articoli
106 e 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nel corso del trimestre
precedente per operazioni della stessa natura. I valori medi derivanti da tale rilevazione,
corretti in ragione delle eventuali variazioni del tasso ufficiale di sconto successive al
trimestre di riferimento, sono pubblicati senza ritardo nella Gazzetta Ufficiale.
1 Nicolas Sylvestre, Bergier, Dictionnaire de théologie morale, t. II, Paris, 1862. Citato in Paola, Vismara,
Oltre l'usura, Soviera Manelli (Catanzaro): Rubbettino, 2004, p. 10.
1
[…] Il limite previsto dal terzo comma dell'articolo 644 del codice penale, oltre il quale
gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall'ultima
rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla
categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà. 2
La soglia d'usura sarebbe quindi uguale al tasso d'interesse medio che risulta dalle
rilevazioni della Banca d'Italia e dell'Ufficio dei Cambi, aumentato della metà. Dal 2011 è
però cambiato il metodo: si aumenta il tasso medio di un quarto, cui si aggiunge un
margine di ulteriori quattro punti percentuali. Inoltre, la differenza tra il limite e il tasso
medio non può essere superiore a otto punti percentuali.
L'usura vi è dunque quando il tasso d'interesse viene considerato troppo alto, e questa
considerazione è estremamente variabile, da paese a paese, tra un periodo storico e l'altro, e
perfino quando un'autorità decide di stabilirla. Qualunque metodo si impieghi, comunque,
non cambia l'idea di fondo, ovvero che un dato interesse sia più alto del dovuto.
Seguendo questo ragionamento, diversi autori musulmani, quando scrivono in inglese o
francese, definiscono legittimamente «usura» ogni tipo di interesse. Nel loro caso, una
qualsiasi percentuale superiore allo zero è più alta del dovuto.
Una questione solo islamica?
Affermazioni a proposito dell'identità tra interesse e usura non sono una prerogativa
esclusiva degli studiosi musulmani3. Forme di proibizione o limitazione del tasso
d'interesse, considerato usurario o meno, sono presenti anche nel Codice di Hammurabi
(Articolo 93), in alcune leggi promulgate da Re Bocchoris della ventiquattresima dinastia
d'Egitto e nelle 12 Tavole dei Romani4.
I tre “grandi monoteismi” hanno opposto una (più o meno) strenua resistenza all'imporsi di
sistemi economici interest-based, per primi gli ebrei, presso cui non era concesso prestare
ad interesse ai propri correligionari secondo quanto stabilito nell'Antico Testamento5. Per
quanto riguarda i cristiani, come afferma Vismara:
2 Gazzetta Ufficiale n.58 del 9-3-1996 - Suppl. Ordinario n. 44.
3 Mervyn, Lewis, “Comparing Islamic and Christian attitudes to usury”, in Kabir, Hassan, e Mervyn, Lewis
(a cura di), Handbook of Islamic banking, Northampton (Elgar): Cheltenham, 2007, pp. 64-81.
4 Saleh, Nabil, Unlawful gain and legitimate profit in islamic law: ribā , gharar and islamic banking,
Cambridge: Cambridge University Press, 1986, p. 27.
5 Esodo 22, 24; Levitico 25, 35-37; Deuteronomio 23, 20-21.
2
«Sin dai tempi della Patristica, l'usura fu posta sul medesimo piano del furto, del
latrocinio e del brigantaggio». 6
Già durante i primi Concili si riprendevano i passi dell'antico Testamento, per renderli
universalmente validi alla luce del messaggio di Gesù, estendendo la proibizione ebraica al
di fuori della comunità religiosa:
Observez que Dieu a defendu aux juifs d'exiger l'usure de leur frère […]; mais
Jésus-Christ a renversé par sa mort la muraille des divisions pour ne faire plus
qu'un peuple, qu'une famille, qu'un corp, qu'une Eglise des juifs e des gentils 7.
La convinzione radicata della sterilità del denaro, e quindi della impossibilità di trarne
profitto in maniera legittima senza legarlo a qualche fonte di guadagno reale, impediva di
accettare le distinzioni tra prestito al consumo e prestito d'investimento. Il dibattito
riguardante i prestiti ad interesse ebbe il suo punto di non ritorno nel 1745, sotto il papato
di Benedetto XIV, con la promulgazione della bolla Vix Pervenit, che prendendo atto di un
processo non più evitabile, legittimava l'utilizzo di contratti contenenti forme d'interesse.
Stessa strada, mezzi diversi per percorrerla
L'evoluzione del dibattito riguardante l'interesse non ha avuto unicamente all'interno del
mondo cristiano tale preponderanza. La presente tesi è dedicata ad aspetti differenti
dell'attuale proibizione dell'interesse nell'Islam. La questione è di cruciale importanza da
un punto di vista economico: un settore che vale oltre 2.000 miliardi di dollari di asset
infatti è nato e si sviluppa a partire da questa e altre proibizioni.
Nel primo capitolo è preso in analisi il processo di formazione della definizione della ribā,
attraverso tre dei quattro strumenti principali del diritto musulmano: nell'analisi di questa
dissertazione si è deciso di escludere, infatti, il consenso generale, privo di un'effettiva
misurabilità e influenza nelle interpretazioni del concetto. Da questi strumenti derivano le
tre definizioni di ribā, sviluppate a partire dalle quattro sure in cui essa viene citata; dai più
importanti ḥadīṯ; e dal ragionamento analogico.
Nel secondo capitolo, dedicato interamente alla finanza islamica, vengono descritte le
6 Paola, Vismara, Oltre l'usura, Soviera Manelli (Catanzaro): Rubbettino, 2004, p.11.
7 Jean-Baptiste, La Porte, Principes théologiques, canoniques et civils sur l'usure, Paris: Delevaque, 1769.
Citato in Paola, Vismara, Oltre l'usura, Soviera Manelli (Catanzaro): Rubbettino, 2004, p. 20.
3
conseguenze che questa proibizione ha avuto sull'economia contemporanea, prima nei
paesi musulmani e poi nel resto del mondo. Viene illustrato il funzionamento di alcuni
contratti interest-free, e delineati i tratti fondamentali dello sviluppo dell'industria
finanziaria islamica. Si è scelto di presentare tre casi studio, tre nodi nevralgici del sistema
finanziario islamico: Bahrain, Gran Bretagna e Malaysia. Vengono a questo proposito
illustrate le caratteristiche che oggi permettono agli economisti musulmani di ritenere che
questi paesi rappresentino casi di successo.
Infine nel terzo capitolo, riprendendo alcuni temi precedentemente affrontati, vengono
presentate le moderne obiezioni alla proibizione dell'interesse, nonché le critiche
all'identificazione di questo con il termine coranico ribā. I filoni di critica si sono dipanati
seguendo vie diversissime. Alcuni studiosi hanno ripreso l'esegesi di antichi commentatori,
in particolare Al-Ǧassās8 (m. 981), per determinare se questo vero e proprio pilastro della
tradizione giuridica islamica sia una fonte affidabile. Altri hanno analizzato a fondo la
composizione dell'interesse moderno, concludendo che oggi ci si trova di fronte a qualcosa
di completamente diverso dall'oggetto della proibizione coranica.
La tesi è nel suo complesso un tentativo di descrivere la proibizione della ribā in maniera
interdisciplinare, prendendone in considerazione aspetti storici, economici e giuridici. Per
questo motivo si è reso necessario l'utilizzo di lenti diverse per ognuno dei tre capitoli. Nel
primo è stato cruciale tornare alle fonti arabe, in particolare per quanto riguarda il Corano,
analizzando i testi con l'ausilio di esegeti vissuti nel corso del '900. La questione è stata
resa complessa sia dalla ricchezza della lingua coranica, sia dall'ampia letteratura esistente
su ogni singolo passaggio. Lo studio della lingua araba è stato un prerequisito
fondamentale necessario alla comprensione di alcuni degli aspetti più importanti della
questione. Per le traduzioni del Corano è stata usata la versione di Mandel 9: questa scelta
inusuale, dovuta in parte al minor uso di traduzioni libere, comporta alcuni accorgimenti,
in particolare riguardo alla resa della parola ribā in italiano.
Nel secondo capitolo la ricerca si è mossa a partire da pubblicazioni scientifiche
riguardanti la finanza islamica, articoli specialistici e l'approfondimento di alcuni temi
svolto negli elaborati degli studenti del corso di Finanza Islamica dell'Università di Torino,
anno accademico 2014/2015. L'elemento di maggiore difficoltà in questo caso è consistito
8 Nelle citazioni da autori anglofoni la traslitterazione del nome è “Al Jassas”.
9 Gabriele, Mandel (traduzione di), Il Corano, Lavis (TN): Utet, 2006.
4
nella rapidità con cui il mondo finanziario ha cambiato aspetto nel corso degli ultimi dieci
anni, un fattore che ha reso utilizzabili testi pubblicati nel 2007 o prima solo dopo
un'attenta valutazione. Nel terzo capitolo, infine, gli strumenti principalmente utilizzati
sono stati i più importanti articoli scientifici indirizzati contro la proibizione dell'interesse,
selezionati tra le pubblicazioni degli ultimi sessant'anni. Il materiale ampio ed eterogeneo
ha richiesto un'organizzazione per argomenti e non per autore, in quanto diversi studiosi
hanno impiegato spesso gli stessi argomenti con differenze trascurabili.
5
Capitolo I
La ribā: definizione e fonti per la sua proibizione
«Credenti, temete Dio e rinunciate al profitto
dell'usura10, se siete credenti. E se non
lo fate, allora ricevete una guerra da
parte di Dio e del Suo Messaggero»11
(Cor. II:278-27912 )
1. Definire la ribā
Nella tradizione islamica, la ribā è considerata un peccato. Per la precisione uno dei “sette
odiosi peccati” (in ar. al-sabaʻ al-mubiqāt)13, i quali includono: credere in un altro dio al di
fuori di Allāh; compiere magie; sottrarre denaro agli orfani; fuggire dal campo di battaglia;
diffamare una donna pia e casta; uccidere; e, per l'appunto, “divorare” 14 la ribā. Al di là di
questo, come si scriveva nell'introduzione, le traduzioni comunemente accettate di ribā
sono «interesse» e «usura». Schacht, nella sua Introduzione al Diritto Musulmano,
definisce la ribā come un
«vantaggio patrimoniale senza corrispettivo, stipulato a favore di una delle due
parti contraenti nello scambio di due prestazioni di natura pecuniaria»15,
inserendola nella categoria generale dell'arricchimento ingiustificato (faḍl māl bi-lā ʿiwad).
La parola ribā è ritenuta dalla comunità di studiosi musulmani, per ragioni che si
10 Nelle traduzioni di Mandel viene utilizzata la parola usura per tradurre ribā, un fatto che non verrebbe
considerato accettabile dalla maggior parte degli studiosi musulmani anglofoni, i quali preferiscono
interest. La questione della traduzione ha effetti rilevanti sulle diatribe tra studiosi, presentate nel terzo
capitolo.
11 Le traduzioni del Corano contenute nella tesi provengono tutte dal seguente volume: Gabriele, Mandel
(traduzione di), Il Corano, Lavis (TN): Utet, 2006.
12 Nella presente tesi viene adottato il sistema di riferimento secondo il quale la sura è indicata in numeri
romani mentre il versetto o i versetti in numeri arabi.
13 Ṣaḥīḥ Al-Bukhārī, ḥadīṯ 8.840.
14 Il verbo arabo che spesso viene utilizzato in accordo con ribā è «mangiare», «divorare», «consumare»,
tutte traduzioni utilizzate nelle versioni italiane del Corano.
15 Joseph, Schacht, Introduzione al diritto musulmano, trad. it. Paola Guazzotti e Enrico Lanfranchi, Torino:
Edizioni della Fondazione Agnelli, 1995, p. 154 (ed. orig. An Introduction to Islamic Law, Oxford:
Claredon Press, 1964).
6
comprenderanno più avanti, un termine ambiguo (muǧmāl). Così come verrà mostrato nel
corso del presente capitolo, infatti, le fonti primarie per la sua definizione e interpretazione
lasciano molto spazio al ragionamento personale e alla discussione. Questa discussione
viene troppo spesso chiusa con scarsa prudenza tramite il liberale utilizzo del concetto di
«consenso generale»16. Dei quattro strumenti del pensiero giuridico musulmano (Corano,
Sunna, analogia e, appunto, consenso generale) quest'ultimo è quello che mostra più segni
di debolezza, almeno quando si giunge a discutere della proibizione dell'interesse.
1.1 Due (o tre) tipi di ribā
I tradizionalisti affermano che esistano due tipi differenti di ribā, entrambi ḥarām (=
vietato17), ma con caratteristiche diverse: la ribā al-nasiʻa (= ribā del differimento) e la
ribā al-faḍl. La prima è quella descritta nei versetti coranici, la seconda è oggetto degli
ḥadīṯ. Esiste un terzo tipo, tuttavia, solitamente assimilato alla ribā al-nasiʻa. Alcuni autori
classici, come lo hanbalita Ibn Qayyim al-Ǧawziyya (m. 1350), hanno trattato questa
tipologia separatamente, con potenti ripercussioni sulle interpretazioni della proibizione: la
ribā al-ǧāhiliyya18. Quest'ultima viene fatta risalire al periodo pre-islamico, la cosiddetta
Età dell'Ignoranza (al-ǧāhiliyya), e secondo gli autori che ne accreditano l'esistenza, è
questa la ribā cui si allude nel Corano, mentre gli altri due tipi verrebbero riportati solo
negli ḥadīṯ. Dati questi tre tipi principali, esistono miriadi di possibili applicazioni. Lo
stesso Profeta ha avvertito i musulmani: esistono settanta modi attraverso i quali la ribā
può corrompere la bontà delle transazioni economiche. Per comprendere la serietà del
divieto, basti riprendere Ibn Māǧah, l'ultimo muḥaddiṯ autore di ḥadīṯ ritenuti autentici, il
quale riporta le parole di Abū Hurayra:
«Il Profeta disse: la ribā ha settanta segmenti [n.d.a. modi di manifestarsi], e il
meno grave equivale a commettere adulterio con la propria madre» 19.
Secondo un'altra tradizione, ricevere un dirham di ribā è considerato un peccato peggiore
16 Mohammad Omar, Farooq, The Riba-Interest Equivalence: Is there an iǧmāʻ (consensus)?, Transnational
Dispute Management, 2007.
17 In questo caso la traduzione è “vietato”, ma il significato è molto più ampio.
18 Nabil, Saleh, Unlawful gain and legitimate profit in islamic law: ribā , gharar and islamic banking,
Cambridge: Cambridge University Press, 1986, p. 13.
19 Lo stesso episodio è citato, con trascurabili differenze nella scelta dei termini, da Al-Tirmiḏī: ḥadīṯ 2826.
7
che commettere adulterio trentasei volte, vietato tanto categoricamente quanto l'uso di
tatuaggi, la prostituzione e la produzione di icone 20. Secondo un'altra tradizione, una volta
all'Inferno gli intestini dei trasgressori verranno divorati dalle serpi, e queste dall'interno
scaveranno per uscire alla luce21. Pur essendo consapevole dell'estrema gravità della
pratica, Muḥammad non è tuttavia entrato nei dettagli di ogni singolo caso, e non ha
definito chiaramente cosa sia ribā e cosa non lo sia. In un ulteriore ḥadīṯ, proveniente dalla
raccolta di Ibn Māǧah, ʻUmar ibn Khaṭṭāb anticipa il pensiero di molti giuristi che negli
ultimi sessant'anni hanno dedicato decine di lavori all'argomento:
«vi sono tre argomenti, sui quali se il Messaggero di Allāh avesse fatto
chiarezza, mi sarebbe stato più caro che il mondo e tutto quello che vi è
contenuto: colui il quale non lascia eredi, la ribā e il califfato»22.
1.1.1 La ribā al-nasiʻa
La ribā al-nasiʻa, una delle due tipologie generalmente accettate, si caratterizza per la
radice «n-s-ʻ» indicante differimento, posticipazione o attesa. Il termine si riferisce al
tempo concesso al debitore per saldare il debito, da ripagare con un premio, e viene
identificato con il tasso d'interesse nei prestiti. Secondo buona parte degli studiosi, è in
questo senso che la parola ribā è utilizzata in un versetto della sura al-baqara: «Allāh ha
permesso il commercio e ha proibito la ribā». Gli Ibaditi vietano soltanto questo tipo di
ribā, come emerge dallo ḥadīṯ tramandato da Ibn ʻAbbas:
Usāma b. Zayd e Zayd b. Arqām avevano acquistato oro e argento, scambiando
un ammontare maggiore di polvere d'oro finissima contro uno minore dello
stesso metallo. Tra i compagni dell'Inviato di Dio, Anās trovò da ridire contro di
loro, allora Usāma si recò dal Profeta e lo interrogò in meritò. Gli disse il
Profeta: «Lo scambio è avvenuto senza intervallo di tempo?». Rispose «Sì!».
Disse il Profeta «Allora non c'è nulla da obiettare»23
20 Ṣaḥīḥ Al-Bukhārī, ḥadīṯ 7.259.
21 Al-Tirmiḏī, ḥadīṯ 2.828.
22 Ibn Māǧah, Sunan Ibn Maǧah: Book of Inheritance, ḥadīṯ n. 2027, citato in Mohammad Farooq, “Riba,
Interest and Six Hadiths: Do We Have a Definition or a Conundrum?”, Review of Islamic Economics, 13,
1 (2009), pp. 105-141. Trad. it. dello scrivente.
23 Citato in Francesca, Ersilia, Economia, religione e morale nell'Islam, Roma: Carocci Editore, 2013, p. 43.
8
La portata della proibizione della ribā al-nasiʻa è subito estraniante. Mutui, obbligazioni,
finanziamenti si fondano tutti sul funzionamento del tasso d'interesse. Proibirla significa
improvvisamente non potersi avvalere di nessuno di questi strumenti, almeno nella loro
forma convenzionale.
1.1.2 La ribā al-faḍl
La seconda ribā sulla quale gli studiosi trovano solitamente consenso, è definita dalla
radice «f-ḍ-l», richiamante i concetti di eccesso e surplus. Secondo la vulgata è il tipo di
ribā che viene descritto negli ḥadīṯ, ma al di là di questo, la sua definizione pone non pochi
problemi. Persino Muḥammad Umer Chapra, uno dei più rispettati teorici della finanza
islamica, ha affermato che la ribā al-faḍl, coinvolgendo un vastissimo numero di
transazioni e pratiche commerciali, non è facile da definire 24. Mawdudi la descrive come
l'eccesso che occorre quando due articoli dello stesso genere vengono scambiati sul
momento; una pratica proibita dal Profeta, poiché indurrebbe a pensare solo al guadagno,
facendo crescere negli uomini l'abitudine di sfruttare il sud, termine urdu che indica
«interesse».25 Tuttavia, oltre che riferirsi al baratto e ad altri tipi di vendite, la ribā al-faḍl si
configura in generale come un «incremento illecito», ovvero quale l'elemento d'ingiustizia
all'interno d'una transazione. Conseguentemente, ogni tipo di incremento in qualche modo
ingiusto potrebbe essere considerato ribā al-faḍl.
Ribā al-faḍl è accettare un regalo da qualcuno a cui è stato concesso un favore, dare delle
sementi in cambio di una maggiore quantità di grano al momento del raccolto, sublocare a
un terzo un immobile per una somma maggiore rispetto a quella del primo contratto di
locazione. Anche creare un monopolio è ribā al-faḍl. Imad-ad-Dean Ahmad, che tuttavia
non può essere considerato parte di una maggioranza all'interno della comunità di studiosi,
ritiene che alcune politiche monetarie particolarmente inflattive possano ricadere in questa
categoria26. Questi sono solo alcuni esempi, non tutti i settanta «segmenti» della ribā sono
24 Muḥammad Umer, Chapra, “The Nature of ribā in Islam”, The Journal of Islamic Economics and
Finance (Bangladesh), 2, 1 (2006), p. 7.
25 «Ribā al-faḍl is the excess which accrues when two articles of the same kind are exchanged from hand to
hand. The Prophet has forbidden it, because it opens the door to acquiring more and more, and breeds in
man a mental attitude which ultimately ends in living on sud (interest)»
Mawududi, Sud, Lahore, 1961, p.149.
26 Imad-ad-Dean, Ahmad, Riba and interest: definitions and implications, Herndon (Virginia): 22nd
Conference of American Muslim Social Scientists Conference, 1993.
9
stati definiti, tanto che alcuni studiosi, come Chapra27, ritengono che il termine «settanta»
utilizzato dal Profeta voglia intendere «molti». Lo stesso autore individua altri tre casi
specifici di ribā al-faḍl che il Profeta avrebbe bandito: la truffa di un ingenuo avventore al
mercato, l'accettazione di una somma di denaro in cambio di una raccomandazione 28, il
baratto durante il quale si effettuano misurazioni imprecise. In ogni caso è chiaro che,
secondo la comunità di studiosi, la proibizione della ribā non riguarda soltanto i prestiti ad
interesse, ma il campo ben più vasto, e dai confini indefiniti, del guadagno illegittimo;
illegittimo perché considerato eccessivo. È evidente quanto questa definizione (o meglio,
non-definizione) presti il fianco a interpretazioni motivate da sensazioni soggettive rispetto
a cosa è eccessivo. Non a caso i più importanti critici della proibizione dell'interesse hanno
dedicato molte pagine per contestare persino l'effettiva presenza di tale tipo di ribā nelle
fonti primarie.
1.1.3 La ribā al-ǧāhiliyya
Come suggerito dal termine ǧāhiliyya, è la ribā del periodo pre-islamico, al centro di un
dibattuto riconoscimento da parte della comunità di studiosi, ed è ritenuta simile
all'interesse composto. Abdullah Saeed, autore di quello che forse si può ritenere il più
completo studio contemporaneo sulla questione della ribā, riporta un brano di Ibn Haǧār, il
quale spiega in maniera chiara il funzionamento di questo genere di ribā.
Ribā in the pre-Islamic period consisted of the doubling and redoubling [of
money and commodities], and in the age [of the cattle]. At maturity, the creditor
would say to the debtor, 'Will you pay me, or increase [the debt]?' If the debtor
had anything he would pay. Otherwise, the age of the cattle [to be repaid] would
be increased... If the debt was money or a commodity the debt would be
doubled to be paid in one year, and even then, if the debtor could not pay, it
would be doubled again; one hundred in one year would become two hundred.
If that was not paid, the debt would increase to four hundred. Each year the debt
would be doubled.29
27 Muḥammad Umer, Chapra, “The Nature of ribā in Islam”, The Journal of Islamic Economics and
Finance (Bangladesh), 2, 1 (2006), p. 5.
