Emozioni e professione in oncologia pediatrica
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Emozioni e professione in oncologia pediatrica
"Emozioni e professione in oncologia pediatrica" Lugo 10 Maggio 2008 Preambolo : Piccola cornice d’obbligo per inquadrare il contesto su cui verranno fatte considerazioni relativamente alle tematiche affrontate in questo convegno. Si vorrà offrire uno spaccato, non esaustivo, di quali emozioni sono più rappresentative in Oncoematologia Pediatrica e quali le dinamiche e strategie per supportarle ed ammortizzarle. Ancora oggi ,quando veniamo interrogati su quale sia il contesto in cui operiamo , nominiamo la parola Oncoematologia Pediatrica le reazioni nei nostri interlocutori sono una variegata gamma di visi e smorfie che sottintendono come venga interpretato e visualizzato un reparto in cui i pazienti presenti sono bambini con il tumore. Tali manifestazioni non provengono solo da chi è esterno all’ambiente sanitario ma anche da operatori sanitari che dovrebbero avere una consapevolezza diversa in merito . Questa prima considerazione a testimoniare come ben radicato sia nelle persone tutte uno stereotipo di angoscia e senso di imponente fatica professionale in una struttura che presta cura a bambini con neoplasia, con la convinzione che la sensazione dominante presente in una tale realtà sia una cupa tristezza e senso di morte immanente. Si potrà così intuire quale e quanta frastornata confusione emozionale sia radicata nel nucleo famigliare che giunge per la prima volta nelle nostre strutture. Peculiarità del Modulo Operativo di riferimento Ho svolto la mia attività professionale per 16 anni in una realtà ove giungono bambini con problematiche oncologiche ed ematologiche. Ovvero tutte la svariate forme di neoplasie solide con le più molteplici localizzazioni e l’ampia gamma di tumori correlati al sistema emo-linfoproliferativo quali leucemie e linfomi, oltre a tutte le forme di alterazioni ematologiche . La mediana dell’età dei pazienti presenti è posta a 4 anni ma non infrequenti sono la presenza di neonati o adolescenti. Modulo Operativo che comprende 4 unità operative : - degenza “comune” unità trapianto day hospital laboratorio di diagnosi e ricerca • • • 10 sono i posti letto nel reparto 6 i posti letto nella unità trapianto 8 i posti letto in day hospital con una frequenza media giornaliera di 25 pazienti al giorno laboratorio di diagnostica e ricerca • Equipe composta da 7 medici strutturati, altri medici specializzandi/borsisti, 28 infermieri, 12 persone come personale di supporto ( OSS OTA) Questa strutturazione ,oltre a offrire una risposta completa e continuativa a chi giunge alla nostra osservazione, risulterà oltremodo utile anche per gli operatori sanitari che ivi svolgono la loro professionalità, verrà richiamato più avanti il senso di questa affermazione. A tuttoggi il tumore è la prima causa di morte per patologia nel bambino. Si ricordi comunque per completezza che la prima causa di morte nel bambino è l’incidente/trauma ,dato non sempre così conosciuto. Negli anni la costante ricerca e le aumentate possibilità diagnostiche e terapeutiche hanno di molto modificato le percentuali relative a guarigione e sopravvivenza nella popolazione pediatrica con patologie tumorali. Oggi possiamo affermare che il 75-80 % dei bambini affetti da patologia neoplastica sopravvivono all’evento tumorale Nucleo famigliare Potrà sembrare retorico ma un accenno va posto sull’aspetto di una consapevole e congrua presa in carico di un paziente in Oncoematologia Pediatrica. Se la nostra attenzione è ovviamente tesa alle problematiche espresse dalla patologia di cui il bambino è portatore, in realtà è ormai consolidato che per l’equipe tutta si tratta di considerare l’interazione tra operatore sanitario e l’unità bambino-genitore-nucleo famigliare. Basti ricordare che fino a trenta anni fa non era previsto che un genitore stesse costantemente accanto ad un bambino ricoverato per qualsivoglia ragione – anche di notte- e rimaneva in carico all’equipe assistenziale : trauma aggiuntivo a quello originario a cui assennatamente si è provveduto ad attenuare ed eliminare. Consapevoli dell’unicità di ogni persona che giunge alle nostre