28 Abu Dawood, ḥadīṯ n. 3534.
29 Ibn Haǧar, Tahḏib, in Abdullah Saeed, Islamic Banking and Interest: A Study of the Prohibition of ribā
10
Ricapitolando, quando stipulato un contratto di prestito, al momento della riscossione del
debito, il debitore non ha la possibilità di pagare. Il creditore propone quindi di dilazionare
il pagamento, chiedendo però un aumento del tasso d'interesse. Un aumento esorbitante,
sembra di capire, se nel Corano si usano per descriverlo parole derivanti dal verbo di
seconda forma daʿʿafa, i cui primi significati sono «raddoppiare» e «moltiplicare». La ribā
al-ǧāhiliyya consisterebbe quindi in una forma di interesse sul montante talmente alta (del
100% e più) da essere facilmente definibile come usuraria e ingiusta. L'ingiustizia
connessa a questa transazione ribā-based è per Mohammad Farooq, professore della Iowa
University, ovvia a tal punto da necessitare difficilmente di ulteriori spiegazioni30.
2. La ribā nella tradizione islamica
Le fonti cui attingono i giuristi musulmani per la creazione di un diritto positivo (sharī‘a)
sono il Corano e gli ḥadīṯ. A questi si aggiungono, per permettere alla sharī‘a di coprire più
vaste aree del diritto, il consenso generale (iǧmāʻ) e l'analogia (qiyās). Le prime due
vengono considerate dai giuristi musulmani come «primarie», mentre le seconde come
«secondarie» o «derivanti». Nei paragrafi che seguono verranno esaminati i riferimenti alla
ribā nel Corano, negli ḥadīṯ e come il qiyās sia stato applicato alla questione.
2.1 La ribā nel Corano
La radice «r-b-w», da cui deriva la parola ribā, è impiegata nel Corano venti volte, con
significati variabili che vanno da «crescere», «aumentare» a «essere grande». In definitiva,
il significato generale è «aumentare in qualità o quantità». Il termine ribā invece è riportato
otto volte31. Il Corano contiene versetti riguardanti la ribā in quattro sure: al-rūm, al-nisāʼ,
āl ʻImrān e al-baqara. Com'è noto le sure non sono ordinate in ordine cronologico, ma di
lunghezza, dalla sura più lunga a quella più corta, con l'eccezione della prima, la sura alfatiha, «l'aprente». Vi sono importanti differenze tra le sure più antiche, rivelate alla
Mecca, e quelle medinesi, rivelate nel corso dell'egira. Nelle prime infatti vengono elargiti
per lo più consigli di buona condotta e regole generiche, mentre nelle seconde sono
contenute norme e divieti ben più vincolanti. Il climax di severità che si può osservare
and its Contemporary Interpretation, Leiden: Brill, 1996, p. 22.
30 Mohammad Omar Farooq, “Stipulation of Excess in Understanding and Misunderstanding ribā: The AlJassas Link”, Arab Law Quarterly, 21 (2007), p. 287.
31 Abdullah, Saeed, Islamic Banking and Interest: A Study of the Prohibition of ribā and its Contemporary
Interpretation, Leiden: Brill, 1996, p. 20.
11
leggendo in ordine cronologico le quattro sure, permette di osservare come la proibizione
sia stata raggiunta tramite un processo graduale. Interessante è un parallelo con la
proibizione del vino. Come sottolinea Draz:
Le ton législatif de chaque étape dénote un parallélisme étonnant avec la
législation correspondant aux boissons alcoolisées32.
Da un semplice ammonimento riguardante il fatto che la zakāt è gradita ad Allāh mentre la
ribā non lo è, si arriva alla tremenda minaccia contenuta nei versetti citati all'inizio del
capitolo, dove si minaccia una guerra da parte di Allāh nei confronti dei trasgressori.
2.1.1 Sura al-rūm
La prima delle sure prese in considerazione è la sura al-rūm33. La maggior parte dei
commentatori ritiene che i suoi 60 versetti siano stati rivelati alla Mecca 34, verso il quarto o
quinto anno dell'egira. I versetti meccani contengono in parte una denuncia dell'ingiustizia
sociale dell'epoca, il comportamento non etico dei commercianti che baravano sul peso e
sulle misurazioni e l'avidità dei «ricchi». La periodizzazione della sura viene utilizzata da
Nabil Saleh35 per contestare il rapporto di causalità tra il bisogno di finanziamenti di
Muḥammad da parte degli ebrei di Yathrib 36 e la proibizione della ribā. È stata avanzata
infatti l'ipotesi che la proibizione fosse funzionale alle contingenze storiche affrontate da
Muḥammad37, il quale era nella necessità di ricevere ingenti prestiti a tassi d'interesse bassi,
o meglio ancora nulli. Questa opinione è espressa da Rodinson in Islam e Capitalismo,
dove egli afferma che la ragione del divieto sarebbe del tutto incidentale:
«Agli ebrei si rimprovera, inoltre, di violare le leggi ebraiche che vietano
l'usura. Non è impossibile, come taluno ha proposto, che il fine ultimo fosse
quello di stigmatizzare – in un periodo in cui la piccola comunità musulmana,
32 Mohammad, Draz, Arribā: L'usure dans le droit musulman, Paris: Arrissala, 2012, p. 25.
33 Per rum 'intendono «Bizantini», in quanto nella sura si fa riferimento alla vittoria del re sassanide Cosroe
sull'imperatore Eraclio (614 d.C).
34 Con l'eccezione del versetto 17, rivelato a Medina.
35 Nabil, Saleh, Unlawful gain and legitimate profit in islamic law: ribā , gharar and islamic banking,
Cambridge: Cambridge University Press, 1986, p. 11.
36 Conosciuta dopo l'egira come «Medina».
37 Ovvero il proseguimento delle ostilità contro i Quraysh.
12
povera e circondata da nemici a Medina, tentava faticosamente di raccogliere
fondi presso i «simpatizzanti» – coloro che, a condizioni ragionevoli,
rifiutavano un prestito»38.
Sostenendo la correttezza del ragionamento dell'autore francese, Schacht ritiene che il
divieto di ribā sia chiaramente da mettere in relazione al fatto che Muḥammad fosse
entrato in contatto con la dottrina e l'ortoprassi ebraica a Medina e non sarebbe quindi da
collegarsi alla sua precedente reazione di fronte alle pratiche commerciali abituali alla
Mecca39. Una critica congiunta che può essere intesa come volta all'eliminazione della
proibizione, in quanto oggi sarebbero venute meno le motivazioni che portarono alla
rivelazione dei versetti; o anche un modo per sminuire le ragioni della proibizione stessa.
Tuttavia, come messo in luce da Saleh, la suddetta proibizione non aveva come obbiettivo
colpire in particolare gli ebrei. Esistono più argomenti per sostenere questa tesi. Per prima
cosa, la prima rivelazione riguardante la ribā discese quando il Profeta si trovava ancora
alla Mecca; in secondo luogo la Medina abitata dagli ebrei era ancora un villaggio in cui
perlopiù ci si dedicava ad attività agricole, nulla in confronto al centro di scambi della
Mecca, dove invece le pratiche descritte da Muḥammad dovevano essere particolarmente
diffuse. In terzo luogo, viene riportata una tradizione secondo la quale Abdullah Ibn Salam
avrebbe affermato che la ribā si stesse diffondendo a Medina in un momento posteriore sia
alla morte del Profeta che all'espulsione degli ebrei. Infine, la proibizione della ribā non è
una replica esatta del divieto ebraico, poiché non vi è una distinzione tra musulmani e non
musulmani. È possibile quindi affermare che le ipotesi di Schacht e Rodinson siano ormai
superate. Tornando alle fonti primarie della proibizione, al versetto XXX:39 è possibile
leggere:
w ‫د‬o j‫عن‬v ‫و‬jk‫ ب‬m‫ر‬o‫ل ي‬o o‫اس ف‬
‫ة‬Œ ‫ ا‬jo‫ ك‬o‫ ن ز‬jˆ‫م م‬jk‫يت‬m o‫ ا آت‬jo‫وم‬o jv‫ا‬
v ‫و‬o ‫م‬m o‫ي أ‬v‫و ف‬ko ‫ ب‬m‫ر‬o‫ا لˆي‬‰‫م ˆمن ̂رب‬k‫يت‬m o‫ما آت‬o ‫و‬o
v jw‫ال الن‬
w o‫ ه‬jjjjjjjjjjjjjjjjm‫وج‬o o‫دون‬k jjjjjjjjjjjjjjjj‫ري‬v k‫ت‬
o‫ون‬k‫عف‬v jjjjjjjjjjjjjjjjm‫مض‬k ‫ال‬m ‫م‬k jjjjjjjjjjjjjjjjk‫ ه‬o‫ك‬v‫ئ‬o‫ول‬m k ‫أ‬jjjjjjjjjjjjjjjjo‫ ف‬jjjjjjjjjjjjjjjjv‫ا‬
Quel che prestate a usura perché cresca con l'accrescersi dei beni altrui non
38 Maxime, Rodinson, Islam e capitalismo, trad. it. Patrizio Tucci, Torino: Einaudi, 1968, p. 34 (ed. orig.
Islam et capitalisme, Paris: Editions du Seuil, 1966).
39 Joseph, Schacht, Introduzione al diritto musulmano, trad. it. Paola Guazzotti e Enrico Lanfranchi, Torino:
Edizioni della Fondazione Agnelli, 1995, p. 16 (ed. orig. An Introduction to Islamic Law, Oxford:
Claredon Press, 1964).
13
crescerà affatto presso Dio, ma quel che date in elemosina cercando il volto di
Dio, quello vi sarà raddoppiato.
Nel momento della rivelazione di questo versetto, il processo che porterà alla proibizione
della ribā sul piano giuridico è appena cominciato. Nella trentesima sura, la ribā è
solamente contrapposta alla zakāt, l'elemosina rituale, la quale costituisce uno dei cinque
arkān, ossia uno dei cinque pilastri dell'Islam.
2.1.2 Sura al-nisāʼ
Nella sura al-nisāʼ (= Le Donne), al versetto IV:161 troviamo il secondo riferimento:
m jk‫ه‬k‫د ن‬m jo‫وق‬o ‫ا‬jo‫م ال̂رب‬k ‫ه‬v ‫ذ‬v j‫خ‬m o‫وأ‬o
o‫رين‬v v‫ اف‬j‫ك‬o ‫ل‬m v‫ا ل‬o‫دن‬m jo‫عت‬m o‫وأ‬o ‫ل‬v j‫ط‬v ‫ا‬o‫الب‬m v‫اس ب‬
o ‫و‬o j‫م‬m o‫م أ‬m j‫ه‬v v‫كل‬m o‫وأ‬o k‫ه‬j‫ن‬m ‫ع‬o ‫وا‬j
v jw‫ال الن‬
‫ ا‬jjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjj‰‫يم‬v‫ل‬o‫ا أ‬‰‫ذاب‬o jjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjo‫م ع‬m jjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjk ‫نه‬m ‫م‬v
E perché hanno praticato l'usura che era stata loro proibita, e hanno consumato
ingiustamente i beni altrui. Per quelli di loro che sono miscredenti, abbiamo
preparato un castigo doloroso.
Una certa confusione si è diffusa tra gli studiosi, a causa del versetto precedente, il IV:160,
che non chiarisce se la rivelazione sia diretta ai musulmani o agli ebrei. Fazlur Rahman,
nella sua critica alla proibizione dell'interesse 40, citando i riferimenti coranici, non impiega
infatti questi versetti, se non per rinforzare una tesi riguardante aspetti cronologici della
rivelazione. A differenza del versetto XXX:39 è possibile notare la comparsa della
punizione, un castigo doloroso non meglio specificato. Poiché non è contenuto in essa
alcun particolare rilevante per il dibattito riguardante la proibizione dell'interesse, questa
sura viene di solito citata ragioni di completezza.
2.1.3 Sura āl ʻImrān
Quando l'Islam divenne la religione dominante a Medina, quelli che prima erano consigli
di buona condotta assunsero un aspetto più ufficiale e normativo41. Nella sura āl ʻImrān (=
La famiglia di Imrān) ai versetti III:130-2, si legge
40 Fazlur, Rahman, “Ribā and Interest”, trad. inglese Mazheruddin Siddiqi, Islamic Studies, Karachi, 3,
1964, pp. 1-43 (ed. orig. “Tahqiq-i riba”, Fikr-o Nazar, 5, 1963).
41 Fazlur, Rahman, “Ribā and Interest”, trad. inglese Mazheruddin Siddiqi, Islamic Studies, Karachi, 3,
1964, p. 4 (ed. orig. “Tahqiq-i riba”, Fikr-o Nazar, 5, 1963).
14
¦ ‫وا‬
m jk‫ق‬w‫وات‬o ‰‫ة‬o‫عف‬o ‫ ا‬jo‫ا ©مض‬‰‫عاف‬o jm‫ض‬o‫ا أ‬jo‫وا ال̂رب‬
m k‫كل‬k m‫أ‬jo‫ ت‬o‫وا ل‬
m jk‫من‬o ‫ آ‬o‫ذين‬v jw‫ا ال‬jo‫ ©يه‬o‫ا أ‬o‫ي‬
o‫ون‬jk‫ح‬v‫فل‬m k‫م ت‬m jk‫ك‬w‫عل‬o o‫ ل‬jo‫ا‬
m jjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjk ‫ق‬w‫وات‬o
m ‫د‬w jjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjv‫ع‬k‫ي أ‬jjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjv‫ت‬w‫ار ال‬
o‫رين‬v v‫ اف‬jjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjo‫لك‬m v‫ت ل‬
o jjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjw ‫وا الن‬
¦ ‫وا‬jjjjjjjjjjjjjjjjjjj
m
j‫س‬
k ‫ر‬w ‫وال‬o jjjjjjjjjjjjjjjjjjjjo‫ا‬
j‫ع‬k ‫طي‬v o‫وأ‬o
o‫ ون‬jjjjjjjjjjjjjjjjjjjj‫م‬k ‫ح‬o m‫ر‬k‫م ت‬m jjjjjjjjjjjjjjjjjjjj‫ك‬k w‫عل‬o o‫ول ل‬jjjjjjjjjjjjjjjjjjj
o
Credenti: non mangiate l'usura che si moltiplica di doppioni e temete Dio.
Sarete vincitori? E temete il Fuoco preparato per i miscredenti. E obbedite a Dio
e al messaggero, forse vi darà misericordia.
Diversi commentatori modernisti42 hanno creduto di trovare in questi versetti un
riferimento lampante alla ribā al-ǧāhiliyya. Questa rivelazione impone senza ombra di
dubbio un bando contro la ribā: non è possibile «consumarla» e ritenersi al tempo stesso
buoni musulmani. Il contesto storico della rivelazione è quello immediatamente successivo
alla battaglia di ‘Uḥud, luogo di una sofferta sconfitta subita da parte dei musulmani, in cui
circa settanta soldati (un decimo della forza schierata in campo) persero la vita e dove
persino il Profeta rimase ferito43. Dunque, questo versetto è da collocarsi 11 anni dopo la
prima rivelazione contro la ribā. La morte di un numero relativamente alto di musulmani
aveva gettato orfani, vedove e anziani in uno stato di necessità cui si poteva rimediare
unicamente con la carità, e non con il prestito al consumo 44. Lo storico Tabāri (m. 923),
confermando l'idea che nei versetti sopracitati si intendesse proibire la ribā al-ǧāhiliyya,
consigliava di non «mangiare» la ribā dopo essere entrati nell'Islam, come invece si era
abituati precedentemente, procedendo poi a illustrare il funzionamento di tale forma di
finanziamento:
«The way pre-Islamic Arabs used to consume ribā was that one them would
have a debt repayable on a specific date. When the date came the creditor would
demand repayment from the debtor. The latter would say 'Defer the repayment
of my debt; I will add to your wealth.' This is the ribā which was doubled and
redoubled»45.
È dunque possibile considerare questa forma di prestito una versione fraudolenta
42 “Modernista” è un'espressione che in questo contesto viene mutuata da Abdullah Saeed.
43 Questo è solo in apparente contraddizione con la frase iniziale del paragrafo. L'Islam era politicamente
dominante, ma solo a Medina.
44 Abdullah, Saeed, Islamic Banking and Interest: A Study of the Prohibition of ribā and its Contemporary
Interpretation, Leiden: Brill, 1996, p. 18.
45 Ṭabarī, Jami', citato in Abdullah, Saeed, Islamic Banking and Interest: A Study of the Prohibition of ribā
and its Contemporary Interpretation, Leiden: Brill, 1996, p. 30.
15
dell'interesse composto.
2.1.4 Sura al-baqara
Nella quarta, la sura al-baqara (= La Giovenca), ai versetti II:275-81, si trova la più lunga
e dettagliata proibizione della ribā. Quelli che seguono sono conosciuti anche come «i
versetti della ribā» (ayāt al-ribā):
k o‫يط‬m jw‫ الش‬k‫ه‬jk‫ط‬w‫ ب‬o‫خ‬o‫ت‬o‫ذي ي‬v jw‫م ال‬k ‫و‬jk‫ق‬o‫ ا ي‬jo‫كم‬o w‫ل‬v‫ إ‬o‫ ون‬jk‫وم‬k‫ق‬o‫ ي‬o‫ا ل‬jo‫ ال̂رب‬o‫ون‬k‫كل‬k m‫أ‬jo‫ ي‬o‫ذين‬v w‫ال‬
ˆ‫ س‬jo‫الم‬m o‫ ن‬jv‫ان م‬
¦ ‫ل‬w j‫ح‬o o‫وأ‬o ‫ا‬jo‫ل ال̂رب‬k jm‫مث‬v ‫ع‬k jm‫ي‬o‫الب‬m ‫ ا‬j‫م‬o w‫ن‬v‫وا إ‬
m k‫ال‬jo‫م ق‬m k‫ه‬w‫ن‬o‫أ‬jv‫ ب‬o‫ك‬jv‫ذل‬o
k‫ اءه‬j‫ج‬o ‫ ن‬j‫م‬o o‫ا ف‬jo‫م ال̂رب‬o ‫ر‬w j‫ح‬o ‫و‬o ‫ع‬o jm‫ي‬o‫الب‬m jk‫ا‬
¦ ‫ى‬o‫ل‬v‫ إ‬k‫ره‬k ‫م‬m o‫وأ‬o o‫ف‬o‫سل‬o ‫ما‬o k‫ه‬o‫ل‬o‫ى ف‬o o‫ه‬o‫انت‬o‫ه ف‬v ˆ‫رب‬w ‫ ˆمن‬Â‫ة‬o‫عظ‬v ‫و‬m ‫م‬o
k‫حاب‬o jm‫ص‬o‫ أ‬o‫ك‬v‫ئ‬o‫ول‬m k ‫أ‬jo‫د ف‬o ‫ا‬jo‫ن ع‬m jo‫وم‬o v‫ا‬
o‫دون‬k jjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjv‫ال‬o‫ا خ‬jjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjo‫يه‬v‫م ف‬m jjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjk ‫ار ه‬
v jjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjw ‫الن‬
¦ ‫و‬o ‫ت‬
¦ ‫ق‬
k jjjjj‫ح‬o ‫م‬m o‫ي‬
w ‫ي ال‬jjjjjv‫ ب‬m‫ر‬k‫وي‬o ‫ا‬jjjjjo‫ال̂رب‬m jjjjjk‫ا‬
‫م‬jjjjj‫ي‬v‫ث‬o‫ار أ‬
v ‫ا‬o‫دق‬o jjjjj‫ص‬
Œ jjjjjw‫كف‬o ‫ل‬w jjjjj‫ك‬k ©‫ ب‬jjjjj‫ح‬v k‫ ي‬o‫ ل‬jjjjjk‫ا‬
m ‫م‬k ‫ا‬o‫ق‬o‫وأ‬o ‫ت‬
m k‫مل‬v ‫ع‬o ‫و‬o ‫وا‬
m k‫من‬o ‫ آ‬o‫ذين‬v w‫ن ال‬w v‫إ‬
w ‫وا ال‬
‫د‬o ‫عن‬v ‫م‬m k‫ره‬k m‫ج‬o‫م أ‬m k‫ه‬o‫ ل‬o‫كاة‬o ‫ز‬w ‫ا ال‬m ‫و‬k o‫وآت‬o o‫ة‬o‫صل‬
v ‫حا‬o v‫ال‬w‫وا الص‬
 ‫و‬m jjjjjjjjjjjjjjjjjjjo‫ خ‬o‫ول‬o ‫م‬m jjjjjjjjjjjjjjjjjjjv‫ربˆه‬o
o‫ون‬jjjjjjjjjjjjjjjjjjjk ‫ ن‬o‫ ز‬m‫ح‬o‫م ي‬m jjjjjjjjjjjjjjjjjjjk ‫ ه‬o‫ول‬o ‫م‬m jjjjjjjjjjjjjjjjjjjv‫يه‬m o‫عل‬o ‫ف‬
m ‫ذر‬o ‫و‬o jjjo‫ا‬
¦ ‫وا‬
m jjjk‫ق‬w‫وا ات‬
m jjjk‫من‬o ‫ آ‬o‫ذين‬v jjjw‫ا ال‬jjjo‫ي©ه‬o‫ا أ‬jjjo‫ي‬
o‫ين‬v‫من‬v ‫ؤ‬m jjj‫م ©م‬jjjk‫كنت‬k ‫ن‬v‫ا إ‬jjjo‫ ال̂رب‬o‫ ن‬jjj‫م‬v ‫ي‬o jjjv‫ق‬o‫ ا ب‬jjj‫م‬o ‫وا‬k
¦ o‫ ن‬jˆ‫ب م‬
m k‫ذن‬o m‫أ‬o‫وا ف‬
m k‫عل‬o ‫ف‬m o‫م ت‬m w‫ن ل‬v‫إ‬o‫ف‬
o‫م ل‬m ‫ك‬k v‫وال‬o j‫م‬m o‫ أ‬k‫ؤوس‬k ‫ر‬k ‫م‬m jk‫ك‬o‫ل‬o‫م ف‬m jk‫بت‬m k‫ن ت‬v‫وإ‬o ‫ه‬v v‫ول‬jk‫رس‬o ‫و‬o jv‫ا‬
Œ m‫ ر‬jo‫ح‬v‫وا ب‬
m k‫ ت‬o‫ول‬o o‫ ون‬jjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjj‫م‬k v‫ظل‬o
m ‫ت‬
o‫ ون‬jjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjj‫م‬k o‫ظل‬
m k‫دق‬w jo‫ص‬o‫ن ت‬o‫وأ‬o ‫ة‬Œ ‫ر‬o jo‫يس‬m ‫م‬o ‫ى‬jo‫ل‬v‫ إ‬Â‫رة‬o ‫ظ‬ov ‫ن‬o‫ة ف‬Œ ‫ر‬mo ‫عس‬k ‫ذو‬k o‫كان‬o ‫ن‬v‫وإ‬o
o‫ ون‬jk‫م‬o‫عل‬m o‫م ت‬m jk‫كنت‬k ‫ن‬v‫م إ‬m jk‫ك‬w‫ر ل‬Â jm‫ ي‬o‫وا خ‬
m ‫ ي‬o‫م ل‬m k‫وه‬o ‫ت‬
¦ ‫ى‬o‫ل‬v‫ه إ‬v ‫ي‬v‫ ف‬o‫ون‬k‫جع‬o m‫ر‬k‫ما ت‬‰ ‫و‬m o‫وا ي‬
m k‫ق‬w‫وات‬o
m o‫سب‬o ‫ك‬o ‫ما‬w ‫س‬
‫مون‬k o‫ظل‬k
Œ ‫ف‬m o‫كل© ن‬k ‫ى‬w‫وف‬o k‫م ت‬w k‫ ث‬v‫ا‬
275 Quelli che si cibano dell'usura si alzeranno come si alza colui che è
oppresso dal tocco di Satana. Ciò perché dicono: «che mai: il commercio è
uguale all'usura». Invece Dio ha reso lecito il commercio e illecita l'usura. Colui
dunque che smette non appena gli giunge l'esortazione del Signore, a lui quel
che è passato; e il suo affare dipende solo da Dio. Ma chiunque recidiva... allora
eccoli, i compagni del Fuoco, e vi dimoreranno in eterno. 276 Dio vanificherà
l'usura e farà fruttare le elemosine. E Dio non ama nessun ingrato peccatore. [...]
278 Credenti, temete Dio e rinunciate al profitto dell'usura, se siete credenti.
279 E se non lo fate, allora ricevete una guerra da parte di Dio e del Suo
16
Messaggero. Se vi pentite, a voi i vostri capitali, non prevaricherete e non sarete
prevaricati. 280 A colui che è in difficoltà, un rinvio sino a quando sarà
facilitato. Ma è meglio il condono se sapeste.
Nella sura la ribā è vietata in maniera assoluta, e addirittura si minacciano in trasgressori
con una guerra da parte di Dio e del Suo Messaggero. Quello che inizialmente 46 si
caratterizzava quale un consiglio di buona condotta, diventa in questi versetti una
proibizione vincolante. I commentatori classici erano discordi sull'interpretazione di questa
sura, tanto che persino Ibn ʻAbbās, compagno del Profeta, e ʻUmar ibn Khaṭṭāb, il secondo
Califfo, ebbero alcune esitazioni di fronte ai versetti47. La difficoltà d'interpretazione ha le
sue radici nel fatto che, a fronte di un divieto chiaro, non sia per nulla evidente in che cosa
consista l'oggetto della proibizione. Più semplicemente: la ribā è vietata, ma che cos'è la
ribā?
A questo punto è possibile dire che la ribā è un incremento illegittimo, ed è opposta a tre
concetti differenti. La prima di esse è zakāt, l'elemosina rituale, uno dei cinque pilastri
dell'Islam (shahāda, preghiera, zakāt, digiuno e pellegrinaggio). La prima intuizione
derivante da questo è che un concetto presentato come opposto a uno dei cinque arkān aldīn difficilmente può essere considerato una cosa buona. Un'ulteriore considerazione
riguarda il fatto che pensando alla funzione sociale e redistributiva della zakāt, la ribā è da
considerarsi qualcosa che provoca danni alla società, che accentra i profitti e indebolisce i
più deboli.
La seconda parola opposta a ribā, nel versetto II:275, è vendita48. Esiste infatti un modo
per fare profitto in maniera legittima, in particolare legando i guadagni al rischio di
investimento affrontato. La ribā viene contrapposta anche al concetto di ṣadaqa, venendo
quindi definita in quanto negativo di un libero atto d'amore verso il prossimo, il quale può
essere motivato da compassione, amicizia, o pietà. Il fatto che la ribā non abbia una
definizione chiara, ma possa solo essere compresa come opposta a qualcos'altro, come
negazione di atti chiaramente buoni, è un tema importante presso coloro i quali criticano la
46 Corano, versetto XXX:39.
47 Fazlur, Rahman, “Ribā and Interest”, trad. inglese Mazheruddin Siddiqi, Islamic Studies, Karachi, 3,
1964, p. 12 (ed. orig. “Tahqiq-i riba”, Fikr-o Nazar, 5, 1963).
48 Nella traduzione sopra, Mandel preferisce rendere al-bayʻ ( ‫ع‬
o ‫ي‬m o‫الب‬m ) con commercio. Come si vedrà in
seguito, tuttavia, soprattutto sulla base degli studi di Abdullah Saeed, è possibile ritenere che la traduzione
vendita sia più appropriata al contesto.
17
proibizione dell'interesse. Questa nebbia aleggiante intorno alla definizione è infatti alla
base di alcune discussioni, come quella riguardante il genere di ribā qui illustrata. Potrebbe
egualmente trattarsi della ribā al-ǧāhiliyya come di quella al-nasi’a. Se i tradizionalisti,
principalmente sulla base dell'esegesi di Al-Ǧassās, preferiscono la seconda, i modernisti
presentano più e più argomenti a favore della tesi opposta. La questione, di nevralgica
importanza quando si arriva a discutere dell'applicazione pratica della proibizione al campo
della finanza, verrà approfondita in due diversi paragrafi nel corso del terzo capitolo.
2.2 La ribā negli ḥadīṯ49
Sono innumerevoli i riferimenti alla questione della ribā nella Sunna, la raccolta di atti e
detti del Profeta. Prenderli in considerazione tutti non è lo scopo di questa tesi, la quale si
concentra in particolare sulle conseguenze che la proibizione ha per quanto riguarda il
mondo finanziario moderno e sulle contraddizioni e le problematiche che emergono nel
corso dell'applicazione pratica delle norme. Verranno presentati qui degli esempi
significativi, appartenenti a categorie che non vanno però considerate come portatrici di
diversa autorevolezza, ma solo come strumenti utili alla analisi. Per limitare ulteriormente
la materia, si è deciso di mostrare solo e soltanto quegli ḥadīṯ ritenuti senza ombra di
dubbio autentici dalla comunità degli studiosi musulmani.
Esistono tre gruppi di ḥadīṯ riguardanti la ribā. Il primo è quello dei detti del Profeta,
riportati in numerose raccolte di ḥadīṯ. Questi riguardano spesso la questione del baratto, e
offrono un visione ristretta e limitata a pochi casi. Il secondo è formato dagli episodi in cui
vengono citati compagni (ṣaḥāba) del Profeta. Gli ḥadīṯ riguardanti i ṣaḥāba, numerosi ma
spesso in contraddizione tra loro, vengono usati in maniera vasta dagli studiosi
tradizionalisti per sostenere la proibizione dell'interesse. Queste tradizioni in particolare
sono al centro di lunghi dibattiti, poiché ṣaḥāba diversi estendono in maniera differente la
definizione della ribā coranica a un grande numero di situazioni. A causa della
problematicità di alcune delle tradizioni facenti parte di questo insieme, la discussione che
li riguarda verrà affrontata nel corso dell'ultimo capitolo, dedicato alle critiche della
proibizione dell'interesse.
Infine, il terzo gruppo è quello formato dai diversi racconti dell'ultimo discorso del Profeta,
49 A meno che non sia specificato diversamente, nel corso della tesi vengono citati solamente ḥadīṯ sahih,
ovvero accettati dalla comunità di studiosi musulmani come autentici.
18
nel corso del quale avviene uno scuotimento dei pesi (limitato al tasso d'interesse) a favore
di Ibn ʻAbbās. Può essere considerato notevole il fatto che il Profeta abbia deciso anche nel
suo ultimo momento con i seguaci di ricordare l'empietà della ribā. Questo in parte
contribuisce a dare un'idea di quanto la questione sia fondamentale all'interno della
giurisprudenza musulmana.
2.2.1 I detti del Profeta
Come già sottolineato in precedenza, nella presente tesi vengono presi in considerazione
solamente gli ḥadīṯ riportati nei kutub al-sitta, le sei raccolte scritte dai più rispettati
tradizionisti musulmani. L'episodio più conosciuto e citato da coloro i quali si occupano
della proibizione della ribā è riportato, con differenze trascurabili, da ben tre tradizionisti,
ossia Bukhārī, Muslim e Tirmiḏī. Segue la versione di Muslim, utilizzata da Saeed:
«The Prophet said: Gold for gold, silver for silver, wheat for wheat, barley for
barley, dates for dates, and salt for salt should be exchanged like for like, equal
for equal and hand-to-hand spot»50.
Lo stesso ḥadīṯ, come riportato da Fazlur Rahman, così prosegue:
«If anyone gives more or asks for more he has dealt in ribā. The receiver and
the giver are equally guilty»51.
Scambiare oro o argento è dunque possibile solo in quantità uguali, tanto che una tazza
d'oro finemente intarsiata ha lo stesso valore di una manciata di monete dello stesso peso e
materiale, senza che nessuna importanza venga data alla lavorazione del prodotto. La
situazione, che secondo Schacht ha apparentemente poco di razionale, viene affrontata in
vari modi, il primo dei quali è scambiare il prodotto utilizzando l'altro metallo 52, l'argento.
50 Muslim, Sahih, V, p. 50, in Abdullah Saeed, Islamic Banking and Interest: A Study of the Prohibition of
ribā and its Contemporary Interpretation, Leiden: Brill, 1996 p. 30.
51 Fazlur, Rahman, “Ribā and Interest”, trad. inglese Mazheruddin Siddiqi, Islamic Studies, Karachi, 3,
1964, p. 13 (ed. orig. “Tahqiq-i riba”, Fikr-o Nazar, 5, 1963).
52 Joseph, Schacht, Introduzione al diritto musulmano, trad. it. Paola Guazzotti e Enrico Lanfranchi, Torino:
Edizioni della Fondazione Agnelli, 1995, p. 155 (ed. orig. An Introduction to Islamic Law, Oxford:
Claredon Press, 1964).
19
In questo caso non è richiesta l'uguaglianza quantitativa, ma soltanto la simultaneità dello
scambio53. Il suddetto ḥadīṯ è considerato da molti autori quello che permette di vietare la
ribā al faḍl.
2.2.2 L'ultimo ḥaǧǧ
L'ultimo pellegrinaggio verso la Mecca compiuto dal Profeta prima della sua scomparsa è
ricordato grazie alle tre versioni54 del discorso d'addio. È degno di nota come proprio in
questo ultimo appello alla comunità di fedeli, Muḥammad abbia deciso di affrontare,
assieme ad altri temi cruciali, anche la questione della ribā. Nel corso del suo breve
discorso, Muḥammad riprende alcuni temi e, all'incirca a metà dell'orazione d'addio, cita la
ribā, non in generale, ma proprio la ribā al-ǧāhiliyya (‫الجاهلية‬
‫ )ربا‬di cui parlano gli autori
modernisti. Il breve passo in questione è:
‫ون‬j‫ون ول تظلم‬j‫والكم ل تظلم‬j‫م رؤوس أم‬j‫وإن ربا الجاهلية موضوع ولكن لك‬
‫ب‬jj‫د المطل‬jj‫ن عب‬jj‫اس ب‬jj‫ي العب‬jj‫ه عم‬jj‫دأ ب‬jj‫ا أب‬jj‫ وإن أول رب‬.‫ا‬jj‫ه ل رب‬jj‫ى ا أن‬jj‫وقض‬
A proposito della ribā dell'Età dell'Ignoranza. Il vostro capitale vi appartiene.
Non compiete ingiustizia e non riceverete ingiustizia. Allāh ha deciso che non vi
deve essere ribā, quindi abolisco la ribā. Comincio con ciò ad abolire quella di
mio zio Al-‘Abbās ibn ‘Abd al-Muṭṭalib.55
Muḥammad lascia quindi la comunità musulmana concedendo, tra le altre cose,
uno scuotimento dei pesi a Ibn ʻAbbās, che non riguarda tuttavia l'intero debito,
ma solo l'incremento illegittimo. Similmente, il Profeta aveva precedentemente
eliminato la ribā dai debiti che i cristiani della città di Naǧrā56 avevano contratto
53 Francesca, Ersilia, Economia, religione e morale nell'Islam, Roma: Carocci Editore, 2013, p. 43.
54 Riferimenti al discorso sono presenti in Al-Bukhārī (ḥadīṯ n.1623, 1626, 6361); Muslim (ḥadīṯ n. 98); AlTirmiḏī (ḥadīṯ n. 1628, 2046, 2085). Altri riferimenti sono rinvenibili nei lavori di Ibn Ishaq, Ibn Hisham e
Ṭabarī.
55 Trad. dello scrivente. In questo caso la compatta eleganza della lingua araba rende necessario in italiano
esplicitare molti elementi che in arabo sono sottintesi, ragion per cui, allo scopo esplicativo di questa
dissertazione, si è resa necessaria una traduzione maggiormente esplicita di quelle comunemente diffuse.
56 Oggi città saudita al confine con lo Yemen.
20
tra di loro57.
2.3 La ribā nella tradizione giuridica islamica
Come emerso nella trattazione fino ad ora, il più famoso ḥadīṯ del Profeta nel merito della
ribā è quello riguardante i beni che possono essere suscettibili della ribā stessa58. Egli
limita, apparentemente, l'applicazione del divieto a sei soli elementi: l'oro, l'argento, i
datteri, il grano, l'orzo e il sale. A fronte del numero limitato di beni presi in
considerazione, viene in aiuto degli esperti di diritto musulmano il terzo strumento per la
creazione di diritto positivo, ossia il qiyās, l'analogia. Se non si sfruttasse il ragionamento
per analogia, solo nel caso in cui fossero coinvolti nello scambio gli elementi sopracitati si
potrebbe parlare di ribā. Allo stesso modo i musulmani non sarebbero più vincolati al
divieto di bere alcolici: bevendo birra, vodka o rum, ma astenendosi dal vino,
rispetterebbero infatti la limitazione coranica. È noto tuttavia come la sharī‘a vieti
categoricamente anche queste bevande, e il motivo è legato al funzionamento del
ragionamento per analogia. È importante per capirlo introdurre il concetto di ʻilla.
Il termine ha una traduzione controversa59, ma l'idea centrale è che sia la debolezza che
sottostà a un particolare elemento. In altri termini, è la causa per la quale qualcosa può
essere vietato. Nel caso del vino, ci sono due possibili ʻilla, che comportano due diverse
estensioni del divieto. La prima possibile ʻilla è l'alcool. Se il vino è vietato perché
contiene alcool, allora anche qualsiasi altra cosa contenente alcool può essere vietata.
Seguendo questo ragionamento per analogia, la birra, la vodka e il rum sono vietati pur non
essendo comprensibilmente presenti nel Corano. Non soltanto, ma qualunque sostanza
ingeribile che contenga alcool, dallo sciroppo per la tosse al riso usato per fare il sushi, è
potenzialmente proibito. Non è una sorpresa che numerosi fuqaha del web abbiano
dichiarato alcuni piatti giapponesi harām. Esiste tuttavia una seconda possibile
interpretazione, ovvero che il vino sia vietato non in quanto contenente alcol, ma in quanto
causa d'ebbrezza. Basandosi su questa diversa ʻilla, la vodka è sempre vietata, insieme agli
alcolici e a ogni tipo di sostanza psicotropa (ad es. l'hashish), ma sciroppo per la tosse e
57 Abdullah, Saeed, Islamic Banking and Interest: A Study of the Prohibition of ribā and its Contemporary
Interpretation, Leiden: Brill, 1996, p. 30.
58 Tali beni vengono definiti ribawi
59 Alcuni autori in lingua inglese usano l'espressione “efficient cause”, ma prendere in prestito questa
espressione in maniera letterale non sembra appropriato.
21
sushi sono salvi. Tornando all'argomento centrale della presente tesi, gli studiosi hanno
discusso a lungo su quale o quali fossero le “debolezze” dei sei elementi elencati dal
Profeta. Si immagini infatti che non ci sia la possibilità di estendere il divieto: le
transazioni in carta moneta, o anche in moneta elettronica, sarebbero escluse, e di
conseguenza la proibizione avrebbe un valore tutto sommato marginale, dato che sono rari
i casi di coloro i quali commerciano portandosi appresso un sacchetto d'oro. Questa
possibile interpretazione non è priva di applicazioni nel mondo reale. È il caso degli Ẓāhirī,
scuola giuridica minore a cui aderiscono alcune piccole comunità in Marocco e in Pakistan.
Applicando un'interpretazione letterale del Corano e della Sunna, e rifiutando l'uso
dell'analogia, gli Ẓāhirī rimangono privi degli strumenti giuridici necessari per vietare
l'interesse
bancario
moderno,
promuovendo
in
maniera
del
tutto
incidentale
un'applicazione molto meno severa della regola.
Nel caso delle quattro maggiori scuole giuridiche, tuttavia, la situazione è ben diversa. Pur
essendo discordanti su alcuni punti, Hanafiti, Hanbaliti, Shafiʻiti e Malikiti concordano sul
fatto che la ʻilla di questi elementi permetta di estendere la proibizione a una grande
varietà di altri beni60. In particolare, la ʻilla dell'oro e dell'argento sarebbe quella di essere
moneta di scambio. La ʻilla di grano, orzo, datteri e sale, invece, sarebbe quella di essere
misurabili in peso e quantità. Questo permette conseguentemente di estendere in maniera
massiccia la proibizione. Tutto ciò che può essere considerato moneta di scambio è quindi
sottoposto al divieto, che si parli di dollari, bitcoin o perline di vetro colorato, così come lo
è ogni cosa misurabile in peso e quantità. È palese, quindi, come una proibizione che nelle
fonti è limitata possa essere interpretata in maniera flessibile, per adattarsi ad ogni nuova
sfida affrontata dalla comunità musulmana. Grazie a questo strumento giuridico è possibile
oggi emettere, per esempio, una fatwa contro la cocaina a partire dai passi dedicati al vino.
L'analogia, insieme a Corano e Sunna, è alla base, dunque, della moderna proibizione del
tasso d'interesse: la situazione attuale, che si andrà ora ad affrontare, è il frutto delle
interpretazioni finora emerse all'interno della comunità musulmana.
Il secondo capitolo si dedicherà quindi al funzionamento del sistema finanziario islamico, e
a come sia stato possibile crearlo, procedendo poi nella descrizione di alcuni contratti, allo
60 Nabil, Saleh, Unlawful gain and legitimate profit in islamic law: ribā , gharar and islamic banking,
Cambridge: Cambridge University Press, 1986, p. 26.
22
scopo di mostrare cosa significhi nella pratica proibire la ribā.
23
Capitolo II
Conseguenze della proibizione della ribā sul piano economico
I don't just want London to be a great
capital of Islamic finance in the Western
world, I want London to stand alongside
Dubai and Kuala Lumpur as one of the
great capitals of Islamic finance anywhere
in the world.61
David Cameron, Primo ministro britannico
1. Un cambiamento di prospettiva
Nel 1966, parlando dei prestiti produttivi durante i primi secoli dell'Islam, Maxime
Rodinson scriveva:
Non vi è dubbio che in seguito, nonostante il divieto coranico sulla ribā, tale
genere di prestito sia stato praticato in maniera sovrabbondante. 62
Nel presente capitolo ci si chiede quale sia l'effettiva portata sul piano economico della
proibizione della ribā. All'apparenza questo divieto infatti sembra non poter avere
applicazioni pratiche, essendo difficile immaginare un sistema bancario interest-free.
Tuttavia, almeno a partire dagli anni 70' del XX secolo, la proibizione della ribā ha avuto
conseguenze enormi dal punto di vista economico.
Per comprendere la rivoluzione copernicana occorsa nel mondo economico musulmano è
sufficiente pensare a prestiti, mutui, conti deposito, azioni, obbligazioni: tutti questi
strumenti al servizio degli agenti economici e degli intermediari finanziari, poiché
richiedono l'utilizzo di un tasso d'interesse, sono proibiti, almeno nella loro forma usuale.
Quella della ribā è una delle tre proibizioni principali 63 che hanno portato allo sviluppo del
61 Passo del discorso pronunciato al World Islamic Forum di Londra nel 2013.
62 Maxime, Rodinson, Islam e capitalismo, trad. it. Patrizio Tucci, Torino: Einaudi, 1968, (ed. orig. Islam et
capitalisme, Paris: Editions du Seuil, 1966).
63 Hanno effetti rilevanti anche le proibizioni del gharār e maysir, rispettivamente rischio eccessivo e
speculazione.
24
nuovo settore della finanza islamica. L'industria della finanza islamica, similmente al
settore degli alimenti halāl, si è sviluppata per sopperire ai bisogni di clienti in cerca di
prodotti islamically-correct. La finanza islamica permette loro infatti di operare nelle stesse
condizioni dei propri concorrenti, senza disattendere però precetti coranici. La questione
non si limita tuttavia unicamente ai musulmani: alcuni strumenti basati sul concetto di
profit and loss sharing (PLS), infatti, costituiscono esperimenti interessanti anche dal
punto di vista delle banche occidentali.
Dal 1963, anno della fondazione della prima banca islamica in Egitto, ad oggi, sono
comparsi un gran numero di strumenti finanziari, quali il mushāraka, il muḍāraba, il
murābaha e il sukuk. Alcuni di questi sono antichi contratti, già impiegati nei primi secoli
dell'Islam, riadattati al contesto delle moderne borse finanziarie; altri sono strumenti
occidentali modificati per essere resi sharī‘a-compliant; o ancora sono meri stratagemmi
per sviare i controlli degli sharī‘a board64.
Inoltre, la proibizione della ribā non solo influenza la forma degli strumenti finanziari, ma
anche, potenzialmente, la politica economica. Alcuni studiosi65 si sono interrogati, sebbene
soltanto da un punto di vista squisitamente teorico, se la proibizione della ribā, in
particolare quella al-faḍl, possa essere ritenuta compatibile con l'uso della FIAT money,
dell'inflazione, del debito pubblico o della riserva frazionaria.
Nelle pagine a seguire si vuole offrire una panoramica sui moderni sviluppi provocati dalla
applicazione parziale della proibizione della ribā; si illustra come sia stato possibile creare
una banca interest-free, e quali siano gli strumenti caratterizzanti di questo tipo di banca; si
affronta inoltre un breve excursus sullo sviluppo delle banche islamiche.
1.1 Una banca etica, una banca islamica
Caratteristica importante della finanza islamica è l'attenzione rivolta a questioni etiche66.
I vincoli che impediscono alcuni tipi d'investimento sono stretti: interi settori infatti sono al
di fuori della portata della banca islamica, cui la sharī‘a impedisce di finanziare la
64 Le banche islamiche sono dotate di un organo di controllo, il cosiddetto «sharī‘a board», che veglia sulla
«islamicità» dei nuovi prodotti finanziari, con alterni e variamente apprezzati risultati.