strutture per una problematica importante di salute , è palese come multisfaccettato e peculiare sia ogni nucleo famigliare con cui interagiamo . La malattia, come la morte, è uno status emozionale condiviso e trasversale in tutta la popolazione indipendentemente da ceto,genere sessuale, cultura,paese di provenienza , fede politica o religiosa. Verosimilmente la malattia e la morte sono l’unico monito perenne e democratico continuamente espresso in natura. Sensazione di morte in Oncoematologia Pediatrica La morte, exodus, benché sia un evento unico nella vita molto spesso prevede situazioni e contesti in cui , volenti o nolenti, essa viene preannunciata o evocata. Nella nostra realtà tre sono i momenti critici in cui essa viene percepita e vissuta dal nucleo famigliare con intensità diverse. Intensità legate a una diversa metabolizzazione e interiorizzazione negli svariati momenti in cui viene evocata. Speranze e ansie mutate, mutata consapevolezza. Annunci di morte percepita – evocata in Oncoematologia Pediatrica Diagnosi : come già espresso nel preambolo, è sensazione comune che la patologia tumorale apra una “finestra emozionale” associata all’idea di morte immanente. A questo si deve aggiungere la drammaticità legata alla assoluta impreparazione del nucleo famigliare che mai avrebbe preventivato un’ipotesi di questo genere in chi è previsto e proiettato essere la continuità e il futuro della famiglia. Paradosso che si amplifica perché nella maggior parte dei casi i bambini appaiono sani e vispi – come l’età prevede - e l’evento che porta al ricovero e successiva diagnosi e cura arriva come “un fulmine a ciel sereno”. E’ il primo momento in cui si affaccia l’idea di morte immanente . Recidiva o secondo tumore : Percorso terapeutico già avviato. Verificato che si trascorrono momenti di fatica legati a: ospedalizzazione terapie effettuate ( inappetenza, infezioni opportuniste, nausea, febbre, astenia, eccetera..) modificazione organiche ( calvizie, mutazioni nel soma , presidi…) mutate relazioni sociali momenti con cui si è imparato a convivere e si diventa consapevoli che le fatiche sopra descritte non sono gli elementi dominanti nel percorso . Ai momenti di fatica si alternano momenti di “normalità”, in cui la speranza di guarigione e termine delle terapie/fatiche inizia a concretizzarsi. La comunicazione di malattia non debellata , recidiva, ovvero di una seconda neoplasia – evento non così frequente ma possibile – ripropone in maniera vigorosa il confrontarsi con la possibilità morte del bambino. Fase Terminale Cosa termina e cosa prosegue ? Per quanto tempo ? Bisognerà fare un po’ di chiarezza riguardo la definizione di “paziente terminale”. Ancora oggi vi è un utilizzo diversificato del termine a seconda dei contesti. Per l’equipe medica, normalmente, un paziente viene denominato terminale quando, provati gli svariati approcci terapeutici convenzionali e i possibili protocolli utilizzabili in caso di mancata risposta, non si hanno più altre armi terapeutiche a disposizione per contrastare la patologia di base. Terminate sono dunque le risorse mediche terapeutiche per debellare/controllare la malattia. A questa difficile e consapevole presa d’atto non si accompagna obbligatoriamente un quadro di decadimento o compromissione marcata del bambino-paziente. Anzi , non è così infrequente che il bambino appaia illusoriamente in apparenti buone condizioni. Ennesimo paradosso sbeffeggiante della natura che nuovamente destabilizza e non può che rendere più difficile e faticoso tutto il processo a seguire. Seguirà a questa ennesima bordata un riaffacciarsi di sensazioni ed emozioni di rifiuto, spaesamento, collera, disperazione. Sentimenti ,ahimè , purtroppo già vissuti e vividi e che pur essendo ben noti riescono a far vacillare anche le persone più solide : quanto in precedenza idealizzato e temuto si sta ora concretizzando. L’equipe tutta nel riscontro oggettivo e diagnostico di un progressivo coinvolgimento degli organi nobili (che puntualmente è diversificato in base alla localizzazione della patologia primaria e delle sue sedi di insediamento secondario) e data la premessa di cui sopra assiste ad un costante e incontrovertibile decadimento organico e psicofisico