65 Fahim, Khan, “Islamic methods for monetary borrowing and monetary management”, in Kabir, Hassan, e
Mervyn, Lewis (a cura di), Handbook of Islamic banking, Northampton (Elgar): Cheltenham, 2007, p.
285.
66 Monzer, Kahf, in Kabir, Hassan, e Mervyn, Lewis (a cura di), Handbook of Islamic banking,
Northampton (Elgar): Cheltenham, 2007, pp. 277-284.
25
produzione di beni che non vengono considerati islamically-correct. La pornografia, la
macellazione non-halāl, la produzione di alcolici, sono solo alcuni esempi dei canali a cui
il «denaro islamico» non dovrebbe arrivare.
Una chiave di lettura dello sviluppo della finanza islamica è quella dell'affermazione
d'identità. È interessante notare come lo sviluppo dei settori islamically-correct sia
osservabile in un quadro generale di reazione al processo di occidentalizzazione. Il quale,
se è vero che non coincide, almeno costituisce una parte importante del processo di
globalizzazione. In altre parole:
«una transazione bancaria in armonia con la sharī‘a, l'acquisto di un abito
ispirato all'Islamic fashion, l'ascolto di una canzone di musica Islamic pop, la
scelta di un hamburgher halāl, sono modi attraverso cui le persone affermano la
vitalità del proprio universo culturale».67
La finanza islamica è quindi anche questo, una riaffermazione della propria identità
culturale attraverso l'impiego di transazioni economiche caratteristiche. Si noti che per
affermare questa identità non si bada a spese: un prestito halāl, per più motivi, ha un costo
generalmente più elevato di uno convenzionale, eppure, l'industria finanziaria islamica ha
registrato tassi di crescita incredibili nell'ultimo decennio. Un altro elemento che
contraddistingue queste banche è la presenza dei già citati sharī‘a board, organi preposti al
controllo degli investimenti e degli strumenti finanziari. Lo sharī‘a board è composto da
esperti di sharī‘a, spesso facenti parte di più board al tempo stesso. Essi sono la garanzia
della correttezza formale di una banca, ed è legato al loro ruolo il maggior rischio
reputazionale presente all'interno dell'IBF68. Una banca islamica infatti può soffrire molto
di più, rispetto a una banca convenzionale, a seguito di uno scandalo riguardante i membri
dello sharī‘a board, o coinvolgente investimenti in settori che non siano sharī‘a-compliant.
I potenziali danni d'immagine per queste banche sono molto più grandi, poiché i loro
clienti tendono a cambiare molto più velocemente il luogo in cui depositano il proprio
denaro69.
67 Daniele, Atzori, Fede e mercato: verso una via islamica al capitalismo?, Bologna: Il Mulino, 2010, p. 11.
68 Jonathan Ercanbrack, “The Regulation of Islamic Finance in the United Kingdom”, Ecclesiastical Law
Journal (London), 13 (2011), pp 69-77.
69 A questo proposito si pensi a quanto lentamente i risparmiatori proprietari di depositi presso banche
italiane si muovano lentamente, quando sulle prime pagine dei giornali nazionali si annuncia l'arresto di
un amministratore delegato o di un membro del CdA. Basta andare indietro con la memoria agli ultimi
26
Non si deve pensare però che il bisogno di una finanza etica sia necessariamente legato
all'idea che di essa si ha in ambienti occidentali. Essere banche etiche non impedisce di
lavorare in rifugi70 fiscali71. Anzi, nei congressi di finanza islamica, giurisdizioni
fiscalmente attrattive, quali quelle della City of London, del Lussermburgo o delle Isole
Cayman, vengono studiate con molta attenzione, attraverso la promozione di studi
comparati con giurisdizioni potenzialmente simili, facenti parte del mondo musulmano. In
particolare, un'analisi del 2015 di Sairally, Muḥammad e Hasan 72, ha approfondito le
potenzialità di Bahrain, Dubai, e Labuan, evidenziandone i punti di forza necessari per
creare delle zone offshore competitive. Tra questi sono ritenuti prioritari: infrastrutture di
ottimo livello, semplicità della burocrazia, sistema fiscale competitivo, alte garanzie dei
diritti di proprietà e forti tutele della privacy.
2. Aggirare la regola o pensare un nuovo sistema?
I giuristi musulmani hanno conciliato le esigenze della dottrina religiosa con quelle della
moderna scienza economica adottando più sistemi. In parte essi si sono avvalsi dell'ausilio
di ḥiyal, parola araba che significa «espedienti», ossia di mezzi legali per aggirare alcune
rigidità della legge islamica. Questi ḥiyal costituiscono un importante genere letterario
della giurisprudenza islamica, conosciuto come makhāriǧ. Quest'ultimo termine deriva
dalla radice «kh-r-ǧ», e letteralmente significa «via d'uscita» o «scappatoia», ed è una
prassi popolare soprattutto presso gli hanafiti73 e gli shafi'iti74.
La finanza islamica, tuttavia, non si basa solo su espedienti. La problematica del divieto
dell'interesse è stata all'origine della ripresa e dello sviluppo di strumenti di condivisione
del profitto, i quali hanno dato vita a una serie di prodotti finanziari moderni e
potenzialmente molto efficaci. Tali prodotti hanno caratteristiche interessanti anche per
due grossi scandali che hanno coinvolto banche italiane.
70 In italiano è entrato nell'uso comune un'espressione che in realtà è legata a una traduzione errata.
L'espressione “tax haven”, letteralmente rifugio fiscale, contiene infatti una parola che a un orecchio
italiano può sembrare omofona di “heaven”, paradiso.
71 Daniele, Atzori, Fede e mercato: verso una via islamica al capitalismo?, Bologna: Il Mulino, 2010, p.
101.
72 Salma, Sairally, et al., “The Development of Offshore Financial Centre for Islamic Finance in the Gulf
Cooperation Council: Competitive Positions and Challenges”, pp. 133-166, in Mehmet Asutay e Abdullah
Turqistani (a cura di), Islamic Finance: Political Economy, Values and Innovation, Berlin: Gerlach Press,
2015.
73 Ersilia, Francesca, Economia, religione e morale nell'Islam, Roma: Carocci Editore, 2013, p. 45.
74 Nabil, Saleh, Unlawful gain and legitimate profit in islamic law: ribā , gharar and islamic banking,
Cambridge: Cambridge University Press, 1986, p. 36.
27
l'investitore non musulmano.
2.1 Il profit and loss sharing (PLS)
La logica del PLS si basa sull'idea che per avere diritto a un dato profitto bisogna
partecipare al rischio che gli corrisponde. Le banche convenzionali sono accusate 75 dai
giuristi musulmani di partecipare al rischio solo in caso di bancarotta, quando perdono
tutto il capitale. Il mare di situazioni intermedie tra «leader nel settore» e «bancarotta» non
interessa agli intermediari finanziari convenzionali. Se l'imprenditore ha un anno buono e
riesce con facilità a ripagare le rate, o se invece affronta annate di crisi, e ha la possibilità
di far fronte alle scadenze solo con grandi difficoltà, magari vendendo degli immobili, la
banca convenzionale, e i risparmiatori da essa rappresentati, sono del tutto indifferenti. Il
fallimento è l'unico caso in cui l'andamento negativo dell'impresa colpisce, in maniera
drastica, gli interessi della banca: in questo modo la partecipazione al rischio di perdite da
parte dei risparmiatori e del loro intermediario, è limitata soltanto ai casi estremi.
Il PLS dà la possibilità di partecipare al rischio, ai profitti, ma anche alle perdite, in
maniera continuata. In altre parole il profitto della banca islamica è legato strettamente
all'andamento dell'impresa finanziata: in questo sistema risparmiatori e intermediari hanno
tutto l'interesse a seguire con attenzione le azioni intraprese dall'imprenditore. Questa è una
differenza fondamentale, che permette per esempio un approccio diverso nel caso in cui
l'imprenditore affronti una momentanea difficoltà nel pagare le rate del prestito: se un
imprenditore affronta momentanee interruzioni dei flussi di cassa, dovute per esempio a un
cliente che è in ritardo nei pagamenti, le reazione delle due diverse istituzioni bancarie
sono profondamente differenti. In un sistema convenzionale, anche pochi mancati
pagamenti da parte dell'imprenditore sono generalmente percepiti come un crollo delle
capacità di quest'ultimo di fare fronte ai debiti. Ciò comporta, tra le altre cose, la chiusura
immediata delle linee di credito, o persino problemi in merito al fido. La situazione
risultante è un circolo vizioso in cui l'imprenditore viene strangolato da una parte dai
clienti che pagano in ritardo, e dall'altra dalla banca che applica misure eccessivamente
caute per proteggere i propri interessi. In un sistema bancario islamico, invece, uno shock
75 Latifa, Algaoud, e Mervyn, Lewis, “Islamic critique of conventional financing”, in Kabir, Hassan, e
Mervyn, Lewis (a cura di), Handbook of Islamic banking, Northampton (Elgar): Cheltenham, 2007, pp.
38-48.
28
temporaneo di questo tipo genera un'altra risposta, per più motivi: per prima cosa, il
creditore, ricevendo notizie frequenti circa l'andamento del business, calcola di volta in
volta la quota di profitto dovuta, con importanti vantaggi nell'affrontare le problematiche
connesse all'azzardo morale e alla selezione avversa76, costruendo un rapporto di fiducia
con il proprio debitore. Inoltre, la risposta immediata della banca islamica consiste nel
chiedere di meno nei mesi in cui l'imprenditore ha dei cali nei flussi di cassa,
permettendogli di tirare il fiato e lavorare per recuperare il terreno perduto. Quello della
finanza islamica è quindi un sistema più flessibile di fronte agli shock momentanei. Questa
sua peculiarità è stata indicata da diversi studiosi musulmani come una delle ragioni della
stabilità delle banche islamiche in momenti di crisi finanziaria. Al di là di queste
considerazioni generali sulla maggiore o minore elasticità dei due diversi sistemi bancari, è
interessante capire come funzionino i contratti che permettono di non utilizzare il tasso
d'interesse.
Nella presente tesi non vengono presi in considerazione tutti i contratti PLS, ma solo alcuni
dei più rappresentativi, a titolo d'esempio. In particolare, si approfondiranno il mushāraka,
il muḍāraba e il sukuk77, in quanto prodotti contrattuali estremamente caratterizzanti della
finanza islamica.
2.1.1 Il mushāraka
Per quanto relativamente poco impiegato nella pratica78, il mushāraka è considerato lo
strumento islamico per eccellenza. I luoghi in cui il suo utilizzo è massiccio sono le
università, dove è perfetto per illustrare i principi della finanza islamica, e i cartelloni
pubblicitari delle banche islamiche, nei quali grazie ad esso è possibile mostrare in pochi
semplici passaggi la palese bontà delle transazioni. La parola deriva dalla radice «sh-r-k» e
il verbo di prima forma «sharika» significa «partecipare» o «diventare un partner». È da
sottolineare che nel diritto islamico difficilmente si incontra il termine «mushāraka», in
quanto gli studiosi arabofoni gli preferiscono la parola «shirka», traducibile con i termini
76 Abbas, Mirakhor, e Iqbal, Zaidi, “Profit-and-Loss Sharing Contracts in Islamic Finance”, in Kabir,
Hassan, e Mervyn, Lewis (a cura di), Handbook of Islamic banking, Northampton (Elgar): Cheltenham,
2007, p. 50.
77 Il sukuk non è intrinsecamente un contratto PLS, ma può esserlo in base al contratto sul quale si fonda
l'emissione.
78 Chong Beng, Soon, e Ming-Hua, Liu, Islamic banking: interest-free or interest-based?, in Pacific-Basin
Finance Journal, 17.1 (2009), pp. 125-127.
29
«società» o «condivisione». Al di là dei diversi nomi, questo contratto consiste nella
creazione di una società (una joint venture) in cui i partner contribuiscono con capitale e/o
lavoro, condividendo rischi, profitti e perdite. I profitti sono divisi secondo una percentuale
stabilita nel contratto, mentre le perdite vengono subite proporzionalmente alla quota di
capitale investito. Presentata in questo modo, la mushāraka non sembra diversa da un
normale contratto di cointeressenza; tuttavia vi è una differenza fondamentale, almeno per
quanto riguarda i moderni sviluppi della finanza islamica: uno dei soggetti che investe il
capitale, nel caso della mushāraka, è infatti la banca, che in questo modo partecipa al
rischio d'impresa. Secondo lo studioso pakistano Muḥammad Taqi Usmani, evitando il
tasso d'interesse, e incentrando il rapporto sulla condivisione di profitti e perdite, vengono
neutralizzate due possibilità di commettere ingiustizia, verso il debitore e verso il creditore.
Il debitore potrebbe essere costretto, durante un momento di temporanea difficoltà, a
pagare tassi d'interesse che non sono in linea con i suoi profitti con la conseguenza, in
alcuni casi, di deteriorare definitivamente delle situazioni in cui una successiva crescita
sarebbe possibile. L'ingiustizia che rischia di subire il creditore, invece, si configura nel
caso opposto: quello in cui l'azienda riesce ottenere profitti enormi, continuando però a
pagare al creditore la stessa percentuale d'interesse sul capitale prestato, che in questo caso
è piccola rispetto al beneficio che è stato prodotto dallo stesso79.
2.1.2 Il muḍāraba
Nel diritto islamico viene indicato anche come «shirka muḍaribā», ossia «società in
accomandita». È una forma di partnership in cui uno dei partner (il rabb al-mal,
letteralmente «il signore del denaro») fornisce il capitale, mentre l'altro (il muḍarib) lo
gestisce. È di fatto una società in accomandita semplice (s.a.s.) con alcune particolari
regole. È ad oggi uno strumento relativamente poco utilizzato, per quanto i giuristi islamici
invitino continuamente le banche a farne un uso più diffuso. Sebbene nella forma molto
simile al contratto di mushāraka, il muḍāraba presenta diverse e importanti caratteristiche.
In primo luogo, il muḍāraba non richiede espressamente la creazione di una società, per
quanto sia normale costituirla; inoltre, nel muḍāraba i ruoli sono definiti in maniera più
netta: il capitale è solo e soltanto proprietà del rabb al-mal, mentre il muḍarib è l'unico ad
79 Muḥammad Taqi Usmani, An Introduction to Islamic Finance, Leiden: Brill, 2002, p. 36.
30
avere il diritto di gestire l'impresa. Il rabb al-mal viene definito per questo motivo un silent
partner, ovvero un soggetto che investe i soldi nella società, ma non partecipa attivamente
alla conduzione della stessa. Cambia anche la responsabilità in caso di perdite, a favore del
muḍarib: questi infatti, se agisce in maniera da rispettare i vincoli contrattuali, e nonostante
ciò subisce delle perdite, non si vede riconosciuta alcuna responsabilità. Tutte le passività
sono in capo al rabb al-mal: è comprensibile quindi la generale maggiore attenzione
all'andamento dell'azienda da parte degli investitori. Nel muḍāraba la responsabilità è
limitata al capitale investito, mentre nel mushāraka è solitamente illimitata. Questa è una
differenza anche con la già citata s.a.s., in quanto i soci accomandanti sono solitamente
responsabili per le perdite in maniera illimitata. Nel muḍāraba, infine, la proprietà degli
asset coinvolti è del rabb al-mal80.
Ovviamente esistono anche alcune somiglianze tra mushāraka e muḍāraba, nonostante le
differenze sottolineate finora. In quest'ultimo, come nel mushāraka, per esempio, il profitto
viene diviso sulla base di un accordo preso all'inizio del rapporto, e consiste in una quota la
cui la percentuale, ma non l'ammontare, è sempre predeterminata. Nella sharī‘a non vi
sono indicazioni su quale sarebbe una percentuale «giusta» per entrambi i tipi di contratto,
ma per quanto riguarda il mushāraka, nel caso in cui vi sia un silent partner, la sua
percentuale di profitto non può eccedere oltre la quota del capitale investito. Questa
clausola non ha ovviamente senso nel caso del contratto di muḍāraba in quanto il silent
partner fornisce l'intero capitale.
Il muḍāraba può essere stipulato nell'ambito di un prestito concesso dalla banca a clienti
proprietari di un'impresa. Nel corso del rapporto, la banca, che incarna il rabb al-mal81, può
però agire anche come muḍarib, aiutando nella gestione dell'impresa, dietro il pagamento
di una fee. La banca agisce come muḍarib anche in relazione ai proprietari di depositi, in
quanto gestisce capitale da questi fornito.
2.1.3 Il sukuk
Il sukuk è l'alternativa islamica all'obbligazione convenzionale. Per questo motivo viene
spesso impropriamente definito «bond islamico», sebbene le differenze con i bond veri e
80 Muḥammad Taqi, Usmani, An Introduction to Islamic Finance, Leiden: Brill, 2002, pp. 30-31.
81 In questo caso il termine è fuorviante. La banca è solo un intermediario, non il vero proprietario del
denaro.
31
propri siano molteplici e sostanziali. Nel mercato obbligazionario convenzionale, primario
o secondario che sia, l'interesse è il cuore di tutte le transazioni. Al contrario, i sukuk sono
strutturati in modo tale che alla base dello scambio vi sia un asset reale82. Com'è noto,
l'obbligazione è un titolo che rappresenta un debito dell'emittente nei confronti
dell'investitore, con cui l'emittente si impegna a restituire un dato importo allo scadere di
un lasso di tempo prestabilito, solitamente corrispondendo un pagamento periodico, che
comprende l'interesse. Il sukuk invece rappresenta la proprietà di un asset, il quale,
comprensibilmente, deve essere islamically-correct. La domanda legittima che sorge a
questo punto è quale sia la differenza tra un sukuk e un'azione, visto che entrambi
garantiscono la proprietà di un asset. Una delle risposte è che il sukuk, a differenza
dell'azione, non dà alcun diritto di gestione dell'azienda, né implica alcun diritto di voto
all'interno del gruppo di proprietari di sukuk. In generale, un sukuk funziona in questo
modo: il cedente, o originator, trasferisce un dato bene a una società che viene creata
apposta, e che ha una propria soggettività giuridica (questa società viene detta SPV, special
purpose vehicle). Quest'ultima emette dei certificati, e con i proventi ricavati acquista il
bene dell'originator ad un prezzo predeterminato. A questo punto il SPV affitta il bene
appena acquistato all'originator. E questi gestisce il bene e provvede al pagamento di un
canone di affitto allo SPV. Il canone va a costituire il profitto dei sottoscrittori dei sukuk.
Alla scadenza del contratto il SPV vende il bene al cedente, il quale lo riacquista ad un
prezzo predeterminato che costituisce il rimborso finale ai sottoscrittori 83. Ersilia Francesca
ha spiegato il funzionamento del sukuk iǧāra, il più comune:
«Nella struttura più semplice, e più utilizzata, di sukuk, l'originator vende alla
SPV un bene che riceverà indietro in leasing (iǧāra), pagando un canone, legato
all'andamento del bene, che rappresenta la remunerazione degli investitori.
L'originator avrà la gestione del bene e userà i fondi raccolti per finanziare i
progetti»84
82 Abbas Mirakhor, e Iqbal, Zaidi, “Profit-and-Loss Sharing Contracts in Islamic Finance” , in Kabir,
Hassan e Mervyn, Lewis (a cura di), Handbook of Islamic banking, Northampton (Elgar): Cheltenham,
2007, p. 53.
83 Ersilia, Francesca, Economia, religione e morale nell'Islam, Roma: Carocci Editore, 2013, p. 186 e
Federico, Nobile, La finanza islamica e uno strumento finanziario: i sukuk, Tesi di laurea discussa alla
Facoltà di Economia, Università di Udine, A.A. 2013/2014, p. 38.
84 Ersilia, Francesca, Economia, religione e morale nell'Islam, Roma: Carocci Editore, 2013, p. 186.
32
Questa spiegazione introduce un elemento fondamentale nella struttura dei sukuk. Questi
sono necessariamente basati su un bene materiale sottostante (underlying asset), che può
essere un edificio, un oleodotto o una qualsiasi altra infrastruttura. Tale bene è considerato
accettabile a condizione che sia compatibile con la sharī‘a (sharī‘a-compliant). E la
garanzia comunemente accettata di tale compatibilità risiede nel fatto che tali beni siano
legati a loro volta a un contratto islamico. Poiché vi sono molti contratti islamici, esistono
tipi diversi di sukuk, basati su underlying asset legati a contratti differenti: sukuk al-iǧāra,
sukuk al-mushāraka, sukuk al-muḍāraba, sukuk al-murābaha, nonché i sukuk misti85.
Questi meccanismi, che talvolta possono essere molto complessi, sono tutti mirati a offrire
all'impresa islamica una possibilità di finanziare il debito in maniera compatibile con la
sharī‘a, ossia evitando il tasso d'interesse al centro delle transazioni che coinvolgono i
normali titoli di debito.
2.2 Espedienti (ḥiyal) e «tecniche di seconda linea»
Gli ḥiyal (sing. ḥila), secondo lo studioso giapponese Satoe Horii, sono strumenti usati per
ottenere un obbiettivo, legale o meno, attraverso mezzi legali 86. Schacht traduce la parola
con «espedienti», «cautele legali»87, ovvero metodi che permettono di superare la rigidità
eccessiva di alcune regole.
Questi strumenti non sono caratteristici del solo diritto musulmano: tra il XVI e XVII
secolo, le discussioni tra gli esperti di diritto canonico riguardanti il cosiddetto triplo
contratto, o contratto germanico, erano altrettanto ferventi. Quest'ultimo era un accordo
societario costituito da tre fasi, coincidenti con la stipula di tre diversi contratti, ciascuno
dei quali, preso singolarmente, era completamente legittimo. Il primo era una società tra il
proprietario di denaro e il mercante; il secondo un contratto di assicurazione, con cui
veniva garantito il capitale al proprietario, in cambio di una rinuncia a una parte del
profitto; il terzo, infine, era un contratto aggiuntivo, simile a un contratto di vendita, con il
85 Abbas Mirakhor, e Iqbal, Zaidi, “Profit-and-Loss Sharing Contracts in Islamic Finance” , in Kabir,
Hassan e Mervyn, Lewis (a cura di), Handbook of Islamic banking, Northampton (Elgar): Cheltenham,
2007, p. 60.
86 Satoe, Horii, “Reconsideration of Legal Devices (Ḥiyal) in Islamic Jurisprudence: The Ḥanafīs and Their
"Exits" (Makhārij)”, Islamic Law and Society, 9, 3 (2002), pp. 312-357.
87 Joseph, Schacht, Introduzione al diritto musulmano, trad. it. Paola Guazzotti e Enrico Lanfranchi, Torino:
Edizioni della Fondazione Agnelli, 1995, p. 84 (ed. orig. An Introduction to Islamic Law, Oxford:
Claredon Press, 1964).