nel bambino , parlerà del suo stato denominandolo terminale. Ma ancora il termine, la fine, non è giunta né così immediata…. E come ogni vita ha intrinsecamente un carattere di unicità ed irripetibilità , patrimonio assoluto di ogni persona, anche l’ultima tranche del transito vitale contiene nel suo manifestarsi peculiarità e caratteristiche incontestabilmente uniche , organicamente prevedibili per alcuni aspetti ma di non facile interpretazione nel mare magno delle emozioni/sensazioni che transitano nel bambino e nel nucleo famigliare a lui intorno. Il paziente definito terminale non ha quindi un reale termine della vita in un periodo breve. Il tempo che intercorre dalla definizione di “terminale” al reale exodus è estremamente fluttuante e richiede giustamente una continuità di presa in carico assistenziale che ha intrinseca un forte e pressante bagaglio emozionale. Exodus Questa eredità di cui siamo spesso inconsciamente portatori dalla nascita giunge alfine ed investe la persona più o meno prepotentemente , più o meno rapidamente a seconda dei contesti - come accennato poco sopra - avendo il sopravvento sulla sua capacità di soffio vitale, sulla possibilità di consentire ancora al muscolo cardiaco di contrarsi. In reparto : si decide di restare ed attendere questo evento nella struttura ospedaliera per svariate ragioni riconducibili a 2 macro aree di causalità : - impossibilità di gestione fattiva del bambino a domicilio impossibilità emozionale di gestione del bambino a casa qualunque sia la motivazione, la permanenza in reparto comporta una presa in carico da parte dell’equipe assistenziale in cui verranno nuovamente esaltate tutte le modalità di approccio personalizzato per dare continuità ad una adeguata risposta ai bisogni espressi dall’insieme bambino/genitore/famiglia in questo momento difficile. A casa : scelta e decisione presa dal nucleo famigliare , e non di rado con il coinvolgimento diretto del bambino, davvero non facile .Scelta che non è indice di terminato interesse e terminata presa in carico dell’insieme bambino/genitore/famiglia da parte dell’equipe assistenziale. Una comunicazione telefonica bilaterale sempre presente è il continuum comunicativo, e si deve in questo caso smentire il detto “occhio non vede , cuore non duole” perché anche in assenza della corporeità reale dell’unità bambino-genitore un coinvolgimento emozionale è ben presente nell’equipe. E dopo l’exodus ? Di nuovo non vi esiste una standardizzazione comportamentale. Nella continuità del rispetto delle persone con cui ci interfacciamo grande flessibilità è ancora espressa ( tutelando comunque i restanti nuclei famigliari presenti in reparto) affinché non vengano aggiunti carichi di fatica emozionale . Il mistero e la tragicità della morte vengono interiorizzati e metabolizzati in base alle risorse individuali derivanti dal bagaglio proprio emozionale, cognitivo e culturale delle persone coinvolte. La prossimità professionale antecedente intercorsa , ed ancora presente, si manifesta non di rado con ulteriori momenti di incontro effettuati volontariamente : - la visita alla camera mortuaria di membri dell’equipe - la visita dei parenti del deceduto nelle realtà del reparto a lungo frequentate. Segni indiretti di un continuativo care e di credibilità e fiducia innescati. E l’empatia ? Vorrò in coda a questo documento fare alcune considerazioni. Quale il ruolo dell’equipe sanitaria ? In un contesto così particolare quali sono gli strumenti e le strategie possibili utilizzabili dall’equipe sanitaria chiamata a rispondere in maniera congrua alle dinamiche sopra descritte ? Con il tempo abbiamo identificato e strutturato una dedicata presa in carico dell’unità bambino-genitore che giunge alla nostra struttura che già dal primo incontro/approccio ha delle pietre angolari fondamentali. Il modello organizzativo basato sull’intensità di cura richiesta in modificate situazioni , team nursing innestato su modello assistenziale a piccole equipe. Accoglienza e dimensione umana dell’assistenza l’unità bambino-genitore viene posta al centro dell’interesse assistenziale, gli operatori con le diverse professionalità agiscono attorno a questo nucleo in stretta connessione tra loro Spostamento