33
quale il proprietario rinunciava a un'ulteriore parte del futuro guadagno, allo scopo di
assicurarsi un profitto, contenuto, ma certo. In genere tale profitto ammontava al 5% della
somma prestata88. È evidente dunque come le diatribe in merito alla legittimità di queste
forme contrattuali o espedienti siano state accese anche nel mondo occidentale.
Ad oggi, ritornando alla finanza islamica, alcuni studiosi usano l'espressione «tecniche di
seconda linea» riferendosi a contratti quali il murābaha (doppia vendita con mark-up), lo
iǧāra (leasing islamico) e il bayʻ muaǧǧal (vendita a credito). Tuttavia, questa definizione
può risultare fuorviante: uno delle attuali problematiche della finanza islamica consiste nel
fatto che questi strumenti sono estremamente importanti per mantenere in positivo l'attività
delle banche. L'espressione «seconda linea» si riferisce più al grado di favore che gli
strumenti incontrano presso la comunità di studiosi, che non all'utilizzo effettivo che se ne
fa, o all'importanza che ricoprono nel bilancio della banca. Ciò nonostante, alcuni autori
ritengono che questi contratti equivalgano di fatto a strumenti in cui viene utilizzato
l'interesse. A sostegno di questa tesi, emergerà nel terzo capitolo quanto di fatto i loro
rendimenti siano sovrapponibili a strumenti harām utilizzati per gli stessi scopi. Di seguito
verrà fornito un singolo ma rappresentativo esempio di come funzionano questi contratti,
analizzando nello specifico il murābaha.
2.2.1 Il murābaha.
Murābaha deriva dalla radice «r-b-h», da cui proviene anche ribh, parola che significa
profitto, e che ha creato non pochi problemi agli studiosi per la sua somiglianza, fonetica e
concettuale, con la ribā. Sia chiaro da subito: il ribh, per quanto isolati ḥadīṯ non
assecondino questa visione dei fatti, è generalmente considerato legale. In sostanza il
murābaha è un contratto di doppia vendita: la banca acquista l'asset o il bene richiesto dal
cliente, da una parte terza, e lo rivende al cliente con un mark-up, una somma aggiuntiva
stabilita in precedenza, che può essere pagato in forma forfettaria o a rate. Si può
immaginare il suo utilizzo per l'acquisto da parte di un agricoltore di una mietitrebbia, o di
un magazzino. La maggior parte delle banche islamiche utilizzano il murābaha, e i loro
bilanci dipendono da questo strumento in percentuali variabili, ma pur sempre alte. Questo
ha almeno una conseguenza degna di nota: gli studiosi musulmani dedicano moltissimo
88 Paola, Vismara, Oltre l'usura, Soviera Manelli (Catanzaro): Rubbettino, 2004, p. 67.
34
tempo e spazio a giustificare la compatibilità di questo contratto con la sharī‘a. La
differenza che intercorre tra questo contratto e un finanziamento tramite prestito, è
talmente fine da risultare, secondo diversi osservatori, del tutto impalpabile. È facile
osservare come i risultati siano assolutamente paragonabili: X ha bisogno di un dato bene,
chiede aiuto finanziario alla banca Y, quindi X deve restituire alla banca Y l'aiuto
finanziario con un «qualcosa in più» stabilito in precedenza. Che quel «qualcosa in più»
venga chiamato «interesse» o mark-up, non cambia lo stato delle cose. Secondo Abbas
Mirakhor e Iqbal Zaidi, la differenza principale consiste nella motivazione sottostante al
pagamento del mark-up89: quest'ultimo non è dovuto a seguito dello scorrere del tempo che
impedisce alla banca di investire quel denaro in attività potenzialmente più redditizie, ma
al contrario si configura come una parcella per l'attività svolta dalla banca durante la
vendita (ad esempio la ricerca e l'acquisto di un bene di qualità al miglior prezzo).
Muḥammad Taqi Usmani ammette però che sono altri i contratti che andrebbero preferiti
come metodo di finanziamento, sottolineando che in principio la murābaha era solo un
contratto di vendita, e non un sistema di prestito. In questo senso, la caratteristica del
mubaraha è quella di essere un contratto di vendita in cui l'acquirente sa quanto margine di
profitto viene applicato dal venditore: un espediente per sfuggire al divieto di ribā, ma
certamente non un contratto ideale per perseguire i veri obbiettivi dell'Islam. Per questo
motivo, sempre secondo Usmani, tale strumento va considerato uno stadio intermedio e
temporaneo nel processo di islamizzazione dell'economia, e andrebbe utilizzato solo
quando contratti migliori, ovvero il mushāraka e il muḍāraba, non possono essere
impiegati.90
In ogni caso, poiché i giuristi musulmani non permetterebbero mai di operare una mera
sostituzione della parola «interesse» con quella mark-up, è possibile, gli studiosi tracciano
una linea di distinzione chiara tra murābaha e prestito. Usmani erge questo muro divisorio
in dodici punti, sottolineando che vi sono alcune condizioni che vanno rispettate in modo
vincolante affinché il contratto possa essere considerato valido. La tenuta di questo muro è
estremamente importante, perché se le motivazioni si rivelassero deboli, vi sarebbe un
grosso vuoto di coerenza all'interno del sistema finanziario islamico; un vuoto che in realtà
89 Abbas Mirakhor, e Iqbal, Zaidi, “Profit-and-Loss Sharing Contracts in Islamic Finance”, in Kabir,
Hassan e Mervyn, Lewis (a cura di), Handbook of Islamic banking, Northampton (Elgar): Cheltenham,
2007, p. 52.
90 Muḥammad Taqi, Usmani, An Introduction to Islamic Finance, Leiden: Brill, 2002, pp. 106-107.
35
si può già intravedere, grazie a questa strana mescolanza di condanne e difese dello stesso
contratto. È facile immaginare quale potrebbe essere una delle più potenti accuse alla
proibizione dell'interesse: il sistema che pretende di bandirlo dalle sue operazioni, di fatto
utilizza come strumento usuale un contratto che lo nasconde.
A questo punto, quindi, quali sono le differenze tra prestito convenzionale e prestito basato
sul contratto di murābaha? Premesso che il murābaha è un contratto di vendita, e in quanto
tale deve rispettare tutte le condizioni della sharī‘a per essere ritenuto valido91, una sua
peculiarità, che in apparenza può sembrare fortemente limitante, è la ragione del
finanziamento. Il murābaha non può essere usato come metodo di finanziamento, eccetto
che per quelle occasioni in cui il cliente ha necessità di fondi per acquistare un bene reale.
Per esempio, la banca potrebbe acquistare e poi rivendere cotone grezzo per fabbricare
delle maglie; tuttavia, nel caso i fondi venissero richiesti per coprire il prezzo di beni già
acquistati, o ancora per pagare la bolletta della luce, o il salario dipendenti, il murābaha
non potrebbe essere utilizzato92. In realtà questa condizione viene mitigata dalla possibilità
della banca di utilizzare il cliente come agente: il cliente acquista un bene facendo le veci
della banca, e in seguito acquista il bene dalla banca stessa, che applica il mark- up. In
questo caso l'unica differenza tra interesse e mark-up, sottolineata tra gli altri da Abbas
Mirakhor e Iqbal Zaidi, non è più percepibile. Vi è tuttavia ancora un punto: la necessità di
un momento in cui la banca sia proprietaria del bene (non potendo altrimenti procedere alla
vendita), e la proprietà comporta ovviamente l'assunzione dei rischi connessi ad essa 93, dal
momento in cui il cliente-agente o la banca stessa acquistano il bene fino al momento della
vendita al cliente. Al di là dei tentativi più o meno riusciti di giustificare da un punto di
vista formale l'esistenza di questo ed altri contratti sale-based, esiste anche chi, come
Mohammed Umer Chapra, ammette che una delle sfide che la finanza islamica dovrà
affrontare sarà un progressivo svezzamento da queste forme che come minimo si possono
91 Alcune condizioni sono ovvie, altre meno. Riassumendo le spiegazioni di Usmani: L'oggetto della vendita
deve esistere al momento della stessa. L'oggetto deve essere posseduto dal venditore (il venditore in ogni
caso potrebbe anche agire come agente). La vendita deve avvenire sul momento e non può essere differita
nel tempo, sebbene in alcuni casi si possa promettere di vendere. L'oggetto della vendita deve avere un
valore quantificabile e non può essere in nessun caso un qualcosa considerato harām. Certezza del prezzo
e del successo della vendita sono condizioni necessarie per la sua validità. La vendita non può dipendere
dal rispetto di clausole secondarie.
92 Muḥammad Taqi, Usmani, An Introduction to Islamic Finance, Leiden: Brill, 2002, p. 76.
93 Muḥammad Taqi, Usmani, An Introduction to Islamic Finance, Leiden: Brill, 2002, p. 75.
36
definire «ambigue». In un paragrafo94 intitolato significativamente The dream and the
reality, Chapra, dopo aver spiegato quali siano le condizioni che renderebbero il sistema
finanziario islamico più giusto ed etico, afferma che il modo in cui quest'ultimo si è
sviluppato fino a questo momento non è sempre coerente con la visione iniziale. L'IBF non
sarebbe ancora in grado di competere ad armi pari con il sistema convenzionale senza
imitarne i metodi, se si tiene conto del fatto che l'uso degli strumenti PLS è stato piuttosto
scarso, mentre i contratti sales-based sono diventati predominanti.
In sostanza, la risposta dei difensori dell'IBF a chi fa notare che la banche islamiche
funzionano in maniera molto simile a quelle convenzionali non è né un'arringa difensiva,
né una negazione, quanto piuttosto un cartello con su scritto «lavori in corso». Le reali
possibilità del settore islamico di giungere un giorno all'esclusione totale di contratti dubbi
sono ancora oggetto di dibattito.
3. La nascita delle banche islamiche
Se nei precedenti paragrafi si è tentato di delineare quali siano i tratti fondamentali degli
strumenti e contratti islamici, pensati, tra le altre cose, per evitare i tassi d'interesse, di
seguito l'analisi si concentrerà sullo sviluppo delle istituzioni finanziarie che questi
strumenti utilizzano. E soprattutto si descriverà come e per quali ragioni, solo a partire
dagli anni '70 ad oggi, la proibizione della ribā abbia avuto un così grande effetto
sull'economia.
3.1 Le ragioni
Abdullah Saeed ritiene che tra le molteplici motivazioni alla base dello sviluppo del settore
della finanza islamica tra gli anni '60 e '70, ve ne siano almeno tre che dovrebbero
conquistare l'attenzione: la condanna neo-revivalista della ribā; il benessere dei paesi del
Golfo derivante dalle esportazioni di greggio; e l'adozione di un'interpretazione severa e
quindi più estesa del significato di ribā da parte dei legislatori musulmani95.
Dagli anni '30 in avanti, esponenti della Fratellanza Musulmana cominciarono a criticare
94 Mohammed Umer, Chapra, “Challenges facing the Islamic financial industry”, in Kabir, Hassan e
Mervyn, Lewis,(a cura di), Handbook of Islamic banking, Northampton (Elgar): Cheltenham, 2007, p.
327.
95 Abdullah, Saeed, Islamic Banking and Interest: A Study of the Prohibition of ribā and its Contemporary
Interpretation, Leiden: Brill, 1996, p. 10.
37
l'uso dell'interesse da parte delle banche. Queste avevano cominciato a penetrare il mercato
medio orientale nel XIX secolo, introducendo innovazioni e strumenti finanziari complessi.
Il fondatore della Fratellanza Musulmana, Ḥasan al-Bannā, nel 1947 scrisse ai capi di stato
di paesi musulmani una lettera in cui condannava il sistema bancario convenzionale, e
poneva come obbiettivo di primo piano la riforma dello stesso, con una radicale
islamizzazione dell'economia. Lo sviluppo delle banche islamiche va fatto coincidere con
fatti geopolitici di estrema rilevanza: uno per tutti, l'aumento del prezzo del greggio nel '73,
il quale ha una vicinanza temporale significativa con l'inizio di forti incentivi allo sviluppo
della finanza islamica da parte degli stati nazionali arabi. Basti citare il caso dell'Arabia
Saudita, che passò dai 36 milioni di dollari americani di entrate derivanti dalla produzione
del greggio, ottenuti nel 1960, ai 55 miliardi nel 1979. Analoghi sviluppi sono osservabili,
su scala ridotta, in Kuwait ed Emirati Arabi. Come evidenziato all'inizio del secondo
capitolo, l'iniezione massiccia di liquidità nelle casse degli stati produttori pose il problema
dell'eccesso di liquidità. Il risultato fu che le nuove banche, anche quelle di Paesi non
produttori di petrolio, vennero finanziate con denaro proveniente dal settore petrolifero. Il
prezzo del petrolio ha avuto e ha molto a che vedere con la finanza islamica e con il suo
sviluppo.
In una ricerca pubblicata dal Financial Services Authority (FSA) nel 2007 96, si afferma che
l'aumento dei prezzi nel 2003 abbia creato una crescente domanda di prodotti islamici;
talmente grande da non poter essere assorbita del tutto dalle banche islamiche medio
orientali: la conseguenza è stato un dirottamento dei fondi verso altri poli di importanza
mondiale, quali Londra97.
3.2 Lo sviluppo delle istituzioni finanziarie interest-free
La prima banca islamica, la Mit Ghamr Savings Bank, venne fondata nel 1963 a Mit
Ghamr, una cittadina sul delta del Nilo oggi famosa per la produzione di utensili in
alluminio. Sebbene si registrino casi antecedenti, soprattutto per quanto riguarda la
Malaysia, questa data viene generalmente considerata l'atto di nascita dell'IBF. L'idea che
portò alla istituzione di questo primissimo esperimento, fu dell'economista egiziano Ahmed
96 Michael, Ainley, et al., Islamic Finance in the UK: Regulation and Challenges, London: Financial
Services Authority, 2007, p.7.
97 Rodney, Wilson, “Islamic banking in the West”, in Kabir, Hassan e Mervyn, Lewis,(a cura di),
Handbook of Islamic banking, Northampton (Elgar): Cheltenham, 2007, pp. 419-425.
38
Al-Naǧǧar. Al-Naǧǧar pensava di creare un istituto simile alle casse di risparmio tedesche,
studiate in giovinezza. I prodotti proposti dalla Mit Ghamr erano privi di dichiarati
richiami all'Islam, a causa del clima di ostilità che la neofondata banca avrebbe potuto
fronteggiare nell'Egitto laico di Nasser. Tuttavia, i depositanti avevano già la possibilità di
versare i propri risparmi, senza ovviamente ricevere interesse, sapendo che sarebbero stati
investiti in attività halāl e interest-free98. L'esperimento terminò nel '67 in circostanze non
chiare; le ragioni proposte vanno dal dissesto finanziario, ad un attacco di natura politica. È
certo che in quel periodo le istituzioni islamiche non fossero ancora pronte ad affrontare i
problemi cronici che le affliggevano e affliggono ancora oggi (su tutti, la mancanza di
liquidità).
Contemporaneamente, al di fuori dell'Egitto, lo sviluppo del settore era fortemente
sostenuto da diversi Stati arabi, in primis l'Arabia Saudita. Nel 1975, la Islamic
Development Bank (IDB), con sede a Ǧedda, divenne pienamente operativa, portando il
settore della finanza islamica all'attenzione degli investitori di livello internazionale.
Questa organizzazione era stata ideata nei primi anni '70 per permettere ai paesi membri di
sostenersi reciprocamente, nel rispetto dei principi islamici. La IDB ad oggi conta 56 paesi
membri, i quali sono proprietari di quote di partecipazione di differente entità (si va
dall'Arabia Saudita, che possiede il 26,57% delle quote, alle Isole Comore, proprietarie
dello 0,02%99). È degno di nota come anche paesi in cui la finanza islamica non è ancora
una realtà stabilita, posseggano quote simboliche della IDB: un esempio è quello del
Marocco. Il parlamento di Rabat infatti ha approvato leggi che permettono le operazioni
delle banche islamiche solo negli ultimi mesi del 2014, e le prime istituzioni finanziarie
islamiche autoctone potrebbero nascere nel 2016. Ciò nonstante, già da tempo la banca
centrale marocchina possiede una quota dello 0,04% della IDB.
Non si deve pensare che lo sviluppo della finanza islamica si sia limitato unicamente al
mondo arabo musulmano: nello stesso periodo, istituzioni finanziarie vennero fondate in
Asia, come la Philippine Amanah Bank (1973) e in Europa. Il Lusserburgo fu il primo, nel
1978, ad ospitare tal genere di istituzione in contesto occidentale, lasciando sulla griglia di
partenza tutti gli altri paesi europei, eccetto la Gran Bretagna.
98 Daniele, Atzori, Fede e mercato: verso una via islamica al capitalismo?, Bologna: Il Mulino, 2010, p. 45.
99 Dati del 2014, provenienti dal sito della IDB, www.isdb.org.
39
3.3 A Oriente del Profeta
Fu inoltre importante, a partire dagli anni '70, il ruolo delle economie islamiche asiatiche
nell'evoluzione dell'industria finanziaria islamica. Qui verrà fatto in particolare riferimento
al Pakistan e alla Malaysia: i casi di questi due paesi offrono lo spunto per analizzare le due
strade che formavano il bivio posto di fronte ai legislatori musulmani in quegli anni. Da
una parte, la possibilità di islamizzare il sistema dall'alto, imponendo leggi contro i tassi
d'interesse; dall'altra, quella di permettere alle banche islamiche di operare in concorrenza
con le banche convenzionali, rimuovendo i vincoli legislativi che impedivano loro essere
competitive. Se in Pakistan ha prevalso la prima, in Malaysia la seconda.
3.3.1 Il Pakistan e una proibizione imposta
La posizione del Pakistan, tra i paesi musulmani che ospitano banche islamiche, è
certamente rilevante: esso fa parte, insieme ai soli Iran e Sudan, di quella esigua minoranza
di stati che hanno optato per un'islamizzazione completa del sistema bancario, almeno a
livello formale. Il Pakistan costituisce uno dei banchi di prova per chi vuole dimostrare
come l'interesse non sia necessario, e ritenga quindi un passo fondamentale ed efficace
l'islamizzazione dell'economia.
Il drastico cambiamento apportato dal Pakistan alla propria economia fu forse
riconducibile al discorso di riaffermazione identitaria islamica, in un ambito in cui i
musulmani cercavano di differenziarsi in ogni modo dagli hindu. Uno dei padri
dell'economia islamica, Abu Ala Mawdudi (1903-1979), fondatore nel 1941 del partito
indiano ǧama'at-e-Islami100, fu fra quelli che maggiormente influenzarono questo processo:
per quanto non fosse affatto convinto della necessità di creare un'entità statuale separata,
Mawdudi affermava l'importanza, per i musulmani, di differenziarsi dagli hindu in ogni
aspetto della vita. Uno dei primi punti ribaditi era quello della eliminazione delle
transazioni basate sul tasso d'interesse.
È stata avanzata l'ipotesi che la grande enfasi di Mawdudi su questo punto fosse
riconducibile alla situazione dei musulmani indiani, indebitati nei confronti di istituzioni
hindu101. Fallito il tentativo di fermare la separazione in due stati, avvenuta nel 1947,
100Il partito continuò poi a vivere anche dopo la divisione di India e Pakistan, grazie alla nascita dei partiti
ǧama'at-e-Islami Pakistan e ǧama'at-e-Islami Hind.
101Atzori, Daniele, Fede e mercato: verso una via islamica al capitalismo?, Bologna: Il Mulino, 2010, p.
57-58.
40
Mawdudi si dedicò attivamente all'islamizzazione dello stato musulmano, ponendo estrema
attenzione alla questione della ribā, di cui tuttavia non riuscì a vedere l'abolizione.
Quest'ultima venne decisa nel 1980 dal Council of Islamic Ideology, un organo a tutt'oggi
importantissimo nel processo di islamizzazione pakistano, creato dal governo di Ayub
Khan, all'inizio degli anni '60, con lo scopo di sostenere le riforme del governo. Nonostante
una così tarda abolizione, già nel 1964 il CII esprimeva un parere unanime riguardante il
fatto che sarebbe stato necessario abolire l'interesse per creare una società islamica più
giusta. Il colpo di stato del 1977, ad opera del generale Zia ul-Haq, diede la spinta decisiva.
Sostenuto da Mawdudi, il quale divenne eminente ideologo del regime, appena giunto al
potere il generale promise alla nazione di introdurre il nizam-e-mustafa (il sistema sociale
del Profeta). Vennero istituite commissioni e gruppi di ricerca, tutti volti a comprendere
l'effettiva possibilità di creare, per quella nazione di musulmani, un vero stato islamico.
L'islamizzazione divenne, per il regime di Zia ul-Haq, una raison d'être e la peculiare
caratteristica : la zakāt venne resa obbligatoria per legge, e divenne così una «tassa di
carità». Questa misura ottenne risultati di poca o nulla rilevanza, se non si prende in
considerazione l'aumento della corruzione degli ufficiali e quello del malcontento dei
clienti delle banche pakistane. Il prelievo del 2.5% da tutti i depositi bancari venne infatti
percepito più come un furto, che come un pio e volontario atto di carità.
Il governo promosse inoltre l'utilizzo di strumenti e contratti islamici, assicurandone nella
propaganda la loro maggiore redditività rispetto a quelli convenzionali 102: concretamente in
questo caso il successo fu più palpabile, con un quarto dei depositi passati a forme
contrattuali islamiche nei soli primi tre anni. Gli anni '80 furono l'ultima decade in cui il
Pakistan mostrò una crescita del PIL impressionante, pari, in media, al 6% (gli anni '90
vengono invece ricordati come «la decade perduta»). Questo risultato era però in parte
dovuto ai massicci aiuti esteri, in particolare quelli degli Stati Uniti, che vedevano nel
Pakistan un importante alleato contro i sovietici in Afghanistan. Democrazia, sicurezza,
alfabetizzazione e altri indicatori di sviluppo sociale e politico non ebbero lo stesso
andamento. William Easterly non esita nel definire il caso del Pakistan una paradossale
«crescita senza sviluppo»103, fornendo diverse possibili cause, la maggior parte delle quali
102 Ian, Talbot, Pakistan: A Modern History, London: Hurst&Co, 1998, p. 272-277.
103 William, Easterly, The Political Economy of Growth Without Development:
A Case Study of Pakistan, Harvard University e Banca Mondiale, giugno 2001.
41
legate all'eccessiva centralizzazione del potere da parte dello Stato islamico.
Quello che emerge chiaramente, è che questo mancato sviluppo è da attribuire all'azione
dei governi centralizzatori: l'imposizione delle riforme dall'alto, l'esacerbazione delle
differenze già presenti tra la popolazione, un'islamizzazione portata avanti con poco
riguardo per le minoranze e con scarsa lungimiranza per tutte le conseguenze indesiderate
che avrebbe portato, contribuirono all'assenza di sviluppo, e infine anche all'indebolimento
dell'economia. Paradossalmente, la crescente debolezza costrinse il governo, negli anni '90,
a richiedere più volte aiuto alla Banca Mondiale e all'FMI, vertici di quel sistema
convenzionale e ribā-based che era stato bandito dal paese.