delle esigenze degli operatori a quelle dell’unità bambinogenitore, flessibilità ed adattamento ai contesti mutabili Organizzazione sanitaria interna capace di erogare alta specializzazione intersecata con alti livelli di collaborazione esterna a seconda dei bisogni che si presentano Aumentare l’appropriatezza degli interventi da effettuare, ovvero la reale utilità della prestazione rispetto al problema clinico evidenziatosi e allo stato delle conoscenze oggi disponibili. Viene così ad evidenziarsi l’adesione fattiva ai principi fondamentali delle scienze infermieristiche che vedono : - l’uomo come essere bio-psico-socio-culturale e spirituale in continuo adattamento con l’ambiente che lo circonda. - La salute intesa non come assenza di malattia bensì come stato di benessere biopsico-sociale - Il nursing come processo di interazione tra infermiere e singolo individuo, famiglia o collettività con lo scopo di interessarsi (care) a ciascuna di queste realtà nella sua globalità. Accoglienza in reparto Già detto all’inizio ma è bene ribadirlo, c’è una tempesta emozionale che, in maniera più o meno importante, coinvolge le persone che per la prima volta giungono a noi. Consci di questo carico psicologico una particolare attenzione viene dedicata a questo primo incontro. Sotteso al nostro approccio professionale è il raggiungimento di un primo traguardo : trasmettere e diffondere la sensazione all’unità bambino-genitore-famiglia di essere arrivati nel posto giusto. L’accoglienza prevede, già dall’inizio,una buona capacità di flessibilità da parte dell’operatore. A seconda del quadro patologico e di compromissione presente nel bambino , verificato che non vi sono rischi impellenti di salute ( come accade nella maggior parte dei casi) è nostra premura nel fornire le prime informazioni necessarie riguardanti la struttura impostare una relazione di fiducia bilaterale tra l’operatore e l’unità bambino-genitore. Perfettamente consci che di fronte a noi sono persone con un loro vissuto, esperienze , capacità, vita sociale , religiosa ed affettiva a noi ignote , viene accentuata l’attenzione all’innesco di una efficace comunicazione , paradigma assistenziale per il care non nuovo ma spesso tralasciato o parzialmente utilizzato. Tralasciato non per negligenza bensì perché non codificato come “strumento terapeutico” essenziale che deve essere posto come priorità nel piano di lavoro , oppure perché altre attività assistenziali previste assorbono buona parte del tempo a disposizione. Occorre tempo, spazio e dedizione, strutturazione. Nelle situazioni di affiancamento e tutoraggio di neo assunti/inseriti e studenti nella nostra realtà questo tassello fondamentale relativo all’assistenza è ben vivido. Presa in carico assistenziale - care - - ascolto attivo : comprendere chi sono i nostri interlocutori,la capacità di ascoltare ( non udire né sentire ) è una risorsa necessaria per decodificare segni di disagio e frustrazione fisiologicamente presenti in chi giunge alla nostra attenzione. Davvero vigorosa è in questi contesti la comunicazione non verbale, col tempo si affina una particolare sensibilità nell’interpretare paure ed ansie ed alle stesse dare risposte professionali adeguate. approccio personalizzato : assistenza per piccole equipe/ team nursing. Ogni infermiere ha in carico un numero definito di pazienti a cui sarà dedicato per il turno lavorativo. Questa metodologia di approccio assistenziale risulta particolarmente efficace e vincente per una serie di aspetti connessi : continuità di osservazione e dialogo, rinforzo della fiducia bilaterale, immediata constatazione dei cambiamenti – anche minimi – che possono intercorrere nell’arco di poco tempo per poter porre soluzioni e compensazioni adeguate. Ovvero identificazione dei bisogni primari e loro soddisfacimento ma anche individuazione di ansie e timori e loro attenuazione/eliminazione. - - - - - - normalità : si comunica con la persona e non con la malattia. La persona, come sopra riportato , ha un suo vissuto antecedente l’ingresso in ospedale : vissuto sociale, emozionale, conoscitivo, economico ed altro ancora che non può non essere considerato per poter raggiungere una comunicazione efficace. Tale patrimonio individuale presente in ogni persona tramite la continua prossimità consente l’individuazione di specificità dialettiche e relazionali uniche ( indipendenti dall’età dei nostri interlocutori ) su cui poter intessere relazioni interpersonali valide che consolideranno il patto di reciproca fiducia , oltre ad agevolare ogni manovra assistenziale che si debba svolgere . Sottolineata la preziosa risorsa che è il genitore direttamente coinvolto nelle fasi dell’assistenza. credibilità : attuate le premesse di cui sopra ( comunicazione efficace, personalizzazione, normalità ), la credibilità si ottiene per logica conseguenza di una competenza professionale espressa . Bisogna sapere per saper essere, saper agire e saper trasmettere la conoscenza. presenza nei momenti “salienti” di comunicazione ( diagnosi, recidiva, terminalità, ma non solo..) : di fondamentale importanza per mantenere la continuità di fiducia reciproca e comunicazione efficace avere delineato nel piano assistenziale la partecipazione alle comunicazioni più salienti che vengono date al nucleo famigliare relativamente all’andamento della patologia del bambino. Investimento, proficuo in termini di continuità del messaggio e segno di aderenza puntuale alla presa in carico della salute del bambino. dolore : ovvero come prevenirlo , trattarlo ed attenuarlo. Notevoli sforzi ed energie sono state investite per poter realmente fregiarci di “struttura senza dolore”. Grandi i risultati raggiunti per l’attenuazione/eliminazione del dolore fisico. E’ ben noto quanto non esaustivo sia l’ottenimento di questo risultato, altre competenze e consapevolezze si dovranno aggiungere per una gestione congrua del dolore emozionale e psichico. La presenza di figure professionali “dedicate” a queste importanti dinamiche di disagio sono ovviamente una preziosa risorsa ma è inimmaginabile poterle avere oggi a disposizione 24 ore su 24. Ancora una volta la prossimità continuata , la fiducia reciproca innestata da una efficace comunicazione efficace fungono da rete di supporto aggiuntivo alle capacità di contenimento degli eventi stressogeni . spirito di team : la condivisione delle criticità con i vari elementi costituenti il team , loro analisi e metabolizzazione è ovviamente una modalità che deve necessariamente essere presente. Logiche ed azioni di team building dovrebbero essere implementate. coprire le diverse posizioni funzionali e mobilità nelle 3 realtà presenti ( reparto, day hospital e unità trapianto) : la possibilità di poter ruotare nelle diverse posizioni funzionali ( referente, turnista, tutor, sostituzione ) nelle 3 unità operative presenti è risorsa preziosa ad evitare cristallizzazioni comportamentali/relazionali legate al rischio potenziale di agire per consuetudine. Cambiano i colleghi di riferimento e i contesti assistenziali mentre medesimi sono i pazienti. Non ultima , la possibilità della presenza in day hospital consente di avere una constatazione oggettiva dei trattamenti terapeutici effettuati nei pazienti fuori terapia che giungono per effettuare i controlli programmati, la guarigione di cui sono portatori sono una grata ricompensa emozionale negli operatori. - figure adiuvanti non sanitarie : insegnanti,volontari, religiosi, altre persone che contribuiscono a rendere “normale” l’esistenza durante i regimi terapeutici nelle 3 unità operative terzo settore : la presenza di una Associazione di genitori presente e vicina , oltre che per locazione anche per la mole di attività “extra-assistenziali” costantemente prestate e sempre in crescita migliorativa, è un alleato non solo prezioso ma anche vigoroso per le nostre attività di cura e care. Conclusione Le tematiche di questo Convegno ci hanno, giustamente, portato a riflettere su uno spaccato rappresentativo della nostra professione . Con questo scritto si vuole comunque sottolineare che l’evento morte non è l’elemento più rappresentato né rappresentativo nella realtà dell’oncoematologia pediatrica benché questo alone/mantello emozionale venga evocato in svariati contesti. Paradossalmente nella nostra realtà l’oncoematologia si può considerare il reparto più allegro della pediatria poiché se da una parte si è conformato strutturalmente alla tipologia di utenti ( bambini e genitori) che ne usufruiscono , dall’altra l’attività assistenziale (care) viene erogata ponendo al centro la dimensione umana dell’unità bambino-genitore con le peculiarità uniche di ciascuna di esse. Le priorità in un bambino sono soddisfatte quando il contesto in cui si trova gli fornisce la possibilità di soddisfarle : gioco, studio, interazione con altri , alimentazione prediletta, eccetera. e contemporaneamente il personali ivi operante, conscio di quanto sopra descritto, si adopra in tal senso. Il quotidiano rivela allora a chi giunge nelle nostra struttura come visitatore esterno una componente ludica prevalente : gioco, allegria e “scherzosità “ ( mi si passi il neologismo che rende l’idea) sono l’impalcatura base su cui costruire il nostro care . Questa impostazione correlata all’attenzione marcata per la comunicazione , allo spirito di team sotteso ed a una competenza professionale espressa consente a chi si trova nello stato di necessità di dover frequentare le nostre unità operative di poter ammortizzare/attenuare il carico emozionale che inevitabilmente si viene a creare. Siamo sempre protesi alla migliore customer satisfaction ( termine molto in voga ed utilizzato benché gli “affari” a cui ci si riferisce nello specifico sono legati alla salute…) perché siamo consapevoli che ad essa corrisponde la gratificazione professionali. Riflessione d’appendice : empatia Poiché tutto è in divenire con questa breve riflessione , spero utile, sul significato di empatia vorrei innescare motivi di riflessione in merito. “Il termine “empatia” può trovare all’interno dei vari dizionari definizioni abbastanza diverse, anche se tra di loro vi sono alcune similarità. Nel linguaggio comune significa più che altro capacità di compartecipazione, saper condividere gli stati d’animo degli altri e in particolare le loro sofferenze; da qui giungono capacità di aiutare, sostenere e, soprattutto, comprendere. Indubbiamente il significato è molto ampio, tuttavia si lega sempre al saper “sentire” stati d’animo sia negativi che positivi, ed al saper alleviare la sofferenza Di fatto, non può esistere relazione significativa se non c’è empatia: la mamma che consola il suo bambino lo fa grazie all’empatia; la persona che riesce a condividere la gioia dell’amico lo fa perché può usare la sua capacità di condivisione empatica; l’innamorato che riesce a sintonizzarsi su ciò che sente l’altro anche senza l’uso di parole, lo fa usando questo strumento. Ci sono poi professioni che comportano, o meglio comporterebbero necessariamente l’empatia: nessuno psicoanalista può condividere il vissuto del suo analizzando se non possiede empatia, ed anche gli infermieri, i medici e gli operatori sociali devono essere dotati di empatia. L’empatia è quindi il risultato di un equilibrio estremamente complesso tra la capacità di discriminare e riconoscere gli affetti dell’altro come diversi dai propri e quella di accoglierli e farli propri. L’empatia affonda le sue radici nella simbiosi madre-figlio, si raffina con l’evoluzione della differenziazione tra sé e altro, per giungere infine ad una reale maturità allorché si è in grado di percepire con estrema esattezza i sentimenti ed i vissuti altrui, staccandoli totalmente dai propri fino al punto da comprendere pienamente il punto di vista dell’altro.” Lidia Fassio Roma 1 aprile 2001 Nel nursing ( scienza umana) l'empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da uno sforzo di comprensione intellettuale dell'altro, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale. L’empatia è la focalizzazione sul mondo interiore dell’interlocutore, è la capacità di intuire cosa si agiti in lui, come si senta in una situazione e cosa realmente provi al di là di quello che esprime verbalmente. L’empatia è la capacità di leggere fra le righe, di captare le spie emozionali, di cogliere anche i segnali non verbali indicatori di uno stato d’animo e di intuire quale valore rivesta un evento per l'interlocutore, senza lasciarsi guidare dai propri schemi di attribuzione di significato. La trasparenza , sottesa all’empatia, è l’accordo tra i sentimenti manifestati e quelli realmente provati. Se l’interlocutore percepisce trasparenza, si apre con