3.3.2 La Malaysia e una proibizione permessa
Il caso della Malaysia è esattamente opposto. Come afferma Zakaryia Man 104, molti
studiosi negli anni '80 hanno manifestato dubbi sulla possibilità di sviluppare un sistema
finanziario islamico, senza porlo in un ambiente protetto da concorrenti non-islamici. Era
opinione diffusa che si dovesse far precedere alla fondazione di una banca islamica una
completa estensione della sharī‘a in tutti i campi della vita politica e sociale. Queste
considerazioni, oltre a portare a casi di estrema radicalizzazione come quello del Pakistan,
nascondevano un'insicurezza, contraddetta poi dal corso degli eventi: non si era affatto
sicuri che un sistema basato sui precetti islamici potesse tenere il passo delle banche
convenzionali. Tuttavia, secondo Mohamed Ariff, questa argomentazione manca di
credibilità, e l'esperienza delle prime banche islamiche nel sud-est asiatico sarebbe
sufficiente a cancellare ogni dubbio circa le possibilità di sviluppo delle banche
islamiche105. La Malaysia è un esempio lapalissiano di come la concorrenza tra tipi diversi
di banche possa portare a una sana e impetuosa crescita del settore. La convivenza tra
banche convenzionali e banche islamiche ha portato le prime ad aprire sportelli «muslim
friendly», e le seconde a sviluppare una grande serie di innovazioni e nuovi prodotti che
fossero in grado di concorrere con le banche convenzionali, non solo sul piano della
maggiore eticità, ma anche del maggiore profitto.
Nel caso malaysiano, un passo importante venne compiuto con la costituzione, nel 1969,
104 Mohamed, Ariff, et al., Islam e Finanza: Religione musulmana e sistema bancario nel Sud-est asiatico,
trad. it Carla Palmieri, Torino: Fondazione Giovanni Agnelli, 1991, p. 108 (ed. orig. Islamic Banking in
Southeast Asia, Singapore: Institute of Southeast Asian Studies, 1988).
105Ibidem
42
del Pilgrims' Management and Fund Board106, un ente pensato per aiutare i pellegrini a
raggiungere i luoghi santi dello haǧǧ. Un aiuto fornito per adempiere a un dovere di questo
tipo non poteva che essere conforme alla sharī‘a: per questo motivo il PMFB si strutturò
senza basarsi sull'utilizzo di tassi d'interesse. L'enorme successo dell'iniziativa spinse
diversi enti, quali la stessa PMFB, la Development Bank of Malaysia e l'Organizzazione
della Malaysia per l'Assistenza ai Musulmani, a fare pressioni sul governo, affinché
concedesse deroghe sulle leggi vigenti, permettendo la costituzione di banche islamiche. Il
governo istituì quindi comitati chiamati a immaginare il quadro giuridico entro il quale si
sarebbero mosse le nuove banche, tenendo conto di come la società avrebbe accolto questa
novità, nonché a ideare un piano di lavoro per la creazione di una banca nazionale
islamica. Dopo anni di pressioni, avvennero due fatti di estrema importanza: nel 1983
venne costituita la BIMB, una banca islamica le cui quote azionarie erano detenute
totalmente da enti pubblici, e nello stesso anno venne promulgata una legge sulle banche
islamiche, la quale andava a modificare in diversi punti una precedente legge bancaria del
1973, che di fatto non permetteva a queste di operare in Malaysia. Da quel momento fino
al 1993, quando la quasi totalità degli intermediari finanziari ottennero la possibilità di
proporre ai clienti strumenti islamici, vi fu uno straordinario sviluppo della ricerca nel
settore, con centinaia di seminari e conferenze organizzati nelle università del paese.
Ancora oggi la Malaysia ospita, a Kuala Lumpur, l'INCEIF, l'unica istituzione universitaria
al mondo che offre esclusivamente corsi post-graduate di finanza islamica. Questo sistema
ha permesso che la Malaysia divenisse leader nella creazione e innovazione degli strumenti
finanziari islamici: nel 1983 venne emesso il primo vero e proprio sukuk al mondo,
conosciuto con il nome di Government Investment Certificate (GIC)107.
Il grande successo odierno della Malaysia è innegabile: un mercato dei sukuk tra i più
fiorenti e innovativi al mondo (nel 2007 è stato emesso in Malaysia quello che allora era il
sukuk più grande di sempre, dal valore di 5 miliardi di dollari americani); una vastità di
prodotti offerti; l'apertura verso istituzioni finanziarie islamiche straniere, nonché un
precoce sviluppo del settore dell'assicurazione islamica (takaful108). La Malaysia gode della
106 Daniele, Atzori, Fede e mercato: verso una via islamica al capitalismo?, Bologna: Il Mulino, 2010, p.
77.
107 Ricardo, Baba, “Islamic financial centres”, in Kabir, Hassan, e Mervyn, Lewis (a cura di), Handbook of
Islamic banking, Northampton (Elgar): Cheltenham, 2007, pp. 391-394.
108 Pur essendo le assicurazioni islamiche un parte importante dello sviluppo della finanza islamica, nella
presente tesi non si è dedicato loro spazio. La motivazione risiede nel fatto che l'argomento ha più a che
43
presenza sul proprio territorio di una classe di specialisti altamente qualificati, molti dei
quali formatisi in loco.
Questo è il risultato dell'approccio soft del governo della Malaysia nei confronti della
proibizione dell'interesse, il quale ha portato a risultati di incredibile rilevanza 109. In questo
caso, a differenza del Pakistan, non si è insistito nell'imporre un cieco divieto, senza nessun
riguardo per il sistema preesistente, ma si è optato per la creazione del giusto ambiente a
livello istituzionale, legale e universitario, per permettere alle varie istituzioni di competere
e/o collaborare.
Un metodo certamente più lento e graduale: nel 2010 il settore finanziario islamico
costituiva solo il 20% di tutto il mercato finanziario della Malaysia 110. Il quale però ha
portato molti clienti a scegliere istituzioni islamiche non solo perché più giuste, o perché
l'unica opzione disponibile, ma anche perché in alcuni casi erano in grado di offrire
prodotti migliori dei concorrenti. Questa via, basata sulla convivenza delle istituzioni, ha
creato un ambiente bancario duale, e ha portato la Malaysia a essere definita nel 2007 «un
centro regionale della finanza islamica»111. Una previsione poco generosa se, a distanza di
otto anni, Kuala Lumpur è generalmente considerata dagli studiosi uno dei centri mondiali,
oltreché il più importante polo di emissione dei sukuk.
Nessun ostacolo, nessun favoritismo: Bahrain e Gran Bretagna.
La strategia della convivenza non è caratteristica della sola Malaysia. Permettere alle
banche di proporre liberamente prodotti interest-free, invece che limitarsi a emettere una
legge contro la ribā, ha dato ottimi frutti nei luoghi più diversi. Oggi i principali centri
della finanza islamica sono ospitati in Bahrain, per quanto riguarda il Medio Oriente, in
Malaysia per l'Asia, e nella Gran Bretagna, o meglio, a Londra, per il mondo occidentale112.
La centralità del Bahrain, oltre ad essere geografica per il mondo musulmano, è
chiaramente dimostrata dal numero impressionante di compagnie che operano nel regno.
fare con le proibizioni del gharar e del maysir, che non con quella della ribā.
109 Saim Kayadibi, “The growth of Islamic banking and finance in Malaysia”, in Mazards Hadi Ali,
Finance islamique : regard(s) sur une finance alternative, Algeria: Islamic Finance Series, 2011, pp. 429440.
110Ibidem.
111 Ricardo, Baba, “Islamic financial centres”, in Kabir, Hassan, e Mervyn, Lewis (a cura di), Handbook of
Islamic banking, Northampton (Elgar): Cheltenham, 2007, p. 391.
112Ibidem, pp. 384-399
44
L'isola, secondo la Central Bank of Bahrain113, ospita 404 istituzioni finanziarie, tra le quali
vi sono 80 banche convenzionali, 23 banche islamiche, 52 banche d'investimenti e 138
compagnie assicurative, più svariati altri operatori. I fattori che fanno del Bahrain un
importante polo economico sono molteplici: esso è infatti la sede di alcuni degli organi
internazionali più importanti del settore, come l'International Islamic Financial Market
(IIFM)114 e l'Accounting and Auditing Organization for Islamic Financial Institutions
(l'AAOIFI è un'organizzazione che si occupa di decidere quali siano le caratteristiche
standard che deve avere un dato prodotto islamico). Il Bahrain è inoltre dotato di tutte le
infrastrutture necessarie per supportare il lavoro del settore finanziario. Come si può
notare, questo Stato non è contrario alle operazioni convenzionali, e non tenta di
ostacolarle. Al contrario, favorisce la convivenza dei due sistemi ribā-based e ribā-free.
Il secondo caso sul quale è necessario soffermarsi è la Gran Bretagna. Quest'ultima nel
2004 ha visto la Islamic Bank of Britain diventare la prima banca commerciale islamica
con sede centrale al di fuori del mondo musulmano 115. Gli investitori del Golfo hanno usato
e continuano a usare questa banca come mezzo halāl per investire nel redditizio mercato
immobiliare britannico. Inoltre Londra, grazie alla presenza della City, offre diversi
vantaggi a chiunque voglia investire nel settore finanziario islamico. Questo è il motivo per
il quale Londra è diventata rapidamente il centro delle operazioni finanziarie islamiche in
Occidente, oltreché uno dei più importanti poli globali. Il governo ha agito in maniera
acuta116, rimuovendo i vincoli che rendevano l'attività finanziaria islamica difficile. Per
esempio il Finance Act 2003, con cui si introduceva una norma per evitare il pagamento
multiplo di bolli e tasse di registro117, che nel caso di acquisti di immobili impediva l'uso
del murābaha, ha giocato un ruolo fondamentale. Essendo infatti questo un contratto di
doppia vendita, la tassa di registro finiva per essere pagata una volta in più del necessario,
rendendo sconveniente l'impiego di questo strumento. Tale problematica verrebbe
incontrata dalle banche islamiche anche nel corso di un'ipotetica penetrazione del mercato
113 I dati sono aggiornati al 31 dicembre 2014, e sono resi pubblici dalla stessa CBB, sul sito
www.cbb.gov.bh.
114 Lo IIFM è pensato per migliorare la rete di scambi tra istituzioni finanziarie islamiche.
115 Nel 2014 la IBB è stata acquisita dal gruppo Masraf Al Rayan, con sede a Doha (Qatar), e ha cambiato il
proprio nome in Al Rayan Bank.
116 Jonathan, Ercanbrack, The Regulation of Islamic Finance in the United Kingdom, Ecclesiastical Law
Journal (Cambridge), 13 (2011), pp 69-77.
117 Michael, Ainley, et al., Islamic Finance in the UK: Regulation and Challenges, London: Financial
Services Authority, 2007, p. 8.
45
italiano.
Londra, essendo poi uno dei più importanti centri mondiali della finanza convenzionale, ha
da offrire forza lavoro qualificata che può seguire le complesse procedure legali che stanno
dietro alla creazione e all'attività di un'istituzione finanziaria. Decine di corsi, nelle più
importanti università del regno, offrono la possibilità di studiare diritto musulmano e
finanza islamica. L'ateneo di Durham, ad esempio, è stato il primo in Europa a dedicare un
corso di studi intero alla finanza islamica, e vanta oggi uno dei più rinomati dipartimenti di
studi per la finanza islamica del mondo occidentale.
A questo si aggiungano alcuni altri vantaggi “naturali”, quali la posizione geografica, che
si traduce in una più semplice gestione dei rapporti legati ai fusi orari 118. Da Londra infatti
si può commerciare al mattino con i mercati asiatici e il pomeriggio con quelli americani.
Un secondo vantaggio è costituito dalla lingua inglese, conosciuta universalmente nel
mondo finanziario.
L'approccio britannico può essere quindi riassunto nel motto «nessun ostacolo, nessun
favoritismo». È ovviamente impensabile vietare la ribā in Gran Bretagna. Tuttavia nulla
impedisce la presenza di istituzioni che non la utilizzano, e che quindi possono essere
preferite da quella fetta di popolazione che sente quella dell'utilizzo dell'interesse come una
questione importante.
Università votate alla creazione, ampliamento e miglioramento di corsi specifici,
burocrazia rapida e semplice, rispetto per tutti gli agenti economici, un legislatore attento
soprattutto a non far percepire la propria influenza, apertura alle innovazioni, islamiche o
convenzionali che siano: queste sono le più importanti caratteristiche dei centri della
finanza islamica nel mondo.
118 Ricardo, Baba, “Islamic financial centres”, in Kabir, Hassan, e Mervyn, Lewis (a cura di), Handbook of
Islamic banking, Northampton (Elgar): Cheltenham, 2007, p. 397.
46
Capitolo III
Obiezioni alla proibizione dell'interesse
«My definition would include profiteering
of all kinds, but exclude economic credit, the
creature of modern banking and finance»
Ali Yusuf119
1. Riprendere le fonti
Come si è visto nel secondo capitolo, negli anni '70, nei Paesi del Golfo si pose un
problema di non immediata risoluzione: l'eccesso di liquidità; il fiume di denaro derivante
dalla vendita del greggio andava investito in qualche modo. In quel momento, e in effetti
già da alcuni decenni, era aperto un dibattito su come si sarebbero potuti usare in maniera
islamically-correct eventuali fondi120. Bisognava investirli tramite banche occidentali?
Oppure era necessario creare nuove banche nei Paesi del Golfo? E in questo caso, in quale
modo avrebbero funzionato? Sarebbero state mere copie di quelle convenzionali, o
portatrici di una «via islamica» nel campo della finanza? Uno dei problemi fondamentali
era posto dal fatto che tutte le banche esistenti fino a quel momento erano interest-based.
Ovvero tutte le operazioni economiche venivano effettuate con l'ausilio del tasso
d'interesse, che andava a costituire il margine di profitto per l'intermediario finanziario.
Nel corso degli anni emersero da questa diatriba due fazioni: da un lato coloro i quali
intendono sviluppare un'economia e una finanza basate su precetti islamici, vietando
qualsiasi transazione che coinvolga formalmente l'uso del tasso d'interesse; dall'altro
invece, chi tenta di dimostrare come e perché la ribā coranica non assomigli in nulla al
tasso d'interesse delle banche occidentali. Abdullah Saeed si riferisce a quest'ultimo gruppo
come a quello dei «modernisti». Tra di essi si annoverano diversi autori che contrastano la
proibizione dell'interesse, tra cui anche alcune vere e proprie celebrità del settore della
finanza islamica, quali Fazlur Rahman, Abd Al-Razzāq Sanhūri, Marūf Al-Dawalibi,
Mohamed Draz, Mohammad Omar Farooq. Costoro costituiscono una sparuta minoranza
119 Ali, Yusuf, The Holy Qur’an: Text, Translation and Commentary, Lahore, 1975, p.111.
120Per approfondire le ragioni dello sviluppo delle istituzioni finanziarie islamiche.
47
all'interno della comunità degli studiosi musulmani, e tuttavia
«because these few are to be found among the most eminent, their views carry
some weight and deserve to be reported»121.
Altri ricercatori, pur non potendo essere annoverati tra gli studiosi modernisti, di fatto
sostengono le loro ipotesi, individuando delle debolezze all'interno del sistema bancario
islamico.
Il dibattito è stato, soprattutto nei primissimi anni di formazione della finanza islamica,
accesissimo. Basti pensare che Siddiqi, nel suo studio Muslim Economic Thinking122 può
citare oltre 55 lavori scientifici sulla questione dell'interesse in ambito islamico, scritti tra
gli anni '50 e i primi anni '70, in inglese, arabo e urdu.
I tradizionalisti hanno oggi un ruolo predominante e maggioritario, reso ogni anno più forte
dagli incredibili successi del settore. Diverse questioni sono però rimaste sono in attesa di
una risposta definitiva e chiara: spesso domande sollevate dal secondo gruppo che oggi
riunisce coloro i quali, senza contestare la proibizione della ribā, espressa in termini chiari
nel Corano, tentano di negoziare l'estensione del termine. Bisogna sottolineare questo
punto: è molto chiaro a tutti gli studiosi coinvolti nel dibattito che la ribā è proibita.
Sapendo questo, i modernisti evitano la discussione sul significante, e circoscrivono il
confronto al campo del significato. L'intenzione è quella di definire la ribā come «interesse
eccessivo» o «usura» ed eliminare l'accezione di «interesse» in quanto tale. Questa
battaglia viene portata avanti anche nelle traduzioni, e nell'impiego di queste all'interno di
ricerche e di articoli scientifici. Un'analisi apparentemente neutrale può essere
immediatamente riconosciuta come appartenente allo schieramento dei modernisti, o a
quello tradizionalista123, a seconda del linguaggio utilizzato. La semplice traduzione del
termine ribā con le parole «usura» o «interesse», infatti, implica una scelta ideologica 124.
Un autore favorevole a una proibizione estensiva della ribā, per esempio Mohamed Umer
121 Nabil, Saleh, Unlawful gain and legitimate profit in islamic law: ribā , gharar and islamic banking,
Cambridge: Cambridge University Press, 1986, p. 26.
122 Muḥammad Nejatullah, Siddiqi, “Muslim Economic Thinking: A Survey of Contemporary Literature”, in
K. Ahmad (a cura di), Studies in Islamic Economics, Leicester: Icrie and The Islamic Foundation, 1980, p.
219.
123Vengono anche definiti tradizionalisti o revivalisti.
124 Daniele, Atzori, Fede e mercato: verso una via islamica al capitalismo?, Bologna: Il Mulino, 2010, p.
24.
48
Chapra, usa la traduzione «interesse» nel corso di tutta la trattazione, alternandola con la
più esotica parola araba, come se fossero ognuna la traduzione perfetta dell'altra. Talvolta
chiarisce persino all'inizio che non esiste alcuna distinzione con l'«usura» e che le tre
parole hanno significati sovrapponibili. D'altro canto, un modernista come Mohammad
Farooq precisa da subito che proibizione della ribā e proibizione dell'interesse sono due
cose completamente diverse. «Interesse» non viene da questi studiosi considerato una
traduzione accettabile di ribā, e se anche vi fosse una traduzione, che di solito non vi è,
essa sarebbe «usura». Un autore che voglia salvaguardare la propria dichiarata neutralità
sceglierà di usare solamente la parola araba traslitterata. Fazlur Rahman125, inserito da
Abdullah Saeed tra i modernisti, sottolinea, nella nota di premessa di un suo importante
articolo scientifico
«In fact, any attempt to translate the Qur'anic term 'ribā' in any language is not
only futile, but it is also the source of much confused thinking on the
subject»126.
Superando la questione della definizione, i modernisti concentrano la loro attenzione, più
che sull'aspetto legale della proibizione connesso alla presenza di un qualsiasi incremento
del capitale iniziale prestato, su quello morale. Essi argomentano: il motivo che soggiace
alla proibizione è l'ingiustizia; se nelle transazioni contemporanee non si può trovare la
stessa ingiustizia osservabile nei contratti usurari esistenti all'alba dell'Islam, la conclusione
è che la ribā coranica nulla ha a che vedere con l'interesse bancario moderno.
La controversia ha diversi punti critici. Per prima cosa, ci si chiede se il divieto sia
applicabile anche quando il creditore è più debole o più povero del debitore, e se il divieto
non dipenda dai fini del finanziamento (per esempio, vi potrebbe essere una differenza tra
prestito al consumo e prestito d'investimento). Un altro punto importante riguarda la
coincidenza della ribā coranica con l'interesse moderno, e se il Profeta potesse tenere conto
della questione dell'inflazione127.
125 Studioso pakistano, durante gli anni sessanta fu direttore dell'Istituto Centrale di Ricerca Islamica di
Karachi. È anche l'autore di uno dei più citati articoli scientifici riguardanti le obiezioni alla proibizione della
ribā .
126 Fazlur, Rahman, “Ribā and Interest”, trad. inglese Mazheruddin Siddiqi, Islamic Studies, Karachi, 3,
1964, p. 2 (ed. orig. “Tahqiq-i riba”, Fikr-o Nazar, 5, 1963).
127 Ahmad Abu Umar, Faruq, e Kabir, Hassan, “Ribā and Islamic banking”, Journal of Islamic Economics,
Banking and Finance, vol.3, i.1, 2007, p.8.
49
Poiché argomentazioni simili vengono riprese da più autori, sebbene con alcune differenze,
si è preferito organizzare l'esposizione per «obiezioni» invece che per autore.
1.1 Il Corano proibisce solo la ribā ǧāhiliyya
È l'affermazione di coloro i quali accettano una forma di proibizione riguardante l'interesse
eccessivo, considerato usurario, ritenendolo tuttavia ben diverso dai tassi d'interesse alla
base dell'economia convenzionale. Gli autori argomentano le loro tesi a partire dalle fonti
del diritto, il Corano e la Sunna, per poi tentare di rivalutare oppure contrastare un dato
esegeta. L'idea è che l'unica ribā proibita consista in una pratica particolarmente ingiusta
risalente però al periodo pre-islamico, già esaminata nel primo capitolo 128, e non
riscontrabile in maniera diffusa nell'ambito dei prestiti bancari.
Nel 1963, anno della nascita della prima banca islamica, Fazlur Rahman scrisse un articolo
intitolato Tahqiq-i ribā, uscito su Fikr-o Nazar. L'articolo, redatto in urdu, venne tradotto in
inglese nel corso dello stesso anno da Mazheruddin Siddiqi, ed è forse il documento più
citato da chiunque abbia successivamente tentato di attaccare la proibizione dell'interesse.
Inevitabilmente Fazlur Rahman ammette fin dall'inizio che una proibizione esiste, ed è
palesemente espressa nelle fonti scritte. Dopo aver presentato tre delle quattro sure che
fungono da fonte primaria, l'autore tenta di delineare i punti fondamentali. Per prima cosa,
egli ribadisce che la ribā ǧāhiliyya era un sistema in cui il montante veniva raddoppiato e
moltiplicato, dando luogo a un fenomeno usurario: è per questo motivo che nel Corano
questa pratica viene sconsigliata. Inoltre, precisa come le fonti ammettano la legittimità del
profitto, opposto a una non meglio definita «speculazione»129. Concentrandosi sulla sura āl
ʻImrān, Fazlur Rahman spiega, citando diversi esegeti ed autori come Imam Malik, Mufti
Muḥammad Shafi', Ṭabarī e Zyad b. Aslam, il funzionamento della ribā, identificandola
con la sola ribā al-ǧāhiliyya. Numerosissimi autori riportano la stessa descrizione del
funzionamento della ribā130 quale un sistema in cui la somma da restituire è un multiplo del
capitale prestato inizialmente. Un sistema questo, che poteva trascinare il debitore in
128 Cfr. p. 10.
129 Fazlur, Rahman, “Ribā and Interest”, trad. inglese Mazheruddin Siddiqi, Islamic Studies, Karachi, 3,
1964, p. 6 (ed. orig. “Tahqiq-i riba”, Fikr-o Nazar, 5, 1963).