fiducia, altrimenti si chiude difensivamente. Trasparenza non significa rivelare impulsivamente tutti i sentimenti, ma implica il non simulare un sentimento quando in realtà se ne prova un altro, perché l’interlocutore capterebbe la dissonanza. Su questa base teorico-pratica si sono da sempre costruite le varie linee di pensiero del nursing, e l’impostazione del care in oncoematologia pediatrica è fedele a quanto sopra descritto. Nel mio prolungato operare in oncoematologia pediatrica l’attenzione a non “andare oltre “ (eccesso o difetto) nella presa in carico dei bisogni dei nostri pazienti è sempre stata materia viva e di costante riflessione : qual è il limite ? Il coinvolgimento/presa in carico fin dove può arrivare ? Domanda certa con risposte incerte, nebulose e talvolta discordanti. Segno che noi stessi non siamo immutabili ma condizionati da molteplici fattori interni ed esterni. Un’indagine svolta dal gruppo di Neuroscienze dell'University College di Londra, diretto da Tania Singer, aveva lo scopo di valutare se ci fossero delle aree del cervello stimolate nella percezione del dolore altrui che fossero sovrapponibili a quelle che si attivano quando è la persona stessa che prova dolore. Una esperienza che molti genitori conoscono bene: quando il figlio è malato o prova un disagio la sensazione dolorosa è altrettanto intensa per loro stesse. Un gruppo di 16 donne ha ricevuto una scarica elettrica di moderata intensità mentre veniva sottoposta alla Risonanza Megnetica Funzionale (FMRi): l’esame mostrava che nel cervello si attivavano risposte sia nelle aree sensoriali che in quelle emozionali. La fase successiva dell'esperimento prevedeva che le stesse donne assistessero alla somministrazione di uno stimolo doloroso al loro partner, ma non potessero vederne il viso, in modo che non fossero influenzate dall'espressione sofferente e fosse eliminato il disagio emozionale che deriva dall'assistere al dolore altrui. Il risultato è stato che le aree del cervello sollecitate dalla seconda parte dell'esperimento erano le stesse di quando il dolore era subito personalmente. “Lo studio ha evidenziato – spiega Tania Singer – che quando assistiamo al dolore di un'altra persona siamo coinvolti dal punto di vista psicobiologico in meccanismi sovrapponibili e che l'assenza dello stimolo fisico differenzia solo la risposta legata ai recettori sensoriali”. Secondo la Singer la risposta ‘empatica’ ci rende capaci di forgiare rapporti affettivi come quello madre-figlio con funzioni evolutive perché l'empatia ci permette di comprendere profondamente, facendoci sentire coinvolti, sentimenti come dolore, gioia, rabbia. (Consultabile a questo indirizzo http://www.msnbc.msn.com/id/4313263/) Anche in questo caso il gomitolo ingarbugliato delle risposte non si dipana, anzi si complica. L’anaffettività citata all’inizio ha ancora motivo di essere dichiarata ? Così non sembrerebbe dalle considerazioni fatte da Tania Singer. « l'empatia si sarebbe sviluppata perché mettersi nei panni dell'altro per sapere cosa pensa e come reagirebbe costituisce un importante fattore di sopravvivenza in un mondo in cui l'uomo è in continua competizione con gli altri uomini. »Geoffrey Miller The mating mind Lungi da me il voler offrire ipotesi certe di risposta, ho comunque la consapevolezza che nell’esprimere la nostra professionalità dovrebbe essere sotteso un desiderio di care oltre le necessarie peculiarità professionali necessarie. Tale “desiderio” , che considero comunque una emozione, può essere appagato e appagante quando trova terreni fertili su cui investire in termini di possibilità strutturali e risorse umane sensibili, indipendentemente dalle cornici di riferimento. E con questo intendo dire che se l’oncoematologia pediatrica per le sue alte peculiarità emozionali oltre che professionali ha impostato ed investito per una preda in carico solistica della persona , tale potenzialità dovrebbe essere espressa in tutti i contesti in cui si è chiamati a rispondere ai bisogni di salute. Utopico ? Può darsi ma è pur sempre l’utopia che , pur allontanando puntualmente il bersaglio da raggiungere, consente di fare passi nella direzione desiderata. ,,, ,,,, mmmmmmmmmm mmmmmmmmmm Mazzanti Ettore Infermiere