130 Mohammad Omar, Farooq, “Stipulation of Excess in Understanding and Misunderstanding Ribā: The AlJassas Link”, in Arab Law Quarterly, 21 (2007), pp. 288-290.
50
situazioni critiche molto velocemente, senza lasciare via d'uscita. Una pratica talmente
dannosa che secondo Fazlur Rahman non è per nulla sorprendente che la ribā fosse
condannata già nelle prime rivelazioni; l'assenza di una condanna, anzi, sarebbe stata
contro lo spirito del Corano131. La conclusione del ragionamento di Rahman riguardante la
sura āl ʻImrān è che ribā coranica e l'interesse che si applica nel sistema bancario sono
due cose completamente diverse, quindi il divieto della prima non implica in nessun caso
la proibizione del secondo. Gli autori che apprezzano questo ragionamento usano la parola
«usura» per tradurre ribā: solo un interesse eccessivo potrebbe infatti essere assimilato al
concetto di ribā. Ad esempio, Ali Yusuf, nella sua traduzione in inglese del Corano, in una
nota, spiegando la scelta del termine usury, precisa che una definizione accettabile sarebbe
quella di
«undue profit made, not in the way of legitimate trade, out of loans of gold and
silver, and necessary articles of food, such as wheat, barley, dates, and salt
(according to the list mentioned by the Holy Apostle himself). My definition
would include profiteering of all kinds, but exclude economic credit, the
creature of modern banking and finance»132
A questo punto è lecito chiedersi come una proibizione circoscritta a un caso così
particolare si sia potuta allargare fino ad includere ogni forma di interesse bancario133.
In altre parole, come è possibile che l'interpretazione estesa della ribā, apparentemente
contraddittoria, sia così diffusa? La risposta a questa domanda viene fornita introducendo
la seconda obiezione alla proibizione, quella riguardante un'autorità nel campo della
giurisprudenza islamica, Abu Bakr Al-Ǧassās.
1.2 Al-Ǧassās e il faḍl concordato al momento della stipula del contratto
L'esegesi dello hanafita Al-Ǧassās è al centro di una sharvasta letteratura critica. In un
momento storico in cui gli autori si limitavano a fornire una vaga descrizione della ribā,
basandosi sulle altrettanto vaghe fonti scritte, Al-Ǧassās infatti fu il primo a promuovere
l'uso di una definizione esplicita. Mohammad Omar Farooq, nel suo fondamentale
131 Fazlur, Rahman, “Ribā and Interest”, trad. inglese Mazheruddin Siddiqi, Islamic Studies, Karachi, 3,
1964, p. 7 (ed. orig. “Tahqiq-i riba”, Fikr-o Nazar, 5, 1963).
132 Ali, Yusuf, The Holy Qur’an: Text, Translation and Commentary, Lahore, 1975, p.111, n.324.
133 Ibidem.
51
contributo Stipulation of Excess in Understanding and Misunderstanding Ribā: The AlJassas Link, spiega come prima di questo autore, la ribā fosse descritta in maniera
implicita, a partire dagli esempi riportati nel Corano e nella Sunna 134. Dopo Al-Ǧassās,
tuttavia, una ulteriore notevole integrazione, non presente negli autori precedenti, fece la
sua comparsa: l'eccesso (al-faḍl) concordato al momento della stipula del contratto. Infatti,
secondo Saeed, nessuno dei racconti di Ṭabarī, una delle più complete e antiche fonti a
nostra disposizione oggi, suggerisce che l'incremento fosse deciso al momento della stipula
del contratto. Tutti i racconti riportati dallo storico arabo, al contrario, suggeriscono che
l'ammontare dell'incremento venisse deciso in seguito; in particolare nel caso in cui il
debitore avesse avuto problemi al momento della restituzione135.
Al-Ǧassās, al contrario, nel suo Ahkam Al-Qurʾān, scrive:
«The ribā which the Arabs knew and practiced meant lending money [dirhams
and dinars] with a specified maturity at an agreed upon increase over and above
the sum borrowed»136
Secondo l'esegeta, quindi, gli Arabi avrebbero conosciuto una forma di prestito con
eccesso stipulato in anticipo (ovvero l'interesse). Come fanno notare Fazlur Rahman,
Abdullah Saeed, Mohammad Omar Farooq, non esistono fonti scritte precedenti che
confermino la definizione di Al-Ǧassās, tuttavia questo autore è un punto di non ritorno nel
dibattito sulla ribā, giacché gli studiosi successivi hanno finito per appoggiarsi all'unica
definizione esplicita a disposizione, includendo una caratteristica non presente nelle fonti
precedenti e tuttavia determinante nel dibattito sulla proibizione dell'interesse. Imran
Ahsan Khan Nyazee137, autore che non viene annoverato tra i modernisti, ma anzi tra
coloro che, sulla base di altri motivi, difendono la proibizione, ammette:
«almost all jurists have quoted al-Jassas to say that the Arabs in the early days
134 Mohammad Omar, Farooq, “Stipulation of Excess in Understanding and Misunderstanding Ribā: The AlJassas Link”, in Arab Law Quarterly, 21 (2007), pp. 285-314.
135 Abdullah, Saeed, Islamic Banking and Interest: A Study of the Prohibition of ribā and its Contemporary
Interpretation, Leiden: Brill, 1996, p. 24.
136 Abu Bakr Al Ǧassas, Ahkam Al Qur'an, citato in Farooq, Mohammad Omar, Stipulation of Excess in
Understanding and Misunderstanding Ribā: The Al-Jassas Link, Arab Law Quarterly, vol. 21, 2007, pp.
285-316.
137 Studioso pakistano, è stato per oltre 20 anni professore di giurisprudenza presso l'Università di
Islamabad, nonché research fellow presso quelle del Michigan e di Harvard.
52
used to undertake loan transactions with interest».138
A conferma di ciò, è possibile citare diverse autorità nel campo della giurisprudenza e
finanza islamica che citano l'esegeta, o riprendono parola per parola la sua definizione139.
Dopo aver affermato che la ribā, in quanto termine ambiguo (muǧmal), necessita di un
chiarimento che è possibile fornire solo attraverso il Corano e la Sunna, Al-Ǧassās arriva
alla conclusione che l'eccesso stipulato (al-ziyadah al-mashruta) all'inizio del contratto, sia
da essere inteso a posteriori come interesse. Egli analizza le sure prima di passare a
qualsiasi riferimento alla Sunna140, utilizzando a questo scopo i versetti della sura al-rum,
in cui egli ritiene sia contenuto il divieto dell'eccesso. E tuttavia, come si è visto, oltre al
fatto che il rifermento non può essere considerato una valida base per allargare la
definizione, la sura al-rum venne rivelata durante il periodo meccano, quando più che di
proibizioni si parlava di ammonimenti (sia per quanto riguarda la ribā che per il vino)141.
Un'altra critica riguarda l'uso degli ḥadīṯ da parte di Al-Ǧassās. I racconti della vita e degli
atti del Profeta hanno diversi gradi di autenticità: possono essere, in ordine decrescente di
affidabilità, ṣaḥīḥ, ḥasan and ḍaʻīf. Secondo Mohammad Farooq, l'esegeta non usa
adeguatamente gli ḥadīṯ, evitando di citare il tradizionista, il raccoglitore, il cui nome può
essere una garanzia di autenticità o meno. Inoltre, Al-Ǧassās spesso non riporta nemmeno
l'intero isnād, ossia la sequenza di persone che hanno tramandato lo ḥadīṯ, che deve risalire
in maniera coerente fino al momento in cui un testimone ha visto o sentito il Profeta in
persona. Vero che Al-Ǧassās non può essere giudicato severamente per queste sue
mancanze, in quanto il sistema di citazione degli ḥadīṯ non era ancora stato ufficializzato, e
anche quando due secoli dopo si stabilì un metodo univoco, molti autori continuarono a
produrre riferimenti oggi considerati inappropriati. Detto questo, e giustificato l'esegeta,
non sono invece innocenti coloro i quali hanno accettato la versione di Al-Ǧassās senza
passarla sotto la scure della scienza interpretativa islamica. Il maggiore bersaglio della
critica non è quindi tanto Al-Ǧassās, quanto gli studiosi successivi che lo hanno citato
acriticamente.
138 Imran Ahsan Khan, Nyazee, The Prohibition of ribā Elaborated, Lahore: Haji Hanif & Sons, 2009.
139 Ibidem.
140 Mohammad Omar, Farooq, “Ribā, Interest and Six Hadiths: Do We Have a Definition or a
Conundrum?”, Review of Islamic Economics, 13, 1 (2009), pp. 105-141.
141 Cfr. p. 12.
53
1.3 Ḥadīṯ problematici
Esistono inoltre obiezioni che muovono i primi passi a partire dagli ḥadīṯ stessi: vengono
qui presentati due esempi, scelti in base alla maggiore ricorrenza nella letteratura critica. È
necessario ricordare che la comunità di studiosi basa la complessa definizione di ribā al
faḍl sui detti del Profeta e dei suoi compagni. Alcuni modernisti come Fazlur Rahman,
tuttavia, richiamano l'attenzione sul fatto che alcuni di essi sono in contraddizione tra
loro142; altri, come Mohammad Farooq143, sottolineano come esistano più di uno ḥadīṯ
contro quanto gli stessi studiosi «maggioritari» affermano. Esiste più di una controversia
problematico, in effetti, e non solamente limitato alle obiezioni appena citate. In
particolare, nei relativamente pochi ḥadīṯ ritenuti autentici riguardanti la ribā in cui è il
Profeta stesso a prendere parola, non vengono mai usati né il termine qard, prestito, né
dayn, debito. Anzi, sembra che tutte le volte in cui si sta parlando di ribā, la transazione
oggetto di dibattito sia piuttosto una vendita, descritta con parole derivanti dalla radice «by-ʻ». In tali descrizioni sembrano emergere alcuni elementi di differimento temporale, ad
esempio nel caso di una vendita di un chilo di datteri in cambio di due chili della stessa
qualità pochi mesi dopo. Su questo particolare punto, riprendendo lo «ḥadīṯ dei sei beni»,
Abdullah Saeed afferma come i giuristi non provvedano a spiegare perché mai qualcuno
dovrebbe scambiare un chilo di datteri per un chilo di datteri della stessa qualità e quantità.
Proprio grazie a questa situazione paradossale è possibile avere un'idea della scarsa
comprensione dello ḥadīṯ da parte dei giuristi tradizionalisti144. Sempre secondo lo stesso
autore la probabile intenzione del Profeta era quella di scoraggiare il baratto, possibile
causa di ingiustizia, e promuovere l'uso della moneta, in modo che i più poveri avessero
modo di quantificare e amministrare meglio i propri risparmi.
Questa idea della possibile causa di ingiustizia è importante se si pensa alla ḥikma della
ribā, poiché permette di comprendere come alcune transazioni non siano state vietate in
quanto ingiuste, ma solo perché erano all'origine di situazioni potenzialmente ingiuste. Tale
ingiustizia potenziale, oggi nel contesto bancario convenzionale, è affrontata grazie allo
sviluppo della giurisprudenza e dell'economia di scala, che permette ai clienti delle banche,
142 Fazlur, Rahman, “Ribā and Interest”, trad. inglese Mazheruddin Siddiqi, Islamic Studies, Karachi, 3,
1964, p. 9 (ed. orig. “Tahqiq-i riba”, Fikr-o Nazar, 5, 1963).
143 Mohammad Omar, Farooq, “Ribā, Interest and Six Hadiths: Do We Have a Definition or a
Conundrum?”, Review of Islamic Economics, 13, 1 (2009), pp. 105-141.
144 Abdullah, Saeed, Islamic Banking and Interest: A Study of the Prohibition of ribā and its Contemporary
Interpretation, Leiden: Brill, 1996, p. 32.
54
per esempio, di avere un contratto blindato scritto da uno studio legale affermato a un costo
relativamente basso.
Gli studiosi tradizionalisti hanno esteso la proibizione della ribā utilizzando il qiyās145
tramite ʻilla, senza tenere conto della ḥikma per cui quella proibizione era stata introdotta.
Peraltro, una delle regole per poter utilizzare la ʻilla nel ragionamento per analogia è quella
secondo la quale essa deve essere esplicitata o comunque chiara. Nella complessa
presentazione146 di Nabil Saleh delle differenti visioni sulla questione da parte delle quattro
scuole giuridiche sunnite, è evidente come questa chiarezza manchi, per quanto vi siano
elementi di accordo tra gli studiosi. Abdullah Saeed afferma
The inadequacy of ʻilla approach is glaringly obvious in the discussion of riba
in both early and modern period.147
Il secondo dei casi più interessanti riguarda uno ḥadīṯ, riportato da molti muḥaddiṯun,
compresi i più apprezzati, il quale mostra in maniera sorprendente la contraddittorietà delle
tradizioni riguardanti l'oggetto della tesi. Fazlur Rahman riporta le versioni di Muslim e
Bukhārī148: se nel primo Ibn Abbas afferma che la ribā può riguardare soltanto il baratto,
nel secondo lo stesso trasmettitore afferma che la ribā concerne solo il differimento
temporale149. Gli studiosi dei primi secoli dell'Islam non ignorarono il problema, ma le
spiegazioni da questi fornite non sono soddisfacenti: tra di esse vi è l'accusa, mossa contro
uno dei trasmettitori, di aver dimenticato parte della tradizione.
2. L'interesse nel sistema bancario moderno
Esistono diversi punti deboli nell'identificazione della ribā vietata nel Corano con
l'interesse nella sua forma odierna. Per prima cosa, l'idea che il prestito ad interesse sia una
forma di oppressione del ricco sul povero va rivista alla luce del funzionamento del sistema
145 Cfr. pp. 21-22.
146 Nabil, Saleh, Unlawful gain and legitimate profit in islamic law: ribā , gharar and islamic banking,
Cambridge: Cambridge University Press, 1986, pp. 19-26. Saleh nelle stesse pagine prende in
considerazione anche la visione di Ibaditi e Zahiri.
147 Abdullah, Saeed, Islamic Banking and Interest: A Study of the Prohibition of ribā and its Contemporary
Interpretation, Leiden: Brill, 1996, p. 36.
148 Fazlur, Rahman, “Ribā and Interest”, trad. inglese Mazheruddin Siddiqi, Islamic Studies, Karachi, 3,
1964, p. 9 (ed. orig. “Tahqiq-i riba”, Fikr-o Nazar, 5, 1963).
149 Rahman traduce al-nasi'a con loan, ma questa interpretazione non letterale potrebbe creare confusione
nello svolgersi della trattazione.
55
bancario moderno. Le controversie tuttavia non si esauriscono qui: in moltissimi articoli e
libri di difensori della finanza islamica, viene avanzata l'ipotesi, il più delle volte presentata
come un fatto accettato, che l'interesse sia dannoso, o come minimo inutile. Salih alFawzan ha affermato «Le ribā n'est pas une nécessité économique», e la proclamata
necessità di utilizzarla non sarebbe niente più che un pretesto sfruttato da studiosi
confusi150, o peggio in malafede, che tentano di distrarre la comunità musulmana dalla retta
via. Se anche si accetta che la ribā possa essere identificata con l'interesse, è tutto da
dimostrare il fatto che la ribā non sia utile. Di seguito si presentano le critiche di studiosi
che sono arrivati ad affermare che persino la finanza islamica, che accetta la proibizione
dell'interesse come principio teorico, di fatto è costretta a utilizzarlo in più casi.
2.1 «Ricchi» che prestano ai «poveri»?
«L'usura è un problema che riguarda soprattutto i poveri» 151. La ribā viene presentata, nel
Corano e negli ḥadīṯ, come una forma di oppressione dei ricchi sui poveri; come l'esatto
contrario della carità152. Essa è una pratica dannosa, controproducente, in definitiva persino
incivile. Riprendendo la citazione di Schacht del primo capitolo, è possibile dire che si sta
parlando di un «vantaggio patrimoniale senza corrispettivo, stipulato a favore di una delle
due parti»153. Alcuni studiosi pensano che necessariamente la parte a trarre vantaggio da
questo aumento ingiusto sia «il ricco». In termini più immaginifici, Sayyid al-Qutb,
ideologo dei Fratelli Musulmani, nel suo commento ai versetti coranici sulla ribā, accusò
le banche moderne di «mangiare le ossa e la carne, bere il sangue e il sudore» dei poveri
debitori154. Gli autori modernisti pongono però una domanda importante: quanto questa
descrizione si adatta all'interesse bancario moderno?
Nel modo in cui viene inteso oggi, il prestito a interesse favorisce entrambe le parti in
gioco: traggono beneficio sia il risparmiatore, che attraverso la necessaria intermediazione
della banca mette a disposizione il capitale, sia l'imprenditore, la famiglia, o lo Stato, i
150 Cheikh Salih, Al Fawzan, Ribā et certaines de ses formes dans l'économie moderne, trad. francese
Belabes, Abderrazak Said, Lyon: Edition Dar al muslim, 2012, p. 70 (ed. orig. Al ribā wa ba'da sawrahi
al mu'asara, s.l., s.d.).
151 Ersilia, Francesca, Economia, religione e morale nell'Islam, Roma: Carocci Editore, 2013, p. 39.
152 Corano, versetto XXX:39.
153Cfr. p. 6.
154 Abdullah, Saeed, Islamic Banking and Interest: A Study of the Prohibition of ribā and its Contemporary
Interpretation, Leiden: Brill, 1996, p. 9.
56
quali, con la liquidità ottenuta, hanno la possibilità di investire, accrescere il proprio
benessere, o spendere e sperperare senza criterio. Tutti ottengono un ritorno da questa
operazione: il creditore, l'intermediario e il debitore. Inoltre, non è scontato che chi presta
il denaro sia da considerare più ricco di chi lo prende in prestito: per essere più chiari, si
può applicare questo ragionamento a un caso limite immaginifico, ma del tutto realistico.
Il direttore di una media impresa, volendo acquistare un modernissimo macchinario appena
brevettato, e avendo già investito la propria liquidità in eccesso per assumere dei
dipendenti in più, si trova nella necessità momentanea di liquidità. Richiede quindi soldi
all'intermediario finanziario, che può essere la banca locale, la quale, essendo a conoscenza
della solidità dell'azienda, apre una linea di credito. Nel caso specifico la linea è aperta
grazie alla liquidità «garantita» dai conti deposito di un gruppo ragguardevole di anziani, i
quali non hanno altra fonte di reddito che la pensione. È evidente che sarebbe moralmente
miserabile, oltre che errato, far rientrare gli anziani risparmiatori nella categoria dei
«ricchi».
I modernisti che muovono questa critica trovano supporto nel lavoro di Ibn Qayyim (m.
1350), il quale riteneva che ad essere attaccata nel Corano fosse l'ingiustizia nei confronti
del povero, piuttosto che il prestito ad interesse 155. In questo senso, la pratica attraverso la
quale i «ricchi» in periodo pre-islamico consumavano le residue disponibilità economiche
dei «poveri», non è identificabile, quantomeno non sempre, con il moderno prestito a
interesse.
Secondo Abdullah Saeed, i giuristi tradizionalisti perdono di vista la ḥikma, ossia la
motivazione della proibizione. Nel periodo pre-islamico, infatti, molti contratti che
coinvolgevano il baratto prevedevano un pagamento differito nel tempo e contenevano
condizioni terribili per chi era più povero. Quattro dei beni citati dal Profeta nello «ḥadīṯ
dei sei beni» erano inoltre essenziali per il sostentamento, ed è facile che un prestito in
questo caso fosse al consumo, e non mirato a sostenere un investimento. Questa
fondamentale differenza tra prestito al consumo e d'investimento sembra non essere
percepita come rilevante dai tradizionalisti. Eppure, se anche è possibile sollevare un
argomento morale contro il primo (cosa che hanno fatto tutte le maggiori religioni
monoteiste), con difficoltà è possibile trovare ragioni per vietare il secondo.
155 Ahmad Abu Umar, Faruq, e Kabir, Hassan, “Ribā and Islamic banking”, Journal of Islamic Economics,
Banking and Finance, 3, 1 (2007), p.9.
57
2.2 Interesse nominale e interesse reale
Fenomeni inflattivi e deflattivi hanno un effetto importantissimo sui tassi d'interesse. I
modernisti affermano che, per quanto il Profeta conoscesse il fenomeno dell'inflazione, in
nessuno ḥadīṯ si faccia riferimento ai rapporti tra ribā e inflazione. In un'economia
inflattiva, il tasso d'interesse deve essere corretto in maniera che il prestatore non subisca
una perdita netta. Anche se qualcuno volesse prestare «senza interesse», si dovrebbe tenere
conto della perdita di potere d'acquisto che diventa sempre più pesante con il protrarsi del
tempo.
Il problema, piuttosto grave, è che solitamente gli studiosi islamici, quando spiegano che la
ribā si identifica con il tasso d'interesse, non si soffermano sulla questione della
composizione dello stesso. Abdul Gafoor, autore di diverse pubblicazioni riguardanti la
finanza islamica, ha utilizzato un esempio 156 semplice ed efficace per descrivere quale
ingiustizia sarebbe non pagare l'interesse. La questione, sollevata da altri autori dallo stile
meno divulgativo, è di enorme importanza. Se si accetta una definizione di ribā più estesa
possibile, ovvero come «ogni tipo immaginabile di aumento illecito», questo esempio
permette di capire come l'interesse che si paga oggi non possa essere considerato ribā.
Si immagini che un uomo, Abdul, chieda un prestito di 1000 dinari ad un amico, Zayd.
Quest'ultimo, convinto che il bisogno di Abdul sia momentaneo e che il prestito verrà
ripagato in tempo, accetta. Zayd però abita a Yathrib, mentre Abdul è di La Mecca. Sarebbe
ingiusto, dal punto di vista di Abdul, chiedere a Zayd di pagare il biglietto di andata e
ritorno del treno che utilizzerà per andare a prendere il denaro. Il costo del trasporto ricadrà
quindi su Abdul. Fin qui è chiaro che il costo aggiuntivo sostenuto da Abdul per ottenere il
prestito non può essere considerato ribā. Questo processo ovviamente si ripeterà quando
Abdul restituirà il denaro, perché sarebbe nuovamente poco corretto dire a Zayd di venirsi
a riprendere i suoi soldi157. Si immagini ora che Abdul preferisca pagare qualcuno, un
corriere, per evitare di andare fino a Yathrib. Ancora, il costo del corriere non può essere
considerato harām. È anche probabile che vi siano delle imposte sulle transazioni, nonché
pedaggi che il corriere deve pagare per proseguire il viaggio. Dazi che evidentemente
devono essere sempre a carico di Abdul, il quale potrebbe chiedere al corriere, oltre che di
156 Abdul, Gafoor, Interest, Usury, ribā and the Operational Costs of a Bank, Groningen: Noordeen, 2004.
157 Per ragioni di limpidezza espositiva si suppone qui che la restituzione avvenga con pagamento
forfettario.
58
occuparsi del trasporto, di gestire anche le questioni burocratiche.
Si concentri l'attenzione sul corriere: se egli facesse un buon lavoro, la voce si spargerebbe,
e più persone vorrebbero usarlo per scambiare denaro senza doversi muovere e affrontare i
labirinti della burocrazia. A questo punto il corriere scoprirebbe che esistono molte persone
che vogliono del denaro in prestito, e molte persone che hanno la possibilità di prestare.
Queste ultime vogliono prima di tutto che il loro denaro sia al sicuro, e l'acuto corriere si
prodigherebbe quindi per offrire loro un luogo adatto per proteggere i loro risparmi. Coloro
che cercano denaro e coloro che lo offrono non avrebbero a questo punto più bisogno di
conoscersi personalmente: basterebbe andare dal corriere, trasformatosi in un vero e
proprio intermediario158. Questo intermediario, che comincia ad assomigliare ad una banca,
ha due caratteristiche importanti: in primo luogo è solo un corriere, un intermediario, non è
in nessun caso il proprietario del denaro; e soprattutto, nessuno dei suoi profitti ha nulla a
che vedere con il problema della proibizione della ribā giacché, per il momento, tutti i
costi caricati sono riconducibili al servizio offerto. È evidente quindi che tutta una fetta
dell'interesse normalmente caricato è legato ai costi sostenuti per fare in modo che il
prestito avvenga effettivamente e di conseguenza non può essere considerato illecito.
Quando negli ḥadīṯ vengono rappresentate situazioni ribawi159, compaiono sempre e solo
colui che presta, e colui che riceve il prestito. Mai l'intermediario finanziario, che è in
effetti la grande figura che fa la differenza tra l'economia moderna e quella rappresentata
nei detti del Profeta. È importante riprendere e sottolineare il punto, che dovrebbe ora
essere chiaro: l'interesse non è un corpo unico, non rappresenta soltanto il profitto della
banca. In primo luogo perché la banca è un intermediario, non il proprietario del denaro:
chi presta i soldi sono gli anziani con i conti deposito, o un qualunque altro soggetto dotato
di un surplus di liquidità. In secondo luogo perché tutta una serie di fattori fanno in modo
che la cifra da restituire sia più alta, anche nel caso non vi sia alcun profitto. Tutti questi
aumenti, che vanno a costituire una parte significativa dell'interesse, ovvero il costo
dell'operazione, sono imprescindibili. A meno che non si voglia non pagare il corriere per
la sua prestazione.
Quindi, riprendendo l'affermazione di Salih al-Fawzan, membro del Comitato Permanente
158 Gafoor non prosegue dicendo che il corriere comincia a proporre a coloro che hanno del denaro di darlo
a lui in cambio di un ritorno. Tuttavia ciò non è rilevante ai fini dell'esempio, che si concentra sulla
questione dei costi del prestito.
159 Ossia in cui vi è il rischio di cadere nel peccato di ribā.
59
di Ricerca Islamica ed Emissione di Fatawa in Arabia Saudita, secondo cui l'interesse non
sarebbe necessario, è possibile chiedersi in quale sistema giuridico non sia necessario, e
anzi sia altamente sconsigliato, pagare un servizio reso. Insomma, com'è possibile che da
un punto di vista legale sia negabile il profitto per il servizio reso che compone una parte
dell'interesse? Sarebbe scorretto prendere la posizione di Salih Al-Fawzan come
rappresentativa della comunità di studiosi musulmani. Quest'ultimo, membro di diversi
sharī‘a board, ha recentemente emesso una fatwa160 contro la formula, popolarissima nei
ristoranti di sushi, dell'all-you-can-eat161; una decisione non largamente condivisa, al pari
di molte altre.
È tuttavia rilevante che nessuno dei difensori della proibizione dell'interesse abbia ancora
chiarito questo punto.
2.3 L'interesse come segnale per gli agenti economici
È sempre Fazlur Rahman a sottolineare come, nel mondo odierno, l'interesse sia un
imprescindibile segnale per gli agenti economici coinvolti nel mercato, al pari dei prezzi.
La diffusa idea che il tasso d'interesse sia in qualche modo privo di un legame con la realtà
(o con l'«economia reale», si direbbe oggi) è senza fondamento, semplicemente perché è
un prezzo come tutti gli altri. Vietare l'interesse priverebbe gli agenti economici, in
particolare gli imprenditori, di una delle poche guide generalmente affidabili nel difficile
mondo della domanda e dell'offerta. Le risposte degli studiosi revivalisti a questa critica
sono in contrasto con l'idea di preferenza temporale, che nell'economia convenzionale
giustifica il pagamento di un premio in cambio dell'attesa. Chapra arriva a negare che
l'attesa del creditore sia in se stessa una ragione per pagare una rendita 162. Nyazee inserisce
coloro che si oppongono a quest'ultima affermazione tra i responsabili della confusione
sulla questione della ribā163. Egli sostiene inoltre che il compito del giurista non sia tanto
quello di offrire giustificazioni o fondamenta teoriche alla proibizione dell'interesse, e che
160 Cheikh Salih, Al-Fawzan, Ribā et certaines de ses formes dans l'économie moderne, trad. francese
Abderrazak Said Belabes, Lyon: Edition Dar al muslim, 2012, p. 83 (ed. orig. Al ribā wa ba'da sawrahi al
mu'asara, s.l., s.d.).
161Formula sconto secondo la quale, a fronte di un pagamento fisso, è possibile fare, senza limiti, qualunque
ordinazione. Secondo Fawzan ciò sarebbe in contraddizione con le proibizioni del maysir e della ribā.
162 Muḥammad Umer, Chapra, “The Nature of ribā in Islam”, Journal of Islamic Economics and Finance
(Bangladesh), 2, 1, (2006), p. 3.
163 Imran Ahsan Khan, Nyazee, The Prohibition of Ribā Elaborated, Lahore: Haji Hanif & Sons, 2009, p.
39.
60
le discussioni con tali «portatori di confusione» siano dannose per la comunità musulmana.
In sostanza, l'unico modo di dimostrare che la ribā non sia necessaria, la sola via che può
essere seguita dagli studiosi musulmani per affermare che uno dei pilatri dell'economia
moderna non serve e si può abbattere, è farlo empiricamente, creando, o promuovendo, un
sistema totalmente interest-free. La critica all'efficienza del tasso d'interesse è dal punto di
vista teorico infatti piuttosto fragile.
2.4 L'interesse all'interno degli strumenti islamici.
Alcuni studiosi, come Chong Beng Soon e Ming-Hua Liu, hanno tentato di dimostrare che
le banche islamiche, pur pubblicizzando il proprio business come interest-free, di fatto
sono costrette a utilizzare strumenti e contratti che nascondono tassi d'interesse.
In uno studio164 sul sistema bancario della Malaysia, si afferma come i prestiti siano basati
prevalentemente su contratti di seconda linea, quali il bayʻ muaǧǧal (vendita con
pagamento differito nel tempo) e l'iǧāra (forma definita leasing islamico). Questi contratti
sono alla base di una percentuale molto alta di finanziamenti, rispettivamente il 49.9% e il
24.0%. Il murābaha, l'istitnāʾ
e altri strumenti che non appartengono al gruppo dei
contratti PLS, hanno nei bilanci un valore rispettivamente del 7.0%, 1.2%, e 17.4%. Il
muḍārabah e il mushāraka, che di tutti i contratti finora citati sono gli unici accettati
universalmente, in
totale ammontano a solo lo 0.5% dei prestiti operati da banche
islamiche. È inoltre osservabile come alcune banche islamiche valutino il mark-up del
murābaha, e quindi il loro margine di profitto, utilizzando il LIBOR 165, ovvero un indice
che indica il tasso di riferimento europeo al quale si effettuano prestiti interbancari. Il
mark-up è quindi basato, in alcuni casi, sullo stesso tasso d'interesse. Per questo motivo,
concludono Soon e Liu, l'IBF malese è di fatto poco dissimile al sistema bancario
convenzionale, costituendo i contratti PLS una porzione trascurabile dei bilanci. Inoltre, vi
è una correlazione forte tra i rendimenti dei depositi delle banche islamiche e quelli delle
banche convenzionali, lasciando intendere che le differenze tra contratti siano soltanto
formali. La presenza di strumenti sales-based come il bayʻ muaǧǧal, lo iǧāra e il
murābaha, è preponderante. Gli strumenti che Usmani raccomanda di preferire, quali il
muḍāraba e il mushāraka, sono relegati a ruoli di ultimo piano, e di fatto l'utilità degli
164 Chong Beng, Soon, e Ming-Hua, Liu, “Islamic banking: interest-free or interest-based?”, in PacificBasin Finance Journal, 17.1 (2009), pp. 125-144.
165 Muḥammad Taqi, Usmani, An Introduction to Islamic Finance, Leiden: Brill, 2002, p. 81.
61
strumenti PLS sarebbe limitata alla sfera pubblicitaria. Le banche islamiche infatti
pubblicizzano molto la presenza di strumenti chiaramente halāl, anche se poi al momento
di concedere un prestito optano per forme contrattuali meno trasparenti.
Non si deve pensare che questo sia un caso limitato alla sola Malaysia. Rony Hamaui e
Marco Mauri, autori di uno dei pochi volumi in lingua italiana dedicati alla finanza
islamica, hanno presentato risultati simili riguardanti il settore bancario del Bahrain 166. Alla
luce della loro analisi emerge come l'IBF faccia poco uso delle strutture contrattuali di
profit and loss sharing, che più di altre sono espressione dell'approccio islamico alla
finanza. Come è stato osservato nel secondo capitolo, è innegabile che contratti salesbased come quello di murābaha siano molto simili all'applicazione del tasso d'interesse. I
difensori della finanza islamica agiscono in tre modi di fronte a questa critica: tentando di
tracciare una linea netta tra prestiti convenzionali e tecniche di seconda linea, come
Mirakhor167; ammettendo, come Chapra168, che il settore sia ancora immaturo, e i contratti
sales-based una necessità accettata con sofferenza; proponendo, come Usmani 169, una via
di mezzo tra le due precedenti, affermando che sì, mushāraka e muḍāraba vanno preferiti
al murābaha, ma che in ogni caso quest'ultimo presenta delle differenze rispetto al prestito
convenzionale. Chapra, Usmani e Nyazee, tra gli altri, pongono estrema attenzione alle
basi teoriche che sostengono, o meglio giustificano, il settore della finanza islamica; ma le
prove delle loro teorie consistono in una scommessa sui futuri sviluppi dell'IBF. Essi
attendono in definitiva che la risposta alle critiche venga data dal successo degli strumenti
PLS. Per citare Nyazee:
These arguments can come to an end only when the ribā-free system is
implemented and delivers the benefits that are associated with the Islamic
system of distributive justice170.
Un evento le cui effettive possibilità di riuscita sono, e saranno ancora per alcuni anni,
166 Rony, Hamaui, e Marco, Mauri, Economia e finanza islamica, Bologna: il Mulino, 2009, pp. 94-96.
167 Abbas, Mirakhor, e Iqbal, Zaidi, “Profit-and-Loss Sharing Contracts in Islamic Finance”, in Kabir
Hassan, e Mervyn, Lewis (a cura di), Handbook of Islamic banking, Northampton (Elgar): Cheltenham,
2007, p. 52.
168 Mohammed Umer, Chapra, “Challenges facing the Islamic financial industry”, in Kabir Hassan, e
Mervyn, Lewis (a cura di), Handbook of Islamic banking, Northampton (Elgar): Cheltenham, 2007, p.
330.
169 Muḥammad Taqi, Usmani, An Introduction to Islamic Finance, Leiden: Brill, 2002, pp. 65-106.
170 Imran Ahsan Khan, Nyazee, The Prohibition of ribā Elaborated, Lahore: Haji Hanif & Sons, 2009, p. 12.
62
oggetto di innumerevoli studi.
63
Conclusioni
La proibizione della ribā affonda le radici nelle fonti primarie del diritto islamico. È una
proibizione chiara e totale, nessuno può avere dubbi su questo punto. Tuttavia, l'equazione
«ribā = interesse», fondata su fonti diversissime tra loro come la Sunna e i bilanci di
intermediari islamici, è stata e viene messa in dubbio. Le critiche sono penetranti, forti, e
colpiscono al cuore l'impianto teorico della proibizione sotto più punti di vista; ciò
nonostante, visitando siti e forum di discussione sulla finanza islamica in cui esperti,
ricercatori e professori universitari dibattono aspetti tecnici della materia, pare che
l'esistenza di una crepa nelle fondamenta non venga nemmeno percepita. Eppure gli
attacchi provengono da più parti, sia da studiosi modernisti, sia da alcuni tradizionalisti.
Questi ultimi mettono in luce come l'attuale sistema finanziario islamico sia incoerente con
il divieto. La reazione dei difensori della finanza islamica rimane però debole,
deliberatamente basata su argomenti irrazionali o assente. Questa poca considerazione per
il dibattito contemporaneo ha delle conseguenze; ad esempio, la preponderanza di tecniche
di seconda linea, quali il murābaha, nei bilanci delle banche islamiche.
Perché queste critiche non hanno sortito effetto? Perché le risposte tutto sommato deboli
fornite dai difensori della finanza islamica sono state accettate e apprezzate dai più? Una
risposta possibile è che il fronte della critica non abbia offerto una interpretazione
alternativa chiara. Oltretutto, una proibizione estesa grazie alla ʻilla è molto più semplice
da comprendere ed applicare dal punto di vista del legislatore, il quale, se dovesse tenere
conto invece della ḥikma (l'ingiustizia della transazione), sarebbe costretto a dover
demandare ai giudici la decisione caso per caso.
È più semplice vietare tutte le transazioni che coinvolgono interesse che non tutte le
transazioni definite vagamente come ingiuste.
D'altro canto, concentrandosi sullo smantellamento della proibizione, alcuni modernisti
hanno perso di vista il fatto che nel Corano «un qualcosa» chiamato ribā sia pur sempre
vietato, e che chi non accetta l'attuale definizione di ribā è tenuto a fornirne una nuova e
più convincente.
Esiste però un altro ordine di motivazioni, che ha più a che fare con l'analisi dei
costi/benefici. Non c'è infatti nessun motivo per mettere in discussione l'attuale sistema
64
finanziario islamico: incrinare l'istituto della proibizione dell'interesse significa oggi
minacciare un mercato che secondo diversi analisti vale oltre 2.000 miliardi di dollari di
asset. Perché si dovrebbero colpire implacabilmente le fondamenta teoriche della finanza
islamica? In fondo sta funzionando bene, cresce molto velocemente, sta creando lavoro,
benessere e opportunità di incontro tra culture diverse. Basti pensare al caso di Londra,
prima città di un paese non musulmano a ospitare il World Islamic Forum, durante il quale
il sindaco Boris Johnson ha ripetutamente affermato l'importanza di questo business per
mantenere buoni rapporti tra popoli diversi. Un'applicazione moderna del motto attribuito
all'economista francese Frédéric Bastiat: «si les marchandises ne traversent pas les
frontières, les soldats le feront». Un'idea che può essere guardata diversamente: è possibile
promuovere il commercio, l'incontro e a tratti persino il sincretismo tra sistemi finanziari
diversi, con l'obbiettivo di evitare molti inutili scontri. I modernisti possono dichiarare che
di fatto la finanza islamica utilizza l'interesse, nascondendolo con stratagemmi che non
intaccano sostanza e rendimenti dei contratti. Allo stesso tempo, la maggior parte di coloro
i quali criticano la proibizione dell'interesse (inclusi alcuni dei modernisti citati nel corso
della tesi) lavorano o hanno lavorato nel settore della finanza islamica. I difensori dell'IBF,
i quali spesso identificano un tentativo di discussione sulle tre proibizioni fondamentali
come un attacco all'Islam, possono invece sperare che in futuro diventi possibile
l'eliminazione dell'uso di contratti sales-based.
Alla fine della trattazione, la domanda legittima che può ancora essere posta è: perché
vietare l'interesse bancario? Muḥammad Fakhr Al-dīn Rāzi (m.1209), filosofo e teologo
persiano autore di opere in lingua araba, elaborò cinque differenti ragioni 171: di queste
cinque, quattro sono tentativi di spiegare razionalmente e a posteriori la motivazione
economico-sociale della proibizione. Secondo Rāzi, la ribā172 è dannosa per i più poveri,
conduce a sistemi economici fragili, è sbagliata perché un uomo che guadagna attraverso
essa non lavora realmente e se venisse resa legale il mondo sarebbe portato alla rovina
dagli usurai. È possibile dire tuttavia, senza ulteriori dubbi, che la moderna scienza
economica e gli studiosi modernisti abbiano dimostrato l'inconsistenza delle motivazioni
sopracitate.
171 Latifa, Algaoud, e Mervyn, Lewis, “Islamic critique of conventional financing”, in Kabir Hassan, e
Mervyn, Lewis (a cura di), Handbook of Islamic banking, Northampton (Elgar): Cheltenham, p. 45.
172Per Razi ribā e interesse erano perfettamente equivalenti.
65
Tuttavia Rāzi ha elaborato una quinta ragione che ancora oggi, dopo circa 800 anni, non
mostra i segni del tempo. Un'affermazione che all'interno del dibattito sull'interesse è
considerata così letale, incontrovertibile e potente, che i tradizionalisti stessi sono prudenti
nell'utilizzarla:
The illegality of riba is proved by the text of the Holy Qur'an and it is not
necessary that men should know the reason for it. We have to discard it as
illegal, though we are unaware of the reasons.173
Un'affermazione che permette di superare una selva di motivazioni contrarie; o
forse , usando un'espressione più adatta, di saltarle con un deciso leap of faith.
173 Algaoud, Latifa, e Lewis, Mervyn, Islamic critique of conventional financing, in Hassan, Kabir, e Lewis,
Mervyn (a cura di), Handbook of Islamic banking, Northampton (Elgar): Cheltenham, 2007, p. 46.
66
Ringraziamenti
L'avventuroso percorso che porta uno studente di Storia a occuparsi di un circoscritto tema
legato più alla finanza islamica e al diritto musulmano che non all'ambito di partenza è
certamente tortuoso. È stato un viaggio lungo, pieno di vicoli ciechi, curve a gomito e
buche impreviste. Si potrebbe anche parlare di buche nel senso letterale del termine, visto
il numero di storte prese negli anni passati tra le mura di Palazzo Nuovo, ma non è questo
il luogo per farlo. Qui è necessario ringraziare chi mi ha portato altrove quando finivo in
un vicolo cieco, chi mi ha spinto oltre le curve a gomito quando esitavo, chi mi ha gridato
«occhio alla buca!» e quando invariabilmente cadevo mi ha tirato su. Ho avuto la fortuna di
incontrare un numero considerevole e sorprendente di persone meravigliose.
La prima in ordine alfabetico e di importanza è la professoressa Bellino,
antropomorfizzazione del concetti di disponibilità e gentilezza. Non avrei cominciato a
studiare arabo, né sarei mai andato in Marocco, né... la lista è davvero troppo lunga, e
servirebbe almeno una pagina a parte per descrivere quanta ammirazione e riconoscenza io
provi nei confronti di questa persona. Grazie tra le altre cose per l'ombrello, un giorno mi
ricorderò di restituirlo, in shāʾAllāh.
Grazie al professor Paolo Biancone, che con il suo lavoro infaticabile sta aprendo le porte
alla finanza islamica in Italia, gettando quindi le basi per la creazione di innumerevoli posti
di lavoro (compreso il mio, forse). Grazie ad Abdullah Saeed e Muḥammad Umer Chapra
per aver risposto alle mie mail, chiarendo diversi dubbi venuti fuori nel corso dello studio;
e soprattutto grazie a Mohammad Omar Farooq, per le lunghe chiacchierate notturne via
Skype e per un'intervista rilasciata alle tre di notte ora italiana, di sabato. Grazie ai
moltissimi studiosi ed esperti di finanza islamica che su LinkedIn e altri social network
hanno parlato amabilmente, discusso, e talvolta persino litigato per notti intere su questioni
minute ed altresì importantissime. Ringrazio le bibliotecarie Laura Corà e Debora
Francone, di Orientalistica per avermi aiutato in più occasioni, risolvendo situazioni
critiche che non c'entravano nulla con il loro doveri lavorativi. Ringrazio Mauro Tosco e
Luca Patrizi per avermi fatto innamorare della lingua araba e della cultura islamica, e per
essere stati fonte di ispirazione non solo a livello culturale, ma anche e soprattutto umano.
Ringrazio i ragazzi dell'Ora Liberale per i loro spunti e le continue opportunità di studiare
temi economici, nonché per le occasioni di collaborare con Fondazione Einaudi, Centro
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Einaudi e Institute for Economic Studies di Parigi. Ringrazio Claudio Tocchi, Federica
Milano e tutte le persone che fanno parte dell'Associazione Trepuntozero, Giosef Unito, e
Livinclusion, per avermi dato la possibilità di fare moltissime esperienze all'estero, offerto
una visione completamente diversa da quella a cui ero abituato, ed essere stati gli amici più
fedeli che abbia mai avuto. Ringrazio Greta Zunino e i ragazzi di To MESS (Torino's
Middle Eastern Studies Society), l'associazione che ho contribuito a fondare nel maggio
2014; hanno dato luogo alla scintilla che serviva per cominciare a organizzare un gran
numero di conferenze affascinanti.
Ringrazio Federico Cartelli, Matteo Marini e Casey Given, la redazione di The Fielder e lo
staff di Young Voices Advocates, per aver chiesto, richiesto, preteso, rifiutato, corretto e
(solitamente) pubblicato i miei articoli sul Medio Oriente. Ringrazio Elisa Ricci e le
ragazze di Matematica per la Finanza per avermi aiutato quando ero perso nei calcoli
durante le lezioni di Intermediari Finanziari, e un grazie a Emanuela Salvini e gli amici del
corso magistrale di Finanza Islamica, per non avermi mai fatto sentire fuori posto, per
quanto vi fosse più di una buona ragione per farlo.
Grazie a Mauro Primavera, Elisa Zoparica, Brian Siraj, e tutte le persone straordinarie che
hanno reso il mio soggiorno in Marocco i tre mesi più fruttuosi e memorabili della mia
vita. Grazie a chi della mia famiglia ha concesso la possibilità di intraprendere questo
percorso senza storcere il naso quando un mese dopo la maturità invece che Economia ho
scelto Storia. Grazie a chi ha reso questi quattro anni un attimo.
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